Progetto Fisco in Classe UFFICIO DI RAGUSA M.I.U.R. Centro Servizi Amministrativi Ragusa COMUNE DI RAGUSA Una favola per grandi e bambini per riflettere sulla giustizia fiscale Testi di Giovannella Trovato Realizzazione grafica di Peppe Russo 2 Presentazione Nel quadro delle iniziative di carattere istituzionale “Fisco in Classe”, quest’anno l’Agenzia delle Entrate – Ufficio di Ragusa ha pensato di rivolgersi anche ai bambini delle scuole elementari attraverso una favoletta, ideata e scritta dal personale dell’Ufficio, con l’intento di stimolare in loro il senso civico di appartenenza allo Stato, anche attraverso il regolare adempimento delle obbligazioni tributarie. I bambini di oggi saranno i contribuenti di domani, ed è giusto che loro capiscano sin da ora che l’assolvimento degli obblighi tributari non deve essere percepito come un subire vessazioni, ma come un atto spontaneo che può dare motivo di orgoglio nel sapere di poter partecipare, secondo le proprie capacità contributive, al mantenimento dei servizi pubblici, sempre più efficienti. AGENZIA DELLE ENTRATE – UFFICIO DI RAGUSA Gian Franco Vindigni Attraverso lo strumento della narrazione fiabesca (“La rinascita di Valle Scura”) viene adottato un metodo pedagogicamente adeguato per educare i ragazzi che frequentano le scuole alla comprensione dei valori che vengono garantiti, o comunque dovrebbero essere garantiti, dal sistema fiscale in una società democratica. Significativa in tal senso, nella fiaba, è la contrapposizione tra il prelievo indiscriminato di denaro adottato da Messer Gabelliere, simbolo di società tipiche dell’ancienne regime, e la cui iniquità è data dall’uso personale operato della ricchezza prelevata, ed il prelievo non vessatorio adottato da Messer Giusto non per proprio conto ma nella qualità di rappresentante della comunità e i cui proventi sono destinati alla realizzazione di servizi di pubblica utilità. Il testo fiabesco, in definitiva, veicola alcuni messaggi di particolare rilievo: l’adozione di un sistema fiscale, che sia connotato da giusti criteri di prelievo, è indispensabile per lo sviluppo e la crescita di una intera comunità civile e, quindi, il pagamento delle imposte dovute, lungi dall’essere un atto di ingiustificata appropriazione di parte della ricchezza da ciascun cittadino prodotta, costituisce il necessario contributo per una convivenza civile adeguata ai bisogni dei cittadini stessi. Inoltre, il pagamento delle imposte da parte di tutti i cittadini consente una più equa distribuzione del prelievo fiscale e, quindi, un minor onere per ciascun cittadino. Apprezzabile, quindi, per il suo valore di intelligente contributo alla crescita di una autentica coscienza civile, è l‘iniziativa dell’Ufficio di Ragusa dell’Agenzia delle Entrate. IL PROVVEDITORE AGLI STUDI Rocco Agnone 3 Si comprano molte fiabe per i bambini di oggi, ma quasi mai i genitori trovano il tempo per leggerle con loro: dicono che “non hanno tempo” perché devono lavorare e sono stanchi, ma forse è vero che “non si danno il tempo” perché hanno dimenticato come sia piacevole farlo, anche per loro stessi. Una città che non trova il tempo di leggere una fiaba ai propri figli è una città più povera e più triste, non solo perché si priva di una paternità e maternità responsabili, ma anche perché mortifica la tenerezza di una relazione intima con i propri bambini e perde quell’emozione che provano gli adulti quando liberano la propria fantasia dalla prosaicità della vita quotidiana. A volte, si ricorre all’aiuto dei nonni, ultimo epigono di quell’ascolto attivo che fa crescere i più piccoli e li fortifica, a volte invece sono questi che trovano da soli il modo per costruirsi un mondo di realtà fantastiche in cui imparare a crescere. Chi