CondominiOggi Editoriale Riforma del Condominio: un testo tra luci e ombre di Giuseppe Bica Presidente Nazionale A.N.AMM.I. Il disegno di legge sulla riforma del condominio ha passato l’esame della Camera dei Deputati e ora torna, per un ultimo passaggio, in Senato. Non è certo il testo che volevamo ma, per merito dell’A.N.AMM.I., l’impianto ha subito alcune migliorie rispetto a quello uscito in prima battuta da Palazzo Madama. Abbiamo cercato, infatti, di avviare un dialogo costruttivo con le istituzioni parlamentari. Siamo convinti che la riforma che si sta delineando in Parlamento sia ben lungi dall’essere perfetta. E’ un dato di fatto che la sua prima versione rischiava di mettere fuori dal mercato un buon numero di amministratori, impedendo ai giovani anche soltanto di tentare l’ingresso nel settore. Con questo nuovo testo, invece, si stabilisce l’obbligo di stipulare una polizza di responsabilità professionale per l’amministratore, i cui costi, però, saranno a carico del condominio. Fino all’arrivo in Aula, il ddl imponeva invece l’assicurazione su ogni singolo immobile amministrato doveva risultare equivalente agli oneri di gestione annuale dell’immobile: un costo enorme per il professionista. Per fortuna, si è scelta una diversa impostazione, che riflette la prassi della nostra associazione e di quelle più rappresentative. Inoltre, in audizione, sia alla Camera che al Senato, avevamo evidenziato come imporre un registro degli amministratori, con relativo balzello, sarebbe risultato inutile senza una precisa indicazione dei requisiti professionali degli iscritti. Si rischiava, infatti, di creare una specie di albo, peraltro già bloccato pochi anni fa dall’Antitrust. Ora le disposizioni relative ai due registri – dei condominii e degli amministratori, sono state soppresse, sostituendo l’articolo con l’indicazione dei requisiti professionali: assenza di pendenze penali, nel diploma di scuola superiore, in una formazione iniziale poi continuata nel tempo. Tutti elementi che, peraltro, gli amministratori iscritti alle associazioni più rappresentative come l’A.N.AMM.I. già possiedono. Tuttavia, il testo demanda all’Agenzia del Territorio di decretare in merito; appare quindi necessario chiarire meglio il ruolo dell’Agenzia. Il nostro timore è che si deleghi ad un ente che non si è mai occupato di condominio una competenza tutta da inventare. Su questo, e sul percorso legislativo ancora da completare, continueremo a vigilare. Ora il disegno di legge passerà al Senato, dove l’A.N.AMM.I. si augura che non subirà pesanti stravolgimenti nella parte relativa ai professionisti del settore. E soprattutto, ci auguriamo che vinca il buon senso, spesso del tutto assente nelle discussioni parlamentari. 1 CondominiOggi CondominiOggi In questo numero: EDITORIALE_____________________________________________________________________________ 1 Del Presidente Giuseppe Bica - Quando il condominio entra in lite__________________________________________________________ 4 di Anna De Filippis - Io... parcheggio dove voglio _______________________________________________________________ 6 di Emilia Rosaria Picone - Come bloccare la crescita di un Paese operoso ______________________________________________ 8 di Massimo Dodaro - Animali in condominio: istruzioni per l’uso___________________________________________________ 10 di Silvia Cerioli - Ma l’avviso, quando arriva?________________________________________________________________ 14 di Manuela Palamara - Il viale condominiale non è il circuito di Montecarlo!____________________________________________ 18 a cura dell’Ufficio Legale - L’eliminazione del “pregiudizio” nell’attività dell’amministratore_________________________________ 20 di Roberta Odoardi - Remissione in bonis per gli inadempimenti fiscali_____________________________________________ 22 di Carmen Raia Rubriche: Il punto della situazione Il socio in cattedra Notizie flash Lo sapevate che ... Il consulente risponde Assonews __________________________________________________________ ________________________________________________________ ________________________________________________________ ________________________________________________________ ________________________________________________________ ________________________________________________________ Contattare l’A.N.AMM.I. è facile: http://www.anammi.it e-mail: [email protected] “Condominio Oggi” Portavoce ufficiale dell’A.N.AMM.I. Associazione Nazional-europea AMMinistratori d’Immobili ANNO XV - n. 72/2012 Direttore Responsabile: Rita Serafini Direzione e amministrazione: Via della Magliana Nuova, 93 - 00146 Roma Tel./fax 06.55.27.23.23 (r.a.) Registrazione Tribunale di Roma - Sezione Stampa n. 129 del 07/04/1994 Spedizione IN A.P. 45% - Comma 20 - LETT. B. art. 2 L. 23/12/96 n. 662 filiale di Roma Stampa: REVELOX Soluzioni Tipografiche www.revelox.it Concessionaria Pubblicità: GESTIMM srl Via della Magliana Nuova, 93 - 00146 ROMA Tel./fax 06.55.27.23.23 e-mail [email protected] Le collaborazioni sono a titolo gratuito. Riproduzione vietata dei testi e dei contenuti. Del contenuto e delle opinioni espresse negli articoli del periodico sono responsabili gli autori degli stessi. 2 3 12 16 24 28 30 CondominiOggi IL PUNTO DELLA SITUAZIONE E SE PARTE DEL TETTO DIVENTASSE TERRAZZA? Il condomino proprietario dell’ultimo piano può modificare il suo sottotetto trasformandolo parzialmente in terrazzo: questo è l’innovativo principio adottato dalla Corte di Cassazione con la sentenza 14107 del 3 agosto 2012. Il nuovo indirizzo supera precedenti autorevoli dello stesso giudice, che impedivano al condomino proprietario di realizzare terrazze in sostituzione parziale del loro sottotetto. Per precedenti autorevoli ci si riferisce alla Cass. 28 gennaio 2005, n. 1737 con la quale veniva precisato che “La sostituzione da parte del proprietario dell’ultimo piano di un edificio condominiale del tetto con una diversa copertura (terrazza), che, pur non eliminando la funzione originariamente svolta dal tetto, valga a imprimere, per le sue caratteristiche strutturale e per i suoi annessi anche una destinazione ad uso esclusivo dell’autore dell’opera, costituisce alterazione della cosa comune - che è in tal modo sottratta al godimento collettivo e, perciò, non può considerarsi insita nel diritto di sopraelevazione spettante al proprietario dell’ultimo piano”. Ma già in precedenza, in senso conforme, si era pronunciata la Cassazione con la sentenza n. 4466/97 e la precedente n. 8777/94 secondo la quale “La trasformazione in tutto o in parte nell’ambito di un condominio di un bene comune in bene esclusivo di uno dei condomini può essere validamente deliberata soltanto all’unanimità, ossia mediante una decisione che abbia valore contrattuale”. Nella specie, la S.C. ha confermato la decisione di merito la quale aveva dichiarato la nullità della deliberazione dell’assemblea presa a maggioranza con cui un condomino era stato autorizzato ad aprire un varco nel tetto, trasformandolo in terrazza a livello per il proprio uso esclusivo. Anche più di recente la Cassazione aveva ribadito che “L’occupazione in via permanente e stabile, da parte di un condominio, del tetto dell’edificio, con relativa incorporazione nella sua proprietà esclusiva, non rientra nella previsione dell’art. 1122 c. c., concernente le opere attuate nel piano (o porzione di piano) di proprietà esclusiva, bensì integra tipica attività innovatrice vietata dall’art. 1102 c. c. se non autorizzata dagli altri condomini” (Cass. n. 4449/84). La sentenza in esame, ha quale oggetto del contendere un’opera realizzata dal proprietario dell’ultimo piano, che aveva tagliato una falda del tetto per ricavarne una terrazza da destinare al servizio del sottotetto di sua proprietà esclusiva:, a parere degli altri condomini, tale intervento avrebbe arrecato pregiudizio sia al decoro dell’edificio, sia alla statica della struttura portante. Con la pronuncia n. 14107/12 viene sancito, invece, il principio innovativo, secondo il quale il condomino, proprietario del piano sottostante al tetto comune, può effettuare la trasformazione di una parte del tetto dell’edificio in terrazza a uso esclusivo proprio, a condizione, però, che realizzi opere le quali tendano a salvaguardare la funzione di copertura e protezione delle sottostanti strutture svolta dal tetto preesistente. Quindi, la modifica apportata non deve minare la destinazione principale del bene; affermato tale principio, ne discende che il proprietario può trasformare, senza consenso degli altri condomini, parte di un tetto in una diversa struttura purché questa non ne diventi una parte preponderante e non alteri, quindi, la destinazione di tetto. Il proprietario potrà, così, ad esempio, realizzare la c.d. “terrazza a tasca”, ossia un’interruzione verticale del tetto prima che si giunga alla gronda, per realizzare un duplice vantaggio: creare un terrazzo fruibile da parte dello stesso, nonché dare luminosità e ariosità al locale retrostante. 3 CondominiOggi QUANDO IL CONDOMINIO ENTRA IN LITE di Anna De Filippis a possibilità di separare la propria responsabilità in ordine alle conseguenze sfavorevoli della lite, sembra operare solo per quelle tra il condominio e i terzi (Cass. n. 801/70) e non anche per quelle tra il condominio e i singoli condomini, relativamente alle quali le spese dovrebbero gravare solo su quei soggetti che hanno promosso la lite. Si ritiene, invece, che stante la disposizione di cui all’art. 1131 c.c. dove entrambe le ipotesi vengono accomunate, detta differenza non abbia alcun valore: per cui, rimane ferma la possibilità di estraniarsi a prescindere dagli interessi e dai soggetti coinvolti nel giudizio, siano questi terzi estranei o gli stessi condomini. In tema di dissenso alle liti, l’operatività dell’art. 1132 c.c. non va oltre l’esonero del condomino dissenziente dall’onere di partecipare alla rifusione delle spese di giudizio in favore della controparte, nell’ipotesi di esito della lite sfavorevole per il condominio; la norma lascia, tuttavia, immutato l’onere di partecipare alle spese affrontate dal condominio per la propria difesa. In sostanza, anche il condomino dissenziente alla lite deve partecipare alle spese legali e giudiziarie necessarie alla preliminare difesa del condominio (Trib. Bologna n. 2618/07). Il condomino non può sottrarsi alle spese che non possono considerarsi propriamente oneri defensionali per lo svolgimento delle difese in giudizio, ma propedeutiche ad esso. L’atto di estra- L 4 niazione dei condòmini rispetto alle liti determina i suoi effetti per il caso in cui la lite non sia stata, di fatto, ancora introdotta. In secondo luogo: le spese propedeutiche al giudizio possono essere assimilate a quelle per la cui responsabilità il condomino si è avvalso della “separazione”, manifestando il suo dissenso. La lettera dell’art. 1132 c.c, - che è norma derogatoria al regime “ordinario” - è, infatti, chiara nel subordinare gli effetti della estraniazione del condomino dalla lite, al fatto che vi sia stata soccombenza e, quindi, che la lite abbia avuto esito sfavorevole per il condominio e, di conseguenza, alla definizione giudiziale negativa per il condominio. Fatto questo, che non può verificarsi fino a quando la lite non è introdotta. Né, d’altro canto, il professionista che abbia ricevuto incarico dal condominio può considerarsi parte vittoriosa ai sensi dell’art. 1132, II° co. succitato. Egli, infatti, a seguito dell’incarico svolge la sua prestazione d’opera in favore dell’intero condominio e di ogni singolo condomino (secondo le regole proprie del mandato collettivo) ancorché dissenziente o assente. Dunque, il dissenso già manifestato in relazione alla lite deliberata e che non necessita di ulteriori conferme, mantiene i suoi effetti se e non quando la controversia giudiziale sarà effettivamente promossa, ma non elude l’obbligo di contribuzione dei compensi professionali diversi e/o non conseguenti ad essa . In tal senso “Riconosciuto che il condomino dissen- CondominiOggi ziente aveva correttamente manifestato, nell’assemblea tenuta il 12 maggio 1983, il proprio dissenso rispetto alla lite, la successiva deliberazione del 7 novembre 1990 non poteva addebitargli le spese sostenute per la lite medesima, in ragione della quota…” (Cass. n. 5334/96). Posto il principio generale dell’obbligatorietà delle deliberazioni assembleari per tutti i condòmini, anche dissenzienti, il legislatore ha disciplinato specifiche ipotesi di dissenso – con norme di carattere derogatorio che in quanto tali non possono trovare applicazione se non alle particolari situazioni con le stesse regolate, né sono suscettibili di interpretazione estensiva. In specie, l’operatività dell’art. 1132 c.c. è limitata al solo rapporto tra condominio e condomino dissenziente, mentre rimane regolato dalla normativa generale sulle obbligazioni solidali, il rapporto tra la controparte del condominio e ciascun singolo condomino – anche dissenziente, cui è solo riconosciuto il diritto di rivalsa – nei cui confronti si possono riverberare le conseguenze sfavorevoli della lite in caso di soccombenza del condominio. In difetto, dunque, di