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Il Mediterraneo dei portoghesi all'inizio del XIXSAGGI
secolo
DAEDALUS
5/2014 - ISSN 1970-2175
GRÉGOIRE BRON
IL MEDITERRANEO DEI PORTOGHESI ALL'INIZIO
DEL XIX SECOLO: DIPLOMAZIA
E INTERNAZIONALISMO LIBERALE, 1808-1835
ABSTRACT - During the first decades of the 19th century, the emancipation and independence of Brazil, and the new European order settled
at the Congress of Vienna, challenged the international position of Portugal. The Lusitanian monarchy has to find a new place in the world. But
while the historiography has always considered that the later international projection of Portugal was directed to Africa and perpetuated the Atlantic dimension of the country, my contribution stresses the importance
of the Mediterranean area in the elaboration of a new system of international relations. The new international policy formulated by the Portuguese government as well as by the Lusitanian liberal movement between the invasion of the monarchy by the Napoleonic armies in 1808
and the definitive implantation of a parliamentary regime in 1834 provide evidence for this Mediterranean attraction.
Nel 1807, l'invasione del Portogallo dagli eserciti napoleonici segna lo scacco della politica estera proseguita dalla diplomazia lusitana durante tutto il Settecento. Essa consisteva nell'adottare quanto
possibile una posizione di neutralità nelle vicende europee, per mantenere allo stesso tempo una salda alleanza con l'Inghilterra, le cui
forze navali erano necessarie alla difesa di un vasto impero centrato
sull'Atlantico, e buone relazioni con le altre potenze continentali, per
premunirsi contro una possibile invasione del Portogallo europeo da
parte della Spagna e della Francia, e per fare da contrappeso ad un'alleanza squilibrata con Londra che rischiava di trasformarsi in soggezione. Inoltre il carattere multipolare della diplomazia portoghese rifletteva la necessità di proteggere dei mercati commerciali che, nonostante l'importanza dell'Inghilterra nel commercio estero portoghese, rimanevano molto diversificati: nel XVIII secolo, oltre che a
Londra, le esportazioni lusitane venivano smerciate in Francia, nei
porti baltici e in Italia. Questi sbocchi, importanti per il commercio
delle derrate coloniali da cui la corona traeva l'essenziale delle sue
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risorse, permettevano al Portogallo di non cadere in una stretta dipendenza economica dalla Gran Bretagna.
La politica estera portoghese era quindi caratterizzata dalla ricerca
di un equilibrio tra le grandi potenze che, nonostante la sua relativa efficacia, imprimeva alla posizione internazionale della monarchia lusitana una forte «vulnerabilità”, che non resistette alla crisi politica di
fine secolo (Macedo, 1987; Alexandre, 1993, p. 93). In effetti, la neutralità proclamata tra Francia e Inghilterra nella bufera napoleonica si
avvera insostenibile. Dopo la sfortunata partecipazione portoghese alla
prima coalizione contro la Rivoluzione francese tra il 1793 e il 1795, il
ristabilimento della pace con Parigi nel 1801 viene ottenuto al prezzo
di concessioni sempre più pesanti a Napoleone, che mettono a rischio
l'alleanza con Londra. Senza profitto, visto che il ravvicinamento con
la Francia si rivela incapace di impedire l'invasione del Portogallo, la
cui neutralità minaccia l'efficacia del blocco continentale. Per sottrarsi
al pericolo francese, la monarchia deve rimettersi all'alleato inglese
che, dopo aver protetto la fuga transatlantica della corte portoghese che
si rifugia in Brasile, impone nel 1810 un trattato di commercio secondo cui i negozianti britannici ottengono dei diritti doganali preferenziali sui mercati brasiliani, a scapito del negozio portoghese (ibid.).
Il governo lusitano, che deve gestire questa nuova situazione, è costretto ad adattarvi la sua politica estera, ma questo compito viene
complicato dal nuovo funzionamento delle relazioni internazionali,
elaborato al Congresso di Vienna e destinato ad evitare la ripetizione
di una guerra generale tra le grandi potenze europee. Invece di cercare
di stabilire un equilibrio europeo tramite l'azione bilaterale di una diplomazia che, procacciandosi in permanenza nuove zone d'influenza,
conduceva alla guerra, i quattro grandi vincitori di Napoleone, a cui si
aggiunge rapidamente la Francia completamente riabilitata nel 1818,
favoriscono la concertazione per giungere ad un equilibrio tra di loro,
in modo di prevenire ogni confronto bellico (Schroeder, 1994). Formano il concerto europeo, che adotta in comune le decisioni concernenti gli affari continentali e le impone alle potenze di secondo o terzo
ordine, la cui sovranità in materia di politica estera risulta di conseguenza molto limitata (Schulz, 2009). Ciascun grande Stato acquisisce
così una zona d'influenza propria in cui le altre potenze non si intromettono, ma che devono anche tenere sotto controllo, perché non ne
sorga l'occasione di una guerra generale. In questo sistema, il Portogallo viene relegato allo stato di cliente dell'Inghilterra e la tradizione alleanza diventa soggezione diplomatica (Alexandre, 1993, p. 327).
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L'assimilazione delle nuove regole del gioco internazionale da parte
delle piccole potenze costituisce però un lento apprendistato e la loro
imposizione alla corona lusitana suscita una viva resistenza. A partire
dal 1808, il governo portoghese, costretto ad escogitare una nuova politica estera, cerca di sottrarsi all'inedita dipendenza dall'Inghilterra.
Stabilito a Rio di Janeiro fino al 1821, si sforza di rifondare un potente
impero a partire dal Brasile, secondo un assetto territoriale in cui il
Portogallo europeo viene marginalizzato. Ma questa politica, ostacolata dall'impossibilità di contrattare con altre grandi potenze delle alleanze alternative a quella con Londra, provoca anche l'emancipazione della ricca colonia americana, d'altronde ugualmente favorita dal governo
britannico, che cerca di – e riesce a – procurarsi una posizione dominante sui mercati brasiliani. Nel 1808, l'abolizione del monopolio di
cui godevano i negozianti portoghesi sulle derrate coloniali e l'apertura
dei porti brasiliani alle navi di tutte le nazioni, determinate dalla convinzione che una politica economica liberista costituisce lo strumento
più efficace per resistere alla concorrenza inglese (Cardoso, 2008), liberano il commercio brasiliano dalla tutela dei mercanti metropolitani
e precipitano il Portogallo europeo in una profonda crisi economica.
Nel 1815, il Brasile viene elevato allo stato di regno su piede di uguaglianza con la metropoli, mentre la rivoluzione liberale lusitana del
1820, che dilaga l'anno dopo sul territorio americano e costringe il re
Giovanni VI a tornare a Lisbona, sancisce la fine dell'impero: nel
1822, il Brasile, sotto l'egida del principe ereditario D. Pedro, proclama l'indipendenza, riconosciuta dal Portogallo nel 1825.
