CIRCOLO DI CULTURA ISTRO-VENETA
«ISTRIA»
ITINERARI ISTRIANI:
Proposte di viaggi e soggiorni
di studio in Istria
Trieste - Maggio 2006
CIRCOLO DI CULTURA ISTRO-VENETA
«ISTRIA»
ITINERARI ISTRIANI:
Proposte di viaggi e soggiorni
di studio in Istria
di ALFREDO VERNIER
Trieste - Dicembre 2005
Realizzato con il contributo della
Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia
Direzione Centrale
Istruzione, cultura, sport e pace
In copertina disegno di:
VITTORIO PORRO
Per informazioni rivolgersi a:
LIVIO DORIGO
34123 Trieste
Via Economo, 10
Tel. 040 303533
Impaginazione, fotocomposizione e stampa:
TIPOGRAFIA VILLAGGIO DEL FANCIULLO
Opicina (Trieste)
PREFAZIONE
La scoperta casuale, tra le carte che inesorabilmente si accumulano in un
ufficio e che solo l’occasione di un “trasloco” fanno riemergere, di una sbiadita fotocopia di una decina di pagine dattiloscritte è stata la scintilla di questa iniziativa che intende, nel suo piccolo, onorare la memoria di una persona
di profonda cultura e di intelligente meticolosità.
Alfredo Vernier, che mi è stato diretto superiore per tanti anni, fu soprattutto per me un “maestro”, un uomo illuminato da cui ho assorbito l’amore e
il rispetto per tutte le manifestazioni della cultura; il lavoro d’ufficio non era
mai una pratica di routine, frequenti erano gli scambi di preziose informazioni di contenuto e di metodo, ma ciò che maggiormente gli debbo riconoscere
come insegnamento è l’acquisizione quotidiana della conoscenza che diventa
uno stile di vita. La serietà con cui egli svolgeva il suo incarico di responsabilità era pari alla sollecitudine che dedicava allo studio e alla ricerca, alla
riflessione e all’elaborazione. E’, quindi, con stima e gratitudine verso di lui
che mi onoro di presentare la pubblicazione di questo opuscolo del dott.
Vernier, frutto di rigorose documentazioni e di instancabile precisione, che a
distanza di tanti anni conserva la freschezza indelebile della sua passione di
studioso.
Gli undici itinerari, accuratamente scelti da Vernier tra i luoghi a lui ben
noti dell’Istria, sono preceduti da una lucida introduzione storica che funge da
inquadramento e conduce il lettore a vedere i vari volti dell’evoluzione di
quella terra sia sotto il profilo della vita civile ed artistica sia sotto il profilo
etnico.
La sintese storica, compilata con rigoroso metodo di periodizzazione, percorre le tappe significative di duemila anni di eventi dall’epoca preromana
alla condizione dell’Istria alla fine del secondo conflitto mondiale; si presenta come una sorta di “guida” per far comprendere a chiunque intraprenda quei
percorsi, e specialmente ai giovani delle nuove generazioni, che “etnicamente, linguisticamente, culturalmente l’Istria presenta un volto molteplice, che è
il risultato degli insediamenti, della presenza e dell’attività delle diverse
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popolazioni che si sono succedute nei secoli nella penisola, degli incontri e
degli incroci che vi sono avvenuti, degli squilibri che di volta in volta si sono
raggiunti”. L’Istria, per ben mille anni romana, restò indenne dalle invasioni
barbariche e dalla dominazione bizantina, fino a che non venne conquistata
dai Franchi nel 788 d.C. e da allora, nel corso di qualche secolo, il suo interno montagnoso, già spopolato dai cives romani a causa delle incursioni àvare
e magiare, divenne territorio di progressivo avanzamento e insediamento di
altre popolazioni barbare, prima delle quali gli Sloveni nella parte settentrionale e i Croati nella zona centro-orientale, e successivamente anche da etnie
greche, albanesi, rumene, spinte dalla minaccia turca. Molto importante per
l’Istria fu la dominazione della Repubblica di Venezia, “l’impronta veneta è
impressa nella lingua, sull’architettura, sugli usi e costumi”.
Poiché - come scrive Vernier - in essa affonda una parte delle nostre radici, gli itinerari proposti descrivono accuratamente tutto ciò che utile vedere:
dalle vestigia architettoniche alle opere pittoriche, dai monumenti ai musei,
dai palazzi alle chiese, affinché si cerchi di conoscere meglio quel mondo e di
comprendere fino in fondo quanto è stato perduto.
L’elencazione scorre veloce, asciutta, essenziale; copiosi segni di interpunzione, sintatticamente accurati, scandiscono le pause di respiro in questa
corsa verso le immagini, che, nitide, emergono a testimonianza della ricchezza artistica, popolare e colta, la quale deve essere tutelata e valorizzata come
patrimonio spirituale di tutta l’umanità.
Maura e Nicolò Molea
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L’ISTRIA
Cenno storico
In epoca preromana, l’Istria è contrassegnata dalla civiltà dei castellieri,
minuscoli centri urbani sul culmine dei colli, abitati dagli Istri e, ai margini
della regione, anche da Viburni e Giapidi, popolazioni piuttosto arretrate, ma
che hanno superato lo stato nomade e si sono fissate alla terra, intrecciando
qualche rapporto con la civiltà greca e con quella padana di Este.
Nel 178-177 a.c., i romani conquistano la penisola, nonostante la vigorosa opposizione degli Istri, guidati da Epulo. Negli anni successivi, partendo
soprattutto dalla base di Aquileia, popolazioni latine o, più largamente, italiche prendono la via dell’Istria e, sovrapponendosi alle popolazioni indigene,
assimilandole e fondendosi con esse, producono nell’arco di alcune generazioni la romanizzazione linguistica e culturale della regione. L’Istria, nei
primi secoli dell’era volgare, cambia volto. Sorgono colonie (Pietas Julia,
Parentium) e municipi, ricchi di edifici pubblici e privati; vengono introdotte
nuove coltivazioni; costruite strade e acquedotti; impiantate industrie. La
romanizzazione è completa nelle regioni costiere, ma non si limita ad esse; si
estende a vari luoghi e zone dell’interno (Montona, Pinguente, Pedena).
Fra il V ed il VI secolo d.c., le invasioni barbariche sommergono la
Pannonia, il Norico, la Dalmazia e dilagano in Italia. I barbari, tuttavia, si protendono verso la pianura padana, verso Aquileia, Ravenna, Roma, e non provocano sostanziali alterazioni nella fisionomia della penisola, che è, per essi,
soltanto terra di transito. Né la fisionomia dell’Istria è alterata dalla dominazione bizantina, che si protrae ininterrottamente, salvo un breve intervallo
longobardo, dal 539 al 788. In questo periodo, anzi, aumentano i rapporti e gli
scambi tra le due sponde dell’Adriatico: una vera e propria comunità di vita
civile e artistica si forma con l’opposta sponda ravennate, testimoniata, tra
l’altro, dalla costruzione delle basiliche di Eufrasio a Parendo e di S. Maria
Formosa a Pola.
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Nel 788, l’Istria è conquistata dai Franchi, che vi introducono il sistema
feudale. La terra e il potere passano nelle mani dei conquistatori: l’economia
regionale subisce profonde trasformazioni; muta l’ordinamento giuridico;
sono soppresse le precedenti magistrature; aumentano notevolmente la potenza e il prestigio della Chiesa e dei suoi vescovi, che entrano a far parte della
gerarchia feudale. Nel frattempo, si dall’inizio del VII sec., per spinta propria
o convogliate dagli Avari, erano penetrate in Istria da nord e da est le prime
popolazioni slave (Sloveni nella parte settentrionale, Croati in quella centroorientale). L’avvento dei Franchi, che uniscono sotto il loro dominio l’Istria e
le regioni a settentrione e a oriente di essa, facilita l’espansione slava, che,
specie quand’è pacifica e graduale, appare come una semplice migrazione
interna. All’espansione slava, che probabilmente s’intensifica nei successivi
secoli, anche per sollecitazione dei signori feudali, indirizzandosi soprattutto
nelle terre devastate e spopolate dalle incursioni avare e ungare, corrisponde
ovviamente un arretramento dell’elemento rustico romanico, che non riuscirà
più a riguadagnare le posizioni perdute.
L’Istria fino al 952 appartiene al regno italico ed è inclusa nella marca del
Friuli. Dal 952 al 1040, la stessa marca è subordinata dagli Ottoni, che avevano unificato le corone di Germania e d’Italia, prima al duca di Baviera e poi
al duca di Corinzia. Nel 1040, l’Istria è costituita in marca autonoma ed è
infeudata successivamente alle famiglie Weimar, Sponheim e Andechs. Nel
1209, dell’autorità marchionale sono investiti i patriarchi di Aquileia, ai quali
l’Istria resta formalmente sottomessa fino al crollo del Patriarcato nel 1420.
Solo formalmente, peraltro, e solo in parte, perché sin dagli ultimi decenni del
secolo XII la contea di Pisino e le terre circostanti erano venute in mano dei
conti di Gorizia (i Lurangau-Heimföls), che nella loro qualità di “advocati”
dei patriarchi di Aquileia e del vescovo di Parendo, avevano ricevuto in feudo
da essi terre e castelli in Istria e li avevano trasformati in possedimenti ereditari della famiglia; mentre le città costiere (soggette anch’esse di diritto
all’impero e ai suoi marchesi, ma godenti di fatto di autonomia più o meno
larga), che erano state spesso soccorse dai Veneziani contro le incursioni dei
pirati croati, narentani e saraceni, avevano cominciato già nei secolo XI e XII
a pagar tributi e a dichiarare fedeltà a Venezia, finendo una dopo l’altra per
sottomettersi definitivamente alla repubblica veneta, assieme a parecchie cittadine dell’interno, nei secoli XIII, XIV e XV.
Sono, comunque, i secoli che corrono dall’XI al XV circa, quando il
governo dell’Istria è affidato a conti e marchesi appartenenti a grandi famiglie
tedesche, quelli in cui alcune parti interne della penisola assumono in superficie un colorito tedesco. Anzi, anche in queste parti, sono quasi esclusivamente i castelli, sede dell’aristocrazia dominante e del suo seguito di uomini
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d’arme e amministratori, ad aver questo colore: fuori dei castelli, nelle città
ma anche nelle campagne, la popolazione è romanica o slava.
Nel 1374, si estinguono i conti di Gorizia del ramo istriano e la contea di
Pisino passa, per patti di famiglia, agli Asburgo. Nel 1420, crolla il Patriarcato
di Aquileia: da allora fino al 1797, quando cade la Repubblica veneta, l’Istria
è divisa fra Venezia e l’Austria: La prima è padrona, oltre che di tutte le coste,
anche di vaste parti dell’interno (a nord, Buie, Montona, Portole, Pinguente,
Rozzo; a sud, S. Lorenzo del Pasenatico, Sanvincenti, Valle, Dignano,
Albona, Fianona); la seconda è padrona dei territori della contea di Pisino e
di alcune signorie minori nella parte orientale.
Una delle prime preoccupazioni di Venezia è quella di promuovere e favorire il ripopolamento dell’Istria, che, soprattutto dopo la sanguinosa guerra di
Chioggia (1379-1381), è in gran parte devastata. E’ di quegli anni un bando
della Repubblica che esenta di ogni onere chi venga nell’Istria a ripopolarla.
Falliscono sostanzialmente, allora e in seguito, i tentativi di importarvi i coloni
italiani; non resta perciò a Venezia che ricorrere agli slavi. Alcuni ne fa venire
già nel ‘300, ma è soprattutto a partire dalla seconda metà del ‘400 che, spinte
anche dalla minaccia turca, affluiscono in Istria altre popolazioni slave o greche
o albanesi e, persino, rumene. Queste popolazioni si insediano prevalentemente nell’Istria occidentale (tranne i Rumeni, che si stabiliscono nella Ciceria e
nell’Alta Valle d’Arsa) e piuttosto a sud che a nord, modificando il volto della
regione. I nuovi venuti subiscono un processo di croatizzazione, che sommerge
progressivamente le varietà linguistiche e culturali originarie.
Anche gli Asburgo aprono in quel tempo le loro terre ai profughi croati, i
quali, sopravvenendo in zone già abitate da altri Croati, non alterano il volto
etnico del paese.
Nonostante questi provvedimenti delle autorità venete e austriache, l’Istria
tocca, nel 1630, dopo la peste di quell’anno, uno dei suoi livelli demografici
minimi: poco più di 30.000 abitanti, con città già fiorenti come Pola e Parenzo
ridotte a poche centinaia di abitanti e Capodistria, capitale dell’Istria veneta,
scesa a 1800 abitanti. Quasi due secoli di pace, fino alle guerre napoleoniche,
riportano tuttavia l’Istria a una consistenza demografica maggiore e a una
certa rinascita economica.
Il dominio veneto, dove si esercita, costringe l’Istria completamente nell’orbita di Venezia. I capitani, i podestà, i provveditori di Venezia pensano a
tutto; commerci e traffici avvengono solo con Venezia e così ogni altro scambio, culturale, religioso, umano. L’impronta veneta è impressa nella lingua,
sull’architettura, sugli usi e costumi. Ma, così presa e condotta per mano, protetta e imbrigliata, l’Istria veneta si assopisce e lentamente decade.
