Progetto Fisco in Classe
UFFICIO DI RAGUSA
M.I.U.R.
Centro Servizi
Amministrativi Ragusa
COMUNE DI RAGUSA
Una favola per grandi e bambini
per riflettere sulla giustizia fiscale
Testi di Giovannella Trovato
Realizzazione grafica di Peppe Russo
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Presentazione
Nel quadro delle iniziative di carattere istituzionale “Fisco in Classe”, quest’anno
l’Agenzia delle Entrate – Ufficio di Ragusa ha pensato di rivolgersi anche ai
bambini delle scuole elementari attraverso una favoletta, ideata e scritta dal
personale dell’Ufficio, con l’intento di stimolare in loro il senso civico di
appartenenza allo Stato, anche attraverso il regolare adempimento delle obbligazioni
tributarie.
I bambini di oggi saranno i contribuenti di domani, ed è giusto che loro capiscano
sin da ora che l’assolvimento degli obblighi tributari non deve essere percepito come
un subire vessazioni, ma come un atto spontaneo che può dare motivo di orgoglio
nel sapere di poter partecipare, secondo le proprie capacità contributive, al
mantenimento dei servizi pubblici, sempre più efficienti.
AGENZIA DELLE ENTRATE – UFFICIO DI RAGUSA
Gian Franco Vindigni
Attraverso lo strumento della narrazione fiabesca (“La rinascita di Valle Scura”)
viene adottato un metodo pedagogicamente adeguato per educare i ragazzi che
frequentano le scuole alla comprensione dei valori che vengono garantiti, o
comunque dovrebbero essere garantiti, dal sistema fiscale in una società
democratica.
Significativa in tal senso, nella fiaba, è la contrapposizione tra il prelievo
indiscriminato di denaro adottato da Messer Gabelliere, simbolo di società tipiche
dell’ancienne regime, e la cui iniquità è data dall’uso personale operato della
ricchezza prelevata, ed il prelievo non vessatorio adottato da Messer Giusto non per
proprio conto ma nella qualità di rappresentante della comunità e i cui proventi sono
destinati alla realizzazione di servizi di pubblica utilità.
Il testo fiabesco, in definitiva, veicola alcuni messaggi di particolare rilievo:
l’adozione di un sistema fiscale, che sia connotato da giusti criteri di prelievo, è
indispensabile per lo sviluppo e la crescita di una intera comunità civile e, quindi, il
pagamento delle imposte dovute, lungi dall’essere un atto di ingiustificata
appropriazione di parte della ricchezza da ciascun cittadino prodotta, costituisce il
necessario contributo per una convivenza civile adeguata ai bisogni dei cittadini
stessi.
Inoltre, il pagamento delle imposte da parte di tutti i cittadini consente una più equa
distribuzione del prelievo fiscale e, quindi, un minor onere per ciascun cittadino.
Apprezzabile, quindi, per il suo valore di intelligente contributo alla crescita di una
autentica coscienza civile, è l‘iniziativa dell’Ufficio di Ragusa dell’Agenzia delle
Entrate.
IL PROVVEDITORE AGLI STUDI
Rocco Agnone
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Si comprano molte fiabe per i bambini di oggi, ma quasi mai i genitori trovano il
tempo per leggerle con loro: dicono che “non hanno tempo” perché devono lavorare
e sono stanchi, ma forse è vero che “non si danno il tempo” perché hanno
dimenticato come sia piacevole farlo, anche per loro stessi.
Una città che non trova il tempo di leggere una fiaba ai propri figli è una città più
povera e più triste, non solo perché si priva di una paternità e maternità responsabili,
ma anche perché mortifica la tenerezza di una relazione intima con i propri bambini
e perde quell’emozione che provano gli adulti quando liberano la propria fantasia
dalla prosaicità della vita quotidiana.
A volte, si ricorre all’aiuto dei nonni, ultimo epigono di quell’ascolto attivo che fa
crescere i più piccoli e li fortifica, a volte invece sono questi che trovano da soli il
modo per costruirsi un mondo di realtà fantastiche in cui imparare a crescere.
Chi rischia allora di restare vittima della propria aridità creativa sono quei genitori
che le favole hanno smesso di inventarle e di raccontarle da tempo.