Nei primi decenni dell'Ottocento, la monarchia portoghese viene
quindi drasticamente ridimensionata e, da esteso impero, diventa un
esiguo regno europeo, povero e sottomesso alla tutela di Londra. Ma
questa situazione del tutto nuova non appaga i Portoghesi, che la considerano come una vergognosa espressione di decadenza nazionale e
cercano di contrastarla. Al momento in cui l'indipendenza del Brasile
priva la monarchia del suo principale atout diplomatico, lo sviluppo
del liberalismo offre una nuova prospettiva internazionale al Portogallo. In effetti, sotto la Restaurazione, la lotta alla libertà e alla costituzione viene concepita come una lotta internazionale, che accomuna
tutti i progressisti europei contro l'Europa del Congresso di Vienna,
definito come l'opera dispotica della Santa Alleanza dei re contro i diritti dei popoli e delle nazioni. I liberali devono unirsi e formare la
Santa Alleanza dei popoli, per rovesciare l'iniquo sistema imposto dai
sovrani assoluti al continente nel 1815 e fondare, secondo una linea
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d'ispirazione neo-kantiana, l'Europa della nazioni sui principi di libertà
e di diritto, unica vera garanzia di pace (Isabella, 2008 e 2009).
Dunque, all'inizio dell'Ottocento, il processo di emancipazione del
Brasile e l'ordinamento europeo stabilito a Vienna modificano in profondità la posizione internazionale del Portogallo e costringono le
élites politiche ed intellettuali lusitane ad immaginare un posto nuovo
per il loro paese nell'ordine internazionale del XIX secolo. Ne sono
espressioni la nuova politica estera sviluppata a partire dal 1808 e i
progetti internazionalisti dei liberali portoghesi, che verranno presentati più dettagliatamente qui sotto. Per approfondire la conoscenza
del riorientamento della proiezione estera del Portogallo, lo scopo di
questo articolo è di presentare l'attenzione accordata dai Portoghesi
allo spazio mediterraneo, tradizionalmente considerato del tutto marginale per una monarchia rivolta verso l'oceano sin dal XV secolo,
nonostante le importanti relazioni diplomatiche che questo impero
cattolico mantiene con Roma (Fonseca, 2002; Barata, 2002; Monteiro, 2008). Verrano esaminati successivamente l'importanza del Mediterraneo nella diplomazia portoghese della Restaurazione e il peso di
questo spazio geografico nei progetti di riordinamento internazionale
dei liberali lusitani. Si tenterà finalmente di presentare le implicazioni mediterranee della diplomazia ideologica portoghese, all'epoca
della guerra civile del 1832-34 che sancisce l'introduzione definitiva
delle istituzioni liberali e parlamentari in Portogallo.
Il conflitto oppone i liberali capeggiati da D. Pedro, e i fautori
dell'assolutismo, agli ordini del principe D. Miguel, fratello di D. Pedro. Questi, ex imperatore del Brasile cacciato dal suo trono americano da una rivoluzione nel 1831, è anche stato. tra il 1826 e il 1828,
re del Portogallo, a cui ha accordato una carta costituzionale prima di
abdicare a favore della figlia D. Maria II. Ma il regime parlamentare
viene rovesciato nel 1828 da un colpo di stato di D. Miguel, che
inaugura un regime controrivoluzionario, a cui la vittoria dei liberali
nella guerra civile pone un termine. Mentre la storia imperiale rinnovata dall'approccio transnazionale comincia ad interessarsi alla dislocazione dello spazio atlantico luso-brasiliano d'Antico Regime (Paquette, 2013), le righe seguenti, elaborate a margine di una tesi di
dottorato consacrata alle relazioni politiche italiane in Portogallo
(Bron, 2013), vorrebbero anche attirare l'attenzione sugli aspetti mediterranei di tale processo e formulare a questo proposito alcune prime ipotesi di lavoro.
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La diplomazia portoghese nel Mediterraneo, 1808-1821
Tra il 1808 e il 1821, la monarchia portoghese, stabilita a Rio de
Janeiro, cerca di rifondare l'impero a partire dal Brasile. Sottomessa
ad una crescente pressione politica ed economica dell'Inghilterra, investiga vari mezzi per sottrarvisi e una parte della soluzione escogitata consiste nel rivolgersi all'area mediterranea. Tale prospettiva non
rappresenta un'innovazione nella politica estera lusitana. In effetti, alla fine del Settecento, le relazioni politiche ed economiche tra la monarchia portoghese e il Mediterraneo, soprattutto l'Italia, erano tutt'altro che aneddotiche. Spazio secondario nell'economia complessiva
dell'impero, Lisbona vi manteneva però importanti relazioni diplomatiche in Italia, suscettibili di favorire, tramite i Borboni di Napoli, un
ravvicinamento con la Francia e la Spagna, come avvenne sotto il governo del marchese di Pombal (Venturi, 1976; Miller, 1978); il Portogallo beneficiava inoltre di proficui sbocchi commerciali nel Mediterraneo, soprattutto a Genova che cominciò a concentrare poco a poco
nella seconda metà del XVIII secolo la maggiore parte dei flussi mercantili tra la monarchia lusitana e la penisola italiana (Niephaus, 1975;
Alexandre, 1993); e la corona portoghese sapeva difendere i suoi interessi politici ed economici nel Mediterraneo. Prima di firmare la pace
con Parigi nel 1801, vi mandò nel 1797 una squadra incaricata di agire in collaborazione con l'Inghilterra contro le tentazioni egemoniche
della Francia, ma anche di difendere e promuovere il suo commercio
con l'Impero ottomano, con Trieste e con le reggenze di Algeri e Tripoli (ANTT, MNE, cx 323; Silva, 2004).
Rivolgendosi al Mediterraneo a partire dal 1808, la corona lusitana
non fa altro che riannodare le fila solo parzialmente recise di una relazione tradizionale con un'area geografica dove controbilanciava politicamente ed economicamente l'alleanza con Londra. All'inizio del XIX
secolo, lo scopo rimane lo stesso: trarre profitto dalla possessione del
Brasile, che offre grandi risorse politiche e commerciali, per recuperare, nel quadro di una politica commerciale ormai liberista, i mercati
mediterranei di cui il blocco continentale napoleonico aveva privato il
Portogallo, di conquistarne altri e, nella misura del possibile, di stingere alleanze politiche con le potenze dell'Europa meridionale, sempre
nell'idea di diminuire l'alleanza britannica sempre più imperiosa. Ma
ormai si tratta di sviluppare un commercio diretto tra il Brasile e il
Mediterraneo, liberato dai vincoli del sistema monopolistico.
A partire dal 1814, Roma diventa nuovamente il posto diplomatico
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più prestigioso nel bacino mediterraneo, dove Sua Maestà Fedelissima
è rappresentata da un «ambasciatore straordinario e ministro plenipotenziario”. Ma nella capitale del cattolicesimo, la politica portoghese si
limita essenzialmente a difendere le riforme di secolarizzazione avviate sin dal governo di Pombal, che comunque il papato, sotto il ministero del Cardinal Consalvi, non cerca di fare abrogare, nonostante il ristabilimento della compagnia di Gesù, contro cui il rappresentante portoghese, il conte di Funchal, non manca di protestare (Miller, 1978,
391-394). Di conseguenza, l'attività diplomatica lusitana a Roma sotto
la Restaurazione è alquanto scarsa. Come lo nota Funchal, titolare del
posto quasi senza interruzione fino al 1831, «non c'era riposo più onorabile dell'ambasciata di Roma» (Funchal, 1824, p. 6). Inoltre lo Stato
pontificio non rappresenta un importante partner economico e in conseguenza, il Portogallo si rivolge ad altri interlocutori per controbilanciare nel Mediterraneo la pressione britannica.