Una qualche maggiore autonomia conserva per qualche tempo sotto gli
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Asburgo l’Istria centro-orientale, in cui sopravvivono a lungo, oltre alla contea di Pisino, alcune signorie feudali minori. Queste terre istriane sono solo
un possesso povero e marginale degli Asburgo, il cui potere è lontano e spesso debole. Nel ‘700, però, l’illuminismo e assolutismo intervengono a modificare i rapporti tra l’Istria e l’Austria. Pisino diventa il centro amministrativo dell’Istria austriaca, al quale arrivano e dal quale sono diramate nel territorio le direttive e le istruzioni viennesi: soppressione dei privilegi e delle
autonomie locali; accentramento amministrativo tedesco viene immesso negli
uffici e vengono istituite scuole tedesche.
Nel 1797, il trattato di Campoformido assoggetta l’Istria veneta
all’Austria, che la conserverà e governerà, salvo la breve parentesi francese
dal 1805 al 1813, fino al termine della prima guerra mondiale. L’Austria
costituisce nella regione il litorale, diviso in tre province o circoli, facenti
capo al Governatore di Trieste nel 1860, nel quadro di una generale riforma
dello stato, ciascuna delle tre province del litorale è dichiarata autonoma con
propria dieta: a Gorizia, la dieta della contea principesca di Gorizia e
Gradisca; a Trieste, quella della città immediata di Trieste e del suo territorio;
a Parenzo, quella del marchesato d’Istria.
Il processo di omologazione politica e culturale, che l’illuminusmo e l’assolutismo avevano appena avviato nel ‘700, continua lentamente nella regione per tutto l’800, anche se non poche situazioni particolari continuando a
sussistere qua e là fin quasi al termine del dominio austriaco. Nella seconda
metà dell’800 e nei primi anni del ‘900, Trieste, di cui l’Austria ha fatto il proprio principale porto ed emporio, diventa, se non la capitale, certamente il
maggior centro di attrazione per l’Istria, al quale affluiscono non solo i prodotti istriani, ma anche forze ed energie fresche, intellettuali, artigiani, operai.
Un altro centro di attrazione della forza-lavoro esuberante nelle campagne
dell’Istria è in quel medesimo tempo Pola, scelta e attrezzata dall’Austria
quale base militare navale, con arsenale, cantieri e vari comandi.
Il livello della vita in Istria in modesta misura si alza. Si sviluppano alcune
culture e l’allevamento del bestiame; si intensificano i traffici con Trieste e con
le province dell’Impero; si cominciano a sfruttare le risorse del sottosuolo. Ma
la campagna, quella dell’interno in particolare, a causa del frazionamento delle
proprietà, della scarsità d’acqua e della mancanza di capitali e di investimenti,
è sempre povera, e miseria e malattie continuano a far vittime.
Nell’ottocento nasce e si diffonde anche in Istria la coscienza nazionale. Per
prima quella degli Italiani, che possono contare su una borghesia già abbastanza numerosa, solida e colta e che sono eccitati e attratti dal nuovo regno formatosi in Italia; più tardi quella degli Sloveni e Croati, tra i quali solo verso la
fine del secolo si sviluppa e acquista peso una classe borghese di qualche con-
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sistenza. Prima di allora, a svegliare la coscienza nazionale degli Sloveni e dei
Croati viventi in Austria, che tra l’altro non potevano riferirsi ad alcun loro
stato autonomo al di là dei confini austriaci, era stato soprattutto il clero. La
lotta nazionale è inizialmente lotta contro lo stato austriaco, burocratico e
paternalistico, e contro le sue tendenze germanizzanti, ma col tempo si trasforma sempre più in un aspro ed esclusivo conflitto tra le due maggiori stirpi della
regione: l’italiana e la slava. E’ un conflitto senza esclusione di colpi, in cui
alla difesa si accompagna spesso l’offesa e la sopraffazione; non presenta,
però, solo aspetti negativi: contribuisce, infatti, anche a risvegliare energie e
produrre forti tensioni intellettuali e morali, pur incanalando le une e le altre,
come già ebbe a osservare Ernesto Sestan, in un’unica direzione, “verso l’unico punctum dolens ossessionante della nazionalità”.
Alla fine del dominio austriaco sull’Istria, gli Italiani e gli slavi presenti
nella penisola sono in sostanziale equilibrio: secondo l’ultimo censimento
austriaco del 1910, infatti, nei cinque distretti istriani di Capodistria, Lussino,
Parenzo, Pisino e Pola (esclusi, quindi, i distretti di Volosca-Abbazia e di
Fiume, che non si possono considerare propriamente appartenenti all’Istria),
vivono 147.982 Italiani, 37.908 Sloveni e 118.048 Croati. Gli Italiani abitano
prevalentemente le città e le cittadine della costa e, all’interno, i capoluoghi
di comune; Sloveni e Croati prevalentemente la campagna. Una consistente
colonia tedesca vive a Pola; qualche altro modesto nucleo di origine rumena
o greche o albanesi è presente qua e là, ma ormai totalmente o in gran parte
croatizzato. Etnicamente, linguisticamente, culturalmente l’Istria presenta un
volto molteplice, che è il risultato degli insediamenti, della presenza e dell’attività delle diverse popolazioni che si sono succedute nei secoli nella penisola, degli incontri e degli incroci che vi sono avvenuti, degli squilibri che di
volta in volta sono stati raggiunti.
La condizione dell’Istria cambia durante i venticinque anni in cui essa è
governata dall’Italia (1918-1943). Il fascismo tenta di rompere violentemente,
a vantaggio della componente italiana, l’equilibrio etnico e culturale esistente.
Il tentativo riesce, in parte, nelle città e cittadine costiere, dove l’elemento sloveno e croato presente subisce maggiormente le pressioni, ma anche l’attrazione, dell’elemento italiano dominante; fallisce, invece, sostanzialmente, nelle
campagne, per l’ostinata resistenza del contadino sloveno o croato all’assimilazione. L’Istria esce, comunque, impoverita da quel periodo, in cui viene
distrutto tutto un prezioso patrimonio che i gruppi etnici sloveno e croato avevano faticosamente creato nei decenni precedenti: giornali, centri di cultura,
scuole, organizzazioni politiche e sindacali, istituzioni bancarie, ecc.
Nel 1947, per effetto del Trattato di Pace, l’Istria è ceduta alla Jugoslavia
ed è spartita tra la Repubblica di Slovenia e di Croazia: nuove violenze si
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abbattono sulla sua gente, questa volta a danno degli Italiani, che l’abbandonano in massa. E’ un’altra dolorosa perdita per l’Istria, che non è certamente
compensata dall’arrivo nella penisola di genti provenienti dalla Jugoslavia. I
paesi dell’interno si spopolano, il loro patrimonio edilizio, architettonico, artistico cade in rovina, la campagna è parzialmente abbandonata. Il vicino
mondo istriano - l’ambiente naturale, le cittadine affacciate sul mare, i borghi
dell’interno, le chiesette nella campagna, i ruderi dei castelli sui colli, le sue
genti di varia origine, lingua e cultura - resta ancor oggi, comunque, un
mondo ricco e complesso, che vale la pena di cercar di conoscere meglio,
anche perché in essa affonda una parte delle nostre radici.
Gli itinerari proposti hanno un valore puramente indicativo e possono,
come è ovvio, essere sostituiti da altri, modificati, integrati no ridotti, secondo la scelta, le esigenze e gli interessi dei singoli istituti e scuole. Tutti possono essere compiuti in uno, due o, al massimo, tre giorni, a meno che non si
fondano insieme più itinerari.
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LE COSTE: L’ISTRIA ROMANA,BIZANTINA, VENETA
LA COSTA OCCIDENTALE DA CAPODISTRIA A POLA
1° Itinerario: Capodistria, Isola, Pirano
Capodistria. Per secoli capitale dell’Istria Veneta. Patria dei Vergerio, di
Gian Rinaldo Carli, di Carlo Combi. Centro di studi soprattutto umanistici,
già sede di un seminario e di altre importanti istituzioni culturali (teatro,
museo, biblioteca ecc.). Conserva un tipico aspetto assunto durante la luna
appartenenza a Venezia, con calli, campi, broli. E’ ricca di monumenti e di
opere d’arte del periodo medioevale e rinascimentale: Il Duomo (Assunta),
quattrocentesco, con bella facciata ed eleganti portali lombardeschi (all’angolo destro, poderoso campanile, portato a termine nel 1480); L’Oratorio del
Carmine, ora Battistero, costruzione romanica del secolo XIII; la Loggia, in
forme gotico-veneziane (1462-63); il Palazzo Pretorio, originale edificio merlato, risultante dall’unione del Palazzo del Podestà (1446) con quello del
Capitano del Popolo (1481); il Pontego, graziosa costruzione con finestre
gotiche e rinascimentali; Porta della Muda (1516); chiese, case gotiche e fontane. Merita una visita anche il Museo, che raccoglie vario materiale archeologico; resti e cimeli romani e veneti; ferri battuti e bronzi; dipinti, tra i quali
di particolare pregio quelli del Carpaccio, già in Duomo.
Isola d’Istria. Patria del poeta Pasquale Besenghi degli Ughi. Nella parte
alta della cittadina, il Duomo (S. Mauro), del secolo XVI (all’interno varie
tele dei pittori veneti del Cinquecento); nella parte bassa, Il Palazzo Besenghi,
nobile dimora veneta della seconda metà del Settecento, e alcune belle case
dei secoli XV e XVI.
Pirano. Caratteristicamente veneta anch’essa, è formata da un quartiere
antico (Punta), con vecchie calli, e uno più recente (Marzana), tra il mandracchio e il porto. Notevoli il Duomo (S. Giorgio), col bellissimo campanile dei
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primi del Seicento; il vicino e coevo Battistero; la Chiesa di S. Francesco, del
trecento, con elegante chiostro cinquecentesco; la Cà d’Oro, casa goticoveneziana del Quattrocento; l’Oratorio della Madonna della Neve; la pittoresche mura della terza cinta veneta, munite di sette torri; la casa natale del violinista Giuseppe Tartini; il Palazzo Gabrielli o della Rotonda del Museo. Nelle
chiese, nei palazzi e negli oratori tele di scuola veneta.
2° Itinerario: Umago, Cittanova e Parenzo
Umago. Grazioso centro, con resti delle antiche mura e tipiche case istriane in pietra dei secolo XV e XVI. Interessante la parrocchiale di S. Maria
Maggiore.
Cittanova. Alle foci del Quieto. Conserva case gotiche e barocche e resti
delle mura venete. Nella Collegiata di S. Pelagio, che risale all’XI secolo ed
è stata rimodernata nel secolo scorso, antica cripta con sarcofago contenente
i resti di santi Pelagio e Massimo. Presso la chiesa, lapidario, con elementi
plutei barbarici dell’VIII e IX secolo e iscrizioni romane.
Parenzo. Bella e pittoresca cittadina d’aspetto veneto, è ricca di perspicui
monumenti romani, bizantini e veneti. Conserva, tra l’altro, inalterata la primitiva pianta romana. Nell’area dell’antico foro sono ancora visibili i resti del
selciato romano e di un tempio del I secolo d.c.. Nel Museo, materiale lapidario romano e veneto. Dell’epoca bizantina è la superba Basilica, eretta
verso la metà del VI secolo dal vescovo Eufrasio sull’area di una precedente
basilica. Nell’abside, stupendi mosaici del VI secolo. Interessanti il presbiterio, il ciborio e il paliotto dell’altare maggiore. Nella sacrestia, varie tavole,
tra cui un’”Ultima Cena” di Palma il Giovane. Di fronte alla Basilica, il
Battistero ottogonale, della stessa epoca. La vicina Canonica, con sei bifore
romaniche, è del Duecento. Numerose le case romanico-gotiche e goticoveneziane. In centro, resti del Palazzo Pretorio, con due finestre ogivali, e
delle fortificazioni venete, con torri quattrocentesche.
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3° Itinerario: S. Lorenzo del Pasenatico, Orsera, Canal di Lemme,
Docastelli e Rovigno.
S. Lorenzo del Pasenatico. A qualche chilometro dalla costa. Già sede nel
XIV secolo del Capitano militare veneto del Pasenatico. Ha una caratteristica
pianta ovale e conserva importanti testimonianze del passato: la Parrocchiale
del secolo XI di arte tardo ravennate; una bella cerchia di mura con imponente torre; due porte ogivali; una loggia quattrocentesca, con lapidario romano
e medioevale.
Orsera. Castelliere nell’età del bronzo e centro di traffici in epoca romana. Conserva i resti di una basilica paleocristiana absidata, con pavimento
musivo del secolo IV. Sul mare, la Chiesa romanica di S. Maria a Marina, del
secolo XII, ad arcate su pilastri.
Canal di Lemme. Solitario e selvaggio fiordo, che penetra per oltre dieci
chilometri entro la costa e si prolunga nella Valle della Draga verso Canfanaro
e Pisino.
Docastelli. Ferrigno villaggio medioevale, all’inizio della Valle della
Draga, abbandonato dai suoi abitanti circa trecento anni fa, per sfuggire alla
malaria. Di esso rimangono ancora suggestivi resti di mura, torri, porte, case
e della chiesa di S. Sofia. Poco distanti le Chiesette della Madonna del
Lacuzzo e di S. Antonio, con interessanti affreschi di Giovanni degli Orefici
da Pinguente (1487).
Rovigno. Sorta sopra un’isola, fu congiunta nel 1763 alla terraferma.
Patria dello scultore Lorenzo del Vescovo e dello storico Bernardo Benussi.
E’ dominata dalla mole del Duomo e del campanile, sotto i quali si stendono
le calli e le case di pietra della parte antica. Monumenti notevoli: Collegiata
di S. Eufemia (Duomo), barocca, con bellissimo campanile di tipo veneto;
Torre dell’Orologio; Arco dei Balbi (1680); Cappelle di SS. Trinità, del XIII
secolo; alcuni palazzi signorili del Seicento e Settecento. Vi operano importanti istituti culturali e scientifici, come il Centro di ricerche storiche
dell’Unione degli Italiani dell’Istria e di Fiume e il Laboratorio di biologia
marina, uno dei principali istituti esistenti per lo studio dell’Adriatico.