La bellissima fiaba di Giovannella Trovato, illustrata dai disegni di Peppe Russo,
“La rinascita di Valle Scura”, è quindi un’occasione per ripensare a quanta felicità
possa generarsi da una favola raccontata con amore dai genitori ai propri figli, e
nello stesso tempo è per loro un prezioso e originale sussidio didattico sull’equità
fiscale e sul valore della giustizia degli amministratori pubblici verso i propri
concittadini.
E’ bene che i bambini imparino da una fiaba narrata da genitori attenti che “un buon
amministratore è chi si preoccupa di rendere il villaggio accogliente e vivibile per
tutti”, che nel far pagare le tasse egli “non prende i soldi per sé, ma per la comunità”,
che “ciascuno di noi, da solo, non saprebbe provvedere ai servizi di tutti ma occorre
qualcuno che organizzi queste attività” e specialmente che “per pagare meno
bisogna pagare tutti”.
Ma è bene anche che ciascuno di noi, che ha responsabilità nella guida del villaggio
degli uomini, sia sempre meno “Messer Gabelliere” e sempre più “Messer Giusto”.
Buona lettura a tutta la famiglia!
IL SINDACO
Tonino Solarino
Sempre pronti a sostenere le iniziative di carattere sociale, abbiamo colto
l’occasione per dare un supporto alle Istituzioni Pubbliche, nella fattispecie
l’Agenzia delle Entrate di Ragusa, contribuendo concretamente alla divulgazione del
presente opuscolo destinato agli alunni delle scuole elementari, perché possa
costituire momento di riflessione a scuola ed all’interno della famiglia.
BANCA AGRICOLA POPOLARE DI RAGUSA
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La rinascita di Valle Scura
C’era una volta una grande valle, che a dispetto
del suo nome, Valle Scura, era rigogliosa ed assolata,
bagnata da un fiume e ricca di vegetazione, nella quale
sorgevano piccoli e pacifici villaggi, poco distanti l’uno
dall’altro.
I suoi abitanti avrebbero potuto vivere felici, grati
ad una natura così generosa, se non fosse stato per un
gruppo di prepotenti che governava tutta la regione e
viveva sfarzosamente sfruttando il lavoro della gente più
povera, imponendo sempre nuove tasse e riducendo il
popolo alla fame; e questa triste situazione aveva dato
alla valle il nome che portava.
I paesini erano cupi, le strade dissestate, le
casupole malandate e spesso pericolanti; i loro abitanti,
come anche gli animali che possedevano, avevano un
aspetto denutrito e trasandato, e nell’aria ristagnava
spesso un cattivo odore di sporcizia. Tutto dava l’idea di
abbandono e d’incuria.
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A capo di questo gruppo di arroganti stava il
malvagio Messer Gabelliere, un losco individuo giunto
molti anni prima in quella valle felice, che aveva raccolto
intorno a sé persone senza scrupoli, che vivevano negli
agi e nel lusso costringendo la gente dei villaggi a
lavorare per loro.
Egli viveva, insieme ai suoi insolenti amici, in un
tetro castello in cima ad una collina che dominava tutti i
villaggi sparsi nella valle, ed era un uomo avido di
ricchezze oltre ogni limite. E così, per saziare la sete di
denaro sua e della sua corte, inventava ogni giorno
nuove tasse da imporre agli abitanti della valle, i quali,
ridotti in povertà, non riuscivano a mettere da parte
nemmeno un soldino.
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Ogni giorno le guardie di Messer Gabelliere, i
crudeli Esattori, percorrevano le vie dei borghi, bussando
a tutte le case e pretendendo denaro anche per le cose
più assurde: si doveva pagare la “tassa sulla luce”, se le
finestre erano aperte, la “tassa sul buio”, se invece
rimanevano chiuse, ed addirittura la “tassa sulla
penombra”, se le finestre erano aperte a metà; poi
c’erano la “tassa per l’aria”, per ognuno che respirava, la
“tassa sui passi”, per chi camminava per la strada, la
“tassa sui colori”, che faceva pagare le persone secondo
il colore di cui erano vestiti (ed il colore cambiava ogni
giorno, secondo l’umore di Messer Gabelliere); e così via.