Sin dal 1809, mentre l'Europa vive ancora al ritmo delle guerre
napoleoniche, il governo lusitano manda il cavaliere João Pedro
Quinn quale incaricato d'affari a Palermo, presso la corte di Napoli
rifugiata in Sicilia. Le sue istruzioni sono chiare:
«Siccome è essenziale cercare in Italia e su tutte le coste del Mediterraneo e dell'Adriatico i mezzi per risuscitare l'antico e molto lucrativo commercio di derrate coloniali brasiliane che si faceva in tutti i porti della penisola, S[ua] A[ltezza] R[eale] raccomanda che V[ostra] E[ccellenza] esamini i
mezzi che, in questa congiuntura e nel futuro, potranno aumentare ed assicurare il nostro commercio negli Stati siciliani […]». (ANTT, MNE, AC, Liv.
611, fol. 20-22)
Per giungere alla sua meta, il Portogallo propone immediatamente
al re delle Due Sicilie la conclusione di un accordo commerciale fondato sul principio della nazione più favorita, incarica il suo rappresentante di riordinare la rete consolare in Sicilia ed cerca ugualmente
di aprire trattative commerciali con le reggenze barbaresche di Algeri
e Tripoli, che conducono nel 1812 all'apertura di un consolato in
quest'ultimo porto (ANTT, MNE, AC, Liv. 269, fol. 20-21 e Liv.
382, fol. 83-91). Tale politica viene proseguita negli anni seguenti.
Nel 1813 il diplomata Navarro de Andrade è delegato a Cagliari
presso la corte di Savoia esiliata in Sardegna, con la missione di
«esaminare tutti i mezzi con i quali si potrà favorire e stabilire il
commercio diretto di questa isola e di tutto il Mediterraneo non solo
con il Portogallo, ma anche con il Brasile, e quali sarebbero i mezzi
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che bisognerebbe ancora mettere in pratica per fare sì che la nostra
navigazione mercantile si stabilisse e si affermasse nel Mediterraneo» (ANTT, MNE, AC, Liv. 629, fol. 18). Nel 1814, il governo portoghese riprende le trattative con l'Impero ottomano per la conclusione di un trattato di commercio (ibid., fol. 20-21). Nel 1817, apre una
rappresentanza diplomatica a Firenze per accogliere la principessa
Maria Leopoldina d'Austria che imbarca a Livorno per sposare in
Brasile il principe ereditario portoghese, ma anche per sondare la
possibilità di promuovere il commercio lusitano con il porto toscano (Coppini, 1994; Salvadorini, 1994). Finalmente, nel 1819, la corona portoghese conclude un trattato di commercio con il regno di
Napoli. A quest'occasione vengono aperte le trattative per lo stabilimento di un'alleanza formale, difensiva ed offensiva, che sarebbe
dovuta essere incoronata dal matrimonio del figlio secondogenito
del re portoghese, D. Miguel, con una principessa napoletana. Senza opporvisi, Ferdinando I insiste soprattutto per convenire del
principio della deportazione, dopo la fine della loro pena, di condannati napoletani di diritto comune verso il Brasile. Ma Giovanni
VI rifiuta di ratificare questa convenzione, mentre le rivoluzioni del
1820 in Portogallo e a Napoli pongono un termine ai progetti di alleanza politica e dinastica tra le due corone (ANTT, MNE, AC, cx
787; Galasso, 2007, pp. 156-159).
Quasi ossessionale, il volontarismo della diplomazia portoghese
nel Mediterraneo tra il 1808 e il 1820 risulta però del tutto inutile.
Certo, nel 1810 gli scambi tra la Sicilia e il Brasile sembrano aumentare e il ministro portoghese degli Affari esteri può congratularsi
dell'arrivo delle prime navi mercantili napoletane nei porti del territorio americano (ANTT, MNE, AC, Liv. 611 fol. 26). Ma questa crescita è soprattutto il risultato della situazione eccezionale in cui vive
l'Europa all'epoca napoleonica, che spinge le potenze libere dall'intervento francese a fornirsi sui mercati disponibili. Il ritorno della pace nel 1814 provoca sì una forte ripresa delle esportazioni portoghesi
dirette al Mediterraneo, ma esse sono gestite prevalentemente dai
mercanti genovesi, intermediari commerciali privilegiati tra la monarchia lusitana e l'area mediterranea già nel Settecento, che consolidano la loro posizione egemonica nei primi decenni dell'Ottocento.
Ottimamente inseriti nei circuiti del commercio coloniale d'Antico
Regime grazie all'importante comunità ligure stabilita in Portogallo e
soprattutto a Lisbona, una delle comunità straniere più numerosa nella
città, che conta più di mille persone nel 1832 (AST, Mat. pol. est.,
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cons. naz., Lisbona, m. 4, no 87; Rosário, 1977)1, i commercianti genovesi concentrano tra le loro mani le importazioni delle derrate coloniali portoghesi nel Mediterraneo, smerciandovi in particolare lo zucchero, il cottone e i cuoi basiliani, e le esportazioni dal Mediterraneo
al Portogallo, ad esempio quelle del grano siciliano e tunisino verso la
monarchia lusitana (AST, Mat. pol. est., cons. naz., Lisbona, m. 3;
Brilli, 2008, p. 100; Niephaus, 1975, pp. 139-141 e 208-211). Benché
il funzionamento di queste reti commerciali all'inizio dell'Ottocento
non abbia fatto l'oggetto di un'accurata indagine analoga a quella di
Catia Brilli sugli scambi tra Cadice e Genova (Brilli, 2008 e 2010),
sembra che i negozianti liguri temano più che altro l'intervento dello
Stato lusitano nella politica commerciale, che rischia di compromettere l'importanza dello scalo di Lisbona con lo sviluppo di legami diretti
tra il Mediterraneo e il Brasile, e di osteggiare il contrabbando da cui
traggono una parte non irrilevante dei loro profitti. Davanti a questa
posizione dominante dei Genovesi, gli sforzi diplomatici dell'indebolita monarchia portoghese della Restaurazione per aprirsi nuovi mercati nel Mediterraneo e promuovere un commercio diretto con il Brasile sono vani e non trovano nessun riscontro da parte dei suoi potenziali partner mediterranei, anch'essi marginalizzati nel sistema di relazioni internazionali post-napoleonico e troppo deboli per sviluppare
significativi progetti di espansione commerciale marittima. Il Piemonte-Sardegna non risponde all'apertura portoghese del 1813 e non cerca
nemmeno di nominare un rappresentante alla corte lusitana: la legazione piemontese a Lisbona e Rio rimane vacante fino al 1819, ciò
che spinge il Portogallo ad adottare una stretta reciprocità e a richiamare il suo agente diplomatico presso la corte sabauda già nel 1814
(ANTT, MNE, AC, cx 875, no 359). Gli interessi toscani nella monarchia dei Braganza vengono rappresentati da un solo console a Lisbona e dall'ambasciatore austriaco (ANTT, MNE, AC, cx 242), mentre Napoli, unica potenza interessata a promuovere una vera e propria
politica commerciale con il Portogallo per infrangere il monopolio
genovese sulle sue esportazioni di grano, è troppo debole per recarla
ed effetto. Non prende la pena di sostituire né il suo incaricato d'affari
presso il re portoghese, né il suo console generale a Lisbona, entrambi
morti in carica nel 1817. Mentre viene ratificato il trattato di commer1
La tesi di dottorato di Carmine Cassino, in corso di realizzazione sotto la direzione del Prof. Sérgio Campos Matos all'Università di Lisbona, dovrebbe portare
una nuova luce su questa comunità poco studiata.
