Anno LIX - N. 10 - 31 maggio 2011 - Rivista quindicinale - kn 14,00 - EUR 1,89 - Spedizione in abbonamento postale a tariffa intera - Tassa pagata ISSN-0475-6401
Panorama
www.edit.hr/panorama
Mladic´ all’Aja
Riconciliazione
più vicina?
Panorama testi
I primi alberghi dell’Adriatico
ignificativo contributo di carattere culturale all’offerta
turistica generale, al Museo del turismo di Abbazia è
stata allestita la mostra I primi alberghi dell’Adriatico”
che si propone di avvicinare ai visitatori le peculiarità degli impianti che hanno caratterizzato in genere l’architettura dei centri quali la stessa Abbazia, Ragusa (Dubrovnik), Lussinpiccolo, Crikvenica e l’arcipelago delle Brioni. Con questa mostra, che resterà aperta a Villa Angiolina fino al febbraio del prossimo anno, si vuole mostrare al
grande pubblico la ricchezza architettonica di questi alberghi, per parecchi aspetti ancor sempre troppo poco valorizzata. Si comincia dalla storia di Abbazia dove nel 1884 e
1885 vennero costruiti i due più grandi ovvero il Quarnero
(odierno Kvarner) e lo Stephanie (odierno Imperial).
S
2 Panorama
In primo piano
Le valutazioni del ministro Gianfranco Rotondi all’incontro polese con la CNI
Un’invidiabile passione civile
di Mario Simonovich
«I
l fatto che l’evento “Il governo
incontra” si svolga al di fuori
dei confini nazionali italiani e
che la scelta sia caduta sulla CNI, a palese comprova di una precisa strategia
dell’Italia, è per noi motivo di grande
orgoglio, in quanto ci ha dato modo
di far conoscere al ministro Gianfranco Rotondi la realtà della CNI di cui
ha ricavato, per sua stessa ammissione, un’impressione molto favorevole.
Da noi ha sentito non un elenco di piagnistei, ma un’esposizione per illustrare, con dignità e compostezza, quello
che, come italiani, con orgoglio stiamo
facendo e continueremo a fare e quello che, con umiltà e senso di responsabilità, chiediamo al governo italiano. Credo che questi aspetti siano stati colti pienamente dal ministro e che
pertanto l’evento abbia un significato
particolare e darà risultati importanti».
Si è espresso in questi termini il presidente della Giunta UI, Maurizio Tremul a conclusione dell’incontro con il
ministro per l’Attuazione del programma di governo a cui, con il presidente
dell’UI, Furio Radin, sono convenuti i
responsabili e dirigenti delle CI, scuole
e mezzi d’informazione.
Un giudizio che ha trovato puntuale riscontro in quanto dichiarato
dall’ospite che ha avuto parole d’elogio per la minoranza e il suo impegno culturale e civile: “Qui ho ammirato biblioteche che non si trovano
nelle nostre città ed una passione civile che bisognerebbe risvegliare in tanti italiani che vivono oltre confine”.
Ammettendo che, nell’ottica
dell’Europa quale si presenta oggi, è palese una battuta d’arresto dei grandi ideali
che un tempo l’animarono, il
ministro ha detto che “la memoria che irrompe nelle nostre coscienze induce a considerare con la massima attenzione i valori di un tempo.
La collaborazione con l’Istria
va mantenuta e proseguita: l’Istria e la Croazia tutt-
L’incontro polese tra il ministro Rotondi e la CNI (foto Marko Mrđenović)
ta sono più che mature per l’entrata in
Europa”. In quanto alla necessità della
legge di tutela permanente, prospettata
da Tremul, ha sottolineato che l’incontro si era prefisso di rilanciare un rapporto e quindi di “fornire gli strumenti
necessari” perché ciò avvenga.
Nel corso dell’incontro all’ospite
sono stati prospettati i punti salienti
della vita e attività della CNI. Viviana Benussi, vicepresidente della Regione Istriana, ha parlato di un modello istriano, plurilingustico e multiculturale, che favorisce il dialogo e
il rispetto fra le diverse etnie che vi-
vono nella penisola. Roberto Battelli, deputato al Parlamento di Lubiana,
ha prospettato il quadro di una Slovenia precaria e insicura per gli italiani:
la gran parte delle promesse loro fatte sono state disattese. Norma Zani,
vicepresidente della Giunta, ha rilevato la crescita formativa della CNI
le cui scuole vedono oggi la presenza
di 4200 discenti e 700 docenti. Non
sono copie del modello croato o sloveno ma istituti in cui vi è una chiara
presenza ed influenza delle discipline
formative identitarie.
“Siamo gli eredi di coloro che, una
volta cambiati i confini, decisero di rimanere, ha rilevato Silvio Forza, direttore
Edit. Siamo privi di fabbriche che producono, negozi
che vendono e agenzie che
piazzano: per noi la cultura è identità di valori etici.
Le nostre istituzioni culturali hanno cardini identici
a quelli su cui ruota l’Europa civile e la nostra attività
pubblicistica ed editoriale
costituisce uno straordinario strumento per il rafforzamento della presenza italiana in queste terre”. ●
Panorama 3
Panorama
www.edit.hr/panorama
Ente giornalistico-editoriale
ED IT
Rijeka - Fiume
Direttore
Silvio Forza
PANORAMA
Redattore capo responsabile
Mario Simonovich
[email protected]
Progetto grafico - tecnico
Daria Vlahov-Horvat
Redattore grafico - tecnico
Saša Dubravčić
Collegio redazionale
Bruno Bontempo, Nerea Bulva,
Diana Pirjavec Rameša, Mario
Simonovich, Ardea Velikonja
REDAZIONE
[email protected]
Via re Zvonimir 20a Rijeka - Fiume, Tel.
051/228-789. Telefax: 051/672-128, direttore: tel. 672-153. Diffusione: tel. 228-766
e pubblicità: tel. 672-146
ISSN 0475-6401 Panorama (Rijeka)
ISSN 1334-4692 Panorama (Online)
ABBONAMENTI: Tel. 228-782. Croazia:
an­nuale (24 numeri) kn 300,00 (IVA inclusa);
semestrale (12 numeri) kn 150,00 (IVA inclusa); una copia kn 14,00 (IVA inclusa). Slovenia:
annuale (24 numeri) euro 62,59 - semestrale
(12 numeri) euro 31,30 - una copia euro 1,89.
Italia: annuale (24 numeri) euro 70,00 una
copia: euro 1,89.
Versamenti: per la Croazia sul cc.
2340009-1117016175 PBZ Riadria banka d.d.
Rijeka. Per la Slovenia: Erste Steiermärkische
Bank d.d. Rijeka 7001-3337421/EDIT SWIFT:
ESBCHR22. Per l’Italia - EDIT Rijeka
3337421- presso PBZ 70000 - 183044 SWIFT:
PBZGHR2X.
Numeri arretrati a prezzo raddoppiato
INSERZIONI: Croazia - retrocopertina
1.250,00 kn; retrocopertina interna 700,00 kn;
pagine interne 550,00 kn; Slovenia e Italia
retrocopertina 250,00 euro; retrocopertina interna 150.00 euro; pagine interne 120,00 euro.
PANORAMA esce con il concorso finanziario della Repubblica di Croazia e della
Repubblica di Slovenia e viene parzialmente distribuita in convenzione con il
sostegno del Governo italiano nell’ambito
della collaborazione tra Unione Italiana
(Fiume-Capodistria) e l’Università
Popolare (Trieste)
EDIT - Fiume, via Re Zvonimir 20a
[email protected]
La distribuzione nelle scuole italiane di Croazia
e Slovenia e nei Dipartimenti di italianistica
delle Università di Croazia e Slovenia avviene
all’interno del progetto “L’Edit nelle scuole II”
sostenuto dall’Unione Italiana (Fiume- Capodistria) e finanziato dal Governo italiano (ai sensi
della Legge 296/2006, Art. 1322, Convenzione
MAE-UI N° 2840 del 29 ottobre 2008, Contratto
N° 104 del 3 settembre 2009).
Consiglio di amministrazione: Roberto Battelli (presidente), Fabrizio Radin (vicepresidente), Agnese Superina, Franco Palma, Ilaria Rocchi, Marianna Jelicich Buić, Livia Kinkela.
Panorama
44Panorama
Panorama testi
N. 10 - 31 maggio 2011
Sommario
IN PRIMO PIANO
Le valutazioni del ministro Gianfranco
Rotondi all’incontro polese con la CNI
UN’INVIDIABILE PASSIONE CIVILE... 3
di Mario Simonovich
CINEMA E DINTORNI
“Sorelle Mai” di Marco Bellocchio
LA FAMIGLIA DAVANTI E DIETRO
LA MACCHINA DA PRESA............. 24
di Gianfranco Sodomaco
ATTUALITÀ
L’arresto, dopo 16 anni di latitanza aiuterà la
Serbia a bruciare le tappe verso l’Ue?
ANCHE RATKO MLADIĆ ALL’AJA.
BELGRADO, RADICALI IN PIAZZA .... 6
a cura di Diana Pirjavec Rameša
L’importante novità interessa i fruitori
all’estero, e dunque anche i connazionali
SOLO A GIUGNO LA PENSIONE
ALLA WESTERN UNION.................10
di Ardea Velikonja
REPORTAGE
Il Parco nazionale del Tricorno
TRENT’ANNI TUTTI DEDICATI
ALLA TUTELA DELLA NATURA... 26
A Bohinjska bistrica la quinta edizione
UNICO FESTIVAL DEI FIORI ALPINI ... 28
di Ardea Velikonja
150 ANNI DELL’UNITÀ D’ITALIA
Significativo il contributo di queste
terre al processo pervenuto a un punto
essenziale un secolo e mezzo fa (6)
L’APPASSIONATA DEDIZIONE
DEI LINGUISTI E LETTERATI........12
di Fulvio Salimbeni
LIBRI
“La... ‘liberazione’ di Zara 1944-1948”
di Tullio Vallery
STRAVOLTA L’ANIMA DELLA CITTÀ... 38
di Mario Simonovich
AVVENIMENTI
AMMINISTRATIVE IN ITALIA:
REFERENDUM ANTIBERLUSCONI... 14
a cura di Bruno Bontempo
“Vinistria” giunge alla 18esima edizione
LEGGERI E FRUTTATI OPPURE
FORTI E SPEZIATI?............................14
di Diana Pirjavec Rameša
SOCIETÀ
Forum Tomizza alla dodicesima edizione
QUANDO LA TERRA È ANTIDOTO
ALLO SRADICAMENTO................. 16
di Marino Vocci
RIFLESSIONI IN CORNICE
IL GRANDE FRATELLO È MORTO... 17
di Luca Dessardo
IN MEMORIAM
Una vita dedicata a studiare il passato
delle nostre terre
DASSOVICH, FIUMANO ESEMPLARE... 18
di Mario Simonovich
ETNIA
Tesi esposte dalla prof.ssa Elis Deghenghi
SIAMO PARTE DELLA
LETTERATURA D’ITALIA.............. 20
LETTURE ISTRIA NOBILISSIMA
“IL GIARDINO NUDO” (2).............. 34
di Ester Barlessi
ITALIANI NEL MONDO
Richiesta fatta all’assemblea plenaria Cgie
IL 14 SETTEMBRE, GIORNATA DEI
CONNAZIONALI ALL’ESTERO..... 40
a cura di Ardea Velikonja
MADE IN ITALY
La nuova nave di Costa Crociere sarà
festeggiata il 2 luglio in piazza Unità a Trieste
FAVOLOSA, CROCIERA DA... MAGIA...42
a cura di Ardea Velikonja
MUSICA
A 70 anni negli Usa è ancora il più famoso
BOB DYLAN, LA STORIA
DEL MENESTRELLO CONTINUA.. 44
a cura di Bruno Bontempo
SPORT
Quarto successo in Champions
IL BARÇA, PER MOLTI, È GIÀ
LA PIÙ FORTE DI SEMPRE............. 46
a cura di Bruno Bontempo
I fiumani sulla soglia dei vertici della
pallanuoto croata ed europea
PRIMORJE, LIETO FINE
SOLO RINVIATO?......................... 48
di Lucio Vidotto
ARBOREA
CANNELLA: IN CUCINA LA REGINA
DELLE SPEZIE..................................... 50
di Daniela Mosena
ARTE
MOSAICO, SARÀ UNA BIENNALE
BENEAGURALE?.............................. 22 RUBRICHE......................................... 54
di Erna Toncinich
a cura di Nerea Bulva
IN COPERTINA: In copertina: Aperta la D-404, otto anni di lavori per costruire 3,5 km di viabile
Agenda
Il primo Festival della CNI svoltosi a Capodistria ha avuto un grande successo
Mifest 2011 diventerà tradizionale
S
i è svolto nella piazza centrale di
Capodistria il primo festival promozionale della Comunità nazionale Italiana in Slovenia denominato
Mifest e organizzato dal Centro italiano di cultura e promozione “Carlo Combi”. In due giorni si sono susseguiti tanti eventi su 24 bancarelle
allestite da sei CI del territorio, nove
istituti scolastici, dalle materne alle
elementari ai centri medi, i produttori, tra cui l’Allevamento ittico Fonda
di Pirano, l’azienda agricola Ratoša,
la famiglia Zudich, la cantina vinicola Robi Šaule, i vini Zaro 1348,
l’Associazione dei pescatori e barcaioli “Porporella”, la trattoria Isola nonché le emittenti RTV italiane
del Centro regionale di Capodistria.
Sono stati pure organizzati laboratori volti a diffondere la conoscenza dei mestieri e delle usanze tradizionali con l’impeccabile Fameia
dei salineri del sodalizio “Giuseppe
Tartini”. Lo spettacolo che si è snodato nel corso di due serate ha visto
la presenza dei gruppi mandolinistici, cori, gruppi di ballo, gruppi vocali, chitarristi, cantanti di musica leggera, fino alla chiusura affidata alla
“Calegaria”. Il successo della manifestazione è stato così marcato che si
spera diventi tradizionale.●
Opera di Gaetano Benčić, studioso del passato istriano in italiano, e Nada Pavičević in croato
Un opuscolo sulla storia di Piemonte d’Istria
I
l Comune di Grisignana in collaborazione
con la Regione Istriana
in occasione della Festa
di San Francesco ha promosso nel piccolo borgo di Piemonte d’Istria
la “Giornata della famiglia Contarini” che rientra nel progetto internazionale SeeNet-cooperazione nel Sud-Est
europeo ed è sostenuto
dal Ministero agli Affari esteri della Repubblica
Italiana e dalla Regione
Toscana. Per l'occasione
è stato presentato l'opuscolo bilingue “Contarini u Završju/ I Contarini
a Piemonte” il cui testo
è stato redatto dal noto
studioso istriano Gaetano Benčić in italiano e da
Nada Pavičević in croato. Nel fascicolo si pro-
pone una descrizione
esauriente del borgo fornendo anche alcuni cenni
sulle due porte d’accesso, una delle quali è tuttora esistente, sullo stemma e sull’amministrazione concludendo con la
documentazione idonea
a far a comprendere più
da vicino come si svolgeva una volta la vita nel
borgo.●
Un’iniziativa unanime di Comunità, scuole e Università popolare della città
Alla CI di Buie il nome di Vlada Acquavita
S
erata caratterizzata da una forte commozione quella dedicata
alla scomparsa poetessa connazionale Vlada Acquavita che si è svolta di
recente presso la Comunità degli Italiani di Buie. Tanti i docenti che sono
intervenuti per ricordare quella che “è
stata una poetessa che si differenzia
perchè le sue tematiche sono universali, la sua poesia è complessa, ricercata, colta” ha detto tra l’altro Cristina Benussi, docente della Facoltà di
Lettere e Filosofia dell’Università de-
gli studi di Trieste. Nel corso della serata ci sono state tante testimonianze
d’affetto nei confronti di colei che fu
la prima bibliotecaria professionista
della CNI, “che ha cambiato il mio
modo di vedere l’arte, la letteratura e
la bellezza quando lavoravamo insieme” ha detto Snježana Pejović della
Biblioteca civica di Buie. Ma la più
commossa certamente è stata la direttrice della scuola elementare Giuseppina Rajko dove Vlada Acquavita
ha lavorato per tanti anni. “Credo che
una melodia o un silenzio possano ricordarla, anche senza troppe parole”
ha detto la Rajko.●
Panorama 5
Attualità
L’arresto del boia di Srebrenica dopo 16 anni di latitanza aiuterà la Ser
Anche Ratko Mladić all’Aja. Belg
a cura di Diana Pirjavec Rameša
L’
uomo che sta per essere chiamato alla sbarra al Tribunale
dell’Aia si presenta come un
vecchio dall’aspetto stanco e malato:
è l’ex generale Ratko Mladić, come lo
abbiamo visto nelle foto pubblicate in
seguito alla sua cattura nel villaggio
di Lazarevo, a nord-est di Belgrado.
“Questo è Mladić”, ha titolato a caratteri cubitali il popolare “Kurir”, che
al pari degli altri giornali ha messo in
prima pagina la foto di come appare
oggi accanto a quella di quand’era nel
pieno delle forze a capo delle truppe
serbo-bosniache durante il conflitto
armato in Bosnia.
Confuso e semiparalizzato
Mladić, afferma il “Kurir”, è “fortemente invecchiato e cammina con
difficoltà. Parla male e si confonde su
quello che dice, un braccio è semiparalizzato. Un vicino lo ha aiutato a vestirsi prima che la polizia lo portasse
via. Non ha opposto resistenza. Si è li-
Truppe serbo-bosniache attaccarono la città l’11 luglio 1995: i morti furono più di 8 mila
Srebrenica, un massacro che non si può dimenticare
l nome di Mladić è tristemente legato al massacro di Srebrenica, che causò più di 8 mila morti ed
è considerato il più atroce episodio
di guerra in Europa dopo la fine del
secondo conflitto mondiale. Mladić
era il comandante delle truppe serbo-bosniache che attaccarono la città e vi entrarono l’11 luglio 1995 al
terzo anno della guerra di Bosnia. I
crimini di guerra che vi furono compiuti figurano fra le principali imputazioni a carico del boia di Srebrenica, ricercato dal Tribunale dell’Aja
per l’ex Jugoslavia.
La città era una enclave creata
dall’Onu a tutela della popolazione
musulmano-bosniaca ed era protetta da 850 caschi blu olandesi. Ma
Una madre musulmana alle tombe dei suoi cari al cimitero di Potočari
questi non furono in grado di opporsi all’avanzata di Mladić e finirono abitanti caddero nel disperato tenta- alcune stime arrivano fino a 10 mila
per consegnargli la città. Molti degli tivo di opporsi all’attacco, diversi al- morti. A oggi sono state identificate 6.414 salme. Circa 5 mila vittime
tri fuggirono nei boschi.
Quando le forze serbo-bosniache riposano nel memoriale del massaentrarono a Srebrenica, gli uomini cro a Potočari, dove ogni 11 luglio le
fra i 14 e i 65 anni furono separati donne di Srebrenica tornano a ricordal resto degli abitanti. Molti furono dare i loro cari.
All’anniversario dell’anno scorgiustiziati nelle piazze, gli altri furono portati via a bordo di camion e so, in un gesto particolarmente simnon fecero più ritorno. Si ritiene che bolico, era presente anche il presiano stati uccisi nei boschi e sepol- sidente serbo Boris Tadić. Allora
ti in fosse comuni. Le donne, fra cui Tadić aveva dichiarato che la Serdiverse vittime di stupri, abbandona- bia non avrebbe smesso di ricercare
rono la città con i vecchi e i bambi- Mladić, e oggi ha dimostrato di aver
ni e si diressero a piedi verso Tuzla mantenuto la promessa. Nel marzo
dove arrivarono dopo giorni di cam- dell’anno scorso, il Parlamento di
Belgrado si era scusato per i morti di
Nel 1995 a Srebrenica furono mino.
Srebrenica, affermando di non aver
Secondo
i
dati
ufficiali,
le
vittiuccisi circa 8 mila musulmani,
me del massacro furono 8.372, ma fatto abbastanza per evitarli.●
tra cui anche adolescenti
I
6 Panorama
Attualità
rbia a bruciare le tappe verso l’Ue? Il presidente Tadić ne è quasi sicuro
grado, radicali in piazza e incidenti
mitato ad esibire la carta d’identità e a
quel punto è stato tutto chiaro.
”Hanno arrestato un uomo morto”, ha titolato demagogicamente l’altro quotidiano popolare “Alo” che
come gli altri ha costruito la copertina
con la foto di Mladić in divisa da generale negli anni Novanta, ponendola
accanto a quella di oggi in cui appare
dimagrito, pallido, con il cappellino da
baseball blu, lo sguardo verso l’alto e
l’aspetto non in salute.
Suicidio? Non esiste
questo rischio
Secondo la rivista “Blic” il boia di
Srebrenica avrebbe però assicurato con
fermezza medici e poliziotti di non avere timori in merito a un suo ipotetico
suicidio: “Non abbiate paura, Mladić
non alzerà la mano contro Mladić”. Tra
le indiscrezioni trapelate dopo l’interrogatorio pure quelle relative alla risolutezza con cui l’uomo appare fermo a
rigettare qualsiasi accusa a suo carico.
Malato dunque sì, ma altrettanto fermamente intenzionato a non confessare
i crimini.