una specifica disposizione che, nella norma in esame, inibisca la partecipazione del condomino dichiaratosi dissenziente rispetto alla lite e alle successive deliberazioni assembleari concernenti il prosieguo della controversia in sede giudiziaria, non può essere legittimamente disconosciuto il generale diritto del detto condomino di manifestare la propria volontà nell’assemblea e di concorrere, quindi, al pari degli altri, continuando a sostenere la propria originaria avversa opinione, alla formazione della volontà comune anche sullo specifico argomento dell’abbandono della lite. Né può utilmente dedursi al riguardo – pur nella riconosciuta estensibilità alla materia condominiale del disposto dell’art. 2373 c.c., di portata generale in materia societaria ed applicabile a quella condominiale ricorrendone la eadem ratio – una astratta ipotesi di conflitto dinteressi, dacché questo va, per contro, dedotto in concreto e può essere riconosciuto solo ove risulti dimostrata una sicura divergenza tra specifiche ragioni personali di determinati singoli condomini, il cui voto abbia concorso a determinare la volontà della maggioranza assembleare, ed un parimenti specifico contrario interesse istituzionale del condominio (Cass. n. 7226/97 e Cass. n.11254/97). Ne deriva ulteriormente la mancanza, in siffatta ipotesi, della condizione essenziale per l’esercizio da parte del condomino dissenziente del potere di estraniarsi dalla lite scindendo la propria responsabilità in ordine alle conseguenze per il caso di soccombenza, non potendo tale potere esercitarsi ove legittimamente manchi intorno alla lite promossa contro il condominio una specifica decisione dell’assemblea (Cass. n. 2259/98). L’amministratore convenuto in giudizio è tenuto a darne senza indugio notizia all’assemblea quando la domanda abbia un contenuto esorbitante dalle sue attribuzioni, così come delineate dall’art. 1130 c.c.. Pertanto, poiché in base a detto articolo deve ritenersi spettante all’amministratore nell’ambito dei compiti di conservazione della cosa comune il potere discrezionale di impartire le disposizioni necessarie ad eseguire lavori di manutenzione ordinaria delle parti comuni dell’edificio e di erogare le relative spese, non può considerarsi esorbitante dalle dette attribuzioni, la decisione dell’amministratore rispetto ad una lite, quando con la domanda proposta contro il condominio si facciano valere pretese risarcitorie correlate a difetto di manutenzione ordinaria di una parte comune (es.tetto di copertura dell’edificio). Molti, tanti, troppi condòmini credono che una volta manifestato il proprio dissenso alla lite vengano estraniati in tutto e per tutto dalla vertenza instaurata, ma soprattutto da tutte le spese da sostenere; invece, da quanto stabilito dall’art. 1132 c.c. emerge che il dissenziente separa solo la propria responsabilità rispetto all’esito della lite. In pratica il condomino dissenziente non parteciperà solo a quelle spese che il condominio, in caso di esito sfavorevole della lite, dovrà versare alla controparte, mentre è obbligato in solido al pagamento delle spese che il condominio si trova ad affrontare per proprio conto (avvocato di parte, consulenze tecniche, ecc.). Nel caso, invece, che il condominio vinca la vertenza, se il condomino dissenziente ne trae un vantaggio, è obbligato al pagamento delle spese che non si sono potute ripetere (spese che non è possibile chiedere alla parte avversa o che il giudice non ha liquidato). Anna De Filippis socio A.N.AMM.I. n. N862 5 CondominiOggi IO... PARCHEGGIO DOVE VOGLIO di Emilia Rosaria Picone in nessun modo la disciplina dell’uso delle cose comuni potrà essere d’intralcio al godimento delle parti di proprietà individuale. Una interessante sentenza della Cassazione ha delineato, in maniera più precisa, tale prerogativa affermando che il potere dell’amministratore di disciplinare l’uso delle cose comuni, di cui all’art. 1130 c.c., I° co., n. 2, è finalizzato ad assicurare il pari uso a tutti i condòmini e non può certo estendersi fino a negare ad uno di essi ciò che è consentito a tutti gli altri (Cass. n. 13626/09). Vi è solo un limite: non invadere il campo della proprietà esclusiva e, di conseguenza, non ingerirsi in ciò che non è di uso condomier quanto attiene i poteri dell’amministratore l’art. 1130 c.c., I° co. stabilisce che “l’amministratore deve… curare l’osservanza del regolamento di condominio” il II° co. recita “l’amministratore deve disciplinare l’uso delle cose comuni e la prestazione dei servizi nell’interesse comune, in modo che ne sia assicurato il miglior godimento a tutti i condomini”. Il soggetto tenuto ad osservare le disposizioni statuarie, per quanto di sua competenza, è l’amministratore di condominio. Ad esso il codice civile impone, altresì, l’obbligo di curarne l’osservanza. E’ chiaro in tal senso l’art 1130 c.c., I° co., n. 1, a mente del quale il mandatario dei condòmini deve, per l’appunto, vigilare sulla corretta applicazione del regolamento medesimo. La cura dell’osservanza del regolamento comporta l’invio di lettere di richiamo al rispetto dello stesso ma può arrivare fino all’azione giudiziale. Si pensi a quei casi di mancato rispetto del divieto di parcheggio; in queste occasioni se i richiami non sono sufficienti, l’amministratore potrà agire in giudizio per ottenere quanto dovuto. Sancisce l’art. 1133 c.c. che “I provvedimenti presi dall’amministratore nell’ambito dei suoi poteri sono obbligatori per i condomini. Contro i provvedimenti dell’amministratore è ammesso ricorso all’assemblea, senza pregiudizio del ricorso all’autorità giudiziaria nei casi e nel termine previsto dall’art. 1137 c.c.”. La disciplina dell’uso delle cose comuni non si discosta molto dal rispetto del regolamento e, comunque, deve essere tesa a consentire a tutti i condomini il miglior godimento possibile delle parti comuni dello stabile. Tenendo presente che le parti comuni hanno la loro caratteristica principale nell’accessorietà e funzionalità al più comodo utilizzo della proprietà esclusiva, ne discende che P 6 niale. L’uso della cosa comune da parte di ciascun partecipante è sottoposto dall’art. 1102 c.c. a due limiti fondamentali, consistenti nel divieto di alterare la destinazione della cosa comune e nel divieto di impedire agli altri partecipanti di farne parimenti uso, secondo il loro diritto. Pertanto, a rendere illecito l’uso basta il mancato rispetto dell’una o dell’altra delle due condizioni, sicché anche l’alterazione della destinazione della cosa comune determinato non soltanto dal mutamento della funzione, ma anche dal suo scadimento in uno stato deteriore, ricade sotto il divieto stabilito dall’art. 1120 c.c. (Cass. n. 7752/95). Le parti comuni possono essere oggetto di una diversa tipologia di uso da parte dei condòmini: uso generale (quando un bene condominiale è utilizzato dall’intera collettività dei condòmini); uso differenziato (quando un bene è utilizzato in modo maggiore solo da una parte dei condòmini) e uso separato (quando un bene è utilizzato solo da alcuni condòmini con esclusione di altri). Il cortile è una parte comune oggetto di uso generale. La destinazione primaria del cortile è quella di dare luce e aria agli appartamenti sovrastanti. Accanto a questa destinazione primaria è rilevante anche la funzione secondaria di consentire l’accesso di persone e cose nei singoli appartamenti. Il cortile è, senza dubbio, una delle parti comuni che più genera controversia fra i comproprietari, e, molto spesso, la controversia che è limitata alle modalità con cui si potrebbe utilizzare quest’area, si trasforma in una lite che si potrebbe evitare. Nel caso in cui un condomino trasgredisse i divieti imposti dal regolamento assembleare, che vieta di occupare stabilmente le parti comuni con costruzioni ed oggetti di qualsiasi CondominiOggi tipo, parcheggiando un motociclo di sua proprietà, sorgerebbe un contenzioso tra il condomino e il condominio stesso. Nel caso in questione, gli altri condòmini hanno legalmente il diritto di chiedere formalmente all’amministratore di far applicare il regolamento per quanto riguarda il divieto di parcheggio; a seguito della richiesta dei condòmini, l’amministratore in qualità di legale rappresentante, potrà certamente agire in via stragiudiziale per dissuadere il condomino, inosservante del regolamento, dalla prosecuzione della violazione. Qualora i tentativi bonari non fossero sufficienti, l’amministratore potrà adire l’Autorità giudiziaria per ottenere un provvedimento di condanna del condomino inosservante. E’ chiaro, in tal senso, il I° co. dell’art. 1131 c.c. a mente del quale “nei limiti delle attribuzioni stabilite dall’articolo precedente o dei maggiori poteri conferitigli dal regolamento di condominio o dall’assemblea, l’amministratore ha la rappresentanza dei partecipanti e può agire in giudizio sia contro i condòmini sia contro i terzi”. A ribadire questo assunto, pacifico in dottrina e in giurisprudenza, è stata la Suprema Corte di Cassazione con la sentenza n. 21841/10. In altri termini, la trasformazione del cortile in parcheggio è consentita solo se a beneficio di tutti i condomini. Anche alla luce di questo principio, la giurisprudenza considera abusiva la condotta del singolo condomino che, di propria iniziativa, parcheggia la propria auto nel cortile condominiale, manifestando l’intenzione di possedere il bene in maniera esclusiva: in tal caso, si configura un’occupazione abusiva contraria all’art. 1102 c.c., oltreché alle situazioni del regolamento assembleare, in quanto viene impedito agli altri condòmini di partecipare all’utilizzo di quello spazio comune (Cass. n. 3640/04). Emilia Rosaria Picone socio A.N.AMM.I. n. P084 7 CondominiOggi COME BLOCCARE LA CRESCITA DI UN PAESE OPEROSO di Massimo Dodaro er la verità occorre un po’ di sforzo e per riuscire a raggiungere l’obiettivo serve studiare tanto. Tanto impegno profuso e l’obiettivo si fa sempre più vicino. Cominciamo con l’aumentare le tasse aumentando le vecchie e creandone di nuove, aumentiamo le tariffe così alimentiamo la spirale inflattiva (non dimentichiamo la grande utilità allo scopo che ha avuto l’aumento delle accise), non riduciamo la spesa improduttiva, demoliamo le infrastrutture sociali e amministrative, evitiamo accuratamente di combattere l’evasione fiscale avendo cura di limitare al minimo le indagini patrimoniali e finanziarie ed avendo invece cura di aumentare i controlli formali. Siamo a buon punto, ci basta aumentare un altro po’ le tasse, continuare sulla strada di riformare il mercato del lavoro essendo prima sicuri che non si crei nuovo lavoro e poi, cosa manca? Occorre trovare il modo per bloccare la circolazione del denaro. Qui occorre fare in modo da scoraggiare i pagamenti alle imprese, così chi è in difficoltà non ne verrà più fuori e chi invece già se la cava potrà espandersi e questo è l’effetto secondario, perché il primo obiettivo che ci poniamo è quello di evitare che si crei nuova produzione nel breve periodo. Certamente le conseguenze immediate sono importanti ma la conseguenza finale sarà orgogliosamente quella di mettere in ginocchio quasi tutto il paese per poi far emergere dal caos solo pochi e forti soggetti che avranno attorno a loro solo terra bruciata. Così la grande idea è P 8 balenata ai Professori nel mese di giugno con un decreto battezzato addirittura “Decreto crescita”. Nessuno poteva crederci, ma il Parlamento che abbiamo voluto a tutti i costi al lavoro nel mese di agosto per vendetta ci ha regalato la conversione in legge, e così dal 12 agosto scorso è in vigore l’art. 13-ter del D.L. 83/2012 convertito nella L. 134/2012. Cosa prevede questa norma? Prevede che se io stipulo un contratto d’appalto con una ditta edile per un lavoro da fare a casa mia e, dopo aver ascoltato lo spot dell’Agenzia delle Entrate contro l’evasione fiscale, mi taglio la barba e chiedo la fattura già dall’acconto, beh, a questo punto devo stare attento, perché se successivamente faccio altri pagamenti a questa persona e questa persona non ha versato l’IVA che gli ho pagato con la prima fattura o non ha versato le ritenute sui salari degli operai maturati nel periodo in cui la ditta ha lavorato per me, se la scadenza per il versamento è trascorsa allora io, che non ho fatto altro che evitare di muovermi nel “nero” posso vedermi affibbiare una bella sanzione amministrativa da un minimo di 5.000 ad un massimo di 200.000 euro semplicemente perché non mi sono assicurato, prima di pagare il secondo o il terzo acconto, che la ditta avesse provveduto a versare l’IVA che gli ho già pagato con la prima fattura e che avesse pure versato le ritenute sui salari dei dipendenti. Per mettermi al sicuro posso intanto evitare di pagare così non mi irrogano sanzioni, poi, se proprio voglio assolvere il mio debito devo provvedere a chiedere alla ditta la documentazione che attesti che ha pagato tutto quello che c’era da pagare. Se la ditta mi manda la documentazione che mi serve allora pago, diversamente, legittimamente ed allegramente, posso tenermi i soldi in tasca. E’ evidente che si tratta di una sciocchezza, ma purtroppo è una legge dello Stato. Certamente, è una sciocchezza, anche