1 Mariano Fresta La penna dei padroni e la condizione mezzadrile. 1902-1913: note su alcuni intellettuali di provincia nella Val di Chiana in fermento. 1. La controffensiva padronale agli scioperi mezzadrili del 1902 di Chianciano, Chiusi e Sarteano, che, come si sa, costituiscono la prima affermazione del movimento organizzato dei coloni toscani, si tradusse in una riconferma di quelle linee di politica agraria sulle quali i liberali moderati del primo '800 avevano fondato la loro egemonia1. All'inizio del secolo XX, però, la situazione delle campagne si era modificata, soprattutto per la presenza di organizzazioni sindacali, come le Leghe, e per i primi tentativi dei mezzadri di uscire dalla loro storica subalternità; pertanto, la risposta dei possidenti, formulata in termini che riprendevano l'impostazione data alla questione dai moderati ottocenteschi, si mostrava assai debole di fronte all'avanzare di nuove forme di presenza sociale dei contadini. Tuttavia essa, agli intellettuali di provincia, ancora legati alla ideologia «campagnuola», sembrava essere l'unica risposta possibile alla crisi a cui andava incontro il sistema mezzadrile sotto l'urto delle agitazioni contadine. Lo sciopero, infatti, ancorché avesse fatto conseguire ai coloni successi economici «limitati e parziali»,2 aveva tuttavia messo in discussione certi usi che consentivano ai proprietari e ai fattori di agire spesso arbitrariamente nei confronti dei loro contadini; era necessario, quindi, ristabilire l'antica supremazia padronale, rafforzando, tra i proprietari, la convinzione che il sistema mezzadrile non solo era ancora in grado di reggere la concorrenza dei mercati nazionali e internazionali, ma era anche una valida garanzia per l'ordine e la pace sociali. Per questa ragione si cercava di combattere le idee socialiste che, lentamente ma progressivamente, penetravano nelle campagne e davano ai mezzadri i primi strumenti per la loro lotta di emancipazione. Il modo con il quale in Val di Chiana la classe padronale reagì agli scioperi del 1902 ci viene illustrato da tre volumi pubblicati tra il 1902 e il 1913 dal cavaliere Lando Magini, direttore della «Vedetta senese», organo degli agrari, dal conte Giovan Angelo Bastogi, proprietario terriero, e dal parroco di S. Quirico Arcidiacono Pietro Martinelli3. Dei primi due faremo qui una rapida analisi, mentre ci soffermeremo più a lungo sul terzo, perché presenta una maggiore complessità ideologica. 2. Il Magini si preoccupa soprattutto di riferire come avvennero gli scioperi, cercando di dimostrare l'assoluta arbitrarietà e illegittimità delle agitazioni mezzadrili, e fornendo al tempo stesso una serie di documenti riguardanti le Leghe, i loro statuti e programmi, le prese di posizioni ufficiali delle Leghe e dei proprietari, le trattative, gli interventi dei funzionari governativi4. Gli avvenimenti sono seguiti giorno per giorno, dalla prima richiesta avanzata dalla Lega di Chianciano fino alla sconfitta dei mezzadri di Sarteano e alla sentenza finale del 1 Cfr. U. Carpi, Letteratura e società nella Toscana del Risorgimento, Dedalo, Bari 1974. 2 G. Giorgetti, Contadini e proprietari nell'Italia moderna, Einaudi,Torino 1974, p. 424. Sugli scioperi del 1902 cfr. anche E. Ragionieri, La questione delle Leghe e i primi scioperi dei mezzadri in Toscana, in «Movimento Operaio », n. 3-4, 1955. 3 L. Magini, Gli scioperi dei mezzadri nel circondario di Montepulciano. Appunti e documenti, Nuova Tipografia, Siena 1902; G. A. Bastogi, Una scritta colonica, Tip. Ricci, Firenze 1903; P. Martinelli, Il più bel regalo da farsi ai coloni dai loro padroni, Tip. Turbanti, Montalcino (Siena), 1913. 4 In quel periodo a Montepulciano c’era un ufficio di Sottoprefettura. 2 Tribunale di Montepulciano, che condannava alcuni coloni che avevano partecipato agli scioperi. Non mancano accuse rivolte al ministro Giolitti, colpevole, agli occhi del Magini, di lasciare mano libera ai socialisti e di incitare operai e contadini agli «antagonismi di classe». L'impegno maggiore del Magini sta, comunque, nell'indicare ai proprietari regole tattiche e strategiche, che permettessero loro di prevenire o affrontare le agitazioni proletarie; in questo senso il comportamento della classe padronale di Sarteano, che seppe s le contraddizioni e le debolezze delle agitazioni mezzadrili, alle quali non giovò nemmeno il pronto intervento dell'onorevole Bissolati, diviene, per il direttore della «Vedetta senese», estremamente esemplare. Ma, tra i documenti e la cronistoria, fatta quasi a caldo degli avvenimenti, emergono anche alcuni giudizi sulla mezzadria, e sul socialismo, che ci sembra opportuno sottolineare. Innanzitutto l’immagine che il Magini ha della mezzadria non si discosta da quella tradizionale che il Capponi e il Lambruschini avevano già delineato circa sessant'anni prima: il sistema mezzadrile rappresenta per lui [ ...] l'ideale connubio del lavoro col capitale, perché il contadino è socio del proprietario in assoluta uguaglianza di dignità nella ricerca dei mezzi più idonei allo sfruttamento dell'azienda; di diritto nella divisione dei prodotti, tutti quanti affidati alla custodia e alla buona fede del lavoratore.5 È anche vero, osserva poi, che non sempre l'istituto mezzadrile si presenta come un patto equilibrato e giusto, in quanto «da qualche proprietario, mediante la libertà contrattuale, la bilancia del profitto è stata fatta pendere dal lato del capitale»; ma si tratta solo di «un'eccezione malaugurata » che conferma la [ ... ] regola onesta e ideale del sistema, da cui esce per il contadino una posizione economica, superiore, almeno nel senso della sicurezza, di quella d'ogni artigiano libero e d'ogni lavoratore salariato, anzi, [ ... ] il contadino, per dirla alla francese, è un proprietario in marcia, come moltissimi degli odierni proprietari, piccoli e grandi, scendono dai lombi, robusti se non magnanimi, di campagnuoli