21
Angoli di studio
nelle miniature
Prima dell’invenzione della stampa a caratteri mobili
(XV secolo) i libri venivano riprodotti a mano, ad
opera di calligrafi monaci e religiosi, e più tardi laici.
Le lettere iniziali, fin dall’antichità classica, venivano
decorate con un pigmento rosso-arancione, derivato
Milena Cossetto
dal solfuro di piombo, chiamato minio: di qui il
a storia della miniatura si intreccia strettamente nome di miniatura. Con il tempo e con lo sviluppo
con la storia del libro: dal papiro, alla pergamena, alla della specializzazione, operata attraverso la distinziocarta; il passaggio dalla tradizione orale a quella scrit- ne tra compiti del calligrafo e compiti del miniatore,
ta si è legata nel tempo non solo al supporto (papiro, si diffondono piccoli disegni policromi, che abbellipergamena o carta) ma anche alle scelte dei calligrafi scono lettere capitali, parole, immagini, spazi nella
sulla tipologia di scrittura e agli antenati degli
pergamena. I contenuti delle miniature sono molteillustratori, i miniatori. Questo testo non ha la preplici ed è quindi nelle miniature che troviamo le più
sunzione di ricostruire tutte le fasi di questo passag- antiche e ricche testimonianze dello studio, dell’apgio, ma cercherà di fornire alcuni elementi che perprendimento e dell’insegnamento e dei luoghi dedimettano a docenti, studenti e studentesse, di adden- cati a queste attività. I miniatori fin dall’antichità si
trarsi nella complessità del tema.
sono cimentati non solo a seguire schemi e modelli
per abbellire le pergamene e i libri, ma ci hanno la52
sciato piccoli frammenti di mondo, immaginario e
reale, a cui possiamo attingere per scoprire come,
dove, quando, in che modo si studiava nel passato.
Per questo, attraverso le principali fonti disponibili e
la storiografia specialistica più recente, cercheremo
di individuare le tappe fondamentali di questo percorso, l’identità dei miniatori medievali e il contesto
sociale in cui si trovarono a lavorare.
53
l
Le miniature ebraiche
Nell’antichità scarse sono le rappresentazioni dell’attività di studiare e dei luoghi destinati allo studio.
Fino allo sviluppo della civiltà greca e latina, nel
mondo ebraico i luoghi erano il Tempio e le Sinagoghe. Il giudaismo, la più antica delle religioni
monoteiste universalmente diffuse, è “la fonte da cui
tutte queste hanno avuto origine. Tuttavia il considerarlo un fenomeno strettamente religioso sarebbe in-
sufficiente, poiché oltre agli aspetti teologici e del rituale, esso regola tutti i momenti della vita traducendosi in determinati comportamenti individuali e culturali”.1 .
Il popolo ebraico, il popolo del libro, aveva sviluppato
molto presto la tecnica della scrittura. “Questa definizione, tante volte ripetuta, pur avendo qualche
plausibilità, ha però bisogno di molte precisazioni.
Indubbiamente il rapporto con la lettura è una caratteristica fondamentale di tutto l’ebraismo, tant’è vero
che il tasso di analfabetismo tra gli ebrei è sempre
52. Lettera istoriata (da “Manoscritto ornamentale ” di Johann Holtman, Add. 31845,
Germania 1529) Londra, British Library
53. Lo studio a coppie in Yeshivah (c. 1470), ms. Rothschild 24, f. 330 v.,
Gerusalemme, Israel Museum
22
stato estremamente basso. [...] l’espressione popolo del
Libro è accettabile più per indicare la consuetudine
ebraica con il leggere e lo scrivere, che per sottolineare, in senso più direttamente religioso, che la Bibbia
da sola si presenta come guida indispensabile e sufficiente dell’intera vita religiosa ebraica.”2
54
In ebraico la forma per definire la Bibbia è Miqra’ e
deriva dalla radice qr’, gridare ovvero leggere ad alta voce,
recitare ed è la stessa radice che ha dato luogo alla parola Quran, Corano. “La Bibbia diventa matrice della
vita religiosa solo in
55
quanto testo accolto,
proclamato, commentato, discusso e messo in
pratica”.3 Nella Sinagoga, nell’armadio sacro, è
contenuto un Sefer Torà
(Libro della Legge), che è il
Pentateuco, l’insieme dei
primi cinque libri della
Bibbia (Genesi, Esodo, Levitico, Numeri, Deuteronomio).
Inoltre “la parola ebraica
Torà deriva dalla radice
verbale jrh che esprime
l’idea di insegnare. La
traduzione italiana più fedele al suo senso originario
sarebbe perciò quella di renderla con termini come
ammaestramento, insegnamento. [...] rispetto al Sefer
Torà si devono avanzare due indispensabili annotazioni. [...] Innanzitutto va ricordato che non solo si
tratta di rotoli manoscritti (è assolutamente inconcepibile sostituirli con un testo a stampa), ma va anche
precisato che il suo testo non è vocalizzato. La lingua
ebraica infatti nella sua forma classica è scritta senza
vocali. Le lettere di una parola rappresentano perciò
una specie di traccia che, per essere pronunciata,
deve essere corredata da quanto non è scritto, appunto le vocali”.4
Fondamentali sono quindi la lettura e la scrittura: lo
studio della Torà è considerato come primario dovere
religioso; nel Talmud si indicano i tempi in cui il bambino deve essere iniziato allo studio dei testi religiosi;
l’età appropriata per iniziare lo studio delle Scritture è
quella dei cinque anni, quella di dieci per lo studio
della Mishnàh, quella di tredici per l’osservanza dei
precetti, quella di quindici per affrontare lo studio
del Talmud.5
Dopo la distruzione del Tempio, la Sinagoga divenne
il centro e l’asse della vita religiosa ebraica: si leggevano pubblicamente i decreti ufficiali; studiosi e studenti vi trascorrevano i giorni, e a volte le notti, immersi nello studio della Torà. Il culto del Libro per
eccellenza, la Bibbia, si traduce per gli ebrei nel rispetto e nella valorizzazione di ogni forma di scrittura e di cultura. In questo senso va quindi letta la presenza di miniature, ornamenti, abbellimenti della
scrittura e la diffusione della miniatura in tutto l’Occidente medievale in cui spesso il soggetto è la rap-
54. Ebrei della Renania (da “Haggada di Darmstadt”, Cod. o. 8, f. 48 v., XV secolo),
Darmstadt, Hessische Landes-und Hochschulbibliothek
55. La Thorah, (dal libro di preghiere ebraico “Machsor Lipsiae”, miniatura, XIV-XV
sec.)
23
56
56. Studiosi in biblioteca (da Jacques Le Grant, “Le livre de bonnes moeurs”, ms.297,
f. 130r., XV secolo), Chantilly, Musée Condé
presentazione dello studio, dell’apprendere e dell’insegnare e della Sinagoga, luogo di studio per eccellenza.