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4° Itinerario: Pola, Nesazio e Isole Brioni.
Pola. Già sede di un castelliere, fu poi fiorente colonia romana (Pietas
Julia), centro cristiano bizantino, libero comune, signoria dei Castropola, possesso veneziano dal 1334. L’Austria, subentrata a Venezia nel 1797, ne fece il
suo porto militare. E’ patria del musicista Antonio Smareglia, autore de “Le
nozze istriane”. Il principale monumento romano di Pola è l’Arena, mirabile
anfiteatro in pietra bianca, di forma ellittica, a tre ordini di arcate nel lato a
ma e due ordini nel lato di terra, eretto al tempo di Claudio, nel primo secolo
d.c. Altri notevoli monumenti romani sono: il Tempio di Roma e di Augusto,
del principio del I secolo d.c., costruzione di grande eleganza e finitezza;
l’Arco dei Sergi (o Porta Aurea), a un fornice, eretto probabilmente intorno al
15 a.c., di squisita fattura; la Porta Gemina, del II secolo d.c., a due fornici; la
Porta d’Ercole, una delle più antiche dell’Italia settentrionale, a un fornice,
eretta all’atto della fondazione della colonia (42 a.c.); i resti del Teatro minore, di epoca augustea, e del Teatro maggiore, del tempo di Vespasiano; i resti
delle mura, con torri cilindriche, poligonali e quadrangolari. Una ricca collezione di lapidi ed elementi architettonici romani e paleocristiani, di bronzi,
sculture e rilievi di età romana (oltre che di ceramiche, suppellettili e altri
materiali preistorici) è conservata nel Museo archeologico dell’Istria. Di età
medioevale sono: la Cappella di S. Maria del Canneto o S. Maria Formosa,
parte superstite di una grande basilica fondata dall’Arcivescovo di Ravenna
Massimiano nel 554; il Castello, sorto nel XIII secolo e successivamente
rimaneggiato più volte; la Chiesa di S. Francesco, edificio romanico-ogivale
risalente al Trecento, in pietra a vista, con bel portale (nell’adiacente convento, aula capitolare con bifore, pittoresco chiostro e loggia del secolo XV); il
Palazzo Pubblico, semplice costruzione con portico rinascimentale, sorta
sulle rovine di un palazzo gotico del 1296; il Duomo, del XV secolo, inglobante parti di una basilica paleocristiana del V secolo.
Nesazio. Già castelliere e poi capitale dell’Istria preromana, caduta in
mano dei Romani nel 177 a.c. Gli scavi hanno riportato alla luce avanzi e
oggetti di varie epoche: dall’età del bronzo (di particolare importanza le rare
sculture di quest’epoca esposte nel museo archeologico dell’Istria) all’età del
ferro. Sono attualmente visibili la cinta delle mura, resti di case romane, del
Capitolium, di un tempio e di due basiliche paleocristiane del V secolo.
Arcipelago delle Brioni. Comprende l’Isola maggiore, l’Isola minore e un
gruppo di scogli. Famoso per le bellezze naturali e la mitezza del clima.
L’Isola maggiore conserva numerose testimonianze dell’età romana: resti di
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ville, terme, cisterne, piscine, di un tempio dedicato a Venere, di una basilica
cristiana e di altre piccole sedi di culto. Nel Castello veneziano, del XVI secolo, piccolo museo con materiale paleontologico, preistorico, rilievi, iscrizioni
e altri resti, romani bizantini e medioevali, e una raccolta mineralogica.
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LA COSTA ORIENTALE DA ALBONA AD ABBAZIA
E LE ISOLE DEL QUARNERO. ANCORA SEGNI DELLA
PRESENZA ROMANA, BIZANTINA E VENETA.
1° Itinerario: Albona, Fianona, Laurana e Abbazia.
Albona. Su un colle a tre chilometri dal mare. Patria dello storiografo
Tommaso Lucani. Fu castelliere preistorico e municipio romano. Nel 1420 si
diede a Venezia. Del periodo veneziano conserva la loggia, con lapidario romano e medioevale, la Porta S. Fior del 1587, la Parrocchiale, di forma rinascimentali e barocche, le eleganti case Scampicchio, del secolo XVI, e Lazzarini,
del 1717. Dal campanile, sul sommo del colle, panorama vastissimo.
Fianona. Stazione preistorica, municipio romano, feudo del Patriarca di
Aquileia, conquistata dai Veneziani nel 1410. Cose notevoli: iscrizioni e
frammenti romani nel portico della piazzetta; Parrocchiale di S. Giorgio, originariamente gotica; Chiesetta di S. Zorzi.
Laurana e Abbazia. Si sono sviluppate in epoca moderna come località
di soggiorno per il clima mite e la rigogliosa vegetazione mediterranea.
Laurana, come Albona e Fianona, fu fortificata e difesa contro gli Uscocchi:
dalle fortificazioni resta ancora una torre quadrangolare a due piani (Torre di
S. Giorgio). Nella Chiesa parrocchiale di S. Giorgio, interessanti affreschi
goticheggianti degli anni 1470-79. Abbazia deve il nome all’Abbazia benedettina di S. Giacomo al Palo, del secolo XV, che esisteva in loco.
2° Itinerario: Isole di Cherso e Lussino.
Abitate in epoca preistorica, nel 50 a.c. erano già sotto il dominio romano,
dal quale passarono a quello bizantino. Sin dal 1000 si sottomisero alla
Repubblica di Venezia, per difendersi dalle incursioni piratesche. Nell’isola di
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Cherso (la più grande: 400 chilometri quadrati), spicca la cittadina di
Cherso, di origine romana, cinta ancora in parte da mura venete. Monumenti
notevoli: Palazzo comunale del Cinquecento (all’interno “Santi”, tavola di
Alvise Vivarini); Casa Petris, con bifore gotiche, del Cinquecento; la Torre
dell’Orologio a bugnato; il Duomo del primo Rinascimento, con elegante portale. Nella stessa isola, Ossero vanta un Duomo del primo Rinascimento, con
elegante portale. Presso il cimitero, resti di una basilica paleocristiana. Tracce
di mura preistoriche. Nella più piccola isola di Lussino, i centri principali
sono Lussinpiccolo, allietata dal clima mite e ricca vegetazione, e
Lussingrande, pittoresca borgata d’aspetto veneto, nel cui Duomo c’è una
bella tavola di Bartolomeo Vivarini (“Madonna e Santi”, 1475).
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PRESENZE ETNICHE E CULTURALI MOLTEPLICI
(ITALICHE E SLAVE), CON PERSISTENTE IMPRONTA
VENETA NEI BORGHI MAGGIORI.
1° Itinerario: la parte nord-occidentale.
Buie, Grisignana, Montona e Portole.
Buie. Insediamento preistorico, castrum romano, possesso dei Patriarchi
d’Aquileia e dei signori di Duino, dall’inizio del Quattrocento alla fine del
Settecento veneziana. Calli e broli lastricati ne fanno una tipica cittadina
veneta. Il centro è la Piazza del Duomo, del secolo XVI, rinnovato nel secolo XVIII in stile barocco, con campanile staccato, del secolo XV, sul modello di quello di Aquileia. Ai lati alcuni interessanti edifici: palazzotto goticoveneziano e loggia del secolo XVI. Domina il borgo una torre medioevale
mozza.
Grisignana. Venduta a Venezia dai signori di Pietrapelosa nel 1358. Sede
fino al 1394 del Capitano militare del Pasenatico. Ospita in estate importanti
manifestazioni musicali e artistiche. Notevoli la Loggia del 1554, la Porta
d’ingresso alla cittadina, il Fondaco dei Formenti (1597), i Palazzi del
Podestà e del Capitano.
Montona. Patria di Andrea Antico, inventore (1517) della stampa in legno
delle note musicali. Venuta in mano di Venezia nel 1278, ne fu dotata di porte,
mura (ne resta un possente cinta di 436 metri, di altezza fra i 9 e i 15 metri),
bastioni, torrioni, palazzi, loggia. Su tutti stemmi e leoni veneti. Il Duomo,
seicentesco, conserva nel proprio tesoro un prezioso altarino portatile da
campo in argento sbalzato, del secolo XIV, già di Bortolomeo Colleoni, poi di
Bartolomeo Alviano, che lo donò alla chiesa nel 1509. La torre campanaria è
del secolo XVI.
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Portole. Patria del poeta Rinaldo Rinaldi. Conserva resti, piuttosto deteriorati, tranne la Loggia, della denominazione veneta. Al centro del borgo, la
Chiesa parrocchiale di S. Giorgio, della seconda metà del XV secolo. Nella
chiesa di S. Maria, affreschi della seconda metà del Quattrocento, di Clerigino
da Capodistria e di altri pittori locali. Nella chiesetta di S. Elena, a un chilometro dal paese, altri analoghi affreschi.
2° Itinerario: Pinguente, Rozzo, Colmo e Draguccio.
Pinguente. Centro strategico di qualche importanza già in epoca romana
(Piquentuma) e nel medioevo. Venezia, impadronitasene nel 1420, vi insediò
il Capitano militare per l’Istria interna e la munì di mura e porte, di cui rimangono notevoli resti, case, chiese, fontane, portali, cisterne fanno di Pinguente
una piccola città-museo. Notevoli le Case degli Stemmi, coi blasoni dei podestà di Pinguente, e quella del Capitano del Pasenatico. Al sommo del colle, la
medioevale Chiesa di S. Maria, rinnovata nel 1784, con lo svettante campanile, e la Cappella di S.Giorgio, con campanile a vela bifora (1611). Il restaurato Palazzo Bigutto, del 1639, ospita un museo, che conserva collezioni dalla
preistoria alla guerra di liberazione.
Rozzo. Conserva muraglie e bastioni veneti. Sotto la porta d’ingresso del
borgo, lapidi romane e una bombarda veneziana del secolo XVI. Interessanti
la Chiesa parrocchiale di S. Bartolomeo, ampliata nel secolo XVIII. Nella
romanica Chiesetta di S. Rocco, affreschi del XIV secolo.
Colmo. Castelliere, poi castrum romano, possesso dal 1102 dei Patriarchi
di Aquileia, ai quali subentrò, nel 1420, Venezia. Al confine tra i domini veneziani e la Contea di Pisino, Colmo subì spesso scorrerie e assalti. E’ un minuscolo borgo, stretto e difeso da una robusta cinta muraria a pianta ellittica
(100 metri l’asse maggiore, 50 il minore), con grande porta d’accesso sotto la
torre-campanile. Nella Cappella cimiteriale di S. Girolamo, interessanti affreschi del XIII secolo. Sulla strada che porta a Colmo, lastre e steli di pietra con
simboli glagolitici.
Draguccio. Sulla strada tra Pinguente e Pisino, fu nei secoli XV e XVI al
confine tra i possessi veneti e la Contea di Pisino e, quindi, spesso attaccato e
saccheggiato. Nella piazzetta del paese: Parrocchiale di S. Croce, con facciata gotica; antica fontana; torrione con lo stemma della famiglia Basadonna,
che diede a Venezia un provveditore. All’ingresso del paese, nel cimitero, la
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chiesetta di S. Eliseo, romanica, con affreschi del XIII e XIV secolo. In fondo
al paese, la Cappella di S. Rocco, con soggetta e campaniletto a vela, all’inizio del Cinquecento. Nell’interno, interessanti affreschi di Antonio da Padova
(o Caschierga, un villaggio vicino), eseguiti tra il 1529 e il 1537.
3° Itinerario: la parte meridionale.
Dignano, Valle, Sanvicenti e Barbana.
Dignano. Vicus romano. Sottomesso a Pola, passò con questa a Venezia
nel 1331. Vi si parla, come a Valle e a Rovigno, un dialetto che sembra derivare dall’istriano medioevale, a sua volta formatosi sul romano rustico. Nella
piazza centrale, sorgono il moderno Palazzo comunale, di imitazione goticoveneziana, e il Palazzo Bradamante, del secolo XVII. Notevoli il Castelletto,
costruzione gotico-veneziana del secolo XV, e il Duomo (S. Biagio), con alto
campanile. Nel Duomo è conservato un prezioso tesoro, recentemente restaurato e riordinato: tra le altre opere, una bella tavola trecentesca di Paolo
Veneziano. Vive e Dignano le tradizioni popolari, di cui si può avere un gustoso saggio nell’annuale “Festa dei bulbari” (così sono chiamati gli abitanti di
Dignano), in agosto.
Valle. Presso la Torre della città, sormontata da leone veneto, sorge il
Palazzo Bembo, superbo esempio di palazzo fortificato veneziano del secolo
XIV. Nella Parrocchiale di S. Giuliano, con campanile isolato, un sarcofago,
del secolo IX, e un polittico ligneo policromo, di arte istriana del XVI secolo. Interessanti anche le chiese di S. Spirito (Secolo XIV) e di S. Elia (secolo
XIII).
Sanvincenti. Vanta una delle più belle piazze dell’Istria: in fondo il
Duomo, del XVI secolo, con elegante facciata in pietra. All’interno
“Madonna e Santi”, pala probabilmente di Palma il Giovane; una tela di scuola veneta del XVI secolo con l’”Annunciazione”; un pulpito dello stesso secolo; l’Arca di S. Vittoria del XVII secolo; a sinistra il poderoso Castello
Grimani (già dei Morosini, di cui Sanvincenti era feudo, e prima ancora,
forse, dei Castropola), con torrione quadrato, torri cilindriche e, incluso nelle
murate dal lato sud, il palazzo); a destra case rinascimentali e la loggia; al
centro la cisterna dell’inizio dell’Ottocento. Nella Chiesa romanica di S.