autentici6. Secondo, dunque, l'ottica del Magini, le condizioni di vita dei mezzadri e i rapporti mezzadrili costituivano se non proprio uno stato di felicità e di benessere, almeno un modo di vivere sereno e senza sacrifici. Quest'immagine altamente positiva che il Magini ci dà della mezzadria serve a rafforzare, da un lato, presso i proprietari e soprattutto presso l'opinione pubblica nazionale, la convinzione che l'istituto mezzadrile toscano fosse il miglior modo di conduzione delle aziende agrarie; dall'altro, a screditare gli scioperi del 1902, non riconoscendo ad essi nessuna giustificazione economica e sociale, e facendo apparire quelle prime agitazioni sindacali come il frutto di una strumentalizzazione della ingenuità e della credulità dei coloni da parte di mestatori e di astuti agitatori. Stante, infatti, l'armonia dell'«ideale connubio del lavoro col capitale», gli scioperi non potevano avere avuto origine da un «disagio economico» e dal «malcontento», che non avevano ragione di esistere, ma da fattori estranei alla mentalità, al senso di rispetto verso i padroni e alla serena vita dei coloni: Il contadino ha fatto questa volta né più né meno del cane d'Esopo che traversava il fiume con la carne in 5 Magini, cit. p. 5 6 Ivi, p. 7 3 bocca; la parte dello specchio dell'acqua l'ha rappresentata il partito socialista. Nonostante la assodata riputazione di furberia, il contadino ha avuto sempre un debole per i ciarlatani di piazza. Esso perde mezza giornata ad ascoltare il Dulcamara che vanta i portenti dello specifico, prima di decidersi a mettere la mano in tasca; ma è difficile che non ci caschi. S'immagini se non s'è lasciato volentieri convincere dai protagonisti del socialismo che, facendogli pagare appena qualche soldino, gli hanno regalato di primo acchito il podere... del padrone. Nei villaggi, nei piazzali delle parrocchie, negl'incroci delle strade provinciali e comunali, presso le stazioni ferroviarie, dovunque insomma c'è la possibilità di raccogliere un centinaio di contadini, s'è rizzata cattedra di dottrine collettiviste, indigeste spesso a chi le bandisce, ma sempre intese da chi le ascolta come un invito all'odio, non contro la proprietà ch'è una cosa astratta, ma contro i proprietari che sono gente di carne ed ossa7. Già in queste prime pagine appare l'intenzione del Magini di separare i facinorosi e i propagandisti di «dottrine collettiviste» dai contadini, secondo lui incapaci, per naturale mitezza d'animo, di nutrire pensieri «irrispettosi» nei confronti dei possidenti. Tale intenzione risulta più evidente nelle pagine riguardanti la cronaca dello sciopero di Sarteano: I fanatici, piantati sulla porta della sede, ostentavano di farsi vedere allegri e schiamazzanti dai proprietari che passeggiavano tranquillamente per le strade, senza che giungesse al loro orecchio una parola sola di dileggio o di minaccia. La grande mitezza delle nostre popolazioni si affermava nobilmente anche in quell'ora e mai si smentì in seguito8 Un atteggiamento del genere ci segnala l'incapacità del Magini di capire la portata degli avvenimenti di cui fu testimone e il contrasto, insanabile, tra la sua ideologia e quella socialista, a cui i contadini si avvicinavano. Esemplari in questo senso sono i suoi commenti ad un articolo di cronaca sullo sciopero di Chianciano, apparso sul foglio socialista di Colle Val d'Elsa, «La Martinella»: mentre il giornale ci presenta con orgoglio la forte combattività, la volontà di andare fino in fondo ed anche una certa aria di festa paesana contadini in sciopero, il Magini ritiene pure e semplici aberrazioni quelle nuove forme di presenza sociale dei mezzadri, quale la manifestazione in piazza con i «bianchi bovi», i maiali e le pecore infiocchettate di rosso9. Quando poi «La Martinella » riferisce che i mezzadri si rifiutano di portare le bestie in stalla, per governarle, prima che si scrivessero e firmassero i verbali dell'accordo raggiunto, il Magini non può fare a meno di esclamare sdegnato: « L'articolo 154 de' Codice Penale a Chianciano era abolito fino dalla mattina!». A lui, uomo d'ordine, rimane inconcepibile che si possa disubbidire alla legge; allo stesso modo gli sono incomprensibili il nuovo senso della solidarietà che si sviluppa tra i mezzadri: Fu svegliato il sentimento della solidarietà con la previsione dei danni, cui sarebbero andati incontro il capolega ed i più attivi suoi aiutanti, quando nel meglio fossero lasciati soli;10 e la ferrea disciplina a cui le organizzazioni socialiste legano i mezzadri per la riuscita degli scioperi: Anch'io fui presente ad un dialogo fra proprietario e contadino che si svolse così come lo 7 Ibidem. 8 Ivi, p. 45. 9 Ivi, pp.20-21. 10 Ivi, pp. 43-44. 4 riferisco: Proprietario — Perché non pensate più alle faccende del podere? Contadino — Perché è proibito dalla Lega. Proprietario — Ma il tuo padrone sono io che ti ho dato il podere e che ti governo, quando non ti basta il grano, o la Lega? Contadino — Il mio padrone è lei, e lo rispetto; ma oggi il mio padrone è la Lega e io devo mantenere il mio giuramento...11 Tutti questi nuovi comportamenti dei mezzadri, ispirati dall'ideologia socialista, sono fenomeni che non possono rientrare negli schemi logici del Magini. La contrapposizione, quindi, tra le due ideologie, quella padronale ancorata al sistema semifeudale della mezzadria e quella socialista, è netta. Così l'opuscolo del Magini, essendo il «documento» di questo contrasto, ci dà il segno di una grande tensione sociale e ci testimonia la nascita di una nuova «ideologia» contadina, che egli non riesce a banalizzare e a ridurre a fatto di poca importanza, dimostrando in tal modo che le ideologie «campagnuole» avevano ormai il fiato corto. Diversa è l'impostazione data dal Bastogi al suo libro, Una scritta colonica, pubblicato ad un anno dagli scioperi. Il suo intento non è quello di elogiare il contratto mezzadrile come strumento filantropico, per