21 Angoli di studio nelle miniature Prima dell’invenzione della stampa a caratteri mobili (XV secolo) i libri venivano riprodotti a mano, ad opera di calligrafi monaci e religiosi, e più tardi laici. Le lettere iniziali, fin dall’antichità classica, venivano decorate con un pigmento rosso-arancione, derivato Milena Cossetto dal solfuro di piombo, chiamato minio: di qui il a storia della miniatura si intreccia strettamente nome di miniatura. Con il tempo e con lo sviluppo con la storia del libro: dal papiro, alla pergamena, alla della specializzazione, operata attraverso la distinziocarta; il passaggio dalla tradizione orale a quella scrit- ne tra compiti del calligrafo e compiti del miniatore, ta si è legata nel tempo non solo al supporto (papiro, si diffondono piccoli disegni policromi, che abbellipergamena o carta) ma anche alle scelte dei calligrafi scono lettere capitali, parole, immagini, spazi nella sulla tipologia di scrittura e agli antenati degli pergamena. I contenuti delle miniature sono molteillustratori, i miniatori. Questo testo non ha la preplici ed è quindi nelle miniature che troviamo le più sunzione di ricostruire tutte le fasi di questo passag- antiche e ricche testimonianze dello studio, dell’apgio, ma cercherà di fornire alcuni elementi che perprendimento e dell’insegnamento e dei luoghi dedimettano a docenti, studenti e studentesse, di adden- cati a queste attività. I miniatori fin dall’antichità si trarsi nella complessità del tema. sono cimentati non solo a seguire schemi e modelli per abbellire le pergamene e i libri, ma ci hanno la52 sciato piccoli frammenti di mondo, immaginario e reale, a cui possiamo attingere per scoprire come, dove, quando, in che modo si studiava nel passato. Per questo, attraverso le principali fonti disponibili e la storiografia specialistica più recente, cercheremo di individuare le tappe fondamentali di questo percorso, l’identità dei miniatori medievali e il contesto sociale in cui si trovarono a lavorare. 53 l Le miniature ebraiche Nell’antichità scarse sono le rappresentazioni dell’attività di studiare e dei luoghi destinati allo studio. Fino allo sviluppo della civiltà greca e latina, nel mondo ebraico i luoghi erano il Tempio e le Sinagoghe. Il giudaismo, la più antica delle religioni monoteiste universalmente diffuse, è “la fonte da cui tutte queste hanno avuto origine. Tuttavia il considerarlo un fenomeno strettamente religioso sarebbe in- sufficiente, poiché oltre agli aspetti teologici e del rituale, esso regola tutti i momenti della vita traducendosi in determinati comportamenti individuali e culturali”.1 . Il popolo ebraico, il popolo del libro, aveva sviluppato molto presto la tecnica della scrittura. “Questa definizione, tante volte ripetuta, pur avendo qualche plausibilità, ha però bisogno di molte precisazioni. Indubbiamente il rapporto con la lettura è una caratteristica fondamentale di tutto l’ebraismo, tant’è vero che il tasso di analfabetismo tra gli ebrei è sempre 52. Lettera istoriata (da “Manoscritto ornamentale ” di Johann Holtman, Add. 31845, Germania 1529) Londra, British Library 53. Lo studio a coppie in Yeshivah (c. 1470), ms. Rothschild 24, f. 330 v., Gerusalemme, Israel Museum 22 stato estremamente basso. [...] l’espressione popolo del Libro è accettabile più per indicare la consuetudine ebraica con il leggere e lo scrivere, che per sottolineare, in senso più direttamente religioso, che la Bibbia da sola si presenta come guida indispensabile e sufficiente dell’intera vita religiosa ebraica.”2 54 In ebraico la forma per definire la Bibbia è Miqra’ e deriva dalla radice qr’, gridare ovvero leggere ad alta voce, recitare ed è la stessa radice che ha dato luogo alla parola Quran, Corano. “La Bibbia diventa matrice della vita religiosa solo in 55 quanto testo accolto, proclamato, commentato, discusso e messo in pratica”.3 Nella Sinagoga, nell’armadio sacro, è contenuto un Sefer Torà (Libro della Legge), che è il Pentateuco, l’insieme dei primi cinque libri della Bibbia (Genesi, Esodo, Levitico, Numeri, Deuteronomio). Inoltre “la parola ebraica Torà deriva dalla radice verbale jrh che esprime l’idea di insegnare. La traduzione italiana più fedele al suo senso originario sarebbe perciò quella di renderla con termini come ammaestramento, insegnamento. [...] rispetto al Sefer Torà si devono avanzare due indispensabili annotazioni. [...] Innanzitutto va ricordato che non solo si tratta di rotoli manoscritti (è assolutamente inconcepibile sostituirli con un testo a stampa), ma va anche precisato che il suo testo non è vocalizzato. La lingua ebraica infatti nella sua forma classica è scritta senza vocali. Le lettere di una parola rappresentano perciò una specie di traccia che, per essere pronunciata, deve essere corredata da quanto non è scritto, appunto le vocali”.4 Fondamentali sono quindi la lettura e la scrittura: lo studio della Torà è considerato come primario dovere religioso; nel Talmud si indicano i tempi in cui il bambino deve essere iniziato allo studio dei testi religiosi; l’età appropriata per iniziare lo studio delle Scritture è quella dei cinque anni, quella di dieci per lo studio della Mishnàh, quella di tredici per l’osservanza dei precetti, quella di quindici per affrontare lo studio del Talmud.5 Dopo la distruzione del Tempio, la Sinagoga divenne il centro e l’asse della vita religiosa ebraica: si leggevano pubblicamente i decreti ufficiali; studiosi e studenti vi trascorrevano i giorni, e a volte le notti, immersi nello studio della Torà. Il culto del Libro per eccellenza, la Bibbia, si traduce per gli ebrei nel rispetto e nella valorizzazione di ogni forma di scrittura e di cultura. In questo senso va quindi letta la presenza di miniature, ornamenti, abbellimenti della scrittura e la diffusione della miniatura in tutto l’Occidente medievale in cui spesso il soggetto è la rap- 54. Ebrei della Renania (da “Haggada di Darmstadt”, Cod. o. 8, f. 48 v., XV secolo), Darmstadt, Hessische Landes-und Hochschulbibliothek 55. La Thorah, (dal libro di preghiere ebraico “Machsor Lipsiae”, miniatura, XIV-XV sec.) 23 56 56. Studiosi in biblioteca (da Jacques Le Grant, “Le livre de bonnes moeurs”, ms.297, f. 130r., XV secolo), Chantilly, Musée Condé presentazione dello studio, dell’apprendere e