Nella Spagna medievale, luogo di
stanziamento su un unico territorio
di ebrei, cristiani e musulmani, gli
scribi ebrei (soferim), autentici artisti
nella calligrafia, erano tenuti in
grande considerazione. Si occupavano di scrivere il sefer Toràh
sinagogale, secondo norme molto
rigide e comuni a tutto il mondo
ebraico. Il testo non doveva contenere correzioni o aggiunte e la pergamena utilizzata per la scrittura
doveva essere perfetta e senza guasti. I codici considerati più preziosi
provengono dalla scuola dei copisti
di Toledo, dalla penisola iberica, e
sono conosciuti in tutta Europa.
Da regione a regione la calligrafia
ebraica differisce: i copisti sefarditi
6
utilizzarono il calamo, mentre gli
ashkenaziti7 e gli italiani la penna.
In Germania la calligrafia ebraica
col tempo ha assorbito i tratti caratteristici della scrittura gotica in
molti manoscritti.
La tecnica della miniatura comincia
a diffondersi nel mondo ebraico a
partire dal IX secolo, con influenze
che provengono dai paesi
dell’Islam, anche se alcuni studiosi
sostengono che i manoscritti fossero miniati fin dall’epoca ellenistica e che furono proprio gli elementi
decorativi della tradizione ebraica ad influenzare la
pittura paleocristiana. I più antichi manoscritti
miniati ebraici in Europa, giunti fino a noi nonostante i roghi e le persecuzioni, provengono dalla Germania e risalgono al XIII secolo e nel corso del XV
secolo erano ormai diffusissimi. Non si può parlare
di uno stile ebraico delle miniature, in quanto in ogni
paese le scuole di miniatura si incontravano e fondevano con le caratteristiche del luogo. Alcuni elementi
specifici della tradizione ebraica sopravvivono nelle
scuole di miniatura ebraiche per lungo tempo, anche
se vengono ritenute antiquate e fuori moda da molti
committenti. Nel corso del XIII secolo in Germania
e nell’Italia settentrionale, davanti allo sviluppo del
movimento ascetico cristiano e di quello ebraico, gli
ebrei posero dei limiti alla rappresentazione della figura umana. I miniatori interpretarono questa
“iconofobia” rappresentando la figura umana in
modo deforme, con teste zoomorfe. Questa caratteristica si consolidò in tutta la miniatura ebraica della
Germania meridionale del XIII e XIV secolo.
Inoltre le lettere dell’alfabeto ebraico vengono assunte come elementi decorativi, in quanto nella lingua ebraica mancano le maiuscole e quindi ciò che
viene decorato non è il capolettera, come nei manoscritti latini, ma la prima parola e a volte, nella Bibbia,
interi versetti. Anche le tematiche della miniatura
ebraica hanno caratteristiche particolari: la fonte
principale di ispirazione è la Bibbia, i cui motivi e
temi servono al miniatore per illustrare anche testi
non biblici. Nei principali manoscritti liturgici sono
presenti le raffigurazioni delle usanze e dei riti
sinagogali e domestici, accanto alla rappresentazione
delle suppellettili del Tempio. I miniatori ebrei hanno illustrato soprattutto le Bibbie, i libri di preghiere
per i giorni feriali e i giorni di festa e, in modo parti-
24
colare nel mondo ashkenazita, la Haggadà, il testo letto obbligatoriamente durante la cena rituale di Pasqua. La Haggadà era corredata da numerose miniature a tutta pagina, che rappresentavano episodi
biblici. Ma vennero decorati anche i singoli libri
biblici, il libro dei Salmi e il rotolo di Ester, esegesi
bibliche, normative religiose e testi di filosofia
e,soprattutto in nel mondo giudaico-spagnolo e in
Italia, furono miniate anche opere di carattere laico,
d’argomento medico e scientifico, ma anche i contratti di matrimonio sono ricchi di miniature. E’ qui
che vengono raffigurati anche luoghi e occasioni di
studio: la Sinagoga, la scuola, la casa.
Heinrich Heine, attraverso la riflessione di
una donna, descrive i ricordi che evocano
nell’animo ebraico i libri della Haggadà utilizzati anno dopo anno nelle celebrazioni
familiari della Pasqua:
Talvolta guardavo anche l’Haggadà che avevo di
fronte a me, aperta. Era un libro in pergamena rilegato in velluto e oro, antica eredità del nonno, e
nel quale si scorgevano vecchie macchie di vino
mezzo cancellate dagli anni e che conteneva un
gran numero di stampe illustrate con mano audace,
stampe che con moltissimo piacere lei da bambina
contemplava nella notte della festività pasquale, e
nelle quali vedeva raffigurate molte storie estratte
dalla Bibbia.
role, egli scriveva i titoli che in effetti mostrano una
grande maestria calligrafica. Non sappiamo però se
abbia anche eseguito i disegni del manoscritto.” 8
57
cialisti. Schiavi o liberti venivano assunti come
calligrafi, ma le autorappresentazioni descritte da
Varrone o Marziale non potevano essere state che
realizzate da pittori.
Jonathan J.G. Alexander, uno dei più autorevoli studiosi della storia della miniatura, nelle sue lezioni all’Università di Oxford del 1983, poi riprese e pubblicate anche in Italia nel 2002, ripercorre le tappe fondamentali dello sviluppo dell’arte del miniare in Europa.
HEINE H., Il rabbi di Bacharach.
“Il primo nome conosciuto e collegato a un libro
specifico è quello di Dionysius Filocalus che firmò la
copia di un calendario romano del 354 d.C. che non
I miniatori medievali cristiani
Nel mondo classico non vi sono testimonianze diret- ci è pervenuto, ma che conosciamo tramite alcune
te che riportino informazioni sulle illustrazioni e sui copie rinascimentali e altre più tarde. Facendo riferiloro esecutori, pittori professionisti o miniatori spe- mento a se stesso, usa il termine titulavit: in altre pa-
58
57. Lezione del maestro (da Alberto Magno “De animalibus”, ms. Lat., 16169, f. 151,
XIV secolo), Parigi Bibliothèque Nationale
58. Vita di San Girolamo, autore della revisione latina della Bibbia (da “Bibbia” di Carlo
il Calvo), membranaceo, f. 423, Ms. lat. 1, sec. IX (846 circa), Parigi
59. Iniziale miniata (da Aristotele “Metafisica”, ms. Lat. 6297, f. 77, XIV secolo) Parigi,
Bibliothèque Nationale
60. Disposizioni sulla conservazione dei privilegi e degli atti di fondazione del Collegio
(da “Statuta Collegii Sapientiae”, Friburgo, f. 47 v. , c. 1500). Friburg/Breisgau,
Universitätsarchiv, miniatura, 1500 ca.