mezzo del quale si attua una fraterna solidarietà tra capitale e lavoro, tra proprietari e contadini, né quello di combattere con le armi del sarcasmo e del dileggio la «credulità dei coloni» e le organizzazioni socialiste. Egli invece si propone di fornire a tutti i proprietari un modello unico di contratto, o scritta colonica, come preferisce chiamarla, su cui uniformare tutti gli altri contratti. A lui, infatti, che era stato tra i firmatari degli accordi fra proprietari e Lega di Chianciano, non era sfuggito che tra le cause che avevano generato gli scioperi, c'erano state le diversità, a volte notevoli, tra un contratto e l'altro e l'arbitrarietà con cui i possidenti interpretavano certe usanze tradizionali. Per questo motivo il contratto viene descritto e discusso minuziosamente, articolo per articolo; tutte le norme, tutte le usanze vengono giustificate con argomentazioni storiche, giuridiche, economiche ed etiche, a sostegno delle quali si citano ampiamente gli autori che in precedenza si erano occupati della mezzadria, a cominciar naturalmente dal Capponi. Il suo libro vuole essere, in definitiva, uno strumento in mano a tutti i proprietari, perché abbiano conferma del significato e del valore storico, giuridico ed economico dell'istituto mezzadrile, e perché, nello stesso tempo, possano prevenire qualsiasi critica e contestazione, essendo state eliminate dalla scritta tutte le possibili disuguaglianze e difformità. Dall'opera del Bastogi emerge una figura di contadino tutto casa e lavoro, reso totalmente soggetto alla volontà e alle scelte de proprietario e dei suoi agenti, mediante una serie di imposizioni riguardanti, oltre la conduzione dell'azienda, la stessa vita familiare e personale12: un contadino, in sostanza, subalterno alla logica della rendita fondiaria. 3. L'immagine di un idillico rapporto tra padrone e mezzadro ritorna, invece, in quasi tutte le pagine del libro del Martinelli, pubblicato nel 1913. Anzi, tale immagine è già presente nella prefazione, insieme con gli scopi che l'autore si propone di raggiungere<. Per prima cosa io vorrei porre sempre più in buona vista il sistema di mezzadria agricola ad uso nostro toscano, facendone risultare sempre meglio di grandi vantaggi sociali 11 Ivi, pp.49-50. 12 Si vedano tutti gli articoli del contratto riguardanti il divieto di frequentare le osterie, di giocare a carte, di recarsi in paese, di sposarsi senza il permesso del proprietario, ecc.; e poi l'obbligo di frequentare la messa, il catechismo, ecc. 5 che se ne possono ricavare, e che in realtà se ne ricavano, e quindi invogliare a praticare tutti un tale s e a migliorarlo ancora in quanto possa occorrere. In secondo luogo vorrei dare ai coloni consigli pratici in agricoltura per aumentare ogni sorta di produzione, e per primo i foraggi; quindi le granaglie di ogni genere, il vino, l'olio e l'aumento dei guadagni dei bestiami poi verrebbe di conseguenza. In terzo ed ultimo luogo vorrei porre i coloni, specialmente, in guardia contro le massime sovversive dei socialisti esaltati, perché il trionfo delle medesime sarebbe proprio la fine di quella dolce armonia che regna sempre fra padrone e colono quando in una santa gara si uniscono insieme, rispettandosi nei propri diritti a vicenda, per far rendere ai terreni tenuti a mezzadria tutto ciò che hanno la potenzialità di rendere, seguendo sempre il meglio possibile il costume tradizionale toscano. Lo scopo, come ognuno lo comprende, è buono e santo, perché si tratterebbe appunto di far progredire sempre più e meglio nel bene morale e materiale la benemerita classe degli agricoltori. In tutto ciò poi avrà la sua massima parte l'insegnamento pratico del miglior regime di famiglia veramente cristiano, con una guerra spietata alle superstizioni, alle stregonerie. L'igiene pure sarà tenuta in gran conto, come da colui ch'è convinto che per un lavoro proficuo è troppo necessario avere Mens sana in corpore sano... ... È necessario adunque avere una mente sana, cioè ben nutrita di saggi insegnamenti, capaci a farci condurre una vita possibile e pratica, quali sono appunto gl'insegnamenti cristiani, e non una vita fantastica e cervellotica quale vorrebbero farcela condurre gl'insegnamenti dei socialisti esaltati13 A parte l'intento di mettere in guardia i coloni dalla propaganda socialista, gli scopi che il Martinelli si propone di raggiungere sono uguali a quelli che erano stati della classe dirigente toscana del primo Ottocento, dell'Accademia dei Georgofili e degli intellettuali che gravitavano attorno alla «Antologia» e al «Giornale Agrario Toscano» del Vieusseux. Ma le posizioni ideologiche e politiche del Martinelli sono molto più complesse, in quanto alle teorie dei liberali moderati del periodo granducale, da lui fatte proprie, si sovrappongono quelle del nascente modernismo e del popolarismo cattolico. Egli, infatti, era legato agli ambienti dei modernisti, come confermano il suo libro di esegesi biblica, che scrisse seguendo l'interpretazione storico-critica del Loisy14, e la traduzione dal francese dell'opera del gesuita Antoine, professore all'Università cattolica di Angers, Corso d'economia sociale, a cui appose un'introduzione l'economista cattolico Giuseppe Toniolo15. Anzi, quest'ultimo libro fu poi da lui adottato come testo scolastico nel Seminario di Montalcino, dove dal 1896 egli tenne l'insegnamento di Economia politica. Nello stesso 1896 intervenne al II Congresso dell'Unione cattolica di studi sociali, svoltosi a Padova sotto la presidenza di G. Toniolo, a cui partecipò pure Romolo Murri16. 13 Martinelli, cit. pp. III-V. 14 Di questo libro, che il Martinelli ritirò dal commercio per evitare una censura da parte delle autorità ecclesiastiche, purtroppo non abbiamo rintracciato copia. 15 Corso d'economia sociale, del R. P. C. Antoine S.J., tradotto dal francese dal dott. Pietro Martinelli, con introduzione del prof. G. Toniolo, Ufficio della Biblioteca del Clero, Siena 1901. 