dell’insegnare e della Sinagoga, luogo di studio per eccellenza. Nella Spagna medievale, luogo di stanziamento su un unico territorio di ebrei, cristiani e musulmani, gli scribi ebrei (soferim), autentici artisti nella calligrafia, erano tenuti in grande considerazione. Si occupavano di scrivere il sefer Toràh sinagogale, secondo norme molto rigide e comuni a tutto il mondo ebraico. Il testo non doveva contenere correzioni o aggiunte e la pergamena utilizzata per la scrittura doveva essere perfetta e senza guasti. I codici considerati più preziosi provengono dalla scuola dei copisti di Toledo, dalla penisola iberica, e sono conosciuti in tutta Europa. Da regione a regione la calligrafia ebraica differisce: i copisti sefarditi 6 utilizzarono il calamo, mentre gli ashkenaziti7 e gli italiani la penna. In Germania la calligrafia ebraica col tempo ha assorbito i tratti caratteristici della scrittura gotica in molti manoscritti. La tecnica della miniatura comincia a diffondersi nel mondo ebraico a partire dal IX secolo, con influenze che provengono dai paesi dell’Islam, anche se alcuni studiosi sostengono che i manoscritti fossero miniati fin dall’epoca ellenistica e che furono proprio gli elementi decorativi della tradizione ebraica ad influenzare la pittura paleocristiana. I più antichi manoscritti miniati ebraici in Europa, giunti fino a noi nonostante i roghi e le persecuzioni, provengono dalla Germania e risalgono al XIII secolo e nel corso del XV secolo erano ormai diffusissimi. Non si può parlare di uno stile ebraico delle miniature, in quanto in ogni paese le scuole di miniatura si incontravano e fondevano con le caratteristiche del luogo. Alcuni elementi specifici della tradizione ebraica sopravvivono nelle scuole di miniatura ebraiche per lungo tempo, anche se vengono ritenute antiquate e fuori moda da molti committenti. Nel corso del XIII secolo in Germania e nell’Italia settentrionale, davanti allo sviluppo del movimento ascetico cristiano e di quello ebraico, gli ebrei posero dei limiti alla rappresentazione della figura umana. I miniatori interpretarono questa “iconofobia” rappresentando la figura umana in modo deforme, con teste zoomorfe. Questa caratteristica si consolidò in tutta la miniatura ebraica della Germania meridionale del XIII e XIV secolo. Inoltre le lettere dell’alfabeto ebraico vengono assunte come elementi decorativi, in quanto nella lingua ebraica mancano le maiuscole e quindi ciò che viene decorato non è il capolettera, come nei manoscritti latini, ma la prima parola e a volte, nella Bibbia, interi versetti. Anche le tematiche della miniatura ebraica hanno caratteristiche particolari: la fonte principale di ispirazione è la Bibbia, i cui motivi e temi servono al miniatore per illustrare anche testi non biblici. Nei principali manoscritti liturgici sono presenti le raffigurazioni delle usanze e dei riti sinagogali e domestici, accanto alla rappresentazione delle suppellettili del Tempio. I miniatori ebrei hanno illustrato soprattutto le Bibbie, i libri di preghiere per i giorni feriali e i giorni di festa e, in modo parti- 24 colare nel mondo ashkenazita, la Haggadà, il testo letto obbligatoriamente durante la cena rituale di Pasqua. La Haggadà era corredata da numerose miniature a tutta pagina, che rappresentavano episodi biblici. Ma vennero decorati anche i singoli libri biblici, il libro dei Salmi e il rotolo di Ester, esegesi bibliche, normative religiose e testi di filosofia e,soprattutto in nel mondo giudaico-spagnolo e in Italia, furono miniate anche opere di carattere laico, d’argomento medico e scientifico, ma anche i contratti di matrimonio sono ricchi di miniature. E’ qui che vengono raffigurati anche luoghi e occasioni di studio: la Sinagoga, la scuola, la casa. Heinrich Heine, attraverso la riflessione di una donna, descrive i ricordi che evocano nell’animo ebraico i libri della Haggadà utilizzati anno dopo anno nelle celebrazioni familiari della Pasqua: Talvolta guardavo anche l’Haggadà che avevo di fronte a me, aperta. Era un libro in pergamena rilegato in velluto e oro, antica eredità del nonno, e nel quale si scorgevano vecchie macchie di vino mezzo cancellate dagli anni e che conteneva un gran numero di stampe illustrate con mano audace, stampe che con moltissimo piacere lei da bambina contemplava nella notte della festività pasquale, e nelle quali vedeva raffigurate molte storie estratte dalla Bibbia. role, egli scriveva i titoli che in effetti mostrano una grande maestria calligrafica. Non sappiamo però se abbia anche eseguito i disegni del manoscritto.” 8 57 cialisti. Schiavi o liberti venivano assunti come calligrafi, ma le autorappresentazioni descritte da Varrone o Marziale non potevano essere state che realizzate da pittori. Jonathan J.G. Alexander, uno dei più autorevoli studiosi della storia della miniatura, nelle sue lezioni all’Università di Oxford del 1983, poi riprese e pubblicate anche in Italia nel 2002, ripercorre le tappe fondamentali dello sviluppo dell’arte del miniare in Europa. HEINE H., Il rabbi di Bacharach. “Il primo nome conosciuto e collegato a un libro specifico è quello di Dionysius Filocalus che firmò la copia di un calendario romano del 354 d.C. che non I miniatori medievali cristiani Nel mondo classico non vi sono testimonianze diret- ci è pervenuto, ma che conosciamo tramite alcune te che riportino informazioni sulle illustrazioni e sui copie rinascimentali e altre più tarde. Facendo riferiloro esecutori, pittori professionisti o miniatori spe- mento a se stesso, usa il termine titulavit: in altre pa- 58 57. Lezione del maestro (da Alberto Magno “De animalibus”, ms. Lat., 16169, f. 151, XIV secolo), Parigi Bibliothèque Nationale 58. Vita di San Girolamo, autore della revisione latina della Bibbia (da “Bibbia” di Carlo il Calvo), membranaceo, f. 423, Ms. lat. 1, sec. IX (846 circa), Parigi 59. Iniziale miniata (da Aristotele “Metafisica”, ms. Lat. 6297, f. 77, XIV secolo) Parigi, Bibliothèque Nationale 60. Disposizioni sulla conservazione dei privilegi e degli atti di fondazione del Collegio (da “Statuta Collegii Sapientiae”, Friburgo, f. 47 v. , c. 1500). Friburg/Breisgau, Universitätsarchiv, miniatura, 1500 ca. 25 Certamente uno dei fattori fondamentali che contribuirono allo sviluppo della