Vincenzo, nel cimitero, affreschi di Ognobenus da Treviso, del secolo XIII;
altri affreschi, del XV secolo, nella Chiesetta di S. Caterina.
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Barbana. Predio romano, poi inclusa nella Contea di Pisino e, dall’inizio
del XVI secolo, possesso di Venezia, che la diede in feudo alla famiglia
Loredan: patria del canonico Pietro Stancovich, scienziato e storico.
All’entrata, bella e imponente Porta, del secolo XVI, e pittoresca Cappelletta
(S. Antonio), con interessanti affreschi. Cose notevoli: il Palazzo Loredan,
eretto tra il Seicento e il Settecento; l’antico Municipio con loggia sottostante (1555); la cisterna del 1565; la Chiesa settecentesca di S. Nicolò. A
Barbana, nella terza domenica di agosto, si corre la “Giostra dell’Anello”, a
ricordo di un torneo medioevale, che richiama turisti e spettatori in gran
numero, in una vivace festa popolare.
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L’ITINERARIO GIA’ AUSTRIACO
CONTEA DI PISINO E SIGNORIE FEUDALI MINORI.
I SEGNI DELLA PRESENZA TEDESCA. PIÙ RARI I SEGNI
DI VENEZIA. PREDOMINANZA ETNICA CROATA.
1° Itinerario: il centro dell’Istria.
Pisino, Gallignana, Pedena e Gimino.
Pisino. Castrum romano, in seguito badia dei benedettini e feudo dei
Vescovi di Parenzo. Questi ne concessero, nel 1175, l’investitura ai Conti di
Gorizia. Nel 1374, la Contea passò in eredità agli Asburgo. L’Austria fece di
Pisino il centro amministrativo dell’Istria. Il maggiore monumento cittadino
è il Duomo (S. Nicolò), di origine romanica, con facciata dell’inizio del
Settecento e bel campanile con castello a trifore, tamburo e cuspide ottagoni
dello stesso periodo. Notevole il Castello Montecuccoli, rude esempio dell’architettura militare cinquecentesca, tutto in pietra, a pianta irregolare, con
sporti e caditoie sostenuti da beccatelli, bombardiere a sgancio, finestre crociate. Sopra l’ingresso, stemmi gotico tedeschi, del secolo XV. Nell’interno,
armeria e archivio. Nell’atrio del municipio, lapidario romano.
Gallignana. In posizione dominante su un colle di 460 metri. Castelliere
degli Istri, poi centro militare romano a guardia del limes. Le case del paese
sono tutte in grigia pietra a vista. Nella piazzetta centrale, una graziosa
Chiesetta con portico, del 1425, dedicata a S. Maria. Davanti alla chiesa, un
masso con le misure per la consegna della decima. Vicine la Cappella dei
Vescovi (di Pedena, che amavano Galliognana per la salubrità della sua aria),
del XV secolo, in puro gotico, e la casa Salomon, della fine del XV secolo,
in tipico gotico-veneziano. Nell’antica Chiesa di S. Eufemia, un crocifisso
ligneo del Duecento. Nella parte alta del paese, la Chiesa parrocchiale di S.
Vito (1769), con robusto campanile in stile veneto. Sulla facciata pietre tombali scolpite.
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Pedena. Castelliere preromanico, fortificato dai Romani, fu sede dal 579
al 1738 dell’Episcupus petenensis. Si entra nel borgo attraverso un passaggio
ad arco sovrastato da caditoia. Edifici notevoli: il Palazzo Vescovile, con insegne murate sulla facciata, e il Duomo (S. Niceforo), ricostruito nel XVIII
secolo, con campanile in stile veneto del 1871, con cuspide, trifore e tre ordini di cornicioni.
Gimino. Il Palazzo municipale include resti del Castello del secolo XV e
una loggia settecentesca, con stemmi e iscrizioni dei secoli XVI e XVII.
Parrocchiale di S. Michele, del secolo XVI, rimaneggiata nel secolo XVIII,
racchiude un bel pulpito in marmo settecentesco. Nell’attigua Cappella della
SS. Trinità, affreschi gotici del 1471. Fuori del paese, la chiesetta di S.
Antonio, in conci di pietra, del 1381, con affreschi e antichi graffiti.
2° Itinerario (a eventuale completamento e integrazione del primo):
i Castelli dell’Istria orientale e dell’alta Val d’Arsa.
La presenza germanica in Istria è testimoniata soprattutto dai castelli. I
Tedeschi, giunti col regime feudale, rappresentano soltanto la casta dominante.
Sono castellani, gastaldi, uomini d’armi. E danno nomi tedeschi ai loro castelli, di cui oggi non rimangono che ruderi e rovine, non privi tuttavia di suggestione, a Lupogliano (Mahrenfels e Herberstein), a Cosliaco (Wachsenstein), a
Bogliuno (Marcenega), a Passo (Nalfderstein), a Sovignacco (Sensberg), a
Monte S. Michele (Karner), ecc.
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AFFRESCHI MEDIOEVALI ISTRIANI
L’Istria è ricca di affreschi medioevali, da quelli bizanteggianti e romanici della fine del Duecento e del Trecento, a quelli gotici della seconda metà
del Quattrocento (periodo, questo, particolarmente fecondo di pittori e di
opere) e dell’inizio del Cinquecento. Si tratta, per lo più, di opere di maestri
locali, che risentono di influenze italiane e tedesche; opere commesse generalmente da confraternite per chiese parrocchiali o, molto più spesso, per
chiese e chiesette cimiteriali o per cappelle di campagna (tipiche dell’Istria,
con portico e campaniletto a vela). E’ un’arte, quella di questi affreschi, popolare, povera, ingenua, che qua e là, tuttavia raggiunge vivacità e verità di
espressione e che, comunque, testimonia come l’Istria, pur marginale e tormentata dalle guerre, dalle pestilenze e dalla miseria, resti culturalmente collegata coi paesi e con le regioni vicine e abbia la capacità di produrre, anche
in quei tempi, artisti e opere modesti, ma non privi di autenticità e originalità
(come, ad esempio, Vincenzo e Giovanni da Castua e i cicli pittorici di Vermo
e Crastoglie).
L’itinerario che si propone, soprattutto per gli studenti dei licei e degli istituti d’arte, comprende, da nord a sud della penisola, i seguenti principali luoghi (se ne dà il nome in italiano e, tra parentesi, in sloveno o croato), ai quali
numerosi altri, minori, potrebbero essere eventualmente aggiunti:
- Cristoglie (Hrastovlje). Chiesa della SS: Trinità. Romanica a tre navate, del XIII secolo, entro cinta muraria. Completamente affrescata da
Giovanni da Castua nel 1490, in stile goticizzante. Gli affreschi raffigurano
storie dell’Antico Testamento, fatti della vita di Gesù, santi e sante. Di speciale interesse la “Danza macabra” e l’”Adorazione dei Magi”.
- Portole (Oprtalj). Chiesa di S. Maria. Affrescata dal maestro
Clerigino da Capopdistria e da altri maestri locali nel 1471, in stile goticizzante. Altri affreschi dei medesimi maestri nella Chiesa di S. Elena, a un chilometro dal paese.
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- Colmo (Hum). Chiesa di S. Girolamo, nel cimitero del paese.
Romanica, a una navata. E’ decorata con affreschi, tra i più antichi dell’Istria,
bizantineggianti, probabilmente della fine del XII secolo.
- Draguccio (Draguć). Chiesa di S. Rocco, a una navata. Affrescata dal
maestro Antonio da Padova (che è poi la non lontana Caschierga, in croato
Kašćerga) dal 1529 al 1537. Gli affreschi rappresentano santi, sante ed episodi della vita di Gesù. Vi spiccano un’“Imago pietatis” e l’“Adorazione dei
Magi”. Interessante scritta glagolitica sull’arco interno della porta. Altri affreschi, di tipo romanico, risalenti alla fine del Duecento o all’inizio del
Trecento, nella Chiesetta di S. Eliseo, romanica, a una navata, nel cimitero.
- Pisino (Pazin). Nell’abside a costoloni del Duomo (S. Nicolò), affreschi di scuola tirolese del 1460. Raffigurano storie della Genesi (la creazione
del mondo) ed episodi della vita di Cristo.
- Vermo (Beram).Chiesa di S. Maria delle Lastre, nel cimitero, a un chilometro dal paese. E’ tutta decorata con affreschi goticizzanti dal maestro
Vincenzo da Castua, del 1474, tra i più belli dell’Istria. Raffigurano episodi
della vita di Gesù, santi e sante. Particolarmente notevoli la “Danza macabra”
(tema ricorrente in vari cicli), la “Preghiera nell’orto degli olivi” e
l’“Adorazione dei Magi”.
- Gimino (Žminj). Cappella della SS. Trinità, attigua alla Parrocchiale.
Affreschi di stile gotico, del 1471, raffiguranti fatti della vita di Gesù. Altri
affreschi, probabilmente anteriori, nella Chiesetta di S. Antonio, a poca
distanza dal paese.
- Sanvincenti (Svetvinčenat). Chiesa di S. Vincenzo, nel cimitero del
paese, romanica, a una navata, con tre absidi. Vi lavorò Ognebenus Trivisanus
nel XIII secolo. Gli affreschi, di impronta bizantina e romanica, rappresentano storie della vita di Gesù e di S. Vincenzo, episodi del Vecchio Testamento,
santi, sante e apostoli. Altri affreschi di arte locale del secolo XV nella
Chiesetta di S. Caterina.
Degli affreschi sopraindicati, quelli di Crastoglie e di Vermo sono stati
restaurati di recente e sono in buone condizioni. Degli altri, tutti più o meno
deteriorati, alcuni sono in corso di restauro (Draguccio, Colmo).
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LA CICERIA E L’ALTA VALLE DELL’ARSA
Gli Istro-rumeni.
La Ciceria, ampio altipiano dei Monti della Vena, che prospetta sull’Istria
ma è propriamente parte della Carsia, e l’Alta valle dell’Arsa meritano
un’eventuale visita per l’indubbio interesse naturalistico ed etnografico che
presentano. A Mune e a Seiane, nella Ciceria, a Brdo, Nova Vas, Susgnevizza
e Costarceani, nell’Alta Val dell’Arsa, vivono, infatti, alcuni nuclei di Istrorumeni, che conservano, almeno in parte, benché slovenizzati o croaticizzati,
i costumi e le tradizioni originari e usano ancora, nell’ambito famigliare, il
dialetto istro-rumeno.
Le prime tracce documentate risalgono all’inizio del secolo XIV, nella
regione di Pinguente. Provenivano dal sud-est dei Balcani, sospinti a occidente dalla minaccia e dalla paura dei Turchi. Erano popolazioni nomadi e seminomadi, dedite prevalentemente alla pastorizia, e si stanziarono in parte nella
Ciceria, in parte nell’Alta Val dell’Arsa e nella zona paludosa del lago di
Cepich, in terre povere e spopolate. Nei successivi secoli XV e XVI furono
rafforzati da nuovi afflussi, sollecitati e favoriti probabilmente dai feudatari
tedeschi e anche, dalla Repubblica di Venezia, che avevano interesse a ripopolare l’Istria devastata da guerre ed epidemie, anche se i “cici” erano, per
indole, insofferenti di dominio e poco inclini a lavorare la terra: preferivano
dedicarsi all’allevamento, alla produzione e al commercio del carbon dolce.
Oggi, di quell’arcaica società pastorale, non c’è quasi più traccia; i pochi
rimasti conducono una vita diversa da quella di un tempo: pur continuando ad
abitare il paese natale, lavorano a Fiume, ad Abbazia o a Pinguente e fanno
ormai parte a pieno titolo delle comunità slovene o croate. Ma a Carnevale
tirano ancora fuori dalle cassepanche, dove sono gelosamente custoditi, i ricchi e colorati costumi tradizionali rumeni e festeggiano allegramente la ricorrenza, anche se essa ha perso il suo legame con i riti propiziatori originali (fertilità, abbondanza, semina, raccolto, patroni, ecc.).
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BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE
Opere generali e guide
L. Bari, L’Istria ieri e oggi. Note geografiche, storiche ed etniche, Trieste, 1984.
R. Farina, Itinerari istriani, Trieste, 1989.
A. Gorlato, L’Istria e Venezia. Paesaggio, storia, folclore, Venezia, 1983.
E. Silvestri, L’Istria, Vicenza, 1903.
Friuli-Venezia Giulia (Guida del Touring Club Italiano), Milano, 1963.
Storia dell’Istria
B. Benussi, L’Istria nei suoi millenni di storia, Trieste, 1924.
B. Benussi, Manuale di geografia, storia e statistica della regione Giulia, Parenzo 1903.
C. Combi, Istria, Venezia, 1882.
Carlo De Franceschi, L’Istria. Note storiche, Parenzo, 1879.
Camillo De Franceschi, Storia documentata della Contea di Pisino, a cura del figlio C. Varlo,
Venezia, 1964.
G. De Vergottini, Caratteri e limiti della storia politica dell’Istria, in Archivio Veneto, serie V,
volume IV, 1928.
E. Sestan, Venezia Giulia. Lineamenti di una storia etnica e culturale, Bari, 1965.
I castelli dell’Istria
G. Caprin, Istria nobilissima, Trieste, 1905.
G. Caprin, Alpi Giulie, Trieste, 1895.
M. Tamaro, Le città e le castella dell’Istria, Parenzo, 1892-1893.
L’arte in Istria
Santangelo, Inventario degli oggetti d’arte. Provincia di Pola, Roma, 1935.
