Dipartimento della Protezione Civile
Ufficio Previsione, Valutazione, Prevenzione e Mitigazione dei Rischi Naturali
Servizio Rischio Idrogeologico, Idraulico, Idrico, Marittimo e Costiero
La crisi idrica
Premessa
Tra le problematiche ambientali che interessano il pianeta, la crisi idrica è senza
dubbio una delle più rilevanti. L’acqua è un bene limitato sulla terra, essenziale per ogni
essere umano, per conservarne la salute e per svilupparne le attività. Inoltre l’acqua è un
bene prezioso perché, né facilmente, né ugualmente accessibile a tutti. Tuttavia, la
scarsità idrica è originata non solo dalla carenza fisica della risorsa (per esempio, per
mancanza di precipitazioni), ma anche dalla inadeguatezza degli impianti, dalla povertà,
dagli abusi di potere e dalle ineguaglianze.
Foto 1 - Abbassamento del livello del lago Mead (Arizona, Stati Uniti) originato dalla siccità (foto NASA).
Secondo un recente rapporto dell’UNDP (United Nations Development Programme,
2006) a causa della scarsità idrica circa 1,1 miliardi di persone non hanno accesso
all’acqua potabile, circa 2,6 miliardi di persone non hanno accesso a adeguati servizi
igienico sanitari e circa 1,8 milioni di bambini muoiono ogni anno a causa di malattie legate
alle precarie condizioni igienico-sanitarie.
In questo documento saranno sinteticamente descritti i diversi significati che la
scarsità idrica assume nei diversi contesti d’uso, esaminandone gli impatti e descrivendo
quali sono gli aspetti istituzionali e normativi della gestione della risorse idriche nel nostro
paese. Verranno dunque esaminati i fattori tecnici e gestionali che connotano il settore
idrico italiano e le sue debolezze che hanno sovente determinato l’insorgenza di crisi
idriche. Infine, verranno considerati gli aspetti di previsione e prevenzione che, come nel
caso di altre calamità naturali, possono ridurre notevolmente gli impatti delle crisi idriche
nei confronti della popolazione e del sistema produttivo.
Concetti introduttivi
Sono diversi i significati che la scarsità idrica assume nei diversi contesti sia fisici che
socio-economici: in particolare si parla di vera e propria siccità quando ci troviamo di fronte
ad una manifestazione del clima non permanente, associata ad una temporanea carenza
di piogge, ma che si manifesta in forme diverse secondo i contesti d’uso delle risorse
idriche disponibili.
In base alla definizione fornita dal DPCM 04.03.1996, la deficienza idrica (o crisi
idrica) si ha allorquando in un sistema di approvvigionamento idrico l’ordinaria domanda
d’acqua da parte degli utenti non può essere corrisposta, sia per eventi di siccità,
inquinamento o errata gestione delle fonti di alimentazione, sia per carenze di natura
infrastrutturale (inadeguatezza degli impianti).
E’ chiaro dunque che si può avere una crisi idrica anche quando le precipitazioni non
sono particolarmente deficitarie rispetto alle medie storiche, ma l’inadeguatezza dei
sistemi di approvvigionamento idrico è tale da determinare ugualmente disagi per la
popolazione ed i sistemi produttivi. Per aridità si intende invece una condizione climatica
naturale e permanente di scarse precipitazioni nell’intero anno o in un lungo periodo
dell’anno. La desertificazione, spesso confusa con la siccità, è invece un processo
permanente di degrado del sistema bio-produttivo (suolo, vegetazione, esseri viventi)
provocato da cause antropiche o da variazioni climatiche nelle zone aride, semiaride o
subumide secche (Quaranta e Salvia, 2006). Infine, alcuni autori (Pereira et al., 2002)
definiscono come carenza idrica (water shortage) un deficit temporaneo nel bilancio
risorse-domande dovuto solo a cause antropiche.
Effetti della siccità
Gli effetti della siccità possono essere classificati in vari modi, ad esempio sulla base
del settore economico colpito (agricolo, urbano, industriale), sulla base della durata (a
breve o a lungo termine), sulla base della natura della connessione (diretta o indiretta) tra
carenze idriche e loro conseguenze ed infine sulla base dell’ambito territoriale interessato
(località, regione, nazione, continente, etc.).
I principali effetti negativi a breve termine sull’agricoltura asciutta e sull’agricoltura
irrigua con insufficienti riserve idriche, possono considerarsi i seguenti (Rossi, 1995):
- effetti diretti: riduzione delle produzioni agricole, danni alle colture pluriennali,
aumento degli incendi, danni agli allevamenti zootecnici e relative perdite,
costi necessari per le fonti di approvvigionamento di emergenza;
- effetti indiretti sulle industrie e sulle comunità locali dipendenti dall’agricoltura.
Foto 2 - Campo di grano colpito dalla siccità (Iowa, USA) (foto USDA NRCS).
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Gli effetti negativi nel lungo periodo possono considerarsi quelli relativi alla riduzione
delle aree coltivate, alle necessità di riconversioni colturali, con introduzione di specie più
resistenti alle siccità, all’incremento dell’erosione idrica ed eolica e nei casi più gravi alla
riduzione dell’occupazione e all’abbandono della terra.
Sui sistemi idrici urbani, i principali effetti negativi possono considerarsi:
- i disagi degli utenti privati in seguito alla riduzione delle erogazioni;
- gli effetti economici subiti dagli enti di gestione in conseguenza della riduzione
delle entrate o dell’aumento delle spese di esercizio, in particolare per
assicurare fonti di emergenza per l’approvvigionamento idrico;
- l’aumento dei rischi igienici (nel caso di uso intermittente delle reti di
distribuzione e/o di trasporto di acqua con autocisterne).