rischia allora di restare vittima della propria aridità creativa sono quei genitori che le favole hanno smesso di inventarle e di raccontarle da tempo. La bellissima fiaba di Giovannella Trovato, illustrata dai disegni di Peppe Russo, “La rinascita di Valle Scura”, è quindi un’occasione per ripensare a quanta felicità possa generarsi da una favola raccontata con amore dai genitori ai propri figli, e nello stesso tempo è per loro un prezioso e originale sussidio didattico sull’equità fiscale e sul valore della giustizia degli amministratori pubblici verso i propri concittadini. E’ bene che i bambini imparino da una fiaba narrata da genitori attenti che “un buon amministratore è chi si preoccupa di rendere il villaggio accogliente e vivibile per tutti”, che nel far pagare le tasse egli “non prende i soldi per sé, ma per la comunità”, che “ciascuno di noi, da solo, non saprebbe provvedere ai servizi di tutti ma occorre qualcuno che organizzi queste attività” e specialmente che “per pagare meno bisogna pagare tutti”. Ma è bene anche che ciascuno di noi, che ha responsabilità nella guida del villaggio degli uomini, sia sempre meno “Messer Gabelliere” e sempre più “Messer Giusto”. Buona lettura a tutta la famiglia! IL SINDACO Tonino Solarino Sempre pronti a sostenere le iniziative di carattere sociale, abbiamo colto l’occasione per dare un supporto alle Istituzioni Pubbliche, nella fattispecie l’Agenzia delle Entrate di Ragusa, contribuendo concretamente alla divulgazione del presente opuscolo destinato agli alunni delle scuole elementari, perché possa costituire momento di riflessione a scuola ed all’interno della famiglia. BANCA AGRICOLA POPOLARE DI RAGUSA 4 La rinascita di Valle Scura C’era una volta una grande valle, che a dispetto del suo nome, Valle Scura, era rigogliosa ed assolata, bagnata da un fiume e ricca di vegetazione, nella quale sorgevano piccoli e pacifici villaggi, poco distanti l’uno dall’altro. I suoi abitanti avrebbero potuto vivere felici, grati ad una natura così generosa, se non fosse stato per un gruppo di prepotenti che governava tutta la regione e viveva sfarzosamente sfruttando il lavoro della gente più povera, imponendo sempre nuove tasse e riducendo il popolo alla fame; e questa triste situazione aveva dato alla valle il nome che portava. I paesini erano cupi, le strade dissestate, le casupole malandate e spesso pericolanti; i loro abitanti, come anche gli animali che possedevano, avevano un aspetto denutrito e trasandato, e nell’aria ristagnava spesso un cattivo odore di sporcizia. Tutto dava l’idea di abbandono e d’incuria. 5 A capo di questo gruppo di arroganti stava il malvagio Messer Gabelliere, un losco individuo giunto molti anni prima in quella valle felice, che aveva raccolto intorno a sé persone senza scrupoli, che vivevano negli agi e nel lusso costringendo la gente dei villaggi a lavorare per loro. Egli viveva, insieme ai suoi insolenti amici, in un tetro castello in cima ad una collina che dominava tutti i villaggi sparsi nella valle, ed era un uomo avido di ricchezze oltre ogni limite. E così, per saziare la sete di denaro sua e della sua corte, inventava ogni giorno nuove tasse da imporre agli abitanti della valle, i quali, ridotti in povertà, non riuscivano a mettere da parte nemmeno un soldino. 