A10 720 *** I diritti su tutte le opere e le immagini di Bruno G. Sanzin appartengono al figlio Paolo, che è l’unico che può autorizzare la riproduzione e la divulgazione di immagini o di opere di suo padre. Enrica Mezzetta Paolo Sanzin BRUNO GIORDANO SANZIN AEROPOETA FUTURISTA TRIESTINO LA PUBBLICISTICA DAL 1920 AL 1944 Copyright © MMXI ARACNE editrice S.r.l. www.aracneeditrice.it [email protected] via Raffaele Garofalo, 133/A–B 00173 Roma (06) 93781065 ISBN 978–88–548–3948–9 I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica, di riproduzione e di adattamento anche parziale, con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi. Non sono assolutamente consentite le fotocopie senza il permesso scritto dell’Editore. I edizione: marzo 2011 SOMMARIO p. 7 1. Tappe della produzione sanziniana p. 2. Lineamenti storici del futurismo 3. Bruno G. Sanzin e il secondo futurismo 4. La pubblicistica sanziniana tra il 1920 e il 1944 4. 1. Urbanistica triestina 4. 2. Cronache di viaggi 4. 3. Scritti polemici, politici e di costume 4. 4. Resoconti di mostre, esposizioni d’arte ed eventi culturali 4. 5. Critica letteraria e artistica 4. 6. Recensioni 4. 7. Profili di autori e artisti futuristi 4. 8. Scritti sul teatro 4. 9. Scritti teorici sul futurismo p. p. p. p. p. p. p. p. p. p. p. p. 7 8 17 19 22 27 30 34 51 58 68 72 81 I. Prefazione II. Nota al testo p. 89 III. Bruno G. Sanzin. La pubblicistica dal 1920 al 1944 p. 93 1.1920-1924 2.1925-1929 3.1930-1931 4.1932 5.1933-1934 6.1935-1944 p. p. p. p. p. p. Appendice di immagini pagine fuori testo 93 142 180 223 285 325 345 Postfazione di Paolo Sanzin p. Bibliografia essenziale p. 347 I. PREFAZIONE B 1. Tappe della produzione sanziniana runo G. Sanzin fu uno scrittore prolifico e poliedrico, in grado di muoversi disinvoltamente pressoché attraverso tutti i generi letterari. Oltre che teorico del futurismo, amico intimo e luogotenente giuliano di Marinetti, fu anche e soprattutto poeta, romanziere, narratore, autore di teatro, saggista, critico letterario, d’arte e di costume, giornalista e recensore. Tutte queste attività accompagnarono il suo itinerario esistenziale, scandendo le tappe della sua produzione in due momenti ben noti alla critica: dal 1924, anno di pubblicazione del volume Marinetti e il futurismo, al 1942, quando apparve il poema Fiori d’Italia, e poi dal 1970, data di edizione della raccolta di elzeviri Il proprio mondo (nei ricordi e nella fantasia), al 1986, quando vide la luce la silloge di contropoesie A tu x tu. Questi sono gli estremi cronologici ormai unanimemente accettati come discrimen della prassi creativa dell’autore e dei quali egli stesso offre testimonianze e motivazioni ideologiche nel volume autobiografico Io e il futurismo. Sicuramente sul trentennale silenzio sanziniano hanno pesato importanti motivazioni personali, legate a seri problemi di salute, ma anche delusioni professionali, culminate nel 1968 nella sua esclusione da un’antologia di scrittori triestini del Novecento. Con tutta probabilità non si trattò di un tentativo di dimenticare questo singolo autore, per altro mai ritenuto particolarmente ‘scomodo’ e senz’altro non una delle voci più irrequiete e trasgressive del movimento, ma fu piuttosto un modo per colpire, attraverso lui, la memoria stessa del futurismo e le eredità che aveva lasciato nei suoi ultimi discepoli. È però innegabile che l’allontanamento di Sanzin dal panorama letterario fu determinato soprattutto dalla conclusione dell’esperienza storica del gruppo d’avanguardia, che, nato nel 1909 con il marinettiano Fondazione e manifesto del futurismo, faticò a sopravvivere Bruno G. Sanzin, Marinetti e il futurismo, Trieste, edito in proprio, 1924 (stampa: Pola, tipografia Piccolini). Bruno G. Sanzin, Fiori d’Italia, Roma, Edizioni Futuriste di «Poesia», 1942. Bruno G. Sanzin, Il proprio mondo (nei ricordi e nella fantasia), Padova, Rebellato, 1970. Bruno G. Sanzin, A tu x tu, Trieste, edito in proprio, 1986 (stampa: Gorizia, Grafica Goriziana). Bruno G. Sanzin, Io e il futurismo (confidenze in libertà), Prefazione di Giorgio Baroni, Milano, Istituto Propa- ganda Libraria, 1976. Si tratta di Scrittori triestini del Novecento, antologia a cura di Oliviero Honore Bianchi, Manlio Cecovini, Marcello Fraulini, Bruno Maier, Biagio Marin, Fabio Todeschini, con saggio di Bruno Maier sulla Letteratura triestina del Novecento, prefazione di Carlo Bo, Trieste, LINT, 1968. Un’ampia testimonianza dell’esclusione di Sanzin dall’antologia in questione e delle sue conseguenze si può leggere nel capitolo Il privilegio di rinascere di Io e il futurismo. Cfr. Bruno G. Sanzin, Io e il futurismo (confidenze in libertà), cit., pp. 125-135. Il primo proclama del futurismo uscì in francese, come editoriale, nel parigino «Figaro» del 20 febbraio 1909; poi venne ripubblicato, seguito dalla versione italiana, sulla rivista milanese «Poesia», nel fascicolo di febbraiomarzo 1909 (V, 1-2). L’intero testo del manifesto o i soli punti programmatici trovarono poi diffusione attraverso opuscoli e volantini. Oggi il testo integrale di Fondazione e Manifesto del Futurismo si legge in Filippo Tommaso Marinetti, Teoria e invenzione futurista, a cura di Luciano De Maria, Prefazione di Aldo Palazzeschi, Milano, Mondadori, 19984, pp. 7-14. Per ulteriori notizie circa la pubblicazione di questo e degli altri proclami marinettiani Enrica Mezzetta al secondo conflitto mondiale, tramontando assieme al suo ideatore e fondatore, morto nel 1944. Come testimonia Claudia Salaris, La morte di Marinetti pone la parola fine alla parabola discendente del futurismo. Dopo la scomparsa del capo infatti ciò che resta dell’organizzazione si disgrega sullo sfondo degli anni più tempestosi della storia italiana di questo secolo. 