l’Agenzia delle Entrate ci ha messo un po’ a venirne a capo e a diramare le “istruzioni che se io stipulo un contratto d’appalto con una ditta edile per un lavoro da fare a casa mia e, dopo aver ascoltato lo spot dell’Agenzia delle Entrate contro l’evasione fiscale, mi taglio la barba e CondominiOggi chiedo la fattura già dall’acconto, beh, a questo punto devo stare attento, perché se successivamente faccio altri pagamenti a questa persona e questa persona non ha versato l’IVA che gli ho pagato con la prima fattura o non ha versato le ritenute sui salari degli operai maturati nel periodo in cui la ditta ha lavorato per me, se la scadenza per il versamento è trascorsa allora io, che non ho fatto altro che evitare di muovermi nel “nero” posso vedermi affibbiare una bella sanzione amministrativa da un minimo di 5.000 ad un massimo di 200.000 euro semplicemente perché non mi sono assicurato, prima di pagare il secondo o il terzo acconto, che la ditta avesse provveduto a versare l’IVA che gli ho già pagato con la prima fattura e che avesse pure versato le ritenute sui salari dei dipendenti. Per mettermi al sicuro posso intanto evitare di pagare così non mi arriva nessuna irrogazione di sanzioni, poi, se proprio voglio assolvere il mio debito devo provvedere a chiedere alla ditta la documentazione che attesti che ha pagato tutto quello che c’era da pagare. Se la ditta mi manda la documentazione che mi serve allora pago, diversamente, legittimamente ed allegramente, posso tenermi i soldi in tasca. E’ evidente che si tratta di una sciocchezza, ma purtroppo è una legge dello Stato. Certamente, è una sciocchezza, anche l’Agenzia delle Entrate ci ha messo un po’ a venirne a capo e a diramare le “istruzioni ancora in piedi l’Agenzia delle Entrate. Facciamo il punto, se esiste l’evasione fiscale non è colpa mia che esco senza scontrino dal negozio ma è colpa dell’Agenzia delle Entrate che fa in modo da tutelare gli evasori semplicemente evitando di controllarli. Se poi qualcuno deve controllare qualcosa, allora questo sono io che devo farlo pure gratis ed anzi se non obbedisco è peggio per me. L’istruzione per l’uso più elementare in un caso come questo è evidentemente non pagare, non comprare, ecc. Però questo Paese è da tanto che va avanti nonostante la propria classe dirigente e pertanto vediamo di venirne a capo anche questa volta nel rispetto delle leggi in modo da distinguerci dallo Stato che continuamente e pervicacemente non le osserva. In questo caso, peraltro, non viene violato lo Statuto del Contribuente e pertanto proprio dobbiamo cavarcela. L’Agenzia delle Entrate innanzitutto fissa un termine temporale per l’esordio operativo della norma. L’istituzione è avvenuta per Decreto nel mese di giugno 2012. Non possiamo partire da lì perché è un Decreto Legge e non un Decreto ministeriale (ci mancava solo questa). Partiamo dalla conversione in legge, visto che si tratta dell’istituzione di un nuovo adempimento di natura tributaria, quindi datiamo l’entrata in vigore al 12 agosto 2012. L’Agenzia fa notare che lo Statuto del Contribuente qualcuno si è dimenticato di abolirlo, e pertanto è ancora in vigore. Dal momento che è ancora in vigore, ai sensi dell’art. 3, comma 2, ai contribuenti è lasciato il termine di 60 giorni ulteriori dall’entrata in vigore della norma convertita in legge per essere obbligati a darvi seguito. Questo quindi vuol dire che questa nuova forma di “estorsione legalizzata” è in vigore dal 11 ottobre 2012, per quanto riguarda i pagamenti alle imprese. Attenzione, i contratti d’appalto interessati sono solo quelli stipulati a far data dal 12 agosto 2012. Allora, i contratti d’appalto stipulati prima dell’entrata in vigore della legge sono fuori dall’ambito di applicazione di questa simpatica novità anche se i pagamenti avvengono dopo il 10 ottobre 2012. I contratti stipulati dopo il 12 agosto 2012 sono rilevanti ma solo limitatamente ai pagamenti eseguiti, su quei contratti, dopo il 10 ottobre 2012. Esattamente, sono rilevanti i pagamenti, è su quelli che va effettuata l’attività di controllo che lo Stato non vuole svolgere e che fa pesare sulle nostre spalle. Altro punto rilevante: devo controllare che la ditta appaltatrice abbia pagato tutto, che devo fare? Interviene l’Agenzia (A.d.E. per analogia) e sostiene, e noi ci crediamo, che sia sufficiente un’Asseverazione rilasciata da intermediari abilitati o da CAF. Alternativamente è possibile, da parte della ditta, rilasciare una dichiarazione sostitutiva di atto notorio compilata ai sensi della L. 445/2000. Meno male che è possibile seguire questa strada, così da traslare all’impresa l’obbligo di districarsi tra situazioni come: ritenute non versate per scomputi, Iva non versata per liquidazioni a credito, ecc. Purtroppo faccio rilevare che se alcuni risolvono il problema che si presenta quando devono pagare, ci sono altri che devono essere pagati. A quelli ci penso io. Intanto trovate un meccanico per i tecnici. Viva l’Italia. Dr. Massimo Dodaro Consulente Fiscale A.N.AMM.I. 9 CondominiOggi ANIMALI IN CONDOMINIO: ISTRUZIONI PER L’USO nimali in condominio: sì, ma con giudizio. La tendenza in atto, nella giurisprudenza e in Parlamento, di consentire la presenza in condominio agli ospiti a quattro zampe è ormai un dato di fatto. Tuttavia, va ricordato che la riforma del condominio, in cui è stato inserito il “divieto di vietare” non è ancora legge, mentre la giurisprudenza, pur riconoscendo le ragioni di chi ama gli animali, non dimentica né il rispetto dei vicini né il decoro. In particolare, il disegno di riforma del condominio, ancora in discussione al Senato, autorizzerebbe il possesso di animali domestici all’interno dell’immobile, vietando invece quelli esotici. Ciò non vuol dire, però, che tutti i condòmini italiani siano disposti ad accettare volentieri la presenza di un nuovo inquilino a quattro zampe o munito di ali. In base alle segnalazioni che riceve l’A.N.AMM.I. si calcola che, su dieci associati, A nove sono chiamati, ogni anno, ad affrontare il problema degli animali in ambito condominiale. Il cucciolo di Labrador che abbaia quando il padrone è assente, il merlo indiano che emette versi ad ogni ora, la colonia felina che spadroneggia in cortile: sono storie di tutti i giorni per gli amministratori di condominio. Così come fa parte della vita condominiale il vicino intollerante anche al minimo rumore, compreso il cinguettio del canarino della porta accanto. E se gli aneddoti si sprecano, i motivi delle proteste sono da ricercarsi soprattutto in una cattiva gestione del condomino “non umano”, che spesso degenera in incuria. Ecco perché è bene seguire alcune regole pratiche per evitare liti tra vicini. L’A.N.AMM.I., per aiutare gli iscritti e far riflettere i condòmini, ha stilato alcune regole pratiche. QUESTE LE ACCORTEZZE CHE DOVREBBERO LIMITARE AL MINIMO LE DISPUTE 1 L’animale non è un giocattolo, né un oggetto. E’ dunque importante chiedersi se l’animale prescelto è adatto alla vita che svolgiamo normalmente, alla casa e al quartiere in cui si vive. Ad esempio, se si sta molto fuori casa, prendere un cane rischia di rilevarsi un azzardo. A fare le spese della sua solitudine, infatti, saranno i vicini. 2 Amare gli animali non è un obbligo. Per sondare meglio le reazioni del condominio, parlatene con l’amministratore di condominio, che può fornire qualche indicazione in più sui suoi amministrati. 3 Deiezioni e rumori molesti sono le cause più frequenti delle liti. L’A.N.AMM.I. consiglia di insistere molto sulla pulizia, evitando di prendere più animali nella stessa casa. Certo, il condomino intollerante, anche al minimo guaito, esiste. Va però ricordato che, in caso di denuncia, non è automatica la sanzione: occorre dimostrare che l'animale turba davvero la quiete condominiale o compromette l'igiene della collettività. E se la giurisprudenza ammette già la possibilità di animali domestici come cane e gatto, è già scoppiata la bagarre sull’accezione di “animale esotico”. Il disegno di riforma del condominio ne imporrebbe il divieto, ma secondo la Sivae, una delle associazioni di rappresentanza dei veterinari, non è detto che l’animale domestico sia per forza il cane o il gatto. Canarino e pappagallo, infatti, sono considerati di origine 10 4 Un buon modo per avvicinare umani e animali è farli incontrare. E’ bene che i vicini conoscano il nuovo arrivato e il modo in cui è tenuto. Chiedete ai condòmini se hanno consigli da darvi: li tranquillizzerà. 5 Se avete un cane, non fate mai l’errore di lasciarlo libero negli spazi condominiali. Al guinzaglio sarà anche più facile gestirlo in presenza di altri condòmini. 6 Se, nonostante le accortezze seguite, l’animale combina qualche guaio, affrontate subito la situazione. Scusatevi, ponete rimedio al malfatto ma non nascondetevi. 7 Allo stato, nonostante la giurisprudenza favorevole, non c’è alcun obbligo di accettare animali in condominio, ma soltanto una proposta di riforma del codice civile. Prima di accogliere un ospite a quattro zampe in casa, a maggior ragione, occorre una valutazione seria e prudente. Non soltanto per evitare problemi agli umani, ma anche e soprattutto per l’animale. esotica. Bovini e ovini, invece, sarebbero domestici, a rigor di competenza zoologica. Insomma, per evitare il boa costrictor nel terrazzo del vicino, si rischia di ritrovarsi con una capretta nell’attico in perfetto stile Heidi. Un’ipotesi grottesca, che però una buona dose di buon senso dovrebbe scongiurare. D.ssa Silvia Cerioli Ufficio Stampa A.N.AMM.I. CondominiOggi 11 CondominiOggi IL SOCIO IN CATTEDRA di Rosa Lanzara DISTACCO DALL’IMPIANTO CENTRALIZZATO E’ sempre più difficoltoso garantire il “quieto vivere condominiale” laddove intercorrono diversità rilevanti nello stile di vita, proprie dell’educazione di ognuno di noi e degli atteggiamenti che ci caratterizzano. Sembra pacifico dettare e rispettare regole di buon vicinato, seppure queste, da ritenersi ovvie, scontate, valevoli agevolmente erga omnes , talvolta si tramutano in situazione inconsuete, difficoltose da dipanare. L’attuale crisi economica sicuramente non aiuta ad appianare gli animi ed è sempre più complesso, nella vita condominiale, comprendersi, venirsi incontro ed accettarsi; l’amministratore di condominio, quindi, è sempre più chiamato ad innumerevoli sforzi extra mandato quali: mantenere ottime relazioni interpersonali con tutti i condòmini, utilizzare procedure continue (ma non aggressive) per il recupero degli oneri condominiali, capacità di creare “coscienza condominiale” al fine di risolvere quelle problematiche che, il più delle volte, fanno riferimento sempre allo stesso ristretto numero di condòmini. Una volta creata la “coscienza condominiale” le tematiche inerenti il condominio, per quanto complesse, trovano soluzioni condivise. E’ auspicabile che in questa direzione legislativa proceda la materia in esame la quale sta già subendo un progresso tale da rivoluzionare il sistema nel quale si confrontano le due facce della stessa medaglia: da un lato i condòmini e dall’altro l’amministratore. A quest’ultimo risulta urgente sviluppare la coscienza civile, costituzionale e democratica, educare, all’interiorizzazione e al rispetto delle regole come strumenti indispensabili per una convivenza civile, acquisire la capacità di discutere, affrontare i problemi, indicare le soluzioni e comprendere che la pluralità dei soggetti è una ricchezza. Il condominio è, comunemente, ritenuto un fenomeno economico moderno mentre, in realtà, le sue origini si perdono nella notte dei tempi: le prime tracce risalgono al 2000 a.C. a Babilonia! 