6 Ogni giorno le guardie di Messer Gabelliere, i crudeli Esattori, percorrevano le vie dei borghi, bussando a tutte le case e pretendendo denaro anche per le cose più assurde: si doveva pagare la “tassa sulla luce”, se le finestre erano aperte, la “tassa sul buio”, se invece rimanevano chiuse, ed addirittura la “tassa sulla penombra”, se le finestre erano aperte a metà; poi c’erano la “tassa per l’aria”, per ognuno che respirava, la “tassa sui passi”, per chi camminava per la strada, la “tassa sui colori”, che faceva pagare le persone secondo il colore di cui erano vestiti (ed il colore cambiava ogni giorno, secondo l’umore di Messer Gabelliere); e così via. La povera gente aveva a stento di che vivere, ed il malvagio gruppetto che li dominava inventava ogni giorno nuovi balzelli, da aggiungere alle tasse sul pane, sulla casa, sul lavoro, sugli animali, e così via, che si pagavano ogni mese. 7 In uno di questi villaggi, chiamato Ripa Verde, vivevano, insieme ai genitori, che erano contadini, ed all’anziana nonna Eusebia, tre deliziosi bambini: Felice, di otto anni, Allegra, di sei, e la piccola Aurora di tre. I loro genitori ogni giorno partivano all’alba per lavorare nei campi, e facevano ritorno a casa, esausti, solo a tarda notte; ad accudire ai piccoli badava la saggia Eusebia. Una sera i genitori, tornati a casa particolarmente stanchi, consumarono, insieme con gli altri, un frugale pasto, poi andarono subito a letto. Felice, che era un bambino piuttosto vivace, non riusciva a dormire, anche perché era ancora affamato. 8 Così si alzò, in punta di piedi, reggendo in mano la candela, per andare a prendere nella dispensa un po’ di pane; ma passando davanti alla porta socchiusa della camera dei genitori, li sentì parlare tra loro. “Io non so come potremo andare avanti così”, diceva la madre. “Oggi ho venduto le patate, ma non ho fatto in tempo a conservare il denaro che gli Esattori l’hanno preteso tutto; mi erano rimaste due lattughe, e le ho barattate con tre uova con la nostra vicina. Anche a lei oggi hanno preso tutto…dicevano che per andare al mercato aveva percorso una strada più lunga, così ha dovuto pagare la tassa sui passi…” “Non affaticarti a parlare”, disse il marito, “sei ancora troppo debole; non sei del tutto guarita dalla tosse, ed io non so come pagare il dottore per lo sciroppo che ti ha dato la settimana scorsa.” 9 La moglie tossì a lungo, poi riprese a parlare: “Se Messer Gabelliere ci desse una tregua! Lui ed i suoi amici sono avidi di ricchezze, ci spremeranno fino all’ultima goccia! Felice ha bisogno di scarpe nuove, Aurora giocando ha rotto la bambolina di pezza di Allegra, e volevo fargliene un’altra…e Nonna Eusebia, che pur non si lamenta, ha uno scialle liso e consumato…come faremo, marito mio?” “Se qualcuno potesse far ragionare quei prepotenti!” rispose il marito. “Ma nessuno di Ripa Verde o dei paesi vicini oserà farlo: chi prova a lamentarsi finisce in prigione…” Felice, immobile dietro la porta, rifletteva sulle parole appena udite. L’unica soluzione era provare ad uscire dalla valle: forse si sarebbe trovato qualcuno, al di là di essa, che avrebbe potuto aiutarli. Corse così a svegliare Allegra, che era una bimba abbastanza matura per la sua età, ed alla luce di una piccola candela le raccontò ogni cosa. 10 “Oh, quei cattivoni!” esclamò la piccola. “Vorrei tanto trasformare Messer Gabelliere in un rospo, lui e le sue stupide guardie!” “Cerchiamo, invece, di ragionare: se vogliamo aiutare mamma e papà dobbiamo andare via subito. Usciremo dalla valle, e cercheremo qualcuno che possa aiutarci! Il mondo non può appartenere tutto a quel Messer Gabelliere ed ai suoi amici!” “Ma dove andremo?” chiese la piccina, allarmata. “Io non sono mai uscita da Ripa Verde!” “Prenderemo la via che va al boschetto, poi passeremo sul ponte che attraversa il fiume, che è anche il confine di Valle Scura. Eviteremo gli altri villaggi, dove la situazione è identica. Una volta lontani dalla valle, vedremo il da farsi.” 