lettera miniata a partire dal VI secolo fu il passaggio da schiavo a copista libero, rendendo quindi possibile identificare il calligrafo con l’artista. Non vi sono tracce, però, che consentano una chiara identificazione degli artisti che decorarono i libri, mentre esiste una grande quantità di informazioni sulla produzione del libro negli scritti di San Girolamo. Nulla emerge, neppure dalla regola di san Benedetto (550 d. C. ca.), sulla fattura o la decorazione dei libri, nonostante il ruolo che i monasteri avrebbero ricoperto nella storia della miniatura dei manoscritti. La Regola, nel LVII capitolo dice “Riguardo gli artigiani del monastero”: “se ci sono degli artigiani (artifices) nel monastero essi devono svolgere le loro arti manuali (faciant ipsas artes) con 59 tutta l’umiltà possibile e 60 dopo che l’abate abbia dato loro il permesso”; questa, probabilmente, è una delle cause dell’anonimato dei miniatori monastici. Il numero di manoscritti con illustrazioni aumenta a partire dalla fine del VII secolo, ma le informazioni sugli autori delle immagini sono ancora scarse; le indicazioni riguardano quasi esclusivamente i calligrafi. In alcuni casi, la probabilità che un calligrafo fosse anche miniatore è molto alta, ma fino a noi sono giunte solo due firme certe di miniatori, nell’intera produzione dei secoli VIII e IX: Macregol, abate di Birr (Irlanda), il cui colophon, oggi in un Vangelo conservato alla Bodleian Library di Oxfort, riporta: “Macregol dipinse questi Vangeli. Chiunque legga e intenda questa narrazione, preghi per Macregol il calligrafo”. Marcegol muore nell’822 ed è sia calligrafo sia miniatore. Un secondo miniatore che firma il suo lavoro è Alderico, che dipinge le maschere degli attori nell’introduzione a una copia delle commedie di Terenzio, prodotta tra l’820 e l’830. Ancora alcuni nomi di calligrafi e miniatori compaiono in epoca carolingia: David, Gedeon, Amandus, Harengarius e Sigvaldus. Tra i monaci di San Gallo sono menzionati un buon numero di pittori e miniatori (Tuotilo, Notker Medicinus, Chunibert), anche tra quelli di Fulda e lascia tracce anche Lantbertus, un religioso di Reims, che nel 898800 scrisse e miniò un Sacramentario (distrutto dalle fiamme nel 1774) per un monaco di Saint-Rémy, che conteneva cinque miniature con i ritratti dei santi Gregorio e Remigio, con quello del donatore e, probabilmente, anche quello del miniatore. Tra il IX e l’XI secolo aumenta il numero di miniatori documentati e le due arti di calligrafo e miniatore cominciano ad essere distinte. E compaiono anche i primi nomi femminili, tra cui Ende, una monaca, che viene citata come collaboratrice di Emeterius nell’Apocalisse di Gerona nel 975. Tra XI e XII secolo compaiono i primi miniatori lai- 26 ci, professionisti attivi che operano dietro pagamento in denaro o in natura. Tipica è la carriera dell’artista lombardo Nivardus che operò a Fleury all’inizio dell’XI secolo: laico ed intraprendente Nivardus cominciò ad importare nuovi stili anche da distanze considerevoli. Era un maestro capace di lavorare con 61 61. Iniziale R con autoritratto di Frater Rufillus di Weissenau, Cologny (Ginevra), Bibliotecha Bodmeriana, miniatura (“Passionario”, cod. 127), 1170-1200 62. Iniziale R con autoritratto di Frater Rufillus di Weissenau, Cologny (Ginevra), Bibliotecha Bodmeriana, miniatura (“Passionario”, cod.127), 1170-1200, particolare di uno sciapode e frescante sudtirolese, Sciapode, Termeno, chiesa di San Giacomo in Castelaz, affresco, XIII secolo materiali diversi, veniva chiamato presso un monastero dove aveva diritto a vitto e alloggio per il tempo necessario a completare il lavoro che gli era stato commissionato. In questo quadro significativi sono sia lo sviluppo dell’economia monetaria, sia il commercio internazionale sia la ricchezza crescente dei monasteri. Monaci e laici lavorano fianco a fianco nello stesso ambiente come nell’immagine proposta nel Libro delle Pericopi di Echternach, dell’XI secolo, ora conservato a Brema. Nel XII secolo sono molte le testimonianze che attestano l’esistenza di monaci, chierici e laici che svolgevano attività come scriptor o pictor, calligrafo o miniatore. Il canonico premonstratese, Frater Rufillus, è rappresentato mentre dipinge la lettera R in un Passionario, proveniente da Weissenau, nella diocesi di Costanza e databile tra il 1170 e il 1200. E’ una delle prime rappresentazioni dello studio e del lavoro del miniatore: “il topos è mostrare il pennello o la penna in azione, in questo caso nel tracciare e colorare la stessa iniziale”9 Nel tardo Medioevo si assiste ad una significativa trasformazione sia sul piano della retribuzione dei laici, 62 che vengono ora considerati veri e propri artigiani professionisti, sia sul piano dell’incremento della produzione e della miniatura del libro. Gli artisti laici iniziano ad essere predominanti e, poiché titolari di proprietà, compaiono nei documenti legali, nei registri dei pagamenti e nelle liste delle tasse delle città. La documentazione storica giunta fino a noi vede la presenza dei miniatori come professionisti dell’arte di decorare i libri e i manoscritti e Parigi, nel corso del XII secolo, diviene il principale centro per la miniatura: lo stesso Dante, nell’XI canto del Purgatorio, parla “di quell’arte ch’alluminar chiamata è in Parisi”.10 Inoltre alle Università, che avevano bisogno di libri in seguito ad un aumento di maestri e di studenti, il 27 Papa Innocenzo III nel 1215 concede gli statuti; di conseguenza aumenta il numero di persone che si dedica alla produzione, all’organizzazione e al controllo dei libri. Due erano le questioni in gioco: la fornitura di buoni testi e per questo “gli exemplaria , cioè i modelli, venivano controllati e venne sviluppato il sistema della pecia, vale a dire il metodo di copiare i libri in sezioni. La seconda questione riguardava i prezzi dei libri, fossero nuovi o di seconda mano. Rispetto ad ambedue le problematiche, il librarius, adempiendo alle funzioni allora assegnate separatamente agli editori e ai venditori di libri, era la figura centrale che agiva come intermediario tra la produzione e il cliente. L’Università nominava un numero limitato di librarii accreditati, i quali dovevano giurare di sottostare ai regolamenti universitari”.11 I