12 Moderna è soltanto la sua enorme diffusione che ha creato la necessità di normative ancor oggi imperfette, le cui lacune vengono colmate, talvolta in modo contraddittorio dalla giurisprudenza la quale ha dovuto affrontare migliaia di casi pratici, via via sempre nuovi e dalla prassi instaurata da valentissimi amministratori e notai negli anni ’40 e ’50, lasciando, però, ai posteri la soluzione di enormi problemi. Caso emblematico è la normativa in tema di riscaldamento che, negli ultimi anni, ha subito numerose modifiche, soprattutto con la preferenza accordata ai riscaldamenti autonomi. In primis il problema della possibilità di rinuncia al riscaldamento centrale è da verificare nella previsione del regolamento di condominio. Se la possibilità di rinuncia coincide con quanto previsto da detto regolamento, bisognerà prenderne atto e darne conferma; se, invece, il regolamento non prevede alcuna possibilità di esonero ma, al contrario, prevede l’obbligo per tutti i condòmini di partecipare alle spese, allora la possibilità alla rinuncia è da escludere anche se si è in presenza di uno sfasamento dell’obbligo di contribuzione alle spese di gestione del riscaldamento centrale svincolato dall’effettivo godimento del servizio. Ciò va ricondotto, non già nell’ambito della rendicontazione dei servizi comuni, bensì in quello delle disposizioni che attribuiscono diritti o impongono obblighi ai condòmini: ne consegue che la suindicata previsione condominiale non è modificabile da delibera assembleare, se non con l’unanimità dei consensi (Cass. n. 1558/04). Nella maggior parte dei casi il regolamento non prevede nulla è non è facile risolvere la questione in base alla dottrina e alla giurisprudenza perché le due parti non sempre concordano e, soprattutto, la materia si è evoluta con il passare degli anni. Pertanto si è passati dal principio secondo il quale il condomino può legittimamente rinunciare all’uso del riscaldamento sottraendosi all’onere di corrispondere le spese relative, soffre eccezione quando un regolamento contrattuale, accettato da CondominiOggi tutti i condòmini, abbia stabilito l’obbligatorietà dell’uso del riscaldamento o abbia stabilito che in ogni caso il non uso non esonera il condomino a partecipare alla spesa di esercizio (Cass. n. 2865/54). L’indirizzo giurisprudenziale dominante dopo il 1955 si può così sintetizzare “dall’affermazione iniziale dell’ammissibilità della rinuncia, se non vietata dal regolamento, si è passati all’affermazione finale dell’ammissibilità solo se il regolamento (o l’assemblea) la consente”. In seguito la Cassazione ha affermato che, qualora alcuni condòmini decidano unilateralmente di distaccare le proprie unità immobiliari dall’impianto di riscaldamento centrale, non è possibile sottrarsi al contributo per le spese di conservazione dell’impianto non essendo configurabile una rinuncia alla comproprietà dello stesso (Cass. 10214/96). Sempre la Cassazione, poi, con le sentenze nn. 1775/98, 6923/01 e 5974/04 ha affermato che la rinuncia unilaterale al riscaldamento condominiale, operata dal singolo condomino mediante il distacco del proprio impianto dalle diramazioni dell’impianto centralizzato, è legittima se l’interessato dimostri che, dal suo operato, non derivano né aggravi di spese per coloro che continuano a fruire dell’impianto, né squilibri termici pregiudizievoli della regolare erogazione del sevizio, solo nel caso in cui il regolamento di condominio di natura contrattuale non la vieti esplicitamente. In tal caso egli sarà obbligato a pagare le spese di conservazione dell’impianto, mentre può essere esonerato dall’obbligo del pagamento delle spese per il suo uso. La prova del non aggravio di spesa a carico del condominio per il mancato utilizzo da parte di un condomino del proprio impianto di riscaldamento nonché la prova della non presenza di squilibri termici pregiudizievoli per altri condomini, ben può essere fornita attraverso una consulenza tecnica che provveda alla misurazione del calore proveniente dagli appartamenti limitrofi e all’accertamento della diminuzione di energia in concreto irrogata dall’impianto centrale (Cass. n. 321/99). Il principio della Cassazione secondo il quale “il condomino è sempre obbligato a pagare le spese di conservazione dell’impianto di riscaldamento centrale anche quando sia stato autorizzato a rinunziare all’uso del riscaldamento centralizzato e a distaccare le diramazioni della sua unità immobiliare dall’impianto comune, ovvero abbia offerto la prova che dal distacco non derivano né un aggravio di gestione né uno squilibrio termico, essendo in tal caso esonerato soltanto dall’obbligo del pagamento delle spese occorrenti per il suo uso, se il contrario non risulti dal regolamento condominiale. Di conseguenza è legittima la delibera condominiale che pone a carico anche dei condòmini che si siano distaccati dall’impianto di riscaldamento le spese occorrenti per la sostituzione della caldaia, posto che l’impianto centralizzato costituisce un accessorio di proprietà comune, al quale i predetti potranno comunque riallacciare la propria unità immobiliare” è congruente anche in considerazione che la partecipazione a un condominio provvisto di riscaldamento centrale comporta un consenso. Il condomino che accetta senza riserve l’esistenza dell’impianto ed il servizio relativo, fa ragionevolmente supporre agli altri condomini, i quali facevano assegnamento sul concorso di tutti per conseguire una normale e non onerosa ripartizione della spesa, il concorso nella spesa da parte del detto condomino. Senza dire che la rinuncia contemporanea di più condòmini renderebbe difficoltosa o, addirittura, impossibile la gestione dell’impianto, con danno gravissimo dei condòmini favorevoli alla prosecuzione, i quali, in definitiva, avevano ritenuto pacifico acquistare una porzione di edificio servita dal riscaldamento centrale. Corretto, quindi, appare l’orientamento più recente della giurisprudenza secondo il quale il distacco del singolo presuppone, comunque, la partecipazione dello stesso per la conservazione dell’impianto di riscaldamento centralizzato. D.ssa Rosa Lanzara socio A.N.AMM.I. n. P114 Con questa rubrica si vuole dare spa- zio a tutti i soci che volessero approfondire temi in materia condominiale a beneficio di tutta la compagine associativa. La pubblicazione dei testi forniti è a insindacabile giudizio del Comitato di Redazione e gli elaborati potranno essere inviati all’indirizzo di posta elettronica: [email protected] 13 CondominiOggi MA L’AVVISO, QUANDO ARRIVA? ccorre preliminarmente esaminare quale sia il termine di notifica previsto per l’avviso di convocazione delle assemblee condominiali e, altresì, la forma che lo stesso debba rivestire. Anzitutto, è necessario richiamare il combinato disposto degli artt. 1136 c.c. e 66 delle disposizioni di attuazione del c.c.. L’assemblea condominiale, ai sensi dell’art. 1136 c.c., non può deliberare, in quanto non regolarmente costituita, se non siano stati convocati regolarmente tutti i condòmini, come delinea espressamente l’art. 1136 comma 6°, c.c. secondo cui “l’assemblea non può deliberare, se non consta che tutti i condòmini sono stati invitati alla riunione”. Inoltre, devono essere rispettati nella convocazione di ogni singolo condomino i termini previsti dall’art. 66 delle disposizioni di attuazione del c.c., che com’è noto prevede infatti che “l’avviso di convocazione deve essere comunicato ai destinatari almeno 5 giorni prima della data fissata per l’Assemblea”. Questo assunto riprova che tra la data dell’assemblea e quella della conoscenza dell’avviso debbano trascorrere almeno 5 giorni. La Cassazione, proprio con riferimento al termine summenzionato, specifica testualmente che “ogni condomino ha il diritto d’intervenire all’assemblea e deve, quindi, essere messo in condizione di poterlo fare, con la conseguente necessità che l’avviso di convocazione previsto dalla superiore disposizione normativa sia non solo inviato, ma anche ricevuto nel termine (almeno 5 giorni prima della data fissata per l’adunanza) ivi previsto” (Cass. n. 5769/85) e proseguendo nel proprio iter argomentativo delinea, altresì, testualmente che “la nullità della delibera nel caso summenzionato è ricondotta all’esigenza che tutti i condomini siano preventivamente informati della convocazione dell’assemblea, così da poter essere partecipi del procedimento di formazione della delibera stessa…” (Cass. n. 4984/77 e Cass. 93 n.1780/93). Anche la giurisprudenza di merito è concorde nel ritenere che ai fini della regolare convocazione dell’assemblea non è sufficiente che la spedizione dell’avviso sia fatta dall’amministratore nei termini di legge, ma occorre che l’avviso sia effettivamente ricevuto da tutti i singoli condomini entro il termine minimo prescritto dalla legge (ved. Trib. Civ. Milano sez. VIII, 17 aprile 1989, Trib. Civ. O 14 di Manuela Palamara Bologna 1998 n. 4, Trib. Civ. Milano1985/6235). Com’è noto, infatti, la notifica per destinatario si perfeziona dalla data di ricezione del plico presso la propria residenza o dalla data della sua compiuta giacenza. La Corte costituzionale, infatti, precisa che per il destinatario “resta fermo il principio del perfezionamento della notificazione solo alla data di ricezione dell’atto, attestata dall’avviso di ricevimento, con la conseguenza della decorrenza da quella stessa data di qualsiasi termine imposto al destinatario stesso” (corte Cost. n. 477/02; 28/04, indirizzo avallato anche dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione con le sentenze nn.1729/96 e 321/99). Inoltre, nel termine dei 5 giorni non può essere considerato il giorno della prima riunione; infatti, l’invito contenente le indicazioni di entrambe le date di convocazione, prima e seconda, deve pervenire ai partecipanti entro il termine di cui all’art. 66 disposizioni di attuazione c.c., in relazione alla prima data di convocazione (Cass. Civ. 995/1969; Trib. Milano 1992, Trib. Civ. Bologna 1998 n. 4, nonché App. Genova, 26 aprile 1996). Ancora, la Suprema Corte (Cass.n. 4270/01) sottolinea che la “mancata convocazione, proprio perché lesiva del diritto fondamentale del condomino di partecipare all’amministrazione dei beni comuni, costituisce ragione di per sé per far nascere in capo al condomino escluso dal processo di formazione della volontà collegiale, l’interesse a far accertare la nullità della delibera”. Sempre secondo l’iter argomentativo del summenzionato orientamento giurisprudenziale, in sostanza, il condomino ha il diritto di rendere noto agli altri partecipanti le ragioni per cui ritiene di approvare o rifiutare la proposta di delibera contenuta nell’ordine del giorno. La Suprema Corte delinea testualmente che “Ove l’esercizio di tale potere sia impedito o menomato, a cagione ad esempio della mancata o intempestiva comunicazione al condomino della data fissata per l’assemblea, è configurabile una delle ipotesi di contrarietà alla legge, prevista dal primo comma dell’art. 1137 c.c., comportante annullamento della delibera, a prescindere dal suo contenuto decisionale o meramente preparatorio o programmatico” (Cass. n. 5084/93). A questo punto va approfondita la problematica strettamente connessa a quella analizzata CondominiOggi e concernente la forma che deve rivestire l’avviso di convocazione. Nel silenzio della legge, facendo sempre salva ogni diversa disposizione del regolamento di condominio, la Cassazione ha avuto modo di affermare che “per l’avviso di convocazione dell’assemblea, obbligatorio per tutti i condomini ai fini della sua regolare costituzione, non è previsto alcun obbligo di forma che il relativo invito a partecipare debba rivestire, tanto che, […], la comunicazione può essere fatta anche oralmente” (così Cass. n. 8449/08). Dello stesso parere è la dottrina che, conformemente alle pronunce giurisprudenziali di cui sopra, ritiene che per qualunque mezzo d’informazione conditio sine qua non sia la possibilità di dimostrare l’avvenuta comunicazione dell’avviso. La giurisprudenza di merito (Trib. Bari 23 febbraio 2010 n. 642) specifica che l’art. 1136 c.c. non prescrive infatti modalità di notifica ai condòmini dell’avviso di convocazione per la regolarità della relativa assemblea, e si deve ritenere che la disposizione di legge sia stata osservata allorquando risulti provato, anche a mezzo di presunzioni, che i condomini abbiano in qualunque modo avuto notizia della convocazione. In conclusione, alla luce della normativa e della giurisprudenza suesposte, appare evidente che l’amministratore di condominio, per non incorrere in gravi vizi, tali da annullare l’assemblea, deve in primo luogo accertarsi che tutti i condòmini abbiano, tempestivamente, ricevuto l’avviso di convocazione non potendosi basare semplicemente sul fatto di averlo tempestivamente inviato almeno 5 giorni prima dell’assemblea, in quanto deve verificare l’effettiva ricezione dello stesso da parte di tutti i condòmini. Pertanto, l’amministratore dovrebbe convocare con largo anticipo l’assemblea per ovviare a tale inconveniente, in quanto in caso di ricevimento tardivo dell’avviso di convocazione viene leso il diritto del condomino a poter partecipare all’assemblea, in virtù del fatto che l’omessa, tardiva o incompleta convocazione dei condomini comporta l’annullabilità delle delibere eventualmente adottate. Invece, per quanto concerne la forma che deve rivestire la notifica dell’avviso di convocazione, vigendo il principio di libertà di forme, l’amministratore può liberamente scegliere la modalità di notifica, purchè vi sia la prova dell’avvenuta ricezione e non vi sia una forma espressamente disciplinata nel regolamento di condominio. Avv. Manuela Palamara Consulente Legale A.N.AMM.I. VOCE ALL’AMMINISTRATORE Condòmini all’asciutto: L’Acea tace (o quasi) Prima era colpa del caldo, ora degli impianti mal funzionanti. Sono mesi che, in alcuni quartieri della Capitale, l’acqua risulta insufficiente o addirittura manca del tutto, in parecchie zone di Roma (Cecchignola, Tiburtina, Vigna Clara) e dintorni, come i Castelli. E l’Acea, la municipalizzata che fornisce le principali utenze domestiche, non ha finora offerto giustificazioni esaurienti. Da luglio, alcuni amministratori associati hanno tentato di risolvere il problema, mettendo sotto pressione il numero verde dell’azienda e informando la stampa locale. Nel periodo estivo, l’Acea ha dato la colpa al caldo torrido, poi, complici le temperature miti, ha ammesso che il problema era tecnico. “E’ un guasto che ha colpito l’acquedotto”, è stata la risposta che più volte, nelle ultime settimane, hanno fornito gli operatori di Acea Ato2 contattati dai soci dell’A.N.AMM.I. La stessa Associazione ha tentato di chiarire la questione, ma senza ottenere certezze. In casi rarissimi, nei quartieri coinvolti è stata inviata l’autobotte, senza alcuna assicurazione circa la riparazione del fantomatico guasto. Per giunta, dall’esame degli impianti, effettuato per volontà degli amministratori, è emerso che la pressione dell’acqua è molto più bassa della norma. Anche qui, il massimo che gli amministratori sono riusciti ad ottenere dall’azienda è stato il suggerimento di avere pazienza e di prendere in considerazione l’idea di cambiare autoclave. Che, guarda caso, sarebbe fornito dall’Acea stessa. In compenso, le bollette non sono diminuite e sono pagate puntualmente, nonostante il disservizio. Insomma, una grande confusione. Intanto, i condòmini continuano a protestare: “In alcuni giorni, non abbiamo nemmeno l’acqua per la doccia”, è l’accorata segnalazione di alcuni condòmini. Che restano all’asciutto, mentre l’Acea tace. L’A.N.AMM.I., intanto, non molla. E continua a chiedere spiegazioni. 