F. Semi, L’arte in Istria, Pola, 1937.
Gli affreschi istriani
Bučić, Istarske freske, Zagreb, 1963.
Morassi, Antica pittura murale in Istria, in Le vie d’Italia, n.10, Roma, ottobre 1924.
Gli Istro-rumeni
Carlo De Franceschi, Sulle varie popolazioni dell’Istria, in L’Istria, anno VII, n. 50 e 51,
Trieste, dicembre 1852
G. Vassilich, Sui Rumeni dell’Istria, in Archeografo triestino, n.27, Trieste, 1900.
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SULLE ORME DI
GIACOMO FILIPPO TOMMASINI
(VESCOVO DI CITTANOVA sec. XVII)
di FABIO SCROPETTA
Le attività del Circolo di Cultura Istro-Veneta “ISTRIA”, nelle Regione
del Friuli Venezia Giulia e nell’Istria, nell’arco degli ultimi anni, sono state
molteplici in svariati campi, sempre coerenti con il nostro slogan “DA CHERSO AL CARSO”.
Questo scritto si limiterà all’aspetto umano, etnico, storico e paesaggistico. Il tutto senza grandi pretese.
Queste terre, per la loro varietà, da qualunque angolazione uno le intenda
esaminare, sono semplicemente stupende e di una ricchezza ineguagliabile.
La prima è la composizione etnica che, inevitabilmente, porta alla diversità
linguistica. Questa diversità dovrebbe avere la funzione di unione e non di
divisione.
In tanti si sono cimentati nella descrizione di questa meravigliosa penisola. Il libro che mi ha colpito maggiormente è “COMMENTARI STORICO
GEOGRAFICI DELLA PROVINCIA DELL’ISTRIA” del diciassettesimo
secolo (1641), scritto dal vescovo di Cittanova Giacomo Filippo Tommasini.
Il testo è ricco di descrizioni, oltre che storiche e geografiche dell’epoca, di
usi e costumi e condizioni economiche e culturali della regione. La lettura
dell’opera di Tommasini ci aiuta a comprendere la complessita, in tutti i suoi
aspetti, del territorio istriano.
Dal Friuli, attraverso le province di Gorizia e Trieste si arriva in Istria,
politicamente divisa fra tre stati, di cui due di recente indipendenza. La
Slovenia farà parte della Comunità Europea fra pochi mesi; la Croazia dovrà
attendere qualche anno ancora. Il nostro auspicio è che la volontà politica di
questo paese sia realmente proiettata verso l’integrazione con altri popoli
nella Comunità Europea.
Il territorio è molto vario. Va dalle Prealpi al mare attraverso il Carso italiano, sloveno e croato; abbraccia tutta l’Istria andando ad interessare le isole
quarnerine. Il Carso vero e proprio interessa quasi tutta la penisola istriana
ove ci sono anche varie zone di flysch.
Qual è stata l’attività del Circolo “Istria” in queste zone? Questo scritto
tratterà le escursioni in Istria e sulle isole per conoscere meglio il paesaggio,
le genti, le tradizioni, gli usi e i costumi. Il passato ci deve aiutare a valutare
meglio il presente. Ovunque siamo andati abbiamo fatto visita ai dirigenti
delle locali Comunità dei nostri connazionali. Il seguente è l’elenco dei luoghi dove abbiamo fatto tappa e che saranno trattati: Dignano, Albona,
Montona con la Valle del Quieto, la Ciceria, Cherso, l’Isola di Veglia, Pola,
Colmo, Rozzo, Draguccio, Lussinpiccolo e Lussingrande, Duecastelli,
Canfanaro, Sanvincenti e Gimino.
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DIGNANO (VODNJAN)
Secondo Tommasini:
“Questa è delle più belle e
popolate terre dell’istria...”
Nella primavera del
2000 avevamo fatto un’escursione a Dignano. La
stessa era stata proficua
soprattutto per i numerosi
partecipanti e per l’adesione del “Cordon bleu,” da
sempre interessato alla
conservazione e alla valorizzazione della o delle cucine locali. L’Istria deve
essere fiera della propria gastronomia anche se, apparentemente, povera.
Siamo stati accompagnati, o meglio ospiti, dalla Comunità degli Italiani ed
in particolare dalla signora Anita Forlani.
Il territorio storico di Dignano va da Punta Barbariga a Porto Carnizza.
Oggi non ha più questa continuità in quanto sono sorti altri due comuni,
Fasana e Marzana, che interrompono il territorio fra la costa orientale e occidentale.
Nell’antichità il territorio fu densamente popolato e ciò è dimostrato dal
ritrovamento di numerosi villaggi, oggi scomparsi. Cito alcuni nomi:
Mandriol, Molino, Orsino e altri. Le località odierne più note sono: Canizza,
Peruschi, Segotti, Orbani, Balici, Zuccari, Divisich e altri. Alla periferia di
Dignano passa l’antica Via Flavia.
E’ interessante la metamorfosi del toponimo che dal latino Antinianum è
passato ad Adignano e poi Dignano (in croato Vodnjan). Non mi soffermerò
a descrivere i palazzi e le chiese: ciò è facilmente reperibile presso le guide
turistiche. Interessanti sono le casite, costruzioni coniche in pietra carsica.
Servono come riparo durante il maltempo e come deposito attrezzi. E’ notevole la somiglianza con i trulli pugliesi. Non è questa l’unica similitudine con
la terra pugliese.
Tutto ciò che offre la campagna dignanese è di ottima qualità. Soprattutto
l’olio ed il vino.
Per quanto riguarda la zootecnia è famosa per la pastorizia sia di pecore
che di capre. Gli ovini devono essere rigorosamente di razza istriana. Gli animali, dopo secoli di acclimatamento, conoscono alla perfezione il terreno, il
mutamento delle stagioni e le eventuali intemperie. Perciò è inutile e antiproduttivo importare animali da altre regioni. I prodotti che danno gli ovini istria37
ni sono tutti eccellenti. Il formaggio pecorino dei dintorni di Dignano va
famoso per la sua qualità superiore. I dignanesi sono orgogliosi per la loro
“puina” (ricotta).
L’altro prodotto apprezzato dai buongustai è il prosciutto locale, alla pari
dei migliori dell’Istria. L’ animale caratteristico, purtroppo in via di estinzione, non essendo più l’unico mezzo di lavoro e trasporto, è il bue istriano,
meglio conosciuto con il nome di “boscarin”.
L’altra caratteristica delle genti di Dignano è la loro parlata italiana. Il loro
dialetto, alla pari dei dialetti vallese e rovignese, si distingue dalle parlate
istro-venete per arcaicità e per il lessico. Viene classificato con il nome di
istro-romancio. La conservazione dell’idioma, o meglio vernacolo, sta diventando problematica per l’esodo del dopoguerra e per la prepotente ingerenza
del croato e dell’italiano (televisivo). Le parlate sono soggette a continui
mutamenti. Con la sparizione di mestieri antichi e con il sorgere di nuove attività, da una parte si impoverisce e dall’altra si arricchisce. Bisogna adoperarsi che il dialetto non diventi soltanto argomento di studiosi ma appartenga alla
gente. La conservazione ed il tramandare ai posteri degli usi e costumi diventano problematici senza l’idioma con il quale si sono sviluppati. Ciò vale per
tutti i campi: pesca, agricoltura, artigianato, arte culinaria, zootecnia e, soprattutto, per il folklore. Di quest’ultimo aspetto i dignanesi vanno fieri. La locale Comunità degli Italiani ha speso tante energie perché tutto ciò non vada
disperso.
Non ho parlato della lingua della maggioranza
della popolazione. Il dialetto dei croati, come di
quasi tutti i croati istriani, è il dialetto “ciàcavo”. Il
termine deriva da “ča”che significa “che cosa”, in
contrapposizione con altre parlate croate che per lo
stesso termine usano “što”(štokavi) e “kaj” (kàjkavi).
L’escursione ebbe termine con la degustazione
delle specialità locali. All’arte culinaria vengono
aggiunte nuove specialità, soprattutto quelle portate
dai nuovi venuti. Queste, però, non devono, in nessun caso, sostituire o cancellare quelle tradizionali.
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ALBONA (LABIN)
Tommasini su Albona e
Fianona: “Se bene queste
due terre sono di là del
fiume Arsa, termine dell’istria secondo gli antichi,
tuttavia dai medesimi sono
aggregate alla provincia,
essendo si può dire su le
sponde del fiume, e di qua
del Quarnero termine posto
da loro.”
A circa 30 chilometri da Dignano verso il nord est a 315 metri s.l.m. su un
colle calcareo si trova la cittadina di Albona. Da questo colle si gode una vista
eccezionale verso le isole quarnerine e verso l’Istria interna. Questo modello
di cittadina si è conservato molto bene nel corso dei secoli. E’ una città compatta in quanto nei tempi passati doveva difendersi dalle continue scorrerie
dei pirati che vi salivano dal mare, soprattutto uscocchi.
Anche qui ci siamo appoggiati alla locale Comunità dei nostri connazionali. Il nostro ringraziamento va al prof. Tullio Vorano che è stato con noi fino
alla tarda sera. Si è soffermato sulla storia, palazzi e personaggi e industrie
albonesi.
Il tutto è iniziato con una gradita sorpresa: siamo stati accolti nella sede
della Comunità. Lì c’è pure il teatro cittadino. Anzi è un miniteatro, però graziosissimo. La sorpresa, apprezzata da tutti noi, è stata all’alzarsi del sipario:
il coro della comunità, diretto dalla giovane maestra Sabrina Stamberga, ci ha
accolti con canzoni popolari istriane, che non si differenziano per nulla da
quelle triestine. All’esibizione musicale è seguito un ricco rinfresco.
Albona, nel secolo scorso, forse ha dato di più, in quanto al lavoro, agli
istriani. Nelle miniere di carbone hanno trovato lavoro migliaia di operai.
Senz’altro, scendere nelle gallerie non era agevole. Non era facile nemmeno
il mestiere del contadino, poco remunerativo e con troppe incognite. Ora le
miniere dell’albonese sono state dismesse. Il carbone, nonostante l’alto potere calorifico, potenzialmente è molto inquinante per l’elevata percentuale di
zolfo. Le piogge acide provocate dalla centrale termoelettrica di Fianona
hanno fatto danni incalcolabili alla vegetazione, soprattutto boschiva, in un
raggio molto vasto. Come ricordo dell’industria estrattiva, il locale museo ha
costruito una galleria, dove uno può rendersi conto del lavoro e dei pericoli
39
che correvano i minatori.
Fra i personaggi di
Albona il sig. Vorano si è
soffermato soprattutto sulla figura di Giuseppina
Martinuzzi. Questa era una
insegnante elementare, che
ha dedicato tutta la vita
all’insegnamento in Istria e
a Trieste. Lo scopo della
sua vita era rivolto verso i
più bisognosi, verso gli emarginati. Ha scritto molte poesie, tutte sul sociale. Il Circolo “Istria” ha presentato le sue opere a Trieste. Il libro è stato pubblicato ad Albona a cura della
locale Comunità degli Italiani.
Abbiamo visitato anche il paese di Arsia, sorto fra gli anni venti e quaranta per ospitare i minatori. Abbiamo potuto ammirare le opere dello scultore
Ugo Carà che aveva curato le decorazioni della chiesa. Ci siamo recati a visitare, all’esterno, l’ultimo pozzo dismesso, quello di Tupliaco (Tupljak).
La giornata, proficua e interessante, ha avuto termine in un agriturismo di
S. Martino (Sv. Martin). Il cibo era completamente di stagione: frittata con
asparagi selvatici e agnello istriano in forno. Anche qui non è mancata buona
musica: violino e fisarmonica (meglio armonica, nel dialetto istriano).
Nel ritorno, all’imbrunire, abbiamo potuto ammirare le meravigliose cittadine di Pèdena (Pićan), già sede vescovile fino alla fine del 1700 e Gallignana
(Gračišće). Senz’altro ritorneremo, in un altro momento, a visitare le cittadine appena nominate aggiungendo Lindàro (Lindar).
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LA CICERIA
Tommasini: “A motivo della guerra coi Turchi, molti Morlacchi sono stati
condotti da quelle parti sopra i confini della Dalmazia infestata dal Turco ad
abitar questa provincia, ma essendo avvezzi alla rapina che esercitano ordinariamente in quei paesi, inquietano tanto i contorni delle loro abitazioni, che
riescono molestissimi e dannosi.”
Nell’autunno del 2001 il Circolo “Istria” aveva organizzato una gita nella
Ciceria. Forse questa parte della penisola istriana è la meno conosciuta. L’area
è racchiusa fra il monte Taiano (Slavnik) ed il Monte Maggiore (Učka). Oggi
fa parte di due stati, Slovenia e Croazia. Gli storici affermano che questa zona
carsica durante l’Impero austro-ungarico era la più depressa dell’Impero. La
povertà era assoluta. La popolazione si dedicava poco all’agricoltura, in quanto questa non avrebbe garantito nemmeno la sopravvivenza. Il terreno è
impervio, piccoli poderi di terreno coltivato si trovano soltanto nelle doline.