Ha un cancro avanzato
richieste visite mediche
Le precarie condizioni di salute di uno degli ex generali dell’Esercito jugoslavo ricercato dal Tribunale dell’Aja, non preoccupano solo la
stampa. L’avvocato difensore, Milo
Šaljic, ha richiesto esami medici specialistici e il parere di un’équipe medica che stabilisca se sia effettivamente in grado di sostenere un processo e
di difendersi dalle accuse. “La sera del
26 maggio, ha aggiunto, è stato visitato da cinque medici del carcere centrale di Belgrado”. Il vice procuratore serbo per i crimini di guerra Bruno
Vekarić ha assicurato che l’ex superlatitante viene assistito in continuazione dai sanitari. Ma quali sono le cause
delle sue pessime condizioni? Secondo voci che circolano negli ambienti
giudiziari di Sarajevo soffrirebbe di un
cancro avanzato. Nel passato la stampa aveva parlato di ripetuti ricoveri
Ratko Mladić con la divisa dell’esercito serbo e al momento dell’arresto
L’ufficiale dell’esercito serbo-bosniaco, uomo duro e
spietato, non si fermò di fronte a vittime inermi. Fu
lui a guidare i reparti d’attacco a Srebrenica. I suoi
uomini attuarono una brutale pulizia etnica (due
milioni e mezzo di persone cacciate dalle loro terre e
dalle loro case) in nome della Grande Serbia. Con lui
tornarono in Europa i campi di concentramento nei
quali migliaia di prigionieri vennero picchiati,
torturati e uccisi
La casa nel villaggio di Lazarevo dove Mladić ha vissuto gli ultimi tempi
Panorama 7
Attualità
ospedalieri a Belgrado per ictus e gravi problemi allo stomaco.
Una vita segnata dalla
violenza e dal suicidio
della figlia Ana
Ad accompagnarlo davanti ai giudici è stata una nutrita schiera
di poliziotti addetti alla sicurezza
L’ex generale sarà ricordato dalla
storia come il boia di Srebrenica. Ufficiale dell’esercito serbo-bosniaco,
uomo duro e spietato, non si fermò di
fronte a vittime inermi. Fu lui a guidare
lì i reparti d’attacco. “La sua vita è segnata dalla violenza. Aveva appena due
anni quando il padre venne ucciso dagli
ustascia croati, alleati dei nazifascisti.
La sua morte lo ha segnato per sempre
e per tutta la vita odierà sia i croati che
i musulmani”, scrive l’agenzia Ansa.
Quando esplose la guerra con la Croazia nel 1991, Mladić con il grado di colonnello assunse il comando delle unità
dell’esercito federale jugoslavo a Knin,
che diventò di lì a poco la capitale dei
secessionisti serbi di Croazia. Di quel
periodo si ricordano i pesanti bombardamenti che questi ordinò su Zara dai
monti dell’entroterra, tattica che venne
perfezionata con gli assedi di Sarajevo,
Goražde, Bihać, Srebrenica nella successiva guerra in Bosnia.
Brutale pulizia etnica
L’arresto ha scatenato nelle vie di Belgrado numerose manifestazioni di
protesta organizzate dagli ultranazionalisti che considerano l’ex generale JNA un eroe e non un criminale di guerra
Il colonnello diventò comandante
dell’esercito dell’autoproclamata Repubblica Serba di Bosnia e in sei mesi
di guerra conquistò il 70 p.c. del territorio della Bosnia, avendo a disposizione la potenza militare dell’Armata
popolare jugoslava (JNA) contro bosniaci e croati disarmati e inesperti. I
suoi uomini attuarono una brutale puli-
Dallo zagabrese Jutarnji List la prima notizia
e prime informazioni sul possibile arresto di Ratko Mladić erano circolate nella tarda mattinata del 26 maggio scorso, quando il quotidiano croato Jutarnji List ha battuto in anteprima la notizia di un’operazione
speciale della polizia serba (effettuata nelle prime ore della mattina) che
ha portato all’arresto di un uomo che ha presentato le generalità di Milorad
Komadić. Fonti di polizia serbe, citate dallo Jutarnji List, avrebbero poi lasciato filtrare l’informazione che, con grande probabilità, dietro il nome di
Komadić si nascondeva il superlatitante Ratko Mladić, ricercato dal tribunale dell’Aja per genocidio, criminidi guerra e crimini contro l’umanità,
soprattutto per gli eventi accaduti a Srebrenica nel luglio del 1995
All’arresto di Ratko Mladić, che si presentava come Milorad Komadić,
ha partecipato anche la Procura speciale per i crimini di guerra della Repubblica di Serbia. ●
L
8 Panorama
I giornali hanno dedicato ampio spazio all’arresto di Mladić
Attualità
Boris Tadić: l’arresto favorirà
il processo di riconciliazione
Lazarevo, il paese a nord-est di Belgrado dove è stato arrestato il boia
di Srebrenica
zia etnica (due milioni e mezzo di persone cacciate dalle loro terre e dalle
loro case) in nome della Grande Serbia.
Con lui tornarono in Europa i campi di
concentramento nei quali migliaia di
prigionieri vennero picchiati, torturati,
affamati e uccisi. I suoi uomini praticarono lo stupro etnico come arma di
guerra. Contro Mladić, così come contro l’ex presidente Radovan Karadžić,
il Tribunale penale delle Nazioni Unite ha formalizzato, nel luglio e nel novembre 1995, due atti di accusa per genocidio e crimini contro l’umanità. Nel
1996, il Tpi emise contro i due un mandato di cattura internazionale. Nel novembre dello stesso anno, Mladić venne destituito dal comando dell’esercito serbo bosniaco, ma continuò a vivere tranquillamente tra Bosnia e Serbia,
protetto dall’esercito dei suoi ex subordinati bosniaci e da quell’esercito jugoslavo di cui ha sempre fatto parte.
Protezioni che dureranno anche dopo
la caduta del presidente jugoslavo Slobodan Milošević, nell’ottobre 2000, almeno fino a tutto il 2001.
Dal 2002, ha dovuto iniziare a nascondersi con maggiore prudenza, ma poteva
sempre contare su una rete di appoggio
clandestina di militari, ex militari e civili nazionalisti. Tra le vittime della guerra
in Bosnia vi è stata anche l’unica figlia di
Mladić, Ana, che a 23 anni, nel 1994, si è
suicidata a Belgrado. Secondo alcuni per
quello che il padre stava facendo in Bosnia, secondo altri per la morte del suo fidanzato che Mladić, per allontanarlo da
lei, aveva mandato al fronte.
L’ex alto ufficiale JNA, 69 anni, è
stato uno dei due ultimi criminali di
guerra serbi ancora latitanti e richiesti dal Tribunale penale internazionale dell’Aja. L’altro è Goran Hadžić, ex
capo politico dei serbi di Croazia.●
Il presidente serbo Boris Tadić alla conferenza stampa in cui annuncia l’avvenuto arresto del criminale di guerra Ratko Mladić
n nome della Repubblica di Serbia, vi annuncio che oggi è stato arrestato Ratko Mladić». Il presidente serbo Boris Tadić ha confermato
così l’arresto del superlatitante poco dopo le ore 13.00 del 26 maggio. “Con
l’arresto di Mladić chiudiamo una delle pagine più difficili della nostra storia recente”, ha detto Tadić ai giornalisti che assiepavano numerosi la conferenza, ribadendo che quanto avvenuto è un passo importantissimo verso
la “piena riconciliazione” nell’area ex-jugoslava. questo punto non è affatto casuale che le autorità giudiziarie abbiano chiuso con estrema rapidità la
pratica d’estradizione di Mladić, che il 31 maggio è stato trasferito all’Aja.
Ma sulla riconciliazione andrebbero sentite anche altre parti, prime fra tutte
la Croazia dove, per vari motivi, le reazioni ufficiali sono di segno piuttosto
discordante.
Il presidente serbo ha rifiutato di fornire dettagli sull’operazione di
polizia che ha assicurato, dopo anni di latitanza, l’ex generale serbo bosniaco alla giustizia, perché questi “sono estremamente delicati e importanti” per gli investigatori che stanno ancora lavorando al caso.
Secondo Tadić, oggi la credibilità morale della Serbia è cresciuta notevolmente e l’arresto dovrebbe portare all’abbattimento degli ultimi ostacoli del
suo percorso d’integrazione europea. Ha rivendicato però più volte la serietà
di Belgrado nella collaborazione con l’Aja.
“Tutti i crimini devono essere perseguiti, e tutti i criminali devono essere
portati davanti alla giustizia”, ha detto poi Tadić, insistendo perché la comunità internazionale (e le Nazioni Unite in particolar modo) faccia di più per
dare il via a indagini indipendenti sul presunto traffico di organi in Kosovo
messo in luce dal recente rapporto del senatore svizzero Dick Marty (che vedrebbe coinvolto lo stesso premier kosovaro Hashim Thaci).
Tadić ha confermato che l’arresto di Ratko Mladić è avvenuto sul territorio della Repubblica di Serbia (per la precisione in Vojvodina). Ai giornalisti,
ha promesso che le indagini andranno fino in fondo, per scoprire chi e come
lo abbia aiutato in questi anni a sfuggire alla giustizia. Il presidente ha aggiunto che la ricerca della verità non dovrà risparmiare nemmeno le strutture
dello stato serbo: “Sono orgoglioso del fatto che le nostre forze di sicurezza abbiano portato a questo risultato. Ma perché Mladić non è stato arrestato
cinque anni fa? - si sono chiesti in molti. È quanto scopriremo con ulteriori indagini”. Il presidente ha respinto ogni ipotesi sul fatto che tutto sarebbe
avvenuto solo come risposta alle pressioni internazionali: “È evidente che
non abbiamo fatto alcun tipo di calcoli quando si è trattato di arrestare Ratko
Mladić. Abbiamo collaborato pienamente col Tribunale dell’Aja fin dall’inizio del mandato di questo governo”. ●
«I
Panorama 9
Attualità
L’importante novità interessa i fruitori che vivono all’estero, e dunque
Solo a giugno la pensione alla Wes
di Ardea Velikonja
C
on il mese di giugno tutti i fruitori di pensioni italiane residenti all’estero si vedranno recapitare invece dell’usuale assegno una lettera dell’INPS in cui si invitano gli interessati a riscuotere la pensione presso
gli sportelli della Western Union. Quindi per evitare confusione tra le persone,
per lo più anziane, abbiamo chiesto ad
Erik Fabijanić, responsabile del Patronato INCA CGIL per l’Istria e il Quarnero, delucidazioni in merito.
”Prima di tutto devo sottolineare
che questo ‘sistema’ varrà solo per il
mese di giugno. A casa per posta invece dell’usuale lettera con accluso l’assegno ogni pensionato riceverà una lettera in cui si avvisa (in italiano e inglese)
che la pensione per il mese di giugno
può venir riscossa solamente presso la
Western Union (la posta internazionale addetta all’invio di soldi liquidi). La
Western Union ha contratti con varie
banche e con tutte le Poste e quindi può
darsi che proprio la banca in cui avete il
conto sia convenzionata con il suddetto
servizio e così potrete riscuotere la pensione presso la propria banca. In caso
contrario dovrete recarvi alla Posta ed
esibire la lettera in cui c’è il numero cifrato per poter riscuotere i soldi. Però,
e purtroppo c’è sempre un però, quello
che tutti devono sapere è che la pensione potrà venir riscossa esclusivamente
in kune e non in euro. Molti si chiederanno perché e la risposta è facile: la
Western Union può consegnare denaro
solo nella valuta del paese in cui si trova, in questo caso in Croazia in kune.
Ma perché si è arrivati a ciò? Dovete sapere che a scadenze triennali l’INPS ha il dovere di bandire il concorso
per la distribuzione del traffico di pagamenti. Il che significa che ogni tre
anni si cambia la banca addetta ad inviare gli assegni ai pensionati residenti
all’estero. Quest’anno il nuovo contratto è stato vinto dall’americana Citibank
che d’ora in poi vi invierà gli assegni.
L’incongruenza sta nel fatto che l’INPS ha richiesto alla banca di prima, ovvero a quella cui è scaduto il contratto,
di verificare l’esistenza in vita del sin-
10 Panorama
golo pensionato. Assurdo. E poi l’ha
fatto senza consultare i patronati sparsi per il mondo. Quindi noi, ovvero il
CE-PA (Centro patronati ACLI - INAS
- INCA - ITAL), abbiamo inviato una
lettera al direttore generale dell’INPS,
Mauro Nori, al direttore centrale Pensioni INPS, Gabriele Uselli, e al direttore della Direzione Centrale Pensioni ,
Salvatore Ponticelli, che dice:
In relazione alla campagna generalizzata di verifica dell’esistenza in
vita i Patronati aderenti al CE.PA ancora una volta riscontrano diffusi disagi e difficoltà da parte dei pensionati
che si sarebbero potuti ridurre, se non
addirittura evitare, con il tempestivo
coinvolgimento dei Patronati da parte
dell’INPS nella pianificazione dell’accertamento condotto da ICBPI.
In particolare, anche sulla base
delle segnalazioni ricevute dalle nostre sedi sul territorio, elenchiamo di
seguito le principali problematiche rilevate: mancata preventiva informazione dell’avvio della verifica; mancato recapito o ritardato invio delle
lettere ai pensionati contenenti i codici MTCN essenziali per la riscossione delle rate di pensione presso Western Union; difformità degli elenchi
anagrafici, ossia non corrispondenza
dei dati anagrafici presenti sul documento e sul mandato di pagamento.
L’esempio tipico è l’italianizzazione
dei nomi e cognomi (Giuseppe/Jose);
Attualità
e anche i connazionali
estern Union
difformità del cognome nubile/sposata
sul mandato di pagamento.
Alla luce della genericità delle informazioni contenute nelle lettere inviate ai pensionati appare evidente che
le difficoltà e i disagi sono maggiori
nei Paesi in cui il pensionato non può
avvalersi dell’assistenza dei Patronati.
Segnaliamo inoltre, nello specificio,
alcune criticità legate alla scelta di Western Union come pagatore finale:
- limitata distribuzione territoriale
della rete Western Union (spese di trasporto, disagi per motivi di età/salute/
sicurezza):
- limitata disponibilità di contanti in
determinate agenzie Western Union;
- problemi di sicurezza personale
derivanti dal pagamento in contanti in
determinati contesti geografici;
- impossibilità dei pensionati in
condizioni fisiche disagiate (età, handicap, ricovero): in questi casi è necessario definire con precisione le modalità alternative ammesse per certificare
l’esistenza in vita;
- pagamento in valuta locale (cambio dell’euro praticato da Western
Union molto svantaggioso);
- disomogeneità di comportamenti
da parte dei singoli sportelli Western
Union.
Al fine di trovare urgente ed efficace
soluzione rispetto alle criticità segnalate, si richiede un incontro. Riteniamo
che l’occasione di affrontare la questione dell’accertamento di esistenza
in vita possa essere di utilità anche per
discutere in via più ampia e complessiva il tema dei pagamenti delle pensioni
all’estero coniugando il rispetto e la tutela dei diritti dei pensionati con la legittima esigenza dell’Istituto di contrastare fenomeni di riscossione indebita.
La suddetta lettera è stata inviata il 13 maggio scorso e nella protesta si sono inclusi anche i pensionati
italiani.
Quindi, ha concluso Erik Fabijanić,
invito tutti i pensionati che riceveranno una lettera simile (qui accanto nella
foto) di rivolgersi in caso di perplessità al Patronato INCA CGIL a Fiume
al telefono 051/320-030 oppure a Pola
052/212 225”. ●
Chiarimenti per evitare problemi
utti gli Uffici INCA all’estero hanno ricevuto di recente una lettera in
cui si precisa che al fine di aiutare a far capire meglio questa manovra
dell’INPS bisogna rendere noto a tutti i pensionati all’estero quanto segue:
- I pensionati residenti all’estero sono nuovamente tenuti a dimostrare la
loro esistenza in vita. L’iniziativa risponde ad un preciso obbligo del contratto
di fornitura del servizio teso ad evitare il pagamento di prestazioni a persone
diverse dai legittimi beneficiari.
- La nuova campagna di verifica è iniziata nel mese di maggio per i pensionati residenti nel continente americano, nel mese di giugno inizierà la verifica nei restanti paesi (Europa, Africa, Asia Oceania) e a luglio interesserà i
pensionati con pagamenti semestrali (in tutto il mondo).
- Saranno interessati tutti i pensionati che non hanno fornito all’Istituto un
certificato di esistenza in vita con data di validità successiva al 1.mo settembre 2010.
- Come è noto, pur essendo da tempo scaduta la competenza dell’ICBPI per
il pagamento delle pensioni all’estero il mandato è stato prorogato fino a settembre 2011 poichè ancora non è stato firmato il contratto con la Citibank.
- I pensionati, per provare la loro esistenza in vita, devono riscuotere una
mensilità di pensione presso uno sportello della Western Union. Successivamente saranno ripristinate le modalità di pagamento precedenti se la riscossione sarà effettuata entro il giorno 20 del mese corrispondente.
Gli interessati dall’iniziativa avrebbero dovuto tempestivamente ricevere una lettera contenente tutte le indicazioni in merito alle modalità dell’accertamento. Queste lettere sono partite in ritardo e i pensionati del continente
americano non sono stati avvisati in tempo utile per la riscossione del rateo
di pensione di maggio presso la Western Union. Ciò ha creato notevoli disagi e proteste.
- Per superare le difficoltà derivanti dalla mancata ricezione della lettera si
può inviare al seguente indirizzo: [email protected] la lista dei vostri assistiti che non hanno ancora ricevuto la lettera in modo che ICBPI inoltri i dati
da fornire da Western Union.
Per i pensionati che non possono recarsi personalmente presso la Western
Union si hanno due possibili alternative:
1. inviare al seguente fax 00390645485692 o al seguente indirizzo [email protected] (specificando nell’oggetto: Procura a favore di Cognome e
nome del pensionato nato il gg/mm/aaa):
- delega notarile (javni bilježnik) che designa il procuratore del titolare della pensione
- certificato di esistenza in vita aggiornato (non precedente al 20 aprile
2011) del titolare della pensione.
In tal modo l’ICBPI potrà rettificare il beneficiario del pagamento a Western Union.
2. inviare al seguente indirizzo [email protected] o al seguente fax
0039 06 45485692
- un certificato di esistenza in vita aggiornato del titolare della pensione
- richiesta di rimettere in pagamento la rata di pensione secondo la modalità pordinaria perché impossibilitato a recarsi presso Western Union
Questa modalità richiede tempi più lunghi.
Per scegliere lo sportello Western Union si può visitare il sito http://www.
payment-solutions.com/agent.asp e selezionare il paese di residenza e il prodotto “Quick Cash” nella casella di scelta dei prodotti: si può anche chiamare
l’help desk della banca ICBPI ai numeri 00 39 0432 744 252 o 008000 777
888 00.
Allo sportello Western Union occorre precisare che il pagamento richiesto
è stato disposto dall’Ente Italiano INPS nonché essere muniti di un documento di identità che coincida esattamente con il nominativo nel pagamento disposto da INPS e codice MTCN (contenuto nella lettera). ●
T
Panorama 11
Significativo il contributo di queste terre al processo pervenuto ad un punt
L’appassionata dedizione dei lin
150 anni dell’unità d’Italia
C
oncludiamo con questo numero la serie
di articoli dedicati ai 150 anni dell’unità
d’Italia. I diversi aspetti dell’evento, che
influì in maniera capitale non solo sul futuro della
nazione ma anche sulle politiche e le prospettive
europee, ci sono stati illustrati dal prof. Fulvio Salimbeni, docente di storia contemporanea all’Uni-
di Fulvio Salimbeni
Se, come già ricordato, il concetto romantico di Nazione si fondava su lingua, storia e tradizioni, è del tutto naturale che gli studi glottologici abbiano avuto un
posto di rilievo nella cultura giuliana e dalmata nell’età
dell’irredentismo, che, del resto, in un certo qual modo
nasce proprio con l’invenzione di due specifici neologismi. È, infatti, nel 1863, nell’articolo Le Venezie,
apparso ne “L’Alleanza”, organo milanese dell’emigrazione politica veneta, che il goriziano Graziadio I.
Ascoli conia il termine “Venezia Giulia” per indicare
la regione dell’impero asburgico denominata “Litorale Austriaco” (contea di Gorizia e Gradisca, Trieste e
marchesato d’Istria), con il riferimento all’influenza diretta e indiretta di Venezia e - tramite il richiamo alla
gens Julia, cui era appartenuto Ottaviano Augusto, che
aveva costituito la Regio X Venetiae et Histria - al retaggio della romanità volendone ribadire la sostanziale italianità. Nel 1877, poi, in un discorso il deputato
napoletano Matteo Renato Imbriani per la prima volta
avrebbe parlato di terre “irredente”, donde il sostantivo
“irredentismo”: insomma, a ribadire la stretta connessione tra linguistica e storia, parole nuove per problemi
nuovi, senza scordare l’osservazione conclusiva ascoliana nel testo appena citato che le parole sono come, e
spesso, più che bandiere, vale a dire simboli ideologici
e metafore politiche d’indubbia pregnanza.
Poiché si parla di denominazioni geopolitiche, andrà tenuto presente - ed è un elemento significativo per
intendere le complesse vicende dell’area alto-adriatica
- che, se dopo il 1918 al Litorale Austriaco subentrò la
Pasquale Besenghi degli Ughi
1797-1849
12 Panorama
Carlo Combi
1827-1884
versità di Udine e segretario generale dell’Istituto per gli incontri mitteleuropei di Gorizia a collaboratore UPT per le attività culturali con le CI.
Sesta nell’ordine, la puntata odierna è incentrata
sul contributo dato dai linguisti e letterati, spesso
molto meno conosciuto e valorizzato rispetto ad
altri aspetti del processo.