regolamenti, però, avevano una giurisdizione solo all’interno dei singoli atenei. Nei documenti delle Università risultano menzionati molti miniatori e, ad esempio, nella lista delle tasse di Parigi del 1292 sono citati otto librai, ventiquattro calligrafi, undici maestri di scrittura, un copista, tredici miniatori, diciannove venditori di pergamene, un venditore di inchiostro (che era una donna) e diciassette legatori. Nel XIII secolo solo alcuni miniatori personalizzavano i loro lavori con firme o aggiungendo autoritratti, contrariamente a quanto era avvenuto nel secolo precedente. Il Magister Alexander firmò una Bibbia e, con un autoritratto, si firma il miniatore che si rappresenta con un pennello e “alle prese con un fiore, sulla coda di una P in una Bibbia del 1300 circa. Egli usa la stessa invenzione, già vista nel XII secolo, di rappresentarsi nell’atto di dipingere l’iniziale. inoltre tiene nella mano sinistra una tavolozza, forse la prima rappresentazione di questo oggetto, dall’antichità in poi”.12 63 Nel XIV secolo i documenti attestano l’esistenza di miniatori professionisti, assunti a corte o presso le famiglie nobili; i miniatori si erano liberati dal controllo dei regolamenti delle Università e quindi operavano direttamente presso i mecenati. Nel tardo Medioevo, poi, è documentata l’appartenenza dei miniatori talvolta alla confraternita o alle corporazioni con i calligrafi e talvolta con gli artisti. A Parigi nel 1401 la Confraternita dei calligrafi aveva come santo patrono san Giovanni Evangelista. A Firenze, invece, i miniatori facevano parte insieme ai pittori dell’Arte dei Medici e Speziali, probabilmente accomunati dal fatto che avevano a che fare con materiali grezzi, specialmente i pigmenti utilizzati dagli artisti per costruire i colori. A Perugia esisteva un’Arte dei Miniatori fin dal 1310 e nella maggior parte delle città del XIV secolo sorgono analoghe corporazioni. A Bruges, da alcuni documenti giunti fino a noi, emerge che nel 1426 la Corporazione dei Pittori lamentava che gli scriptores importavano singoli fogli miniati da Utrecht e questo era severamente vietato; inoltre nel 1447 fonti attestano che i miniatori avevano il divieto di usare colori diversi da quelli ad acqua: i colori ad olio, l’oro e l’argento, potevano utilizzarli solo i membri della Corporazione dei Pittori. Dieci anni più tardi la professione dei miniatori viene permessa solo ai cittadini; 64 63. Maestro di diritto nel suo studium (da un codice bolognese del “Decretum gratiani”, ms. Rep. II9b (CCXLIII), f. 81v., XIV secolo), Lipsia, Universitätsbibliothek, miniatura 64. San Girolamo come calligrafo in atto di rigare la pergamena (da “Bibbia”, vol. 2, Ms. 4.2 f.137 v.), Kongelige Bibliothek; iniziale A con autoritratto di miniatore in atto di dipingere una testa (da “Bibbia”, vol. 3, Ms. 4.2 f.208., Kongelige Bibliothek 28 Scrive Alexander: “Oltre a proibire la concorrenza esterna da parte di coloro che non erano cittadini, è 65 interessante notare che la Compagnia desiderava diffidare il basso clero dall’esercitare qualunque arte manuale nella scrittura o miniatura e dall’avere allievi. Ai preti con un adeguato salario, definito in otto marchi all’anno, era proibito esercitare tali attività manuali, salvo che per proprio uso o carità”13 . A partire dalla seconda metà del XV secolo il commercio dei libri aumenta e impiega molte persone sia nella produzione sia nell’organizzazione delle vendite. Appartiene a questo periodo un notevole numero di manoscritti che è giunto fino a noi e che contiene molte miniature con numerose figurazioni. Migliora decisamente anche la condizione sociale dei miniatori: diventano spesso membri relativamente influenti della comunità, soprattutto coloro che venivano chiamati a lavorare dai grandi mecenati come Filippo il Buono di Borgogna o i re di Napoli. Sandra Hidman riporta alcune preziose informazioni inoltre nel 1457 gli addetti al commercio del libro, per compren66 quindi coloro che scrivevano i testi, i miniatori, i dere la retriburilegatori, gli illustratori di rotuli, diedero vita ad una zione, nel XV Confraternita dedicata a San Giovanni, che contava su secolo, dei quarantaquattro uomini e sei donne. Anche a Londra miniatori: è attestata l’esistenza di una corporazione di cui face- Simon vano parte, fin dal 1357, gli amanuensi di corte, i Marmion, ad calligrafi e i miniatori (lymners). Poi, nel 1403, i esempio, pittominiatori e gli scrittori di testi costituirono la corpora- re e miniatore zione conosciuta come “Mistery of Stationers”. Anfu pagato per che a York, intorno alla fine del XIV secolo, gli scrituna singola mitori di testi avevano formato una Compagnia. Secon- niatura la stesdo i documenti pubblicati dallo storico della miniatura sa cifra con cui Jonathan Alexander, facevano parte della Compagnia poi fece sostianche limners, turnours (disegnatori di iniziali e bordi) e tuire il tetto di notours (responsabili delle notazioni musicali). paglia della sua 67 casa nel 1463. Anne van Buren ritiene che tre lire delle Fiandre fossero il pagamento standard per una miniatura nella seconda metà del Quattrocento nei Paesi Bassi e che, per sopravvivere, un miniatore doveva dipingerne almeno sessanta all’anno. Il lavoro dei miniatori medievali I miniatori medievali utilizzavano tre tipi di materiali: il papiro ricavato dal papiro del Nilo, la pergamena o il vello (pelle di animale conciata, prevalentemente di mucca, capra o pecora) e infine la carta. Nel mondo antico il papiro fu il supporto principale 65. Iniziale M con l’autoritratto di Frate Petrus da Pavia (da Plinio il vecchio “Naturalis Historia”, f. 332, e. 24 inf.) Milano, Biblioteca Ambrosiana 66. Autoritratto di frate Johannes de Valkenburg (da O. F. M., “Graduale” Cod. 384) Bonn Universitätsbibliothek 67. Iniziale istoriata C per “colore” (da “Enciclopedia” di James le Palmer, Royal 6 E, VI) Londra, British Museum, miniatura , XIV secolo 29 68 per la scrittura: “I fogli venivano incollati insieme e arrotolati in rotoli di varia lunghezza sui quali si scriveva in corte colonne da leggersi orizzontalmente. Era flessibile, ma non riusciva mai a fornire una superficie stabile e adatta alla pittura. La teoria di Weitzmann suppone che, sebbene l’illustrazione di qualsiasi tipo di testo