Effetti analoghi a quelli ora elencati per i sistemi urbani possono considerarsi quelli
relativi al settore industriale, al turismo ed alle attività ricreative.
Tra gli effetti ambientali più rilevanti occorre elencare almeno i seguenti:
- gli effetti negativi sulla qualità delle acque dei corpi idrici (per maggiori
concentrazioni saline o minori capacità di diluizione degli scarichi inquinanti):
- i danni transitori alla vita acquatica o i danni permanenti (scomparsa di alcune
specie di piante e riduzione del patrimonio faunistico);
- la riduzione della possibilità di usi ricreativi di laghi e corsi d’acqua;
- gli effetti sulla qualità dell’aria (polveri, inquinanti).
La gestione delle risorse idriche: aspetti istituzionali e normativi
La normativa italiana ha affrontato da tempo il tema della gestione e della tutela delle
risorse idriche. Nel 1989 è stata emanata la legge 183, la legge di riforma sulla difesa del
suolo, che prende in considerazione anche la fruizione e la gestione del patrimonio idrico
per gli usi di razionale sviluppo economico e sociale e la tutela degli aspetti ambientali ad
essi connessi. Oltre a emanare importanti disposizioni in materia di difesa del suolo, la
legge 183 individua nel bacino idrografico l’unità territoriale elementare nello svolgimento
delle azioni di carattere conoscitivo nella programmazione e pianificazione territoriale. Il
piano di bacino, infatti, diviene l’idoneo strumento “conoscitivo, normativo e tecnicooperativo mediante il quale sono pianificate e programmate le azioni e le norme d’uso
finalizzate alla conservazione, alla difesa ed alla valorizzazione del suolo ed alla corretta
utilizzazione delle acque, sulla base delle caratteristiche fisiche e ambientali del territorio
interessato”.
La legge principale in materia di risorse idriche è tuttavia la cosiddetta legge Galli del
1994: con questa legge viene sancito chiaramente che l’acqua è un bene pubblico. Inoltre,
la stessa legge stabilisce che l’acqua deve essere governata ed utilizzata secondo i
principi della solidarietà e del risparmio idrico, garantendo prioritariamente l’uso umano,
quindi quello agricolo e poi quello industriale. Sempre secondo la legge, l’utilizzo
dell’acqua deve avvenire secondo criteri di sostenibilità, garantendo cioè alla popolazione
di oggi la fruizione del bene senza pregiudicarla alle generazioni future.
La stessa legge, inoltre, ha aperto la strada al riordino dei servizi idrici ed
all’industrializzazione del sistema, stabilendo una netta separazione di ruoli tra l’attività di
indirizzo e controllo (di competenza pubblica) e quella più propriamente gestionale (che
può essere affidata a privati). Con la legge Galli si detta dunque il passaggio da un
sistema frazionato delle gestioni ad un organico sistema imprenditoriale.
L’obiettivo finale è la gestione integrata dell’intero ciclo dell’acqua, i cui costi siano
interamente coperti dalla tariffa. Secondo la riforma il ciclo integrato dell’acqua
(captazione, adduzione, distribuzione, fognatura e depurazione) deve essere accentrato in
un unico soggetto. Il Servizio Idrico Integrato (S.I.I.) è organizzato a livello territoriale
secondo Ambiti Territoriali Ottimali (ATO) delimitati dalle regioni con propria normativa,
seguendo i criteri proposti dal testo di legge (Robotti, 2004). Il compito di procedere
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all’organizzazione del S.I.I. attraverso una serie di operazioni volte a definire i livelli dei
servizi che dovranno essere garantiti ed a produrre tutti gli atti e i documenti necessari
spetta all’Autorità d’Ambito (AATO). Il Piano d’Ambito, prodotto dall’AATO, comprende un
Programma degli interventi necessari, un Piano finanziario e la definizione della tariffa
d’ambito; un Modello gestionale ed organizzativo.
Per quanto riguarda invece la tutela delle risorse idriche, una delle norme più
importanti è il d.lgs. n. 152/99, con il quale sono state emanate importanti disposizioni in
materia di protezione delle acque dall’inquinamento. Tale decreto legislativo si prefigge lo
scopo di prevenire e ridurre l’inquinamento, attuare il risanamento dei corpi idrici inquinati,
proteggere in modo adeguato quelle destinate a particolari usi e perseguire usi sostenibili
e durevoli delle risorse idriche, con priorità per quelle potabili. Tali obiettivi possono essere
raggiunti mediante appositi strumenti di pianificazione (Piani di Tutela delle Acque).
Infine, nel 2000, è stata emanata una importante Direttiva Europea (la cosiddetta
“Water Framework Directive”), mediante la quale il problema della crisi idrica è stato
affrontato con un approccio nuovo ed opposto alle strategie produttivistiche. La direttiva
europea si prefigge l’obiettivo di prevenire le crisi idriche promuovendo l’adozione di
apposite strategie di risparmio idrico, tutelando nel contempo gli ecosistemi idrici (laghi,
fiumi, paludi, sorgenti, etc.) così importanti per la tutela complessiva dell’ambiente e per la
biodiversità. Viene inoltre promossa l’adozione di nuovi criteri di razionalità economica
nella gestione delle acque, basati sul recupero dei costi, inclusi quelli ambientali.
Foto 3 – Gli ecosistemi idrici sono una componente fondamentale dell’ambiente (foto USDA NRCS).