25
Certamente uno dei fattori fondamentali che contribuirono allo sviluppo della lettera miniata a partire
dal VI secolo fu il passaggio da schiavo a copista libero, rendendo quindi possibile identificare il
calligrafo con l’artista. Non vi sono tracce, però, che
consentano una chiara identificazione degli artisti
che decorarono i libri, mentre esiste una grande
quantità di informazioni sulla produzione del libro
negli scritti di San Girolamo. Nulla emerge, neppure
dalla regola di san Benedetto (550 d. C. ca.), sulla
fattura o la decorazione dei libri, nonostante il ruolo
che i monasteri avrebbero ricoperto nella storia della
miniatura dei manoscritti. La Regola, nel LVII capitolo dice “Riguardo gli artigiani del monastero”: “se ci
sono degli artigiani (artifices) nel monastero essi devono svolgere le loro arti manuali (faciant ipsas artes) con
59
tutta l’umiltà possibile e
60
dopo che l’abate abbia
dato loro il permesso”;
questa, probabilmente, è
una delle cause
dell’anonimato dei
miniatori monastici.
Il numero di manoscritti
con illustrazioni aumenta a partire dalla fine del
VII secolo, ma le informazioni sugli autori delle
immagini sono ancora
scarse; le indicazioni riguardano quasi esclusivamente i calligrafi. In
alcuni casi, la probabilità che
un calligrafo fosse anche
miniatore è molto alta, ma fino
a noi sono giunte solo due firme certe di miniatori, nell’intera produzione dei secoli VIII e
IX: Macregol, abate di Birr (Irlanda), il cui colophon, oggi in un
Vangelo conservato alla
Bodleian Library di Oxfort, riporta: “Macregol dipinse questi
Vangeli. Chiunque legga e intenda questa narrazione, preghi
per Macregol il calligrafo”.
Marcegol muore nell’822 ed è
sia calligrafo sia miniatore. Un
secondo miniatore che firma il
suo lavoro è Alderico, che dipinge le maschere degli attori
nell’introduzione a una copia
delle commedie di Terenzio, prodotta tra l’820 e
l’830. Ancora alcuni nomi di calligrafi e miniatori
compaiono in epoca carolingia: David, Gedeon,
Amandus, Harengarius e Sigvaldus. Tra i monaci di
San Gallo sono menzionati un buon numero di pittori e miniatori (Tuotilo, Notker Medicinus,
Chunibert), anche tra quelli di Fulda e lascia tracce
anche Lantbertus, un religioso di Reims, che nel 898800 scrisse e miniò un Sacramentario (distrutto dalle
fiamme nel 1774) per un monaco di Saint-Rémy, che
conteneva cinque miniature con i ritratti dei santi
Gregorio e Remigio, con quello del donatore e, probabilmente, anche quello del miniatore.
Tra il IX e l’XI secolo aumenta il numero di
miniatori documentati e le due arti di calligrafo e
miniatore cominciano ad essere distinte. E compaiono anche i primi nomi femminili, tra cui Ende, una
monaca, che viene citata come collaboratrice di
Emeterius nell’Apocalisse di Gerona nel 975.
Tra XI e XII secolo compaiono i primi miniatori lai-
26
ci, professionisti attivi che operano dietro pagamento in denaro o in natura. Tipica è la carriera dell’artista lombardo Nivardus che operò a Fleury all’inizio
dell’XI secolo: laico ed intraprendente Nivardus cominciò ad importare nuovi stili anche da distanze
considerevoli. Era un maestro capace di lavorare con
61
61. Iniziale R con autoritratto di Frater Rufillus di Weissenau, Cologny (Ginevra),
Bibliotecha Bodmeriana, miniatura (“Passionario”, cod. 127), 1170-1200
62. Iniziale R con autoritratto di Frater Rufillus di Weissenau, Cologny (Ginevra),
Bibliotecha Bodmeriana, miniatura (“Passionario”, cod.127), 1170-1200, particolare di
uno sciapode e frescante sudtirolese, Sciapode, Termeno, chiesa di San Giacomo in
Castelaz, affresco, XIII secolo
materiali diversi, veniva chiamato presso
un monastero dove
aveva diritto a vitto e
alloggio per il tempo
necessario a completare il lavoro che gli
era stato commissionato. In questo quadro significativi sono
sia lo sviluppo dell’economia monetaria, sia il commercio
internazionale sia la
ricchezza crescente
dei monasteri. Monaci e laici lavorano
fianco a fianco nello
stesso ambiente
come nell’immagine
proposta nel Libro
delle Pericopi di
Echternach, dell’XI secolo, ora conservato a Brema.
Nel XII secolo sono molte le testimonianze che
attestano l’esistenza di monaci, chierici e laici che
svolgevano attività come scriptor o pictor, calligrafo o
miniatore. Il canonico premonstratese, Frater
Rufillus, è rappresentato mentre dipinge la lettera R
in un Passionario, proveniente da Weissenau, nella diocesi di Costanza e databile tra il 1170 e il 1200. E’
una delle prime rappresentazioni dello studio e del
lavoro del miniatore: “il topos è mostrare il pennello
o la penna in azione, in questo caso nel tracciare e
colorare la stessa iniziale”9
Nel tardo Medioevo si assiste ad una significativa trasformazione sia sul piano della retribuzione dei laici,
62
che vengono ora considerati veri e propri artigiani
professionisti, sia sul piano dell’incremento della produzione e della miniatura del libro. Gli artisti laici iniziano ad essere predominanti e, poiché titolari di proprietà, compaiono nei documenti legali, nei registri
dei pagamenti e nelle liste delle tasse delle città. La
documentazione storica giunta fino a noi vede la presenza dei miniatori come professionisti dell’arte di decorare i libri e i manoscritti e Parigi, nel corso del XII
secolo, diviene il principale centro per la miniatura: lo
stesso Dante, nell’XI canto del Purgatorio, parla “di
quell’arte ch’alluminar chiamata è in Parisi”.10
Inoltre alle Università, che avevano bisogno di libri
in seguito ad un aumento di maestri e di studenti, il
27
Papa Innocenzo III nel 1215 concede gli statuti; di
conseguenza aumenta il numero di persone che si
dedica alla produzione, all’organizzazione e al controllo dei libri. Due erano le questioni in gioco: la
fornitura di buoni testi e per questo “gli exemplaria ,
cioè i modelli, venivano controllati e venne sviluppato il sistema della pecia, vale a dire il metodo di copiare i libri in sezioni. La seconda questione riguardava i
prezzi dei libri, fossero nuovi o di seconda mano. Rispetto ad ambedue le problematiche, il librarius,
adempiendo alle funzioni allora assegnate
separatamente agli editori e ai venditori di libri, era la
figura centrale che agiva come intermediario tra la
produzione e il cliente. L’Università nominava un
numero limitato di librarii accreditati, i quali dovevano giurare di sottostare ai regolamenti universitari”.11 I regolamenti, però, avevano una giurisdizione
solo all’interno dei singoli atenei. Nei documenti delle Università risultano menzionati molti miniatori e,
ad esempio, nella lista delle tasse di Parigi del 1292
sono citati otto librai, ventiquattro calligrafi, undici
maestri di scrittura, un copista, tredici miniatori, diciannove venditori di pergamene, un venditore di inchiostro (che era una donna) e diciassette legatori.