2. Lineamenti storici del futurismo Le concause di un tale declino sono svariate e devono essere ricondotte in parte a questioni storico-politiche e in parte a problematiche intrinseche al movimento stesso. In prima istanza il futurismo era profondamente coinvolto con il fascismo e tale rimase, seppur con tempi e fasi alterne, per tutta la sua esistenza. La guerra e la politica occuparono sempre un posto di rilievo nel pensiero e nelle prese di posizione marinettiane e lo stesso capo del gruppo era legato da una profonda amicizia con Mussolini. Già nel periodo 1909-1913 erano usciti tre proclami politici avanguardisti, i cui obiettivi erano, tra gli altri, l’espansione nazionale, il patriottismo, la lotta al socialismo e ai preti, l’interventismo, il liberismo economico; vi si sosteneva inoltre che «la parola ITALIA [dovesse] dominare sulla parola LIBERTÀ». Risale però solo al 1918 il lancio del vero e proprio Manifesto del partito futurista italiano, atto di fondazione di un partito di stampo nazionalista-rivoluzionario e anticlericale, autonomo dalla corrente artistica. Il suo programma era, in sintesi: la costruzione di un’Italia libera e forte; la lotta all’analfabetismo e a favore del divorzio; l’abbassamento dell’età dei membri del Parlamento; il potenziamento di esercito e marina; la socializzazione delle terre; la costituzione di un patrimonio agrario dei combattenti; il progresso, l’industrializzazione e la modernizzazione delle città; la riforma della burocrazia. Alla fine dello stesso anno (tra il dicembre 1918 e il gennaio seguente) nacquero i primi fasci futuristi a Ferrara, Firenze, Roma e Taranto, anticipatori dei fasci di combattimento, istituiti il 23 marzo 1919 durante una riunione tenuta in Piazza San Sepolcro a Milano. citati in questo volume si rimanda a Nota ai testi, ivi, ad vocem. Tutti i proclami futuristi si possono leggere in riproduzione fac-simile in Manifesti, proclami, interventi e documenti teorici del futurismo, a cura di Luciano Caruso, Firenze, SPES, 1990. Claudia Salaris, Storia del futurismo, Roma, Editori riuniti, 1985, p. 257. Sui rapporti tra futurismo e fascismo si vedano almeno: Umberto Silva, Ideologia e arte del fascismo, Milano, Mazzotta, 1973; Alberto Schiavo, Futurismo e fascismo, Torino, Volpe, 1981; Futurismo, cultura e politica, a cura di Renzo De Felice, Torino, Fondazione Giovanni Agnelli, 1988; Angelo D’Orsi, L’ideologia politica del futurismo, Torino, Il Segnalibro, 1992; Claudia Salaris, Artecrazia. L’avanguardia futurista negli anni del fascismo, Firenze, La Nuova Italia, 1992. Cfr. Filippo Tommaso Marinetti, Manifesto politico futurista (noto anche con il titolo Primo manifesto politico futurista per le elezioni generali del 1909), «Poesia», V, 3-4-5-6, Milano, 1909; Idem, Secondo manifesto politico futurista (intitolato anche Tripoli italiana o Manifesto a Tripoli italiana), 11 ottobre 1911; Filippo Tommaso Marinetti, Umberto Boccioni, Carlo Carrà, Luigi Russolo, Programma politico futurista, Milano, Direzione del movimento futurista, 11 ottobre 1913. Questi tre proclami furono poi pubblicati con il titolo Movimento politico futurista in Filippo Tommaso Marinetti, Guerra sola igiene del mondo, Milano, Edizioni futuriste di «Poesia», 1915 (edizione rimaneggiata e in traduzione italiana di Idem, Le futurisme, Paris, Bibliothèque internationale d’Édition E. Sansot & C., 1911); e oggi si leggono in Idem, Teoria e invenzione futurista, cit., pp. 337-341. Ivi, p. 339. Filippo Tommaso Marinetti, Manifesto del partito futurista italiano, «L’Italia futurista», III, 39, Firenze, 11 febbraio 1918; ora in Idem, Teoria e invenzione futurista, cit., pp. 153-158. Prefazione In quella occasione intervennero Marinetti, Mazza e Carli, che portò «l’adesione “fusionista” dei fasci futuristi». Il ruolo di primo piano svolto dall’avanguardia nella formulazione dell’ideologia fascista è ormai questione assodata, riconosciuta in quegli anni dallo stesso Benedetto Croce. […] l’origine ideale del “fascismo” si ritrova nel “futurismo”: in quella risolutezza a scendere in piazza, a imporre il proprio sentire, a turare la bocca ai dissidenti, a non temere tumulti e parapiglia, in quella sete del nuovo, in quell’ardore a rompere ogni tradizione, in quell’esaltazione della giovinezza, che fu propria del futurismo, e che parlò poi ai cuori dei reduci dalle trincee. Si andava così sempre più stringendo il sodalizio con il Duce: nel gennaio del 1919 Marinetti e altri suoi compagni presero parte, nel corso