11 Così i due piccoli, a notte fonda, approfittando della luna piena, sgattaiolarono fuori da una finestra e s’incamminarono per la via che da Ripa Verde si addentrava nel bosco; dopo un lungo cammino giunsero al ponticello, lo attraversarono, poi proseguirono ancora per sentieri sconosciuti. Camminarono per tutta la notte, tenendosi per mano e facendosi coraggio, e quando era quasi l’alba, si addormentarono, sfiniti, rifugiandosi dentro la corteccia di un grande albero cavo. Al loro risveglio si accorsero di essere immersi in una fitta nebbia nella quale parevano muoversi delle ombre; Allegra si strinse istintivamente al fratello, aggrappandosi al suo braccio. 12 Dalla nebbia, qualche minuto dopo, emerse una figura che si avvicinò ai piccoli: era un ragazzino, dall’apparente età di 15 anni, che li guardava sorridendo, con i suoi vivaci occhi azzurri. “Vi siete perduti?”, chiese. “Da dove venite? Come vi chiamate? Io sono Benedetto, e vivo a Dolce Miele, uno dei villaggi di Val Gioiosa. Se volete, potete venire con me, così mangerete qualcosa e potrete riposarvi. E magari, intanto, mi racconterete di voi.” Felice ed Allegra lo seguirono, rincuorati. Benedetto li guidava, sicuro, attraverso la nebbia che si diradava alle prime luci del mattino, svelando, a mano a mano, alberi e cespugli, ed un sentiero che lasciava intravedere le prime case di un grazioso paese. “Eccoci arrivati a Dolce Miele. Venite, vi porto a casa mia.” 13 I due fratellini si guardavano intorno: strade pulite ed ordinate, casette graziose con giardinetti ed orti curati intorno, una bianca fontana al centro di una piazza, nella quale c’erano tante bancarelle colorate, dove gli abitanti del villaggio, ben vestiti e sorridenti, vendevano le loro mercanzie. Tutto trasmetteva una sensazione di serenità e benessere, di ricchezza e allegria. Il villaggio di Benedetto era adagiato tra verdi colline, ed in cima ad una di esse sorgeva un maestoso palazzo. 14 “Avranno anche loro un Messer Gabelliere…”, pensò timorosa Allegra. “Chi vive lassù?”, chiese Felice, seguendo lo sguardo della sorellina. “Lassù vive Messer Giusto, saggio amministratore di tutti i villaggi di Val Gioiosa.” “Che vuol dire amministratore?” chiese Allegra. “Vuol dire”, rispose il ragazzo, “che è colui che amministra i nostri villaggi, cioè si preoccupa di renderli accoglienti e vivibili, di dare agli abitanti tutti quei servizi che facilitino la loro vita. Avete visto che belle strade abbiamo? E’ tutto merito di Messer Giusto. Entrate dentro casa mia, e vi mostrerò il resto.” La casa di Benedetto, come le altre del paese, era linda e graziosa, ed ospitava nella stanza d’ingresso un grande camino nel quale scoppiettava un allegro fuocherello, davanti a cui stava tranquillamente seduto un bel gatto bianco e nero. 15 Li accolse sulla soglia la madre di Benedetto, una donna dolce e sorridente, che, dopo aver ascoltato li racconto del figlio, li invitò ad entrare ed offrì loro del latte caldo munto da poco ed una fragrante fetta di crostata di mele appena sfornata. I bambini, rinfrancati dal caldo benvenuto ricevuto e dalla ricca colazione, si sedettero vicini al camino, ed iniziarono a raccontare del loro viaggio notturno, e delle tristi condizioni in cui versavano i loro compaesani. Narrarono di Ripa Verde, così abbandonato all’incuria, dei genitori, sempre più avviliti dal duro lavoro e dalla miseria, della dolcissima nonna che li aveva allevati, e soprattutto della soffocante tirannia di Messer Gabelliere e dei signorotti che governavano con lui. 16 La madre di Benedetto era sempre più dispiaciuta man mano che ascoltava questa triste storia, non riuscendo neanche ad immaginare come degli uomini potessero tenere così crudelmente sotto il proprio giogo interi villaggi. “Benedetto, ciò che ho appena sentito è terribile. Vai al palazzo di Messer Giusto e chiedi se può concederci udienza immediatamente. Dì che si tratta di una cosa grave.” Mentre il ragazzo si precipitava fuori e si avviava verso il palazzo, la madre prese a spiegare, invece, come si viveva a Dolce Miele e nei paesi della Val Gioiosa. “Vedete, qui tutti siamo grati a Messer Giusto, che ha reso la nostra vita più semplice e serena. Ognuno di noi lavora tranquillamente, e produce qualcosa. Ad esempio, oggi ho venduto le uova delle mie galline al mercato, ed ho guadagnato dieci soldi. Otto li terrò per me e per la mia famiglia, due li metterò da parte per Messer Giusto.” 