Nel XIII secolo solo alcuni miniatori
personalizzavano i loro lavori con firme o aggiungendo autoritratti, contrariamente a quanto era avvenuto nel secolo precedente. Il Magister Alexander
firmò una Bibbia e, con un autoritratto, si firma il
miniatore che si rappresenta con un pennello e “alle
prese con un fiore, sulla coda di una P in una Bibbia
del 1300 circa. Egli usa la stessa invenzione, già vista
nel XII secolo, di rappresentarsi nell’atto di dipingere l’iniziale. inoltre tiene nella mano sinistra una tavolozza, forse la prima rappresentazione di questo
oggetto, dall’antichità in poi”.12
63
Nel XIV secolo i documenti attestano l’esistenza di
miniatori professionisti, assunti a corte o presso le famiglie nobili; i miniatori si erano liberati dal controllo
dei regolamenti delle Università e quindi operavano
direttamente presso i mecenati. Nel tardo Medioevo,
poi, è documentata l’appartenenza dei miniatori talvolta alla confraternita o alle corporazioni con i
calligrafi e talvolta con gli artisti. A Parigi nel 1401 la
Confraternita dei calligrafi aveva come santo patrono
san Giovanni Evangelista. A Firenze, invece, i
miniatori facevano parte insieme ai pittori dell’Arte
dei Medici e Speziali, probabilmente accomunati dal
fatto che avevano a che fare con materiali grezzi, specialmente i pigmenti utilizzati dagli artisti per costruire i colori. A Perugia esisteva un’Arte dei Miniatori fin
dal 1310 e nella maggior parte delle città del XIV secolo sorgono analoghe corporazioni. A Bruges, da alcuni documenti giunti fino a noi, emerge che nel 1426
la Corporazione dei Pittori lamentava che gli scriptores
importavano singoli fogli miniati da Utrecht e questo
era severamente vietato; inoltre nel 1447 fonti
attestano che i miniatori avevano il divieto di usare
colori diversi da quelli ad acqua: i colori ad olio, l’oro
e l’argento, potevano utilizzarli solo i membri della
Corporazione dei Pittori. Dieci anni più tardi la professione dei miniatori viene permessa solo ai cittadini;
64
63. Maestro di diritto nel suo studium (da un codice bolognese del “Decretum gratiani”,
ms. Rep. II9b (CCXLIII), f. 81v., XIV secolo), Lipsia, Universitätsbibliothek, miniatura
64. San Girolamo come calligrafo in atto di rigare la pergamena (da “Bibbia”, vol. 2,
Ms. 4.2 f.137 v.), Kongelige Bibliothek; iniziale A con autoritratto di miniatore in atto di
dipingere una testa (da “Bibbia”, vol. 3, Ms. 4.2 f.208., Kongelige Bibliothek
28
Scrive Alexander: “Oltre a proibire la concorrenza
esterna da parte di coloro che non erano cittadini, è
65
interessante notare che la Compagnia desiderava diffidare il basso clero dall’esercitare qualunque arte
manuale nella scrittura o miniatura e dall’avere allievi. Ai preti con un adeguato salario, definito in otto
marchi all’anno, era proibito esercitare tali attività
manuali, salvo che per proprio uso o carità”13 .
A partire dalla seconda metà del XV secolo il commercio dei libri aumenta e impiega molte persone sia
nella produzione sia nell’organizzazione delle vendite. Appartiene a questo periodo un notevole numero
di manoscritti che è giunto fino a noi e che contiene
molte miniature con numerose figurazioni. Migliora
decisamente anche la condizione sociale dei
miniatori: diventano spesso membri relativamente
influenti della comunità, soprattutto coloro che venivano chiamati a lavorare dai grandi mecenati come
Filippo il Buono di Borgogna o i re di Napoli.
Sandra Hidman riporta alcune preziose informazioni
inoltre nel 1457 gli addetti al commercio del libro,
per compren66
quindi coloro che scrivevano i testi, i miniatori, i
dere la retriburilegatori, gli illustratori di rotuli, diedero vita ad una
zione, nel XV
Confraternita dedicata a San Giovanni, che contava su secolo, dei
quarantaquattro uomini e sei donne. Anche a Londra miniatori:
è attestata l’esistenza di una corporazione di cui face- Simon
vano parte, fin dal 1357, gli amanuensi di corte, i
Marmion, ad
calligrafi e i miniatori (lymners). Poi, nel 1403, i
esempio, pittominiatori e gli scrittori di testi costituirono la corpora- re e miniatore
zione conosciuta come “Mistery of Stationers”. Anfu pagato per
che a York, intorno alla fine del XIV secolo, gli scrituna singola mitori di testi avevano formato una Compagnia. Secon- niatura la stesdo i documenti pubblicati dallo storico della miniatura sa cifra con cui
Jonathan Alexander, facevano parte della Compagnia poi fece sostianche limners, turnours (disegnatori di iniziali e bordi) e tuire il tetto di
notours (responsabili delle notazioni musicali).
paglia della sua
67
casa nel 1463. Anne van Buren ritiene che tre lire delle Fiandre fossero il pagamento standard per una miniatura nella seconda metà del Quattrocento nei Paesi
Bassi e che, per sopravvivere, un miniatore doveva dipingerne almeno sessanta all’anno.
Il lavoro dei miniatori medievali
I miniatori medievali utilizzavano tre tipi di materiali:
il papiro ricavato dal papiro del Nilo, la pergamena o
il vello (pelle di animale conciata, prevalentemente di
mucca, capra o pecora) e infine la carta.
Nel mondo antico il papiro fu il supporto principale
65. Iniziale M con l’autoritratto di Frate Petrus da Pavia (da Plinio il vecchio “Naturalis
Historia”, f. 332, e. 24 inf.) Milano, Biblioteca Ambrosiana
66. Autoritratto di frate Johannes de Valkenburg (da O. F. M., “Graduale” Cod. 384)
Bonn Universitätsbibliothek
67. Iniziale istoriata C per “colore” (da “Enciclopedia” di James le Palmer, Royal 6 E,
VI) Londra, British Museum, miniatura , XIV secolo
29
68
per la scrittura: “I fogli venivano incollati insieme e
arrotolati in rotoli di varia lunghezza sui quali si scriveva in corte colonne da leggersi orizzontalmente.