Venezia Giulia, l’armistizio dell’8 settembre 1943 provocò l’intervento tedesco con conseguente annessione
di fatto al III Reich e imposizione d’un nuovo nome a
questa cruciale zona di frontiera, che, infatti, divenne il
“Litorale Adriatico”, termine che con il sostantivo veniva incontro ai non pochi nostalgici dell’Austria, mentre con l’aggettivo blandiva il collaborazionismo sloveno, togliendo di mezzo ogni richiamo all’appartenenza
politica italiana. Una volta, però, sconfitta la Germania,
seguirono i nove anni del Territorio Libero, della Venezia Giulia fino al 1947, di Trieste sino 1954, con la
Zona A amministrata dagli anglo-americani e la B dagli
jugoslavi. Ritornato il capoluogo adriatico all’Italia con
gli accordi di Londra, risorse, sia pure drasticamente ridimensionata, la Venezia Giulia, ormai costituita solo
dalle ridotte provincie di Gorizia e di Trieste. Quando,
infine, nel 1991, sulle macerie della Repubblica Federativa Jugoslava, nacquero gli stati sovrani di Slovenia e
di Croazia, l’Istria settentrionale, slovena, divenne semplicemente il Litorale, laddove quella centro-meridionale, croata, costituì la Contea Istriana.
Litorale austriaco?
Venezia Giulia!
Un tanto s’è voluto ricapitolare per mostrare come
le stesse denominazioni geografiche siano una spia
evidente del complicatissimo intreccio di vicende, dominazioni e contrasti d’una siffatta regione frontaliera, dove si sono incontrate e scontrate le tre principali
componenti della storia europea, la romanza, la germanica e la slava, donde i ripetuti cambiamenti toponomastici, caso unico nella storia continentale, dal
momento che altre aree di confine - come l’Alsazia e
la Lorena tra Francia e Germania - hanno visto tradotto il loro nome nella lingua del governante di turno,
ma mai sostituito con un altro diverso.
In un siffatto contesto, segnato dal parallelo Risorgimento dei diversi popoli della Duplice Monarchia, accelerato dalla concessione della costituzione al
principiare degli anni Sessanta e dalla riorganizzazione dell’Impero su base dualistica austro-magiara con
l’Ausgleich del 1867, le indagini sugli idiomi popolari
e sulla toponomastica divenivano fondamentali. I ricercatori che se ne occuparono, croati, sloveni, italiani o austriaci che fossero, condividevano una mede-
to essenziale un secolo e mezzo fa (6)
nguisti e letterati
Giani Stuparich
(1891-1961)
Carlo Stuparich
(1894-1916)
quanto avrebbe fatto il giornalista Virginio Gayda, attivo a Vienna prima della Grande Guerra, pubblicando,
nel 1914, L’Italia d’oltre confine: le provincie italiane d’Austria, in cui largo spazio era concesso a quelle
adriatiche e ancor oggi interessante testimonianza della
situazione e degli orientamenti ideali del tempo.
Da Besenghi degli Ughi
ai fratelli Stuparich
Questi studiosi, inoltre, come attestano le loro nutrite bibliografie, consultabili nel sito www.sbn.it, cui si rimanda per non appesantire il testo di troppe indicazioni di titoli, molto di frequente s’interessarono pure delle tradizioni istriane, altra testimonianza indiscutibile,
nell’ottica del tempo, dell’essenza nazionale d’una comunità, e delle raccolte di canti popolari, preservando,
in tale modo, una messe preziosa di informazioni sulla realtà culturale e linguistica veneto-romanza regionale, riprova indiscutibile, perciò, della sua italianità. Essendosi già dedicato un articolo specifico al Tommaseo
linguista e letterato, il discorso in merito non sarebbe
completo se non s’accennasse almeno a Pasquale Besenghi degli Ughi, poeta isolano d’ispirazione romantica (1797-1849), che, felicemente coniugando pensiero e
azione, nel 1820 si recò nel regno di Napoli per partecipare ai moti costituzionali ivi in corso e nel 1828 in Grecia, per combattere, seguendo l’esempio di lord Byron,
per la libertà di quel popolo, insorto contro la dominazione ottomana, e all’opera del carducciano Giuseppe
Picciòla - ricordato nella precedente puntata come storico letterario, ma autore pure di versi -, volta a far conoscere un intellettuale dell’età dei Lumi come il trentino
Clementino Vannetti, i letterati triestini e i poeti “irredenti”, mentre il Combi per parte sua si faceva editore
delle poesie patriottiche di Francesco Dall’Ongaro, pubblicava scritti rivendicanti l’appartenenza dell’Istria alla
civiltà italiana, riportava alla luce la figura dell’umanista capodistriano Pierpaolo Vergerio Seniore, curava un
ponderoso saggio di bibliografia istriana per facilitare
gli studi in materia e intratteneva una fitta corrispondenza con dotti corregionali e italiani, sviluppando il commercio intellettuale tra le due sponde dell’Adriatico.
La punta più alta di tale appassionata dedizione nazionale sarebbe stata raggiunta al tempo dell’esperienza di Slataper, dei fratelli Stuparich, di Alberto Spaini nella fiorentina “Voce” di Giuseppe Prezzolini, ma
questa storia andrà affrontata in un’altra occasione. ●
(fine)
150 anni dell’unità d’Italia
sima rigorosa formazione scientifica “positiva” nelle
università imperiali - quella elogiata dal Benussi nel
discorso presidenziale citato nella precedente puntata
-, che facilitava e, nel contempo, rendeva più impegnativo il confronto tra le diverse, e spesso opposte, tesi,
miranti a rivendicare alle rispettive appartenenze nazionali città e campagne del Litorale sul fondamento
di precise ragioni glottologiche.
Sul versante italiano rilevante fu il ruolo dell’Ascoli, che offriva generosa ospitalità nei fascicoli del suo
“Archivio glottologico italiano”, fondato nel 1873, a
indagini sugli usi linguistici d’oltre Adriatico, e il cui
magistero metodologico ebbe un indiscutibile influsso
sulla generazione di glottologi istriani formatisi tra Otto
e Novecento, tutti destinati a una brillante carriera universitaria e che a lui e al suo insegnamento all’Accademia Scientifico-Letteraria (la futura Università Statale)
di Milano guardavano come a un faro ideale: è questo il
caso, in particolare, di Matteo G. Bartoli, Pier Gabriele
Goidanich, Antonio Ive e Giuseppe Vidossich (poi Vidossi). Tutti costoro analizzarono in maniera sistematica le parlate istriane e dalmate, recuperando, grazie
all’Ive, le estreme testimonianze del veglioto, sul punto d’estinguersi con la scomparsa degli ultimi che lo
parlavano, e, per merito del Bartoli, del dalmatico fino
a Ragusa, sempre operando in una prospettiva storica
e attenta alla dimensione geografica, come testimonia
l’impegno dello stesso Bartoli per l’ambizioso progetto postbellico dell’Atlante linguistico italiano. I materiali così raccolti confluirono in contributi apparsi sia
negli “Atti e Memorie” della Società Istriana di archeologia e storia patria sia nelle principali riviste glottologiche nazionali, e questo è il caso del saggio di Jacopo
Cavalli sulle reliquie ladine nella parlata di Muggia e
sull’antico dialetto tergestino, con la nascita della città
moderna soppiantato da un triestino fortemente venetizzato, apparso in origine nell’“Archivio” dell’Ascoli
e poi riproposto, con aggiunte e integrazioni, nell’“Archeografo Triestino”; dell’abate triestino andrà ricordata pure La storia di Trieste raccontata ai giovanetti,
del 1877, che attesta la peculiare attenzione della cultura irredentista al versante educativo e ai giovani, futuri
cittadini. Analogamente Sebastiano Scaramuzza - originario di Grado, allora ancora sotto l’Austria -, fervente patriota attivo nel regno d’Italia, docente nelle scuole
superiori a Vicenza e ivi precettore nella famiglia dello
scrittore Antonio Fogazzaro, s’occupò del “graisano”,
sottolineandone l’appartenenza all’area fonologica veneta e valorizzandone i pregi linguistici, tanto da meritare la riconoscenza d’un poeta quale Biagio Marin,
oltre a intrattenere una nutrita corrispondenza con il capodistriano Carlo Combi e a pubblicare non poche pagine sulla situazione culturale e politica delle terre “irredente”. Fu in effetti un ruolo di raccordo tra italiani
di qua e di là dal confine parallelo a quello del Luciani,
residente a Venezia, e in qualche misura anticipando
Panorama 13
Avvenimenti
L’esposizione internaz
Amministrative in Italia:
referendum antiberlusconi
I
l 29 e 30 maggio saranno ricordati come date nelle quali il consenso di
Berlusconi e del centro-destra in Italia ha raggiunto il picco minimo.
Il risultato, pur trattandosi di elezioni amministrative, è indiscutibile:
sconfitte larghe e pesantissime a Milano e Napoli, bocciature altrettanto
sonore e inaspettate da Cagliari a Trieste, la Brianza che volta le spalle alla Lega. E perfino Arcore, la residenza del presidente del Consiglio,
finita nelle mani del centrosinistra. Il verdetto è inappellabile e ci sono
due chiari sconfitti del test di medio termine della legislatura: Silvio
Berlusconi e Umberto Bossi. Due leader che sembrano soffrire di una
speculare crisi carismatica. Più difficile dire, invece, chi sia il vero vincitore: Giuliano Pisapia a Milano e Luigi De Magistris a Napoli, infatti,
sono sindaci nuovi, espressione della vasta area del disagio sociale e se
vogliamo dell’antipolitica. Certamente dell’antipartitismo. Una sinistra
ancora difficile da classificare, capace di fare apparire in molte occasioni
l’avversario il vero estremista, e comunque molto svincolata dai tradizionali giochi di schieramento (vedi l’autonomia con la quale il neosindaco di Napoli ha condotto la sua campagna, senza nessuna concessione
agli alleati). L’interrogativo a questo punto è se la debacle dell’asse del
Nord (visti i molti comuni nei quali i leghisti sono usciti sconfitti) sia
assimilabile a quella delle regionali del 2000 che costarono le dimissioni a D’Alema. Nei paesi occidentali le elezioni di medio termine quasi
mai si traducono in una crisi di governo, piuttosto servono a riorientare
la seconda parte della legislatura. In questo caso invece l’opposizione
unanime chiede a gran voce un passo indietro del Cavaliere. La “sberla”, come la definisce senza molti giri di parole il ministro dell’Interno
Roberto Maroni, colpisce il governo e la maggioranza con una violenza
che nessuno avrebbe previsto solo qualche settimana fa. “Abbiamo perso, ma io sono un combattente, ogni volta che perdo triplico le forze” ha
detto Silvio Berlusconi da Bucarest, dove era volato per incontrare i vertici del governo di Romania e, hanno detto i maligni, per sfuggire all’onda d’urto della sconfitta annunciata.
Anche Trieste volta pagina: vince Cosolini
Anche Trieste volta pagina. E si affida a Roberto Cosolini dopo dieci
anni di assoluto dominio del centrodestra e del suo interprete più autentico ed efficace, Roberto Dipiazza. L’ex assessore della giunta regionale di
Riccardo Illy ha sicuramente vinto per il suo programma e perché è riuscito a convincere i triestini con una campagna elettorale “rione per rione”,
ma non c’è dubbio che ha potuto contare anche sulle divisioni, prima, e
sullo sfarinamento, poi, del fronte opposto, quello dello sfidante Roberto
Antonione, già presidente della regione Friuli Venezia Giulia ed ex sottosegretario di stato agli Affari esteri. Cosolini, 54 anni, è il primo sindaco
di Trieste con un passato di sinistra (a parte la parentesi del doppio mandato all’imprenditore Riccardo Illy), diventato candidato dopo aver vinto
“alla grande” le primarie dell’autunno scorso. Dipendente della Cna, con
una grande passione per lo sport che lo ha portato a rivestire dal 2001 al
2003 l’incarico di presidente della Pallacanestro Trieste, allora in A1. Presidente dell’Ente zona industriale di Trieste, è stato anche consigliere della Camera di commercio locale dal 2000 al 2003. Il ruolo di Assessore regionale al Lavoro, Formazione, Università e Ricerca dal 2003 al 2008 gli
ha dato la possibilità di maturare esperienze gestionali in una regione con
problematiche fortemente differenziate. ●
B. B.
14 Panorama
Leggeri e
di Diana Pirjavec Rameša foto di Lucio Vidotto
L’
Istria, la maggior penisola nel mare Adriatico, è
un’area baciata dal sole. Qui
la qualità del vino è completata dalla
particolarità del territorio, che passa
dal rosso intenso della terra in prossimità del mare e al colore bianco
dell’entroterra.
La Malvasia è da oltre cento anni
il vino più famoso e più pregiato della penisola istriana, grazie al processo tecnologico della sua lavorazione.
Il colore può variare dal giallo paglierino al giallo dorato a seconda delle
tecniche di vinificazione e dell’affinamento. Lo stesso vale per l’olfatto
e per il sapore. Infatti ci troviamo di
fronte ad un vino che nella sua giovinezza sfoggia un colore paglierino
più o meno intenso mentre all’olfatto risulta aromatico, armonico e fruttato. Il naso si associa ai fiori di acacia e al glicine e la vicinanza del mare
arreca fin dall’inizio timbri minerali
e stoffa superba. Il sapore, maliziosamente sapido, è circolare al naso, fresco, elegante e caratterizzato da equilibrata acidità. Le versioni invecchiate, solitamente affinate in legni piccoli o medi, nel bouquet tendono ai fiori
bianchi macerati e alla frutta tropicale e alle spezie; il gusto si fa più complesso e la struttura più ampia, con un
gradevole retrogusto ammandorlato.
Buono l’equilibrio tra acidità, sapidità e tenore alcolico.
Per chi volesse verificare quanto asserito qui sopra deve fare una sola cosa:
visitare l’esposizione di vini e di attrezzature enologiche Vinistria organizzate tradizionalmente a Parenzo presso
l’imponente Palasport “Žatika”.
All’edizione di quest’anno Gianfranco Kozlović, produttore di Momiano, si è aggiudicato un doppio
premio: un primo premio nella categoria delle Malvasie giovani, proposte dell’azienda M and G International, e nella categoria della Malvasie stagionate per la popolarissima
Acacia edizione 2009. Va detto che
Kozlović è uno dei produttori che ha Avvenimenti
zionale Vinistria giunge alla 18esima edizione e miete numerosi successi
fruttati oppure forti e speziati?
Ivica Matošević rinomato produttore di vini e presidente di “Vinistria”
contribuito in modo considerevole al
rilancio dei prodotti istriani, in primo luogo con il Moscato momianese e con il Santa Lucia, definito da
alcuni critici con il termine di “monumentale”. Molti intenditori mettono ai primi posti il Moscato istriano, o meglio ancora il Moscato di Momiano,
soprattutto per la sua doratura e l’intensa fragranza di garofani selvatici
e per lo straordinario aroma. Secco e
dolce, grandioso accompagnatore di
dolciumi vari, nonché di qualsiasi altra pietanza raffinata, al moscato vengono inoltre attribuite delle proprietà
afrodisiache.
I vinai istriani rappresentano il
connubio perfetto tra tradizione e innovazione: grazie alla loro dedizione
e alla cura di viticci tradizionali, come
la malvasia, il moscato ed il terrano,
sono riusciti a produrre e sviluppare
prodotti autentici che testimoniano
della grande qualità enogastronomica del territorio, inoltre il loro spirito di rinnovamento, la costante ricerca di nuove qualità trasforma le loro
produzioni in vini importanti, degni
di essere assaporati in tutto il mondo.
Ma continuiamo la carrellata di
quei produttori che alla 18.esima mostra non hanno voluto mancare. Ricordiamo Marino Markežić, famoso vinaio e ristoratore, che è riuscito
a trasformare il piccolo villaggio nei
pressi di Momiano, nell’estremo nord
dell’Istria, in un centro enogastronomico rilevante per tutta la Croazia.
Noto soprattutto per le sua prelibate
specialità a base di tartufo, Marino ha
saputo arricchire la sua vasta offerta
di cibi con vini di alta qualità, prodotti sotto il nome di Kabola.
Altro esempio brillante è Moreno
Coronica, giovane produttore istriano
che ha seguito le orme della sua famiglia. La sua ampia ed attrezzata cantina è ricca di tecnologia alla massima avanguardia. La sua malvasia, soprattutto la Gran Malvasia stagionata
in barrique, è considerata da molti la
quintessenza dei bianchi istriani. Coronica ha delle grandi ambizioni anche quando si parla del terrano: il suo
Gran Teran da barrique rimane uno
dei più interessanti rossi.
Tra i premiati di “Vinistria 2011”
una medaglia d’oro è stata assegnata
anche alla Malvasia novella MaDeBaCo, un vino studiato da tre grandi
produttori istriani: Ivica Matošević,
Moreno Degrassi e da Gianfranco
Kozlović. Questo è un prodotto studiato per il mercato degli Stati Uniti
da un grande imprenditore e promotore dell’eno-gastronomia dell’Istria
e del Friuli Venezia Giulia e Veneto: Joe Bastianich, il quale sta acquistando di anno in anno vigne e can-
tine di produzione nell’area del FVG
per poi esportare i prodotti di queste
terre sul mercato americano. La madre di Joe Bastianich è la popolarissima cuoca e imprenditrice Lidia Bastianich, esule istriana, oggi proprietaria di un grande ristorante newyorchese “Felidia” e di altri ristoranti
gestiti tutti dalla sua famiglia. I piatti
forti? Naturalmente cucina istriana...
rivisitata un po’ e adeguata ai gusti
ed alle esigenze del mercato locale.
Un premio anche al connazionale Sergio Delton, di Dignano, per un
vino che si gusta quasi a gocce... il
Vin de rosa.
Apprezzato e premiato pure il
Moscato momianese, vendemmia
2008, di Benvenuti.
Tante cose sono state scritte e dette
di questa 18.esima edizione di “Vinistria” (13-15 maggio): in primo luogo
che è stata un’edizione in cui si è fatta
sentire la recessione, un appuntamento
che, se pur arricchito da numerose manifestazioni (ben 38 di tipo enogastronomico) e degustazioni collaterali, ha
risentito dell’assenza di alcuni prestigiosi produttori dell’area del Buiese.
Gli espositori sono stati 130 circa, tra cui Degrassi, Veralda (imbattibile il Refosco rosè premiato l’anno scorso), Kabola, Pilato, Arman,
Benvenuti....
Considerate le condizioni meteo,
il gran caldo al palasport “Žatika” di
Parenzo e il non proprio ideale sistema di ventilazione, va detto che la
parte del leone lo hanno fatto i bianchi, leggeri, malvasie in primis, e poi
i rosé e le cosiddette “bollicine” tra
cui ha primeggiato Peršurić.
Tra i numerosi appuntamenti collaterali va ricordata la ricca serie di
appuntamenti gastronomici, degustazioni guidate e tra le tante cose
in programma pure una capatina a
“Stanzia Meneghetti” che ha aperto
le porte del proprio podere ospitando una numerosa comitiva di giornalisti e addetti ai lavori in una visita
guidata alle cantine e una piacevole colazione con assaggio di prodotti
tipici, incluso l’olio d’oliva prodotto
dai proprietari.●
Panorama 15
Società
Forum Tomizza alla dodicesima edizione: nuovi spunti per la convivenza c
Quando la terra è antidoto allo sr
di Marino Vocci
G
li incontri di frontiera/obmejna srečanja/pogranični susreti della dodicesima edizione
del Forum Tomizza che, secondo la
bella e stimolante tradizione, si sono
tenuti a Trieste, Capodistria e Umago
alla fine di maggio e, oltre che provocare in me un forte rimpianto, sempre
più spesso generano in me la voglia di
un viaggio nei suoi romanzi, nei Suoi
scritti per rileggere le Sue lungimiranti riflessioni. In queste nostre terre di confine, affascinanti e complesse, dove spesso sembrano prevalere
gli “omuncoli”, sento il bisogno e una
gran voglia di dire con una certa malinconia “caro Fulvio, carissimo amico proprio mi/ci manchi!”
Due incontri collaterali del Forum
2011 nei quali sono stati affrontati temi
grande interesse e di viva attualità, mi
hanno particolarmente colpito. È proprio di questi che vorrei scrivere. Ambedue partivano da alcuni temi molto cari a Fulvio Tomizza e presenti in
moltissimi dei suoi scritti. Nel primo
dal titolo “Aspetti psico-sociologici
della migrazione istriana. Il ritorno alle
terra e alle tradizioni: la campagna e il
cibo” si è affrontato il tema complesso del rapporto tra l’uomo, in particolare l’esule, e madre terra. Un incontro, direi, conviviale, che si è svolto in
mezzo alla campagna pordenonese, a
San Quirino, presso uno dei luoghi tradizionali dell’incontro e cioé l’Osteria.
Quella accogliente e ospitale gestita da
Sergio, Pia e il figlio Corrado Sferco,
una famiglia molto legata alla famiglia Tomizza. Una famiglia e un luogo
che raccontano una storia dura e faticosa, come lo sono state molte di quelle
delle famiglie costrette a un esodo non
voluto, ma anche, potremmo dire, una
bella storia e istruttiva. Quella di una
famiglia contadina che, partita da Giurizzani, il paese natale, oltre che degli
Sferco, anche di Fulvio, dopo l’esodo
è approdata a San Quirino, e in quella terra veneta e friulana ha costruito
con fatica, tenacia e con un’intelligenza venata certamente da un senso profondo di nostalgia, un pezzo d’Istria
16 Panorama
fuori dall’Istria. Ma soprattutto dopo
lo sconvolgente sradicamento, il radicamento è risultato meno traumatico
(rispetto ad esempio a quelli costretti a vivere per anni in una baracca di
un campo profughi) anche e soprattutto perché hanno avuto la possibilità di
continuare, così come per quelli arrivati a Fossalon di Grado (ma questo è
avvenuto anche per alcune famiglie di
pescatori) a fare il lavoro di contadini
e a mantenere quindi un rapporto forte
con la terra. Per quanto riguarda poi la
famiglia Sferco, ai quali Fulvio dedica un bellissimo capitolo del suo libro
“La casa col mandorlo”, solo successivamente aprirà un punto vendita dei
loro prodotti della terra, poi un’agriturismo; infine l’Osteria che da alcuni
anni è anche diventata sede dell’Associazione il Mandorlo costituita in prevalenza da profughi istriani.