15 CondominiOggi NOTIZIE FLASH... a cura dell’Ufficio Legale A.N.AMM.I. Posti auto: al turno non si rinuncia La Cassazione con sentenza n. 12485 del luglio scorso, è tornata sull’annoso problema della disciplina dei posti auto, nel caso gli stessi siano insufficienti rispetto al numero dei condomini. Viene, quindi, confermato il principio secondo il quale, quando in assemblea condominiale si sono stabiliti i turni dei posti auto, un condomino ha sempre diritto a vedersi assegnato il posto macchina anche se decide di non usarlo. Il ricorrente aveva impugnato la delibera assembleare, sostenendo che non fosse giusto assegnare posti auto a persone che poi decidevano di non usarlo. La tesi del condomino non è stata accolta dal Tribunale di Roma, poi è stata respinta dalla Corte d’Appello e, infine, dalla Cassazione. In tal senso, la S.C. ha precisato che “se la natura di un bene immobile oggetto di comunione non ne permette un simultaneo godimento da parte di tutti i comproprietari, l’uso comune può realizzarsi o in maniera indiretta, oppure mediante avvicendamento. Pertanto, l’assemblea alla quale spetta il potere di disciplinare i beni e i servizi comuni, al fine della migliore e più razionale utilizzazione, ben può stabilire, con deliberazione a maggioranza, il godimento turnario della cosa comune, nel caso in cui, come nella fattispecie in esame, non sia possibile l’uso simultaneo da parte di tutti i condòmini a causa del numero insufficiente dei posti auto condominiali. Non si tratta di impedire il godimento individuale di un bene comune, ma di evitare che, attraverso un uso più intenso da parte dei singoli condòmini, venga meno per gli altri la possibilità di godere, pienamente e liberamente, della cosa comune durante i loro turni senza subire alcuna interferenza esterna”. Dal supermercato, alla discoteca per finire... in moschea Da qualche mese in città è stata aperta, in un locale al piano terra, una moschea che ha fatto insorgere l’intero condominio che la ospita. Si tratta della ventesima moschea in provincia di Treviso, punto di incontro per decine di fedeli uomini di fede musulmana che, di sera si riuniscono per pregare. Ma anche se ad oggi non si sono registrati disordini imputabili ai fedeli del centro di preghiera, l’intero condominio insorge. Troppi, secondo i residenti della palazzina, che lo hanno ribadito nel corso dell’ultima assemblea condominiale in cui hanno espresso il loro disappunto circa la destinazione d’uso di quegli spazi, chiedendo al proprietario del locale di rescindere quanto prima il contratto d’affitto con l’associazione. Secondo i condomini, sarebbero troppi i fedeli che sarebbero soliti sostare per ore nell’androne del palazzo, urinare sulle mura del condominio e, a decine 16 in uno spazio relativamente angusto, ripeterebbero il rito della preghiera ogni sera, fino a notte fonda, recando disturbo al vicinato con i rumori. Nonostante i ripetuti sopralluoghi dei vigili, questi però, non hanno rilevato alcuna irregolarità e hanno risposto ai condomini, che ne avevano richiesto l’intervento, che nulla si poteva fare contro la moschea. Quindi non ci sarebbero irregolarità: l’amministratore si è comunque, impegnato a verificare qual è l’effettiva capienza dei locali in modo da limitare, eventualmente, l’accesso ai fedeli. Inoltre il proprietario del locale locato ad uso moschena ha dichiarato che s’impegnerà a far rispettare le regole condominiali. La tutela delle minoranze va di pari passo con la quiete del vivere quotidiano: sicuramente le discussioni non finiranno qui… CondominiOggi Videosorveglianza si, videosorveglianza no! Di recente la giurisprudenza è indirizzata nel ritenersi incompetente a deliberare a maggioranza l’installazione di un sistema di videosorveglianza delle parti comuni dell’edificio, neanche se dal provvedimento derivasse una maggiore sicurezza per tutti i partecipanti al condominio. Il tema in questione sconta, innanzitutto, l’assoluta carenza del dato normativo, e va risolta facendo unicamente buona applicazione dei principi generali che sovrintendono, da un lato la protezione dei dati personali e, dall’altro, la sicurezza del condominio. Con la segnalazione del 13 maggio 2008, da ultimo vanamente ribadita nel Provvedimento generale sulla videosorveglianza dell’8 aprile 2010, l’Autorità garante ha constatato come la disciplina codicistica dell’istituto condominiale non consenta, nemmeno per analogia, di individuare quali siano i soggetti, abitanti in un condominio di edifici, che abbiano diritto di voto per la delibera assembleare relativa all'installazione di telecamere che riprendano le aree comuni, potendo in astratto vantare una legittimazione al riguardo sia i titolari di diritti reali, sia i titolari di diritti personali concernenti le porzioni solitarie comprese nel fabbricato, sia ancora coloro che sol- tanto frequentano abitualmente l’edificio per vincoli familiari o per motivi di lavoro. Né ovviamente la normativa chiarisce, allo stato, se occorra l’unanimità dei partecipanti al condominio, o se basti una qualche maggioranza di votanti di un qualche tipo perché la delibera di installazione della video sorveglianza sia validamente assunta. In un contesto di generale incertezza, può precisarsi che l’assemblea, con delibera assunta a maggioranza dei presenti, non può validamente perseguire la tipica finalità di sicurezza del Titolare del trattamento (il condominio), ossia non può validamente deliberare l’installazione di un impianto di videosorveglianza, anche se per fini di tutela di persone e beni rispetto a possibili aggressioni, furti, rapine, danneggiamenti, atti di vandalismo, o finalità di prevenzione di incendi o di sicurezza del lavoro. Una siffatta deliberazione non rientra, , nei compiti dell’assemblea condominiale. Lo scopo della tutela dell’incolumità delle persone e delle cose dei condomini, cui tende l’impianto di videosorveglianza, esula dalle attribuzioni dell’organo assembleare. Da ciò discende che l’installazione dell’impianto in questione deve essere assunta all’unanimità. L’efficienza energetica sempre più presente nelle nostre case In Italia fino a 6-7 anni fa non si parlava quasi di efficienza energetica. La prima normativa sul tema risale, infatti al 2005 con l’emanazione del Dlgs 192/2005. Ora le cose stanno, seppur ancora lentamente, cambiando con una crescita considerevole dell’attenzione nei confronti dell’efficienza energetica: il 43% delle famiglie è disponibile a valutare ed eventualmente realizzare interventi di riqualificazione, mentre il 13%, ovvero circa 3,3 milioni di famiglie, dichiara di aver programmato, nel corso dei prossimi 12 mesi, interventi per rendere efficienti le proprie abitazioni. Questi alcuni dati emersi dall’Osservatorio sull’Efficienza Energetica commissionato da Domotecnica - la prima rete in franchising indipendente per le aziende di installazione che operano nel campo dell’efficienza energetica – osservatorio creato con la finalità di comprendere gli orientamenti delle famiglie italiane nei confronti di questo tema e delineare i trend di sviluppo del settore. Da tale studio è emerso che le famiglie italiane sono ancora legate, per lo più, ad un’impiantistica poco efficiente sotto il profilo energetico disegnando un panorama dove, ad esempio, le tradizionali stufe (64%) oscurano quasi completamente le tecnologie più moderne e green come quelle a condensazione (18%) o le pompe di calore. 17 CondominiOggi IL VIALE CONDOMINIALE NON E’ IL CIRCUITO DI MONTECARLO! a cura dell’Ufficio Legale e è vero che in condominio è necessario, forse più che in altri luoghi, contemperare interessi diversi per far sì che, nel rispetto degli altri, ciascuno possa vivere serenamente, in presenza di strade interne nei complessi condominiali oggi è diventata frequente la richiesta di installazione di dissuasori di velocità che hanno, implicito nel loro stesso significato, lo scopo di “distogliere dal fare qualcosa”. Tutto perché nei condomini che hanno tra le parti comuni dei viali interni transitabili da automobili e ciclomotori, S 18 questi non vengano utilizzati come in un circuito automobilistico! L’esigenza nasce al fine di ridurre la rumorosità e, principalmente, per regolamentare la velocità ed evitare pericoli per l’incolumità delle persone. Alcuni regolamenti di condominio prevedono un limite di velocità che, spesso, va dai 10 ai 20 Km orari, ma nonostante siano affissi cartelli che lo ricordino, il più delle volte non viene rispettato; né è pensabile che il mancato rispetto del limite sia sanzionabile: in realtà la presenza di detta segnaletica ha, il più delle volte, il solo scopo di deterrente, come a dire, ancora una volta, che tutto è lasciato alla coscienza del singolo! L’assemblea regolarmente convocata per discutere tale tematica, dovrà, in primis, essere consapevole della tipologia della strada privata sulla quale tali dissuasori si vorrebbero installare; se la strada è privata e l’utilizzo è, esclusivamente, in comune a due o più proprietari possono vedersi applicate le disposizioni relative alla comunione e, nello specifico, ai sensi dell’art. 1102 c.c. “ciascun CondominiOggi partecipante può servirsi della cosa comune, purchè non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto”. Nel caso di complesso condominiale, con fabbricati autonomi e vialetti, illuminazione e quanto altro in comune, è necessario il consenso assembleare. Infine, deve considerarsi il caso in cui l’installazione di dissuasori è su strada privata ad uso pubblico. In tal caso la Cassazione ha precisato che per strada privata ad uso pubblico deve intendersi “una strada la cui destinazione sia tale da soddisfare le esigenze di una collettività indeterminata di individui che usano quella strada in quanto titolari di un interesse di carattere generale” (Cass. n. 1030/81). Se si decide di installare dissuasori su strada privata ad uso pubblico dovrà anche essere tenuto presente che, in alcuni casi, è necessario richiedere all’ufficio tecnico del Comune l’autorizzazione in tal senso. Il Regolamento di attuazione del codice della strada prevede che i dossi artificiali possono essere posti in opera solo su strade residenziali, nei parchi pubblici e privati, nei residences, ecc; possono essere installati in serie e devono essere presegnalati. Nella fattispecie del condominio, secondo la giurisprudenza prevalente l’installazione di dissuasori di velocità non costituisce innovazione, in conformità con la definizione di quest’ultima dalla Cassazione “per innovazioni delle cose comuni si intendono, dunque, non tutte le modificazioni, sebbene le modifiche, le quali importino l’alterazione dell’entità sostanziale o il mutamento della originaria destinazione, in modo che le parti comuni, in seguito alle attività o alle opere innovative eseguite, presentino una diversa consistenza materiale, ovvero vengano ad essere utilizzate o per fini diversi da quelli precedenti” (Cass. n. 11936/99; Cass. n. 10602/90; n. 12654/06). L’apposizione di dissuasori, infatti, non modifica l’entità sostanziale della strada comune, né muta l’originaria destinazione del bene, ossia della strada condominiale. Stabilire se è compito dell’assemblea deliberare l’installazione o se rientra nell’autonomia gestionale dell’amministratore, dipende dall’entità economica dell’intervento. In linea generale l’amministratore potrebbe disporre tale installazione solo in caso di urgenza, ossia in caso di ripetuti incidenti, salvo riferirne tempestivamente all’assemblea. Diversamente, seppur non rientrando nella fattispecie delle innovazioni, è opportuna una delibera assembleare assunta, se in prima convocazione, con la maggioranza degli intervenuti e almeno la metà del valore dell’edificio (art. 1136, II° c.c.), se in seconda, con un numero di voti che rappresenti il terzo dei partecipanti al condominio e almeno un terzo del valore dell’edificio (art. 1136, III° c.c.). Ufficio Legale A.N.AMM.I. 19 CondominiOggi L’ELIMINAZIONE DEL “PREGIUDIZIO” NELL’ATTIVITA’ DELL’AMMINISTRATORE di Roberta Odoardi l fine di preservare l’incolumità dei residenti e dei frequentanti dello stabile, l’amministratore ha il potere di attivarsi qualora si presentino situazioni di pregiudizio, anche se la delibera assembleare