fosse eseguita su papiro nell’antica Grecia, e anche prima in Egitto, si sia verificato, durante l’Impero Romano, tra il II e il IV secolo d. C., il passaggio dal rotolo al codice, un tipo di libro che ci è ancora familiare e che rivoluzionò l’arte dell’illustrazione. L’artista aveva a questo punto a sua disposizione una superficie relativamente stabile e protetta all’interno dalle copertine del libro, che, data la sua forma, si prestava al paragone con un’immagine in cornice. Alcuni dei primi codices continuarono ad essere prodotti in papiro, ma la pergamena andò presto a sostituirlo, in parte per motivi economici, quando il commercio nel Mediterraneo cominciò a contrarsi, e in parte, indubbiamente, per la maggiore praticità; e, forse, come è stato suggerito, in relazione alla diffusione del cristianesimo”.14 Le tavolette di cera erano anche superfici utilizzate per la scrittura e alcuni documenti attestano - sebbene non vi siano superstiti di tavolette di cera con disegni incisi - che essere erano utilizzate in realtà per trasmettere informazioni attraverso figure. Sono state usate, soprattutto in periodi in cui i materiali da scrittura risultavano scarsi e troppo onerosi, inoltre potevano essere usate solo per disegni geometrici, semplici ed effimeri. L’unico materiale adatto per la miniatura era, quindi, la pergamena, in quanto forniva una superficie molto ricettiva sia per la scrittura che per la miniatura e, potendola ricavare da animali diversi, era possibile variare colore, peso e dimensione. Nell’Europa occidentale la pergamena rimase il materiale per i libri di lusso anche dopo la diffusione dell’uso della carta a partire dal XIII secolo. La pergamena veniva anche utilizzata in frammenti: quelli più sottili venivano incollati sui fogli e sui frammenti venivano eseguite le miniature. Questa pratica, che proseguì fino al XV secolo, ebbe come conseguenza la perdita di molte miniature in quanto si staccarono dai fogli e andarono perdute. Nei Libri d’Ore15 , soprattutto, le miniature venivano 69 dipinte su singoli fogli che potevano poi essere inseriti in sequenza nei manoscritti: gli studiosi affermano che questa pratica fosse dovuta da un lato a motivi commerciali (si facilitava la produzione in serie), dall’altro rendeva più economica la preparazione delle superfici migliori per le miniature. I miniatori utilizzavano diversi strumenti: per il disegno utilizzavano uno stilo con punta di metallo o in osso; veniva usata anche la grafite (matita), ma il termine inglese pencil e quello latino pennellum venivano utilizzati per descrivere un pennello, piuttosto che una matita Coloravano i disegni con una varietà di tecniche: nei manoscritti anglosassoni del X e XI secolo con inchiostri colorati, con diverse combinazioni di disegno e pittura ad acquarelli chiari nelle Apocalissi ingle68. Miniatura con negozio di pergamene (da Villola, “Memorie” f. 3 Ms. 1465), Bologna, Biblioteca Universitaria 69. Pagina delle Cronache di J. Frossart, manoscritto del XV secolo, Parigi, Biblioteca dell’Arsenale, particolare 30 70 70. Dama assisa alla finestra aperta sull’interno del coro di una chiesa gotica, probabilmente Margherita di York (da “Libro d’ore”, membranaceo, sec. XV, 1460-80 circa) Vienna, Österreichische National Bibliothek si del XIII secolo o in quelli fiamminghi del XV secolo, alle grisailles colorate dei manoscritti francesi del XIV secolo, fino alla combinazione di miniatura dipinta e disegno. Molto numerose sono le fonti che forniscono informazioni sulla tipologia di colori usate dai miniatori: si tratta soprattutto di trattati tecnici in uso tra il IX e il XVI secolo che descrivono i materiali usati, minerali o organici, naturali o lavorati. Il blu, ricavato dai lapislazzuli, era il colore più costoso, poiché il minerale proveniva dall’Afganistan e quindi, insieme all’oro e all’argento, era utilizzato per i libri di lusso. “Purtroppo non siamo in grado di dire se esistevano ulteriori gerarchie di colori. In alcune rappresentazioni di miniatori [...] è documentato l’uso di pigmenti. Nell’iniziale istoriata di Color, in una compilazione enciclopedica inglese del XIV secolo, i colori rappresentati nelle terrine affrontate a ciascun commento mostrano dall’alto in basso il rosa, il giallo, il verde, l’arancione, il giallo, il verde, il blu e il rosa”.16 Il minio, solfuro rosso di piombo, viene utilizzato comunemente per le forme più semplici, per le iniziali minori e soprattutto nei manoscritti più antichi: il minio dà infatti il nome a tutta l’attività di pittura dei manoscritti. La procedura del lavoro dei miniatori, come scrive Alexander, può essere schematizzata in questo modo: “Prima che un calligrafo cominciasse a lavorare, era necessario squadrare e rigare la pagina. La pratica generale, o almeno la più comune durante il Medioevo, voleva che fosse il calligrafo a dettare il formato delle miniature, dei fregi e delle iniziali; cioè le miniature dovevano conformarsi alla colonna dello scritto per la larghezza e alle righe dello scritto per l’altezza. E’ stato dimostrato che nei manoscritti miniati parigini del primo Quattrocento la rigatura della pagina poteva incidere non solo sul formato della miniatura, ma anche sulla sua organizzazione spaziale interna e su quella degli oggetti rappresentati, per esempio nell’allineamento delle linee dei tetti o degli stipiti delle porte degli edifici. [...] L’artista così iniziava con l’impaginato creando un modello di composizione che metteva immediatamente in relazione lo scritto e la decorazione della pagina. Il passo successivo consisteva nel fare un disegno con la punta dura o [...] con la grafite. Il disegno veniva normalmente ripassato con l’inchiostro in un secondo momento [...]. Si passava poi alla stesura del colore. Si deve ricordare che normalmente il libro, a questo stadio, non risultava rilegato, ma ancora in fogli. Era molto comune quindi che un artista, dopo aver mischiato una quantità di un certo colore, lo posasse di seguito in una serie di miniature diverse [...]