La povera gente aveva a stento di che vivere, ed
il malvagio gruppetto che li dominava inventava ogni
giorno nuovi balzelli, da aggiungere alle tasse sul pane,
sulla casa, sul lavoro, sugli animali, e così via, che si
pagavano ogni mese.
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In uno di questi villaggi, chiamato Ripa Verde,
vivevano, insieme ai genitori, che erano contadini, ed
all’anziana nonna Eusebia, tre deliziosi bambini: Felice,
di otto anni, Allegra, di sei, e la piccola Aurora di tre.
I loro genitori ogni giorno partivano all’alba per
lavorare nei campi, e facevano ritorno a casa, esausti,
solo a tarda notte; ad accudire ai piccoli badava la saggia
Eusebia.
Una sera i genitori, tornati a casa particolarmente
stanchi, consumarono, insieme con gli altri, un frugale
pasto, poi andarono subito a letto.
Felice, che era un bambino piuttosto vivace, non
riusciva a dormire, anche perché era ancora affamato.
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Così si alzò, in punta di piedi, reggendo in mano la
candela, per andare a prendere nella dispensa un po’ di
pane; ma passando davanti alla porta socchiusa della
camera dei genitori, li sentì parlare tra loro.
“Io non so come potremo andare avanti così”,
diceva la madre. “Oggi ho venduto le patate, ma non ho
fatto in tempo a conservare il denaro che gli Esattori
l’hanno preteso tutto; mi erano rimaste due lattughe, e le
ho barattate con tre uova con la nostra vicina. Anche a lei
oggi hanno preso tutto…dicevano che per andare al
mercato aveva percorso una strada più lunga, così ha
dovuto pagare la tassa sui passi…”
“Non affaticarti a parlare”, disse il marito, “sei
ancora troppo debole; non sei del tutto guarita dalla
tosse, ed io non so come pagare il dottore per lo sciroppo
che ti ha dato la settimana scorsa.”
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La moglie tossì a lungo, poi riprese a parlare: “Se
Messer Gabelliere ci desse una tregua! Lui ed i suoi
amici sono avidi di ricchezze, ci spremeranno fino
all’ultima goccia! Felice ha bisogno di scarpe nuove,
Aurora giocando ha rotto la bambolina di pezza di
Allegra, e volevo fargliene un’altra…e Nonna Eusebia,
che pur non si lamenta, ha uno scialle liso e
consumato…come faremo, marito mio?”
“Se qualcuno potesse far ragionare quei
prepotenti!” rispose il marito. “Ma nessuno di Ripa Verde
o dei paesi vicini oserà farlo: chi prova a lamentarsi
finisce in prigione…”
Felice, immobile dietro la porta, rifletteva sulle
parole appena udite. L’unica soluzione era provare ad
uscire dalla valle: forse si sarebbe trovato qualcuno, al di
là di essa, che avrebbe potuto aiutarli.
Corse così a svegliare Allegra, che era una bimba
abbastanza matura per la sua età, ed alla luce di una
piccola candela le raccontò ogni cosa.
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“Oh, quei cattivoni!” esclamò la piccola. “Vorrei
tanto trasformare Messer Gabelliere in un rospo, lui e le
sue stupide guardie!”
“Cerchiamo, invece, di ragionare: se vogliamo
aiutare mamma e papà dobbiamo andare via subito.
Usciremo dalla valle, e cercheremo qualcuno che possa
aiutarci! Il mondo non può appartenere tutto a quel
Messer Gabelliere ed ai suoi amici!”
“Ma dove andremo?” chiese la piccina, allarmata.
“Io non sono mai uscita da Ripa Verde!”
“Prenderemo la via che va al boschetto, poi
passeremo sul ponte che attraversa il fiume, che è anche
il confine di Valle Scura. Eviteremo gli altri villaggi, dove
la situazione è identica. Una volta lontani dalla valle,
vedremo il da farsi.”
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Così i due piccoli, a notte fonda, approfittando
della luna piena, sgattaiolarono fuori da una finestra e
s’incamminarono per la via che da Ripa Verde si
addentrava nel bosco; dopo un lungo cammino giunsero
al ponticello, lo attraversarono, poi proseguirono ancora
per sentieri sconosciuti.
Camminarono per tutta la notte, tenendosi per
mano e facendosi coraggio, e quando era quasi l’alba, si
addormentarono, sfiniti, rifugiandosi dentro la corteccia di
un grande albero cavo.