non approva e, soprattutto, anche indipendentemente da una delibera assembleare assunta in tal senso. Infatti, nel caso in cui da detta situazione, dal distacco di parti dell’intonaco, alla presenza di crepe importanti, nascesse un pregiudizio che mini la sicurezza dello stabile, l’amministratore sarà chiamato a risponderne avanti l’Autorità. Quindi, in linea generale, ogni evento dannoso conseguente ad un mancato tempestivo intervento di riparazione è ascrivibile all'amministratore di condominio. La giurisprudenza costante ritiene l’amministratore penalmente responsabile anche in tutti quei casi in cui non si attivi con la necessaria urgenza per rimuovere quelle situazioni di pericolo per l’incolumità delle persone, derivante, ad esempio dalla minacciante rovina di parti comuni dello stabile. In tali ipotesi lo stesso è considerato soggetto attivo del reato di cui all’art. 677 c.p. penale (omissione di lavori di edifici che minacciano rovina), dovendo attivarsi in forza dei poteri riconosciutogli dagli artt. 1130 III° e IV° co., e 1135 II° co. c.c., per l’eliminazione delle situazioni idonee a provocare danni ad altre persone. A tal proposito l’art. 677 c.p. sopra richiamato precisa che “Il proprietario di un edificio o di una costruzione che minacci rovina ovvero chi è per lui obbligato alla conservazione o alla vigilanza dell’edificio o della costruzione, il quale omette di provvedere ai lavori necessari per rimuovere il pericolo, è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da lire trecentomila a un milione ottocentomila. La stessa sanzione si applica a chi, avendone l’obbligo, omette A 20 di rimuovere il pericolo cagionato dall’avvenuta rovina di un edificio o di una costruzione. Se dai fatti preveduti dalle disposizioni precedenti deriva pericolo per le persone, la pena è dell’arresto fino a sei mesi o dell’ammenda non inferiore a lire seicentomila”. Con la sentenza n. 25251/08 la Cassazione ha innovato sul punto della presunzione di custodia dei beni condominiali a carico del condominio per gli effetti dell’art. 2051 c.c., ai fini della responsabilità dei danni cagionati a terzi (salvo prova del fatto fortuito), individuando nella figura dell’amministratore il vero responsabile, quale custode dei beni da lui amministrati, per i danni dagli stessi causati a terzi, avendo egli assunto doveri ed obblighi finalizzati ad impedire che i beni condominiali possano provocare danni a persone o cose in quanto su di lui gravano poteri e doveri di controllo, secondo quanto disposto dalle norme codicistiche, diretti ad influenzare il modo di essere di quei beni condominiali. La figura dell’amministratore, nell’ordinamento non si esaurisce nell’aspetto contrattuale delle prerogative dell’ufficio. A Tale ruolo il codice civile e le leggi speciali imputano doveri ed obblighi finalizzati ad impedire che il modo d’essere dei beni condominiali provochi danno a terzi. La Cassazione più recente ha rilevato che il suddetto indirizzo, sicuramente più rigoroso rispetto al passato, è l’espressione dell’evoluzione della figura dell’amministratore di condominio, i cui compiti vanno sempre più incrementandosi. Infatti, quale amministratore pro-tempore del condominio, lo stesso è titolare dell’obbligo di garanzia, in relazione alla conservazione delle parti comuni dello stabile, in quanto ha l’obbligo giuridico di intervenire a tutela delle parti comuni dell’edificio condominiale, indipendentemente CondominiOggi dalla provenienza del pericolo. Tuttavia, ovviamente, ai fini della responsabilità penale dello stesso è necessaria la prova che il danno causato al condominio da un incidente è direttamente riconducibile alla sua inerzia (Cass. pen. , sez. IV, n. 39959/09). Il principio si giustifica in quanto eliminare dall’area condominiale un’insidia o un pregiudizio deve considerarsi un intervento “sia conservativo del diritto sia manutentivo di ordine urgente anche a tutela della incolumità dei passanti e quindi determinante dell’obbligo di agire ex art. 40 comma 2 codice penale”. La condanna, infatti, può esserci solamente se risulta giustificata e risulta, altresì, processualmente certo il fatto che la sua condotta omissiva sia stata una “condizione necessaria dell’evento lesivo, con alto o elevato grado di credibilità razionale o probabilità logica”. In tal senso la Cassazione, con la sentenza n. 34147/12, introduce il principio di diritto che prevede la possibilità per l’amministratore del condominio di incorrere in una condanna penale qualora omettesse di realizzare quegli interventi di manutenzione necessari sullo stabile condominiale e, sfortunatamente, qualcuno riportasse lesioni (art. 590 commi 1 e 2 c.p.). Per la Cassazione, quindi, l’amministratore riveste “una specifica posizione di garanzia, e su esso grava l’obbligo ex art. 40 cpv. codice penale di attivarsi al fine di rimuovere, nel caso di specie, la situazione di pericolo per l’incolumità del terzi”. La responsabilità penale dell’amministratore di condominio va considerata e risolta, quindi, nell’ambito del capoverso dell’art. 40 c.p. che stabilisce che “non impedire un evento che si ha l’obbligo di impedire equivale a cagionarlo” per rispondere del mancato impedimento di un evento e, cioè, necessario, in forza di tale norma, l’esistenza di un obbligo giuridico di attivarsi allo scopo detto obbligo può nascere da qualsiasi ramo del diritto e quindi anche dal diritto privato e, specificamente da una convenzione che da tale diritto sia prevista e regolata come è del rapporti di rappresentanza volontaria intercorrente fra il condominio e l’amministratore. La S.C., inoltre, osserva che l’obbligo di eliminare le situazioni di pericolo, non è subordinato alla preventiva delibera dell’assemblea e, più nello specifico precisa che il disposto di cui all’art. 1130, IV° co., c.c. “viene invero interpretato dalla giurisprudenza di legittimità nel senso che sull’amministratore grava il dovere di attivarsi a tutela dei diritti inerenti le parti comuni dell’edificio, a prescindere da specifica autorizzazione dei condomini ed a prescindere che si versi nel caso di atti cautelativi ed urgenti ( Cass. Sez. IV n. 3959/09 e Sez. IV n. 6757/83). Dalla lettera dell’art. 1135, ult. co. c.c. si evince, peraltro, a contrario, che l’amministratore ha facoltà di provvedere alle opere di manutenzione straordinaria, in caso rivestano carattere di urgenza, dovendo in seguito informare l’assemblea”. Nel caso di specie, l’imputato-amministratore avrebbe dovuto rimuovere gli avvallamenti/sconnessioni della pavimentazione in prossimità del tombino predisposto, ai fini dell’esercizio di fatto della servitù di scolo delle acque meteoriche a vantaggio del condominio, ciò costituendo una vera e propria insidia o “trabocchetto”, fonte di pericolo per i passanti ed inevitabile con l’impiego della normale diligenza. L’obbligo di attivarsi, onde eliminare la riferita situazione di pericolo, non doveva, inoltre, ritenersi subordinato, come erroneamente sostenuto dall’amministratore, “alla preventiva deliberazione dell’assemblea condominiale ovvero ad apposita segnalazione di pericolo tale da indurre un intervento di urgenza”. D.ssa Roberta Odoardi socio A.N.AMM.I n. 1949. L’Ufficio Legale dell’A.N.AMM.I. è a disposizione di tutti gli Associati che si trovino ad affrontare questioni di ordine legale strettamente collegate con le molteplici problematiche condominiali. L’Ufficio Legale composto da un pool di professionisti che operano in stretta collaborazione con esperti di amministrazione condominiale, è in grado di fornire con competenza e serietà: - pareri legali - recupero crediti - patrocinio cause attive - legittimità delle delibere A.N.AMM.I. - Ufficio Legale Via della Magliana Nuova, 93 - 00146 ROMA Tel./fax 06.55.27.23.23 www.anammi.it 21 CondominiOggi REMISSIONE IN BONIS PER GLI INADEMPIMENTI FISCALI di Carmen Raia mportanti chiarimenti sono stati forniti, con la circolare n. 38 del 28/09/2012 diffusa dall’Agenzia delle Entrate, in merito alla sanatoria introdotta dal DL 16/2012, c.d. remissione in bonis, volta a evitare che mere dimenticanze relative a comunicazioni ovvero ad adempimenti formali non eseguiti tempestivamente, precludano al contribuente, in possesso dei requisiti sostanziali I PER prescritti dalla norma, la possibilità di fruire di benefici fiscali o di regimi opzionali. Pertanto, per gli amministratori di condominio,è possibile rimediare a dimenticanze in grado di far perdere ai condòmini il diritto alla fruizione della detrazione IRPEF per interventi di recupero del patrimonio edilizio. Come precisato nella citata circolare la sussistenza della buona fede del contribuente rappresenta il requisito essenziale per l’utilizzo della remissione in bonis, escludendo che il beneficio possa essere fruito nelle ipotesi in cui il tardivo adempimento dell’obbligo rappresenti un mero ripensamento, ovvero una scelta opportunistica assunta a posteriori. L’esistenza della buona fede, in altri termini, presuppone che il contribuente abbia tenuto un comportamento coerente con il regime opzionale prescelto ovvero con il beneficio fiscale di cui intende usufruire, c.d. comportamento concludente, ed abbia solo omesso l’adempimento formale normativamente richiesto, che viene posto in essere successivamente. POTERSI AVVALERE DELLA REGOLARIZZAZIONE È NECESSARIO CHE: • LA VIOLAZIONE NON SIA STATA CONSTATATA O NON SIANO INIZIATI ACCESSI, ISPEZIONI, VERIFICHE O ALTRE ATTIVITÀ AMMINISTRATIVE DI ACCERTAMENTO DELLE QUALI L’AUTORE DELL’INADEMPIMENTO ABBIA AVUTO FORMALE CONOSCENZA; • IL CONTRIBUENTE POSSIEDA I REQUISITI SOSTANZIALI RICHIESTI DALLE NORME DI RIFERIMENTO ALLA DATA ORIGINARIA DI SCADENZA DEL TERMINE PREVISTO PER LA TRASMISSIONE DELLA COMUNICAZIONE OVVERO PER L’ASSOLVIMENTO DELL’ADEMPIMENTO DI NATURA FORMALE; • LA COMUNICAZIONE SIA EFFETTUATA O L’ADEMPIMENTO RICHIESTO SIA ESE- GUITO ENTRO IL TERMINE DI PRESENTAZIONE DELLA PRIMA DICHIARAZIONE UTILE (DICHIARAZIONE DEI REDDITI OVVERO DICHIARAZIONE IVA,SE L’ADEMPIMENTO OMESSO RILEVA ESCLUSIVAMENTE AI FINI DELL’IMPOSTA SUL VALORE AGGIUNTO); • IL CONTRIBUENTE VERSI, ENTRO IL TERMINE ULTIMO DELLA REGOLARIZZA- ZIONE,UNA SANZIONE PARI A 258 EURO. DETTA SANZIONE DEVE ESSERE VERF24SENZA POSSIBILITÀ DI EFFETTUARE LA COMPENSAZIONE CON CREDITI EVENTUALMENTE DISPONIBILI E NON PUÒ ESSERE OGGETTO DI RAVVEDIMENTO. SATA TRAMITE MODELLO 22 CondominiOggi L’articolo 2, comma 1, del decreto aveva circoscritto l’ambito di applicazione del nuovo istituto alla fruizione di benefici di natura fiscale e all’accesso ai regimi fiscali opzionali, subordinati all’obbligo di preventiva comunicazione o di altro adempimento di carattere formale, la circolare n. 38 ha provveduto a specificare che tali adempimenti debbano essere previsti a pena di decadenza. Di conseguenza la disposizione in esame non trova applicazione con riferimento alle comunicazioni o agli adempimenti fiscali la cui non tempestiva esecuzione assume natura di mera irregolarità e dal cui mancato o tardivo adempimento discenda soltanto l’irrogazione di sanzioni. Un esempio è costituito dalla comunicazione che, a partire dal periodo d’imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2008, deve essere inviata all’Agenzia delle Entrate per beneficiare della detrazionedelle spese sostenute per gli interventi di risparmio energetico (originariamente pari al 55%, oggi pari al 50%). L’omesso invio della suddetta comunicazione non determina la decadenza dall’agevolazione, ma l’applicazione di una sanzione, pertanto l’istituto in esame non trova alcuna applicazione. Al contrario, è possibile sanare le comunicazioni e gli adempimenti indispensabili per fruire del beneficio della detrazione Irpef del 36% (oggi pari al 50%) sulle ristrutturazioni edilizie, in quanto l’obbligo di comunicazione al Centro Operativo di Pescara era stato previsto a pena di decadenza. Tale obbligo è stato soppresso a far data dal 13/05/2011, ma resta in piedi l’obbligo di preventiva comunicazione alla A.S.L.. Agli associati spesso è capitato di omettere tale comunicazione avente come allegato la dichiarazione di responsabilità della ditta appaltatrice facendo decadere, di fatto, il diritto alla fruizione del beneficio. Ebbene, queste omissioni possono essere regolarizzate aderendo alla sanatoria in commento. Analogamente, è possibile sanare la mancata compilazione dei campi relativi agli estremi catastali del fabbricato nel modello di comunicazione di inizio lavori inviata all’Agenzia. Per completezza di informazione sis egnala che le fattispecie sanabili evidenziate dall’Agenzia delle Entrate nella circolare in commento sono le omissioni inerenti alla tassazione per trasparenza delle società, al consolidato fiscale, al regime di liquidazione e al versamento mensile o trimestrale dell’IVA nell’ambito di un gruppo, alla determinazione della base imponibile Irap e alla tonnagetax, cui si aggiunge un particolare ravvedimento per gli enti che non hanno assolto gli adempimenti relativi al 5 per mille o alla mancata presentazione del modello EAS, destinato agli enti non commerciali. Sul termine della decorrenza, l’Agenzia precisa che l’istituto della remissione in bonis si rende applicabile alle