. Nel penultimo stadio, di nuovo evidente nell’Apocalisse Douce, gli strati di colore venivano ricoperti con toni più forti o più leggeri in modo da dare delle ombreggiature o delle lumeggiature. L’ultimo stadio era raggiunto quando l’artista tracciava il contorno dove la lamina d’oro doveva essere rifilata agli orli, nonché i profili delle figure e delle pieghe dei vestiti”.17 Talvolta erano indicati i colori da utilizzare; tale pratica è evidente soprattutto nei manoscritti inglesi e francesi dal XII al XIV secolo. 31 I contenuti delle miniature a) Il primo Medioevo modelli per i miniatori ma, come concordano gli studiosi, si tratta di andare alla ricerca di tracce su come La Regola di San Benedetto afferma l’ossequio all’au- un artista imparava, praticava e registrava pose, attorità e, in generale, come definisce Walter Ullmann teggiamenti, forme utili per il suo lavoro e anche se l’artista operava con modelli mentali e visivi, doveva “il tema discendente” del Governo e della Legge, comunque costruire ex novo il ciclo della vita di ogni cioè l’autorità imposta dall’alto. santo. Infine la vita nel monastero, segnata dall’obNell’Alto Medioevo (650-110 circa) generalmente il bedienza all’autorità dell’abate, era caratterizzata ancalligrafo era spesso anche miniatore e quindi, dato che il compito del calligrafo era quello di trascrivere che dalla presenza di monache e monaci che provenivano dai ceti sociali più elevati della società, le clasfedelmente il testo che aveva davanti, anche nella ideazione e realizzazione delle miniature l’artista co- si aristocratiche e che erano tenuti a dare risorse fipiava delle immagini da un modello, e questa azione nanziarie per il monastero. Talvolta, o spesso, malgrado i voti di povertà essi conservavano ricchezze era considerata un atto di obbedienza all’autorità. private e quindi la tensione tra autorità e indipenden“L’opinione che il compito dell’artista sia quello di za o meglio individualità, si rifletteva nell’arte monacreare qualcosa di nuovo è profondamente radicata nella conoscenza culturale contemporanea, ma que- stica. In un episodio della vita di san Benedetto si narra di sta valorizzazione dell’originalità è un retaggio del periodo post-rinascimentale, e in particolare del Ro- un giovane monaco messo a servire in tavola che, nella sua superbia, sa di essere superiore al santo per manticismo”, scrive Jonathan Alexander.18 Ma la copia non sempre è esatta e le varianti sono le- classe sociale e si risentiva del compito che gli era stato affidato. La lettera miniata può essere, secondo gate alla tipologia dei testi e in particolare le vite dei santi, di cui gli artisti dovettero inventarsi le immagi- Ullmann e Alexander, una metafora di questa tensione, in quanto dimostra sia la libertà di sperimentare ni, o al ruolo del calligrafo-miniatore nel monastero e alla attenzione dell’abate. Un secondo aspetto riper una finalità decorativa piuttosto che quella illuguarda degli ipotetici “libri di modelli”: nell’Alto Me- strativa autorizzata, sia i limiti che ancora costringedioevo non esistono dati certi sull’esistenza di libri di vano il miniatore dell’Alto Medioevo. Ma i limiti erano anche tecnici: la lettera da miniare aveva dei confini precisi; si trattava di renderla comunque leggibile e di conservare il repertorio di modelli e di ornamenti. Nel Basso Medioevo la trasformazione laica del71 l’arte del miniare non ag- 72 giunge creatività, ma anzi, proprio il nuovo grado di professionalità conferisce maggiore uniformità e standarizzazione alle miniature. b) Tra XII e XIII secolo E’ questo il periodo di transizione in cui cominciano a prevalere i miniatori di professione rispetto agli artigiani monastici. Nel XII secolo appaiono molti manoscritti finemente miniati, prodotti dai monasteri e che avevano un uso legato alla vita religiosa delle cattedrali e dei monasteri stessi, in particolare Salteri19 e Bibbie. Queste ultime venivano usate per le letture 71. Amanuense e donna miniatrice al lavoro sui fogli di un manoscritto, (cod. latin 25526, “Roman de la Rose”, f. 77v) miniatura 1300 ca., Parigi, Bibliothèque nationale 72. Lettera istoriata (da “Metafisica” di Aristotele con il commento di Averroè e glosse marginali, ms. Lat., 6505, f. I, XIV secolo) Parigi, Bibliotheque Nationale 32 73 durante i pasti, nel refettorio dei monasteri e diventano quindi uno strumento indispensabile per tutte le istituzioni conventuali. Questa fase tra XI e XII secolo coincide con l’epoca della riforma monastica e dello sviluppo dell’ordine benedettino, che diventa prestigioso committente delle arti in generale. Ciò valeva per le comunità benestanti; quelle fondate da poco non avevano, invece, né le risorse, né le capacità di produrre autonomamente la propria Bibbia. Il Salterio, che è la preghiera ufficiale della Chiesa e comprende i quattro momenti di preghiera della giornata, “Lodi mattutine”, “Ora media”, “Vespri” e “Compieta”, ha una grande diffusione. I manoscritti del XII secolo sono ricchi di immagini miniate, originali sia per complessità che per arricchimento dell’iconografia pittorica, grazie proprio alla maggiore attività degli artisti laici. Gli studiosi ritengono che una delle caratteristiche della miniatura del XII secolo sia il suo debito nei confronti dell’arte bizantina, determinato dai nuovi contatti con l’Impero d’Oriente, favoriti dalle Crociate e dall’attenzione dei re normanni per l’arte (va ricordata la committenza dei cicli monastici nella Cappella Palatina a Palermo e a Monreale). Contestualmente la riforma dell’ordine benedettino conduce alla critica dell’arte considerata troppo lussuosa e la necessità, quindi, di raggiungere una uniformità, segno della misura e dell’umiltà dell’artista. Un secondo elemento importante di questo periodo è rappresentato dalla crescita del livello di alfabetizzazione e dalla conseguente domanda di libri. Aumentano le scuole e con la fondazione di Università come Parigi e Bologna, si moltiplica la produzione di libri: i testi glossati della Bibbia, le Sentenze di Pietro Lombardo, il suo commento a San Paolo, i libri di diritto. Appare una specifica forma di decorazione, chiamata stile del “leone bianco”, facilmente imitabile e quindi diffusa nei principali centri di produzione del libro ed un fenomeno analogo si sviluppa per la produzione di Bibbie di piccolo formato, le cui iniziali istoriate, dipinte a penna, sono frutto del lavoro di una vasta schiera di artigiani specializzati, soprattutto laici. Si può sottolineare, quindi, che “come nel periodo precedente ci sono possibilità per i miniatori di eva- dere o anche sfidare l’autorità del ciclo preesistente e anche i vincoli del testo. Nel XII secolo, tale opportunità è offerta dall’apparato decorativo usato per i fregi e soprattutto per le iniziali [...]