Da ultimo, nel 2006, è stato varato il c.d. “Codice dell’Ambiente” (d.lgs. n. 152/2006)
che ha varato importanti innovazioni in materia di gestione e di tutela delle risorse idriche,
ancora oggi tuttavia in fase di profonda revisione.
Per quanto riguarda invece i soggetti istituzionali competenti in materia di risorse
idriche, la legge italiana stabilisce che di norma, ovvero nel caso non vi siano in corso
eventi calamitosi come siccità o crisi idriche, la pianificazione e la gestione delle risorse
idriche è demandata alle Regioni, agli Enti locali (Province e Comuni), alle Autorità di
Bacino, alle AATO ed agli Enti gestori. In caso di crisi idrica, spetta invece al sistema
nazionale della protezione civile la gestione delle misure di emergenza: questo avviene
per lo più dopo la dichiarazione dello stato di emergenza da parte del Presidente del
Consiglio dei Ministri e l’emanazione di apposite Ordinanze, con le quali vengono
assegnati fondi, poteri e strumenti straordinari finalizzati al superamento dell’emergenza.
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Aspetti tecnici e gestionali
Il settore idrico italiano è caratterizzato da alcuni punti di forza e, nel contempo, da
non poche debolezze. Tra i primi si possono annoverare senz’altro le elevate competenze
tecniche (eredi di tradizioni che risalgono agli acquedotti degli antichi Romani), la buona
copertura areale del servizio di acquedotto e le sinergie con le aziende cosiddette utilities
(per esempio, le aziende del gas), che consentono alle imprese di compensare gli scarsi
introiti provenienti dai servizi idrici con i guadagni maggiori tipici di ambiti più remunerativi,
quali per esempio il gas.
I punti di fragilità del settore idrico italiano sono purtroppo più numerosi: arretratezza
delle infrastrutture, distribuzione ineguale dell’acqua, perdite elevate dalla rete, elevata
frammentazione territoriale e gestionale, carenza di impianti di depurazione, sprechi
notevoli, tariffazione inadeguata, penuria di risorse finanziarie, etc. (Gilardoni e Marangoni,
2004; Rossi, 2001).
Uno dei problemi più dibattuti riguarda la gestione dell’acqua: affinché l’acqua arrivi
nelle nostre case occorre captarla, trasportarla e distribuirla a chi ne fa uso. Ciò richiede
ingenti investimenti finanziari per costruire dighe, trivellare pozzi nelle pianure, raccogliere
le sorgenti in montagna, stendere tubi, installare reti idriche in città, ma soprattutto per
mantenere efficienti tali infrastrutture e gestirne efficacemente l’esercizio, nonché
salvaguardare l’ambiente che le accoglie. Occorre inoltre notare che esistono notevoli
differenze tra le tariffe dell’acqua in Italia, nettamente più basse, e quelle in Europa (vedi
tab. 1).
Tariffa reale media del Servizio Idrico
Integrato in alcune metropoli internazionali
Città
Tariffa (€/mc)
Berlino
4,30
Marsiglia
2,58
Bath
2,20
Bruxelles
2,12
Amsterdam
1,47
Barcellona
1,46
Atene
0,93
Roma
0,78
San Paolo
0,68
Buenos Aires
0,17
Tabella 1 – Tariffa reale media del S.I.I., computata su un consumo medio annuo di 200 mc, 2004.
(elaborazioni Federutility su dati SMAT).
A questo occorre aggiungere inoltre la notevole diminuzione degli investimenti
complessivi nell’industria dei servizi idrici. Pertanto, molti osservatori ritengono sia
necessario aumentare le tariffe al fine di incrementare gli introiti necessari per attivare gli
investimenti finalizzati al riefficientamento delle reti idriche.
A tale visione si oppone chi ritiene che l’acqua, per le sue prerogative sociali ed
ecologiche, debba essere sottratta al libero mercato, evitandone l’affidamento della
gestione ai privati.
Fonti di approvvigionamento idrico
Le fonti di approvvigionamento idrico in uso sono molto diversificate e possono
essere classificate in relazione alla posizione della risorsa idrica nei confronti del terreno
(fonti superficiali o sotterranee). Le fonti di approvvigionamento idrico tradizionali più
utilizzate sono i laghi, i fiumi e gli invasi artificiali (fonti superficiali), le sorgenti ed i pozzi
(fonti sotterranee). La costruzione di invasi artificiali è oggi al centro di un acceso dibattito
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perché molto costosa e non priva di ripercussioni ambientali (sbarramento di un corso
d’acqua, impoverimento delle condizioni ecologiche a valle, etc.) ma consente di
accumulare preziosa risorsa idrica nei periodi di abbondanza (in genere autunno ed
inverno, quando i deflussi dei fiumi sono più consistenti) e di rilasciarla in caso di
necessità, per l’uso irriguo, idropotabile o per produrre energia idroelettrica. Le sorgenti ed
i pozzi sono molto diffusi e consentono di captare efficacemente acqua dal sottosuolo, di
qualità generalmente migliore di quella superficiale; negli ultimi tempi, sono stati tuttavia
numerosi i casi di inquinamento di pozzi o di sorgenti che hanno portato alla loro chiusura.
Entrambe le tipologie risentono, sia pure in modo diverso, di episodi di siccità,
manifestando un impoverimento che può essere più o meno accentuato a seconda dei
casi.
Pertanto, recentemente hanno acquistato maggiore importanza modalità di
approvvigionamento idrico non tradizionali quali la dissalazione, la depurazione, etc.