17 “Con gli otto soldi che ho guadagnato”, proseguì la donna, “potrò comprare cibo, legna e vestiti per me, per mio marito ed i miei figli, e riuscirò anche ad acquistare altre due galline. Così tra pochi giorni avrò più uova da vendere, e potrò guadagnare di più. E, dunque, terrò quasi tutto per me, mettendo solo da parte un altro soldo per Messer Giusto; e così via.” “Allo stesso modo, mio marito, che è un taglialegna, vende la legna che porta a casa ogni giorno, e da quanto guadagna toglie una piccola parte, che conserva per l’Amministratore. E così fa la nostra vicina, che vende il latte delle sue mucche ed il formaggio che prepara; così fa la tessitrice con i suoi tessuti, e così pure il mugnaio, col suo pane e la sua farina, e così ogni contadino con i frutti del proprio orto. Ogni giorno, poi, vengono mercanti dai vicini villaggi, e così c’è uno scambio continuo di merci varie.” “Accipicchia!”, esclamò Felice, “Messer Giusto deve essere ricchissimo, molto più di Messer Gabelliere!” 18 “Niente affatto”, disse la donna, “il nostro buon Amministratore non prende questi soldi per sé, ma per tutta la comunità. Con il denaro che gli diamo, affinché lo amministri, ha riparato le nostre case, ha fatto tutte le strade nuove, ha costruito la scuola per i nostri figli, e paga i loro maestri.” “Poi ha predisposto un piccolo ospedale, dove vengono curati gli ammalati più gravi, mentre paga il medico condotto, che visita in casa propria chi ha solo qualche piccolo acciacco. Inoltre ha reso l’aria più salubre, inventando un sistema per eliminare i rifiuti. Provvede ad abbellire i nostri villaggi: avete visto quella bella fontana che c’è al centro della piazza del mercato? E’ opera sua, come lo sono anche tutti gli alberi che ha piantato, ed il grande prato vicino la piazza su cui giocano felici i nostri bambini. Così facendo, ha dato lavoro a scalpellini, falegnami, fabbri, giardinieri, ed altri artigiani, che, guadagnando del denaro, hanno potuto metterne da parte per lui, e dunque per tutti noi.” “Del resto, vedete bambini, ciascuno di noi, da solo, non saprebbe provvedere ai servizi per tutti, occorre qualcuno che organizzi tutte queste attività.” 19 “Che bella cosa!”, esclamò il bambino. “E non vi prende tutti i soldi che guadagnate, come fa con noi Messer Gabelliere. Solo una piccola parte; in fondo, non vi chiede grossi sacrifici, ed in compenso vivete in un bellissimo posto.” “E’ vero. Ma vedete, piccoli miei, per pagare così poco, occorre che paghiamo tutti. Un piccolo sacrificio per ciascuno è sopportabile; ma se alcuni non pagassero, vuol dire che altri dovrebbero pagare di più, per coprire delle spese che comunque vanno fatte. E ciò non sarebbe giusto: in fondo, le strade le usiamo tutti, e tutti i nostri figli frequentano la scuola.” “Ciascuno di noi, inoltre” proseguì la donna, “può aver bisogno, prima o poi, del medico condotto. Non sarebbe giusto, pertanto, che alcuni si sottraessero a questo piccolo sacrificio, che, a conti fatti, sacrificio non è, perché ci fa vivere tutti meglio. Il segreto è proprio questo: cedere tutti una piccola parte dei propri guadagni, e vedere poi che questo piccolo obolo dà grandi frutti, di cui tutti possiamo godere.” “Ah, che bello se anche da noi fosse così!”, sospirò