Proprio a san Quirino l’amico sociologo Ulderico Bernardi ha ricordato
l’importanza che per Tomizza ha sempre avuto il rapporto con la terra. Come
se l’appartenenza al mondo rurale assumesse una dimensione spirituale;
ché creava il bisogno quasi ancestrale
di toccarla, di immergersi, di respirare i profumi della ruralità e di coltivare
pazientemente e amorevolmente l’orto
accanto alla sua casa di Momichia. Per
Tomizza poi, spesso il cadenzare del
tempo e i ritmi della scrittura, coincidevano con quelli delle stagioni e dei
grandi riti del mondo contadino. Così
i tempi della creazione dei suoi preziosi romanzi, spesso facevano corrispondere una prima stesura con la mietitura del grano, una seconda quando era
il momento della grande festa delle vigne e poi la stesura finale con la raccolta delle olive.
Parlare del rapporto dell’uomo
con la terra significa anche e soprattutto ricordare come sempre più spesso questa è dimenticata e maltrattata.
Un rapporto che invece sarebbe bene
che tutti noi coltivassimo di più e meglio; non solo perché molti di noi hanno profondi legami e radici nel mondo contadino, ma soprattutto perché la
nostra amata terra, insieme all’acqua,
fiumi, laghi, mare e oceani compresi e
all’aria, hanno bisogno di essere amati
e visti come grandi beni comuni. Amare la terra significa anche apprezzarne i
suoi doni, i prodotti. Quelli di una terra sempre più povera e sovra e spesso
male sfruttata, che rimane comunque
ancora oggi - ma fino a quando? - fonte
principale per la nostra sopravvivenza
alimentare. Cultura e civiltà della tavola che, come ho avuto più volte modo
di ricordare, non è soltanto un fatto di
sopravvivenza, di salute, di piacere e di
convivialità, ma è anche di identità e
memoria. E come ha voluto sottolineare Bernardi in occasione dell’incontro,
nelle comunità dell’esodo e in generale
dell’emigrazione, l’ultima identità che
si perde è proprio quella alimentare.
A Trieste nel corso del secondo incontro con un titolo “Aspetti psico-sociologici della migrazione istriana. Lo
sradicamento e l’integrazione”, particolarmente significativo è stato l’intervento del direttore dei servizi psichiatrici di Trieste Peppe Dall’Acqua. Che
ha ricordato come il suo bellissimo incontro con Fulvio Tomizza e soprattut-
Società
civile nella nostra regione
Riflessioni in cornice
Il Grande Fratello è morto
radicamento
to la lettura di “Materada” lo avevano
tranquillizzato, pacificato. Questo anche perché Dell’Acqua, allora giovane
psichiatra appena arrivato a Trieste dal
profondo Sud per vivere e condividere
l’esperienza rivoluzionaria del grande
Franco Basaglia, era rimasto profondamente turbato dalle storie drammatiche
di centinaia di migliaia di persone costrette a lasciare le loro terre, dalle centinaia di storie tragiche di molti istriani “imprigionati” in manicomio e da
quelle di decine di migliaia che hanno
sofferto il disagio dei campi profughi.
Soprattutto tra i presenti all’incontro, il ricordo della storia di Giovanni Doz, raccontata nel bellissimo libro “Non ho l’arma che uccide il leone” scritto da Dell’Acqua nel lontano
1980, ha provocato una vera emozione.
Perché è la storia di un istriano approdato a Trieste nel secondo dopo guerra, di un istriano schizofrenico finito
quasi subito in manicomio. Un istriano
che nel momento in cui nel 1978 vengono abbattute le mura del manicomio/
prigione, riacquisita la sua libertà. Così
Giovanni insieme a Peppe ritorna dai
suoi cari in Istria e attraverso la magia
della terapia nel ritorno nella terra e sul
mare delle proprie radici, ritorna a essere una persona, ritorna a vivere nella
sua casa e insieme ai propri familiari e
poi serenamente a morire.
Un incontro quello di Trieste dove
sono stati affrontati temi in parte simili a quelli di san Quirino, ma che allo
stesso tempo ha offerto la possibilità di
allargare l’orizzonte all’oggi e a rendere quegli stessi temi quindi più attuali,
presenti, vivi e terapeutici. Simile perché si è parlato di quanto hanno sofferto gli esuli, i profughi e gli emigranti
di ieri nel momento della loro “fuga”
per il traumatico sradicamento e spesso
anche per l’altrettanto difficile radicamento nei luoghi dell’approdo, ma anche del valore terapeutico del rapporto
con la terra. Diverso perché protagoniste non sono stato solo le tragiche storie di ieri, del dramma e il del dolore
dei milioni di profughi, di esuli e di migranti di oggi, ma anche il dolce piacere, di Sergio e Giovanni, della liberazione e del riscatto. ●
di Luca Dessardo
Q
uando nel lontano 1948 George Orwell scriveva il famoso romanzo “1984”, nel quale compare
l’idea di un Grande Fratello al potere che osserva minuziosamente tutti gli attimi di vita dei propri sudditi
tenendoli così soggiogati, considerava terribile la prospettiva di un simile scenario. Fino ad allora solamente
la Chiesa poteva permettersi di mettere all’interno delle cabine elettorali il famoso monito “Dio vede, Stalin no”, ma Orwell si pose la domanda che cosa sarebbe accaduto se anche lo Stalin di turno potesse vedere
tutto. La sua risposta: una dittatura
estrema.
Da quando “1984” è stato scritto,
ogniqualvolta un qualsivoglia regime
o governo ha aumentato le misure di
controllo sulla popolazione non sono
mancate voci che profetizzavano
l’avvento della distopia orwelliana, e
gridare al Grande Fratello è diventato uno slogan; a dire il vero ancora
oggi si ricorre all’immaginario dello
scrittore britannico per scongiurare
la sempre più stretta sorveglianza cui
siamo sottoposti in nome della sicurezza. Tuttavia, non possiamo negare
che questo modo di pensare stia diventando obsoleto. La nostra mentalità, solamente una sessantina di anni
più “moderna”, non ha più una concezione simile di diritto alla privacy.
Il concetto stesso di privacy è cambiato, e abusare ancora di Orwell è
semplicemente ridicolo.
Viviamo infatti in una società dove
il privato non va oltre alla porta del
cesso, e talvolta non rimane nemmeno lì. Semplicemente la nostra è una
generazione pornografica, e sempre
meno riesce a concepire cosa voglia
dire intimità. Si vive sempre più da
reclusi, ma paradossalmente siamo
sempre più affetti da ubiquità – cortesia dei nuovi mezzi di comunicazione. La rete ci è disponibile in ogni
dove, e gli strumenti per comunicare
costantemente la nostra posizione e
la nostra attività correnti, in una parola il nostro status, ci sono a dispo-
sizione oggi più che mai. Cellulari
con fotocamera ed accesso ad internet, tablet e superportatili non sono
più elementi da Star Trek, bensì oggetti indispensabili per la vita di ogni
giorno, di ogni minuto.
Che bisogno c’è di spaventarsi
per qualche telecamera in più, e fare
i finti indignati, quando poi aggiorniamo costantemente il nostro profilo, con sempre più foto e video: dal
nostro cane che abbaia a ritmo di
musica al filmato a luci rosse amatoriale con l’ultima conquista. E a questo punto parte il mare di like dislike
e commenti che per un attimo hanno
la sembianza di comunicazione.
Il Grande Fratello oggi non ha bisogno di origliare né di interrogare.
Al contrario, è sommerso da informazioni. Se nel “1984” era il Grande Fratello a vomitare fiumi di parole
e motti da martellare nella coscienza
dei sudditi, ora a vomitare i fiumi di
parole e immagini sono i sudditi stessi. L’idea alla fine è tanto quella di
guardare la pornografia, quanto di
farla. Se da un lato abbiamo ancora la pazienza di vedere un film degli altri, o di leggere quello che hanno scritto, è immancabile il commento. L’importante è produrre produrre produrre. Non importa che cosa,
l’importante è aggiungere quel commento, o perlomeno cliccare quel
pulsante che segna nella memoria
della rete il nostro passaggio.
Giudici di tutto e tutti e allo stesso tempo non giudicabili. Qui si nasconde ancora la concezione che noi
abbiamo fatta di privacy. Se in Orwell la privacy aveva ancora un valore ed un sapore di casa, noi consideriamo privacy il diritto a giudicare da dietro i nostri schermi senza essere giudicati, e di rimanere soli
ed intoccabili dietro ai nostri avatar
virtuali, che si beccano le critiche.
Stiamo vivendo uno sdoppiamento di
personalità senza precedenti - la patologia dell’uomo contemporaneo,
voyeur ed esibizionista. Il Grande
Fratello è morto, assieme alla idea
stessa di privato cui sembrava una
minaccia. ●
Panorama 17
«La festa d
Una vita dedicata a studiare il passato delle nostre terre
Dassovich, Fiumano esemplare
A
83 anni, è scomparso Mario
Dassovich. Come tante volte
succede, specie con gli anziani, una caduta nella sua casa triestina si è rivelata fatale per porre fine
a una vita dedicata alla ricerca storica e sfociata in una ventina di libri, a cui si aggiungono centinaia di
saggi e articoli, fra cui spiccano agli inizi - quelli che segnarono, nel
1952, l’inizio della collaborazione
con la rinata rivista “Fiume”, su cui
pubblicò già nel primo numero un
testo sull’atteggiamento della gioventù fiumana nei confronti di Tito.
Dall’area fiumana allargò progressivamente il suo interesse al passato
di tutta quest’area fino ad inglobare
i rapporti italo-jugoslavi nella loro
globalità fornendo giudizi che saranno di grande aiuto per chi in futuro
vorrà dedicarsi a questi temi, anche perché supportati da una grande quantità di riferimenti, la cui individuazione permetterà un’ampia dilatazione e
stratificazione delle ricerche.
Il mio primo contatto con il concittadino risale alla seconda metà degli
anni Settanta quando, per un caso fortuito, mi ritrovai in mano il libro “Itineriario fiumano 1938-1949” verso cui, giornalista non ancora trentenne,
mi attrasse non solo la grande mole di dati che mi fornì su quella che allora
era stata - in ordine di tempo - l’ultima odissea dei fiumani, ma anche perché conoscevo di persona talune delle persone citate. Quelle pagine mi furono preziose per capire e tratteggiare in diversi scritti determinati specifici
aspetti del passato cittadino.
L’incarico di un’intervista per il quindicinale mi offrì poi, cinque, sei
anni fa, l’occasione di conoscerlo di persona. Mi accolse nel suo studio situato nella tranquilla via del Castagneto e parlammo a lungo. In un fluente
dialetto in cui riaffioravano termini che nella mia città sento sempre più di
rado, mi snocciolò nomi, date, raffronti, giudizi, il tutto condito con un’ironia che derivava da un’attenta osservazione dei fatti del mondo e di questo
nostro microcosmo ed in cui uomini ed avvenimenti, nefandezze comprese, trovavano regolarmente una logica spiegazione.
Per me fu una scoperta felice che mi indusse a leggere i suoi libri man
mano che uscivano e a darne notizia in queste pagine. Alla pubblicazione
seguiva sempre la telefonata di gratitudine. Il caso ha voluto che ci rivedessimo all’inizio di quest’anno per un’altra intervista. Ritrovai un Dassovich
leggermente più anziano nell’aspetto, ma immutato nella verve e sempre
armato della sua formidabile memoria. Così, rievocando la tumultuosa seduta del processo del 1946 in cui fu condannato a quindici anni, mi disse
d’aver pubblicamente mandato a remengo il provocatore che, dal pubblico, chiedeva a gran voce che fosse messo a morte. Seguì un parapiglia con
urti e spintoni con gli agenti di custodia, dopo di che il procuratore militare gli si avvicinò “ed educatamente lo fece sedere”. Gli anni del carcere a
Maribor? Era un diciottenne, per cui “viveva tutto come un’avventura”, mi
disse con l’usuale sorriso, sorvolando sul fatto che erano comunque fatiche
non certo trascurabili per un giovane privo di un rene.
Un uomo di cui la città e gli italiani di queste terre possono menare giusto vanto. ●
M. S.
18 Panorama
L
a festa di S. Vito, patrono di Fiume, cadeva proprio verso la fine
dell’anno scolastico: il 15 giugno. Si
assisteva allora ad una celebrazione
che differiva profondamente da quelle
di altre ricorrenze - molto più solenni
- festeggiate assieme a comunità più
vaste di quella cittadina.
Con l’appoggio di qualche comitato coordinatore veniva organizzata tutta una serie di manifestazioni o
celebrazioni di diversa importanza:
la processione, il concerto della banda cittadina, il gioco della tombola in
piazza Dante, gli incontri sportivi, il
numero unico di qualche giornale, i
fuochi d’artificio. Non mancavano le
iniziative ancor più modeste - e le ingenue decorazioni di alcune case con
festoni, fiori, rami di lauro - che sapevano un po’ di sagra rionale periferica. In questa occasione però era il
centro che diventava periferia: non il
nuovo centro dinamico che gravitava
su piazza Regina Elena, ma il modesto agglomerato della Città Vecchia.
Si faceva assai presto ad attraversare quell’antico nucleo urbano: da
piazza delle Erbe a piazza di S. Vito,
oppure da via S. Bernardino alla calle
dei Canapini ed alla calle della Marsecchia. In quel breve spazio si trovava addirittura posto per due chiese cattedrali. Quella vecchia - ridotta
col tempo a parrocchia dell’Assunta
ma indicata tradizionalmente da tutti
come “il Duomo” - e quella nuova: la
cattedrale di S. Vito.
Anche i palazzi municipali erano
due: quasi a ricordare il passato e il
presente, nello stesso vecchio centro
ma in due punti diversi. Pochi però
sapevano che l’edificio a due piani
che chiudeva sul lato a monte la piazza delle Erbe era stato per tre secoli
- dal 1532 al 1835 - il Palazzo della
città, ove “si tenevano consigli e fungeva il civico magistrato”. E non erano molti nemmeno quanti ricordavano che l’attuale sede del municipio l’estremo limite occidentale della Città Vecchia - era stata a suo tempo il
convento degli Agostiniani.
Percorrendo le varie calli - del
Barbacane, del Volto, del Forno, della Loggia, del Tempio, ecc. - sembrava
quasi assurdo pensare che dall’ope-
del Patrono»
Aprile 1941, è in pieno corso lo sgombero della popolazione per i centri della riviera, operazione che segnerà le prime battute della tragedia che avrà pochi precedenti nella storia della città (foto dal libro “Itinerario fiumano 1938-1949”)
rare delle generazioni, succedutosi in
buona parte di quelle casupole, fosse
scaturita giorno per giorno la storia
della città. Eppure là erano state vissute le vicende del municipio romano,
del feudo dei Duinati, della comunità
municipale sottoposto agli Asburgo.
La storia della colonia romana di
Tarsatica poteva essere letta frammentariamente negli accenni di Plinio il Vecchio e di Claudio Tolomeo:
ma poteva essere ricostruita anche
dal disegno dell’Arco Romano e dei
ruderi dell’antico Vallo. Distrutta
Tarsatica - ad opera di Carlomagno,
secondo la tradizione - sulle sue rovine si era formata la “Terra fluminis
Sancti Viti”: dipendente dalla cattedra vescovile di Pola e subinfeudata
ai Duinati, vassalli questi del patriarcato aquileiese.
Forse era stato il vescovo di Pola
ad introdurre nella risorta municipalità la venerazione di S. Vito. in un
primo momento il Santo era stato accomunato al rivo - che delimitava da
un lato la cittadina - per indicare il
nuovo centro abitato: poi il municipio era stato chiamato semplicemente Fiume e S. Vito ne fu il Protettore.
La rottura del rapporto di vassallaggio fra i Duinati ed il patriarca di Aquileia - e la contemporanea
sottomissione dei signori di Duino
agli Asburgo - aveva segnato l’inizio
di un lungo periodo di subordinazione di Fiume al mondo feudale tede-
Siamo nel 1939 e la Piazza è dedicata alla regina Elena. Gli autobus in
attesa presteranno servizio anche nei primi anni del dopoguerra
sco. L’articolazione austro-ungarica dell’impero asburgico aveva visto successivamente il municipio fiumano nell’ambito dei territori della
corona di S. Stefano. E si era avuto
l’inizio della “fraternità magiaro-fiumana” in contrapposizione alla coscienza nazionale croata che si andava rapidamente diffondendo nei territori contermini.
La festa di S. Vito aveva assunto
un nuovo significato proprio negli ultimi decenni del dominio ungherese.
Si era venuta volutamente incrinando
la correttezza dei rapporti fiumanomagiari e la celebrazione del patrono
era diventata occasione di sfida alla
politica accentratrice degli ultimi governi di Budapest. Il giorno di S. Vito
la bandiera fiumana poteva prendersi
la sua rivincita sulla bandiera ungherese: l’assenza o l’indifferenza delle
autorità governative riportava inoltre in prima fila quelle autorità comunali, che per tutto il resto dell’anno
vedevano continuamente minacciati i
già ristretti limiti della propria autonomia.
Non c’era invece l’ombra di feudatari o di autorità straniere sulle celebrazioni di S.Vito vissute nella nostra adolescenza. Anche allora però
sembrava di ritrovare per un giorno
un volto diverso della città: e per un
breve periodo si pensava di poter riscattare quei modesti valori locali,
che forse un attimo prima parevano
destinati a scomparire nelle nuove dimensioni della realtà europea.
(da “Itineriario fiumano 1938-1949”)
Panorama 19
Etnia
S
e la letteratura è vita, quella della minoranza italiana si può considerare assiomatica per far luce sulla
sostanza del tessuto comunitario nella sua articolazione nazionale, sociale e - in particolare - minoritaria
in un arco di tempo che presto toccherà i sessant’anni.
Se le tematiche di questo periodo sono essenzialmente
“minoritarie” questa produzione ha a monte una letteratura che un secolo fa, nella sua collocazione sociale, non
era né si sentiva affatto minoritaria bensì parte della produzione “nazionale italiana” a cui si connetteva volutamente e in maniera piuttosto stretta, forte anche del fatto
che lo strumento, la lingua, era unico.
L’opera capitale per delineare questa produzione
letteraria s’intitola, come ben noto, Le parole rimaste,
frutto in primo luogo delle fatiche congiunte di Nelida
Milani e Roberto Dobran e quindi di tanti collaboratori.
Fra le persone più direttamente coinvolte nella sua
presentazione figura la prof.ssa Elis Deghenghi Olujić,
Responsabile del Dipartimento e Titolare della Cattedra di Lingua e Letteratura italiana dell’Università di
Pola, che tratteggiando i due grossi volumi ha allargato il discorso a quello che, in termini estremamente
semplici, può appunto essere definita la collocazione
della letteratura minoritaria nell’ambito di quella prodotta nell’area della nazione madre. Trattandosi di un
discorso che si presenta di grande interesse, riportiamo
qui avanti un sunto dell’intervento, con particolare riguardo al tema suddetto.
Degne di riflessione le tesi esposte dalla prof.ssa Elis Deghenghi Olujić
Siamo parte della letteratura d’Italia
D
elineare la storia della letteratura
che gli Italiani di Croazia e Slovenia hanno prodotto in oltre un sessantennio, dallo spartiacque traumatico del Secondo dopoguerra ad oggi,
significa rispondere all’esigenza di
riassumere la vicenda storica, culturale ed umana di una comunità che
ha trovato nella parola scritta il modo
per conservare la propria autonomia
e la propria identità linguistica e culturale, anche quando farlo risultava
estremamente difficile. Il manuale
rappresenta un primo concreto orientamento per avviare alla scoperta di
una produzione letteraria, in primo
luogo poetica e narrativa, ma anche
saggistica, ancora poco conosciuta e
apprezzata. Così dicendo, non intendo sminuire o disconoscere l’importanza di numerosi scritti inerenti questa produzione letteraria, scritti saggistici e di critica letteraria sparsi in
riviste e miscellanee, frutto dell’impegno di molti studiosi. Quello che
intendo sottolineare è che prima di
quest’opera non c’era un’organica ed
esaustiva storia della letteratura istroquarnerina, nata e sviluppatasi specialmente in Istria e a Fiume dopo la
fine della Seconda guerra mondiale.
Pertanto, gli autori (diciassette)
hanno lavorato con lo scopo di offrire gli strumenti essenziali per la collocazione nello spazio e nel tempo di
opere ed autori, e proporre una solida
base dalla quale partire per avviare
una ricerca semmai ancor più rigoro-
20 Panorama
sa, suggerendo iniziative che prevedano, per esempio, la stesura di profili monografici nonché la pubblicazione di uno o più volumi antologici
che in questo lavoro, seppur corredato da inserti dalle opere, non possono avere una presenza più cospicua.
Anche se in una canonica storia della
letteratura l’inserimento di testi poetici e brani di narrativa e saggistica,
non è pratica frequente, si auspica
che proprio la loro presenza in questo lavoro possa far nascere nei lettori l’interesse per le opere, gli autori,
le situazioni in cui i testi sono stati
prodotti, le esperienze che la lettura
riesce a suscitare. La preparazione di
quest’opera ha consentito di mettere
a fuoco molti aspetti e problemi della storia della letteratura della CNI,
cui si spera altri saranno tentati di
dare risposta. Una letteratura fortemente radicata in uno specifico ambito territoriale, che acquista rilievo
nell’Europa unitaria costituita da tante microculture.