16 Cfr. G. Candeloro, Il movimento cattolico in Italia, Roma 1972 (3a ed.), p. 269. Nel libro il Martinelli fa spesso menzione di questo congresso e del suo intervento, ma senza precisare di che congresso si tratti. 6 La sua visione della mezzadria e dei rapporti che devono intercorrere tra padroni e contadini va dunque inquadrata nel contesto ideologico del nascente popolarismo cattolico, che aveva i suoi teorici soprattutto tra il gruppo degli insegnanti dell'Università cattolica di Angers, in Francia, e nel Toniolo, in Italia. Il gruppo francese «affermava che l'azione sociale dei cattolici doveva esse prevalentemente morale; perciò esso si rivolgeva soprattutto ai datori di lavoro, dei quali cercava di stimolare lo spirito caritativo»17. D’altra parte, il programma del Toniolo, nel quale si inserivano proposte assai varie per origine ideologica e politica, mirava «soprattutto a stabilizzare i rapporti sociali esistenti, frenando da un lato lo sviluppo tumultuoso e spietato del capitalismo, ed arrestando ddall’altro l'avanzata del movimento operaio, mediante un'azione paternalistica delle classi ' superiori ', ispirata e diretta dalla Chiesa»18. Sul piano dell'attività sociale, poi, i cattolici, ispirandosi al corporativismo di tipo medievale, tendevano a creare associazioni miste fra padroni e lavoratori, che venivano preferite ai veri e propri sindacati. Tutte queste posizioni, dal paternalismo al corporativismo, dal rifiuto di una società dominata dal solo capitale agli atteggiamenti antisocialisti, sono presenti nel libro del Martinelli. Per di più, ai suoi occhi, l'istituto mezzadrile toscano sembra essere la realizzazione pratica di tutti gli ideali e le proposte politiche e sociali del movimento cattolico di quel tempo. 4. Ma vediamo più da vicino il contenuto del libro, a cominciare dal titolo di per sé molto significativo: Il più bel regalo da farsi ai coloni dai loro padroni. Coerente con il suo paternalismo, il Martinelli scrive il libro per i padroni, affinché questi, a loro volta, ne facciano dono ai coloni, ai quali in effetti è destinato. In esso, infatti, i contadini potranno rinvenire consigli tecnici utili per un'agricoltura moderna, e norme etiche per una vita serena, agiata e moralmente sana, in concordia con i possidenti che forniscono loro, con il podere, la possibilità di lavorare. Nel primo capitolo l'autore descrive il sistema mezzadrile toscano, raffrontandolo con quello romagnolo e con il nuovo tipo di azienda agraria capitalistica già affermatasi nell'Italia settentrionali, quale egli aveva conosciuto in occasione del suo viaggio a Padova nel 1896. La bontà della mezzadria toscana è sottolineata ad ogni passo; essa deriva soprattutto dal rapporto tra contadino e padrone: [ ...] a poco alla volta, gli agricoltori addivennero, di fronte ai padroni, soci d'industria con la cessazione di ogni e qualsiasi forma di schiavitù personale... Però il nome di padrone restò sempre, e resterà ancora, perché padrone vuol dire gran padre. Nome questo dolce e convenevole, specialmente a quel padroni che se lo sanno meritare, e il colono lo pronunzia sempre volentieri19 Non è così invece in Romagna, dove a causa di patti colonici «tutti a vantaggio dei padroni», scoppiò «quel rovinosissimo sciopero» dei contadini20. Ma il Martinelli dimentica, per avvalorare la sua tesi, che proprio a pochi chilometri da S. Quirico, dov'era parroco, dieci anni prima le campagne erano state teatro di uno sciopero dei mezzadri, il primo in tutta Italia. Lo dimentica, ma ne tiene conto, se sente il bisogno di aggiungere, a commento degli equi criteri che, secondo lui, devono stare alla base di un corretto 17 G. Candeloro, cit. p. 235. 18 Ivi, p. 238. 19 Martinelli, cit p. 4. 20 Ivi, p. 8. 7 rapporto tra padrone e contadino: Occorre poi che il colono per condurre una vita quieta e tranquilla abbia una educazione quale in generale hanno i nostri coloni toscani, che consiste in fondo nel conoscere e praticare tre strade sole: casa, chiesa e lavoro, facendo consistere tutti i suoi spassi, i suoi divertimenti nel veder crescere e prosperare la sua propria famiglia, e nella cara soddisfazione di vedere poi il suo podere ben ravversato e ben tenuto con tutte le faccende agricole fatte in tempo, tanto che gli dia quel bel frutto che ha la potenzialità di poter dare21 La bontà del sistema mezzadrile, però, si evidenzia maggiormente nel confronto con i modi di produzione capitalistici introdotti nell'agricoltura dell'Italia settentrionale. Il Martinelli non guarda ai risultati economici di questi nuovi sistemi, ma a quelli sociali e morali; alle contraddizioni, alle lacerazioni suscitate dalle nuove condizioni di lavoro, egli oppone una visione patriarcale ed idilliaca delle campagne toscane, senza considerare i rapporti feudali che ancora legavano i contadini alla proprietà agraria e che avevano causato gli scioperi del 1902: Che differenza non passa mai fra i coloni che lavorano i campi all'uso nostro toscano e a quelli dell'alta Italia che li lavorano a giornata! qui la gioia e la felicità; lassù la scontentezza e la noia: qui la buona, la dolce armonia fra padroni e coloni; lassù i dissapori, le lagnanze, e il bieco guardarsi a vicenda fra lavoranti e padroni!22 La mezzadria, quindi, nella ideologia «cattolico-popolare» del Martinelli, si contrappone al capitalismo nell'agricoltura, la gioia del lavoro dei coloni alla scontentezza dei braccianti, l’armonia fra le classi agli scioperi, l'ordine costituito al socialismo eversivo. Il secondo capitolo del libro si apre con la descrizione della immaginaria fattoria-modello di Rocca Vitalba: qui vive la famiglia di Nonno Cecco, che nelle sere invernali ospita a veglia i contadini della zona, intrattenendoli, insieme con il parroco del paese, su argomenti concernenti la vita dei campi, la morale, la politica l’igiene23: vi è anche la presentazione di