(Cech, 2005; Figuères et al., 2003). La dissalazione è una tecnica adoperata per l’utilizzo
delle acque del mare, ma necessita di una notevole quantità di energia e consente di
ottenere volumi idrici non particolarmente ingenti, adeguati per l’uso idropotabile ma
insufficienti per i fini irrigui. Tuttavia la dissalazione è sempre più utilizzata perché in alcuni
contesti (per es. le isole o zone costiere particolarmente aride) è l’unica tecnica di
approvvigionamento idrico praticabile e perché il costo di dissalazione per metro cubo
d’acqua è in diminuzione (Figuères et al., 2003). La depurazione consente di rimuovere i
carichi inquinanti dalle acque reflue provenienti dagli scarichi domestici e può essere
utilizzata, anche se con certe cautele, per scopi irrigui.
Utilizzi delle acque
L’acqua, oltre ad essere componente indispensabile per la vita, è adoperata
quotidianamente negli ambienti domestici ed è utilizzata pressoché in tutti gli ambiti
produttivi, dall’irrigazione alla produzione di energia idroelettrica, dal raffreddamento degli
impianti manifatturieri agli usi ricreativi, etc.
Foto 4 – L’irrigazione richiede notevoli volumi idrici (foto USDA NRCS).
I diversi utilizzi, però, non assorbono la stessa quantità di acqua: secondo uno studio
effettuato nel 1999 dall’Istituto di Ricerca sulle Acque del CNR (IRSA-CNR, 1999), in Italia
il 19% dell’acqua è utilizzata per usi civili, il 21% per usi industriali, il 49% per usi irrigui e
l’11% per produrre energia. Nei paesi in via di sviluppo la percentuale dell’acqua utilizzata
per scopi irrigui cresce notevolmente: nei paesi dell’Africa subsahariana tale percentuale
supera a volte anche il 90% (Pereira et al., 2002).
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In qualsiasi paese del mondo, tuttavia, l’agricoltura ed in particolare l’irrigazione,
assorbono la percentuale più alta dell’acqua. Per irrigazione si intende l’apporto artificiale
di acqua al fine di consentire, o di migliorare, la produzione delle colture. L’irrigazione ha
diverse finalità: contribuire al rifornimento idrico delle colture, aumentare il contenuto idrico
nello stato radicale nei periodi di deficienza, modificare le condizioni termiche
dell’ambiente a favore delle colture ed infine migliorare le caratteristiche del terreno.
Le tecniche oggi utilizzate per l’irrigazione sono piuttosto diversificate: le più
tradizionali sono quelle gravitazionali (sommersione, scorrimento, infiltrazione laterale,
subirrigazione freatica).
I metodi più moderni sono invece a pressione e consentono una notevole efficienza
idrica, cioè consentono, a parità di acqua adoperata, un migliore utilizzo per la crescita
delle colture. In particolare, la tecnica della microirrigazione (detta anche a goccia),
inventata dagli Israeliani negli anni ’50, ha una efficienza di distribuzione del 90-95%,
sensibilmente diversa dal 45%, tipico della tecnica a sommersione, usata nelle risaie
(Dichio et al., 2000).
La tutela degli ecosistemi idrici ed il risparmio idrico
L’obiettivo ultimo della gestione delle acque è quello di assicurare agli utenti ed ai
comparti fruitori un approvvigionamento idrico adeguato sia sotto il profilo quantitativo che
qualitativo.
Fino a qualche decennio fa, l’unico modo proposto per soddisfare la domanda
crescente d’acqua era quello di incrementare le risorse disponibili. Oggi si tende invece sia
ad intervenire non solo per ciò che attiene l’aumento delle risorse e la diversificazione
delle fonti di approvvigionamento ma anche e soprattutto per quanto riguarda la protezione
e la tutela dei corpi e degli ecosistemi idrici (water conservation) ed il risparmio idrico
(water saving) (Pereira et al., 2002). E’ necessaria pertanto un’azione di sensibilizzazione
sul valore del bene pubblico acqua – dal punto di vista culturale, sociale, ambientale ed
economico – ed una migliore comprensione della necessità di innalzare il livello di servizio
al consumatore.
La tutela degli ecosistemi idrici è essenziale per preservare adeguate condizioni
qualitative e quantitative dei corpi idrici (laghi, fiumi, torrenti): in tale ambito rientrano le
misure di pianificazione e di programmazione volte a proteggere gli aspetti qualiquantitativi dei corpi idrici, il rafforzamento delle misure gestionali, il mantenimento del
deflusso minimo vitale nei corsi d’acqua, il controllo dei livelli idrici delle falde e la
prevenzione dell’inquinamento, l’adozione di un’adeguata tariffazione, il miglioramento
della consapevolezza pubblica del valore della risorsa idrica, etc.
Proteggere e tutelare gli ecosistemi idrici è una misura necessaria, ma non
sufficiente: occorre cioè che l’acqua adoperata per i diversi usi venga utilizzata in modo
oculato, riducendone il più possibile i consumi.
In questo contesto, il ruolo del risparmio idrico e, più in generale, delle pratiche e
delle tecniche volte a ridurre i consumi è veramente rilevante. Il contributo che può dare
l’utente per prevenire e risolvere uno stato di emergenza idrica è senz’altro notevole: in
futuro è prevedibile che la frequenza degli eventi di siccità aumenti in modo anche
sensibile. Ciascuno di noi dovrebbe, quindi, praticare un risparmio generale dell’acqua
potabile ed un suo uso razionale. Il risparmio idrico è una delle misure di lotta valida per
tutte le forme di scarsità idrica: siccità, crisi idrica, aridità, desertificazione. Ad esso
concorrono una serie di misure: informazioni tempestive e affidabili (sistemi di
monitoraggio), uso più efficiente delle risorse (piani, norme di esercizio, uso, riciclo),
trasferimenti idrici e risorse non convenzionali, gestione delle domande, in particolare
risparmio con strumenti tecnici, tariffari e di sensibilizzazione (Vogt e Somma, 2000;
Wilhite, 2005).