irregolarità per le quali, alla data di entrata in vigore del decreto, 2 marzo 2012, non risulti scaduto il termine di presentazione della prima dichiarazione utile ai fini della citata regolarizzazione, rendendosi applicabile anche alle irregolarità per le quali, a tale data, sia scaduto il termine della prima dichiarazione utile, ma non sia ancora scaduto il termine di presentazione concernente in periodo d’imposta nel quale l’adempimento è stato omesso. Infine, in considerazione dell’incertezza interpretativa circa l’individuazione del dies ad quem entro il quale poter sanare l’adempimento omesso, la citata circolare ha ritenuto che, in attuazione di principi di tutela dell’affidamento e della buona fede, in sede di prima applicazione della norma, le omissioni di cui sopra siano sanabili entro il 31 dicembre 2012. D.ssa Carmen Raia Consulente Fiscale 23 CondominiOggi LO SAPEVATE CHE... QUANDO IL SINGOLO VINCE SU TUTTI! Nel procedimento di revoca giudiziaria dell’amministratore, il tribunale adito, dopo aver informato e sentito lo stesso, provvede, in camera di consiglio, con decreto motivato, ad accogliere o respingere il ricorso. Quindi, svolge la funzione propria dell’assemblea condominiale, competente a deliberare, nel caso specifico, la revoca dell’amministratore nell’esercizio di un’attività di volontaria giurisdizione. Una volta revocato dall’Autorità Giudiziaria, è possibile che lo stesso amministratore venga nominato dall’assemblea per una seconda volta, a condizione però che la nomina venga decisa dall’assemblea all’unanimità e non dalla semplice maggioranza (Cass., n. 1803/60). Questo perché l’Autorità interviene a tutela degli interessi del singolo che prevalgono, in ogni caso, sulla volontà assembleare seppur espressa secondo il disposto di cui all’art. 1136 II° co. c.c.. Il principio di cui sopra è stato ribadito anche dalla Corte d’Appello di Napoli con sentenza n. 2566/08 nella quale il condom i n o aveva impugnato la delibera di nomina d e l l’amministratore, g i à p r e c e d e n t e m e n t e revocato per INFORMATIVA SUL TRATTAMENTO DATI Ai sensi del D.Lgs.196/2003 - “Codice in materia di protezione dei dati personali”, l’A.N.AMM.I. entrerà in possesso dei dati personali degli associati. Il trattamento delle informazioni che li riguardano sarà improntato ai principi di correttezza, liceità, trasparenza, tutelando riservatezza e diritti. In particolare si conferma che, i dati “sensibili”, possono essere oggetto di trattamento solo con il consenso scritto dell’interessato e previa autorizzazione del Garante per la protezione dei dati personali (art. 26 - D.Lgs.196/2003). Ai sensi dell’articolo 13 del D.Lgs.196/2003 vengono fornite, quindi, le seguenti informazioni: 1) Finalità del trattamento: i dati personali sono raccolti, registrati, memorizzati e gestiti per i seguenti fini: a) per finalità funzionali all’esercizio dei diritti e degli obblighi previsti per legge e/o contrattuali, in particolare quelli contabili e fiscali, per adempiere a specifiche richieste, nonché per finalità di tutela del credito dell’associato; b) per finalità di marketing, commerciale e promozionale anche mezzo posta elettronica (tali dati NON sono ceduti a terzi e si riferiscono alle attività associative svolte). 2) Modalità del trattamento: i dati sono trattati in modalità cartacea e/o informatizzata. 3) Natura obbligatoria/facoltativa: il conferimento dei dati è obbligatorio per forza di legge e/o per adempimento contrattuale. 4) Conseguenze del rifiuto a fornire i dati: il rifiuto a fornire tali dati potrebbe comportare la mancata o parziale esecuzione del contratto e/o dell’erogazione del servizio. 5) Comunicazione ad altri soggetti: i dati saranno portati a conoscenza, in qualità di Responsabili o Incaricati, dei collaboratori autorizzati dell’A.N.AM.I. e potranno essere comunicati a istituti di credito e/o società finanziarie, società di recupero crediti e/o liberi Professionisti di cui l’Associazione si avvale, anche in forma associata, nonché alle pubbliche Autorità ed Amministrazioni. 6) Diffusione dei dati: i dati NON saranno oggetto di diffusione. Titolare del trattamento: A.N.AMM.I. Via della Magliana Nuova, 93 - 00146 Roma Responsabile del trattamento: Dr.ssa Roberta Odoardi Diritti dell’interessato: il Titolare del Trattamento fornirà i riscontri previsti dalla legge qualora si intenda far valere i diritti riconosciuti dall’art. 7 del D.Lgs.196/2003 24 CondominiOggi gravi irregolarità, dal Tribunale di Napoli. “L’appello è fondato e deve essere accolto, con conseguente declaratoria di invalidità della delibera condominiale [… ] nella parte in cui ha nominato di nuovo amministratore di condominio [… ], pur essendo quest’ultimo revocato dalla carica per gravi, evidenti e reiterate irregolarità gestionali[.. ]. Invero, al di là dell’indubbia sussistenza in linea di principio dei poteri discrezionali dell’assemblea in ordine alla nomina dell’amministratore con la maggioranza prescritta dalla legge, resta però altrettanto certo che l’assemblea non può legittimamente nominare, oltre tutto durante la pendenza della procedura di reclamo, lo stesso amministratore revocato con provvedimento dell’A.G., posto che la norma dell’art. 1129 cod. civ. sulla nomina e revoca dell’amministratore, ed in particolare la disposizione del 3° comma del cit. art. su modalità e presupposti di revoca ad opera dell’A.G: in presenza delle giuste cause indicate dalla legge ed a tutela proprio della minoranza di fronte al potere della maggioranza dell’assemblea, è posta dall’art. 1138 cod. civ. fra quelle inderogabili delle norme del regolamento di condominio, onde logicamente l’assemblea potrebbe nominare di nuovo lo stesso amministratore revocato dall’A.G. solo con decisione presa all’unanimità dei partecipanti al condominio…” La Corte prosegue ribadendo il principio secondo cui la revoca da parte dell’Autorità Giudiziaria, costituisce uno strumento di tutela della minoranza “Ed in proposito è decisivo quanto esposto nel provvedimento della Corte di Appello di rigetto del reclamo, e cioè che la deliberazione del[… ], con cui l’assemblea nominava per acclamazione [… ] nella carica di amministratore, escludendo la sussistenza delle gravi irregolarità affermate dal [… ] ed accertate dal Tribunale “non assume alcun rilievo”, in quanto “la revoca da parte dell’autorità giudiziaria, prevista dall’art. 1129, terzo comma, cod. civ., costituisce uno strumento di tutela della minoranza per l’ipotesi in cui alla commissione di gravi irregolarità da parte dell’amministratore faccia riscontro l’avallo o l’inerzia della maggioranza dei condomini, che si opponga alla sua sostituzione, come nella specie, o semplicemente non vi provveda, sicché, contrariamente a quanto sostenuto dalla difesa del reclamante, la delibera assembleare di conferma non giustifica una decisione di non luogo a provvedere, né determina l’inefficacia del provvedimento eventualmente adottato”. Ufficio Legale A.N.AMM.I. 25 CondominiOggi Risparmiare sull’energia: si può e si deve Le famiglie italiane, già fortemente provate dalla crisi economica che le sta coinvolgendo con una pressione che non pare tenda a diminuire, sono costrette anche a fare i conti con bollette talvolta inspiegabilmente esose. Il Prof. Vincenzo Pepe, Presidente del movimento ecologista europeo FareAmbiente, attivamente impegnato nella tutela dell’ambiente e dei cittadini, riassume con parole concrete l’urgenza di un intervento: "Riteniamo la situazione del mercato energetico italiano assolutamente insostenibile e dannoso per le tasche delle famiglie e per il bilancio delle imprese, per tale motivo abbiamo richiesto ai presidenti dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato e dell'Autorità per l'energia elettrica e del gas, Giovanni Pitruzzella e Guido Pier Paolo Bortoni, un incontro per poter discutere sui reali costi del costo dell'energia in Italia e della trasparenza di questi ultimi. E' indispensabile che nel nostro Paese vi sia più controllo sul costo dell'energia e nel modo di come tale materia sia gestita. Ricordo che gli italiani e le imprese italiane hanno le bollette più care d'Europa e che i cittadini non sanno leggere la bolletta energetica, gravata spesso da voci incomprensibili. Tale iniziativa - conclude Pepe - rientra nella vasta campagna nazionale che FareAmbiente sta conducendo per sensibilizzare e informare i cittadini sul costo sociale dell'energia e per questo non escludiamo di ricorrere alla magistratura e al parlamento europeo per accertare lo stato della trasparenza del mercato energetico nazionale". Nell’attesa della definizione di una politica energetica corretta che non determini un ulteriore incremento delle spese a carico delle già salassate famiglie italiane, diventa imperativo attuare delle scelte corrette di gestori e di sistemi al fine di ridurre i consumi e di conseguenza i costi energetici, partendo proprio dalle strutture abitative, e in primis dai condomini. In quest’ottica dunque, oltre a verificare il corretto isolamento di tetto, solaio, pereti esterne, vetri e finestre di ogni singola unità abitativa, è buona norma prediligere una caldaia a condensazione rispetto ad una a gasolio, fare installare dei sistemi di contabilizzazione individuale del calore in caso di impianto centralizzato per favorirne una gestione autonoma e dotare i radiatori di valvole termostatiche per la regolazione dell’afflusso di acqua calda: ciò consentirà di riequilibrare sia la temperatura del singolo appartamento, che quella fra i diversi alloggi, risparmiando sui consumi energetici fino al 20%. Gioca un ruolo fondamentale nell’abbattimento dei costi anche la scelta del gestore: è suo infatti il compito di acquistare il combustibile, provvedere alla manutenzione dell’impianto e curare il processo di produzione del calore necessario al fabbisogno termico dell’edificio: nel Contratto di Servizio Energia, il costo unitario del calore (tariffa €/kwh) dipende dall’efficienza energetica della centrale termica che sta a monte del contatore. Esso viene concordato contrattualmente e non è modificabile per tutta la durata del Contratto di Servizio Energia, ad eccezione delle variazioni ufficiali del costo del combustibile. Quindi, se nell’arco della durata del contratto dovesse verificarsi un decadimento dell’efficienza energetica della centrale termica, questa non produrrà variazioni della tariffa pagata da condominio, ma abbasserà i ricavi del gestore. Va da sé che è interesse del gestore monitorare costantemente l’efficienza energetica del sistema per intervenire immediatamente in caso di anomalia. Con il Contratto di Servizio Energia il gestore è stimolato quindi a creare risparmio energetico, perché lo stesso diventa una sua fonte di guadagno; si crea così un circolo virtuoso in cui sia il gestore che il condominio guadagnano facendo risparmio energetico e allo stesso tempo contribuiscono a valorizzare l’aspetto sociale e ambientale dell’uso razionale dell’energia: risparmio energetico significa infatti ridurre il fabbisogno globale di combustibile contribuendo a ridurre il costo della bolletta energetica nazionale, e consumare meno energia e in modo più efficiente significa anche ridurre le emissioni di sostanze inquinanti nell’aria e contribuire quindi al raggiungimento degli obiettivi che l’Italia si è posta aderendo al Protocollo di Kyoto. 26 CondominiOggi 27 CondominiOggi IL CONSULENTE RISPONDE Alcuni colleghi addebitano ai condòmini, inadempienti e irrispettosi del regolamento condominiale, somme quali 10/15 euro per le circolari di sollecito ad attenersi al regolamento. Ci sono due condòmini che necessitano, costantemente, di solleciti. Posso, quindi, addebitare loro detto costo (sperando sia un deterrente), in quanto creano lavoro straordinario all’amministratore? Devo agire per vie legali senza chiedere all’assemblea per rispettare il regolamento, visto che la maggior parte degli screzi sorgono per episodi banali? In che modo posso agire? Il compenso dell’amministratore ha, esclusivamente, natura condominiale. Pertanto Ella potrà addebitare le spese del sollecito al condomino inadempiente, ma solo se questo è stato preventivamente discusso in assemblea e da questi accettato. Diversamente, la sua attività rientra nell’attività ordinaria di un amministratore. Quanto alla cura nel far rispettare il contenuto del regolamento di condominio, tale adempimento rientra nell’autonomia gestionale dell’amministratore di condominio al fine di tutelare interessi e beni comuni. Si suggerisce però, prima di adire le vie legali, di diffidare il condomino al rispetto della norma regolamentare. E’ bene, comunque, ricordare che l’amministratore dovrà dare tempestiva informativa all’assemblea del proprio operato, nel caso si rivolgesse all’Autorità Giudiziaria, per le motivazioni suesposte, altrimenti si è passibili di revoca giudiziaria. Con riferimento agli episodi “quotidiani” di screzio fra i condòmini, il suggerimento è quello di cercare sempre e, comunque, una mediazione fra le parti, nell’interesse di una coabitazione civile. Tali problematiche potrebbero, in tal senso, anche essere attenzione in sede assembleare (es. varie et eventuali) per “richiamare” tutti i condòmini ad un utilizzo della proprietà privata e comune nel rispetto degli altri. 