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cio del 1819, le Due Sicilie sono rappresentate in Portogallo unicamente da tre vice-consoli e la legazione napoletana nel paese rimane
vacante fino al 1827 (ANTT, MNE, AC, cx 503 et 241; Almanacco
della Real Casa e Corte, 1822-28).
Fino al 1828, il Portogallo non cerca più di sviluppare una politica
mediterranea. La perdita del Brasile priva la monarchia dei Braganza
dell'unico interesse che rappresenta per le potenze mediterranee e in
particolare per gli Stati italiani, che si affrettano di riconoscere il
nuovo impero con cui il Piemonte cerca subito di concludere un trattato commerciale (Rosselli, 1954, pp. 250-1; Nada (a cura di), 1970,
p. 189). Inoltre, durante tutta la decada, la posizione politica della
monarchia portoghese è particolarmente debole. Alla fine della rivoluzione liberale del Triénio vintista (1820-1823), il re Giovanni VI
promette di accordare una carta costituzionale, che l'imperatore brasiliano D. Pedro promulga quando eredita nel 1826 la corona portoghese, a cui abdica a favore della figlia D. Maria II. In un paese dilaniato dal conflitto or larvato or violento tra liberali e partigiani
dell'Antico Regime, chiamati miguelisti perché parteggiano per il
principe controrivoluzionario D. Miguel, questa politica innovatrice
del governo, in cui siedono alcune importanti personalità del liberalismo, suscita l'opposizione dei settori controrivoluzionari, che tentano
di rovesciare il re nel 1824. Davanti a questa minaccia, la monarchia
viene salvata dai suoi alleati internazionali ed in particolare dall'Inghilterra, che manda delle truppe nel 1826 in Portogallo per premunire il giovane regime costituzionale contro i sollevamenti miguelisti
(Temperley, 1925), prima che nel 1828, il colpo di stato di D. Miguel
riesca finalmente a rovesciare il re legittimo con le istituzioni rappresentative. In queste condizioni, la corona non ha la forza di sviluppare un'importante diplomazia mediterranea in chiave anti-britannica e
deve al contrario rafforzare i suoi legami con Londra. Inoltre, a parte
gli insorti greci, di un peso politico ed economico marginale, gli Stati
mediterranei, strettamente sorvegliato dalle grandi potenze conservatrici, adottano negli anni 1820 una linea politica molto retriva, affatto
opposta alla politica costituzionale della monarchia lusitana, sicché i
potenziali partner mediterranei di un Portogallo sprovvisto di importanti risorse commerciabili sono pochi. Eppure, se gli scambi mercantili con le Due Sicilie si esauriscono del tutto, come ne testimonia
l'incaricato d'affari lusitano a Napoli nel 1828 (ANTT, MNE, AC, cx
788, no 6), le reti dei mercanti genovesi con Lisbona, sviluppate nel
quadro dell'impero d'Antico Regime, sanno resistere in un modo sor129
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prendente alla nuova situazione. Continuano a dominare lo smercio
delle derrate brasiliane nel Mediterraneo e in Italia fino all'inizio degli anni 1830 e a rappresentare un peso importante nel commercio
estero portoghese fino agli anni 1840, nonostante l'accresciuta concorrenza dell'Inghilterra e lo sviluppo di un commercio diretto con il
Brasile. All'inizio degli anni 1830, la capitale portoghese continua ad
essere il primo esportatore di cottone e di cuoio a Genova, mentre
costituisce la terza destinazione delle esportazioni marittime dalla
Dominante (Niephaus, 1975, pp. 210-211).
L'internazionalismo liberale portoghese e il Mediterraneo durante
gli anni 1820
Come tutti i rivoluzionari europei della Restaurazione, i liberali
portoghesi nutrono dei forti sentimenti di solidarietà politica internazionale. Concepiscono la causa della nazione e della libertà in Europa come comune ai patrioti di tutti i paesi, che devono combattere
uno stesso nemico, l'ordine internazionale dispotico stabilito dalla
Santa Alleanza e dalle cinque grandi potenze al Congresso di Vienna,
a dispetto dei diritti dei popoli. Durante il periodo costituzionale del
Triénio vintista (1820-23), un quotidiano liberale di Lisbona, O Independente, illustra tale concezione della lotta liberale:
[poiché i re assoluti si sono associati pubblicamente e solennemente per distruggere la libertà delle nazioni, queste, dall'eterna legge della giusta difesa
e della resistenza naturale, devono unirsi ed associarsi tra di loro per respingere con la forza tutti gli attacchi brutali del dispotismo contro la libertà» (O
Independente, sup. al no 18, 14 dicembre 1821).
Nel 1820-21, con la simultaneità delle insurrezioni liberali in tutta
l'Europa meridionale, il Mediterraneo diventa uno spazio privilegiato
dell'espressione di questi sentimenti di solidarietà politica, dove si
traducono da un impegno propagandistico a favore delle sollevazioni
straniere, dall'organizzazione di reti cospirative internazionali che legano tra di loro i liberali dei vari focolai rivoluzionari, e dall'emergenza di un importante movimento di volontariato politico-militare
internazionale (Comellas, 1963, 398-409; Castells, 1988; Miller,
1990; Isabella, 2009; Pécout, 2008 e 2012). I liberali portoghesi partecipano a questa solidarietà politica mediterranea. In aprile del 1821,
il giovane aristocratico rivoluzionario Bernardo de Sá Nogueira cerca
ad esempio di organizzare una spedizione di volontari per contribuire
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con le armi alla difesa del regime costituzionale napoletano (Soriano,
1887-88, t. I, p. 55). Durante tutto il periodo parlamentare lusitano, le
referenze ai liberali spagnoli sono onnipresenti, l'interesse della
stampa periodica liberale per le rivoluzioni italiane e greca è forte, e
vari rivoluzionari di spicco prendono pubblicamente posizione a favore degli insorti ellenici, prima che il generale Figueira de Almeida
partecipi al volontariato internazionale a loro favore, dopo la caduta
della costituzione in Portogallo (Lima, 1939).