Al loro risveglio si accorsero di essere immersi in
una fitta nebbia nella quale parevano muoversi delle
ombre; Allegra si strinse istintivamente al fratello,
aggrappandosi al suo braccio.
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Dalla nebbia, qualche minuto dopo, emerse una
figura che si avvicinò ai piccoli: era un ragazzino,
dall’apparente età di 15 anni, che li guardava sorridendo,
con i suoi vivaci occhi azzurri.
“Vi siete perduti?”, chiese. “Da dove venite? Come
vi chiamate? Io sono Benedetto, e vivo a Dolce Miele,
uno dei villaggi di Val Gioiosa. Se volete, potete venire
con me, così mangerete qualcosa e potrete riposarvi. E
magari, intanto, mi racconterete di voi.”
Felice ed Allegra lo seguirono, rincuorati.
Benedetto li guidava, sicuro, attraverso la nebbia
che si diradava alle prime luci del mattino, svelando, a
mano a mano, alberi e cespugli, ed un sentiero che
lasciava intravedere le prime case di un grazioso paese.
“Eccoci arrivati a Dolce Miele. Venite, vi porto a
casa mia.”
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I due fratellini si guardavano intorno: strade pulite
ed ordinate, casette graziose con giardinetti ed orti curati
intorno, una bianca fontana al centro di una piazza, nella
quale c’erano tante bancarelle colorate, dove gli abitanti
del villaggio, ben vestiti e sorridenti, vendevano le loro
mercanzie. Tutto trasmetteva una sensazione di serenità
e benessere, di ricchezza e allegria.
Il villaggio di Benedetto era adagiato tra verdi
colline, ed in cima ad una di esse sorgeva un maestoso
palazzo.
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“Avranno anche loro un Messer Gabelliere…”,
pensò timorosa Allegra.
“Chi vive lassù?”, chiese Felice, seguendo lo
sguardo della sorellina.
“Lassù vive Messer Giusto, saggio amministratore
di tutti i villaggi di Val Gioiosa.”
“Che vuol dire amministratore?” chiese Allegra.
“Vuol dire”, rispose il ragazzo, “che è colui che
amministra i nostri villaggi, cioè si preoccupa di renderli
accoglienti e vivibili, di dare agli abitanti tutti quei servizi
che facilitino la loro vita. Avete visto che belle strade
abbiamo? E’ tutto merito di Messer Giusto. Entrate dentro
casa mia, e vi mostrerò il resto.”
La casa di Benedetto, come le altre del paese, era
linda e graziosa, ed ospitava nella stanza d’ingresso un
grande camino nel quale scoppiettava un allegro
fuocherello, davanti a cui stava tranquillamente seduto un
bel gatto bianco e nero.
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Li accolse sulla soglia la madre di Benedetto, una
donna dolce e sorridente, che, dopo aver ascoltato li
racconto del figlio, li invitò ad entrare ed offrì loro del latte
caldo munto da poco ed una fragrante fetta di crostata di
mele appena sfornata.
I bambini, rinfrancati dal caldo benvenuto ricevuto
e dalla ricca colazione, si sedettero vicini al camino, ed
iniziarono a raccontare del loro viaggio notturno, e delle
tristi condizioni in cui versavano i loro compaesani.
Narrarono di Ripa Verde, così abbandonato all’incuria,
dei genitori, sempre più avviliti dal duro lavoro e dalla
miseria, della dolcissima nonna che li aveva allevati, e
soprattutto della soffocante tirannia di Messer Gabelliere
e dei signorotti che governavano con lui.
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La madre di Benedetto era sempre più dispiaciuta
man mano che ascoltava questa triste storia, non
riuscendo neanche ad immaginare come degli uomini
potessero tenere così crudelmente sotto il proprio giogo
interi villaggi.
“Benedetto, ciò che ho appena sentito è terribile.
Vai al palazzo di Messer Giusto e chiedi se può
concederci udienza immediatamente. Dì che si tratta di
una cosa grave.”
Mentre il ragazzo si precipitava fuori e si avviava
verso il palazzo, la madre prese a spiegare, invece, come
si viveva a Dolce Miele e nei paesi della Val Gioiosa.