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Alcuni interventi finalizzati al risparmio idrico sono già previsti dalla normativa, in
particolare l’installazione di reti duali in nuovi insediamenti (utilizzando acque di qualità
minore per gli scarichi), installazione di contatori per ogni unità abitativa, rilevamento delle
perdite, manutenzione delle condotte idriche, diffusione di metodi e tecniche di risparmio
ed adozione di tariffe orientate al contenimento dei consumi.
In ambito domestico sono già disponibili alcuni semplici ed economici apparecchi che
consentono di risparmiare acqua, come per esempio i frangigetto (detti anche aeratori)
che possono essere applicati ai rubinetti, consentendo di miscelare acqua ed aria,
ottenendo nel contempo una piacevole sensazione di comfort. Un test effettuato nel
Comune di Bagnacavallo (RA) dalla Regione Emilia Romagna e da Legambiente in
collaborazione con il Comune di Bagnacavallo, Hera Ravenna, la Provincia di Ravenna e
l’Università di Ravenna applicando semplicemente frangigetto e riduttori di flusso in docce
e rubinetti, ha permesso di rilevare un risparmio idrico medio del 10% ed un risparmio di
energia pari a circa 45 tep (tonnellate equivalenti di petrolio l’anno). Anche le lavatrici a
basso consumo o gli sciacquoni a due pulsanti consentono di ridurre la quantità d’acqua
utilizzata in ambito domestico e nel contempo di diminuire l’energia utilizzata.
Si parla poi di riuso e di riciclo idrico rispettivamente quando si ha l’uso diretto o
indiretto di acqua “reflua” per usi diversi a quello precedente oppure il riuso di acqua
“reflua” nello stesso processo o per gli stessi scopi che hanno portato all’acqua “reflua”.
Le applicazioni del riuso/riciclo idrico sono tantissime (Asano, 1998) e vanno
dall’ambito urbano (irrigazione di parchi e giardini, spegnimento degli incendi, costruzioni,
fontane e laghetti, acqua per WC, aria condizionata, irrigazione di campi da golf, cimiteri,
aree residenziali) all’uso agricolo (foraggio, fibre, semi, pascoli, colture varie), all’uso
industriale (raffreddamento di macchinari, costruzioni, lavaggio con getti d’acqua) fino ad
usi più propriamente ecologici (creazioni di zone artificiali umide, mantenimento del
deflusso minimo vitale nei corsi d’acqua) o ricreativi (creazioni di laghetti per la pesca o
per la navigazione, il nuoto, la fabbricazione artificiale di neve, etc.).
I cambiamenti climatici e le risorse idriche
I cambiamenti climatici possono avere forti ripercussioni sulle risorse idriche,
modificandone il ciclo idrologico, alterandone i parametri qualitativi e condizionando
variabili come: l’intensità e la frequenza di alluvioni e fenomeni siccitosi, la disponibilità e la
richiesta di risorsa.
Secondo un recente rapporto dell’Agenzia Europea dell’Ambiente (European
Environment Agency, 2007), i precedenti 5 anni in Europa sono stati caratterizzati dal
verificarsi di circa 100 esondazioni con impatti catastrofici sul territorio. Ciò sicuramente è
stato favorito da un’urbanizzazione ed antropizzazione del territorio molto spinta. Anche le
aree costiere sono fortemente influenzate dai cambiamenti climatici: tra il 1896 ed il 1996 il
livello del mare lungo le coste europee è cresciuto tra gli 80 e i 300 mm.
Tutto ciò condiziona la sostenibilità, la produttività e la biodiversità delle aree costiere
e degli ecosistemi marini. Gli ultimi 30 anni sono stati caratterizzati da numerosi eventi
siccitosi: gli anni notoriamente più colpiti sono stati il 1976, gli anni dal 1989 al 1993, il
2003 e il 2005. In merito a ciò l’opinione pubblica è divisa: si tratta di un trend di crescita
significativo o è una conseguenza della variabilità del clima?
Pertanto, sia pure con lentezza, sono in fase di adozione alcune politiche di
adattamento ai cambiamenti climatici orientate non solo alla mitigazione della crisi idriche
ma anche alla riduzione del rischio alluvionale. Tali politiche includono l’ECCP (“European
Climate Change Programme”) iniziato nel 2000, il programma di azione europeo per far
fronte alle alluvioni (“European Flood Action Programme”) e la citata Water Framework
Directive del 2000.
La risposta istituzionale dell’Europa è piuttosto articolata e può essere così riassunta:
misure tecniche per incrementare la fornitura d’acqua; misure tecniche finalizzate ad
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aumentare l’efficienza idrica; utilizzo di strumenti economici; riduzione dei consumi;
promozione delle attività di previsione e monitoraggio.
Per ciò che concerne invece le alluvioni, le politiche europee prevedono invece:
l’utilizzo di tecniche di ingegneria, la riduzione dell’urbanizzazione nelle aree a rischio, il
miglioramento delle attività di previsione e informazione, il miglioramento delle
infrastrutture poste a protezione delle aree costiere e, più in generale, la gestione del
fenomeno dell’erosione costiera.