A tale proposito bisognerebbe
(ri)prendere in considerazione e applicare alla nostra particolare situazione il concetto di “geografia della
letteratura” proposto da Carlo Dionisotti già nel 1951 nel memorabile
saggio pubblicato a Cambrige Geografia e storia della letteratura italiana. L’impiego di questa categoria
critica, ripresa di recente anche da
Alberto Asor Rosa, che l’ha applicata in ben quattro tra i volumi del-
Elis Deghenghi Olujić
la Letteratura italiana da lui curati,
aiuta a cogliere meglio la specificità e la diversità di una proposta letteraria e culturale. Nello studio della
letteratura, specie di frontiera (Asor
Rosa parla di “marche di frontiera”,
come il Friuli, la Venezia Giulia, il
Trentino, ma anche la Svizzera italiana) ovvero di quei territori di lingua e tradizioni italiane che per lassi di tempo più o meno estesi, più o
meno continui, si sono trovati al di
fuori dei confini nazionali. L’applicazione di questa categoria può essere d’aiuto non solo per comprendere
appieno la storia trascorsa, ma anche
per progettare il futuro. Dal punto di
vista letterario, e secondo il pensiero dionisottiano, lo spazio (il territorio) istro-quarnerino può essere considerato una nuova provincia letteraria, da inserire nell’ambito della letteratura italiana. Già Bruno Maier,
per lunghi anni uno dei rari studiosi
in Italia a occuparsi della produzio-
Etnia
ne letteraria istro-quarnerina, sosteneva questa idea. Ciò significa che,
allo scopo di valutare appieno la qualità e le trasformazioni della geografia letteraria d’Italia, quello che andrebbe riconsiderato è il rapporto tra
“centro” e “periferia”, dal momento
che, come insegna appunto Dionisotti, la storia della marginalità reca un
contributo essenziale alla storia totale in costruzione. Mettere in pratica
il suo suggerimento significa riportare lo studio della letteratura italiana a una dimensione territoriale. Ma
per essere veramente completo e in
armonia con la contemporaneità, tale
studio dovrebbe ampliarsi ed estendersi anche a quella produzione letteraria prodotta in lingua italiana al di fuori dei confini
nazionali. Difatti, non solo
nell’Istro-quarnerino,
ma
anche altrove, là dove la presenza italiana è considerevole, c’è una produzione letteraria in lingua italiana che
merita d’essere considerata,
valutata e inserita all’interno
di una storia della letteratura
italiana come elemento aggiunto al patrimonio letterario e culturale nazionale. Nel
caso dell’Istria e Fiume questa riflessione diventa significativa allorché si considera
che l’ampia produzione degli istro-quarnerini è il prodotto originale dell’unica minoranza italiana
autoctona nel mondo.
Ancora una riflessione: pur avendo la sua genesi in una realtà territoriale ben determinata (Istria e Fiume, in particolare), l’attività letteraria
e artistica degli Italiani di Croazia e
Slovenia è tutt’altro che provinciale,
e nasce all’insegna della persuasione che l’universalità non è qualcosa
di astratto, ma scaturisce dall’approfondimento di una particolare condizione spazio temporale e da una sua
proiezione in una sfera più vasta, nella quale ognuno possa riconoscersi.
Nelle opere di narrativa e nelle sillogi
poetiche gli autori rivendicano il diritto di radicamento nel territorio e la
libertà di esprimersi, manifestano la
capacità di raccontare tutti i possibili
destini umani. L’originale produzione
letteraria, non più obbligata, come in
passato, a difendere solo l’identità, si
configura oggi come un atto di fede
nella creatività umana e documento
di quella vita che, come ricorda Alessandro Damiani, si svolge nel territorio istriano, con proprie connotazioni
innanzi tutto ambientali, morali e psicologiche.
In una situazione complessa e troppo vicina a noi, perché le misure di
valore si assestino su livelli concordi,
i giudizi critici espressi sugli autori e
le loro opere non vanno naturalmente
intesi come definitivi e assoluti, trattandosi di una produzione letteraria in
progress. Tenendo conto del fatto che
si tratta di un lavoro di gruppo e che è
sempre difficile amalgamare stili, linguaggi e approcci differenti, il risultato è un testo propedeutico indispensa-
bile non solo per insegnanti e studenti
delle nostre scuole, ma anche un testo da diffondere nelle scuole italiane (d’Italia), croate e slovene (sarebbe opportuno tradurre l’opera in lingua slovena e croata). Inoltre, questo
testo entrerà di certo a far parte della
bibliografia d’obbligo per gli studenti
universitari, laddove si svolgono già
corsi incentrati sulla letteratura istroquarnerina (per esempio presso il Dipartimento di studi in lingua italiana
dell’Università Juraj Dobrila di Pola,
e presso molti Dipartimenti di Italianistica degli Stati Uniti d’America).
Ma al di là delle sue specifiche finalità didattiche, questo lavoro lo considero adatto a chiunque voglia conoscere per la prima volta o approfondire le conoscenze delle radici, del processo di formazione e dello sviluppo
di una letteratura che è relativamente
giovane, ma che ha già al suo attivo
un bagaglio di opere di tutto rispetto,
che sono il modo migliore per contra-
stare il declino e il depauperamento
della lingua italiana, e tramandare la
memoria storica ed il patrimonio culturale degli Italiani di Croazia e Slovenia, abitanti autoctoni di una regione che non può rinunciare all’apporto
culturale offerto da ogni sua componete etnica.
Vi è un grande progetto da compiere, quello di un’Europa che sia
davvero la casa comune dei popoli,
delle minoranze, delle culture locali, delle tante lingue che la compongono nello spirito dell’integrazione.
È opinione diffusa che sia necessario
lavorare per un’Europa che sia accogliente e non escludente, che abbia
un patrimonio comune condiviso di
principi e valori, un’Europa interregionale, decentrata e senza gerarchie, nella
quale a tutte le minoranze
e a tutti i gruppi linguistico-culturali sia riconosciuto e garantito il principio
di “pari opportunità”. Per
potersi inserire in questo
progetto il territorio istroquarnerino, nel quale il meticciamento delle lingue e
delle culture è presente da
secoli e resiste nonostante i capricci della storia e
la frequente ignoranza delle caratteristiche ambientali e degli eventi storici che
incidono in modo determinante sugli
esiti letterari e culturali, ha bisogno
del concorso di molte intelligenze
che, senza perdere se stesse e senza
rinnegare le proprie radici e la propria identità, siano capaci di rispettare l’alterità, la molteplicità, la varietà. Per partecipare a questo progetto
senza complessi d’inferiorità, gli italiani di Croazia e Slovenia devono
porsi un obiettivo chiaro: assicurare
la prosecuzione della presenza etnica
e culturale italiana nel territorio, in
una posizione che non sia subalterna agli altri coinquilini e neanche rispetto alla nazione d’origine, in vista
di un superamento degli attuali recinti, geograficamente ed idealmente angusti. La produzione letteraria
degli Italiani di Croazia e Slovenia,
ora esaminata ne Le parole rimaste,
rappresenta un valido contributo alla
realizzazione di quell’Europa nella
quale ogni apporto culturale assume
un significato imprescindibile. ●
Panorama 21
Arte
Sessanta gli autori presenti con poco meno di ottanta opere esposte in tre dive
Mosaico, sarà una Biennale be
di Erna Toncinich
dificio vecchio, spazio espositivo nuovo. Succede nella
Cittavecchia fiumana, in quella che una volta era la via Canapini,
prima ancora, molti, tanti secoli prima, la via decumana della Tarsatica
romana. Ad aprire al pubblico i due
vani del pianoterra dell’edificio in cui
opera - casa Garbas -, è stato il Dipartimento per la tutela e la conservazione dei monumenti, che il mese scorso
ha inaugurato lo spazio con una mostra di documenti inerenti il restauro di alcuni affreschi della regione.
Maggiore interesse ha destato l’esposizione successiva: la mostra di lavori nella tecnica del mosaico. Da dieci e lode, innanzitutto perché voluta
e attuata da alcuni giovani entusiasti
che conoscono l’antica tecnica musiva (appresa nella nota Scuola mosaicisti del Friuli con sede a Spilimbergo). Elogio altresì per il progetto
stesso, inteso come rassegna biennale. Che si spera, ed è nei progetti degli organizzatori, diventi internazionale. E si spera anche - e soprattutto - che questa novella Biennale del
mosaico non segua il destino di altre rassegne d’arte venute alla luce a
Fiume, ad esempio la ben collaudata
e apprezzata e ora “defunta” Biennale del Disegno originale, le due belle
edizioni dell’esposizione internazionale Ex libris. Eccetera.
Sessanta gli autori dei settantacinque lavori esposti (dei quasi duecento pervenuti di centottanta autori;
E
22 Panorama
palese dunque l’interesse per questa
tecnica tutt’altro che diffusa ai giorni
nostri), parte nello spazio di cui sopra e parte in altri due spazi: nel Castello di Tersatto e presso la Galleria
del Club giovanile Palach, in via della Ruota, che ha accolto lavori realizzati da studenti che frequentano alcune scuole medie e della locale Accademia di Arti Applicate.
Variegata oltre ogni dire l’interpretazione della vecchia tecnica del
mosaico, sia come uso di materiali
che in quanto a elaborazione creativa. Se la classica tecnica musiva vuole le tessere di marmo o pietra o pasta vitrea o ciottoli, tessere di forma
tradizionalmente quadrata e di circa
un centimetro quadro, i novelli mosaicisti adoperano tessere dalle forme
e dai materiali dei più svariati. E se
l’antico mosaicista “dipingeva” con
le tessere sul pavimento e sul muro,
i mosaicisti dei nostri giorni creano
lavori musivi bidimensionali e tridimensionali, quadri, rilievi e composizioni a tuttotondo, formulazioni
fondate su base monocroma e coloristica. Risulta palese, dal panorama
espressivo degli espositori, una fre-
Il manifesto della “Biennale del
mosaico” a Fiume e (nelle altre
foto) alcune delle opere esposte
schezza interpretativa, una curiosità
nel cimentarsi in maniera nuova in
una tecnica antica.
Un plauso meritato va senza dubbio ai due giovani ideatori di questa nuova rassegna artistica fiumana,
Matko Kezele e Damir Hajduk, e a
coloro che li hanno sostenuti nella realizzazione del loro bel progetto.
Di mosaici, di vari tipi ed epoche,
le nostre zone non sono proprio povere. Motivi geometrici e figurali, bordure e composizioni varie, in bianco
e nero e policrome, sono l’eredità lasciata dagli antichi romani. Nell’area
dell’Istria, soprattutto. A Pola, oltre
Arte
ersi punti della città di Fiume
eneagurale?
Uno dei mosaici paleocrostiani rinvenuti di recente dinanzi al Duomo di
Fiume. Stesa la relativa documentazione, sono stati di nuovo interrati
Mosaico policromo “Il castigo
di Dirce” nel centro di Pola
che nel suo ricco Museo Archeologico, che dispone di una grande varietà
di opere musive provenienti da case
e ville delle isole Brioni, da Valbandon, da Punta Bossolo, dalla stessa
Pola e da numerosi altri insediamenti
di epoca romana sparsi per la penisola istriana. In un punto della città c’è
un mosaico che risale al terzo secolo
dell’era nostra, con la raffigurazione
di una scena mitologica: la moglie di
Licio, re di Tebe, legata alle corna di
La maestosa Basilica Eufrasiana
di Parenzo con i suoi mosaici
un toro infuriato che la sballotta sino
a farla morire. Noto come Il castigo
di Dirce, è un grande e splendido e
ben conservato mosaico policromo
pavimentale proveniente da una casa
urbana. Non c’è guida turistica a Pola
che tralasci di far vedere al proprio
gruppo questa opera. Un mosaico che
si distingue per la sua particolarità è
l’Emblema vermiculatum di una delle isole Brioni, un reperto molto singolare, sia per la sua raffinata esecuzione tecnica fatta con tessere minuscole, sia per il tipo di decorazione. Si
tratta di un’opera sicuramente uscita
da una bottega di maestri orientali e
piuttosto rara nel pur esteso impero
romano.
Anche Parenzo, l’antica Colonia
Parentium, conserva documenti musivi di epoca romana, dal VI secolo
però è famosa soprattutto per i suoi
mosaici di epoca bizantina, quelli che
ornano il catino absidale della maestosa Basilica Eufrasiana, un complesso musivo che ha fatto inserire la
basilica nell’albo dell’Unesco.
Più che dell’antica romana Tarsatica, Fiume vanta mosaici di epoca paleocristiana. Vanta sì, solo che
si tratta di mosaici pavimentali “invisibili”. Scoperti solo qualche anno fa
in Cittavecchia, nella zona antistante
il vecchio Duomo, esaminati, fotografati, descritti, nuovamente coperti, continuano e continueranno chissà
Un’opera musiva dei nostri giorni ad
opera di Edo Murtić si trova all’interno degli uffici postali in Corso
per quanto ancora il loro sonno secolare, ben protetti, come già per lunghi
secoli, da un bel po’ di metri cubi di
terra. Anche da un selciato in pietra.
E chi li ha visti li ha visti.
Visibile è invece una bella e vasta opera musiva dei nostri giorni, un
mosaico che decora parte dei muri
interni degli uffici postali centrali
di Fiume. Edo Murtić, grande nome
della pittura croata contemporanea, è
il suo autore.●
Panorama 23
Cinema e dintorni
In Sorelle Mai Marco Bellocchio mette a fuoco il confronto fra tre ge
La famiglia davanti e dietro la macc
di Gianfranco Sodomaco
S
olo un grande regista come Marco Bellocchio (gli verrà conferito, finalmente, il Leone d’Oro
alla carriera alla prossima Mostra
d’Arte Cinematografica di Venezia)
poteva avere il coraggio di girare un
“piccolo” film come Sorelle Mai (presentato all’ultimo Festival di Venezia,
fuori concorso), che poi... piccolo per
modo di dire, se andiamo a vederlo
più da vicino, se facciamo uno sforzo
per comprenderne il significato profondo. Partendo dalla genesi.
Bellocchio, ogni anno d’estate
(dal 1999 al 2008), tiene un laboratorio di cinema a Bobbio, “borgo natio
selvaggio” in provincia di Piacenza,
dove ha girato il suo primo film, il mitico “I pugni in tasca”. Ebbene, tra il
1999 e il 2008, contemporaneamente,
gira sei episodi su... sulla sua famiglia,
ma a modo suo, non anagrafico-documentaristico ma creativo, mescolando
dati reali e di fantasia, coinvolgendo
parenti veri ed attori, raccontando storie accadute per davvero e altre inventate o il risultato di citazioni letterarie
o teatrali (un primo “assaggio” s’era
visto al Festival di Roma nel 2006).
Un mix, un pout-pourrì che rischia la
confusione, il guazzabuglio? Ma neanche per sogno. La mano dell’autore è troppo esperta per correre questi
rischi, e l’idea che ha in testa, con il
passare degli anni, diventa sempre più
24 Panorama
Da sinistra: Pier Giorgio Bellocchio, Donatella Finocchiaro, Marco Bellocchio, Elena Bellocchio, Alba Rohrwacher e Gianni Schicchi Gabrieli
chiara. E qual è questa idea? Andiamo
a vedere.
Il film inizia con un’invettiva cechoviana contro l’immutabile alternarsi dei giorni e da qui prende forma
un quadretto familiare tra tradizione e
alternativa, ribellione ed assuefazione: le due buone zie (sono proprio le
sorelle di Marco, Letizia e Maria Luisa, e il film è certamente un omaggio
a loro) pensano alla tomba di famiglia
da ampliare; la giovane madre (Donatella Finocchiaro, sempre più brava,
sta diventando una delle “prime donne” del cinema italiano) è combattuta
tra la sua carriera d’attrice e le responsabilità familiari non volute; il fratello Pier Giorgio (il figlio di Marco) nutre invece vaghe ambizioni velleitarie e cova una rabbia più palpabile; la
più piccola, Elena (la figlia di Bellocchio), cresce felice di vivere alla giornata, di nuotare nel fiume, di prepararsi alla cresima, leggera e sorridente anche quando passa dall’infanzia
all’adolescenza. Dal “tranche de vie”
spontaneo e apparentemente casuale
prende forma una storia di debiti e minacce che potrebbe diventare un film
a sé ma è bene che rimanga così, suggerita e quasi ironicamente smentita.
Sicché tutto si tiene e si sfilaccia nello stesso momento in questa narrazione anticonformista e libera: la recita
del “Trovatore” e l’allestimento del-
le “Coefore”, il trenino che attraversa il paese e i bagni al fiume... Il grande Cechov e I pugni in tasca, eterno
ritorno nel cinema di Marco Bellocchio, un alfa e omega a cui tutti, prima
o poi, riconducono i suoi lavori.
La morte della famiglia e la sua rinascita, la famiglia come culla e prigione, protettiva e confortevole ma
anche pericolosa e invischiante: è un
film di ossimori “Sorelle Mai” (il loro
cognome ma anche la negazione di
quella parentela) perché, col passare
del tempo, le durezze si ammorbidiscono e una nostalgia tiepida riappare. Sicché “l’operina” diventa anche
un film sul tempo e sulla dimensione
temporale del cinema, con un susseguirsi di quadretti divertenti, con Letizia e Maria Luisa che sono sicuramente le più spiritose in scena ma anche con l’ironia e la complicità della
Finocchiaro, di Alba Rohrwacher (altra “certezza assoluta”, ormai, del cinema italiano: una distratta professoressa nell’episodio dell’esame di maturità, dove appare anche il fratello di
Marco, Alberto, nel ruolo del preside) e dei figli, Pier Giorgio ed Elena
e l’amico d’infanzia Gianni Schicchi
Gabrieli. “Gianni Schicchi” che interpreta un finale quasi a sorpresa, interpretando “Vecchio frac” di Domenico
Modugno e fa dire a Bellocchio parole molto significative (da “la Repub-
Cinema e dintorni
enerazioni «di casa»
china da presa
blica”, 9 settembre 2010, in occasione del Festival di Venezia): ”È la fine,
non c’è più spazio per i ricordi. La ricognizione degli affetti si chiude con
questo film in modo definitivo. Lunga
vita a tutti ma questa è una esperienza conclusa. Può darsi si torni a Bobbio a fare cinema però partendo da altre cose”.
In attesa che riesca ad iniziare a girare il suo nuovo film, il cui titolo è
già tutto un programma visti i tempi
orribili che il “bel paese” sta vivendo, “Italia mia” (e non a caso sta incontrando ostacoli di ogni sorta), mi
sembrano utili, e nello spirito del film,
le parole di Pier Giorgio Bellocchio e
del suo rapporto col padre: “Per noi
della famiglia Bellocchio ‘Sorelle
Mai’ ha un valore molto più profondo del semplice film. In quei 90 minuti sono concentrati dieci anni di vita:
confronti, scontri, riappacificazioni.
E poi c’è Bobbio, il nostro luogo...
Sono ‘uscito da casa’ che avevo 24
anni, ero single, senza figli, in cerca
di una mia identità. Ho finito che ero
sposato, con due figli e con un rapporto con mio padre più sereno. Siamo
cambiati tutti in questi anni. Ci sono
famiglie che si riuniscono per i compleanni, noi per fare cinema... Mio padre, senza la psicanalisi, non avrebbe
più fatto un film... è vero, durante il
lavoro analitico con Massimo Fagioli
(uno psicanalista ‘eretico’ - n.d.r.) ha
girato dei film difficili (‘La visione del
sabba’ 1988, ‘La condanna’ 1991, ‘Il
sogno della farfalla’ 1994, ‘Sogni infranti’ 1995 - n.d.r.) ma perché stava
facendo un lavoro complesso. Dopo,
però, sono arrivati ‘L’ora di religione’
(2002), ‘Buongiorno notte’ (2003), ‘Il
regista di matrimoni’ (2006). E se a 70
anni ha girato un’opera come ‘Vincere’, non si può pensare che tanti anni
di analisi non abbiano avuto un ruolo
nell’arrivare a quell’età con la brillantezza, la vitalità e la capacità di guardare avanti che ha dimostrato di avere... Per me il problema è essere figlio
dell’uomo Bellocchio, complesso, coerente, rigoroso, che non accetta compromessi, e non del grande regista.
Con un padre così devi sempre dimo-
Alcune scene dal film
strare di mirare in alto... Oggi il mio
rapporto con lui è bello. I miei genitori si sono separati quando io avevo sei
anni. Quando, a 18 anni, sono andato a vivere da solo, la nostra relazione
è diventata più intensa ma anche più
conflittuale. Fino a quando, 16 anni
fa, è nata mia sorella Elena che amo
moltissimo. Allora ho riscoperto mio
padre... E io ancora non so che padre
sono, creare una famiglia è davvero
complicato...”
Per chiudere, una testimonianza di
Bellocchio, oggi, e un riconoscimento
del direttore della Mostra di Venezia,
Marco Muller.
Bellocchio: “Negli anni ‘70 ero
fuori della politica militante ma essere di sinistra mi creava conflitti molto forti. Quando immaginavi qualcosa
ti chiedevi: va nella giusta direzione o
può essere reazionaria? Restavo un artista che non voleva tradire, se non una
classe, un’idea. Oggi ho sempre le mie
idee ma mi sento più libero e diffido di
certe conflittualità moralistiche...”
Muller: “Camminatore instancabile, traghettatore di idee, esploratore
del confine instabile tra se stesso, il cinema e la storia...”