Era flessibile, ma non riusciva mai a fornire una superficie stabile e adatta alla pittura. La teoria di
Weitzmann suppone che, sebbene l’illustrazione di
qualsiasi tipo di testo fosse eseguita su papiro nell’antica Grecia, e anche prima in Egitto, si sia verificato, durante l’Impero Romano, tra il II e il IV secolo d. C., il passaggio dal rotolo al codice, un tipo di
libro che ci è ancora familiare e che rivoluzionò l’arte
dell’illustrazione. L’artista aveva a questo punto a sua
disposizione una superficie relativamente stabile e
protetta all’interno dalle copertine del libro, che, data
la sua forma, si prestava al paragone con un’immagine in cornice. Alcuni dei primi codices continuarono
ad essere prodotti in papiro, ma la pergamena andò
presto a sostituirlo, in parte per motivi economici,
quando il commercio nel Mediterraneo cominciò a
contrarsi, e in parte, indubbiamente, per la maggiore
praticità; e, forse, come è stato suggerito, in relazione alla diffusione del cristianesimo”.14
Le tavolette di cera erano anche superfici utilizzate
per la scrittura e alcuni documenti attestano - sebbene non vi siano superstiti di tavolette di cera con disegni incisi - che essere erano utilizzate in realtà per
trasmettere informazioni attraverso figure. Sono state usate, soprattutto in periodi in cui i materiali da
scrittura risultavano scarsi e troppo onerosi, inoltre
potevano essere usate solo per disegni geometrici,
semplici ed effimeri.
L’unico materiale adatto per la miniatura era, quindi,
la pergamena, in quanto forniva una superficie molto ricettiva sia per la scrittura che per la miniatura e,
potendola ricavare da animali diversi, era possibile
variare colore, peso e dimensione. Nell’Europa occidentale la pergamena rimase il materiale per i libri di
lusso anche dopo la diffusione dell’uso della carta a
partire dal XIII secolo.
La pergamena veniva anche utilizzata in frammenti:
quelli più sottili venivano incollati sui fogli e sui
frammenti venivano eseguite le miniature. Questa
pratica, che proseguì fino al XV secolo, ebbe come
conseguenza la perdita di molte miniature in quanto
si staccarono dai fogli e andarono perdute.
Nei Libri d’Ore15 , soprattutto, le miniature venivano
69
dipinte su singoli fogli che potevano poi essere inseriti in sequenza nei manoscritti: gli studiosi affermano che questa pratica fosse dovuta da un lato a motivi commerciali (si facilitava la produzione in serie),
dall’altro rendeva più economica la preparazione delle superfici migliori per le miniature.
I miniatori utilizzavano diversi strumenti: per il disegno utilizzavano uno stilo con punta di metallo o in
osso; veniva usata anche la grafite (matita), ma il termine inglese pencil e quello latino pennellum venivano
utilizzati per descrivere un pennello, piuttosto che
una matita
Coloravano i disegni con una varietà di tecniche: nei
manoscritti anglosassoni del X e XI secolo con inchiostri colorati, con diverse combinazioni di disegno e pittura ad acquarelli chiari nelle Apocalissi ingle68. Miniatura con negozio di pergamene (da Villola, “Memorie” f. 3 Ms. 1465), Bologna, Biblioteca Universitaria
69. Pagina delle Cronache di J. Frossart, manoscritto del XV secolo, Parigi, Biblioteca
dell’Arsenale, particolare
30
70
70. Dama assisa alla finestra aperta sull’interno del coro di una chiesa gotica, probabilmente Margherita di York (da “Libro d’ore”, membranaceo, sec. XV, 1460-80 circa)
Vienna, Österreichische National Bibliothek
si del XIII secolo o in quelli fiamminghi del XV secolo, alle grisailles
colorate dei manoscritti francesi del
XIV secolo, fino alla combinazione
di miniatura dipinta e disegno.
Molto numerose sono le fonti che
forniscono informazioni sulla
tipologia di colori usate dai
miniatori: si tratta soprattutto di
trattati tecnici in uso tra il IX e il
XVI secolo che descrivono i materiali usati, minerali o organici, naturali o lavorati.
Il blu, ricavato dai lapislazzuli, era il
colore più costoso, poiché il minerale
proveniva dall’Afganistan e quindi,
insieme all’oro e all’argento, era utilizzato per i libri di lusso.
“Purtroppo non siamo in grado di
dire se esistevano ulteriori gerarchie
di colori. In alcune rappresentazioni di miniatori [...] è documentato
l’uso di pigmenti. Nell’iniziale
istoriata di Color, in una compilazione enciclopedica inglese del XIV
secolo, i colori rappresentati nelle
terrine affrontate a ciascun commento mostrano dall’alto in basso il
rosa, il giallo, il verde, l’arancione, il
giallo, il verde, il blu e il rosa”.16
Il minio, solfuro rosso di piombo,
viene utilizzato comunemente per
le forme più semplici, per le iniziali
minori e soprattutto nei manoscritti
più antichi: il minio dà infatti il nome a tutta l’attività
di pittura dei manoscritti.
La procedura del lavoro dei miniatori, come scrive
Alexander, può essere schematizzata in questo modo:
“Prima che un calligrafo cominciasse a lavorare, era necessario squadrare e rigare la pagina. La pratica generale,
o almeno la più comune durante il Medioevo, voleva che
fosse il calligrafo a dettare il formato delle miniature, dei
fregi e delle iniziali; cioè le miniature dovevano conformarsi alla colonna dello scritto per la larghezza e alle righe dello scritto per l’altezza. E’ stato dimostrato che nei
manoscritti miniati parigini del primo Quattrocento la
rigatura della pagina poteva incidere non solo sul formato della miniatura, ma anche sulla sua organizzazione
spaziale interna e su quella degli oggetti rappresentati,
per esempio nell’allineamento delle linee dei tetti o degli
stipiti delle porte degli edifici. [...] L’artista così iniziava
con l’impaginato creando un modello di composizione
che metteva immediatamente in relazione lo scritto e la
decorazione della pagina. Il passo successivo consisteva
nel fare un disegno con la punta dura o [...] con la
grafite. Il disegno veniva normalmente ripassato con
l’inchiostro in un secondo momento [...]. Si passava poi
alla stesura del colore. Si deve ricordare che normalmente il libro, a questo stadio, non risultava rilegato, ma ancora in fogli. Era molto comune quindi che un artista,
dopo aver mischiato una quantità di un certo colore, lo
posasse di seguito in una serie di miniature diverse [...].
Nel penultimo stadio, di nuovo evidente nell’Apocalisse
Douce, gli strati di colore venivano ricoperti con toni più
forti o più leggeri in modo da dare delle ombreggiature
o delle lumeggiature. L’ultimo stadio era raggiunto
quando l’artista tracciava il contorno dove la lamina
d’oro doveva essere rifilata agli orli, nonché i profili delle
figure e delle pieghe dei vestiti”.17
Talvolta erano indicati i colori da utilizzare; tale pratica è evidente soprattutto nei manoscritti inglesi e
francesi dal XII al XIV secolo.