“Vedete, qui tutti siamo grati a Messer Giusto, che
ha reso la nostra vita più semplice e serena. Ognuno di
noi lavora tranquillamente, e produce qualcosa. Ad
esempio, oggi ho venduto le uova delle mie galline al
mercato, ed ho guadagnato dieci soldi. Otto li terrò per
me e per la mia famiglia, due li metterò da parte per
Messer Giusto.”
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“Con gli otto soldi che ho guadagnato”, proseguì la
donna, “potrò comprare cibo, legna e vestiti per me, per
mio marito ed i miei figli, e riuscirò anche ad acquistare
altre due galline. Così tra pochi giorni avrò più uova da
vendere, e potrò guadagnare di più. E, dunque, terrò
quasi tutto per me, mettendo solo da parte un altro soldo
per Messer Giusto; e così via.”
“Allo stesso modo, mio marito, che è un
taglialegna, vende la legna che porta a casa ogni giorno,
e da quanto guadagna toglie una piccola parte, che
conserva per l’Amministratore. E così fa la nostra vicina,
che vende il latte delle sue mucche ed il formaggio che
prepara; così fa la tessitrice con i suoi tessuti, e così pure
il mugnaio, col suo pane e la sua farina, e così ogni
contadino con i frutti del proprio orto. Ogni giorno, poi,
vengono mercanti dai vicini villaggi, e così c’è uno
scambio continuo di merci varie.”
“Accipicchia!”, esclamò Felice, “Messer Giusto
deve essere ricchissimo, molto più di Messer Gabelliere!”
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“Niente affatto”, disse la donna, “il nostro buon
Amministratore non prende questi soldi per sé, ma per
tutta la comunità. Con il denaro che gli diamo, affinché lo
amministri, ha riparato le nostre case, ha fatto tutte le
strade nuove, ha costruito la scuola per i nostri figli, e
paga i loro maestri.”
“Poi ha predisposto un piccolo ospedale, dove
vengono curati gli ammalati più gravi, mentre paga il
medico condotto, che visita in casa propria chi ha solo
qualche piccolo acciacco. Inoltre ha reso l’aria più
salubre, inventando un sistema per eliminare i rifiuti.
Provvede ad abbellire i nostri villaggi: avete visto quella
bella fontana che c’è al centro della piazza del mercato?
E’ opera sua, come lo sono anche tutti gli alberi che ha
piantato, ed il grande prato vicino la piazza su cui
giocano felici i nostri bambini. Così facendo, ha dato
lavoro a scalpellini, falegnami, fabbri, giardinieri, ed altri
artigiani, che, guadagnando del denaro, hanno potuto
metterne da parte per lui, e dunque per tutti noi.”
“Del resto, vedete bambini, ciascuno di noi, da
solo, non saprebbe provvedere ai servizi per tutti, occorre
qualcuno che organizzi tutte queste attività.”
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“Che bella cosa!”, esclamò il bambino. “E non vi
prende tutti i soldi che guadagnate, come fa con noi
Messer Gabelliere. Solo una piccola parte; in fondo, non
vi chiede grossi sacrifici, ed in compenso vivete in un
bellissimo posto.”
“E’ vero. Ma vedete, piccoli miei, per pagare così
poco, occorre che paghiamo tutti. Un piccolo sacrificio
per ciascuno è sopportabile; ma se alcuni non
pagassero, vuol dire che altri dovrebbero pagare di più,
per coprire delle spese che comunque vanno fatte. E ciò
non sarebbe giusto: in fondo, le strade le usiamo tutti, e
tutti i nostri figli frequentano la scuola.”
“Ciascuno di noi, inoltre” proseguì la donna, “può
aver bisogno, prima o poi, del medico condotto. Non
sarebbe giusto, pertanto, che alcuni si sottraessero a
questo piccolo sacrificio, che, a conti fatti, sacrificio non
è, perché ci fa vivere tutti meglio. Il segreto è proprio
questo: cedere tutti una piccola parte dei propri
guadagni, e vedere poi che questo piccolo obolo dà
grandi frutti, di cui tutti possiamo godere.”
“Ah, che bello se anche da noi fosse così!”,
sospirò Felice. “Ma Messer Gabelliere non accetterà mai
questo sistema: lui vuole tutto per sé!”