della serata alla Scala di Milano, al ‘siluramento’ di Leonida Bissolati e dell’interventismo democratico; il 15 aprile dello stesso anno futuristi, fascisti e arditi si scontrarono con i socialisti nella cosiddetta ‘battaglia di Via Mercanti’ e incendiarono la sede dell’«Avanti!»; nel settembre il capo dell’avanguardia, Carli e Settimelli seguirono d’Annunzio nell’impresa di Fiume. Non mancarono inoltre in quel periodo interventi e discorsi di carattere prettamente politico, volti a rinnovare le istituzioni italiane, anche attraverso l’ipotesi degli ‘artisti al potere’. Ma già nel marzo 1920, a Milano, nel corso del secondo Congresso dei fasci, si registra l’allontanamento marinettiano dai fasci di combattimento, accusati di essere reazionari, clericali e monarchici, e in un certo senso anticipato dalla sconfitta elettorale del capo futurista e di tutto il blocco fascista nel novembre dell’anno precedente. E nonostante un nuovo tentativo di riavvicinamento, risalente al 1923-1924 e motivato dalla necessità di evitare l’isolamento del gruppo, la rottura era ormai definitiva e la convergenza con il regime poteva da quel momento in avanti fondarsi esclusivamente su basi artistiche. La ratifica di una tale situazione si ebbe con la pubblicazione del manifesto I diritti artistici propugnati dai futuristi italiani del 1923, «un’articolata piattaforma di rivendicazioni corporative, che il gruppo di Marinetti, ripresentatosi compatto dopo un lungo silenzio, indirizza al “governo fascista”». Nel novembre del 1924, durante il Congresso futurista e la celebrazione delle Onoranze nazionali a Marinetti, venne ratificata la linea della rinuncia a una concezione politica e il capo dell’avanguardia si limitò a definirsi un precursore del fascismo, fino al punto di proporre, con il passare del tempo, i contributi portati dal movimento alla causa mussoliniana non più come meriti di stampo ideologico, ma esclusivamente estetico. Con questo atto i motivi di tangenza politica con il regime si cementano esclusivamente sugli ideali del Claudia Salaris, Storia del futurismo, cit., p. 117. Benedetto Croce, Fatti politici e interpretazioni storiche, «La Critica», XXII, 3, Napoli-Bari, 1924, p. 191. Il testo venne poi diffuso nel volantino Il futurismo e il fascismo giudicati da Benedetto Croce, Milano, Direzione del Movimento futurista, 1924 (ora in Manifesti, proclami, interventi e documenti teorici del futurismo, III, cit., n° 364). L’insieme delle proposte marinettiane per il rinnovamento politico e istituzionale dell’Italia si leggono in Filippo Tommaso Marinetti, Democrazia futurista, Dinamismo politico, Milano, Facchi, 1919; ora in Idem, Teoria e invenzione futurista, cit., pp. 343-469. Filippo Tommaso Marinetti, I diritti artistici propugnati dai futuristi italiani. Manifesto al governo fascista, «L’Impero», Roma, 11 marzo 1923; «Noi», s. II, a. I, 1, Roma, aprile 1923; «Il Futurismo», II, 5, Milano, 1 marzo 1923; Idem, Futurismo e Fascismo, Foligno, Franco Campitelli editore, 1924; ora in Idem, Teoria e invenzione futurista, cit., pp. 562-569. Claudia Salaris, Artecrazia. L’avanguardia futurista negli anni del fascismo, cit., p. 7. 10 Enrica Mezzetta nazionalismo e della fede patriottica e condurranno il movimento, ormai in evidente fase di revisionismo, a seguire il Duce fino al suo epilogo, sostenendone attivamente tutte le scelte, dall’autarchia alle imprese coloniali, all’intervento italiano nel secondo conflitto mondiale. Il gruppo, che rivendicava per sé il ruolo di anticipatore in tutti i campi rispetto alle altre avanguardie europee, mirava ormai a presentarsi come l’espressione artistica più adatta a interpretare i temi cari alla nuova Italia fascista. Né poteva essere altrimenti, visto che già dal 1924 era iniziata la manovra del regime volta ad espellere i rivoluzionari, «le teste calde, i diciannovisti, in una parola i “puri”» e a proporsi come restauratore dell’ordine, della tradizione e della disciplina. La politica culturale mussoliniana non poteva, di fatto, venire rappresentata da questo, come da nessun altro avanguardismo artistico, la cui specificità è sempre quella di avere una natura anarcoide e sovversiva. E infatti il futurismo, neppure dopo il 1929 e in seguito alla nomina marinettiana ad Accademico d’Italia, riuscì mai nel corso della sua storia a godere di particolari privilegi da parte del Duce, con il quale, anzi, non mancarono talvolta motivi di tensione. Nonostante i suoi sforzi, non assurse al ruolo di arte ufficiale del regime, il che determinò le continue pressioni del leader «attraverso la stampa amica per assicurarsi la presenza in importanti rassegne come la Biennale veneziana, la Triennale milanese o la Quadriennale romana». Il fascismo non avvallò la formazione di un’arte di Stato e, a parte poche e saltuarie sovvenzioni, non agevolò particolarmente nessun movimento rispetto ad altri, neppure per renderlo portavoce della propria ideologia. La situazione divenne ancor più delicata con il 1938, quando Marinetti e Somenzi dovettero contrastare la criminalizzazione dell’arte d’avanguardia che alcuni intellettuali italiani cercavano