Carnesecca, il calzolaio del paese, socialista e assiduo lettore dell'«Asino»; egli non compare mai di persona, ma è ricordato quasi in ogni pagina per essere preso come termine di paragone dei partecipanti alla veglia, che finiscono sempre per ridicolizzarlo, come per esorcizzare l'idea che egli rappresenta. L'arma del ridicolo, però, si alterna all'ammonimento, che lascia capire come Carnesecca non sia un personaggio soltanto strambo, ma soprattutto pericoloso: « ... a dare ascolto a tali sorta di dottrine dove si finirebbe? O al manicomio o in galera, come a tanti è avvenuto»24. I capitoli terzo e quarto affrontano il problema delle streghe e degli stregoni. Il Martinelli sapeva che presso le comunità contadine, specialmente nella sua zona, la credenza nella magia era molto radicata e diffusa. La mancanza totale, o quasi, di qualsiasi assistenza medica, l'isolamento sociale e culturale in cui vivevano, costringevano i contadini a ricorrere a streghe e «medicastroni » per le malattie che colpivano uomini e bestie. Le pratiche magiche vengono però considerate dal Martinelli come frutto di ignoranza e di superstizione, come «scimunite false credenze», per debellare le quali basta avere un po' di buon senso e prestar fede alla parola del parroco. L'autore, comunque, non può negare che se queste «stolte credenze» sopravvivevano 21 Ivi, p. 9. 22 Ivi, p. 15. 23 E’ da osservare che, per la stesura del libro, il Martinelli prese dai moderati del primo '800 il modello narrativo di letteratura agraria per il popolo, quale si può riscontrare nelle pagine del «Giornale Agrario Toscano» e nei Dialoghi di Lapo de' Ricci. 24 Ivi, p. 27. 8 ancora ai suoi tempi non era solo colpa del volgo «troppo amante dello strepitoso e dello straordinario, ma anche della stessa Chiesa che nei secoli precedenti, pur condnnandole, le aveva avallate. C'è, quindi, nella storia che egli fa della «caccia alle streghe» una posizione critica, che forse si può collegare al suo presumibile modernismo; infatti, dopo aver osservato che i cristiani devono sempre obbedire come figlioli al papa, aggiunge: Ma quelli che verranno dopo di noi forse in cose di disciplina ecclesiastica, o amministrazione semplicemente materiale, troveranno che quelle tali prescrizioni più non converranno con i loro cambiati tempi. Però non devono scandalizzarsene, come non ci dobbiamo scandalizzare noi delle ordinanze contro le streghe; perché allora tutti credevano a tali sciocchezze, vedendo le cose in modo diverso, da quello che ora lo vediamo noi25 Senonché, nonostante questa visione storico-critica del problema, l'analisi resta sempre superficiale: il tribunale dell'Inquisizione, i roghi, le torture furono causate da «un delirio, una febbre epidemica e contagiosa», che coinvolse anche la Chiesa. Inoltre, pur se il racconto arriva fino alle soglie del '700, la «caccia alle streghe» e agli eretici viene relegata in un metastorico Medioevo. Dal quinto al quattordicesimo capitolo si discute di tecnica e scienza agraria. Le prime elementari informazioni sui nuovi concimi minerali vengono date dal pievano, che trova pure l'occasione di accennare alla costituzione di società operaie e di cooperative di consumo. A dare man forte al pievano interviene, poi, il dottor Giovanni, il figlio del fattore, che da poco è divenuto professore di Scienze agrarie all'università di Pisa. Questi comincia col tessere gli elogi dell'istituto mezzadrile toscano, affermando ripetutamente che esso, rispetto a qualsiasi altro sistema di conduzione delle aziende agrarie, è il migliore in assoluto, perché capitale e lavoro vi trovano la loro «giusta quota di rendita». Ma il dottor Giovanni sa che questa «uguaglianza» è solo teorica; infatti, subito dopo aggiunge: Certo è, che per il buono andamento della mezzadria ad uso toscano ci vuole grande moralità da ambo le parti. Occorre che ciascuno si ispiri, come qui a Rocca Vitalba, ai grandi principii del cristianesimo26. Il professore, quindi, per sei serate consecutive, illustra le nuove tecniche agrarie, soffermandosi particolarmente sul «sistema Solari» e sul modo pratico di applicarlo, e sulla coltivazione dell'ulivo, della vite e delle leguminose. Ma improvvisamente, così com'era venuto, riparte, essendo stato richiamato all'università. Le veglie, da questo momento in poi, saranno condotte dal pievano, il quale affronta la tematica della questione sociale, (capitoli XV-XVII)27, ed enuncia, ma senza indicarne l'origine, il programma dell'Unione cattolica di studi sociali (capitoli XIX e XX). Lo spunto per parlare della questione sociale viene dato dal Carnesecca, che non è più il personaggio strambo, lo «scemo del paese» dei primi capitoli, ma un «cervello malsano», una «mente squilibrata» che sparge «massime inique e perverse». Il pievano enumera e distingue i vari gruppi che si richiamano al socialismo: sindacalisti, integralisti, rivoluzionari, anarchici e riformisti; ma è solo una distinzione del tutto esteriore, 25 Ivi, p. 68. 26 Ivi, p. 130. 27 Manca il capitolo XVIII, sia nel testo, sia nell’indice; probabilmente l’errore di numerazione è dovuto alla tipografia. 