Una bella definizione per un grande
uomo di cinema, un grande regista.●
Panorama 25
Reportage
Il Parco nazionale del Tricorno, in Slovenia, una fra le prime aree prote
Trent’anni tutti dedicati alla tutela
testi e foto di Ardea Velikonja
I
l Parco nazionale del Tricorno
(Triglavski narodni park, TNP)
comprende una superficie di 838
chilometri quadrati ed è situato sul
confine tra Slovenia, Italia ed Austria,
ossia il quattro per cento del territorio sloveno. Quasi interamente il suo
territorio appartiene alle Alpi Giulie
Orientali. Si tratta della più grande
area protetta della Slovenia dove vige
un particolare regime di tutela della
natura, più severo rispetto agli altri
parchi naturali del paese. Per conservare il più possibile la natura inoltre è
ridotta la possibilità di costruire infrastrutture turistiche. Gli amanti dell’alpinismo ma anche di passeggiate in
montagna conoscono bene la zona
che si trova sotto l’occhio vigile del
monte più alto: il Tricorno, che arriva
a 2864 metri sul livello del mare.
Il parco, uno dei primi sul territorio europeo, è stato proclamato per
la prima volta area protetta nel 1924.
Il nome venne ufficialmente cambiato in Parco nazionale del Triglav
nel 1961, quando comprendeva solo
le vicinanze della montagna e della
valle dei laghi. La superficie odierna
del parco risale al 1981 quando venne proclamato Parco nazionale. Dal
2003, il parco fa parte della rete internazionale delle zone di biosfera
dell’UNESCO MaB (Man and Biosphere - Uomo e Biosfera).
Nel 2004, al TNP è stato assegnato il diploma del Consiglio d’Europa per le aree protette con gestione
modello, e nel 2007 il diploma Europa nostra nell’ambito dei premi
dell’Unione europea per il patrimonio culturale nella categoria del patrimonio culturale, per il lavoro svolto
nella ristrutturazione della Casa dei
Pocar (Pocarjeva domačija) a Zgornja Radovna. Una parte del parco il Posočje (la valle dell’Isonzo) - dal
2008 è la prima destinazione slovena
d’eccellenza.
Come detto quest’anno si festeggiano i tre decenni di esistenza e
quindi per tutto il 2011 si svolgeranno varie manifestazioni legate alla
26 Panorama
L’imponente Tricorno meta dei tanti appassionati della montagna
storia di questa zona. Quella centrale però si è svolta il 28 maggio scorso a Bled, sede dell’Ente parco. Nella grande Sala dei festival ad aprire le celebrazioni è stato il presidente del Governo, Borut Pahor, mentre
sono seguiti i discorsi di circostanza e
un programma musicale. Nell’ambito della serata è stata pure aperta una
mostra dedicata ai trent’anni del Parco e presentata la monografia “Do-
ber Dan Triglavski narodni park” di
Jože Mihelič. Comunque per tutta la
giornata Bled ha vissuto all’insegna
del Parco nazionale con visite guidate a piedi e in autobus fino al lago
di Bohinj e con i bambini che hanno
dipinto motivi relativi al parco e alla
sua flora e fauna. Una delle manifestazioni legate a questo giubileo è
stato anche il Festival dei fiori alpini
di Bohinj dove abbiamo incontrato
Reportage
ette sul suolo d’Europa
della natura
il direttore dell’Ente Parco, Martin
Šolar, dopo l’apertura ufficiale. Gli
abbiamo chiesto di raccontarci un
po’ la storia del parco.
”Nel 1981 è stato fondato il Parco
nazionale del Triglav e da allora posso dire che l’attività si è sviluppata
in tutti i sensi prova ne siano i riconoscimenti che abbiamo ottenuto a
livello internazionale di cui voi parlate più sopra. Il numero di visitatori
negli ultimi 15 anni è rimasto sempre uguale e questo è un bene per la
natura. Annualmente sono circa due
milioni e mezzo le persone che visitano il parco nazionale e di questi un
milione e trecentomila solo d’estate.
I visitatori più numerosi sono i nostri concittadini (60-70 per cento) seguiti dai tedeschi, dagli olandesi, dagli italiani, dagli inglesi nonché dagli
cechi, slovacchi e ungheresi.In tutto
il parco ci sono 25 abitati e frazioni con 2.200 abitanti. Come in tutti i parchi nazionali qui vigono serie misure per così dire ‘di sicurezza’ atte a salvaguardare al massimo
la natura. Non è permesso costruire
nulla ma ciò non significa che non
c’è stato e non si continuerà a parlare
di turismo sempre però nel rispetto
dell’ambiente e della tradizione della popolazione di queste parti. Quindi con le forze in campo continueremo a sviluppare l’industria dell’ospitalità. Bled è il centro mondano della
zona con il suo bellissimo lago e il
castello mentre Bohinj è il paradiso
di coloro che amano la natura e il silenzio. Non mancano comunque gli
appartamenti in case private e agriturismi che stanno sorgendo come
funghi mantenendo sempre la tradizione e il patrimonio culturale della
zona. Gli ospiti più numerosi sono
gli amanti della montagna ma d’inverno anche gli sciatori che si lanciano in discese lungo il monte Vogel
raggiungibile con la funivia. Comunque per noi, ha concluso il direttore
Šolar, la cosa più importante è che in
questi trent’anni siamo riusciti a tutelare la natura ma anche a tramandare questa importante missione alle
generazioni future”.●
La Val Trenta dove nasce l’Isonzo
S
e la Slovenia è la terra di passaggio tra il Mediterraneo, la Mitteleuropa e la pianura pannonica, porta dell’est Europa, la valle del fiume
Isonzo sembra proprio un corridoio
naturale tra le Alpi e il mare Adriatico. A ovest c’è il Friuli e a nord l’Austria - che in Slovenia è stata padrona
di casa in passato per ben sei secoli.
A sud il mare. L’Isonzo - il Soča da
queste parti - nasce tra le montagne
della Val di Trenta ed è per un lungo tratto un torrente limpido, ricco di
forre profonde e cascate, tra paesaggi
che lasciano spazio a evocazioni tolkeniane (proprio nei pressi di Bovec
sono state girate scene del film “Le
cronache di Narnia”). È una meta imperdibile per gli amanti degli sport
acquatici - come rafting e hydrospeed. L’Isonzo è detto il fiume smeraldo e non è retorica locale, queste acque pulite ricordano infatti il colore
dei mari tropicali (se non fosse per la
temperatura glaciale!).
La Val Trenta (in sloveno semplicemente Trenta) è una valle del
Goriziano sloveno solcata dal fiume Isonzo, che attraversa gli insediamenti di Trenta, Sonzia (Soča),
Lepegna (Lepena) e Cal-Coritenza (Kal-Koritnica), appartenenti al
comune di Plezzo (Bovec). La valle, compresa quasi interamente nel
Parco Nazionale del Tricorno, inizia alle pendici del monte Bavški
Grintavec, dalle quali sgorga il tor-
rente Trenta (o Suhi Potok) e termina tra l’insediamento di Cal-Coritenza e la località Jablenca di Oltresonzia (Čezsoča).
Nel territorio, che ricopre
un’area di circa 168 km2, vivono
appena 456 abitanti
La Val Trenta, che ricopre la parte più settentrionale del bacino idrografico dell’Isonzo, è una valle di
origine glaciale delle Alpi Giulie,
sulla quale si affacciano alcune tra
le vette più note del Parco Nazionale del Tricorno: il Vogel (Plaski
Vogel), la Cima degli Agnelli (Kanjavec), il Tricorno (Triglav), i Pelci, la Galičica, il Razor, il Prisano
(Prisojnik o Prisank), lo Špičk (letteralmente Picco o Cima Aguzza),
il Gialuz (Jalovec) e il monte Grinta
di Plezzo (Bavški Grintavec).
La parte superiore della valle,
che si estende dal Bavški Grintavec
alla località Na Logu di Trenta è
detta Zadnja Trenta (ovvero Trenta
finale), mentre quella inferiore, che
ha andamento nordest-sudovest, è
detta Spodnja Trenta (cioè Trenta
inferiore).
Il fiume che la attraversa, l’Isonzo, sgorga all’altitudine di 1.100 m
nelle vicinanze del Passo della Moistrocca (1.611 m s.l.m.), riceve le acque dai torrenti Trenta (o Suhi Potok),
Mlinarica, Zadnjica, Trebiščnica, Laventnik, Vrsnik, Lepenica e Golobarski Potok.●
Panorama 27
Reportage
A Bohinjska bistrica la quinta edizione della manifestazione ideata da un botanico scozzese
Unico Festival dei fiori alpini in Slovenia
a straordinaria ricchezza naturale della zona di Bohinj, già da diverso tempo tempo suscita l’interesse dei botanici e l’ammirazione degli
amanti della natura e delle sue bellezze, essendo le montagne sopra Bohinj
da sempre uno scrigno di fiori alpini.
Ben ferrati in materia dato che qui il
turismo ha una tradizione si potrebbe
dire secolare, Bohinj e Bistrica cercano con varie manifestazioni di allungare la stagione organizzando manifestazioni di vario tipo e i fiori si prestano quale impareggiabile spunto.
Promotore immediato dell’idea è
stato Ian Mitchell, botanico scozzese,
che da anni soggiorna nella cittadina
ed un bel giorno, profondamente colpito dalla ricchezza della flora locale, ha
proposto agli operatori turistici di promuovere una manifestazione basata sulla flora del parco nazionale del Tricorno
(Triglav) in particolar modo quella lungo il lago e i monti sovrastanti.
Così, cinque anni fa è timidamente nato il Festival dei fiori alpini che si
svolge per tradizione l’ultima settimana
di maggio e la prima di giugno, quando
c’è la maggior varietà. Il che non significa che ci siano visite guidate durante
tutto il periodo estivo e anche più oltre
dato che le piante fioriscono a seconda
del mese. Quest’anno il Festival è iniziato nella pittoresca Bohinjska bistrica, attorniata - nonostante la prossima
L
Klemen Langus dell’ente turistico
di Bohinjska bistrica
28 Panorama
I dintorni del lago di Bohinj sono ricchi di fiori
fine di maggio - dai monti pieni di neve,
con il mercato dei prodotti delle malghe
e delle casalinghe del parco nazionale.
Miele, formaggio, latte e latticini, dolci
fatti in casa sono andati a ruba nel mercatino centrale. Klemen Langus, direttore del locale ente turistico, ci ha raccontato un po’ cos’è il Festival.
”Prima di tutto devo dire che Bohinj
è per il sessanta per cento all’interno del
Parco nazionale e quindi dobbiamo stare
molto attenti a come e dove organizzare manifestazioni che devono essere da
una parte orientate alla tutela della natura, dall’altra, per così dire, dare una resa
economica. E qui abbiamo riconosciuto il festival come tale. Poi, valutando il
tutto abbiamo capito che organizzando
manifestazioni prima del pienone estivo
possiamo allungare la stagione turistica.
Quindi cinque anni fa abbiamo cominciato timidamente anche perché abbiamo avuto parecchi problemi con i vari
istituti per la tutela dell’ambiente e con
lo stesso Ente del parco nazionale: tutti
erano un po’ cauti nel darci il permesso
perché temevano che i turisti sarebbero
venuti al festival per raccogliere fiori e
piante altrimenti tutelate, avrebbero distrutto i prati, ecc. Appena dopo tre anni
si è capito che non è così, che la gente ha un alto senso di responsabilità nei
confronti della natura e quindi l’Ente si
è incluso nel festival come uno degli
organizzatori e finanziatori. Una simile collaborazione è veramente solida
base per future manifestazioni. Con la
legge approvata l’anno scorso il Parco nazionale può finanziare anche lo
sviluppo delle infrastrutture in questi
nostri centri turistici e quindi gestire il
tutto. E questo Festival è un’occasione per dimostrare che assieme si può
lavorare molto bene. D’altra parte la
popolazione locale comincia a capire che di turismo si può vivere sì ma
non solo nei mesi di luglio e agosto
ma anche prima e dopo, ed il Festival
dei fiori alpini è una di queste occasioni in cui tutti hanno la possibilità
di mostrare a tutti ciò che si produce
nelle malghe, ciò che le valenti mani
delle nostre casalinghe sono in grado
di fare e logicamente tutto all’insegna
dei fiori.
Il Festival in quanto tale dura per
due settimane in cui ci sono stati tanti
laboratori sia per grandi che per piccini, convegni sulla tutela della natura,
ma soprattutto una serie di visite guidate in cui tutti gli interessati possono
apprendere da un botanico tutto quello che si deve sapere sulle piante. Le
visite si fanno in diversi luoghi ovvero lungo il lago e a quote più alte proprio per far conoscere la gran diversità
di fiori e piante anche endemiche che
crescono entro il Parco nazionale. →
Panorama testi
Prodotti e merletti
del Parco nazionale
32 Panorama
Panorama testi
Il festival dei fi
30 Panorama
Panorama testi
iori lungo il lago
Panorama 31
Panorama testi
Il turismo e la natura
Panorama 29
Reportage
Ad uno di questi convegni dal titolo “Festival europeo dei fiori alpini”
hanno partecipato esperti di sette paesi
(Bulgaria, Romania, Kosovo, Albania,
Croazia, Inghilterra e Scozia) in cui si
La leggenda
N
elle Alpi slovene, interessante è la leggenda degli
abitanti della Valle dell’Isonzo:
Zlatorog, che in sloveno significa “Corno d’oro”, fu un misterioso camoscio con il pelo bianco dalle corna d’oro che vagava
sulle balze del Triglav in compagnia di una Dama Bianca. Narra
la leggenda che il prezioso camoscio avesse un tesoro nascosto.
A quei tempi uomini e camosci
vivevano in pace. Un giorno un
cacciatore salì sui monti per uccidere Zlatorog e prendere le sue
corna d’oro come trofeo per donarle a una bella donna veneziana di cui era innamorato. L’avido cacciatore tese un agguato al
camoscio e lo ferì, ma Zlatorog
sparì sul monte e nascose in qualche anfratto tra le montagne del
Triglav il tesoro che custodiva e
poi scomparì per sempre. La fiaba racconta che quando il mitico camoscio bianco fu ferito una
goccia di sangue cadde a terra e
si trasformò in un fiore delicato,
la Potentilla nitida, che tutt’ora
d’estate tinge di rosso pallido la
montagna. Questo fiore è un simbolo delle Alpi Giulie. ●
La potentilla nitida
Al centro della foto il botanico scozzese Ian Mitchell
è parlato sull’organizzazione di un Festival europeo proprio a Bohinj. Questo nostro è l’unico Festival dei fiori alpini in Slovenia e ogni anno abbiamo
più visitatori e più interessati alle visite guidate e non sono solo sloveni ma
anche stranieri amanti della natura. Che
la gente ha riconosciuto la nostra manifestazione lo dimostra quest’anno il
numero delle prenotazioni per le visite
guidate: infatti in un solo fine settimana
abbiamo avuto ben 130 persone che si
sono assicurate un posto per fare il giro
del lago. Qui c’erano polacchi, inglesi,
italiani, austriaci. Abbiamo avuto più
visitatori in questo week-end che in tutti i quattro anni precedenti. E le stesse
persone hanno visitato la mostra delle
donne del luogo che hanno fatto ricami
sul tema floreale.
Per il futuro abbiamo un progetto denominato ‘La natura di Bohinj’ finanziato dal principato di Monaco, che
prevede l’istruzione dei quadri atti a riconoscere le piante del Parco nazionale senza essere botanici. Il Principato di
Monaco finanzia tantissimi progetti nel
mondo e anche in Slovenia sempre legati alla natura e alla cultura. Non si tratta di molti soldi però aiutano per il futuro”, ha concluso il direttore Langus.
L’apertura del Festival si è svolta
alla Casa di cultura di Bohinjska bistrica dove oltre al sindaco e ad altre
personalità locali era presente anche
il botanico scozzese ideatore di questa manifestazione. Nell’atrio era allestita una mostra di fotografie su una
parte dei fiori che crescono entro il
parco e sulle malghe.
Il giorno dopo abbiamo fatto il giro
lungo il lago di Bohinj, circa sei chilometri a piedi con Maria, botanica che
insegna alla locale scuola. Nel gruppo
quattro croati, una slovena, due polacchi e due romeni. Ha parlato principalmente in inglese spiegando lungo il
percorso ogni fiore che è tipico della
zona. Grande l’interesse delle persone specie dei due giovani polacchi che
hanno appena terminato l’università di
botanica e volevano sapere tutto sulle piante della zona e specie su quelle endemiche. Al pomeriggio era prevista un’altra camminata questa volta
fino alla cascata della Savica, una delle più belle delle Slovenia, dove però
c’era tantissima gente e quindi il gruppo si è perso un po’. Lo spettacolo che
si è aperto appena arrivati al belvedere era veramente mozzafiato dato che
una settimana prima ha nevicato sui
monti attorno al lago e la neve si sta
sciogliendo, di conseguenza la cascata
era ricca di acqua.●
Panorama 33
Letture
L
o scorso luglio sono stati attribuiti i Premi della XLIII edizione del
concorso Istria Nobilissima, che hanno dato una nuova conferma
dei potenziali creativi del gruppo nazionale italiano nei campi dell’arte e della cultura. Ritenendo che di tali potenziali debba fruire il maggior numero di lettori nelle pagine riservate alle letture, “Panorama”
propone le opere a cui siano stati attribuiti premi o menzioni.
Nella sezione “Prosa in lingua italiana” la giuria ha assegnato il
secondo premio ad ESTER BARLESSi di Pola per il suo racconto dal
titolo “Il giardino nudo” di cui pubblichiamo la seconda parte. Questa
la motivazione: “Il racconto, ben strutturato ed equilibrato, ispirato ai
nostri tempi, è sviluppato su una matrice di segno etico, psicologico ed
esistenziale per evidenziare la tormentata storia di una famiglia e le
difficoltà dei rapporti generazionali”.
«Il giardino nudo»
- Io, signora, della gente me ne infischio, che pensi e
che dica ciò che vuole. Anzi, se vuole proprio saperlo,
e so che inorridirà, io sono orgogliosa di aspettare un figlio, e le dirò di più, anche mia mamma si è sposata incinta e nessuno ha mai trovato da ridire, né parenti né
amici!
- Lo supponevo e in quanto ad esserne fiera non vedo
che motivo ci sia di sbandierare che ci si è fatte sbattere come…
Noretta non la lasciò finire, si alzò di scatto rovesciando persino qualche goccia di tè sul tappeto e lasciò
la stanza sbattendo in malo modo la porta. In giardino
inghiottì l’aria primaverile respirando affannosamente,
percorse il vialetto curato e spinto il cancello con mani
che tremavano si trovò in strada.
”Vecchia arpìa, pensava, io non metterò mai più piede in casa tua ma neanche tu nella mia, te lo garantisco!”
Voleva andare direttamente a casa ma improvvisamente cambiò idea. “Vado a casa mia”, si disse, e mentre lo pensava capì che era quella dei suoi genitori la
vera casa che le apparteneva.
Seduta al tavolo di cucina davanti alla madre disse semplicemente: - Avrò un bambino -. E come si era
aspettata la donna si alzò per abbracciarla e subito chiamò il padre per dargli la notizia. Il signor Ettore sbottò:
- Questa sì che è una bella nuova! Quasi quasi perdono
a Stefano di essere così musone per questo regalo che
ci fate!
Improvvisamente Noretta scoppiò in pianto mentre il
padre la guardava senza capire: - Oilà, ma che novità è
questa? Perché piangi? Non sei contenta?
La madre intervenne: - Voi uomini non capite mai
niente! Si può piangere anche di gioia e poi si sa che le
donne incinte hanno dei bruschi cambiamenti d’umore.
Certamente che è contenta Ettore, lo conosci no il detto
popolare che dice che se la mamma piange il bimbo riderà? Suvvia Noretta calmati, ti preparo una bella tazza
di cioccolata, farà bene a te e al pupo.
Sentirsi così coccolata e compresa le tolse un po’
d’ansia. Questa era la famiglia, un porto sicuro dove gli
34 Panorama
affetti si toccavano con mano e così si era immaginata
che dovesse essere anche la sua. Che delusione! Di nuovo le si riempirono gli occhi di lacrime ma coraggiosamente le ricacciò. Sorseggiando la cioccolata calda nella
scodella di porcellana a fiori che era stata sua da quando
ricordava, desiderò di poter rimanere nella sua casa per
sempre, di confidarsi con la mamma e dimenticare quegli ultimi orribili giorni.
3.
Se Stefano fosse al corrente di ciò che lei e sua madre si erano dette quel malaugurato pomeriggio non lo
diede a vedere. Ora era lei che era fredda e distaccata,
quasi formale.
L’argomento bambino era tabù. Andava ogni giorno
in ufficio, cucinava, stirava, sbrigava le faccende, con la
mente sempre a quell’esserino che portava in grembo e
che il padre rifiutava con ostentazione. Dormivano come
due estranei rannicchiati sui rispettivi bordi del letto fino
a che una sera egli allungando un braccio per attirarla a
sé sbottò: - Hai finito di fare la monaca? Così non si va
avanti. Un po’ di sesso non può che farti bene!
- Hai ragione, mi farà bene e soprattutto farà bene a
te, tanto è solo a ciò che sai pensare!
Le parole erano uscite suo malgrado con amarezza.
Egli non aveva risposto né lei si era sottratta ma era già
finito il tempo del piacere. “Se dobbiamo vivere insieme,
aveva pensato, certamente anche questo dovrà esserci”.
In quel breve lasso di tempo già sembravano morti e sepolti i turbamenti e i brividi sulla pelle.
Stefano non accennò mai all’aborto ma non nominò
mai neanche il bambino.
Certamente aveva capito che era fermamente decisa
a tenerlo e quel bimbo non nato era una barriera tra loro,
un qualcosa che li teneva insieme ma che paradossalmente li divideva. Per lei era un’ancora di salvezza, per
lui la rovina della loro vita.