Nei mesi estivi l’acqua manca quasi del tutto. L’unica risorsa era, ed è tuttora, la pastorizia. Il clima è molto rigido. Nei mesi invernali ci sono forti nevicate accompagnate dalla bora, vento gelido che proviene dal nord-est. La
vegetazione varia secondo l’altitudine che va dai 450 m ai 750 e oltre. Questa
è in sintonia con l’altitudine e va dalle querce ai carpini e faggi. Il pino nero
è relativamente recente e tanti studiosi affermano che sarebbe meglio ritornare alla vegetazione originale. Il disboscamento che ha subito la zona è dovuto, principalmente, alla produzione del carbon dolce che gli abitanti della
Ciceria vendevano a Trieste e a Fiume. Erroneamente si afferma che à stata la
Repubblica di Venezia la causa principale dell’impoverimento delle risorse
boschive. Piuttosto i veneziani regolamentavano l’abbattimento degli alberi,
come nella valle del Quieto.
Un altro aspetto molto interessante di queste genti è la parlata. I Cici sono
di origine romena o, meglio, balcanico-romena. Non si sa esattamente il
periodo nel quale sono giunti nelle nostre terre. Una volta era normale spostarsi nella ricerca di terreni e pascoli migliori. Sicuramente il territorio dove
si erano stabiliti era superiore all’attuale. Il contatto con altre genti, già residenti era intenso. Tanto che nel corso dei secoli la slavizzazione si è quasi
completata. Ciò è dovuto anche al fatto che tanti Cici o Ciribiri sono emigrati nelle città o all’estero. La parlata originale, frammista al croato o allo sloveno, è presente ancora in pochissimi villaggi. Il maggior centro dove risulta
prsente il loro idioma è Val d’Arsa, in croato Sušnjevica. La lingua è oggetto
di studi da parte dei linguisti e sarebbe un danno notevole alla cultura se
andasse perduta completamente.
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La Ciceria è un terreno impervio e pertanto molto povero. E’ da auspicare
che in futuro venga valorizzato nel rispetto del terreno e delle genti. Invito
tutti coloro che non hanno fatto un’escursione in queste terre di farlo salendo
da Pinguente verso Brest, Vodice, ecc. fino a congiungersi con la strada che
proviene da Podpeč (Popecchio). Il panorama che si gode è veramente notevole. Si può ammirare tutta la penisola istriana. Il giornalista istriano Romano
Farina ha visitato e descritto la Ciceria come pochi: il Circolo “Istria” ha presentato i suoi reportages subito dopo la sua scomparsa avvenuta nel 2000 e
poi nel 2003. Paesi da visitare sono Val d’Arsa, Rozzo, Lanischie (Lanišče),
Brest, Mune, Obrovo, Raspo, Seiane (Zejane), Silun (Slum) e tanti altri. In
pratica l’odierna Ciceria va dal monte Taiano (Slavnik) al Monte Maggiore
(Učka). La zona si presta sia alle scampagnate che alle escursioni in mountain
bike. Per ora bisogna prestare la massima attenzione al confine statale fra la
Slovenia e la Croazia, per non rischiare di espatriare illegalmente.
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ESCURSIONE A MONTONA E NELLA VALLE DEL QUIETO
(MOTOVUN-MIRNA)
Come la descrisse Tommasini: “... sotto la giurisdizione del vescovo di
Parenzo, è costituita sovra un altissimo monte, nella sua sommità sta il castello al quale si va per due borghi posti dalli lati del colle, rinchiusa la strada
dalle case, che sono dall’uno all’altro lato.”
Nella primavera del 2002 la nostra escursione era stata fatta a Montona e
nella Valle del Quieto. Montona si trova su un colle alto circa 200 msl. Da qui
si domina tutta la valle. Gli abitanti di Montona (Motovun), anche se il colle
non raggiunge le altezze di altri paesi circostanti, erano padroni assoluti della
vallata e dei paesi limitrofi.
La storia di Montona, cittadina preromana, e dai romani chiamata Castrum
Montonae, segue la storia di tutta l’Istria. Subì dominazioni diverse, scorrerie e
dominio di principi ecclesiastici di varie diocesi. Probabilmente il segno più tangibile è quello lasciato dalla Repubblica di Venezia. Alla fine della seconda
guerra mondiale è stata assegnata, come quasi tutta l’Istria, alla Jugoslavia.
L’esodo, che ne è seguito, è stato quasi totale. L’impronta italiana è curata dagli
italofoni del circondario che hanno rimpiazzato gli andati. A Montona bisogna
visitare il castello, le mura, il duomo, il torrione “Porte nove”. Fra le varie cittadine istriane, Montona forse, è quella che ha conservato più Leoni di S. Marco.
Nei dintorni della cittadina ci sono tante località e paesaggi interessanti.
Nella sottostante valle, dove scorre il fiume più lungo della penisola, il Quieto,
nei tempi della dominazione veneziana c’era il famoso bosco di S. Marco. La
repubblica di Venezia aveva valorizzato questo bosco per i propri bisogni,
soprattutto nelle costruzioni navali. La severità con cui gestiva questo bene prezioso non è sinonimo di sfruttamento ai danni della popolazione, come certi
scrittori nazionalisti vogliono far credere. Nel secolo diciannovesimo gli alberi
del bosco sono stati studiati e classificati dal guardaboschi boemo Joseph
Ressel. I costruttori navali
veneziani facevano assumere all’albero la forma corrispondente alla funzione
particolare cui era destinato.
Oggi il bosco è lasciato crescere soltanto nei pressi dei
Bagni di S. Stefano, dove
c’è l’acqua sulfurea. Qui
sorge un albergo, proprio
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sotto una rupe a strapiombo, alta più di 80 metri, nota con il nome di Grotta di
S. Stefano. In Istria, per grotta si intende pietra o anche masso.
A Montona ogni primo martedì
del mese aveva luogo una interessante fiera di animali e altro. La gente
veniva da ogni parte dell’Istria, persino da Villa del Nevoso (Ilirska
Bistrica). L’animale più richiesto era
il famoso bue istriano chiamato
“Boscarin”, oggi purtroppo in serio
pericolo di estinzione. Nella foto,
eseguita dal cap. Adriano Pessot nei pressi di Montona nel 1989, gli ultimi
esemplari nel loro classico lavoro: traino del carro.
Come tutte le escursioni, anche questa ha avuto termine presso un agriturismo e precisamente a Stefanici nei pressi di Caldier. La posizione è incantevole in una vallata che piglia il clima temperato proveniente, attraverso il
corso del fiume Quieto, direttamente da Cittanova. Qui, accanto alle vigne e
agli uliveti, crescono tanti alberi da frutta: ciliegi, susini (forse i migliori di
tutta l’Istria), varie qualità di peri e meli.
L’agriturismo di Stefanici offre cibi tutti genuini e, soprattutto, stagionali. Lo
stesso si può affermare per altri posti di ristoro nel circondario. Qui si può gustare il prosciutto istriano, come veniva stagionato una volta. In primavera è d’obbligo gustare il famoso “ombolo”, tagliato a circa 5 mm e scaldato, appena
appena, nell’olio d’oliva. La bontà e la fragranza non si possono descrivere.
La Valle del Quieto, negli ultimi 30-40 anni, è diventata famosa per il tartufo. Come già detto, la valle, una volta famosa per l’approvvigionamento di
legname per le costruzioni navali, ai tempi della Serenissima, oggi lo è altrettanto nota per il prelibato fungo ipogeo. Insieme ai Cordons Bleus de France,
sempre nel 2002, abbiamo organizzato una due giorni a Montona, per meglio
conoscerne le ricerca, la raccolta e l’insaporimento dei cibi. I tartufi presenti
nella zona, una quarantina di chilometri quadrati, sono di ottima qualità, sia i
neri che i bianchi. Questi funghi tuberoformi sono una notevole fonte di ricchezza per gli abitanti della valle e del circondario.
Per la visita a Montona e nel circondario ci siamo valsi della guida del
signor Mariano Maurovic, della Comunità degli Italiani, profondo conoscitore della storia e degli usi e costumi degli abitanti del luogo. Quasi tutti gli italiani se ne sono andati. I rimasti, però, con tenacia, remando anche contro corrente, hanno fatto di tutto perché le tradizioni secolari non vadano disperse.
Ecco perché l’antica presenza non si vede soltanto nei monumenti e palazzi
ma, e ciò è di importanza capitale, nella gente e nel loro carattere.
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ESCURSIONE NELL’ISOLA DI CHERSO (CRES)
Il motto del Circolo “ISTRIA” è “DA CHERSO AL CARSO”. Per questo
motivo la visita è stata preparata con la massima cura. L’isola di Cherso è in
pratica la continuazione dell’Istria. La catena dei monti dall’Auremiano
(Vremščica) al Monte Maggiore (Učka) e oltre, prosegue nell’isola di Cherso.
L’isola di Cherso fa parte di un arcipelago, il più grande dell’Adriatico, nel
golfo del Quarnaro.
Anche se in stretta parentela geologica con il continente, l’isola nel corso
dei millenni ha sviluppato un suo piccolo mondo dai tratti originali per caratteristiche climatiche, faunistiche e della
flora. Aggiungo anche culturali, le cui
espressioni più umili e più significative
sono le cosiddette “masiere”, muretti a
secco, diversi fra loro per forma e altezza che per svariati chilometri segmentano le isole, costituendo un elemento
integrante del paesaggio. Nell’isola
vivono ancora, in quanto trovano cibo
per la sopravvivenza, i grifoni.
I greci chiamarono queste isole
“Apsyrtidesnesoi”, note per il passaggio
dell’ambra. Diverse sono le popolazioni
che, dall’antichità ai giorni nostri, si stabilirono nell’isola di Cherso. I Liburni
fondarono le città di Cherso e Ossero.
Alla caduta dell’Impero Romano d’Occidente subentrò la dominazione di
Bisanzio. Verso la fine del VI secolo arrivarono i Croati. Dal 1409 e per 388
anni fece parte della Repubblica di Venezia.
Avevamo deciso di andare nell’isola di Cherso il primo fine settimana del
mese di ottobre 2002. Sono stati due giorni indimenticabili. Due giornate
splendide: sole, temperatura ideale e una visibilità meravigliosa. Già attraversando l’Istria, da Pinguente attraverso la valle di Cepic, Chersano e Fianona
fino a Brestova, era immaginabile lo spettacolo che ci attendeva. A Punta Pax
Tecum abbiamo potuto pregustare parte dell’isola. L’attraversata è breve.
Durante l’ascesa verso la parte più elevata dell’isola il panorama si apre verso
l’Istria, in particolar modo verso il Monte Maggiore e tutta la costa.
Raggiunta la parte più elevata, la strada è protetta dalla bora da un solido
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muro. Qui siamo stati colpiti da vaste estese di salvia nutrimento preferito
dalle pecore. I suoi fiori producono un ottimo miele.
Anche qui, come ovunque ci sono dei nostri connazionali, abbiamo fatto
visita alla locale comunità. L’ex sindaco, il dottor Nivio Toich, è stato nostro
ospite.
Nella città di Cherso, l’antica Crepsa, di interessante c’è il mandracchio,
la loggia veneta, le mura e una torre cilindrica, il palazzo Petris, sede di un
museo. Indi le chiese: la parrocchiale gotica Santa Maria delle Nevi, S.
Isidoro, patrono della città, S. Maria Maddalena e S.Francesco.
La sera, prima di un’ottima cena a base di pesce, abbiamo gustato il tramonto a S. Martino (Martinščica): qualcosa di indescrivibile.
La mattina successiva abbiamo attraversato l’isola fino ad Ossero. Questa
antica cittadina, già sede vescovile, sorge nel punto dove le isole di Cherso e
Lussino si toccano. Sono divise da un canale, costruito dai Romani, oggi
attraversato da un ponte. Anticamente il suo nome era Apsoros. Di interessante a Ossero c’è il Palazzo episcopale, il Palazzo del Consiglio, la Cattedrale
dedicata al santo locale S. Gaudenzio. Il signor Roberto Polonio, della locale
comunita degli italiani è stato veramente insostituibile, facendoci visitare il
museo e le antiche mura.
Al ritorno ci siamo fermati sopra il lago di Vrana, d’importanza fondamentale per il rifornimento idrico dell’isola. Questo bacino contiene l’acqua tra le
più pure in Europa, la cui superficie si trova a 16 m sotto il livello del mare.
L’escursione dell’isola si è conclusa a Loznati con un pranzo tutto a base
di agnello, come si usava una volta: dal brodo all’arrosto. I partecipanti tutti
sono stati più che entusiasti.
Il ritorno, come preludio per un’altra escursione, è stato fatto attraverso
l’isola di Veglia.
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L’ISOLA DI VEGLIA (KRK)
L’escursione è stata curata in tutte le sue parti. Non essendo stata assegnata all’Italia, dopo la caduta dell’Impero austro-ungarico, forse non ci sentiamo
legati, sentimentalmente, all’isola di Veglia come all’Istria, Cherso e Lussino.
Turisticamente è nota, ma non nell’aspetto etnico e storico. Gli storici locali
non menzionano la presenza italiana. Per loro la presenza italiana signfica soltanto occupazione e privazione della libertà. Di certo la presenza veneziana ha
portato sviluppo culturale, e non soltanto, a tutta la popolazione dell’isola.
Questa non vuole essere una polemica: la storia è una e non bisogna usarla a
fini propagandistici o politici. Bando
a queste considerazioni, proseguo
con il racconto della nostra visita a
questa interessante isola quarnerina.
Recentemente a Veglia città si è
costituita la Comunità degli Italiani.
Gli iscritti ammontano a circa 60
persone. Non si poteva andare a Veglia senza fare loro visita. L’incontro
era previsto per le ore 12.30 nella sala del consiglio comunale. Purtroppo, a
causa di un trasporto eccezionale, siamo rimasti fermi al confine per più di due
ore. Ovviamente l’incontro previsto è saltato, con grande rammarico di tutti i
partecipanti, essendo giunti a Veglia appena verso le 14.30.