31
I contenuti delle miniature
a) Il primo Medioevo
modelli per i miniatori ma, come concordano gli studiosi, si tratta di andare alla ricerca di tracce su come
La Regola di San Benedetto afferma l’ossequio all’au- un artista imparava, praticava e registrava pose, attorità e, in generale, come definisce Walter Ullmann teggiamenti, forme utili per il suo lavoro e anche se
l’artista operava con modelli mentali e visivi, doveva
“il tema discendente” del Governo e della Legge,
comunque costruire ex novo il ciclo della vita di ogni
cioè l’autorità imposta dall’alto.
santo. Infine la vita nel monastero, segnata dall’obNell’Alto Medioevo (650-110 circa) generalmente il
bedienza all’autorità dell’abate, era caratterizzata ancalligrafo era spesso anche miniatore e quindi, dato
che il compito del calligrafo era quello di trascrivere che dalla presenza di monache e monaci che provenivano dai ceti sociali più elevati della società, le clasfedelmente il testo che aveva davanti, anche nella
ideazione e realizzazione delle miniature l’artista co- si aristocratiche e che erano tenuti a dare risorse fipiava delle immagini da un modello, e questa azione nanziarie per il monastero. Talvolta, o spesso, malgrado i voti di povertà essi conservavano ricchezze
era considerata un atto di obbedienza all’autorità.
private e quindi la tensione tra autorità e indipenden“L’opinione che il compito dell’artista sia quello di
za o meglio individualità, si rifletteva nell’arte monacreare qualcosa di nuovo è profondamente radicata
nella conoscenza culturale contemporanea, ma que- stica.
In un episodio della vita di san Benedetto si narra di
sta valorizzazione dell’originalità è un retaggio del
periodo post-rinascimentale, e in particolare del Ro- un giovane monaco messo a servire in tavola che,
nella sua superbia, sa di essere superiore al santo per
manticismo”, scrive Jonathan Alexander.18
Ma la copia non sempre è esatta e le varianti sono le- classe sociale e si risentiva del compito che gli era
stato affidato. La lettera miniata può essere, secondo
gate alla tipologia dei testi e in particolare le vite dei
santi, di cui gli artisti dovettero inventarsi le immagi- Ullmann e Alexander, una metafora di questa tensione, in quanto dimostra sia la libertà di sperimentare
ni, o al ruolo del calligrafo-miniatore nel monastero
e alla attenzione dell’abate. Un secondo aspetto riper una finalità decorativa piuttosto che quella illuguarda degli ipotetici “libri di modelli”: nell’Alto Me- strativa autorizzata, sia i limiti che ancora costringedioevo non esistono dati certi sull’esistenza di libri di vano il miniatore dell’Alto Medioevo. Ma i limiti erano anche tecnici: la lettera da miniare aveva dei
confini precisi; si trattava
di renderla comunque
leggibile e di conservare
il repertorio di modelli e
di ornamenti.
Nel Basso Medioevo la
trasformazione laica del71
l’arte del miniare non ag-
72
giunge creatività, ma anzi, proprio il nuovo grado di
professionalità conferisce maggiore uniformità e
standarizzazione alle miniature.
b) Tra XII e XIII secolo
E’ questo il periodo di transizione in cui cominciano
a prevalere i miniatori di professione rispetto agli artigiani monastici. Nel XII secolo appaiono molti manoscritti finemente miniati, prodotti dai monasteri e
che avevano un uso legato alla vita religiosa delle cattedrali e dei monasteri stessi, in particolare Salteri19 e
Bibbie. Queste ultime venivano usate per le letture
71. Amanuense e donna miniatrice al lavoro sui fogli di un manoscritto, (cod. latin
25526, “Roman de la Rose”, f. 77v) miniatura 1300 ca., Parigi, Bibliothèque nationale
72. Lettera istoriata (da “Metafisica” di Aristotele con il commento di Averroè e glosse
marginali, ms. Lat., 6505, f. I, XIV secolo) Parigi, Bibliotheque Nationale
32
73
durante i pasti, nel refettorio dei monasteri e diventano quindi uno strumento indispensabile per tutte
le istituzioni conventuali. Questa fase tra XI e XII
secolo coincide con l’epoca della riforma monastica
e dello sviluppo dell’ordine benedettino, che diventa
prestigioso committente delle arti in generale. Ciò
valeva per le comunità benestanti; quelle fondate da
poco non avevano, invece, né le risorse, né le capacità di produrre autonomamente la propria Bibbia. Il
Salterio, che è la preghiera ufficiale della Chiesa e
comprende i quattro momenti di preghiera della
giornata, “Lodi mattutine”, “Ora media”, “Vespri” e
“Compieta”, ha una grande diffusione. I manoscritti
del XII secolo sono ricchi di immagini miniate, originali sia per complessità che per arricchimento
dell’iconografia pittorica, grazie proprio alla maggiore attività degli artisti laici. Gli studiosi ritengono che
una delle caratteristiche della miniatura del XII secolo sia il suo debito nei confronti dell’arte bizantina,
determinato dai nuovi contatti con l’Impero
d’Oriente, favoriti dalle Crociate e dall’attenzione dei
re normanni per l’arte (va ricordata la committenza
dei cicli monastici nella Cappella Palatina a Palermo
e a Monreale). Contestualmente la riforma dell’ordine benedettino conduce alla critica dell’arte considerata troppo lussuosa e la necessità, quindi, di raggiungere una uniformità, segno della misura e dell’umiltà dell’artista.
Un secondo elemento importante di questo periodo
è rappresentato dalla crescita del livello di
alfabetizzazione e dalla conseguente domanda di libri. Aumentano le scuole e con la fondazione di Università come Parigi e Bologna, si moltiplica la produzione di libri: i testi glossati della Bibbia, le Sentenze di
Pietro Lombardo, il suo commento a San Paolo, i libri di
diritto. Appare una specifica forma di decorazione,
chiamata stile del “leone bianco”, facilmente
imitabile e quindi diffusa nei principali centri di produzione del libro ed un fenomeno analogo si sviluppa per la produzione di Bibbie di piccolo formato, le
cui iniziali istoriate, dipinte a penna, sono frutto del
lavoro di una vasta schiera di artigiani specializzati,
soprattutto laici.