Al sesto mese di gravidanza non la toccò più. Aveva
repulsione di quel ventre gonfio, di quella pelle lucida e
tesa, ma pur non parlando mai del nascituro sembrava
un po’ più sensibile per il suo stato e se la vedeva affaticarsi cercava di darle una mano nei lavori di casa.
Letture
Il ginecologo durante l’ultima ecografia le chiese se
voleva sapere il sesso del bambino ma Noretta disse di
no, che avrebbe voluto che fosse una sorpresa. Aveva deciso per i nomi da sola, se fosse stato maschio Enrico e
per una femmina Alba.
Con la suocera non aveva avuto più nessun contatto
mentre il padre di Stefano passava ogni tanto a trovarla
ed era sempre premuroso e gentile, un pover’uomo, esattamente come lo aveva giudicato suo padre. I suoi genitori avevano notato i loro rapporti freddini ma non immaginavano di quanto fossero tesi.
Le doglie arrivarono con un paio di settimane di anticipo alla fine di novembre una sera proprio quando
stavano per mettersi a tavola e per un momento sembrò che Stefano perdesse la testa. L’aiutò a infilarsi il
cappotto e a scendere le scale con la borsa per l’ospedale stretta in una mano e con l’altro braccio che la sosteneva.
Davanti alla sala parto l’infermiera gli chiese se volesse assistere ma scosse subito la testa alla vista degli
occhi spaventati che la fissavano mormorando con un
sorrisetto ironico: - Gli uomini sono dei fifoni, non vogliono vedere né sapere, vogliono trovarsi il piatto servito, vorrei vedere se toccasse a loro!
Le contrazioni erano forti e Stefano guardava con apprensione il suo viso, la bocca diventata una riga sottile,
stretta e chiusa per impedirsi di urlare. Ignorò l’ostetrica e il suo commento sardonico e istintivamente strinse
a sé la moglie prima che sparisse dietro la grande porta
dai vetri smerigliati e si dispose ad attendere nella saletta d’aspetto.
Trascorsero tre lunghissime ore prima che si affacciasse un’altra ostetrica con la mascherina verde sul
viso.
- Mia moglie? - chiese con la gola secca.
- Auguri! - gli rispose sorridendo -. Sta bene. È un
maschietto. Tre chili e seicento grammi e ben cinquantadue centimetri di lunghezza!
Gli disse che avrebbe potuto vederla il pomeriggio
del giorno seguente, che andasse pure a dormire perché
era già mezzanotte.
Nella casa vuota si sentì come un’anima in pena. Si
stese sul letto e chiuse gli occhi ma il sonno non arrivava. Cercava di immaginare ciò che lo attendeva con
l’arrivo del bambino. Certamente avrebbe portato molti cambiamenti e solo al pensiero che pianti, pannolini e
biberon avrebbero sconvolto la sua vita si sentiva male.
Non lo aveva ancora visto e non provava neanche curiosità. Desiderava invece vedere Noretta ma sapeva che
non sarebbe stata mai più la ragazza che aveva sposato e
tutto ciò per colpa di quell’intruso!
Finalmente si addormentò ma si svegliò prestissimo
con la sensazione di dover fare qualcosa ma non gli veniva in mente cosa. Lo squillo del telefono lo scosse dai
suoi pensieri e solo quando sentì la voce della suocera
rammentò che si era dimenticato di avvisarla.
- È un maschio - disse categorico sentendo subito
montargli un‘irritazione profonda a tutti gli oh e i ma
quando? e ai non ci hai detto niente, della donna.
- Era tardi - tagliò corto -, avevo intenzione di chiamarvi proprio adesso.
Sentì il respiro agitato di lei e immaginò l’ansia e la
delusione che il suo scarso entusiasmo dovevano averle
messo dentro.
Più tardi - disse -, vado all’ospedale, poi la richiamo,
stia tranquilla -. Troncò la comunicazione senza darle il
tempo di aggiungere altro.
4.
Noretta dormiva con il capo leggermente inclinato sul
petto e le dita delle mani incrociate sul risvolto del lenzuolo in una positura che sembrava di preghiera. Il seno
turgido si alzava e abbassava con ritmo lento e costante ed
era quello l’unico segno di vita in quel corpo abbandonato
al riposo dopo la grande fatica. Stefano ai piedi del letto
la guardò assorto badando di non fare il minimo rumore
per non svegliarla. Non sapeva se era in grado di trovare
le parole giuste e in quel momento lei sembrava fragile e
indifesa come un adolescente ma nello stesso tempo, con
gli occhi chiusi e i lineamenti distesi, paradossalmente e
sorprendentemente pacata come se il travaglio del parto
l’avesse fatta passare in poche ore dalla giovinezza alla
composta pienezza della maturità e quella nuova Noretta
lo sconcertava. Si sentiva scombussolato osservando quel
viso che era e non era il suo e dal pensiero che quelle
due fattezze certamente nascondevano anche un profondo
cambiamento interiore.
Passò un‘infermiera che accennando alla dormiente gli
chiese piano: - Vuole vedere il bambino? - E senza attendere risposta si avviò verso la porta. Stefano la seguì come
un robot lungo il corridoio fino ad una larga porta a vetri
smerigliati davanti alla quale c’erano diverse persone. La
donna entrò rinchiudendosi l’uscio alle spalle e Stefano,
confuso, si trovò accanto a tre giovani uomini e due donne
anziane probabilmente due neo nonne. Il viso sorridente
dell’infermiera apparve ad una lunga finestra rettangolare
che correva lungo il muro e alla quale egli non aveva fatto caso. Come per un segnale convenuto gli uomini e le
donne si accalcarono verso quell’apertura e in un attimo il
corridoio si animò di voci allegre, di espressioni di meraviglia. Anche Stefano si sporse per vedere.
C’era una stanza molto ampia e luminosa piena di culle. Due infermiere andavano e venivano, sollevavano i neonati li portavano alla finestra per farli ammirare attraverso il vetro ai padri e alle nonne che, secondo Stefano, avevano tutti delle espressioni ebeti sui visi, e poi li rimettevano nei loro lettini.
Quando fu la sua volta si trovò faccia a faccia con un
piccolo viso rosso e grinzoso, stazzonato, con due occhietti che sembravano quelli di un giapponesino, appesantiti dalle palpebre superiori e inferiori da una specie
di gonfiore. Lo colpirono i cappelli neri e lunghi che coprivano quasi le orecchie. Lo guardò per un po’ senza realizzare che era suo figlio quello che gli stava davanti e
mentre tutti i padri prima di lui sembravano essere andati
in brodo di giuggiole alla vista dei loro figli egli si sentiva solo sconcertato e terribilmente infelice. L’infermiera
gli sorrise con compiacimento come se gli avesse fatto un
grandissimo favore mostrandoglielo e sollevato il braccino del bimbo al cui polso spiccava una specie di bianco
braccialetto di plastica con una scritta che non gli riuscì di
decifrare ma che gli sembrò un numero, gli fece ciao ciao
facendogli capire che la visita era finita.
Panorama 35
Letture
Tornò nella stanza della moglie. Noretta si era svegliata ed era seduta sul letto appoggiata a due cuscini. All’altezza del seno due macchie scure, per il latte che usciva,
avevano bagnato la camicia e Stefano chinandosi per baciarla sentì che quell’odore sconosciuto che gli saliva lungo le narici non gli apparteneva. Si costrinse ad una dolcezza che sentiva ipocrita ma che qualcosa gli diceva che
doveva manifestare.
- Lo hai visto? - La voce di lei era ansiosa e gli occhi
pieni di mille interrogativi. Gli sembrò in quel momento
che avesse dimenticato tutti i loro disaccordi per sapere e
parlare solo del bambino.
- Sì - disse - è bello - aggiunse subito sapendo che doveva mentire per rasserenarla.
Stefano - sussurrò lei -, vedrai che gli vorrai bene. È
così piccolo! Ha bisogno di noi. Io l’ho visto solo di
sfuggita ma mi sembra il più bel bambino del mondo!
Non vedo l’ora che me lo portino per la prima poppata!
Egli si costrinse a sorridere: - Tu, piuttosto come stai?
- Bene. È tutto passato -. E mentre lo diceva si augurava che veramente fosse tutto passato anche i giorni e i
mesi tristi che avevano preceduto il parto.
”Sarà tutto diverso ora, pensava, adesso che lo ha visto non potrà non volergli bene. Man mano che il tempo
passerà imparerà a conoscerlo e lo amerà come lo amo io,
perché il tempo è galantuomo e lavorerà in nostro favore”.
Già le sembrava di notare nel marito un cambiamento, la
freddezza di quei nove mesi sembrava smussata e dai suoi
atteggiamenti e parole affiorava, ne era convinta, una dolcezza che aveva ormai dimenticata.
- Non abbiamo mai parlato del nome - lei disse improvvisamente -, l’ho chiamato Enrico, ma se non ti piace
possiamo sempre cambiare.
- No, no, va bene… - si affrettò a dire -. Ora riposati.
Torno domani.
E mentre lei si rilassava convinta che la loro vita sarebbe davvero cambiata, che tutto sarebbe tornato come prima, egli sentiva lo stomaco che si torceva per la gelosia.
Quella piccola canaglia che era entrata di prepotenza nella sua vita lo privava delle attenzioni che gli erano dovute,
già si intuiva che quel fagotto rugoso sarebbe stato il perno su cui avrebbe ruotato la vita della moglie.
E non sbagliava. Ma era lei che si era ingannata e
continuava a illudersi. Cominciò sin dal primo giorno a
casa, per Stefano, uno sdoppiamento della personalità.
Con lei era gentile e premuroso, affabile con gli amici e
i parenti che arrivavano in processione a vedere il bimbo, cortese con la suocera che non sopportava e che per
dare una mano si era quasi installata in casa, ma dentro
di sé ribolliva.
Il tempo su cui tanto Noretta contava passava senza
che nell’intimo del padre accadesse nessun cambiamento.
Portava il bimbo ai giardinetti, andava a prenderlo all’asilo, faceva attenzione che non cadesse, che non si sporcasse, gli comperava giocattoli costosi ma non lo prendeva mai in braccio né lo baciava come faceva la madre in
continuazione. Lei si diceva che quello era il suo carattere, che probabilmente più di così non poteva e non sapeva fare. Giorni, mesi e anni. Enrico ormai ne aveva sei e
quell’anno sarebbe andato a scuola.
36 Panorama
5.
Alla fine del primo anno scolastico Enrico ancora guardava al padre con la stessa deferenza che riservava alla
maestra, sempre con un interrogativo negli occhi, sempre
un po’ dubbioso, sempre in cerca di approvazione.
Quella primavera Noretta rimase incinta per la seconda volta e Stefano pur non dimostrando eccessivo entusiasmo accolse la notizia con molta più disponibilità.
L’anno nuovo lo trascorsero in casa loro tre da soli,
perché lei era già di sette mesi e il pancione le pesava.
Stefano preparò dei ridicoli cappellini per tutti, comprò lo
spumante e diversi petardi da fare esplodere dal terrazzino
per cui Enrico si sentì contento come una pasqua.
A metà febbraio nacque Alba e a Noretta sembrò di
toccare il cielo con un dito.
Avvenne in Stefano un cambiamento imprevisto. La
bimba lo conquistò sin dal primo momento e mentre a suo
tempo i pianti di Enrico lo avevano irritato, se lei emetteva un solo vagito sia di giorno che di notte, correva al lettino tutto allarmato, la prendeva in braccio, la cullava e le
cantava perfino la ninnananna.
Riprendeva il bambino in continuazione quando giocava, faceva i compiti o chiedeva qualcosa temendo che disturbasse la sorellina. Noretta si chiedeva come facesse ad
essere così preso da lei ignorando o addirittura maltrattando Enrico, per lei ambedue i figli erano uguali.
Per sollevarla un po’ dal lavoro quotidiano sua madre aveva preso l’abitudine di venire durante le vacanze scolastiche a prendere Enrico e a tenerlo durante il
giorno. Il bimbo dai nonni si trovava così bene che certe sere faceva i capricci e non voleva tornare a casa
perché temeva i rimproveri del padre. La nonna paterna gli era estranea, la vedeva raramente e durante le fugaci visite che le faceva con il padre non trovava mai
nulla da dirle, il suo modo di fare lo bloccava ma con
il nonno certe volte usciva, lo portava ai giardinetti o a
prendere un gelato. Il nonno era un’altra cosa ma Enrico pur essendo piccolo aveva capito che chi comandava
in casa non era lui e aveva capito anche che la mamma
e quella nonna non si parlavano mai, non ne sapeva la
ragione ma in cuor suo era convinto che se la mamma
non aveva nessun contatto con lei era certamente dalla parte della ragione, sentiva che non si sopportavano
e istintivamente essendo legato alla madre, non la sopportava neanche lui.
Una domenica mattina mentre faceva colazione ebbe
dei crampi allo stomaco e al pancino. I dolori erano così
forti che incominciò a lamentarsi ad alta voce e mentre
Noretta si affrettava a preparargli una camomilla i suoi
strilli svegliarono la sorellina. Stefano lo prese per mano e
lo condusse nella sua stanza.
- Stai calmo e zitto - gli disse -, che Alba deve dormire.
Se continui a gridare starai chiuso qui tutto il giorno. Sei
grande e devi capire che tua sorella ha bisogno di pace!
Per ora sei in castigo!
Torcendosi per i dolori per la prima volta il bambino
ebbe uno scatto di ribellione.
- Sono in castigo, sì, ma un giorno avrò anch’io la mia
libertà. Prima o poi tutti raggiungono la libertà me l’ha
detto nonno Ettore. Anche suo padre era prigioniero ma
ha raggiunto la libertà passando per il camino!
Letture
- Cos’è questa storia? Cosa hai detto? Cosa vuol dire
passare per il camino?
- Niente… non ho detto niente… - e un crampo più
forte seguito da un conato di vomito lo fece urlare nuovamente.
Quel pomeriggio lo ricoverarono d’urgenza per operarlo di appendicite e mentre Noretta sembrava impazzire
per l’apprensione e i nonni attendevano che uscisse dalla
sala operatoria Stefano se ne uscì con un: - Ma non fate
tante tragedie! È una banale appendicite! Di questi interventi se ne fanno a centinaia e nessuno è in pericolo di
vita! Voi avete il dono di drammatizzare e se non lo fate
non siete contenti!
Ormai sia Noretta che i suoi si erano resi conto che per
il padre la vita ruotava tutta intorno alla bambina. Il signor
Ettore non riusciva a darsi pace, egli che per i suoi quattro
figli si sarebbe venduto la camicia, avrebbe fatto moneta
falsa e se fosse stato necessario avrebbe dato la vita per il
loro benessere!
Durante la convalescenza del bambino Stefano cercò
più volte di sapere ciò che aveva voluto dire con quel raggiungere la libertà passando per il camino ma Enrico si
era chiuso in se stesso e anche se le domande del padre
erano dirette, cercava di eluderle ed egli con rancore pensava che quel balordo di sindacalista del suocero doveva avergli imbottito la testa chissà con quali stupidaggini
e un giorno chiese alla moglie: - Ma cosa ha voluto dire
Enrico, che la libertà si può raggiungere anche passando
per il camino? Tuo padre gli deve aver raccontato chissà
quali favole!
Lei si era stretta nelle spalle ma le era tornato in mente ciò che il padre raccontava sempre quando loro erano
ragazzi e lo stesso disagio di allora tornò ad attanagliarle
l’anima.
6.
Il nonno non lo aveva conosciuto, suo papà era cresciuto solo con la madre perché c’era la guerra, il padre
era stato fatto prigioniero e per lungo tempo non si era saputo niente di lui.
Alla fine del conflitto Ettore aveva solo sei anni
e di quel padre sparito quando lui muoveva appena
i primi passi non ricordava nulla ma rammentava i
pianti della madre, le bombe, i rifugi, la fame e una
fotografia un po’ sfocata di un aviere e sul retro una
data e il nome, Pordenone, marzo 1943, Raffaele. E
Raffaele era suo padre.
Nel bailamme che seguì il dopoguerra, nonostante la
madre si fosse rivolta alla Croce Rossa per avere qualche notizia, della sorte del marito non si seppe nulla
fino al giorno che in casa si presentò un certo signor
Ernesto di un paesino vicino a Fiume, un uomo scheletrito che respirava a soffietto come se al posto dei
polmoni avesse un mantice bucato dal quale scappava
l’aria. Tra un colpo di tosse e una fischiatina raccontò
di essere stato preso assieme a Raffaele mentre cercavano di scappare dal campo di aviazione ormai in mano
ai tedeschi, caricati su di un camion con soldati armati
fino ai denti, portati a Verona e trasbordati in un vagone blindato. Non ricordava quanto avessero viaggiato
soffrendo fame e sete. Ogni tanto il treno si fermava,
il vagone si apriva per fare entrare altri disgraziati che
cadevano in malo modo sugli occupanti già stipati e
poi prima che venisse nuovamente chiuso dall’esterno
e che il convoglio si rimettesse in moto si udivano solo
i passi affrettati degli aguzzini, i loro comandi gutturali
e l’abbaiare rabbioso dei cani.
“In poche parole” aveva raccontato il signor Ernesto,
“ci siamo trovati a Birkenau in quello che dicevano essere un campo di lavoro per le grandi industrie tedesche ma
dove capimmo fin dai primi giorni che era un campo di
sterminio. Ho saputo lì che mio padre e mio nonno erano
stati docciati con il gas assieme ad altri compaesani. Sapete, io sono ebreo, e per noi non c’è stato scampo. I primi
ad essere stati liquidati sono stati gli ebrei, gli zingari e gli
omosessuali. Io non sono stato selezionato subito perché
quando sono arrivato ero giovane e forte, perciò in grado
di lavorare. Non ho potuto piangere i miei preso com’ero
solo dall’istinto di sopravvivere e quando mi sono ridotto pelle e ossa, costretto a lavorare come un mulo, preso a
calci e deriso dai kapò e dai guardiani, ho capito che non
avrei pianto mai più in vita mia e sono stato contento che
mio padre e il nonno avessero chiuso gli occhi per sempre”.
Essendo solo un bambino, Ettore aveva capito poco
del racconto del signor Ernesto ma gli avevano fatto paura i singhiozzi della madre, gli occhi sbarrati di suo fratello Gianni ormai grandicello e gli si erano impresse per
sempre nella mente le frasi con cui l’uomo aveva terminato il suo racconto. “Si lavorava come bestie, non ci reggevamo in piedi per la fame e la diarrea, molti avevano il tifo
petecchiale e la maggioranza la tubercolosi. Fucilazioni,
impiccagioni, fosse comuni e carri di cadaveri portati ai
crematori erano all’ordine del giorno. Noi stessi dovevamo trascinare ai forni i nostri compagni morti tanto che
ognuno di noi ogni giorno si augurava di morire perché
solo la morte ci avrebbe liberati da quella orribile schiavitù. Il povero Raffaele, come me del resto, sputava sangue e una mattina non ce la fece a presentarsi all’appello
che veniva fatto nel cortile, così…”. L’uomo si era interrotto un momento, aveva guardato con gli occhi acquosi
i ragazzi e la madre impietriti, poi aveva continuato sommessamente: “Ha raggiunto la pace e la libertà passando
per il camino. Per fortuna non è toccato a me di portarcelo. Anch’io avrei voluto morire e invece mi sono salvato
e sono qua, con la mia tubercolosi che presto mi porterà
via, senza famiglia, perché mia madre e mia sorella sono
morte sotto le bombe e prigioniero dei ricordi. Io aspetto
ancora la mia libertà”.
Questo racconto raccapricciante Noretta lo aveva sentito cento volte dalla bocca del padre e i primi tempi ne
era rimasta così impressionata che lo aveva pregato di non
parlare più di quelle cose ma il signor Ettore ogni volta ribatteva che bisognava sapere quello che era successo, perché se si taceva quegli orrori avrebbero potuto ripetersi e
diceva che importante era essere liberi, non schiavi, anche
se libertà qualche volta voleva dire sangue e morte.
Ecco, ora doveva aver raccontato tutta la storia a Enrico che chissà che idea si era fatto, povero bambino, sentendo quelle cose orribili, perciò, pur non volendo commentare con Stefano, si ripromise di parlarne al padre e di
proibirgli di parlare al ragazzino in quel modo.
(2 - continua)
Panorama 37
Libri
La... ″liberazione″ di Zara 1944-1948 di Tullio Vallery
Stravolta l’anima della città
A
ll’altezza di Puntamica la formazione di aerei alleati - denominazione piuttosto equivoca, dato il contesto - effettuò una
virata tornando sulla città, ormai
sgomberata dai tedeschi. La gente
era nelle strade, sollevata all’idea che
almeno era venuta meno la principale ragione per cui era stata sottoposta
per mesi ad apocalittici bombardamenti. Ma una voce roca si alzò dalla
folla: “Hanno sganciato, hanno sganciato.!” Nuove bombe caddero sulla
città martoriata, a indicare che il suo
calvario era tutt’altro che concluso.
Un calvario che trova una lineare
quanto angosciosa descrizione nel libro La...”liberazione” di Zara 19441948 di Tullio Vallery, ed. Società
Dalmata di storia patria, Venezia.
Sono anni che partono, alla lettera,
dal 31 ottobre 1944, inizio dell’occupazione di Zara da parte delle truppe
jugoslave, per sviluppare - nella visione di un uomo entrato nei primi
anni maturità - una sorta di meccanismo perverso che ad ogni giorno che
passa porta qualcosa di nuovo, quanto spiacevole ed ostile, a rimpiazzare
un mondo di vita, sentimenti e criteri
che fra quelle calli si era consolidato
ormai da secoli.