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“Non disperare”, disse la donna. “Messer Giusto è
un uomo dalle mille risorse…”, aggiunse con un sorrisetto
malizioso. Poi si alzò, tornando a rigovernare la casa,
mentre Allegra giocava col gatto, e il fratellino guardava
dalla finestra verso la collina sulla quale sorgeva il
palazzo di Messer Giusto, e da cui, poco dopo, vide
Benedetto tornare di corsa.
“Messer Giusto ci aspetta”, disse con un sorriso.
“Ci riceverà subito.”
“Alla buon’ora!”, rispose la madre, “muoviamoci.”
Così il gruppetto, cui si unì anche il padre di
Benedetto, si avviò verso il palazzo.
Appena giunti, vennero accolti con premura dalle
guardie al portone, che, informati del loro arrivo, li
stavano aspettando.
Un valletto li condusse attraverso corridoi e saloni
arredati con pochi e semplici mobili, e li introdusse in una
sala con al centro un grande tavolo, al quale erano seduti
degli uomini elegantemente vestiti e dall’aspetto gentile e
bonario.
Un uomo, alto e robusto, con una corta barba
grigia, ed una lunga sopraveste di velluto color rosso
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rubino, venne loro incontro, sorridendo benevolmente:
era Messer Giusto in persona.
“Benvenuti, cari ospiti, nella Casa di Val Gioiosa,
dove sono onorato di vivere. Il giovane Benedetto mi ha
accennato qualcosa, ma i miei saggi Consiglieri ed io
vogliamo sentire il racconto dalla voce di questo
coraggioso giovanotto e di questa incantevole damigella,
che hanno lasciato la loro famiglia e la loro casa,
affrontando un viaggio pieno d’incognite per giungere sin
qui.”
I bimbi, lusingati da un’accoglienza tanto calorosa,
e dall’essere trattati come due adulti, a turno narrarono la
vita a Ripa Verde, mentre Messer Giusto e gli altri
gentiluomini ascoltavano in silenzio, rabbuiandosi in viso
man mano che il racconto si arricchiva di particolari sulla
triste vita degli abitanti di Valle Scura.
Quando Felice ed Allegra ebbero finito di parlare,
un gran silenzio scese nella sala. I Consiglieri si
guardavano stupiti l’un l’altro, poi volsero lo sguardo a
Messer Giusto, che aveva sul viso un’espressione
accigliata e seria.
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“Signori miei, quanto abbiamo sentito è
gravissimo. Conosciamo tutti Messer Gabelliere, perché
molti anni fa viveva a Val Gioiosa, ed era uno di noi. Ma,
come tutti ricorderete, governando il suo villaggio aveva
dimenticato qual era il suo compito, ed aveva preso
l’abitudine di trattenere dal denaro versato dal popolo
una parte, sempre più cospicua, per i suoi capricci, e per
questo era stato cacciato. Adesso lo ritroviamo ancora
sul nostro cammino, più avido e malvagio di prima, e
circondato da gente della sua stessa specie, che vive
agiatamente alle spalle degli altri, costringendoli a
lavorare duramente”.
“E’ giunta l’ora di porre fine una volta per sempre a
questa ingiustizia”, proseguì Messer Giusto, “e di
restituire la fiducia ed il sorriso agli abitanti della vicina
valle. In questo modo, inoltre, molti di noi potranno
recarsi in quei miseri villaggi ed aiutare i loro abitanti a
ricostruirli, come molti anni fa facemmo qui. Insegneremo
a quella brava gente a governarsi come noi facciamo
ormai da tanto tempo, ogni villaggio nominerà il suo
saggio Consigliere e tutti insieme sceglieranno un buon
Amministratore. Adesso, muoviamoci in fretta.”
E, accarezzando i capelli di Allegra, che lo
guardava, estasiata, a bocca aperta, aggiunse: “Questa
deliziosa madamigella sarà ansiosa di riabbracciare la
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sua famiglia; quanto a te, Messer Felice, dovrò fare i
complimenti più vivi ai tuoi genitori, per aver allevato un
giovanotto così coraggioso. Bene, mettiamoci in marcia
senza altri indugi. Messer Marziale, radunate un
drappello di soldati; Messer Serafino, una carrozza per i
nostri ospiti. Ed ora, svelti, alla volta di Valle Scura!”