È in questo contesto che viene formulata una prima proposta di
riorientamento mediterraneo delle relazioni estere portoghesi, illustrazione della ricerca di un ordine internazionale adeguato alla nuova situazione del paese. Nell'ambiente molto anglofobo della rivoluzione
del 1820, essa si esprime in chiave anti-britannica in vari progetti di
alleanze liberali con la Spagna costituzionale. In effetti, i rivoluzionari
portoghesi attribuiscono il misero stato in cui si trova il loro paese,
ridotto ad una «colonia della sua colonia”, privato dei proventi del
commercio transatlantico e governato dal Brasile, alla politica imperialista di Londra, che ha imposto il disastroso trattato commerciale
del 1810, che favorisce la permanenza della corte oltre-oceano e i cui
ufficiali militari inquadrano l'esercito portoghese sin dal 1808. Di
conseguenza, il rovesciamento della monarchia assoluta viene interpretato come una riaffermazione dell'indipendenza nazionale contro la
Gran Bretagna. Ma benché i liberali sperino ancora di potere riprendere in mano l'impero e di effettuarne la rigenerazione, cominciano anche a prendere in considerazione la possibilità di una perdita definitiva dei loro domini americani, che farebbe del Portogallo europeo una
preda facile per Londra. Secondo alcuni come il giornalista emigrato
José Liberato Freire de Carvalho o il pubblicista e deputato Manuel
Borges Carneiro, l'emancipazione definitiva del Brasile impedirebbe
addirittura al Portogallo di mantenere più di una indipendenza nominale nella subordinazione all'Inghilterra, e ridurrebbe in realtà il paese
allo stato di mera colonia britannica. Per loro, se si avvererà la separazione delle due parti della monarchia, non rimarrà altra soluzione
che abbandonare volontariamente l'indipendenza nazionale e fondersi
nella Spagna costituzionale, che procurerebbe al Portogallo i benefici
della libertà costituzionale, del governo razionale e della garanzia dei
diritti, condizioni, pur in seno ad una nazione iberica, della rigenerazione portoghese che Londra cerca ad ogni modo di contrastare per
agevolare la sua dominazione sul suo alleato (O Campeão Português
em Inglaterra, no 22, 16 luglio 1820; Borges Carneiro, 1821). Se una
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soluzione così radicale non viene difesa dai più, la maggioranza dei
deputati liberali sono favorevoli ad un'alleanza politica, offensiva e
difensiva con l'altro Stato iberico, necessaria sia per liberare il Portogallo dalla tutela di Londra che per difendere in comune la causa della
libertà, minacciata dalle grandi potenze sin dal 1821, anche se gli attriti tra i due paesi e l'opposizione del ministro portoghese degli Affari
esteri, Silvestre Pinheiro Ferreira, risultano abbastanza forti perché
non si concluda nulla (Alexandre, 1993, pp. 740-41).
La proposta di alleanza con la Spagna rivela una percezione
dell'Inghilterra come nemico del Portogallo e membro della pentarchia
che, dal 1814, opprime i popoli europei con i suoi maneggi diplomatici. In queste condizioni, il Mediterraneo, verso il quale l'alleanza rivoluzionaria con la Spagna proietta il Portogallo, comincia ad essere considerato come lo spazio dove stringere alleanze destinate a combattere
le grandi potenze per rovesciare l'ordine di Vienna e fare scaturire la
rigenerazione del Portogallo da un ordine internazionale mutato. Durante gli anni 1820, si rafforza la funzione di crogiolo dell'internazionalismo liberale e anti-britannico attribuita al Mediterraneo da parte di
vari patrioti liberali portoghesi. I continui interventi dell'Inghilterra negli affari portoghesi vengono denunciati come anti-liberali da numerosi patrioti, esuli dopo il colpo di stato di D. Miguel del 1828, di cui accusano il ministero britannico. Come lo illustra un pamphlet pubblicato anonimo a Rennes nel 1830 da uno di loro, José Pinto Rebelo de
Carvalho, la presenza a Lisbona nel 1828 dell'ambasciatore inglese
William A'Court, già rappresentante britannico a Palermo nel 1814,
quando venne abolita la costituzione siciliana, e a Madrid al momento
della caduta del regime liberale nel 1823, accentua il sentimento di solidarietà dei liberali portoghesi con i rivoluzionari dell'Europa meridionale, tutti vittime dell'oppressione esercitata da Londra sul Mediterraneo. ([Carvalho], 1830). Il celebre opuscolo Portugal na balança da
Europa, pubblicato a Parigi poco dopo la Rivoluzione di Luglio del
1830 dal poeta e pubblicista Almeida Garrett, primo grande esponente
del romanticismo letterario in Portogallo, illustra l'accresciuta importanza anti-britannica del Mediterraneo per la nuova posizione del Portogallo nel mondo (Garrett, 1970). L'incipit dell'opera è famoso:
Siamo giunti ad una crisi dell'Europa, di tutto il mondo incivilito; -crisi
che si preparava da molti anni, che tanti sintomi annunciavano prossima; i
cui risultati disfaranno tutti i falsi e forzati equilibri politici antichi e ne stabiliranno dei nuovi e regolari (Ibid., p. 27).
132
________________________ Il Mediterraneo dei portoghesi all'inizio del XIX secolo
Scopo del libro è di indagare quale deve e può essere il posto del
Portogallo in questo nuovo ordine internazionale, che emerge poco a
poco dal trionfo della civilizzazione sul dispotismo. Secondo uno
schema caratteristico del liberalismo europeo della Restaurazione,
Garrett considera che i progressi dell'incivilimento spingono i popoli
a reclamare i loro diritti e a fare causa comune per promuovere l'ideale di libertà, rovesciare l’opera del Congresso di Vienna e rifondare
l'Europa su delle basi sane e «regolari”. La Rivoluzione francese, ispirata all'esempio statunitense, ha avviato il risorgere della libertà in Europa, ma l'ha fatto nel sangue e nell'anarchia terrorista, preludio alla
dittatura napoleonica e al trionfo della reazione nel 1814. Quindi spettava al Mediterraneo indicare con le rivoluzioni del 1820 la via giusta
alla rigenerazione europea e al trionfo della civilizzazione:
In verità, sembrava che sotto il bello e dolce clima del Mezzogiorno doveva nascere questo sistema indulgente, generoso e tollerante, che […] scendeva come un angelo conciliatore in mezzo agli uomini per […] unirli tutti
nell'obiettivo della comune felicità. Che prospettiva per la razza umana!
Quante speranze! Libertà senza sangue, uguaglianza senza attriti, religione
senza fanatismo, monarchia senza dispotismo, nobiltà senza oligarchia, governo popolare senza demagoghi! Il Portogallo seguì la Spagna. In poco
tempo la penisola italiana accorse all'appello della libertà meridionale.
Dall'opposta sponda gli rispose la Grecia» (ibid., pp. 68-9).
Questo «sistema della libertà meridionale» presenta però un punto
debole: effettuato dall'esercito, il rovesciamento della tirannia ha rivestito un carattere meramente militare, senza che i rivoluzionari
cercassero di ottenere l'appoggio del popolo, lasciato a disposizione
della controrivoluzione (ibid., pp. 69-72). Esso è un errore che non è
stato commesso dal Luglio francese del 1830, che l'autore erige come
esempio per gli altri popoli. Con le Trois Glorieuses, la Francia,
«cuore della civilizzazione» (ibid., p. 192), riprende la testa della rivoluzione in Europa e questa volta, ammaestrata dall'esempio del
1820, non smarrirà nell'anarchia e porterà il movimento al suo termine. Per l'incivilimento: è il «Waterloo dei popoli» che permette la
formazione della «Santa Alleanza dei popoli”, destinata a rovesciare
una volta per tutte le potenze reazionarie:
Il Waterloo dei popoli fu vinto, e la Santa Alleanza dei popoli sta per
formarsi sul campo della vittoria; così come l'empia lega degli oligarchi fu
giurata nelle pianure del Belgio, così la santissima lega delle nazioni fu giurata sulle mura di Parigi. La bandiera tricolore sventola nuovamente nel cen-
133
Grégoire Bron _______________________________________________________
tro dell'Europa e chiama attorno a sé gli oppressi perché si uniscano contro
gli oppressori (ibid., p. 192).