Pochi se ne rendono subito conto,
ma ben presto appare evidente che
il primo partigiano, in divisa color
grigio, intravisto dallo scrivente nel
mezzo di un quadrivio è emblematico della veemenza con cui un vendicativo vincitore s’imporrà sul perdente impersonificato dal carabiniere
che, più avanti, in quelle stesse ore fa
la guardia per impedire l’accesso alla
parte della città dove si trovano ancora mine inesplose.
Poi il quadro si evolve nella direzione oggi a tutti nota. Ancor prima
che il conflitto giunga alla fine scontata si provvede con grande solerzia
a scalpellare, abbattere e distruggere
qualsiasi parola o simbolo che si richiami a Zara italiana, talvolta anche
con esiti grotteschi, come ad esempio
lasciando dell’insegna di una tintoria
solo le lettere che formano il nome di
Tito. Si spara e poi si abbatte il busto di D’Annunzio, vengono dati alle
fiamme libri, documenti e carte d’archivio.
Altro anno decisivo è il 1947.
Sancita con il trattato di pace la sorte
della città, non appena si diffonde la
voce che si possono presentare le domande di rimpatrio, dinanzi al competente ufficio cittadino si formano
code interminabili di potenziali partenti. Nello stesso tempo altri cittadini, di fresco conio, partecipano con
38 Panorama
incontenibile entusiasmo a manifestazioni in cui s’inneggia a Trieste e
Gorizia jugoslave o, con egual euforia, all’eroico compagno Stalin, mentre, la legge sulla nazionalizzazione
impone la chiusura dei negozi privati
l’inventario delle poche merci e l’apposizione dei sigilli ai locali.
Partire, oltre che doloroso, è
tutt’altro che facile: possono presentare domanda non tutti coloro
che erano stati in possesso della cittadinanza, ma solo quelli la cui lingua d’uso è quella italiana. L’accertamento è però di pertinenza esclusiva
dell’autorità jugoslava, che può gestire il processo a piacimento.
Il porto diventa perciò la parte più
frequentata della città. Ad ogni partenza qui si riversa una folla che saluta chi se ne va nella corale consapevolezza che il distacco è definitivo.
Prima si deve seguire la solita trafila,
con i bagagli consegnati in anticipo
in quanto spediti alle sedi predisposte
prima dell’arrivo dei proprietari.
Nel giugno 1948 anche Tullio e la
sua famiglia lasciano quella riva gremita di gente, fra baci ed abbracci da
non finire, anche fra persone appena
conosciute, da rimanere storditi. Non
sarà per lui l’ultimo colpo: sei mesi
dopo nel campo profughi morirà suo
padre. ●
M. S.
Italiani nel mondo
Una delle richieste fatte all’assemblea plenaria del Cgie svoltasi a Torino, città
Il 14 settembre, Giornata dei connazion
a cura di Ardea Velikonja
ssere a Torino significa “inserire di diritto le tematiche degli italiani all’estero all’interno delle celebrazioni nazionali nella
città che più di tutte ha creduto, da
subito, nei 150 anni dell’unità d’Italia”. Così il segretario generale del
Cgie, Elio Carozza, ha aperto i lavori
della plenaria, alla presenza del sottosegretario agli Esteri Mantica, del
ministro Carla Zuppetti capo della
Dgiepm, il segretario esecutivo Verrecchia, i senatori Giuseppe Firrarello (Pdl) e Stefano Pedica (Idv) e i deputati Fabio Porta (Pd) e Marco Zacchera (Pdl).
Nel suo breve intervento introduttivo, Carozza ha citato il presidente
Napolitano che ha definito Torino la
“capitale della cultura unitaria italiana” e il presidente americano Obama
che nel suo intervento celebrativo del
17 marzo ha ricordato come l’esperienza del risorgimento e garibaldina
in particolare sia stata di “ispirazione
anche per gli Stati Uniti” e di come
“l’eredità di Garibaldi e di quanti
morirono per la causa nazionale viva
nei milioni di donne e uomini italoamericani che hanno fatto grandi gli
Stati Uniti”.
Ovunque nel mondo, ha ricordato
Carozza, gli italiani hanno dato vita
a celebrazioni spontanee per festeggiare l’Unità, anche perché i connazionali “hanno sempre rivendicato la
loro appartenenza al territorio, senza
mai dimenticare lo spirito unitario”.
Il segretario generale ha quindi
letto i messaggi inviati al Consiglio
Generale dai presidenti della Repubblica e della Camera, Napolitano e
Fini. Per il capo dello Stato scegliere Torino è stato un atto di “grande
valenza simbolica”. Napolitano si è
detto “certo” del fatto che “il Cgie,
prezioso punto di riferimento per gli
italiani all’estero, possa contribuire
in modo autorevole alla riflessione
sull’attualità dello spirito unitario”.
Dello stesso tenore il messaggio di
Fini, “certo che il consesso del Cgie
contribuirà a rinnovare tra gli italiani
E
40 Panorama
all’estero i sentimenti di orgoglio patriottico, continuando a promuovere i
valori che permeano l’italianità”.
Anche per il sottosegretario Mantica “scegliere Torino è stato importante”, perché di aiuto nel “tentativo di recuperare la storia dell’emigrazione alla storia nazionale che per
troppo tempo l’ha ignorata”. Mantica
ha ricordato l’ormai prossimo annullo filatelico celebrativo dell’emigrazione dell’1 giugno e come “da Torino sia partita la fiammella poi completata nel 1861”. ”Moltissime sono
le iniziative celebrative organizzate
all’estero che vedono impegnati Comites e Cgie”, ha aggiunto, citando il
contributo del Mae nella preparazione di un kit fornito a tutte le sedi diplomatico-consolari e agli IIC. “Molti emigrati partirono dai loro paesi e
dalle loro regioni e diventarono ‘italiani’ all’estero”, ha concluso il sottosegretario, che ha infine annunciato
una sua prossima visita - dal 15 al 25
giugno - in Australia alle comunità di
Sydney, Melbourne e Perth.
I lavori sono quindi proseguiti con
quattro interventi tematici tenuti da
altrettanti relatori: Norberto Lombardi, padre Graziano Tassello, Lorenzo
Prencipe e Silvia Bartolini.
Nella sua lunga relazione, Lombardi ha spiegato come l’emigrazione abbia contribuito alla formazione economico-sociale dell’Italia e
come si sia sviluppata l’italianità tra
i migranti fino alla I Guerra Mondiale, ricordando in particolare l’importantissimo ruolo delle rimesse
nel sostegno dell’economia nazionale e accennando ai diversi periodi
storici per sottolineare l’evoluzione
delle comunità, gli strumenti di cui
si dotarono, le dinamiche culturali
e il ruolo - non propriamente attivo,
nelle prime fasi dell’emigrazione dei consoli.
Compito di Graziano Tassello è
stato invece quello di descrivere il
legame tra emigrazione e religione,
sottolineando il fondamentale apporto delle Missioni Cattoliche nell’assistenza ai connazionali. Il consigliere
ha parlato quindi dell’opera di Sca-
labrini, dell’Opera Bonomelli e della beata Cabrini, ricordando come i
missionari stessi siano stati e siano
ancora degli emigrati, che in tante
parti del mondo di mettono a servizio
dei più bisognosi.
Il ruolo delle associazioni è stato
al centro dell’intervento di Lorenzo
Prencipe che ne ha descritto l’evoluzione negli anni, sottolineando, in
particolare, l’importanza di aprire
le porte dei sodalizi ai giovani. “Le
associazioni hanno sempre ‘costruito ponti e relazioni’, ha detto Prencipe, e continuano a farlo ora, anche
se i referenti sono cambiati. Il futuro
dell’associazionismo, ha concluso, è
tutto nei 5 documenti approvati dai
giovani nella loro conferenza del dicembre 2008 a Roma”.
Fuori programma l’intervento
di Firrarello che è intervenuto tra
il gelo dei presenti, per parlare della riforma di Comites e Cgie, delle attività del Comitato che presiede al Senato, delle audizioni svolte
e dell’attenzione del Senato verso
gli italiani residenti nel Nord Africa
sconvolto dagli scontri politici degli
ultimi mesi. Un intervento poco apprezzato dai consiglieri e da Luciano Neri in particolare, che ha urlato
al senatore un astioso: “basta, facci
lavorare!”.
Molto apprezzato, al contrario,
l’intervento di Silvia Bartolini, presidente della Consulta degli emilianoromagnoli nel mondo, che ha ricordato come l’autonomia delle regioni
si rispecchi anche nella gestione delle politiche migratorie. Citata la riforma del titolo V della Costituzione e come, con la politica di relazioni
internazionali, gli organismi regionali siano chiamati a svolgere un nuovo ruolo. Ruolo che, ha detto Bartolini, le regioni non vogliono svolgere nel Cgie: “le regioni non vogliono
far parte del Cgie. Noi vogliamo dare
continuità al tavolo che già esiste, la
conferenza Stato-Regioni-Cgie. Noi
non vogliamo inglobare il Cgie nelle consulte e non vogliamo mescolare le autonomie. Usare le regioni per dare un nuovo aspetto al Cgie
Italiani nel mondo
à simbolo dell’unità d’Italia
onali all’estero
non sarà possibile, d’altra parte le
regioni non hanno mai chiesto questo tipo di coinvolgimento”. Bartolini ha quindi ricordato che nell’ultima conferenza Stato-Regioni-Cgie
furono approvati dei documenti che
sono ancora validi e che prevedono,
oltre al coordinamento delle regioni,
strategie comuni in tre ambiti: insegnamento dell’italiano, assistenza e
giovani.
Nove gli odg approvati al termine dell’assemblea plenaria del Cgie.
Il primo è stato presentato da Claudio Pozzetti, responsabile dei lavoratori frontalieri per la Cgil, e riguarda proprio la richiesta di un impegno
per risolvere le difficoltà legate alla
doppia imposizione fiscale che colpisce i connazionali che si recano al
lavoro nella Repubblica di San Marino. 5 i consiglieri che si sono astenuti dalla votazione.
Nel secondo, presentato da Francesco Fatiga (Uil), si esprime invece
solidarietà al popolo tunisino e preoccupazione per le vicende connesse
all’arrivo sulle coste italiane di numerosi rifugiati provenienti dalle regioni del Nord Africa. A questo proposito si chiede all’Unione europea
di promuovere una politica più giusta in vista dell’inserimento dei migranti in difficoltà sul continente e al
governo italiano un supporto di tipo
umanitario ma anche commerciale
ed economico, che possa risultare
utile allo sviluppo della Tunisia, in
particolare rispetto alla stagione turistica alle porta. 2 i voti contrari e 2
gli astenuti alla votazione dell’odg.
Il terzo e quarto odg, approvati
all’unanimità, chiedono rispettivamente di sollecitare la ratifica della
convenzione tra Italia e Cile in materia di sicurezza sociale e l’istituzione, il 14 settembre, giorno della morte di Dante Alighieri, della
“Giornata dell’italiano nel mondo”.
Approvato all’unanimità anche il
quinto odg che chiede la predisposizione di un resoconto delle sedute
del Comitato di presidenza del Cgie
da inviare via mail ai consiglieri entro 7 giorni dalla riunione.
Nel sesto odg si esprime un giudizio negativo sulla proposta di riforma Tofani degli organismi di rappresentanza, rilevando come essa
non tenga in alcun conto delle proposte articolate dal Cgie in materia.
Si chiede pertanto di non procedere
con il dibattito del ddl in Senato ma
di aprire un tavolo di concertazione
che possa giungere ad una rapida revisione della riforma con un testo il
più possibile condiviso con le realtà
facenti parte del mondo dell’emigrazione italiana. L’odg chiede inoltre
di procedere al rinnovo di Comites e
Cgie ed esprime preoccupazione per
il procedere del piano di razionalizzazione della rete diplomatico-consolare all’estero, augurandosi che la
moratoria al vaglio del Parlamento
possa coinvolgere non solo le sedi
i cui provvedimenti di chiusura non
risultino già formalmente deliberati
dal Mae (come chiesto invece alcune
settimane fa in Aula dal sottosegretario Alfredo Mantica). Francesco
Fatiga ha chiesto che l’odg così approvato (1 voto contrario e 8 astenuti), potesse venire considerato come
documento finale del Cgie piuttosto
che come semplice odg.
Nel settimo odg si chiede il ripristino dei fondi tagliati all’assisten-
za rivolta ai connazionali all’estero e che il capitolo di spesa creato a
fine 2010 e denominato “Dotazioni
finanziarie per le rappresentanze diplomatiche ed uffici consolari di prima categoria” (1613) venga destinato per il 96% proprio all’assistenza
diretta.
Con due astenuti è stato approvato anche il successivo odg che impegna il Cgie ad iniziative riguardanti
il monitoraggio delle sfide socio-sanitarie che coinvolgono le collettività all’estero.
Infine, il nono odg fa propria la
relazione del segretario generale del
Cgie, Elio Carozza, e chiede quale
sia la strategia che l’Italia ritiene di
mettere in campo nei confronti dei
connazionali all’estero, il cui legame
con la terra di origine è stato messo a
dura prova con i pesanti tagli finanziari alle politiche loro rivolte. Per discutere del tema l’odg chiede l’indizione della seconda Conferenza degli italiani nel mondo, appuntamento
si ritiene debba mettere al centro dei
lavori quanto emerso nel corso della
Prima Conferenza dei giovani italiani all’estero, per volgere uno sguardo
costruttivo al futuro dell’emigrazione
italiana nel mondo.
(Viviana Pansa - Inform)
Panorama 41
Sport
I fiumani sulla soglia dei vertici della pallanuoto croata ed europea
Primorje, lieto fine solo rinviato?
di Lucio Vidotto
mancato il lieto fine, ma la storia è stata avvincente lo stesso.
Con questo spirito il Primorje
Erste bank di pallanuoto ha dato il
“rompete le righe” ai suoi giocatori,
protagonisti di una splendida stagione
in cui ci si è tolti parecchie soddisfazioni. Alla fine, i trofei se li sono presi
meritatamente Mladost e Jug, conquistando rispettivamente Coppa Croazia e titolo (per i ragusei è il terzo consecutivo, l’ottavo dall’indipendenza
della Croazia, il 30esimo di sempre, a
85 anni dal primo scudetto). Nel frattempo, il Primorje ha chiuso secondo
in campionato e terzo in Lega adriatica, ma ha conquistato il pubblico, oltre mille spettatori per partita in media
e tanto tifo, di quello sano, sincero e
soprattutto sportivo, capace di reagire, ma senza violenza, alle ingiustizie
e premiare con l’applauso le imprese
degli avversari. Sono cose che possono valere molto più di una coppa in
bacheca.
È
Barać e Glavan (dietro): la “vecchia guardia” è nuovamente insieme
Un anno fa si è aperto un capitolo nuovo nella storia della pallanuoto
fiumana con l’arrivo di rinforzi, e che
rinforzi! Succedeva all’indomani della conquista del terzo posto nel cam-
La nuova coppia di tecnici: Zoran Roje (a sinistra) e Ivan Asić
48 Panorama
pionato croato con la vittoria contro
il Mornar, che consentiva l’accesso ai
preliminari di Eurolega, la più importante competizione europea, e quindi
mondiale, per club. Era il presupposto per far scattare una fase importante
del progetto di rilancio annunciata dal
presidente Predrag Sloboda. Il progetto come tale è nato da un colloquio di
quattro anni fa, tra lo stesso Sloboda,
all’epoca vicepresidente della Pro Recco di Genova, Predrag Sloboda, e l’attuale capitano del Primorje e della nazionale croata Samir Barać. Successivamente, sono state create le condizioni minime per il rientro in un Primorje
ancora in serie difficoltà finanziarie di
Barać prima e di Damir Glavan e infine Nikola Franković poi, con risultato
il terzo posto in campionato. Ecco arrivare quindi due fuoriclasse ungheresi, i fratelli Daniel e Denes Varga, due
attaccanti che per l’allenatore Zoran
Roje rappresentano quello che di più
bello e spettacolare può offrire questo sport. Di lì a poco, da Brescia sono
arrivati a Fiume due giocatori croati,
Fran Paškvalin e Marko Jelača, centroboa e difensore. La campagna acquisti del presidente sembrava chiusa, ma
poi è stato ingaggiato anche Xavi Garcia, attaccante mancino del Barceloneta e della nazionale spagnola. Quindi,
Sport
Primorje in difesa davanti al portiere Car: a sinistra spagnolo Garcia, con il numero 5 l’ungherese Denes Varga
a Roje è stato affiancato Ivan Asić, non
come vice, ma come allenatore a tutti
gli effetti, per dare un po’ di freschezza
al settore tecnico: “Quando si sente una
certa saturazione - dice Roje - ci vuole qualche cambiamento”. Che la formula dei due tecnici sia stata azzeccata,
assieme agli acquisti resi possibili dal
presidente, lo si scoprirà molto presto.
Prima delle conferme in questo senso, sono arrivate insinuazioni, o meglio cattiverie, che poi si sono ripetute
nei mesi successivi. Predrag Sloboda,
uomo d’affari impegnato nel business
petrolifero, è diventato presidente della
Federpallanuoto croata, non per le sue
ambizioni “politiche” quanto per le richieste di aiuto di un’istituzione vicina
al fallimento, a pochi giorni dalla conquista del titolo europeo da parte della
Croazia. Sloboda ha così “congelato”
ogni funzione o carica nella Pro Recco,
ma ciò non è stato sufficiente a evitare
accostamenti e giochi di parole. Ecco
che il Primorje viene chiamato Pro Rijeka, chiaro riferimento ai rapporti che
ci sono e non vengono negati da nessuno, tra Primorje e Pro Recco. Il Primorje sarebbe stato, secondo le penne
autorevoli della pallanuoto vicine agli
ambienti che da anni dominano questo sport in Croazia, la seconda squadra della Pro Recco campione d’Europa. Il suo scopo, secondo le stesse fonti, doveva essere quello di prendere i
giocatori ai potenziali concorrenti della
formazione ligure e girarli al Primorje.
Superate a pieni voti la prima e la se-
conda fase dei preliminari, il Primorje è
arrivato tra le prime otto squadre d’Europa, inserito nel girone con gli eterni
rivali della Mladost e quello che doveva essere un suo “alleato”, cioè la strafavorita Pro Recco. La squadra ligure
ha travolto tutti, affondando di brutto
anche i “cugini” quarnerini davanti al
loro pubblico. La doppia sfida con la
Mladost se la sono aggiudicati Barać e
compagni, ma non è bastato, ed è storia recente, il pareggio di Budapest con
il Vasas, per accedere alla Final Four,
nella quale ci è andata la Mladost, senza colpa né pena.
La squadra fiumana, prima nella
classifica della Lega adriatica dopo
Il presidente Predrag Sloboda
la regular season, con una sola sconfitta in casa della Mladost e un incoraggiante pareggio nella piscina di
Gravosa con lo Jug, cominciava a far
paura. Alla fine lo Jug - oltre a uno
spavento per la sconfitta in gara-2
della finale play off per il titolo croato a Costabella - non si è permesso
un’altra delusione dopo l’eliminazione in Eurolega per mano del Partizan,
ed al meglio delle tre partite ha avuto ragione del Primorje, che però si
è tolto una bella soddisfazione contro
la zagabrese Mladost, squadra più titolata d’Europa, superata dai fiumani
negli scontri più importanti della fase
finale della stagione, campionato ed
Eurolega.
La favola continua. Tra breve arriveranno le prime voci di mercato e il
Primorje, parola di Predrag Sloboda,
non se ne starà con le mani in mano. Lo
Jug perderà il suo grande talento Sandro Sukno, da tempo nel mirino della
Pro Recco, ma questi verrà rimpiazzato dal nazionale montenegrino Nikola
Janović. Il serbo Vanja Udovičić alla
Mladost non ha portato molto dopo essere stato cacciato dalla Pro Recco e
quasi sicuramente si cercherà una nuova squadra. Delle tre società croate di
vertice solo al Primorje c’è calma, mentre nella piscina di Costabella riecheggia ancora l’urlo di incitamento dei tifosi. In questa stagione nessuna squadra europea, compreso il “dream team”
recchelino, ha avuto un così grande seguito di pubblico.●
Panorama 49
Peonia, una rosa senza spine
N
on c’è rosa senza spine, dice
il proverbio. Niente di più
sbagliato, poiché in Europa la peonia è definita proprio così. Per
i cinesi è simbolo delle romantiche storie d’amore ed è un auspicio di buona fortuna. Le peonie bianche sono il simbolo delle giovani ragazze belle e argute, quelle rosse metafora della
bellezza femminile e della riproduzione. Nell’antica Grecia era
l’unico fiore che poteva dischiudersi nell’Olimpo e che meritava l’ammirazione da parte degli dei. Nella sua mitologia fu al
centro di numerose e diverse versioni: una dice che Paeon, allievo di Esculapio, venne trasformato in fiore di peonia da Zeus
- dio del cielo e del tuono, governatore dell’Olimpo - per salvarlo dall’ira funesta del maestro,
invidioso del suo grande talento. Anche nei freschi boschi del
Monte Maggiore, a meno di mille metri di altezza, la peonia mascula, detta anche rosa di montagna, è uno dei fiori simbolo. Poiché possiede pure caratteristiche
della officinalis, le venivano attribuite proprietà magiche ma oggi
è considerata un antispasmodicosedativo e i fiori vengono usati in
composti ad uso esterno per disturbi proctologici benigni. Per
ammirarle non è necessario avventurarsi in faticose escursioni:
tra fine aprile e maggio con i suoi
bellissimi, grandi fiori porpora e
rosa colora i prati del sottobosco
o delle radure.
(testo e foto di Bruno Bontempo)
Panorama 59
Scarica

Panorama