di perpetrare, emulando così le coeve prese di posizione delle gerarchie naziste. In Germania già da tempo Hitler aveva avviato quella campagna di persecuzione degli artisti d’avanguardia nota come operazione ‘arte degenerata’, cui per altro non erano estranee implicazioni di carattere razziale. Risalgono infatti al 1934, in occasione della mostra berlinese di aeropittura, i primi segnali di intolleranza nazista nei confronti della cultura moderna, ritenuta responsabile del declino della civiltà, e in particolare verso la sua manifestazione estetica, considerata come espressione di corruzione e decadenza. Il Führer individuava una pericolosità politica nel concetto stesso di avanguardia, riconoscendo in essa, in virtù del suo linguaggio irriducibilmente eversivo e di stampo anarchico, manifestazioni di sovversivismo, antitotalitarismo e di rivoluzione sociale. Ma l’acme della drastica campagna di epurazione fu raggiunto con la mostra di Monaco di Baviera, inaugurata nel giugno 1937, che raccoglieva tutte le opere bandite dalle gallerie tedesche in quanto ‘pervertite’ e frutto di un pericolosissimo bolscevismo culturale. Nonostante il progressivo aggravarsi della situazione in ambito europeo e il fascino che essa esercitò anche in Italia, dove taluni Claudia Salaris, Storia del futurismo, cit., p. 139. La citazione è tratta da Ezio Godoli, Il futurismo, Roma-Bari, Laterza, 1983, p. 68. Sull’argomento si veda Romano Cantore, Gli intellettuali pagati segretamente dal fascismo. Sul borderò del duce, «Panorama», Milano, 22 febbraio 1987, pp. 106-121. L’articolo è pubblicato insieme all’intervista a Paolo Paletti, autore di una ricerca sulle sovvenzioni elargite dal Ministero della Cultura Popolare a intellettuali e artisti, intitolata Anche la storia fa scoop (ivi, p. 111). Enrico Prampolini, dalle colonne di «Stile futurista» rispose con fermezza alla campagna di epurazione messa in atto da Hitler in concomitanza con la mostra di aeropittura di Berlino. Si veda Enrico Prampolini, Il Futurismo, Hitler e le nuove tendenze, «Stile futurista», I, 3, Torino, 25 settembre 1934, p. 7: «Gli S.O.S. lanciati a ripetizione da Hitler per salvare l’arte tedesca dal futurismo, cubismo, ecc., come pericoli nazionali, sono assurdi, in quantochè questi appelli dimostrano chiaramente la paura di non resistere alla potenza novatrice o il timore di influenze straniere». G II. NOTA AL TESTO li scritti giornalistici in prosa di carattere non letterario che Bruno G. Sanzin pubblicò su quotidiani e riviste negli anni compresi tra il 1920 e il 1944 vengono qui per la prima volta raccolti e disposti in ordine cronologico (basato sulla data di prima edizione di ciascun testo), in una silloge complessiva della pubblicistica di area futurista dell’autore triestino. Allo stato attuale delle nostre conoscenze e sulla base delle ricerche compiute, si tratta di un complesso di 134 articoli e saggi, già editi su giornali e periodici e conservati nell’archivio di Paolo Sanzin, figlio dell’autore. Il nucleo centrale dell’opera, costituito dagli articoli sanziniani, è stato organizzato in paragrafi comprendenti una cerchia di annate variabile (1920-1924, 1925-1929, 19301931, 1932, 1933-1934, 1935-1944) in relazione al numero di testi editi in ciascun periodo, al fine di dare concretamente conto della differente prolificità giornalistica dell’autore nel tempo, soggetta a periodi di maggiore e minore attività. In calce a ogni scritto viene data notizia circa tutte le sue edizioni, per ciascuna delle quali si fornisce una completa indicazione bibliografica. Nella stragrande maggioranza dei casi in cui si registrano più pubblicazioni, le varianti editoriali si riducono a questioni di scarsa importanza filologica e critica. Di esse si è preferito non dare conto per non appesantire la lettura dell’opera. Qualora invece si siano riscontrate differenze significative (omissioni o aggiunte di interi periodi), si è optato per non rifarsi alla più tarda versione degli articoli – che, trattandosi di testi pubblicati su periodici e quindi potenzialmente soggetti a limitazioni o comunque a scelte redazionali, potrebbe anche non corrispondere all’ultima volontà dell’autore – ma a quella più estesa e completa, segnalando puntualmente in nota le varianti. Tutti gli scritti qui raccolti vengono riportati secondo uno scrupoloso criterio conservativo, con assoluto rispetto della versione a stampa da cui sono stati mutuati. Nella trascrizione sono stati conservati i capoversi, la punteggiatura e le maiuscole di rispetto, mentre per tutte le altre questioni tipografiche si è preferito normalizzare i testi sulla base di più recenti criteri editoriali, al fine di dare all’opera una veste unitaria. Sono stati conservati, segnalandoli con [sic] e, ove necessario, accompagnandoli con note esplicative, lapsus ed errori significativi, mentre sono stati eliminati o corretti i poco rilevanti trascorsi di ‘penna’ e le sviste meccaniche. Sempre in nota vengono fornite informazioni circa riferimenti, citazioni e passi degli scritti considerati di non immediata comprensione o comunque meritevoli di chiarimento. Per