. Nel XIII secolo, un nuovo spazio, i margini della pagina, diventa disponibile. Le scene marginali o del bas-de-page con grottesche, scherzi (drôleries) e una quantità di scene tratte da testi secolari e religiosi, così come molte altre senza alcun supporto testuale, sono state recentemente fatte oggetto di particolare attenzione. Qui 74 33 scritti o miniati, sono stesi ad asciugare. Questa unica immagine autoreferenziale è in significativo contrasto, nell’umiltà della rappresentazione non incorniciata, con i ritratti ufficiali del donatore in cui i mecenati, nobili o ecclesiastici, si commemoravano frequentemente”.20 c) Tra XIV e XV secolo A partire dal XIII secolo vi è una relazione sempre più stretta tra stile dei miniatori e lo sviluppo e la diffusione, soprattutto in Italia, della pittura su tavola. Secondo i più accreditati studiosi, se fosse sopravvissuto un numero cospicuo di pittura murale del primo Medioevo, le relazioni tra miniatura e pittura monumentale in Occidente nel periodo anteriore al 75 1300 risulterebbe più evidente. Invece esempi di pittura monumentale, murale o su tavola intervenuti a fantasia, giochi, battaglie, osservazioni dal vero, sati- influenzare i miniatori di manoscritti sono sempre ra, commento sociale, tutto si mescola. Sebbene, an- più numerosi dal XIV secolo, anche se in questo peche in tale contesto, si assista talvolta alla copia e al- riodo è diffusa la doppia attività di miniatore e pittol’adattamento e i motivi possano risultare da una sor- re. Lo status dell’artista continua ad elevarsi, anche ta di migrazione, la cosa importante appare la grande se l’arte del miniare viene considerata un’arte minovarietà e la possibilità di innovazione. [...] Per esemre. Vasari, nel descrivere la vita di un miniatore pio, una scena marginale, decisamente slegata dal te- Giulio Clovio - lo descrive come “un piccolo e nuosto del Roman de la Rose a cui si accompagna, sembra vo Michelangelo” che “ha di gran lunga superato offrire un caso quasi unico. Essa, databile intorno al quanti altri mai si sono provati in queste maniere di 1300, rappresenta la scrittura e la decorazione del pitture”21 manoscritto da parte di un uomo e di una donna al Anche i miniatori sono autori in movimento e centri lavoro in un interno dove dei fogli di pergamena, come Parigi o l’area delle Fiandre alla fine del XIV secolo sono luoghi in cui gli artisti operano e sog73. Codex (da “Giustiniano Legislatore” Ms.Vat. Lat. 1430 f. 3). Città del Vaticano, Bigiornano a lungo. Aumenta anche la circolazione di blioteca Apostolica manoscritti miniati, sia come libri di studio portati a 74. Medico che analizza le orine (da “manoscritto padovano” Ms. 25, f. Iv., del 1434) casa da soggiorni e viaggi all’estero, come ad esemMonaco di Baviera, Bayerische Statsbibliothek 75. Maestro che scrive (Ms. 9017, f. 40) Bruxelles, Bibliothèque Royale pio fecero gli umanisti italiani, sia come doni tra go76. Nicolas Oresme, con uno strumento astronomico, intento a scrivere (da Nicolas vernanti o omaggi diplomatici. Cominciano anche a Oresme, “Le traité de la sphère”, Ms. Français 565, f. 1, XV secolo) Parigi, svilupparsi mercati specializzati per l’esportazione, Bibliothèque Nazionale come quello di calligrafi e miniatori fiamminghi che crearono Libri d’Ore per il mercato inglese del XV secolo. Inoltre nei secoli XIV e XV cambia la committenza e vengono richieste nuove modalità di illustrazione, soprattutto per i testi laici e un nuovo atteggiamento nei confronti delle immagini religiose, la loro funzione e il loro scopo. Anche rispetto alle copie avvengono delle modificazioni nel corso del XV secolo: da un lato si assiste allo sviluppo di un sistema di produzione di copie destinate all’esportazione, e proba- 76 34 77 bilmente realizzate in serie e in un formato trasportabile, dall’altra al tentativo di controllare le importazioni e il mercato dei manoscritti, a cui contribuisce il contrassegno dei miniatori apposto nel testo. Compare anche una nuova tipologia di libri di modelli per i miniatori: non si tratta più di una raccolta di produzioni per pubblicizzare le capacità del miniatore, quanto piuttosto di un vero e proprio manuale d’istruzioni completo di indicazione di tecni- che e con repertori di immagini. Inoltre l’esistenza e la diffusione di libri di modelli d’alfabeto, con esempi di iniziali decorate, fa presupporre una maggiore specializzazione di ruoli in questo periodo: è sempre più evidente la divisione del lavoro e l’uso di “scorciatoie” come il lavoro a stampo e il ricalco. La struttura della bottega, o atelier, del miniatore tra XIV e XV secolo, non è stata ancora sufficientemente studiata; certamente, data la mole di lavoro prodotta dai miniatori, si può dedurre che il personale della bottega fosse numeroso. Dalla fine del XV secolo “molte miniature si erano evolute fino a somigliare a minuscoli dipinti su tavola, e alcune venivano addirittura mostrate incorniciate come se fossero appese al muro o poste sopra gli altari come pale. [...] Non è il testo che ha avuto bisogno dell’immagine”, né è probabile che fosse esplicitamente richiesto dal committente o dal mecenate. “Essi possono aver richiesto un manoscritto illustrato più sontuoso, ma è più probabile che sia stato lo stesso artista a decidere sulla natura delle nuove immagini e facendo questo egli liberava le immagini dal libro, dal momento che non dipendevano più direttamente dal suo testo specifico, dalle convenzioni che dettavano la loro collocazione nel testo. Invece le miniature dipendevano dalla sua immaginazione. Questo aspetto di individualità artistica non dovrebbe tuttavia essere enfatizzato eccessivamente, poiché tale risposta va anche vista nel contesto dell’esperienza religiosa di quell’epoca e cioè del nuovo movimento di spiritualità conosciuto come Devotio Moderna in Olanda. Ma tuttavia l’artista appare ora libero in modo nuovo e, prendendo in considerazione tutte le ragioni per cui la miniatura scompare gradualmente dopo l’invenzione della