9 perché in fondo tutti si richiamano alle teorie socialiste e i socialisti «sono demoni dell'inferno!»28. Allo stesso modo, parlando dei teorici del socialismo, mette insieme in un unico calderone, la Rivoluzione francese e Marx, il nichilismo e l'anarchia, la massoneria e, perfino, la cavalleria medievale! Il risultato di tutta la discussione è che i socialisti sono «proprio contro natura, perché il mio e il tuo nel mondo ci è stato sempre e sempre ci sarà», e che «il mio e il tuo sono cose naturali», che nessuno potrà mai distruggere29. Per la qual cosa, la soluzione migliore, per evitare gli inevitabili conflitti, sta nel saper trovare sistemi sociali di produzione in cui la classe capitalistica e quella proletaria possano convivere in maniera equilibrata e pacifica. È logico a questo punto, che la mezzadria «ad uso toscano», sembrandogli il sistema più adeguato a tale scopo, venga suggerito come rimedio universale. Nel terzultimo capitolo, come abbiamo già accennato, il Martinelli, per bocca del pievano, espone il programma dell'Unione cattolica di studi sociali, fondata dal Toniolo. I punti principali trattati sono quelli della tassazione progressiva, dell'abolizione delle quote minime, dell'istituto del referendum, dello sciopero. Il penultimo capitolo, invece, è dedicato al tema «Il capitale e il lavoro», che l'autore sviluppa in coerenza con la sua visione corporativistica della società. L'esposizione di questo programma non è priva di contraddizioni; se infatti da un lato alcune proposte collimano con quelle del programma socialista (tassazione progressiva, istituto del referendum, per esempio), dall'altro il Martinelli si sforza sempre di mantenere le distanze e di distinguere quelle avanzate dai cattolici da quelle avanzate dai socialisti. Così, ad esempio, lo sciopero viene accettato, ma entro certi limiti: [... ] lo sciopero è l'unica arma che abbia il povero operaio di fronte all'ingordo appaltatore. Però lo sciopero è come il vino: non bisogna abusarsene; altrimenti addiviene delittuoso.30 Addirittura, davanti a certe manifestazioni di protesta sociale, come quella del 1898 a Milano, che al Martinelli sembrano eccessive, si invoca la repressione e si elogia il generale Bava Beccaris per aver fatto sparare col cannone sulla folla31. Altre incongruenze si rilevano a proposito della questione delle «otto ore», che il Martinelli rifiuta, e del plusvalore contro cui il professore di Economia politica teorizza con molta ingenuità, se non forse con molta ignoranza in fatto di scienze economiche32. L'ultimo capitolo è dedicato alla vita felice dei campi: la polemica contro l'industrialismo qui è molto accentuata, così come netto è il rifiuto del socialismo. Quest'ultimo è ancora una volta rappresentato da Carnesecca, il calzolaio socialista, che conclude drammaticamente la sua vicenda; infatti, amaramente deluso dalle promesse non mantenute dei deputati socialisti, che pensano solo agli affari propri, va in escandescenze, si proclama presidente della repubblica, si costruisce un immaginario parlamento socialista e finisce, naturalmente, al manicomio. Come si può vedere dal veloce riassunto che abbiamo fatto, c'è nel libro un chiaro intento pedagogico: il Martinelli si rivolge ai proprietari perché si comportino da «padri» e da «signori» nei confronti dei contadini e perché amministrino la loro ricchezza rettamente, in modo che essa «raggiunga quei santi scopi, cui la divina Provvidenza l'ha destinata». Ma l'autore si rivolge 28 Ivi, p. 282. 29 Ivi, p. 267. 30 Ivi, p. 299. 31 Ivi, p. 288. 32 Ivi, pp. 318-22. 10 principalmente ai mezzadri, perché, se si vuole combattere l'introduzione dell'industria nella società e con essa il capitalismo, è necessario, attraverso un'opera di educazione morale, tecnica ed ideologica ben precisa, convincere i contadini a non abbandonare la terra, a non farsi sedurre dalle attrattive della città, a non farsi irretire dalla propaganda dei «socialisti esaltati». In questo senso la fattoria-modello di Rocca Vitalba non è solo l'immagine di quella società corporativa che costituiva lo sfondo utopistico dell'ideologia cattolica, ma anche, con la sua verosimile collocazione geografica, con i riferimenti puntuali agli usi della comunità contadina, lo strumento atto a dare ai mezzadri la convinzione che essa esisteva realmente e che il modello poteva essere universalmente realizzato. In questo quadro così idillicamente delineato, in questa visione di un mondo agreste felice e soddisfatto, in cui classi sociali antagoniste vivono in fratellanza e solidarietà cristiana, è evidente che il socialismo doveva essere visto come un fenomeno di «devianza» psichica e sociale. 5. Quanto la realtà del sistema mezzadrile e della vita dei contadini fosse molto diversa da quella immaginaria di Rocca Vitalba ce lo dimostra lo stesso don Pietro Martinelli in una lettera da lui inviata al Pretore di Montepulciano il 20 giugno del 1902, a poco più di un mese dalla fine degli scioperi di Chianciano, Chiusi e Sarteano:33 S. Quirico d'Orcia, 20 giugno 1902 Ill.mo Sig. Pretore, era del tempo che le volevo scrivere sulla questione degli operai e dei coloni. Ella come Padre rimedi, guardi un po' se può, costì con codesti signori, far qualche cosa di buono. Le accludo qui le concessioni che si sono fatte qua. Però a me piacerebbe che tutti i maggiori possidenti del nostro mandamento si riunissero e facessero, quando non si potessero far migliori, uguali patti ai lavoratori della terra. È un fatto che le condizioni degli impiegati civili, dei ferrovieri, dei minatori, gi(à) da certo tempo in qua sono state migliorate, avuto riguardo ai tempi. I tempi anche per i lavoratori di campagna non sono forse cambiati? Perché dunque ad essi non si dovrà mai pensare? che sono i Paria? Eppure sono anch'essi nostri fratelli. In quanto agli operai agricoli si continua da molti a dare la giornata di una lira, e a stento, anche nella Estate; ma ch'è mai una lira per i cambiati tempi? In quanto ai coloni sono cresciute le tasse, e i padroni, almeno alcuni, hanno peggiorati i patti colonici a loro danno. Molti, ingiustamente tre volte, fanno pagare quasi tutta la spesa della macchina al povero contadino. Ci sono delle ingiustizie che hanno proprio bisogno di pronta riparazione. Non dico mica con ciò che non ci siano degli operanti e dei contadini cattivi: sì ci sono; ma incomincino ad essere un po' più buoni i padroni, che sta proprio a loro il dare il buon esempio. Veda un po' lei se costà specialmente col Fregoli potesse conchiudere qualche cosa per la pace comune. Non si credano i Signori che tutto sia terminato: la pentola bolle sempre e malamente34. 