Previsione e prevenzione
A differenza di molte altre calamità naturali (terremoti, eruzioni vulcaniche,
inondazioni, etc.) la siccità è caratterizzata da una dinamica temporale che si sviluppa su
tempi sovente molto lunghi, dell’ordine dei mesi o degli anni: occorre cioè un periodo
prolungato di deficit idrologico perché la siccità si possa verificare (Frega, 2002). Vi è in
genere il tempo necessario per predisporre le indispensabili misure di prevenzione e di
mitigazione; tuttavia l’approccio riscontrato il più delle volte può essere considerato di tipo
“reattivo”, ovvero si cominciano a porre in essere misure di contrasto solo ad emergenza
in atto.
Una strategia senz’altro più efficace è quella di tipo cosiddetto “proattivo”, basata
sulla individuazione e sulla predisposizione di misure ed interventi di prevenzione già “in
tempo di pace”.
Figura 1 - Lotta alla siccità: approccio reattivo e approccio proattivo (da Rossi, 2001).
L’approccio proattivo permette da una parte di rispondere con maggiore tempestività
e puntualità durante la fase emergenziale, dall’altra può evitare l’insorgenza del fenomeno
stesso, quantomeno nelle sue forme estreme (Rossi, 2001). Ovviamente attuare una
strategia che comporti un monitoraggio costante del fenomeno e l’attuazione di politiche
atte alla riduzione delle cause e non solamente ad una gestione di tipo emergenziale,
richiede uno sforzo maggiore, ma consente di ottenere risultati maggiormente
soddisfacenti.
Se per fronteggiare la crisi idrica è necessario intervenire sia sulla domanda della
risorsa acqua, regolando i consumi e limitando gli sprechi, sia sull’offerta, migliorando la
rete distributiva e governando i rilasci, è evidente come è necessario impostare politiche di
lungo periodo. È infatti indispensabile affrontare problemi strutturali, come
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l’ammodernamento della rete di distribuzione o la costruzione di onerosi bacini artificiali,
sensibilizzare la popolazione ad un consumo responsabile dell’acqua ed infine essere, in
caso di crisi, in grado di prendere decisioni che, pur comportando dei sacrifici per una o
più categorie, consentano un governo di insieme della risorsa complessivamente migliore.
La gestione delle crisi idriche mette in gioco molte delle componenti del sistema
paese, dalla protezione civile, ai gestori della rete idrica, dai corpi di polizia preposti ai
controlli, ai rappresentanti del settore primario e secondario, alla popolazione; è un ottimo
terreno su cui misurare l’efficienza ed anche il grado di solidarietà delle diverse
componenti (sociali, economiche, territoriali, etc.) di un paese.
Il monitoraggio
Nell’ambito delle attività di previsione e prevenzione delle crisi idriche, il monitoraggio
è di fondamentale importanza per riconoscere in tempo utile i segnali di un’incipiente crisi
idrica e per descriverne l’evoluzione: a tal fine è indispensabile raccogliere ed elaborare i
dati relativi ai parametri idropluviometrici più rilevanti provenienti dalle reti strumentali in
telemisura (pluviometri, idrometri, etc.) e raccogliere anche informazioni sulla effettiva
disponibilità idrica (volumi invasati nei bacini artificiali, portate erogate dalle sorgenti, livelli
idrici dei pozzi, etc.).
Il Dipartimento della Protezione Civile, con la collaborazione delle Regioni e degli altri
Enti pubblici e privati interessati, effettua in maniera continuativa il monitoraggio delle
risorse idriche esistenti, allo scopo di valutare la possibilità di insorgenza di una crisi. Nel
caso dell’approssimarsi di un peggioramento della situazione, l’attività di monitoraggio
viene intensificata nelle zone di interesse.
Foto 5 - Il monitoraggio delle disponibilità idriche è fondamentale per prevenire una crisi idrica (foto DPC).
All’interno del Dipartimento, il Centro Funzionale Centrale dispone di una rete di
stazioni in telemisura (pluviometri, idrometri, etc.) distribuita su tutto il territorio nazionale e
gestita dalle regioni, in grado di fornire dati con una cadenza di circa trenta minuti:
confrontando i dati disponibili con quelli storici e con soglie precedentemente stabilite è
possibile valutare la situazione in atto. La rete dei Centri Funzionali, costituita da un
Centro Funzionale Centrale presso il DPC e dai Centri Funzionali Regionali, rappresenta
la struttura tecnico-scientifica a supporto delle decisioni di protezione civile.
In particolare l’azione di monitoraggio viene effettuata tipicamente attraverso il
controllo di alcuni parametri o l’elaborazione di alcune previsioni:
- andamento delle temperature;
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-
livelli idrometrici (altezza in m rispetto ad un valore di riferimento) e portata
(mc/s che passano in una sezione trasversale al corso d’acqua);
livelli idrometrici e rilasci dei laghi e degli invasi;
livello della falda acquifera;
stato della copertura del manto nevoso (riserva d’acqua fondamentale che
formandosi nei mesi invernali permette il rilascio in quelli più caldi);
prelievi irrigui (legati alle necessità degli agricoltori);
funzionamento delle centrali idroelettriche;
modelli idrologici speditivi in grado di simulare l’andamento delle portate, dati
dei valori di partenza.
A tutto questo si accompagna la disponibilità di previsioni stagionali che, per quanto
ancora caratterizzate da notevoli incertezze nella predizioni, sono comunque in grado di
fornire una valutazione di massima sulle caratteristiche meteoclimatiche attese nei mesi
successivi. A tal riguardo, si ricorda che tale tipologia di previsione va comunque distinta
dalle ordinarie previsioni meteorologiche, considerate generalmente affidabili fino ad un
massimo di 3 giorni, e con un margine d’errore notevolmente inferiore rispetto alle
precedenti.