28 Un condomino mi ha fatto presente che nel condominio dove vive e da me amministrato, non è affisso il cartello con divieto di fumare. Di fatto, trattasi di un piccolo condominio, senza locali autorimessa e con poche parti in comune (tetto, androne, ascensore e scale). Esiste per legge un’esenzione in casi simili o mi dovrà attivare come lui sostiene? Specificatamente per le “parti comuni” degli stabili in condominio, la piena applicazione della disciplina, ispirata al principio della tutela della salute dei non fumatori nella prospettiva generale di salvaguardia della salute pubblica e di cui alla L. n. 3/03 e D.P.C.M. del 23/12/03, comporta l’applicazione del divieto di fumare anche nei locali comuni chiusi dei condominii (androni, scale, ascensori, sale riunioni …) finalizzata all’esigenza di garantire in essi la tutela della salute dal fumo passivo. Da ciò deriva l’obbligo dell’apposizione dei cartelli secondo quanto indicato. Si ritiene sia compito degli amministratori di condominio la predisposizione e l’apposizione dei cartelli. Resta libera la facoltà da parte dei condòmini che si rendessero disponibili, o anche da parte di chiunque altro riscontri il mancato rispetto della norma, richiamare all’osservanza del divieto gli eventuali trasgressori e di segnalare alle autorità competenti all’accertamento ed alla contestazione il comportamento dei trasgressori, in caso di inottemperanza al richiamo. E’ possibile poter usufruire della detrazione 50% prevista per le ristrutturazioni edilizie e, contemporaneamente, della detrazione 55% prevista per interventi di risparmio energetico degli edifici? È la stessa Agenzia delle Entrate a pronunciarsi: nella guida aggiornata alla detrazione 55% per il risparmio energetico, nel capitolo dedicato alla Cumulabilità con altre agevolazioni, viene chiarito che la detrazione d’impo- CondominiOggi sta del 55% per l’efficienza energetica del costruito non è cumulabile con le altre agevolazioni fiscali previste per i medesimi interventi da altre disposizioni nazionali, come, per esempio, la detrazione del 50% e del 36% per il recupero e la ristrutturazione del patrimonio edilizio. Nel caso in cui gli interventi realizzati su un immobile rientrino sia nelle agevolazioni previste per il risparmio energetico, sia in quelle previste per le ristrutturazioni edilizie, il contribuente potrà fruire, per le medesime spese, soltanto dell’uno o dell’altro bonus fiscale, rispettando ovviamente gli adempimenti previsti per l’agevolazione fiscale. Così come, dal 2009, la detrazione 55% per il risparmio energetico non è più cumulabile con eventuali incentivi riconosciuti dalla Comunità europea, dalle regioni o dagli enti locali. Pertanto, il contribuente deve scegliere se beneficiare della detrazione 55% o fruire dei contributi di origine comunitaria, regionale o locale. Un condomino con alloggio al piano terra intende aprire un cancelletto nel terrazzo di sua proprietà per accedere più agevolmente al giardino condominiale di proprietà comune. Ha informato l’assemblea ritenendo di farlo non in quanto necessaria una delibera in tal senso, ma solo per correttezza. Ritengo che possa eseguire tali lavori, naturalmente a sue spese, ma vorrei sapere se abbisogna, comunque, del consenso dell’assemblea. Se il regolamento di condominio non prevede divieti in tal senso o non subordina l’iniziativa del singolo all’autorizzazione assembleare, la decisione del condominio rientra nell’art. 1102 c.c. ossia uso della cosa comune ai sensi del precitato articolo, ciascun condomino può servirsi della cosa comune purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto. Nel caso specifico, sicuramente tale opera non pregiudica la stabilità o la sicurezza dell’edificio. L’unico limite può corrispondere ad un’eventuale alterazione del decoro architettonico dell’edificio. In altri termini quest’opera non deve comportare nessuna sostanziale modifica dell’entità materiale del bene, né mutamento di destinazione e tantomeno dovrà limitare la possibilità di realizzazione di simili cancelli da parte degli altri condòmini, che eventualmente abbiano la stessa possibilità. Ma nella cessione di fabbricato in locazione è ancora obbligatoria la comunicazione all’Autorità Locale di Pubblica Sicurezza? L’art. 12 del D. L. n. 59/78, convertito, con modificazioni, in L. n. 191/78 c.d. “Legge antiterrorismo” in quanto finalizzata alla lotta al terrorismo interno ed alla criminalità mafiosa, dispone che chiunque cede la proprietà o il godimento o a qualunque altro titolo consente, per un tempo superiore a un mese, l’uso esclusivo di un fabbricato o di parte di esso ha l’obbligo di comunicare all’autorità locale di pubblica sicurezza, entro quarantotto ore dalla consegna dell’immobile, la sua esatta ubicazione, nonché le generalità dell’acquirente, del conduttore o della persona che assume la disponibilità del bene e gli estremi del documento di identità o di riconoscimento, che deve essere richiesto all’interessato. Però il il D. Lgs. n. 23/11, recante disposizioni in materia di federalismo fiscale, all’art. 3, nell’introdurre la cosiddetta “cedolare secca sugli affitti”, al comma 3 ha stabilito che: “Fermi gli obblighi di presentazione della dichiarazione dei redditi, la registrazione del contratto di locazione assorbe gli ulteriori obblighi di comunicazione, incluso l’obbligo previsto dall’articolo 12 del decreto-legge 21 marzo 1978, n. 59, convertito, con modificazioni, dalla legge 18 maggio 1978, n. 191. Nei casi di omessa richiesta di registrazione del contratto di locazione si applica l’articolo 69 del citato testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 131 del 1986.” In conclusione, l’obbligo di comunicazione della cessione di fabbrico previsto dalla norma del 1978 non è stato abrogato, essendo tuttora vigente tale disposizione normativa, ma l’adempimento da essa previsto, la comunicazione di cessione di fabbricato, è stato “assorbito”, per volontà del legislatore, dalla registrazione del contratto di vendita o di locazione, al verificarsi del quale, quindi, la sanzione originariamente stabilita per la mancata comunicazione di cessione di fabbricato non può trovare applicazione. Fanno eccezione i casi riguardanti le locazioni ad uso abitativo effettuate nell’esecuzione dell’attività di impresa o di arti e professioni e i comodati d’uso gratuito non soggetti a registrazione per i quali permane l’obbligo della comunicazione di cessione di fabbricato all’Autorità di Pubblica Sicurezza. 29 CondominiOggi ASSONEWS PROVINCIA CUNEO La conoscenza di norme e regole agevola le relazioni e migliora la convivenza L’Agenzia Territoriale per la Casa di Cuneo ha, di recente, predisposto l’opuscolo “Parliamo di casa: regole di condominio, regole di convivenza”. Già dal titolo si comprende la finalità che la diffusione di detto opuscolo nella cittadinanza tende a realizzare: il tema della convivenza è, infatti, di evidente attualità e di grande complessità proprio per la presenza, nella comunità, di persone di diverse culture, portatrici di tradizioni ed abitudini che devono, necessariamente, convivere fra loro. All’interno di “Parliamo di casa” oltre alle regole e divieti per l’utilizzo dell’alloggio che riguardano la gestione degli spazi comuni, le opere di manutenzione, la ripartizione delle spese, vi è anche una sezione che contiene informazioni sull’affitto, sulle rate condominiali, ecc. Il testo dell’opuscolo è scritto in due lingue italiano-arabo e italianofrancese; questa scelta è stata motivata dai promotori dell’iniziativa, dalla convinzione che il bisogno di informazione non sia soltanto una necessità delle persone di origine straniera, ma anche dei cittadini italiani. COMUNE DI VARESE Termoregolazione e contabilizzazione di calore degli impianti termici Il Comune di Varese, nel luglio scorso, ha deliberato di posticipare l’obbligo di installazione, relativamente agli impianti con potenza termica superiore a 350 kw e installati prima dell’agosto del 1997, dei sistemi di termoregolazione e contabilizzazione autonoma del calore dallo scorso agosto all’1 agosto 2013. Inoltre il Comune ha concesso deroga al 1° agosto del 2014, qualora debitamente motivata entro il 31/07/2013) per tutti gli impianti per i quali viene dimostrata almeno una delle seguenti condizioni: 1) è stato effettuato il cambio di combustibile dopo il 01.08.1997; 2) gli impianti sono stati collegati alla rete di teleriscaldamento dopo il 01.08.1997; 3) è stato approvato un piano di ristrutturazione generale dell’impianto che consenta un miglioramento dell’efficienza energetica di almeno il 40% rispetto al rendimento iniziale. 30 CondominiOggi COMUNE DI BRA Contributi per smaltimento amianto Il Comune di Bra fa il bis: alla luce dei 15.000 metriquadrati di copertura in fibrocemento contenente amianto rimossi grazie agli incentivi promossi lo scorso anno, l’amministrazione comunale ha pubblicato un nuovo bando per la concessione di contributi al fine di favorire il risanamento e la salvaguardia dell’ambiente, garantendo, al contempo, la tutela della salute pubblica. Sono ammessi al contributo solo gli interventi realizzati o avviati a partire dal 2009 e le domande per chiedere il rimborso delle spese potranno essere presentate entro il 31/12/2012. REGIONE LIGURIA Nuove norma per il risparmio energetico Nuove norme in materia di risparmio energetico negli edifici in Liguria. E’ ormai in vigore la Legge regionale 23/12 che dà attuazione alla Direttiva 2010/31/Ue relativa alla prestazione energetica nell’edilizia. In particolare, viene ribadito che la progettazione e la realizzazione degli edifici di nuova costruzione e delle opere di ristrutturazione e demolizione di edifici esistenti devono presentare i consumi di energia. Per quanto riguarda i requisiti minimi di prestazione energetica, il provvedimento rinvia ad un successivo regolamento, stabilendo che tali requisiti vengano rivisti ogni cinque anni. Inoltre, viene regolamentato il rilascio dell’attestato in relazione alle diverse tipologie di immobili e ai diversi momenti del procedimento di vendita e locazione degli stessi. 31 CondominiOggi ALCUNI DEI CONSULENTI E DOCENTI DELL’A.N.AMM.I. Per informazioni telefonare allo 06 55 27 23 23 r.a. D.ssa Prof.ssa Avv. Arch. Dr. D.ssa D.ssa Rag. Avv. Avv. Ing. Arch. Rag. Ing. Rag. Arch. Avv. Sig. Avv. D.ssa Prof. D.ssa Rag. Ing. Rag. Rag. Avv. Avv. Avv. Rag. Avv. Avv. P.I. D.ssa D.ssa Avv. Ing. Sig. Avv. Avv. Geom. Dr. Dr. Sig. Dr. Avv. Dr. Dr. Avv. Dr. Dr. Avv. Avv. Ing. D.ssa Dr. Ing. Rag. Rag. Ing. Avv. Amm.re Dr. Avv. Avv. Avv. 32 AMADUCCI Monica AMBROSIANO Angiolina AMORE Annalisa ANANIA Giovanni ANGELOSANTE Domenico ANGELOSANTE Manuela ANGELOSANTE Moira ANGRISANI Rosario ARTUSO Alessandra ARTUSO Maria Antonia BALESTRO Enrico BALESTRO Ilario BALESTRO Riccardo BALZARELLI Simone BARBATI Simona BARDELLI Sara BARONE Stefania BASSI Stefano BASSIATO Paola BATTAGLIA Daniela BICA Giuseppe BOCCI Fabiana BORRO Silvia BRUNETTI Franco BRUNO Angela BUGLI Damiano BURGIO Fabio CALAMANDREI Gabriele CAPRI Carla CARAMBIA Orazio CASTELLANI Chiara CESARINI Silvia CHILOIRO Antonio CIACCI Alessandra CIANCIO Carmelina CIAPERONI Paolo COLABIANCHI Fabio COLANERO Alessandro COPPOLA Concetta COSENZA Mariolina CRISCITIELLO Pellegrino D’ANGELO Giuseppe D’ANNA Giuseppe D’ANZELMO Nicola DE BARTOLOMEO Luigi DE FELICE Giovanni DE PIERRO Pasquale DI MARCO Pasquale DINOI Fabio DODARO Massimo FERIACO Maurizio FERRALDESCHI Alfredo FERRIGNO Vincenzo FILAURI Stefano FRARRICCIARDI Fabiola FRASCA Piero GALIZIO Gabriele GASBARRI Fulvio GASBARRI Mauro GHIROTTO Michele GIOLA Valentino GOLISANO Walter GORI David GORI Mara GUIDI Giovanni GULLÀ Nadia Rag. D.ssa Geom. Ing. Avv. Avv. Avv. Avv. Avv. Arch. Geom. Dr. Dr. Rag. Ing. Geom. Ing. Rag. Ing. Geom. Avv. Arch. D.ssa Geom. Rag. Avv. Dr. Rag. Rag. Dr. Arch. Avv. Dr. Avv. Sig.ra Arch. Avv. Ing. Geom. Avv. Dr. Ing. Arch. Avv. Cons. Lav. Rag. Arch. Arch. Ing. Rag. Rag. Avv. Ing. Avv. Avv. Arch. Dr. Rag. Rag. Avv. Avv. D.ssa Geom. Dr. Dr. GULLI Angela IANNANTUONO Giovanna IANNUCCI Marco LA ROCCIA Pietro LEPORE Anna LUCIDO Lorenzo MAGGIO Orazio MARCEDDU Marcello MARCHIONNI Paola MARRI Alessandro MARRONE Francesco MASSIDDA Alessandro MESSINA Vito MILANO Maria Luisa MINGOLLA Francesco MONTI Marco MONTI Mirco MURACA Giuseppe MUSSO Paolo NANNUCCI Alessandro NICOSIA Angelo NIGRO Massimo ODOARDI Roberta ONOFRI Lorenzo OTTAVIANI Maria Concetta PALAMARA Manuela PALOMBO Gianluigi PAPINI Michela PARBUONO Rosa PECORARO Giorgio PEGNA Caterina PELLEGRINI Paola PERRONE Cosimo PETRUCCI Paola PICCONE Marina PIETRANTONI Diego PIKLER Carlo PISCIOLI Federica POIDOMANI Benedetta RAMAGLIA Emilio RIVELLINI Fulvio RIZZO Marco ROLANDO Giancarlo RUBERTO Vincenzo SANTAERA Vincenzo SETTIMELLI David SILVESTRO Gioacchino Antonio SMALI Giovanni SOLINAS Dario SOLINAS Roberto SORRENTINO Giorgio SPALLINO Francesco SPERANZA Grazia TOSCHI VESPASIANO Francesco TRAMONTANO Silvia TRENTA Alessandro UCCELLI Felice UCCELLI Francesco VALVO Diego VERDESI Alessia VERONELLI Marco VOLPE Rosa ZAMPETTI Maurizio ZAPPILLI Roberto ZAPPULLA Giuseppe