Felice. “Ma Messer Gabelliere non accetterà mai questo sistema: lui vuole tutto per sé!” 20 “Non disperare”, disse la donna. “Messer Giusto è un uomo dalle mille risorse…”, aggiunse con un sorrisetto malizioso. Poi si alzò, tornando a rigovernare la casa, mentre Allegra giocava col gatto, e il fratellino guardava dalla finestra verso la collina sulla quale sorgeva il palazzo di Messer Giusto, e da cui, poco dopo, vide Benedetto tornare di corsa. “Messer Giusto ci aspetta”, disse con un sorriso. “Ci riceverà subito.” “Alla buon’ora!”, rispose la madre, “muoviamoci.” Così il gruppetto, cui si unì anche il padre di Benedetto, si avviò verso il palazzo. Appena giunti, vennero accolti con premura dalle guardie al portone, che, informati del loro arrivo, li stavano aspettando. Un valletto li condusse attraverso corridoi e saloni arredati con pochi e semplici mobili, e li introdusse in una sala con al centro un grande tavolo, al quale erano seduti degli uomini elegantemente vestiti e dall’aspetto gentile e bonario. Un uomo, alto e robusto, con una corta barba grigia, ed una lunga sopraveste di velluto color rosso 21 rubino, venne loro incontro, sorridendo benevolmente: era Messer Giusto in persona. “Benvenuti, cari ospiti, nella Casa di Val Gioiosa, dove sono onorato di vivere. Il giovane Benedetto mi ha accennato qualcosa, ma i miei saggi Consiglieri ed io vogliamo sentire il racconto dalla voce di questo coraggioso giovanotto e di questa incantevole damigella, che hanno lasciato la loro famiglia e la loro casa, affrontando un viaggio pieno d’incognite per giungere sin qui.” I bimbi, lusingati da un’accoglienza tanto calorosa, e dall’essere trattati come due adulti, a turno narrarono la vita a Ripa Verde, mentre Messer Giusto e gli altri gentiluomini ascoltavano in silenzio, rabbuiandosi in viso man mano che il racconto si arricchiva di particolari sulla triste vita degli abitanti di Valle Scura. Quando Felice ed Allegra ebbero finito di parlare, un gran silenzio scese nella sala. I Consiglieri si guardavano stupiti l’un l’altro, poi volsero lo sguardo a Messer Giusto, che aveva sul viso un’espressione accigliata e seria. 22 “Signori miei, quanto abbiamo sentito è gravissimo. Conosciamo tutti Messer Gabelliere, perché molti anni fa viveva a Val Gioiosa, ed era uno di noi. Ma, come tutti ricorderete, governando il suo villaggio aveva dimenticato qual era il suo compito, ed aveva preso l’abitudine di trattenere dal denaro versato dal popolo una parte, sempre più cospicua, per i suoi capricci, e per questo era stato cacciato. Adesso lo ritroviamo ancora sul nostro cammino, più avido e malvagio di prima, e circondato da gente della sua stessa specie, che vive agiatamente alle spalle degli altri, costringendoli a lavorare duramente”. “E’ giunta l’ora di porre fine una volta per sempre a questa ingiustizia”, proseguì Messer Giusto, “e di restituire la fiducia ed il sorriso agli abitanti della vicina valle. In questo modo, inoltre, molti di noi potranno recarsi in quei miseri villaggi ed aiutare i loro abitanti a ricostruirli, come molti anni fa facemmo qui. Insegneremo a quella brava gente a governarsi come noi facciamo ormai da tanto tempo, ogni villaggio nominerà il suo saggio Consigliere e tutti insieme sceglieranno un buon Amministratore. Adesso, muoviamoci in fretta.” E, accarezzando i capelli di Allegra, che lo guardava, estasiata, a bocca aperta, aggiunse: “Questa deliziosa madamigella sarà ansiosa di riabbracciare la 23 sua famiglia; quanto a te, Messer Felice, dovrò fare i complimenti più vivi ai tuoi genitori, per aver allevato un giovanotto così coraggioso. Bene, mettiamoci in marcia senza altri indugi. Messer Marziale, radunate un drappello di soldati; Messer Serafino, una carrozza