Si può sottolineare, quindi, che “come nel periodo
precedente ci sono possibilità per i miniatori di eva-
dere o anche sfidare l’autorità del ciclo preesistente e
anche i vincoli del testo. Nel XII secolo, tale opportunità è offerta dall’apparato decorativo usato per i
fregi e soprattutto per le iniziali [...]. Nel XIII secolo,
un nuovo spazio, i margini della pagina, diventa disponibile. Le scene marginali o del bas-de-page con
grottesche, scherzi (drôleries) e una quantità di scene
tratte da testi secolari e religiosi, così come molte altre senza alcun supporto testuale, sono state recentemente fatte oggetto di particolare attenzione. Qui
74
33
scritti o miniati, sono stesi ad asciugare. Questa unica immagine autoreferenziale è in significativo contrasto, nell’umiltà della rappresentazione non incorniciata, con i ritratti ufficiali del donatore in cui i
mecenati, nobili o ecclesiastici, si commemoravano
frequentemente”.20
c) Tra XIV e XV secolo
A partire dal XIII secolo vi è una relazione sempre
più stretta tra stile dei miniatori e lo sviluppo e la
diffusione, soprattutto in Italia, della pittura su tavola. Secondo i più accreditati studiosi, se fosse sopravvissuto un numero cospicuo di pittura murale del
primo Medioevo, le relazioni tra miniatura e pittura
monumentale in Occidente nel periodo anteriore al
75
1300 risulterebbe più evidente. Invece esempi di pittura monumentale, murale o su tavola intervenuti a
fantasia, giochi, battaglie, osservazioni dal vero, sati- influenzare i miniatori di manoscritti sono sempre
ra, commento sociale, tutto si mescola. Sebbene, an- più numerosi dal XIV secolo, anche se in questo peche in tale contesto, si assista talvolta alla copia e al- riodo è diffusa la doppia attività di miniatore e pittol’adattamento e i motivi possano risultare da una sor- re. Lo status dell’artista continua ad elevarsi, anche
ta di migrazione, la cosa importante appare la grande se l’arte del miniare viene considerata un’arte minovarietà e la possibilità di innovazione. [...] Per esemre. Vasari, nel descrivere la vita di un miniatore pio, una scena marginale, decisamente slegata dal te- Giulio Clovio - lo descrive come “un piccolo e nuosto del Roman de la Rose a cui si accompagna, sembra vo Michelangelo” che “ha di gran lunga superato
offrire un caso quasi unico. Essa, databile intorno al quanti altri mai si sono provati in queste maniere di
1300, rappresenta la scrittura e la decorazione del
pitture”21
manoscritto da parte di un uomo e di una donna al
Anche i miniatori sono autori in movimento e centri
lavoro in un interno dove dei fogli di pergamena,
come Parigi o l’area delle Fiandre alla fine del XIV
secolo sono luoghi in cui gli artisti operano e sog73. Codex (da “Giustiniano Legislatore” Ms.Vat. Lat. 1430 f. 3). Città del Vaticano, Bigiornano a lungo. Aumenta anche la circolazione di
blioteca Apostolica
manoscritti miniati, sia come libri di studio portati a
74. Medico che analizza le orine (da “manoscritto padovano” Ms. 25, f. Iv., del 1434)
casa da soggiorni e viaggi all’estero, come ad esemMonaco di Baviera, Bayerische Statsbibliothek
75. Maestro che scrive (Ms. 9017, f. 40) Bruxelles, Bibliothèque Royale
pio fecero gli umanisti italiani, sia come doni tra go76. Nicolas Oresme, con uno strumento astronomico, intento a scrivere (da Nicolas
vernanti o omaggi diplomatici. Cominciano anche a
Oresme, “Le traité de la sphère”, Ms. Français 565, f. 1, XV secolo) Parigi,
svilupparsi mercati specializzati per l’esportazione,
Bibliothèque Nazionale
come quello di calligrafi e miniatori fiamminghi che
crearono Libri d’Ore per il mercato inglese del XV secolo.
Inoltre nei secoli XIV e XV cambia la committenza
e vengono richieste nuove modalità di illustrazione,
soprattutto per i testi laici e un nuovo atteggiamento
nei confronti delle immagini religiose, la loro funzione e il loro scopo. Anche rispetto alle copie avvengono delle modificazioni nel corso del XV secolo: da
un lato si assiste allo sviluppo di un sistema di produzione di copie destinate all’esportazione, e proba-
76
34
77
bilmente realizzate in serie e in un formato
trasportabile, dall’altra al tentativo di controllare le
importazioni e il mercato dei manoscritti, a cui contribuisce il contrassegno dei miniatori apposto nel
testo.
Compare anche una nuova tipologia di libri di modelli per i miniatori: non si tratta più di una raccolta
di produzioni per pubblicizzare le capacità del
miniatore, quanto piuttosto di un vero e proprio manuale d’istruzioni completo di indicazione di tecni-
che e con repertori di immagini. Inoltre l’esistenza e
la diffusione di libri di modelli d’alfabeto, con esempi di iniziali decorate, fa presupporre una maggiore
specializzazione di ruoli in questo periodo: è sempre
più evidente la divisione del lavoro e l’uso di “scorciatoie” come il lavoro a stampo e il ricalco.
La struttura della bottega, o atelier, del miniatore tra
XIV e XV secolo, non è stata ancora sufficientemente studiata; certamente, data la mole di lavoro prodotta dai miniatori, si può dedurre che il personale
della bottega fosse numeroso.
Dalla fine del XV secolo “molte miniature si erano
evolute fino a somigliare a minuscoli dipinti su tavola, e alcune venivano addirittura mostrate incorniciate come se fossero appese al muro o poste sopra gli
altari come pale. [...] Non è il testo che ha avuto bisogno dell’immagine”, né è probabile che fosse
esplicitamente richiesto dal committente o dal
mecenate. “Essi possono aver richiesto un manoscritto illustrato più sontuoso, ma è più probabile
che sia stato lo stesso artista a decidere sulla natura
delle nuove immagini e facendo questo egli liberava
le immagini dal libro, dal momento che non dipendevano più direttamente dal suo testo specifico, dalle
convenzioni che dettavano la loro collocazione nel
testo. Invece le miniature dipendevano dalla sua immaginazione. Questo aspetto di individualità artistica
non dovrebbe tuttavia essere enfatizzato eccessivamente, poiché tale risposta va anche vista nel contesto dell’esperienza religiosa di quell’epoca e cioè del
nuovo movimento di spiritualità conosciuto come
Devotio Moderna in Olanda. Ma tuttavia l’artista appare ora libero in modo nuovo e, prendendo in considerazione tutte le ragioni per cui la miniatura scompare gradualmente dopo l’invenzione della stampa,
eccetto casi eccezionali anche questo fatto deve esse-
re tenuto a mente. Il libro e il suo testo avevano
messo un freno all’individualità artistica, non solo
nei sistemi di produzione, che erano principalmente
impresa collettiva, ma nella sua stessa funzione dal
momento che si richiedeva che l’artista si sottomettesse a un’autorità esterna e cioè all’impressione pittorica imposta dal testo stesso. Quando l’individualità artistica iniziò ad essere sempre più messa in valore, l’attività della miniatura su libro, con i suoi processi di creazione svolti per trasmissione di immagini
e per collaborazione di diversi artisti, diventa sempre
più emarginata”22
La rappresentazione dello studio
Come abbiamo già visto, per i miniatori lo studio
era, inizialmente, soprattutto l’attività del “copiare”,
del riprodurre i testi sacri e il sapere della tradizione
e di abbellirli con immagini; apprendere significava
ripetere e insegnare significava commentare i testi
sacri. Poi, con la nascita delle Università, il libro aumenta di valore: la necessità di avere più libri, materiali di studio per i maestri e gli studenti, fa dei manoscritti un elemento centrale e, nello stesso tempo,
status simbol del potere cittadino e del mecenatismo. Il
sapere diventa progressivamente autonomo e si libera lentamente dai vincoli dell’obbedienza ai dogmi.