Velocemente gli ordini vennero eseguiti, ed un
grande corteo lasciò qualche ora dopo l’elegante palazzo
sulla collina: in testa marciava Messer Giusto, circondato
dai suoi Consiglieri più giovani, seguiva un folto drappello
di cavalieri, la carrozza che recava Benedetto, i suoi
genitori, Felice ed Allegra, e dietro a tutti venivano le
guardie di scorta.
Ben presto il corteo fu in vista di Ripa Verde: gli
abitanti sbirciavano, timorosi, dalle finestre, non osando
uscire, anche per timore della “tassa sui passi”! Giunto
davanti all’abitazione dei due bimbi, Messer Giusto scese
da cavallo e bussò. La porta venne socchiusa, e Nonna
Eusebia mise timidamente fuori il capo; poi, vedendo i
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nipoti, spalancò l’uscio e corse fuori ad abbracciarli,
seguita a ruota dalla piccola Aurora, che batteva le
manine tutta felice.
Dietro di lei, vennero fuori anche i genitori che, dal
giorno in cui i bambini erano andati via, li avevano cercati
senza sosta; vedendo tutta quella gente, rimasero, però,
un po’ timorosi, osservando in silenzio.
Si fece loro incontro Messer Giusto: “Siate
orgoglioso, brav’uomo, dei vostri figli. Hanno dimostrato
coraggio e generosità. Questa valle deve a loro il merito
di aver posto fine al regno di Messer Gabelliere. E, a
proposito, signori miei”, disse rivolgendosi ai soldati,
“abbiamo una piccola faccenda da risolvere.”
Di lì a poco il drappello giunse alle porte del
castello del tiranno, il quale, avendo visto arrivare tutti
quei soldati, ed avendo riconosciuto, in testa, Messer
Giusto, era impallidito e tremava di paura.
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In men che non si dica, il tiranno fu catturato e
imbarcato, insieme ai suoi Esattori ed a tutti quelli che
erano stati suoi complici, su un vascello che lo condusse
verso una lontanissima e tranquilla isola deserta; il
veliero poi tornò indietro, lasciando i malvagi in esilio.
Da quel giorno, Messer Gabelliere ed i suoi degni
compari avrebbero potuto fare i tiranni solo di se stessi!
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Gli abitanti di Valle Scura, ribattezzata poco tempo
dopo, Valle Chiara, seguirono l’esempio dei loro vicini, e
nominarono, per ogni villaggio, una persona saggia e
degna di rappresentarli. In breve tempo i paesini
tornarono a rifiorire, le strade furono aggiustate, le case
sistemate, ed i servizi per la comunità presero a
funzionare in modo efficiente.
Adesso la gente non aveva più timore di pagare le
giuste tasse, avendo capito che un piccolissimo sacrificio
di ciascuno di loro diventava per tutti una grande
ricchezza.
Gli abitanti di Ripa Verde, in particolare, non
dimenticarono mai il coraggio dei due fratellini, e, quando
Felice crebbe, gli mostrarono la propria riconoscenza
nominandolo Amministratore, compito che svolse
saggiamente con l’aiuto delle due sorelle.
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AGENZIA DELLE ENTRATE
UFFICIO DI RAGUSA
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Siamo in Piazza A. Ancione n.6, tel. 0932/221411,
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Dalla soppressione degli Uffici Finanziari (Sezione
Staccata della Direzione Regionale, Ufficio Iva, Ufficio
Imposte Dirette e Ufficio del Registro) e dalla trasformazione
di parte del Ministero delle Finanze in Agenzia delle Entrate è
nata una nuova struttura con i medesimi compiti dei soppressi
Uffici ma con un nuovo modo di operare, più snello, moderno
ed efficiente.
L’Ufficio è articolato in due aree:
Area servizi e relazioni con il contribuente
Area Controllo
La prima offre una serie innumerevole di servizi in
tempo reale agli sportelli di front-office e, in differita, per le
pratiche più complesse in back-office.
La seconda si occupa dei controlli, accertamenti e
verifiche nei confronti delle aziende, cura gli aspetti del
contenzioso tributario e della riscossione.
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La rinascita di Valle Scura_versione definitiva