ogni volume, articolo o saggio citato nei testi viene fornita in nota una precisa indicazione bibliografica. Per quanto concerne le informazioni bio-bibliografiche inerenti i personaggi citati, si è deciso di abolire o ridurre all’essenziale le indicazioni relative a personalità molto conosciute nel panorama letterario, politico e culturale dell’epoca, riportando solo brevi notizie indispensabili all’identificazione e a scongiurare casi di omonimia, senza appesantire l’apparato delle note. Sono state invece fornite informazioni aggiuntive rilevanti circa persone o situazioni di non immediata individuazione, o di particolare rilievo nell’universo futurista (cui questo libro fa riferimento). Tutto ciò ha di norma luogo solo in occasione di recensioni, profili o articoli dedicati, in toto o in modo prevalente, a un determinato autore e comunque solo in corrispondenza della prima ricorrenza del nome della persona citata. 90 Enrica Mezzetta - Paolo Sanzin Riguardo alle opere di Sanzin menzionate all’interno del volume, si è optato per riportare il nome dell’autore nella forma abbreviata «Bruno G. Sanzin», anziché «Bruno Giordano Sanzin», adeguandosi così a un’abitudine dello stesso poeta, uso a firmarsi in quel modo, e dei suoi amici più stretti, che lo chiamavano familiarmente «Bruno Gi». Questo corpus di scritti, che raccoglie la pubblicistica sanziniana, in prosa e non narrativa, edita tra il 1920 e il 1944, mira a rappresentare un utile contributo alla bibliografia dell’autore e, in base alle informazioni in nostro possesso e fatta salva la possibilità di eventuali futuri sviluppi, si presenta nella sua vesta complessiva e definitiva. Per la compilazione di questo volume, e in particolare per l’individuazione di tutte le edizioni dei testi qui raccolti, ci si è avvalsi, oltre che del materiale presente nello sterminato archivio sanziniano, di ricerche bibliografiche ad hoc e di repertori elettronici e cartacei di indicizzazione di periodici cui l’autore collaborò. In ogni caso si è personalmente proceduto all’individuazione, alla raccolta, all’ordinamento e alla trascrizione di tutti gli scritti riportati nell’opera. Non è stato possibile appurare l’esatta indicazione bibliografica di soli 2 articoli presenti in questa silloge, intitolati Scultori futuristi: Ernesto Thayaht e La mostra di plastica murale e gli artisti giuliani. Stando alle informazioni reperite presso l’archivio sanziniano, che conserva copia di tali scritti ma non della pagina del periodico in cui uscirono, essi furono editi rispettivamente su «La Nuova Italia» di Porto Alegre (Brasile), il 26 agosto 1933, e su «Il Sagittario» di Trieste, il 29 novembre 1934. Si tratta di testate che non risultano possedute da alcuna biblioteca o che sono lacunose relativamente alla data interessata, per cui è stato impossibile verificare l’indicazione bibliografica fornita e completarla con il numero di pagina della rivista in cui lo scritto uscì. Le ricerche bibliografiche compiute hanno inoltre consentito di appurare l’infondatezza di alcune indicazioni di archivio circa la pubblicazione di 3 articoli di Sanzin. Si tratta della riedizione del manifesto La prosa allegorica del colore sul periodico messinese «Don Pancrazio» nel 1925 e sul «Giornale del popolo» (presumibilmente nell’edizione catanese) del 13 dicembre 1925, e della pubblicazione dello scritto Sensibilità futurista su «Il Popolo di Sicilia» (probabilmente nell’edizione palermitana) del 21 settembre 1925. Le testate in questione sono state puntualmente consultate ad hoc, senza tuttavia trovare traccia degli articoli suddetti. Ne consegue che, mentre La prosa allegorica del colore compare in questa silloge solo nell’edizione a stampa mutuata da altre riviste e che è stato possibile appurare («La Sera», Trieste, 18 giugno 1925, p. 2; «Il Popolo di Trieste», Trieste, 27 giugno 1925; «Fascino letterario», II, 37, Milano, 10 settembre 1925, p. 4), Sensibilità futurista è stato escluso dalla presente raccolta. Enrica Mezzetta Il reperimento di tutte le edizioni degli articoli raccolti in questo volume è stato in gran parte agevole, in virtù della ricchezza documentaria dell’archivio sanziniano e grazie alla squisita disponibilità del suo curatore Paolo Sanzin. Non pochi problemi ha invece creato l’individuazione degli scritti non presenti nell’archivio sanziniano o comunque bisognosi di precisazioni bibliografiche, nonché il reperimento di altri articoli che, citati nei testi presenti in questa silloge, risultavano indispensabili per la contestualizzazione critica degli stessi. Ciò è dovuto al fatto che spesso le collezioni comple- Nota al testo 91 te delle riviste futuriste, ma più in generale delle pubblicazioni periodiche, sono conservate in modo lacunoso nelle varie biblioteche. Questa circostanza ha reso ancor più preziosa la collaborazione di tutti coloro che, responsabili delle strutture consultate o esperti di settore, hanno in ogni modo agevolato le ricerche e che qui si ringraziano di cuore: la Biblioteca dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano; la Biblioteca Nazionale Centrale di Roma; Maria Masau Dan, Nicoletta