stampa, eccetto casi eccezionali anche questo fatto deve esse- re tenuto a mente. Il libro e il suo testo avevano messo un freno all’individualità artistica, non solo nei sistemi di produzione, che erano principalmente impresa collettiva, ma nella sua stessa funzione dal momento che si richiedeva che l’artista si sottomettesse a un’autorità esterna e cioè all’impressione pittorica imposta dal testo stesso. Quando l’individualità artistica iniziò ad essere sempre più messa in valore, l’attività della miniatura su libro, con i suoi processi di creazione svolti per trasmissione di immagini e per collaborazione di diversi artisti, diventa sempre più emarginata”22 La rappresentazione dello studio Come abbiamo già visto, per i miniatori lo studio era, inizialmente, soprattutto l’attività del “copiare”, del riprodurre i testi sacri e il sapere della tradizione e di abbellirli con immagini; apprendere significava ripetere e insegnare significava commentare i testi sacri. Poi, con la nascita delle Università, il libro aumenta di valore: la necessità di avere più libri, materiali di studio per i maestri e gli studenti, fa dei manoscritti un elemento centrale e, nello stesso tempo, status simbol del potere cittadino e del mecenatismo. Il sapere diventa progressivamente autonomo e si libera lentamente dai vincoli dell’obbedienza ai dogmi. La scienza e la tecnica si affacciano con dignità pari al sapere umanistico, anche se non senza difficoltà, all’orizzonte della pluralità dei saperi. Il manoscritto si arricchisce, dunque, di immagini miniate, capilettera ornati, bordi, figure e i miniatori forniscono non solo una rappresentazione di se stessi, ma anche quella dei luoghi dove sviluppano la loro attività di studio, dove sapere, arte e tecnica si fondono e contribuiscono allo sviluppo della cultura dell’immagine. 35 niature lasciano il posto alla illustrazione in serie, anche se per molto tempo ancora possedere un libro miniato rimase un segno di prestigio sociale ed economico. ne standardizzate che, alla fine del XV secolo, hanno condotto in tutta Europa a una grande diffusione del Libro d’Ore a stampa. Caratteristica di questi opuscoli a uso privato è la decorazione miniata delle sue parti principali che constano solitamente, oltre all’Ufficio della Vergine, del calendario e dell’Ufficio dei defunti. Il calendario compare sempre all’inizio, come nei libri liturgici e, quando è illustrato, esso presenta usualmente le immagini dei segni zodiacali e dei Lavori dei mesi. Note 1 ROMERO CASTELLÒ E., MACÌAS KAPÓN U., Gli Ebrei e l’Europa. Duemila anni di storia, Milano 1994, p. 110 16 ALEXANDER J.G.J., cit., p. 61 17 Ivi, pp. 64-65 18 Ivi, p. 111 STEFANI P., Gli ebrei, Bologna 1997, p. 23 19 Libri dei Salmi Ivi, p. 24 20 Ivi, p. 170 4 Ivi, p. 25 21 VASARI G., Le vite de’ più eccellenti pittori, scultori ed architettori, a cura di G. Milanesi, vol. 7, 5 Cfr. ROMERO CASTELLÒ E., MACÌAS KAPÓN U., Gli Ebrei e l’Europa. Duemila anni di storia, Firenze 1881, ristampa Firenze 1981, pp. 557-569 2 3 Milano 1994, pp. 110 e sgg. 6 22 ALEXANDER J.G.J., cit., pp. 208-209 Sefarditi sono denominati gli ebrei di origine iberica (in ebraico Sefarad - Spagna) che, dopo l’espulsione nel 1492 si stabilirono in Olanda, Turchia, Nordafrica, Italia (Livorno, Ancona, Roma, ecc.), penisola balcanica. Seguono il rito spagnolo e talvolta parlano l’antico Per saperne di più spagnolo (ladino). ALEXANDER J.G.J., I miniatori medievali e il loro metodo di lavoro, Modena 2003 7 78 Studiare si rappresenta come l’attività del maestro che, dall’alto della sua cattedra, fa lezione agli studenti, ma è anche la rappresentazione dell’intellettuale che, con gli attrezzi del mestiere, si apparta in un luogo dedicato esclusivamente alla riflessione, alla lettura, alla scrittura. Libri aperti, calamai, inchiostri, penne, pergamene, una finestra aperta sul mondo e i simboli della disciplina o della sapienza religiosa o laica dell’epoca a fare da coreografia essenziale. Con la diffusione delle incisioni e della stampa le mi- Ashkenaziti sono gli ebrei della Germania e quelli, originari della Germania, fuggiti poi in BERNASCONI M., DAL POZ L., Codici miniati della Biblioteca Comunale di Trento, Firenze 1985 Polonia, Russia, Ungheria e di qui in America. Gli ashkenaziti sono per lo più di lingua BOLOGNA G., Manoscritti e miniature. Il libro prima di Gutenberg, Milano 1988 jiddish. BRUNELLO F. (a cura di), “De arte illuminandi” e altri trattati sulla tecnica della miniatura medievale, 8 ALEXANDER J.G.J., I miniatori medievali e il loro metodo di lavoro, Modena 2003, p. 13 Venezia 1983 9 Ivi, p. 26 FRÜHMORGEN - VOSS H., Text und Illustration im Mittelalter. Aufsätze zu den Wechselbeziehungen 10 DANTE ALIGHIERI, Purgatorio, XI, vv. 79-81 zwischen Literatur und bildender Kunst, München 1975 11 ALEXANDER J.G.J., I miniatori medievali e il loro metodo di lavoro, Modena 2003, p. 30 MANIACI M., Terminologia del libro manoscritto (Istituto centrale per la patologia del libro, Edi- 12 Ivi, p. 46 trice Bibliografica), Roma 1996 13 Ivi, p. 55 MARIANI CANOVA G., La miniatura Veneta del Rinascimento 1450-1500,Venezia 1969 14 Ibidem ROMERO CASTELLÒ E., MACÌAS K APÓN U., Gli Ebrei e l’Europa. duemila anni di storia, Mila- 15 Le “Ore”, che per noi oggi sono l’unità di misura della giornata, nel medioevo designava- no 1994 no l’ufficio delle preghiere devozionali, dei salmi, degli inni e dalle letture da recitare quoti- SED-RAJNA G., The Hebrew Bible in Medieval Illuminated Manuscripts, New York 1987 dianamente in determinati momenti della giornata. STEFANI P., Gli ebrei, Bologna 1997 Il Libro d’Ore è un compendio di testi devozionali ad uso dei laici che ha il suo nucleo centrale nell’Ufficio della Vergine: le Horae Beatae Mariae Virginis. Improntato sui breviari liturgici la sua origine risale al secolo XI, ma questo comincia a diffondersi solo dalla metà del XII secolo per raggiungere poi, tra XIV e XV secolo, un successo tale da richiedere una produzione quasi industriale, eseguita da botteghe specializzate con procedure di esecuzio- 77. San Luca (da “Epistolario”, ms. Add. 15815, c. 61 r.) Londra, British Library 78. Girolamo da Cremona, Francesco Alvarotti e un allievo (da “Consilia et Allegationes” ms. 450, 1477-78) Ravenna, Biblioteca Classense