Prime chiamate a rispondere all'appello della Francia e a beneficiare delle ricadute della rivoluzione del 1830 sono, secondo Garrett, le
nazioni del Mezzogiorno dell'Europa. Le insurrezioni del 1820 hanno
dimostrato che erano pronte a risorgere e grazie alla lezione francese,
sanno ormai che la rivoluzione non può vincere senza il concorso del
popolo -che però non viene confuso colle «masse inerti e non pensanti» (ibid., p. 119). Capeggiata dalla Francia, la loro rigenerazione nella
libertà deve fare del Mediterraneo il centro di irradiazione della civiltà
in Europa, grazie all'appoggio paradossale della politica estera dello
zar. Per l'autore, l'intervento russo a favore dei Greci insorti sancisce
la relegazione dei Turchi fuori dal Mediterraneo, ciò che rappresenta
un triplo progresso per il comune incivilimento: segna l'inizio della
fine del dispotismo barbarico del Sultano e il risorgimento della nazione greca, madre della civiltà europea; permette l'espansione del
cristianesimo a danno dell'islam e riapre la rotta commerciale mediterranea dell'Asia. Quest'ultimo punto è ovviamente essenziale, perché costituisce l'arma più sicura contro la supremazia commerciale
dell'Inghilterra, nemica della libertà: con la diminuzione della sua potenza economica, «[…] la causa dell'umanità […] guadagna, e guadagna considerabilmente, straordinariamente» (Ibid., p. 184).
Solo da un Mediterraneo così rigenerato il Portogallo potrà trarre
le forze per resistere all'Inghilterra e mantenere un posto a parte intera
nella lega delle nazioni. In effetti, come i suoi predecessori del 1820,
Garrett dubita della capacità di una monarchia lusitana privata del
Brasile di mantenere una vera e propria indipendenza sotto la pressione di Londra. Non si scoraggia però: l'appoggio degli altri popoli mediterranei sotto direzione francese può permettere al Portogallo di tenere testa a Londra. Ma come Freire de Carvalho e Borges Carneiro,
considera che se ciò non bastasse, sarebbe più auspicabile per il Portogallo abdicare alla sua indipendenza e fondersi in una nazione iberica con la Spagna nel quadro di un Mediterraneo rigenerato, piuttosto
che vegetare in una semi-indipendenza sotto la tutela dell'Inghilterra.
Con i progetti mediterraneisti anti-britannici sin qui presi in considerazione, i liberali portoghesi testimoniano di una volontà di rompere la tradizionale alleanza luso-britannica, cardine della politica
estera portoghese da più di un secolo, per aderire risolutamente ad
una lega delle nazioni capeggiata dalla Francia e centrata sul Medi134
________________________ Il Mediterraneo dei portoghesi all'inizio del XIX secolo
terraneo. Ma per altri liberali lusitani, nel contesto politico europeo
della Restaurazione, l'alleanza con l'Inghilterra rappresenta invece il
più grande vantaggio per introdurre un sistema parlamentare e costituzionale in Portogallo. La sua posizione di forza nella monarchia lusitana la colloca fuori portata dagli eserciti della Santa Alleanza e
inoltre, grande potenza parlamentare, non si oppone per principio alle
istituzioni rappresentative, contrariamente alla rappresentazione caricaturale dei suoi interventi nella politica lusitana veicolata dai suoi
avversari. Per ciò, importanti settori del liberalismo portoghese rimangono fedele alla politica estera tradizionale della monarchia e difendono il mantenimento dell'alleanza con Londra. Inoltre, benché
risentiti della dipendenza del Portogallo dal suo alleato, pensano
spesso che lo sviluppo dei legami con l'Inghilterra permetterà di diffondere la civilizzazione in questa monarchia che giudicano arretrata,
come tutti gli uomini colti del loro tempo (Palmela, 1826). Ciò non
significa però che non cerchino di controbilanciare la preponderanza
britannica, come si praticava durante il Settecento, né che dispregino
la solidarietà politica internazionale. E anche per questi liberali filobritannici, il Mediterraneo costituisce uno spazio in cui stringere alleanze ideologiche, anche se non li portano obbligatoriamente a rompere l'alleanza con l'Inghilterra.
Un esempio di questo approccio al Mediterraneo viene fornito dal
ministro degli Affari esteri durante il Triénio vintista, l'intellettuale
Silvestre Pinheiro Ferreira. Convinto che l'unica possibilità di sopravvivenza per il regime costituzionale portoghese risiede nella protezione dell'Inghilterra contro la Santa Alleanza, si impegna a dissociare la sorte del Portogallo da quella della Spagna, si oppone al progetto di alleanza rivoluzionaria iberica e cerca di ottenere da Londra
la garanzia della difesa della costituzione contro i suoi nemici esterni.
Con successo, poiché al Congresso di Verona, il governo di Canning
annuisce alla spedizione delle truppe francesi delegate dalle grandi
potenze per restaurare il trono assoluto del re di Spagna, a patto che
non entrino in Portogallo (Alexandre, 1993, pp. 743-751).
Eppure, il ministro portoghese cerca anche lui di sviluppare una
politica mediterranea fondata sulla solidarietà liberale internazionale,
come lo dimostra la sua proposta di alleanza con la Grecia, formulata
all'estate del 1822. Cogliendo l'occasione dell'arrivo a Lisbona di un
sedicente inviato del governo ellenico, l’avventuriero Nicola Chiefala, in realtà sprovvisto di incarico ufficiale, Silvestre Pinheiro Ferreira tenta di stabilire delle relazioni con gli insorti greci. Le lettere che
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Grégoire Bron _______________________________________________________
scrive al principe Mavrocordato e al metropolita Ignazio per proporre
loro la conclusione di un trattato di alleanza politica, e le istruzioni
segrete che redige per il suo amico Luís Francisco Risso, segretario
di legazione a Roma incaricato di negoziare l'alleanza con il governo
di Napoli di Romania, testimoniano dell'importanza attribuita allo
spazio mediterraneo rigenerato dalla libertà nel processo di emergenza di un nuovo ordine internazionale in cui il Portogallo è destinato a
collocarsi, all'epoca in cui il Brasile si emancipa dalla tutela di Lisbona (ANTT, MNE, Liv. 175).
Secondo il ministro portoghese, che si dichiara erede della cultura
classica greca, l'insurrezione ellenica contro il «dispotismo musulmano» incide profondamente sul futuro di tutto il continente e, nel
contesto rivoluzionario del 1820, concorre al risorgimento di tutto il
Mezzogiorno d'Europa:
«Il grido di libertà e d'indipendenza si è fatto sentire allo stesso tempo, e
grazie ad una catena non interrotta, la fiamma elettrica attraversò istantaneamente tutta la parte meridionale fino al punto più occidentale dell'Europa.
La causa per la cui difesa la Grecia si è alzata è anche la nostra stessa causa.
Gli sforzi per farla trionfare devono essere comuni a tutti i popoli che, come
lei, si sono costituiti in nazioni con la loro propria energia» (Ibid.).
L'unità della causa spinge Pinheiro Ferreira a escogitare un
progetto di unione politica con la Grecia, sotto la forma di una federazione destinata ad allargarsi alla Spagna. In poco tempo, l'esempio
di questa lega mediterranea «farà tremare i troni del dispotismo tanto
dei pregiudizi che degli uomini su tutta la superficie della terra»
(ibid.); costituisce un preannuncio del superamento dell'ordine europeo stabilito al Congresso di Vienna:
«Uniamoci e saremo abbastanza forti per resistere alle minacce di quelli
che pretendono arrogarsi il diritto di governare tutte le nazioni dell'Universo.