A Fiume è salito con noi, come nostro ospite e accompagnatore, il giornalista e scrittore italiano Giacomo Scotti. La sua presenza è stata utile e, soprattutto, istruttiva. Egli è autore di diversi libri inerenti le isole quarnerine, pertanto è profondo conoscitore della storia, delle genti e della cultura dell’isola.
Esclusa la parte settentrionale, quella esposta alle intemperie della bora, un
terzo dell’isola è ricoperto da boschi. Dopo pochi chilometri, dal brullo che ci
ha accolti, ci troviamo immersi nel verde. Un crinale di colline calcaree attraversa l’isola in senso longitudinale e con il monte Obzova raggiunge i 569 m,
la massima altezza. La gente è molto legata agli usi e costumi tradizionali, che
in estate dà luogo a manifestazioni folcloristiche, con danze e musiche popolari. E’interessante la presenza dell’orso bruno su questa isola: scendono dall’entroterra (Gorski Kotar e i Monti Velebit) e attraversano a nuoto lo stretto
braccio di mare che separa l’isola dal continente.
Il nome dell’isola, per quanto concerne il termine italiano proviene da
Vecla e il temine croato Krk da Curicta. Come su tutte le isole circostanti, i
croati vi giunsero verso il VI secolo. Fino al 1480 ressero l’isola i Frangipane
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o Frankopan che riconobbero l’autorità
croato-ungara. Poi, fino al 1797, la governarono i veneziani; poi, salvo un breve
interludio francese, fece parte dell’Impero
austro ungarico fino alla caduta dello stesso. Il trattato di Rapallo la assegnò al Regno
jugoslavo. Per quanto concerne le lingue,
oggi la stragrande maggioranza parla il
croato. Gli italiani sono presenti a Veglia
città. Gli ultimi veglioti che parlavano il
dalmatico, lingua neolatina preveneziana, si
sono estinti verso la fine dell’800.
Di notevole a Veglia città sono le mura
del XV sec., la “porta di città”, la torre di
guardia, il Kamplin (Campiello) ove sorge
il Castello dei Frangipane e la Cattedrale.
Veglia è sede vescovile. Nei pressi di Veglia c’è Punat (Villa di Ponte) con di
fronte un isolotto: Košljun (Cassione) ove sorge un monastero francescano,
fondato nel 1447. Fu un centro importante di conservazione e diffusione della
scrittura glagolitica (grafia precirillica). E’ da notare che, quando la lingua
ufficiale della chiesa cattolica era il latino, per i cattolici croati dell’isola di
Veglia era consentito l’uso del paleoslavo.
Il giorno seguente, dopo il pernottamento, è avvenuto l’incontro con i rappresentanti della Comunità degli Italiani. Ci siamo lasciati con l’augurio di un
nuovo incontro e con la speranza che la comunità cresca culturalmente che è
l’unica premessa per la sopravvivenza. La presenza secolare di Venezia si
nota non soltanto nell’arte e nelle costruzioni ma anche nel dialetto croato.
Il nostro programma ci ha portati verso il nord dell’isola a Verbenico
(Vrbnik), maggiore centro di produzione enologica. Anche qui le maggiori
costruzioni sono dei Frangipane. Verbenico è l’unico centro abitato posto a
settentrione. Altri centri da visitare sono Besca (Baška) Nova e Vecchia e
Castelmuschio (Omišalj).
La cucina ha la sua importanza. La cena della sera precedente, a base di
pesce, è stata seguita dal pranzo di domenica. Ci siamo spostati nel centro dell’isola a Dobrinj. Abbiamo gustato dell’ottimo prosciutto crudo e formaggio
pecorino, seguito da pasta tradizionale vegliota, chiamata “šurlice”, molto
simile, per l’impasto, ai fusi istriani, condita con un ottimo sugo con carne di
sottocollo di vitello e capriolo.
Così è terminata la visita dell’isola. Non abbiamo visto tutto: è rimasto il
desiderio di ritornare.
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POLA, NESAZIO, VALLE D’ISTRIA
(PULA, NEZAKZIJ, BALE)
Ecco come inizò a descriverla Tommasini: “La città di Pola porta seco più
di tutti gli altri luoghi dell’Istria le vestigia di essere stata colonia romana, e
non solo città principale da loro abitata, ma essere stata per li sette colli, che
in se richiudeva, quasi una nuova Roma, gratissima stanza, e tra le loro delizie stimata al pari d’ogni altra, che risiedesse sopra il mare.”
Nel mese di giugno 2003 i nostri programmi ci hanno spinto a Pola e dintorni. Consapevoli che in una giornata non si può visitare tutto ciò che offre
una città ricca di storia e di vestigia antiche. Perciò la nostra attenzione si è
concentrata sul museo archeologico di Pola, gli scavi di Nesazio e, al termine, la cittadina di Valle.
La prima parte del della giornata è stata prettamente culturale. Forse questa è stata la prima volta che non ci siamo serviti della collaborazione della
Comunità degli Italiani. La direttrice del museo archeologico, la signora
Mihovilović, è stata veramente gentile, alla quale vanno i nostri ringraziamenti, per essere stata con noi tutto il giorno e per averci illustrato tutti i
reperti del museo e degli scavi di Nesazio.
Pola si affaccia all’Adriatico con una costa frastagliatissima. Oltre che un
rilevante polo industriale, con i cantieri navali più grandi della Croazia, è un
frequentato centro turistico. Fu principale porto della marina da guerra
austriaca, poi base di quella italiana, oggi la città è centro turistico e culturale. Anche se la capitale amministrativa della regione (contea) Istria è Pisino
(Pazin) la capitale morale è Pola.
Dopo il periodo illirico, intorno al 40 a.C. divenne colonia romana con il
nome di Pietas Julia. Successivamente alternò momenti di splendore a cadute, subì diversi domini e fu percorsa da forti correnti migratorie. Conobbe il
dominio dei Franchi, dei
patriarchi di Aquileia e dal
1150 fu governata dalla
Serenissima. Subì tutte le
vicissitudini europee per
quanto riguarda le malarie
e le pestilenze, tanto che
verso la metà del XVII
secolo fu ridotta a 500
anime. Venezia la ripopolò
grazie a immigrazioni pia-
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nificate di slavi, albanesi e greci. Ciò vale per tutta l’Istria occidentale fino ad
Umago dove arrivarono anche molti carnici e veneti. La vera rinascita di Pola
avvenne durante il dominio austriaco, come porto della marina di guerra.
Il monumento più maestoso a Pola è l’anfiteatro romano, conosciuto come
“arena”. E’ contemporaneo al Colosseo, poteva contenere 20.000 spettatori.
E’ conservato quasi perfettamente. Nel centro storico di grande interesse è la
“porta Gemina”, l’agustea “porta d’Ercole”, lo splendido “arco dei Sergi”.
Nell’area del Foro si è conservato il “tempio di Roma e Augusto”. Di notevole interesse è la Cattedrale dedicata alla Beata Maria Vergine: qui si raccoglievano i primi cristiani al tempo delle persecuzioni.
Come gia annunciato, abbiamo fatto visita al museo archeologico. Ospita
quattro mostre permanenti: Preistoria, Periodo antico, Periodo tardoantico e
Periodo altomedievale, ricchi di materiale eccezionale per quantità e importanza proveniente da tutta l’Istria.
A 13 km da Pola, verso il nord-est, ci sono gli scavi dell’antica “Nesactium”.
Questa era un castelliere degli Istri fino al 177 a.C., quando gli Istri furono
sconfitti dai Romani. Verso il VII secolo, durante le penetrazioni slave, fu
distrutta da un incendio. Gli scavi hanno portato alla luce centinaia di metri di
mura romane. Entro le mura ci sono fondazioni di case, il foro, templi, le terme,
due basiliche paleocristiane e una necropoli istrica. La guida della direttrice del
museo, signora Mihovilović è stata esauriente in tutti i particolari.
Nel tardo pomeriggio ci siamo recati a Valle, città interessante ricca di
memorie veneziane. I romani la chiamarono “Castrum Vallis”. Da vedere il
poderoso Castello gotico rinascimentale, il Palazzo pretorio, la chiesa parrocchiale di S. Elisabetta. A Valle gli italiani, come a Dignano e a Rovino, parlano un dialetto diverso dall’istro-veneto che è chiamato istro-romancio. E’
interessante la toponomastica delle vie e piazze di Valle: le scritte sono anche
nel dialetto istro-romancio locale.
La giornata si è conclusa in un ristorante del posto. Cibi stagionali e tradizionali: fusi conditi con sugo di gallina, capretto al forno e vino locale. Che
la giornata sia stata proficua e culturalmente valida lo si deduce dai commenti soddisfatti dei partecipanti. I partecipanti alle nostre escursionio non sono
soltanto istriani o di origine istriana, ma pure altri, soprattutto del monfalconese. E’ necessario conoscere e apprezzare la complessità passata e presente.
Per noi del Circolo “Istria”, Pola ci porta al 18 Agosto 1946. Giornata tragica per più di 100 persone, soprattutto giovani, morti in spiaggia di
Vergarolla, orrendamente mutilati in seguito ad una esplosione di un deposito di munizioni. Non sta a me fare la ricerca di chi la colpa, di chi avrebbe
dovuto prevenire un tale atto di terrore. Il circolo “Istria” ha voluto un cippo
accanto alla cattedrale. Lo stesso è stato posto nel 1996 e da allora ogni anno
50
il 18 Agosto si celebra la commemorazione dei caduti di Vergarolla assieme alle
autorità cittadine, ai rappresentanti della
Comunità dei nostri connazionali, alla
popolazione di Pola, assieme agli esodati
e alle autorità religiose. E’ un atto dovuto
per ricordare tanti morti. Forse la tragedia
di Vergarolla ha spinto all’esodo le genti
polesane più dello stesso trattato di pace del 1947 che assegnava alla
Jugoslavia quasi tutta l’Istria, oppure i tanti morti ne sono stati il preludio. Gli
storici, senza spinte di stampo nazionalistico o di tornaconto politico, dovrebbero dirci la verità, sempre che, dopo 58 anni questa possa venire a galla.
51
CRISTOGLIE (HRASTOVLJE), COLMO (HUM)
ROZZO (ROČ), DRAGUCCIO (DRAGUĆ)
Domenica 16 giugno il Circolo “ISTRIA” ha portato gli affezionati soci e
simpatizzanti nell’Istria centro nord occidentale. Questa escursione è stata
soprattutto di carattere culturale cioè alla scoperta di opere d’arte medioevali
non tanto conosciute. La nostra guida per quanto concerne la parte artistica è
stata la professoressa Marina Parladori, profonda conoscitrice dell’Istria
interna.
Dopo aver preso gente a Monfalcone, Trieste e Muggia ci siamo diretti
oltre il confine verso la VALLE DEL RISANO, splendida conca circondata
da alture piene di vestigia medioevali come Popecchio (Podpeč) con la sua
torre per l’avvistamento di saraceni. In mezzo al verde carsico di questa meravigliosa valle si trova il villaggio di CRISTOGLIE-HRASTOVLJE che
possiede due tesori: oltre al suo ottimo vino moscato è la chiesa romanica
della S.S. TRINITA’ eretta tra il XII ed il XIII secolo. L’abbiamo trovata già
aperta ed illuminata per i turisti. La chiesa fu fortificata contro i Turchi e le
mura di allora sono molto ben conservate. Splendidi gli affreschi tra cui la
celeberrima DANZA MACABRA, opera del 1490 di Giovanni da Castua. La
morte, tenendo per mano gli uomini, li guida verso la tomba. Nel mondo esistono solo dieci rappresentazioni di danze macabre e ben due di queste si conservano in Istria: a Cristoglie e a Vermo (Beram) nei pressi di Pisino.
Proseguendo da Cristoglie verso il confine sloveno-croato abbiamo ammirato la splendida posizione strategica di Covedo (Kubed) con il campanile di
sezione pentagonale ex torre di vedetta.
Dopo aver ammirato la splendida posizione su un colle di Pinguente
(Buzet), ci siamo diretti verso Colmo (Hum) e Rozzo (Roč).
COLMO è decantata come “la più piccola città del mondo”: è una delle
peculiarità di Colmo, abitato medievale racchiuso nelle mura del XI-XII secolo. Nella parrocchiale della B.V. Assunta è conservata una pala di Baldassare
D’Anna (XVI sec.). Preziosi gli affreschi romanico-bizantineggianti (XIIXIII sec.) della chiesa cimiteriale di S. Girolamo. La strada d’accesso a
Colmo è il Viale dei Glagoliti: undici monumenti ricordano dal 1977 questa
antica scrittura (precirillica). Nei pressi di Colmo si trova il piccolo villaggio
di Kotle con un mulino ad acqua, uno dei pochi in grado di macinare il grano.
ROZZO è circondata da boschi e vigneti e potrebbe sembrare una fortezza se non fosse per il campanile che svetta oltre le mura (costruite verso il
1422, rafforzate da nove torri quadrate e sei bastioni rotondi. Fu uno dei
castelli veneziani, prezioso baluardo contro le mire della Contea di Pisino. La
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chiesa di S. Rocco conserva tre strati di affreschi. La parrocchiale di S.
Bartolomeo venne costruita nel 1492 e riadattata diverse volte. Rozzo ospita
ogni anno un rinomato Festival internazionale dell’armonica diatonica.