per i nostri ospiti. Ed ora, svelti, alla volta di Valle Scura!” Velocemente gli ordini vennero eseguiti, ed un grande corteo lasciò qualche ora dopo l’elegante palazzo sulla collina: in testa marciava Messer Giusto, circondato dai suoi Consiglieri più giovani, seguiva un folto drappello di cavalieri, la carrozza che recava Benedetto, i suoi genitori, Felice ed Allegra, e dietro a tutti venivano le guardie di scorta. Ben presto il corteo fu in vista di Ripa Verde: gli abitanti sbirciavano, timorosi, dalle finestre, non osando uscire, anche per timore della “tassa sui passi”! Giunto davanti all’abitazione dei due bimbi, Messer Giusto scese da cavallo e bussò. La porta venne socchiusa, e Nonna Eusebia mise timidamente fuori il capo; poi, vedendo i 24 nipoti, spalancò l’uscio e corse fuori ad abbracciarli, seguita a ruota dalla piccola Aurora, che batteva le manine tutta felice. Dietro di lei, vennero fuori anche i genitori che, dal giorno in cui i bambini erano andati via, li avevano cercati senza sosta; vedendo tutta quella gente, rimasero, però, un po’ timorosi, osservando in silenzio. Si fece loro incontro Messer Giusto: “Siate orgoglioso, brav’uomo, dei vostri figli. Hanno dimostrato coraggio e generosità. Questa valle deve a loro il merito di aver posto fine al regno di Messer Gabelliere. E, a proposito, signori miei”, disse rivolgendosi ai soldati, “abbiamo una piccola faccenda da risolvere.” Di lì a poco il drappello giunse alle porte del castello del tiranno, il quale, avendo visto arrivare tutti quei soldati, ed avendo riconosciuto, in testa, Messer Giusto, era impallidito e tremava di paura. 25 In men che non si dica, il tiranno fu catturato e imbarcato, insieme ai suoi Esattori ed a tutti quelli che erano stati suoi complici, su un vascello che lo condusse verso una lontanissima e tranquilla isola deserta; il veliero poi tornò indietro, lasciando i malvagi in esilio. Da quel giorno, Messer Gabelliere ed i suoi degni compari avrebbero potuto fare i tiranni solo di se stessi! 26 Gli abitanti di Valle Scura, ribattezzata poco tempo dopo, Valle Chiara, seguirono l’esempio dei loro vicini, e nominarono, per ogni villaggio, una persona saggia e degna di rappresentarli. In breve tempo i paesini tornarono a rifiorire, le strade furono aggiustate, le case sistemate, ed i servizi per la comunità presero a funzionare in modo efficiente. Adesso la gente non aveva più timore di pagare le giuste tasse, avendo capito che un piccolissimo sacrificio di ciascuno di loro diventava per tutti una grande ricchezza. Gli abitanti di Ripa Verde, in particolare, non dimenticarono mai il coraggio dei due fratellini, e, quando Felice crebbe, gli mostrarono la propria riconoscenza nominandolo Amministratore, compito che svolse saggiamente con l’aiuto delle due sorelle. 27 AGENZIA DELLE ENTRATE UFFICIO DI RAGUSA Dove siamo Chi siamo Cosa facciamo Siamo in Piazza A. Ancione n.6, tel. 0932/221411, Fax 0932/221455, E-mail [email protected] Dalla soppressione degli Uffici Finanziari (Sezione Staccata della Direzione Regionale, Ufficio Iva, Ufficio Imposte Dirette e Ufficio del Registro) e dalla trasformazione di parte del Ministero delle Finanze in Agenzia delle Entrate è nata una nuova struttura con i medesimi compiti dei soppressi Uffici ma con un nuovo modo di operare, più snello, moderno ed efficiente. L’Ufficio è articolato in due aree: Area servizi e relazioni con il contribuente Area Controllo La prima offre una serie innumerevole di servizi in tempo reale agli sportelli di front-office e, in differita, per le pratiche più complesse in back-office. La seconda si occupa dei controlli, accertamenti e verifiche nei confronti delle aziende, cura gli aspetti del contenzioso tributario e della riscossione. 28