Nel loro accecamento, non hanno riflettuto quanto era pericoloso per loro impiegare i popoli per fare la guerra alle nazioni! che questi popoli sanno che
possono diventare nazioni e che lo strumento impiegato dai nostri nemici contro la nostra indipendenza si frantumerà da se stesso tra le loro mani» (Ibid.).
Di conseguenza, l'unione delle potenze meridionali proposto al
governo greco dal ministro portoghese viene concepita come la prima tappa verso la «Grande Federazione dei popoli liberi», tramite la
quale spera che «l'albero dell'indipendenza delle nazioni prenderà
l'importanza a cui è destinato dalla Provvidenza, e di cui il primo ef136
________________________ Il Mediterraneo dei portoghesi all'inizio del XIX secolo
fetto sarà l'annientamento della tirannide delle opinioni e degli uomini, principale sorgente di tutte le calamità dell'universo». Dovranno
in seguito aderirvi anche le repubbliche americane e gli Stati Uniti, a
cui Pinheiro Ferreira pensa di chiedere di accogliere il parlamento
comune delle libere nazioni federate (Ibid.).
Lo stato attuale della documentazione non permette di sapere con
esattezza se la federazione dei popoli liberi costituita a partire dall'unione delle nazioni costituzionali mediterranee consiste realmente, da
parte di Silvestre Pinheiro Ferreira, in un tentativo di sconvolgere
l'ordine internazionale o piuttosto, e più modestamente, in una manovra politica del ministro portoghese destinata a fare pressione sull'Inghilterra per costringerla a garantire il regime del Triénio vintista
contro possibili attacchi dall'estero, minacciando di rompere l'alleanza tradizionale con Londra. In ogni caso, dimostra che il Mediterraneo rappresenta per i liberali lusitani uno spazio a cui mirano per diminuire la dipendenza del Portogallo dalla Gran Bretagna, che si tratti semplicemente di cercare dei contrappesi ad una alleanza sempre
più imperiosa a cui rimangono fedeli, o che si tratti di organizzare un
sistema alternativo di relazioni internazionali, suscettibile di sostituirsi al legame privilegiato con l'Inghilterra.
Oscillante tra queste due posizioni in funzione del livello di ostilità alla Gran Bretagna, determinato, più che da considerazioni ideologiche, dall'atteggiamento politico di Londra nei confronti del Portogallo e dalla percezione che se ne fanno i patrioti lusitani, la loro attenzione un internazionalismo mediterraneo destinato a resistere
all'Inghilterra non viene meno durante tutta la decada del 1820 e
riappare nel contesto della guerra civile del 1832-34 tra liberali e miguelisti, che sembrano anch'essi interessarsi al Mediterraneo.
Lo snodo della crisi politica portoghese e il Mediterraneo, 1828-1835
Effettuato contro le istituzioni costituzionali ottriate dal re legittimo, il colpo di stato di D. Miguel taglia il Portogallo da ogni contatto diplomatico con le altre potenze europee che, coerentemente con
la legalità internazionale, richiamano i loro rappresentanti dalla corte
del re usurpatore, nonostante la simpatia che suscita non solo nelle
monarchie assolutiste, ma anche nel governo britannico del duca di
Wellington. Mentre i diplomatici portoghesi rompono ogni legame
con il governo anticostituzionale di Lisbona e costituiscono una reggenza liberale in esilio presieduta dal marchese di Palmela, che rap137
Grégoire Bron _______________________________________________________
presenta allo stesso tempo il liberalismo e il re legittimo, i gabinetti
di tutta Europa si dichiarano neutrali nella contesa lusitana, la cui gestione viene affidata, dal punto di vista delle relazioni internazionali,
alla Gran Bretagna, potenza di tutela del Portogallo.
Di conseguenza, il governo liberale portoghese in esilio abbandona ogni velleità mediterranea e si sforza di ottenere l'appoggio
dell'Inghilterra, ciò che suscita una viva opposizione da parte di quelli che accusano l'alleato tradizionale di aver favorito il colpo di stato
reazionario (Bonifácio, 2004). Le condizioni dell'emigrazione accentuano le divisione del liberalismo portoghese e la virulenza dell'ostilità a Palmela e al suo governo, accusati di vendersi a Londra e di tradire la causa costituzionale. Benché la reggenza riesca a organizzare,
con un discreto sostegno dei whigs inglesi, al potere a partire dal
1830, una spedizione militare comandata da D. Pedro che salpa dai
porti francesi e britannici nel 1832 e porta la guerra civile in Portogallo, una parte significativa dell'emigrazione liberale lusitana reclama l'abbandono delle trattative diplomatiche con Londra e, dopo la
rivoluzione di Luglio, una crociata rivoluzionaria capeggiata da Parigi che deve portare la libertà a tutto il mondo, ma in particolare
all'Europa meridionale. Portogallo, Spagna e Italia devono unire le
loro forze a quelle della Francia nella lotta comune contro il dispotismo delle «potenze del Nord» (O Palinuro, 7 agosto 1830; O Português constitucional em Londres, no 2 e 4, 3 e 17 aprile 1832).
Come la reggenza di Palmela, il governo miguelista si sforza anch'egli di ottenere il riconoscimento diplomatico di Londra, che determinerebbe quello delle altre grandi potenze e di tutta Europa Ma il
governo di D. Miguel rifiuta di concedere l'amnistia politica richiesta
dal ministero britannico per procedere allo scambio di diplomati, e
sviluppa ugualmente una diplomazia ideologica, in cui sembra possibile scorgere un orientamento propriamente mediterraneo, anch'esso
determinato da considerazioni anti-britanniche.
Nel 1829 il visconte di Santarém, ministro degli affari esteri del
governo controrivoluzionario, ottiene un primo successo con il ristabilimento delle relazioni con Madrid, dove Ferdinando VII condivide
l'ideale politico reazionario di suo nipote D. Miguel. Ma l'obiettivo
principale della politica estera miguelista consiste nell'ottenere il riconoscimento del papa, che nel 1831 accetta di ricevere l'ambasciatore
di D. Miguel e di rinnovare le credenziali del nunzio a Lisbona
(Brasão, 1972; Lousada e Ferreira, 2006). Illustrazione dell'importanza del cattolicesimo ultramontano nell'ideologia reazionaria che carat138
________________________ Il Mediterraneo dei portoghesi all'inizio del XIX secolo
terizza il governo portoghese, la ripresa delle relazioni diplomatiche
con Roma costituisce d'altronde un argomento utilizzato dagli agenti
dell'assolutismo portoghese presso le corti cattoliche per ottenerne il
ristabilimento delle relazioni, insistendo sulla comunità confessionale
e anti-liberale che li accomuna. Le corti di Torino e di Napoli costituiscono da questo punto di vista un obiettivo privilegiato. I rappresentanti di D. Miguel vi insistono sulla necessità di unire le forze delle
potenze cattoliche per combattere i progressi del liberalismo in Europa. Focalizzano l'attenzione dei loro interlocutori sul pericolo che
rappresenterebbe per la penisola italiana l'introduzione di un regime
parlamentare in Portogallo, da cui il liberalismo non mancherebbe di
dilagare in Spagna e in Italia, rovesciando i troni legittimi (ANTT,
MNE, cx 788 e 877; AST, Mat. pol. est., lett. mini. est., Portogallo).