33 La lettera è stata trovata casualmente fra le pagine del libro del Bastogi, Una scritta colonica, conservato presso la Biblioteca Comunale di Montepulciano. Essa consta di un foglio piegato in due, avente quattro facciate. Il testo è diviso in tre parti: nella prima si parla della situazione nelle campagne; nella seconda, divisa dalla prima da un tratto di penna, di un procedimento penale; nella terza ci sono solo i convenevoli, scritti longitudinalmente sul margine sinistro della quarta facciata. Nello stesso libro del Bastogi si trovava pure un foglio su cui, a stampatello, vengono riportate le concessioni fatte a mezzadri e braccianti dai proprietari terrieri di S. Quirico, delle quali si fa cenno nella lettera. 34 La lettera continua con quest'ultima parte che riportiamo qui di seguito: «Ora di questo biciclettista Noli. Creda che fu una mera disgrazia. Egli avverti, ma le donne, che erano due insieme, 11 Cosa emerge da questa lettera? Intanto ci sono alcune notizie, non riportate da altre testimonianze, riguardanti la situazione dei paesi vicini all'epicentro degli scioperi. Dalla lettera, infatti, si arguisce che dopo lo sciopero di Chianciano i proprietari dei paesi limitrofi si affrettarono, per prevenire le richieste delle Leghe, a fare delle concessioni a braccianti e mezzadri; tale atteggiamento, come sappiamo dal Magini, contribuì al fallimento parziale dello sciopero di Chiusi e alla sconfitta dei coloni di Sarteano35. E’ probabile che altre agitazioni furono scongiurate mediante questo accorgimento padronale, come ci lascia capire il Martinelli comunicando al pretore che a S. Quirico erano state fatte delle concessioni36. Queste prevedevano, tra l'altro, l'aumento della paga ai braccianti da L. 1,00 a L. 1,20 per il periodo estivo e, per i coloni, la divisione a metà delle spese sostenute per l'uso della macchina trebbiatrice, la cui introduzione aveva comportato maggiori oneri per le famiglie dei mezzadri. Infatti, la Lega di Chianciano, tra le altre richieste, aveva posto la questione delle spese derivanti dall'uso della trebbiatrice. Il Martinelli, poi, onde evitare che l'azione delle Leghe si diffonda ulteriormente, fa un pressante appello al pretore, perché, con l'aiuto di un ricco possidente di Pienza, Fregoli, forse il più ragionevole o il più influente fra i proprietari del mandamento, convinca i «signori» a recedere dalla loro posizione intransigente. Il pericolo degli scioperi, organizzati dai socialisti, è infatti ancora incombente: «la pentola bolle sempre, e malamente». Ma l'aspetto più importante che la lettera mette in evidenza è quello delle condizioni di vita dei mezzadri, che in realtà non erano così rosee come si voleva far credere dal Magini e come dieci anni più tardi lo stesso Martinelli avrebbe idealizzato nel suo libro. Innanzitutto il contadino è qui definito «povero: ciò significa che per l'autore della lettera il mezzadro non ha risorse economiche sufficienti per la sua sussistenza e, nello stesso tempo, si trova in uno stato di netta inferiorità sociale e di completa soggezione alla volontà e agli interessi altrui. Il mezzadro non è più dunque il socio del proprietario «in assoluta uguaglianza nella ricerca dei mezzi più idonei allo sfruttamento dell'azienda» e nella equa divisione dei prodotti, ma un subalterno costretto a pagare tasse più alte, a subire il peggioramento dei patti colonici, a sostenere «quasi tutta la spesa della macchina», senza alcuna possibilità di rivalsa. Simile è la situazione degli «operanti agricoli», i braccianti cioè, per i quali la paga giornaliera non oltrepassa la lira, sia d'inverno quando le giornate lavorative sono corte, sia una andò da una parte, e l'altra dall'altra; ecco la ragione della disgrazia. La donna ferita leggermente non si ebbe riguardo, e andò quasi subito a fare l'erba; ecco il perché della recrudescienza (sic). « La donna chiese ed ebbe subito 5 lire, facendo amplia quietanza. Se si potesse tutto ammontinare sarebbe bene. Qui l'applicazione della legge sarebbe vessatoria e basta. « Ora a noi: è vero che ha le doglie? Mi rincrescerebbe tanto! La sua consorte come sta? Ad ambo mille cari saluti suo af. amm. Ar. P. Martinelli ». 35 Si veda Magini, cit, p. 33 e pp 40-43. 36 Il contenuto delle concessioni, trascritto come s’è detto nella nota 34, su un foglio allegato alla lettera è il seguente. « Operai: Per i mesi dal 10 aprile al 30 settembre, mercede-giornaliera L. 1,20, negli altri 6 mesi dell'anno L. 1,00. « Mezzaioli: Corrispondere al mezzaiolo una parte della pigione della stalla che può fissarsi nella metà della pigione presumibile dalla stalla medesima. • Coloni: La spesa della macchina, olio e legna a metà; • Trasporti coi bovi a giornata – Giogature per i lavori di terra a giornata L. 2,00; • Zolfo e solfato rame a metà; « Tasse o patto a contanti metà per ciascuno dell'imposta e sovrimposta attribuita a ciascun podere; • Tassa bestiame ove sia a metà; • Libretto colonico a tutti; • Scrittura di colonia legale in quanto sia possibile ». 12 d'estate, quando le ore di lavoro invece diventano lunghe e faticose. Dalle parole del Martinelli l'immagine reale della mezzadria risalta con estrema chiarezza: si tratta di un rapporto stabilito tra due parti teoricamente «eguali», che in effetti impone a quella più debole obblighi e norme di derivazione feudale. Lo stesso autore della lettera non può non sottolineare che, malgrado i «cambiati tempi», i lavoratori rurali sono trattati come classe inferiore, come Paria. Ma erano proprio i tempi mutati a far diventare insostenibile la condizione dei mezzadri: l'introduzione di nuove colture industriali e con esse i macchinari, l'uso del solfato di rame per la vite e quello dei concimi minerali avevano obbligato il «colono a fare maggiori spese e a fornire prestazioni lavorative supplementari», mentre rimanevano immutate la ripartizione a metà dei prodotti e la remunerazione in natura37. Il Martinelli invece attribuisce la causa del peggioramento della condizione