DRAGUCCIO (DRAGUĆ) giace su un colle, dal quale si gode un panorama eccezionale, paese antico che conserva ancora il suo passato. Da
Pinguente si imbocca la strada vecchia per Pisino. Le secolari fatiche nei
vigneti e uliveti (che crescono grazie al clima mite della Valle del Quieto)
hanno creato questo gioiello dell’architettura e del paesaggio. Si trova lungo
la spianata di un promontorio che divide le valli del Quieto e del Bottonega
tra vigneti, boschi e declivi terrazzati. Fu una fortificazione romana. Il nome
deriva da un torrente che scorre verso il Bottonega e l’etimo è da “draga”,
cioè valle. Fino al 1797, per 254 anni, fu governata da Venezia, ed ancora oggi
gli anziani parlano anche l’istro-veneto. Sono presenti ancora parte delle mura
del ‘300. In cimitero si trova la chiesa di S. Eliseo (XII sec.). All’interno interessanti affreschi del ‘300 di Antonio da Padova (Antonius Padovanus) che,
nonostante il nome, è istriano, originario da un paese, dall’altra parte della
vallata, Villa Padova, Kaschierga, oggi Kašćerga. Oltre alle chiese varie di
notevole sono i sottoportici, i bastioni, la parrocchiale di S. Croce, la fontana al centro della piazza. Il paese diede i natali a Antonio Grossich, medico
di corte degli Asburgo, che per primo illustrò gli effetti disinfettanti della tintura di iodio.
Come tutte le escursioni anche questa si è conclusa in un agriturismo
gustando cibi tradizionali istriani.
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LUSSINPICCOLO (MALI LOŠINJ)
LUSSINGRANDE (VELI LOŠINJ)
Il Circolo “Istria” ha deciso di fare un’altra tappa sulle isole perché andando nell’Isola di Lussino, non si può non ammirare la singolare bellezza dell’isola di Cherso. Perciò la prima domenica di ottobre 2004 partimmo dai soliti posti di Monfalcone, Trieste e Muggia verso le isole. Il percorso lo abbiamo cambiato leggermente perché alcuni hanno chiesto di fare il tunnel del
Monte Maggiore onde poter ammirare nella discesa verso Abbazia il Golfo di
Fiume ed il rapido variare della flora nel breve tragitto dai circa 1000 metri al
livello del mare. La sorte non ci ha aiutato in quanto, fino alla metà del percorso, la nebbia ci impedito tale spettacolo. A Brestova, prima di prendere il
traghetto, è salito con noi l’amico Giacomo Scotti, nostro “Virgilio” per quanto riguarda le isole. Qui il tempo è stato veramente clemente: abbiamo potuto ammirare l’isola di Cherso con gli stupendi panorami verso l’Istria e verso
le isole di Veglia e Arbe. Tutti sono stati colpiti dalla singolare bellezza dei
prati di salvia, con altre 300 piante aromatiche, fornitori di un ottimo miele e,
soprattutto, nutrimento degli ovini. Breve sosta a Cherso per la merenda e poi
veloci verso Lussinpiccolo. Molto apprezzata la sosta a Ossero, cittadina antica e ricca di storia.
L’istmo di Ossero, con il canale della Canovella, collega Cherso a Lussino
il clima mite e la vegetazione subtropicale hanno reso Lussino un’affermata
meta turistica e una rinomata stazione di cura. Agricoltura e allevamento furono per secoli la principale fonte di sostentamento dell’arcipelago. Ma è stato
il mare a dare la più grande ricchezza a queste terre. Nel 1869 Lussinpiccolo
poteva vantare 147 velieri che arrivavano fino alle coste dell’America e
dell’Africa. Con la comparsa dei piroscafi a fine ‘800 e l’abbandono degli
armatori, come i Cosulich e i Martinolich emigrati a Trieste, per le isole iniziò l’era del turismo. Baie straordinarie, città-museo dal sapore veneziano,
villaggi dalle antiche tradizioni, isole dai profumi intensi: un Eden da scoprire soprattutto in barca. Come lo fecero gli Argonauti, tanto tempo fa.
Giunti a Lussinpiccolo, alcuni esponenti del Circolo “Istria” hanno fatto
visita, con scambio di doni, alla locale Comunità degli italiani. Ci hanno
accolto con un piccolo rinfresco molto significativo.
La bellezza di LUSSINPICCOLO sta nel suo golfo: pare un fiordo.
Splendida la vegetazione (pini, agrumi, agavi, oleandri, palme, rose e buganvillee). La fondazione della Villa Piccola (Lussinpiccolo) risale al XII secolo.
Le prime case, il duomo ed il cimitero vennero costruite sopra la baia di S.
Martino. Furono i velieri la fortuna di Lussinpiccolo. Nel 1855 venne inaugu-
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rata l’Accademia nautica. Il Duomo è dedicato alla Natività della Beata
Vergine. All’interno, quadri e doni votivi dei marinai. La Via Crucis è una
copia di quella del Tiepolo a S. Polo, a Venezia. Sul porto la piazza del mercato con negozi, caffé, e ristoranti. Il posto più rinomato per il turismo è la
baia di Cigale (Čikat). Accanto alle ville della nobiltà viennese, i nuovi alberghi con stabilimenti balneari e campi da gioco. Il clima mite anche d’inverno,
le piante balsamiche e i bagni di mare curano l’asma e le malattie respiratorie. Sul promontorio di Cigale, la chiesa dell’Annunciazione di Maria, una
volta, fino agli anni settanta, ricca di quadri ex voto e poi spariti. Oggi ci sono
delle copie, che non hanno nulla che vedere con gli originali.
Immersa nel verde di una stretta valle appare LUSSINGRANDE. Nel
‘600 si trasformò da cittadina agricola a città di mare, di armatori e capitani:
di qui la sua opulenza. Oggi vive di turismo. La cittadina si apre sul
Mandracchio. Il duomo barocco di S. Antonio Abate, del 1774, con il suo
campanile è la più importante pinacoteca delle isole quarnerine. Altari e
dipinti vennero donati da Gaspare Craglietto. I ricchi lussignani facevano a
gara per riempire le chiese di opere d’arte. Da vedere l’Adorazione dei Magi
di Francesco Hayez, il S. Francesco, la Madonna con Bambino e i santi di
Bartolomeo Vivarini e un’icona bizantina del ‘500 della Madonna col
Bambino. Nella torre venetica cilindrica, stemma di Lussingrande, si conserva una copia dell’Apoxyòmenos, atleta che si deterge dopo la gara. E’ una
delle pochissime statue greche in bronzo esistenti nel mondo. Anche la chiesa Madonna degli Angeli è una pinacoteca. Sul primo altare un bel dipinto del
tardo ‘500 con la Madonna, S. Nicola e S. Rocco. Lungo le pareti, otto quadri con episodi della Sacra Scrittura. L’edificio più conosciuto è la “Vedetta
marina”: fu il palazzo dell’arciduca austriaco Carlo Stefano, oggi l’ospedale
per la cura delle malattie allergiche e respiratorie. Enorme il parco mentre nell’orto botanico vennero interrate 200 nuove specie di piante mediterraneoesotiche. Nei dintorni la chiesa più vecchia, S. Nicola. Sul monte S. Giovanni
ci sono la chiesa di S. Giovanni e le cappellette della Via Crucis. Il secondo
porto di Lussingrande è Rovenska.
Peccato che il tempo passa molto veloce perché due giorni sono pochi per
ammirare le bellezze di quest’isola. Al ritorno, verso il sud-ovest, spicca il
monte Ossero (m. 600 circa) che invita di munirsi di scarponi e zaino per
un’escursione.
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DUECASTELLI (DVIGRAD), CANFANARO (KANFANAR)
S.VINCENTI (SVETVINČENAT), GIMINO (ŽMINJ)
L’escursione che ci accingiamo a fare ci porta nell’Istria sud-orientale, leggermente verso l’interno. Una parte si trova nell’entroterra rovignese ed una
(Gimino) gravita verso Pisino. Non parlerò di Rovigno, città alla quale dedicheremo una giornata intera. Oggi tratteremo di quattro località che in media
distano dal mare circa 15 chilometri.
E’ stata una domenica fredda, piovosa e ventosa. Nonostante l’inclemenza
del tempo 53 persone, fra Monfalcone,Trieste e Muggia, sono salite nella corriera. Oltrepassati i confini ed espletate le formalità, (per quanto tempo ancora dovremo subire i controlli Dio solo lo sa), abbiamo imboccato la nuova
strada per Pola, la cosiddetta Ipsilon occidentale. Ne è valsa la pena in quanto abbiamo ammirato i bei paesi istriani da un’altra angolazione. Abbiamo
scoperta, nel vero senso della parola, Buie, Verteneglio, Visinada e Mompaderno dal lato mare: spettacolo indimenticabile. La nuova arteria fa vedere
un’altra parte dell’Istria, cioè la Valle del Quieto. Il viadotto, nei pressi di
Cittanova, apre la visuale verso terre che pochi conoscevano, forse soltanti i
contadini e i cacciatori. Il paesaggio invita ad escursioni a piedi a in mountain-bike.
Ora ci addentriamo nel cuore medioevale dell’Istria.
DUECASTELLI: rocche, castelli, antichi abitati
ora deserti, ci hanno accolto con i coloro dell’autunno e della sensazione della
breve esistenza delle cose
umane.
Quello che rimane di
Duecastelli è una rocca in
rovina, già abbandonata tre
secoli fa e oggi testimonia
un mondo che si è fermato nell’alta valle del Canale di Lemme. I resti della
cattedrale di S. Sofia sono gli unici superstiti degli antichi fasti di questo
borgo.
Semplici nella loro umile costruzione, rimangono le rovine delle case di
comune abitazione, di cui restano i muri perimetrali e le nicchie incassate
nella pietra, piccoli luoghi sacri domestici, in cui si conservava l’umile tesoretto della famiglia, l’olio e la palma benedetta.
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CANFANARO: lasciato l’ex abitato di Duecastelli, si è visitata
Canfanaro, più precisamente abbiamo visitato la parrocchiale di S. Silvestro
che conserva al suo interno il pulpito tardo romanico di S. Sofia qui traslato
nel 1714 per “sicurezza”, assieme agli altri arredi sacri della città di
Duocastelli in abbandono. L’immagine scolpita di S. Sofia regge nelle mani
due castelli, in quanto in origine ne erano due: Castrum Parentium e
Moncastello.
SANVINCENTI: piccolo abitato ma elegante e
le raffinate architetture presenti nella piazza principale
del paese.
Ricordiamo, primo su
tutti, il rinascimentale castello della famiglia veneziana Morosini - Grimani
edificato nel 1599 su progetto dello Scamozzi e del
Campagna.
Di richiamo veneto anche la parrocchiale che conserva nel suo interno una
bella pala d’altare di Palma
il Giovane, al centro la cisterna e a fianco una loggia
del cinquecento dalle linee
sobrie ed essenziali.
E’ doveroso fermarsi
nella chiesa cimiteriale dedicata a S. Vincenzo. La
chiesa è completamente affrescata, si riconoscono tre strati di putture, molto
deteriorate, che abbracciano un arco di tempo che dal romanico giunge alle
prime esperienze gotiche. Del secondo strato abbiamo persino la firma:
Ognibene da Treviso.
GIMINO: l’escursione volge al termine, resta la curiosità di visitare il
borgo di Gimino con la sua parrocchiale cinquecentesca dedicata a S. Michele
arcangelo e la piccola cappella affrescata posta ai lati dello stesso edificio e un
tempo inserita nel cortile dell’originario castello.
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Intirizziti ed infreddoliti
ci siamo trasferiti nell’agriturismo che ci attendeva
con un bel fuoco nel caminetto, con il calore della
gente, con delle portate
principesche e la vivace
fisarmonica di Livio Lonzar che ormai fa parte di
tutte le nostre escursioni in
Istria.
Ho riportato le escursioni organizzate del Circolo di cultura Istro-veneta
“Istria” dal 2000 in poi. Pertanto la descrizione dell’Istria e delle Isole risulta
incompleta: verranno aggiornate man mano verranno programmate e portate
a termine.
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INDICE
ITINERARI ISTRIANI:
PROPOSTE DI VIAGGI E SOGGIORNI DI STUDIO IN ISTRIA
di Alfredo Venier
Prefazione
di Maura e Nicolò Molea
pag.
5
“
7
“
13
“
19
Presenze etniche e culturali molteplici (italiane e slave,
con persistente impronta veneta nei borghi maggiori
“
21
L’itinerario già austriaco
Contea di Pisino e signorie feudali minori.
I segni della presenza tedesca. Più rari i segni di Venezia.
Predominanza etnica croata.
“
25
Affreschi medioevali istriani
“
27
La Ciceria e l’alta Valle dell’Arsa
“
29
Bibliografia essenziale
“
30
L’Istria
Cenno storico
Le coste L’Istria romana, bizantina, veneta
La costa occidentssale da Capodistria a Pola
La costa orientale da Albona ad Abbazia
e le isole del Quarnero. Ancora segni della
presenza romana, bizantina e veneta
SULLE ORME DI GIACOMO FILIPPO TOMMASINI
di Fabio Scropetta
Prefazione
pag.
35
Dignano
“
37
Albona
“
39
La Ciceria
“
41
Escursione a Montona e nella Valle del Quieto
“
43
Escursione nell’Isola di Cherso
“
45
L’Isola di Veglia
“
47
Pola, Nesazio, Valle d’Istria
“
49
Cristoglie, Colmo, Rozzo, Draguccio
“
53
Lussinpiccolo, Lussingrande
“
55
Duecastelli, Canfanaro, S. Vincenti, Gimino
“
57
Finito di stampare nel mese di dicembre 2005 presso la
Tipografia Villaggio del Fanciullo - Opicina (Trieste)
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