Benché più ampie ricerche dovrebbero confermarlo, l'offensiva
diplomatica miguelista presso le corti italiane sembra illustrare la
permanenza di un Mediterraneo considerato come spazio a cui rivolgersi per resistere all'Inghilterra, destinato a sfociare in un progetto di
alleanza cattolica e controrivoluzionaria delle monarchie meridionali
di seconda importanza. E tale alleanza sembra, come nei progetti liberali, costituire una risposta alla dominazione delle grandi potenze
europee sugli affari politici del continente. Il loro atteggiamento nella
questione portoghese dimostra ai sovrani di diritto divino che il concerto europeo non costituisce uno strumento ideologico al servizio
del mantenimento delle istituzioni della monarchia assoluta, ma un
organo di preservazione della pace: le grandi potenze conservatrici,
soprattutto la cattolica Austria di Metternich, abbandonano il Portogallo all'Inghilterra, impediscono ai Stati conservatori loro clienti di
riconoscere il re portoghese bandito dalle potenze europee e lasciano
che Londra tolleri l'introduzione di istituzioni liberali nella monarchia lusitana. La diplomazia miguelista presso le corti italiane sembra per ciò intenta ad infrangere, con il sostegno del papa, il dominio
delle grandi potenze sulle relazioni internazionali.
Le monarchie assolute cattoliche d'Europa meridionale sono sensibili a questi appelli, particolarmente dopo che la Rivoluzione di
Luglio ha affievolito il campo conservatore all'interno del concerto
europeo. Mentre la Spagna aveva già ostacolato le decisioni adottate
dai cinque grandi riconoscendo la legittimità di D. Miguel nel 1829, i
re italiani, dopo la caduta di Carlo X a Parigi, cominciano a rimettere
in causa la loro subordinazione diplomatica e politica in un ordine
internazionale che si rivela incapace di garantire le loro istituzioni, e
139
Grégoire Bron _______________________________________________________
a tessere importanti relazioni internazionali sotto la bandiera della
controrivoluzione, che si sviluppano in particolare nello spazio mediterraneo. Per lo meno, è ciò che lascia supporre la giustificazione del
caldo sostegno del Piemonte alle controrivoluzioni iberiche a partire
dalla fine della guerra civile portoghese, formulata dall'ambasciatore
sardo a Madrid nel 1835, Solaro della Margherita, poco prima la sua
nomina al ministero degli Affari esteri:
«[…] il nostro sovrano, giustamente geloso dell'indipendenza di cui deve godere un principe che non rileva da nessuno fuorché da Dio e da se stesso, cura
ugualmente che lo spirito di disordine e di rivoluzione del nostro secolo non
sbiadisca lo splendore della sua corona, e che le potenze straniere, che considerano sempre la nostra alleanza molto importante nei casi di crisi, ci trattino nel
frattempo con il riguardo che ci è dovuto, senza permettere loro di immischiarsi nei nostri affari, né di imporci il partito che dobbiamo seguire nelle differenti
questioni che si presentano in Europa» (cit. in Bianchi, 1867, pp. 330-1).
Ulteriori ricerche dovranno interrogare l'esistenza di un consistente
progetto politico internazionale d'unione delle forze cattoliche e controrivoluzionarie meridionali, destinata ad alzare un argine contro il
dilagare del liberalismo e a fare del Mediterraneo una fortezza antiliberale centrata su Roma. Comunque, le simpatie reazionarie delle
corti italiane, dove i miguelisti si rifugiano dopo la vittoria liberale in
Portogallo nel 1834, e il massiccio appoggio della monarchia piemontese ai partigiani del principe decaduto che, dalle coste liguri, tentano
di rovesciare il giovane regime liberale, determinano il nuovo governo
di Lisbona a mandare una nave di guerra davanti il porto di Genova
all'autunno del 1834, una seconda alcuni mesi più tardi, e finalmente a
tagliare le relazioni consolari all'estate del 1835. Ma benché la piccola
squadra portoghese sia anche incaricata di fare vela verso il Levante,
«perché la nostra bandiera, dopo tanti anni, apparisca nei porti più remoti del Mediterraneo» (ANTT, MNE, Liv. 629); benché sembri per
ciò consistere in un tentativo di recare ad effetto i progetti liberali che
associano il Mediterraneo a uno spazio da cui trarre le risorse per resistere all'Inghilterra ad un momento di dipendenza quasi totale da Londra, il fragile regime liberale portoghese non può sperare di sviluppare
una politica mediterranea indipendente.
Dopo un anno di alta tensione tra il Piemonte e il Portogallo, l'Inghilterra interviene a Lisbona e Vienna a Torino per costringere i loro
clienti rispettivi a retrocedere e a smettere le loro dimostrazioni d'ostilità reciproca (Rosselli, 1954, pp. 622-642; Lousada e Ferreira, 2006).
140
________________________ Il Mediterraneo dei portoghesi all'inizio del XIX secolo
Conclusioni provvisorie
Dal 1808 al 1830, durante tutto il periodo di profondo mutamento
territoriale della monarchia lusitana provocato dalla perdita del Brasile, e durante tutto il processo correlativo di ridimensionamento dello Stato lusitano che, in un ordine europeo che limita la sovranità delle piccole potenze in materia diplomatica, passa ad una posizione di
cliente dell'Inghilterra, la geografia politica lusitana considera il Mediterraneo come un serbatoio di possibili contatti politici grazie ai
quali il Portogallo potrà affermare la sua indipendenza politica ed
economica nei confronti di Londra, o addirittura come uno spazio in
cui fondare, rovesciando l'opera del Congresso di Vienna, un nuovo
ordine internazionale, sia sulla solidarietà di nazioni libere e costituzionali, sia, possibilmente, sulla solidarietà cattolica e controrivoluzionarie di monarchie assolute.
Dopo lo snodo, nella prima metà degli anni 1830, del confronto
politico portoghese tra liberali e controrivoluzionari, sembra che la
tentazione mediterranea del Portogallo diminuisca d'intensità e sparisca, anche se la scarsezza degli studi a questo proposito non autorizza nessuna conclusione definitiva. Se la monarchia portoghese conclude rapidamente un'alleanza con la Spagna costituzionale, essa viene patrocinata dalla Gran Bretagna e dalla Francia e non riveste nessun carattere propriamente mediterraneo. Gli Stati italiani non riconoscono il governo liberale portoghese fino al 1842, e dopo questa
data, mentre gli scambi commerciali tra Genova e il Portogallo diventano affatto aneddotici, il riallaccio delle relazioni diplomatiche
non provoca nessun impegno globalmente mediterraneo da parte di
Lisbona: la diplomazia mediterranea del Portogallo si limita essenzialmente alle relazioni con il papa. A partire dagli anni 1830, per
emanciparsi dalla tutela britannica, il Portogallo, rivolgendosi di
nuovo all'Atlantico per fondarvi un impero coloniale africano (Alexandre, 1998), sembra girare le spalle al Mediterraneo.
Queste ipotesi che bisognerà confermare suggeriscono che il contesto della guerra civile portoghese dell'inizio degli anni 1830 procuri
l'ultima occorrenza di una rotta politica forgiata nella geografia
dell'impero lusitano d'Antico Regime. Di conseguenza, un approccio
più propriamente transnazionale dovrebbe ormai chiedersi se la guerra civile portoghese non testimoni della disgregazione definitiva dello spazio imperiale portoghese dell'epoca moderna, nel Mediterraneo
come nell'Atlantico (Paquette, 2013).
141
Grégoire Bron _______________________________________________________
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Grégoire Bron - Universitá della Calabria