contadina non ai meccanismi capitalistici che venivano introdotti nell'agricoltura, ma all'egoismo dei proprietari. Cosicché, se questi non si comportano da «gran padri», come quei «signori» buoni e paterni che costituivano, nella sua concezione corporativistica della società, l'ideale del proprietario, se commettono ingiustizie nei confronti dei lavoratori della terra, è perché dimentichi di essere classe dirigente e responsabile anche della vita sociale dei contadini, non adempiono ai loro doveri, né danno il buon esempio. E contro la loro arroganza si invoca non un'azione da parte dei lavoratori, ma l'intervento dell'autorità costituita, dello Stato «neutrale», qui rappresentato dal pretore di Montepulciano, affinché riporti la «pace comune». Ma nemmeno i mezzadri sono così bravi e rispettosi, tutti «casa, chiesa e lavoro», come quelli di Ricca Vitalba: tra loro ci sono i «cattivi», quelli che magari fomentano la sovversione. E’ necessario, quindi, per evitare di offrire occasioni favorevoli ai socialisti, che i padroni «ritornino» ad essere buoni. E’ evidente, nel brano finale della lettera, la preoccupazione del Martinelli per eventuali nuove agitazioni mezzadrili: il trauma provocato dagli scioperi dell'aprile e del maggio non era stato superato e la paura era ancora tanta (« Non si credano i Signori che tutto sia terminato ») perché, possiamo presumere, le organizzazioni mezzadrili, nonostante qualche grave battuta d'arresto, come quella di Sarteano, erano sempre in piedi e si rafforzavano ogni giorno di più. 6. Se nel libro la rappresentazione della società mezzadrile è idilliaca, nella lettera la realtà appare del tutto diversa. La contraddizione tra il contenuto della lettera e quello del libro nasce dal contrasto fra la realtà storica, che il Martinelli non può disconoscere, e il sogno utopistico di chi crede in una società in cui non esistono conflitti di classe, perché ispirata ai principi della fratellanza cristiana. Tra i due scritti, invece non c'è contraddizione ideologica, in quanto la visione del mondo e l'ideologia politica del Martinelli sono già solide nel 1902 e vengono successivamente confermate nel libro del 1913. Quando, infatti, scrive la lettera al pretore di Montepulciano, il Martinelli non è tanto mosso da compassione o da solidarietà politica per lo stato di subalternità e di semiservilismo dei mezzadri, quanto dalla paura che questi, presa coscienza della loro condizione e organizzatisi nelle Leghe socialiste, possano sconvolgere il sistema sociale esistente. Ed ecco la sollecita richiesta al pretore («Ci sono delle ingiustizie che hanno proprio bisogno di pronta riparazione») intesa a prevenire qualsiasi atto che turbi l'ordine sociale; ed ecco l'invito a fare, prima che sia troppo tardi, alcune concessioni che possano rimediare alle ingiustizie più evidenti. Per questo, pur di conservare la «pace comune», è meglio aumentare di venti centesimi la paga giornaliera dei braccianti, pagare metà delle spese per la trebbiatrice a vapore e per la zolfatura delle viti; è 37 G. Giorgetti, Contratti agrari e rapporti sociali nelle campagne, in Storia d'Italia, Einaudi, Torino 1973, vol. V, t. 10, 1 documenti, p. 753 13 meglio fornire il libretto colonico a tutti e «in quanto sia possibile» stipulare la scrittura di colonia secondo i dettami della legge. Inoltre, nella lettera e nel libro c'è lo stesso paternalismo di fondo che caratterizzava il movimento cattolico di allora e che è totalmente fatto proprio dal Martinelli: nel libro è egli stesso, per bocca del pievano e del dottor Giovanni, a dare consigli etici, economici e tecnici, elevandosi al di sopra delle parti e presentando il sistema mezzadrile come la risposta universale, oggettiva e «naturale » ai bisogni della società; nella lettera è invece il pretore, il rappresentante della giustizia statale, che nei confronti dei possidenti che non si rendono conto della situazione prodotta dalla ribellione dei contadini, si deve comportare come Padre che rimedi (lo stesso Martinelli ha sentito l'esigenza di sottolineare le due parole per indicare la funzione di super partes che il pretore deve svolgere).38 C'è dunque una continuità ideologica molto stretta che si manifesta nella lettera e nel libro. La differenza semmai sta nel tono, nell’atmosfera dei due scritti: nella prima dominano la preoccupazione e l'inquietudine per quello che potrebbe accadere se non si trovi rimedio alla situazione determinatasi con gli scioperi; nel secondo, invece, la paura degli scioperi è finita; è vero che da Ravenna, da Ferrara arrivano notizie di «rovinosissimi» scioperi, ma in Toscana tutto è tranquillo, tutto è tornato alla normalità. Si può quindi sperare in un futuro rassicurante di pace comune. Il prete e il figlio del fattore, docente universitario di scienze agrarie, possono aiutare i mezzadri a vivere una vita moralmente sana ed economicamente agiata, li possono convincere che il socialismo è esaltazione, che conduce immancabilmente al manicomio in galera. In questo modo, nonostante i «cambiati tempi», il Martinelli costruisce un'immagine del sistema mezzadrile non dissimile da quella che il Capponi, il Lambruschini, Lapo de' Ricci e gli altri moderati toscani avevano ideato nella prima metà dell'800: un sistema che era il simbolo di una società-modello, in cui padroni e mezzadri, con l'aiuto della religione e della scienza, potevano sanare lo scontro di classe, che storicamente andava maturando e dischiudendosi. (Tratto da Clemente, Coppi, Fresta, Pietrelli, Mezzadri, letterati e padroni nella Toscana dell’Ottocento, Sellerio Editore Palermo 1980, pp.139-159) 38 Il tono paternalistico si ritrova anche nell'ultima parte della lettera (cfr. nota 35), dove si chiede al pretore che venga prosciolto il Noli, su cui gravava, si suppone, un procedimento penale per aver investito con la bicicletta e ferito una contadina: « Se si potesse tutto ammontinare sarebbe bene ».