Le ultime crisi idriche in Italia
2003
Nel primo semestre del 2003 l’Italia settentrionale, ed in particolare il bacino del Po, è
stata interessata da una crisi idrica che ha coinvolto sia il comparto agricolo, sia il settore
energetico.
La situazione climatica, caratterizzata nel primo semestre da un aumento delle
temperature medie stagionali e da un’eccezionale scarsità di precipitazioni, ha determinato
un aumento ed un anticipo stagionale dell’uso irriguo della risorsa idrica ed il contestuale
incremento dei consumi elettrici ed idropotabili, anche per far fronte al grande caldo
manifestatosi nelle aree urbane. La crescita dei consumi ai limiti delle riserve con il
necessario ricorso a “distacchi programmati”, la scarsa disponibilità e gli insufficienti livelli
idrici per le produzioni termoelettriche d’energia, soprattutto lungo l’asta del Po e di alcuni
dei suoi affluenti, hanno comportato la crisi del sistema elettrico nazionale. Per far fronte a
questa situazione in data 31 luglio 2007 è stato proclamato lo stato d’emergenza per
buona parte delle regioni del centro-nord.
Proprio per fare fronte a tale emergenza, a Parma in data 18 luglio, è stato firmato un
Protocollo d’intesa tra le varie autorità competenti. Il protocollo d’intesa stabilisce che, al
fine di garantire un sufficiente livello idrometrico del Po e permettere il regolare
funzionamento delle centrali termoelettriche ubicate lungo l’asta dello stesso fiume, è
necessario il rilascio di ingenti volumi di acqua dagli invasi artificiali alpini. L’aumento di
deflusso necessario, proveniente dagli invasi alpini, viene fissato a circa 3 milioni di mc
giornalieri, utilizzati per assicurare le utenze irrigue essenziali, quelle idropotabili destinate
soprattutto alla provincia di Ferrara e quelle energetiche. A seguito di questi interventi e di
alcune precipitazioni avvenute a metà agosto, alla fine di agosto l’emergenza rientra.
2006
A causa del progressivo peggioramento delle condizioni idrologiche del bacino del
fiume Po e dei bacini limitrofi il 28 luglio il Consiglio dei Ministri dichiara lo stato di
emergenza. Viene quindi convocata la “cabina di regia” (organo di coordinamento) cui
fanno seguito alcune indicazioni operative destinate ai gestori degli invasi idroelettrici, agli
Enti gestori dei grandi laghi prealpini regolati ed ai Consorzi di Bonifica.
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In particolare ai Gestori degli invasi idroelettrici si richiede – tra l’altro - di utilizzare a
pieno regime le turbine idroelettriche (al fine di rilasciare maggiore acqua) e di rinviare le
operazioni di manutenzione ordinaria e straordinaria. Agli Enti gestori dei grandi laghi
prealpini regolati (Maggiore, Como, Iseo, Garda, etc.) viene chiesto di ridurre le portate
erogate per gli usi irrigui; agli agricoltori si richiede di praticare un piano di risparmio idrico
e di ridurre i consumi. Si intensificano inoltre le attività di controllo e repressione dei
prelievi idrici abusivi, ad opera del Corpo Forestale dello Stato e dell’AIPO.
A partire dalla seconda metà del mese di agosto, con la ripresa delle precipitazioni,
la crisi rientra. Il 31 ottobre ha termine lo stato di emergenza.
2007
Gli ultimi mesi del 2006 ed il gennaio del 2007 registrano precipitazioni, soprattutto a
carattere nevoso, notevolmente al di sotto della media. Con la Circolare del Presidente del
Consiglio dei Ministri del 5 marzo 2007 recante “Indicazioni operative per fronteggiare
eventuali crisi idriche”, il Presidente del Consiglio detta alcune indicazioni relative sia al
rafforzamento dei sistemi di previsione e di preannuncio delle crisi idriche che alla
predisposizione di misure di prevenzione e di gestione delle crisi idriche.
Foto 6 - Il Ticino a Pavia, 2007 (foto Servizio Protezione Civile Provincia di Pavia).
In data 4 maggio il Consiglio dei Ministri dichiara lo stato di emergenza nei territori
delle regioni dell’Italia centro-settentrionale colpiti dalla crisi idrica ed in data 15 giugno,
tramite un’Ordinanza del Presidente del Consiglio, è nominato Commissario delegato il
Direttore dell’Ufficio Previsione, Valutazione, Prevenzione e Mitigazione dei Rischi Naturali
del Dipartimento della Protezione civile. Successivamente, il Commissario delegato ha
emanato alcune disposizioni con le quali si richiede agli Enti gestori degli invasi alpini di
rilasciare determinati volumi idrici; agli agricoltori, analogamente a quanto avvenuto nel
2006, si chiede di ridurre i prelievi irrigui e di praticare un efficiente risparmio idrico.
Campagne di informazione e sensibilizzazione
Per quanto l’utilizzo della risorsa acqua sia per lo più legata al settore industriale e
soprattutto al comparto agricolo, è però importante che anche la popolazione sia a
conoscenza del problema e metta in atto comportamenti virtuosi. Il contributo che può
fornire la popolazione è veramente rilevante e può servire per apprezzare in modo corretto
il valore del bene acqua.