Zar, Susanna Gregorat e Patrizia Loccardi del Civico Museo Revoltella di Trieste; Marina Lippolis della Biblioteca Civica Attilio Hortis di Trieste; Marco Menato delle Biblioteche Statali di Trieste e Gorizia; Gian Luca Corradi e Sergio Marchini della Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze; Francesco Lucania della Biblioteca Civica Centrale di Torino; Alessandro La Porta della Biblioteca Provinciale Nicola Bernardini di Lecce; Donatella Grasso della Biblioteca del Dipartimento di Scienze Sociali e della Comunicazione dell’Università degli Studi di Lecce. Siamo grati anche al Professor Paul Arpaia dell’Indiana University of Pennsylvania e al Professor Stefano Miccolis − scomparso nel dicembre 2009 − per alcune utili indicazioni bibliografiche. Indispensabile, come sempre, è stato l’aiuto del Professor Giorgio Baroni, maestro e mentore, da cui apprendiamo tanto e molto di più abbiamo ancora da imparare. Ringraziamo la Unicredit banca di via Chiodo a La Spezia. Un segno speciale di riconoscenza va ad Annamaria Sanzin, attenta ‘correttrice di bozze’, anche per il sostegno generoso e paziente verso il marito. E un ultimo particolare pensiero è per Gianluca, nonché per Gabriella e Franco, per tutto quello che poche parole proprio non riescono ad esprimere. Enrica Mezzetta - Paolo Sanzin III. Bruno G. Sanzin. La pubblicistica dal 1920 al 1944 1. 1920-1924 G li Audaci Capodistria 27 giugno 1920. Dopo cinque settimane di inattività assoluta tutto causa di Menta, gli Audaci chiusero per quest’ anno il ciclo delle loro gesta, con una visita ai grilli capodistrani. Diversi presero paura del tempo, che a dir la verità, prima della partenza era tutt’altro che bello, ma i presenti si divertirono anche per loro. Siamo partiti allegramente alle otto sul Nazario Sauro, e dopo una breve traversata, siamo giunti a Capodistria. Qui una quindicina di grilli, tra i quali anche i piccoli Sauro, ci attendevano; ci fecero festose accoglienze, dopo le quali, come avevamo stabilito, ci siamo avviati verso il bagno. Nel piccolo stabilimento però non c’erano che alcune cabine riservate all’ufficialità; biso La firma dell’autore è accompagnata dall’appellativo «Cronacaio… di poche parole». Gli abbonati al «Giornalino della domenica» – su cui fu pubblicato il presente articolo – si chiamavano «i grilli». Essi corrispondevano tra loro, collaboravano alla testata – che lasciava a loro disposizione una rubrica e le ‘pagine rosa’ – ed ebbero anche un loro foglio mensile aggiuntivo, «Il Passerotto», «gazzettino della maturità presente e futura diretto da Omero Redi», che uscì dal 4 agosto 1906 al n° 6 del giugno 1910 e poi dal marzo 1919 al dicembre 1920. Il «Giornalino della domenica» era un periodico fondato e diretto a Firenze nel 1906 da Vamba, al secolo Luigi Bertelli (Firenze, 1860-1920), che aveva tratto questo pseudonimo dal nome del buffone dell’Ivanhoe di Walter Scott, ma anche – come amava far credere – dal nome di un re visigoto. Il Bertelli aveva iniziato la sua carriera di giornalista politico e di caricaturista collaborando al quotidiano romano «Capitan Fracassa». In seguito, sempre a Roma, fondò il quotidiano d’opposizione «Don Chisciotte della Mancia» (attivo nel periodo 20 dicembre 1887 - 7 aprile 1892) e collaborò a diversi periodici: il «Pupazzetto», il settimanale di critica teatrale «Il Carro di Tespi», il giornale d’opposizione «Il Folchetto», il settimanale «Domenica italiana» (soprattutto con le sue illustrazioni) e il quotidiano «Il Giorno». La sua attività pubblicistica si svolse anche a Firenze, dove, oltre a collaborare al «Burchiello», fondò l’«O di Giotto», «giornale chiaro e tondo» di ispirazione radicale (19 novembre 1890 - 25 dicembre 1892; dal 1891 trasferitosi a Roma), e, con S. Alessandrini, il «Bruscolo» (3 marzo 1901 - 30 aprile 1905), periodico repubblicano cittadino e regionale da lui diretto. Con il passare del tempo il Bertelli si convertì dal giornalismo per grandi a quello per ragazzi, dall’azione politica alla pedagogia. Ne sono frutto il libro Ciondolino (Firenze, Bemporad, 1893) e soprattutto il «Giornalino della domenica», da lui fondato nel 1906 e diretto. Uscito dal 24 giugno 1906 al 23 luglio 1911, il periodico intendeva formare i futuri quadri dirigenti della nazione. Tra il «Giornalino» e la Confederazione giornalinesca (poi del Girotondo) – proclamata nel n° 26 del 1908 – il Bertelli riuscì a costituire un vero e proprio partito dei ragazzi. Come una repubblica, la Confederazione aveva un presidente (il Bertelli stesso), un parlamento (presieduto dal Fanciulli), un governo centrale, delle prefetture nelle maggiori città (anche a Trento e Trieste), sindaci, assessori e ambasciatori nei paesi stranieri. Esistevano anche le ‘leghe’ o ‘ordini’, come stimolo all’attività parascolastica: artistica, degli stenografi, degli enigmisti, dei filatelici, dei fotografi, degli sportivi, degli zoofili, e via dicendo. Per maggiori dettagli sull’attività giornalistica del Bertelli, sulle sue pubblicazioni (per lo più opere per ragazzi e libri di storia civile) e per cenni bibliografici su di lui, cfr. Dizionario biografico degli Italiani, IX, Roma, Istituto della Enciclopedia italiana, 1967, ad vocem, pp. 494-499. 