La scienza e la tecnica si affacciano con dignità pari
al sapere umanistico, anche se non senza difficoltà,
all’orizzonte della pluralità dei saperi.
Il manoscritto si arricchisce, dunque, di immagini
miniate, capilettera ornati, bordi, figure e i miniatori
forniscono non solo una rappresentazione di se stessi, ma anche quella dei luoghi dove sviluppano la
loro attività di studio, dove sapere, arte e tecnica si
fondono e contribuiscono allo sviluppo della cultura
dell’immagine.
35
niature lasciano il posto alla illustrazione in serie, anche se per molto tempo ancora possedere un libro
miniato rimase un segno di prestigio sociale ed economico.
ne standardizzate che, alla fine del XV secolo, hanno condotto in tutta Europa a una grande diffusione del Libro d’Ore a stampa. Caratteristica di questi opuscoli a uso privato è la
decorazione miniata delle sue parti principali che constano solitamente, oltre all’Ufficio
della Vergine, del calendario e dell’Ufficio dei defunti. Il calendario compare sempre all’inizio, come nei libri liturgici e, quando è illustrato, esso presenta usualmente le immagini dei
segni zodiacali e dei Lavori dei mesi.
Note
1
ROMERO CASTELLÒ E., MACÌAS KAPÓN U., Gli Ebrei e l’Europa. Duemila anni di storia, Milano
1994, p. 110
16
ALEXANDER J.G.J., cit., p. 61
17
Ivi, pp. 64-65
18
Ivi, p. 111
STEFANI P., Gli ebrei, Bologna 1997, p. 23
19
Libri dei Salmi
Ivi, p. 24
20
Ivi, p. 170
4
Ivi, p. 25
21
VASARI G., Le vite de’ più eccellenti pittori, scultori ed architettori, a cura di G. Milanesi, vol. 7,
5
Cfr. ROMERO CASTELLÒ E., MACÌAS KAPÓN U., Gli Ebrei e l’Europa. Duemila anni di storia,
Firenze 1881, ristampa Firenze 1981, pp. 557-569
2
3
Milano 1994, pp. 110 e sgg.
6
22
ALEXANDER J.G.J., cit., pp. 208-209
Sefarditi sono denominati gli ebrei di origine iberica (in ebraico Sefarad - Spagna) che,
dopo l’espulsione nel 1492 si stabilirono in Olanda, Turchia, Nordafrica, Italia (Livorno,
Ancona, Roma, ecc.), penisola balcanica. Seguono il rito spagnolo e talvolta parlano l’antico
Per saperne di più
spagnolo (ladino).
ALEXANDER J.G.J., I miniatori medievali e il loro metodo di lavoro, Modena 2003
7
78
Studiare si rappresenta come l’attività del maestro
che, dall’alto della sua cattedra, fa lezione agli studenti, ma è anche la rappresentazione dell’intellettuale che, con gli attrezzi del mestiere, si apparta in un
luogo dedicato esclusivamente alla riflessione, alla
lettura, alla scrittura. Libri aperti, calamai, inchiostri,
penne, pergamene, una finestra aperta sul mondo e i
simboli della disciplina o della sapienza religiosa o
laica dell’epoca a fare da coreografia essenziale.
Con la diffusione delle incisioni e della stampa le mi-
Ashkenaziti sono gli ebrei della Germania e quelli, originari della Germania, fuggiti poi in
BERNASCONI M., DAL POZ L., Codici miniati della Biblioteca Comunale di Trento, Firenze 1985
Polonia, Russia, Ungheria e di qui in America. Gli ashkenaziti sono per lo più di lingua
BOLOGNA G., Manoscritti e miniature. Il libro prima di Gutenberg, Milano 1988
jiddish.
BRUNELLO F. (a cura di), “De arte illuminandi” e altri trattati sulla tecnica della miniatura medievale,
8
ALEXANDER J.G.J., I miniatori medievali e il loro metodo di lavoro, Modena 2003, p. 13
Venezia 1983
9
Ivi, p. 26
FRÜHMORGEN - VOSS H., Text und Illustration im Mittelalter. Aufsätze zu den Wechselbeziehungen
10
DANTE ALIGHIERI, Purgatorio, XI, vv. 79-81
zwischen Literatur und bildender Kunst, München 1975
11
ALEXANDER J.G.J., I miniatori medievali e il loro metodo di lavoro, Modena 2003, p. 30
MANIACI M., Terminologia del libro manoscritto (Istituto centrale per la patologia del libro, Edi-
12
Ivi, p. 46
trice Bibliografica), Roma 1996
13
Ivi, p. 55
MARIANI CANOVA G., La miniatura Veneta del Rinascimento 1450-1500,Venezia 1969
14
Ibidem
ROMERO CASTELLÒ E., MACÌAS K APÓN U., Gli Ebrei e l’Europa. duemila anni di storia, Mila-
15
Le “Ore”, che per noi oggi sono l’unità di misura della giornata, nel medioevo designava-
no 1994
no l’ufficio delle preghiere devozionali, dei salmi, degli inni e dalle letture da recitare quoti-
SED-RAJNA G., The Hebrew Bible in Medieval Illuminated Manuscripts, New York 1987
dianamente in determinati momenti della giornata.
STEFANI P., Gli ebrei, Bologna 1997
Il Libro d’Ore è un compendio di testi devozionali ad uso dei laici che ha il suo nucleo centrale nell’Ufficio della Vergine: le Horae Beatae Mariae Virginis. Improntato sui breviari liturgici la sua origine risale al secolo XI, ma questo comincia a diffondersi solo dalla metà del
XII secolo per raggiungere poi, tra XIV e XV secolo, un successo tale da richiedere una
produzione quasi industriale, eseguita da botteghe specializzate con procedure di esecuzio-
77. San Luca (da “Epistolario”, ms. Add. 15815, c. 61 r.) Londra, British Library
78. Girolamo da Cremona, Francesco Alvarotti e un allievo (da “Consilia et
Allegationes” ms. 450, 1477-78) Ravenna, Biblioteca Classense
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