A questo scopo il Dipartimento della Protezione Civile è da anni impegnato in
campagne di informazione e sensibilizzazione su un uso corretto della risorsa.
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Gli strumenti utilizzati sono stati principalmente opuscoli informativi, spot televisivi,
incontri con le scuole, etc. In particolare, nell’estate 2007 sono stati trasmessi alcuni spot
televisivi che enfatizzavano l’importanza della gestione condivisa dell’acqua da parte dei
diversi comparti fruitori (irriguo, industriale, energetico, domestico).
Analoghe campagne sono state effettuate dalle Regioni e dagli Enti locali: tra queste
si ricorda la campagna di sensibilizzazione effettuata in Sicilia, dopo la crisi idrica del 2002
che aveva determinato pesanti disagi alla popolazione.
Considerazioni conclusive
La crisi idrica è una problematica che affligge tutto il pianeta, sia pure in modo
diseguale, e che è originata non solo da una scarsità delle precipitazioni ma anche da
carenze infrastrutturali e gestionali, dalla povertà, dagli abusi di potere e dalle
ineguaglianze. In particolare modo, in Italia, la crisi idrica è originata non solo da
condizioni vere e proprie di siccità, ma anche e soprattutto dai diversi fattori di debolezza
che connotano il sistema idrico italiano (frammentazione gestionale, obsolescenza delle
infrastrutture, perdite elevate, notevoli sprechi, etc.) e, per il quale, sono necessari ingenti
investimenti finanziari, indispensabili per il miglioramento delle infrastrutture.
Un approccio meramente produttivistico, finalizzato solamente all’incremento della
risorsa idrica disponibile, è peraltro insufficiente: occorre anche e soprattutto basare la
prevenzione delle crisi idriche su un uso razionale ed oculato della risorsa, limitando i
consumi ed evitando gli sprechi, specialmente nei settori più idroesigenti, quale
l’irrigazione. Esistono ampi margini di miglioramento per quanto riguarda la cosiddetta
efficienza idrica, ovvero le condizioni di migliore utilizzo dell’acqua nei diversi contesti di
utilizzo: basti pensare alla migliore efficienza della irrigazione a goccia nei confronti della
classica irrigazione a scorrimento.
L’approccio proattivo è senza dubbio il migliore nella prevenzione, contrasto e
gestione delle crisi idriche: dopo un accurato censimento delle fonti di
approvvigionamento, occorre effettuare periodicamente un monitoraggio della disponibilità
e dei fabbisogni idrici, unitamente all’esame continuo delle variabili idrometeorologiche
(precipitazioni, livelli dei fiumi, etc.). Limitarsi a reagire ad emergenza avvenuta (approccio
reattivo) è una prassi, ancorché diffusa, poco efficace e molto costosa.
Inoltre occorre mettere a punto efficaci piani di emergenza finalizzati al contrasto ed
alla mitigazione degli effetti della siccità. Tali piani dovranno essere connessi ad un
sistema di indicatori idrologici e di disponibilità idrica e potranno prevedere l’impiego di
mezzi atti all’approvvigionamento idrico in caso di emergenza (potabilizzatori mobili,
insacchettatrici, etc.). In tale contesto, quando la risorsa idrica è davvero esigua, diventa
ancora più nevralgico il ruolo dello Stato, e più in generale dell’Autorità pubblica, nel saper
mediare tra i vari e spesso contrastanti interessi delle diverse realtà territoriali e dei
comparti produttivi interessati (agricoltura, industria, energia, etc.) garantendo
prioritariamente un adeguato approvvigionamento idrico alla popolazione.
Infine, più in generale, è necessario riacquistare una profonda consapevolezza del
valore del bene acqua, sotto i più svariati profili: sociale, ambientale, economico, etc. Il
ruolo attivo della popolazione è fondamentale: anche compiendo semplici gesti (per
esempio facendo la doccia invece del bagno, oppure evitando di fare scorrere inutilmente
l’acqua dal rubinetto) si dà un contributo importante per la conservazione del nostro
patrimonio idrico e, più in generale, dell’ambiente. Solo mediante un uso avveduto
dell’acqua sarà possibile comprendere a fondo il valore di un bene, oggi sempre più
degradato e nel contempo sempre più indispensabile.
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Per saperne di più
Bibliografia
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Su Internet
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ANBI (Associazione Nazionale Bonifiche e Miglioramenti Fondiari): www.anbi.it
Autorità di bacino del fiume Arno: www.adbarno.it
Autorità di bacino del fiume Po: www.adbpo.it
Autorità di bacino della Basilicata: www.adb.basilicata.it
Dipartimento della Protezione Civile: www.protezionecivile.it
Enti regolatori dei grandi laghi: www.laghi.net
Federutility: www.federutility.it
INEA (Istituto Nazionale di Economia Agraria): www.inea.it
Istituto Agronomico Mediterraneo di Bari: www.iamb.it
Regione Emilia Romagna: www.regione.emilia-romagna.it
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Siti internazionali
AWWA (American Water Works Association): www.awwa.org
EEA (Environment European Agency): www.eea.europa.eu
EPA (Environmental Protection Agency): www.epa.gov
FAO (Food and Agriculture Organization): www.fao.org
IWMI (International Water Management Institute): www.iwmi.cgiar.org
NASA (National Aeronautics and Space Administration): www.nasa.gov
NDMC (National Drought Mitigation Center): www.drought.unl.edu
NRCS (National Resources Conservation Service): www.nrcs.usda.gov
UNDP (United Nations Development Programme): www.undp.org
UNESCO-IHP (International Hydrological Programme): www.unesco.org/water/ihp
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