94 Enrica Mezzetta - Paolo Sanzin gnò dunque domandare il permesso al colonnello, il quale ci diede il consenso di occuparle dalle 9 e ½ alle 10 e ½. Il mare accolse subitamente una mezza dozzina di bagnanti, ma essendo il tempo ristretto, dovettero ben presto uscire. La signora Presacco fece allora un’abbondante distribuzione di pesche e pere, ben accolte dagli Audaci, e quando tutti furono pronti, ci avviammo per un ombroso viale, in piazza del Duomo. Ci accomodammo in un caffè, dove i grilli capodistriani ci offersero del lampone alla gazzosa, bevuta tra un continuo chiacchierio, e dopo aver fatto un evviva a Capodistria e ai Sauro, ci dirigemmo verso il Belvedere. Qui, per iniziativa di Ricciotti Rossi, facemmo il girotondo, provammo anche a cantare ma ci mancava la voce. Si passò quindi all’elezione delle autorità capodistriane. Fatti alcuni gruppi fotografici, giunse ben presto l’ora della partenza, e ci separammo dai nostri gentili amici al grido di «Viva Vamba» e promettendoci di vederci tra breve. «Il Giornalino della domenica», VIII, 31, Firenze, 1 agosto 1920, p. 2. Omero Redi a Trieste Il 20 Settembre, anniversario dell’entrata in Roma dell’Esercito italiano, ci siamo riuniti in Piazza Oberdan alle 8 e 15, per fare una gita nientemeno che con Omero Redi. Partimmo con l’ elettrovia alle 8 e 40, e, dopo mezz’ora di tragitto, siamo giunti a Poggioreale. Andiamo su una vedetta da dove si vede una bella vista – come diceva Paola Boccasini con gran scandalo di Omero. Salimmo l’erta via che attraversa il bosco di Poggioreale, e giungemmo su una piccola spianata ove sorge la vedetta. Le avanguardie grillesche avevano intanto già preso posizione, ed all’arrivo di Omero, lo incominciarono a bersagliare con delle pigne. Ma egli eroicamente salì e si deliziò ammirando il panorama che gli si stendeva dinanzi. Articolo firmato da Bruno G. Sanzin con l’appellativo «Cronacaio … di poche parole» . Omero Redi, pseudonimo di Ermenegildo Pistelli (Camaiore, Lucca, 1862 – Firenze, 1927), fu filologo e scrit- tore. Nel 1884 prese i voti e divenne padre calasanziano. Dopo aver insegnato per molti anni nelle scuole, dal 1903-1904 fu Professore di Lingua latina e greca nel R. Istituto di Studi superiori di Firenze, dove rimase fino alla fine della vita. Della sua attività di filologo si ricordano le edizioni critiche delle Egloghe di Dante (nel volume delle Opere pubblicato dalla Società dantesca italiana nel 1921), dei carmi latini del Pascoli, dei Vangeli tradotti dal Tommaseo, dei Promessi Sposi. Scrisse inoltre Per la Firenze di Dante (Firenze, Sansoni, 1921). Dal 1906 al 1921 collaborò con Luigi Bertelli (detto anche Vamba) al «Giornalino della domenica», facendo parte di quella cerchia di giovani che si stringevano attorno al periodico e che costituirono un focolare dell’irredentismo trentino, triestino e istriano (sul Vamba e sul periodico cfr. p. 93, n. 2). Il Pistelli vi pubblicò Le pìstole d’Omero (poi in volume, con prefazione di Vamba e figurine di Filiberto Scarpelli, Firenze, R. Bemporad e figlio, 1917): le lettere vi sono attribuite allo scolaretto Omero Redi, che motteggia sulla scuola, i professori, i compagni e se stesso. Alle Pìstole si ricollegano anche le Lettere a un ragazzo italiano (con prefazione di Enrico Bianchi, Firenze, Salani, 1927), mentre un loro supplemento sono le Memorie di Omero Redi (apparse anch’esse prima sul «Giornalino» e poi raccolte in volume, a cura di Laura Lattes, illustrazioni di Filiberto Scarpelli, Firenze, R. Bemporad e figlio, 1932). Parte dei saggi critici, delle recensioni e delle prose del Pistelli, apparse su riviste e giornali, si trovano raccolte in Profili e caratteri (Firenze, Sansoni, 1921) e in Eroi, uomini e ragazzi (con prefazione di Benito Mussolini, Firenze, Sansoni, 1927). Per ulteriori notizie su di lui si rimanda a Enciclopedia italiana di scienze, lettere e arti, XXVII, Roma, Istituto della Enciclopedia italiana fondata da Giovanni Treccani, 1949, ad vocem, pp. 424-425. Bruno G. Sanzin. La pubblicistica dal 1920 al 1944 95 Dopo una breve fermata, ci mettemmo in moto per discendere, perché alle 11 dovevamo essere di ritorno in città. Arrivati alla Rotonda dell’Obelisco, si firmarono alcune cartoline, e si fece una fotografia, e risalimmo in tramvai per il lieto ritorno, orgogliosi dell’autorevole compagnia di Omero. «Il Giornalino della domenica», VIII, 41, Firenze, 10 ottobre 1920, p. 3. Gli Audaci in gita Tempo minaccioso, le nuvole avevano invaso il cielo, e molti Audaci fecero disonore al loro nome rimanendo a casa. Qui comincia la sventura, della nostra prefettura. Menta è assente, perchè ha male ad un piede, la prefetta ha defezionato, la sindaca è irreperibile, il consiglier delegato dorme, come sempre, i suoi sonni beati. Unico presente è il segretario di prefettura. Guidati da Ricciotti Rossi c’interniamo nel Boschetto, ed arrivati al Cacciatore, seguiamo la strada che fiancheggia Cattinara e poi s’unisce con lo stradone di Basovizza. Ad un certo punto abbandoniamo la strada maestra ed infiliamo un sentiero che attraversa il bosco, poi continuiamo il cammino attraverso i campi. Il vento un po’ troppo seccante ci stuzzica l’appetito, ed al riparo di una trincea, i sacchi prima, e poi le bocche, si aprono. Una comitiva di gitanti c’incontra, la nostra prefetta è colta in flagranza tra questi: grida di abbasso, fischi, urla; giunge provvidenzialmente Nives Grego a nasconderla sotto il mantello. Povera Andreina! Essendo troppo presto per tornare in città, ci fermiamo in un campo. Stelio Rossi rivolto ai presenti racconta la storia del … conte Ugolino governator di Pisa che in sì barbara guisa, di fame dovette morir ma il coro non risponde ed il conte Ugolino viene lasciato in pace. Qualche altro giochetto e poi partenza. Al bivio ci dividiamo: una parte rifà la strada di prima, un’altra ritorna per Cattinara. Dei primi non so come la sia andata a finire, gli altri fecero ritorno sani e salvi in città. Agli assenti: Marciare, non marcire! «Il Giornalino della domenica», X, 10, Firenze, 31 maggio 1922, p. 11. Articolo firmato da Bruno G. Sanzin con l’appellativo «Cronacaio … di poche parole». Il motto riprende chiaramente uno degli assunti consegnati al manifesto Il Teatro Futurista Sintetico (Atecnico – Di- namico – Autonomo – Alogico – Irreale): «La guerra, Futurismo intensificato, c’impone di marciare e di non marcire nelle biblioteche e nelle sale di lettura». Cfr. Filippo Tommaso Marinetti, Emilio Settimelli, Bruno Corradini, Il Teatro Futurista Sintetico (Atecnico – Dinamico – Autonomo – Alogico – Irreale), Milano, Direzione del Movimento Futurista, 11 gennaio-18 febbraio 1915; ora in Filippo Tommaso Marinetti, Teoria e invenzione futurista, a cura di Luciano De Maria, Prefazione di Aldo Palazzeschi, Milano, Mondadori, 19984, pp. 113-122; cit. a p. 114. 96 Manifesto Enrica Mezzetta - Paolo Sanzin del G. F. S. Marciare non marcire STUDENTI DI TRIESTE ! A voi, giovani studenti, balde schiere della nuova grande Italia, noi ci rivolgiamo, chiedendo la vostra adesione al futurismo. Questo nome, voi l’avrete già inteso nominare da qualche calunniatore, lurido passatista, che denunciandoci pazzi sogghigna ad ogni nostra originale invenzione. Il futurismo italiano, nato a Milano 14 anni fa, ha influenzato tutto il mondo con migliaia d’esposizioni e conferenze e ha creato innumerevoli futurismi diversi. È stato compreso ed acclamato in tutte le capitali europee. In Italia è stato denigrato e calunniato dai reazionari, preti, moralisti, pedanti e dai giornali conservatori. Il futurismo italiano è l’anima della nuova generazione. Infatti, il movimento artistico futurista, avanguardia della sensibilità artistica italiana, è necessariamente sempre in anticipo sulla lenta sensibilità del popolo. Rimane perciò un’avanguardia spesso incompresa e spesso osteggiata dalla maggioranza che non può intendere le sue scoperte stupefacenti, la brutalità delle sue espressioni polemiche e gli slanci temerari delle sue intuizioni. Compagni! Noi vi dichiariamo che il trionfante progresso delle scienze ha determinato nell’umanità mutamenti tanto profondi, da scavare un abisso fra i docili schiavi del passato e noi liberi, noi sicuri della radiosa magnificenza del futuro. L’Italia rinasce, e al suo risorgimento politico segue un risorgimento intellettuale meraviglioso. Nel paese degli analfabeti vanno moltiplicandosi le scuole: nel paese del dolce far niente ruggono ormai officine innumerevoli: nel paese dell’estetica tradizionale spiccano oggi ispirazioni sfolgoranti di novità dovute al genio dei grandi futuristi: Marinetti, Boccioni, Balla, Cangiullo, Depero, Prampolini ecc. Eccovi ora elencate le nozioni elementari del futurismo: È FUTURISTA nella VITA: 1. Chi ama la vita, l’energia, la gioia, la libertà, il progresso, il coraggio, la novità, la praticità, la velocità. 2. Chi agisce con energia pronta e non esita per vigliaccheria. 3. Chi fra due decisioni da prendere, preferisce la più generosa e la più audace, sempre che sia legata al maggior perfezionamento e sviluppo dell’individuo. 4. Chi agisce giocondamente rivolto sempre al domani, senza rimorsi, senza pedanterie, senza falsi pudori, senza misticismi e senza malinconia. 5. Chi sa passare con disinvoltura elastica dalle occupazioni più gravi alle distrazioni più allegre. 6. Chi ama la vita all’aria aperta, lo sport, la ginnastica e cura ogni giorno la forza agile del suo corpo. In calce al manifesto si legge: «sintesi di B. Sanzin. Approvato da F.T. Marinetti». Con questo proclama Sanzin si rivolge al Gruppo futurista studentesco (G. F. S. nel titolo), da lui fondato insieme a Umberto Martelli nel 1922. Com’è noto, la nascita del movimento d’avanguardia si fa ufficialmente risalire al 20 febbraio 1909, quando Marinetti pubblicò il manifesto di fondazione del futurismo, in francese, come editoriale del parigino «Figaro». Subito dopo il proclama uscì, seguito dalla versione italiana, sulla rivista milanese «Poesia», nel fascicolo di febbraiomarzo 1909 (V, 1-2). Oggi il testo integrale di Fondazione e Manifesto del Futurismo si legge in Filippo Tommaso Marinetti, Teoria e invenzione futurista, cit., pp. 7-14.