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Ugo di Payns è stato un
nobile francese, primo
maestro dell'ordine dei
Cavalieri templari.
La nascita dell'Ordine si
colloca nella Terrasanta
al centro delle guerre tra
forze cristiane e islamiche
scoppiate dopo la prima
crociata indetta nel 1096.
[…] Era una specie di ufficio. C'era qualche
pergamena in fondo a un baule spalancato e
due massicce poltrone di legno davano
l'impressione di attenderci fra le loro braccia.
Prima di accasciarsi su una delle due Oddone fece un lungo sospiro. "Saubhiya", disse
sottovoce, "parliamo sinceramente, questa
sera... Non so davvero chi sei, ma ciò che vedo
dietro il tuo sguardo e le poche parole che il tuo
cuore a volte si lascia sfuggire mi fanno pensare
a quelli che tra noi sono più vecchi. Oh, non
parlo dell'età degli uomini... Non fare finta di
non capire! Parlo dell'età dell'anima..."
Mi misi a sorridere di nuovo, ma non era più una
fuga, no, perché spesso nulla mi era sembrato
più potente di un sorriso per donare tutto ciò
che si possiede. "Sì", riprese tirando la sua
poltrona verso la mia, "non so molto del tuo
cammino, ma non importa, perché ti appartiene... Ciò che mi hai detto della tua fede ne
ritrovo l'essenza solo nella parte più segreta del
mio Ordine, voglio dire... dietro la facciata del
Tempio... Là dove non c'è soltanto la croce,
ma tanti altri segni e verità.
Sai, qualcuno di noi ha imparato a leggere
parole diverse da quelle che l'occhio capta sulla
superficie delle Sacre Scritture...
Per la verità, Saubhiya, non è la liberazione del
Sepolcro che ci ha attirati qui!
Quando messer di Payns creò il nostro Ordine,
era spinto da un'altra ambizione.
La sua anima era stata iniziata a qualcosa di
così vasto che doveva per forza trovare... un
pretesto per fare il viaggio e coinvolgere al suo
seguito cuori che fossero aperti.
Conosci il resto della storia... Un'infatuazione
per i lontani orizzonti, una credenza brandita
per appagare le proprie pulsioni, un esercito
che si ingrandisce, guerre e fiumi di sangue.
Uno straripamento! Ma al di là di tutto ciò, te lo
assicuro, il Tempio dietro il Tempio non ha mai
cessato di esistere. Si mantiene vicino all‘origine e perdura! Solo la sua porta di accesso è
stata resa più stretta che mai... Così stretta che
le anime vengono messe duramente alla prova
ancora prima di sapere che esiste. Mi capisci?
"Penso di sì..." "Allora sai che, se la vita di
quelli di noi che hanno trovato l'accesso al
Tempio dei Templi è consacrata a Messer Gesù,
non per questo si ferma al Suo nome.
Quel nome è una fiaccola che ci rivela altre
fiaccole. Una fiaccola che calcina in noi ciò che
crediamo di essere, ma che in realtà non siamo.
Infine, Saubhiya, è una fiaccola che acceca
quelli che non sono pronti a contemplarla.
Ecco perché la porta è così stretta!"
"Vi capisco, messer Oddone", mormorai, molto
colpito dall‘emozione che il cavaliere lasciava
trapelare tra una frase e l'altra.“
Sì, vi capisco molto bene...
Ma cosa volete fare di me? Non appartengo al
vostro Ordine e non ho alcun desiderio di unirmi
a esso. Ho tracciato il mio cammino per mezzo
della semplice forza di una luce che si capta
straordinariamente di rado... quella del buon
senso. Sapete, è così che ho scelto di avere
come casa il deserto e la Galilea. E vi dico che la
mia solitudine è molto popolata..."
"Infatti è per questo motivo che ti ho invitato a
seguirmi fino a queste mura. Solo quelli la cui
solitudine è vivente possono condividere ciò che
ci nutre. Quei cavalieri che ti hanno appena
aggredito a parole non hanno la minima idea di
cosa si tratti.
"Non mi hanno aggredito", risposi. "Avevo
piuttosto la sensazione di trovarmi di fronte a
dei bambini. In questo non c'era niente di
indisponente né che mi potesse ferire..."
"Sì... dei bambini che possono essere avidi e
feroci. Rispetto a un comune mortale hanno
sicuramente imparato molto nel nostro Ordine e
su queste terre, ma..." "Ma?"
"Ma sulla loro strada sono rimasti simili ad animali sapienti. Hanno avuto un bell'accumulare
qualche verità segreta dietro il velo del Tempio:
in loro nulla è cambiato in profondità. La loro
anima ha mantenuto la sua armatura."
"Allora a cosa serve il Tempio dietro il Tempio?"
"Una scala con un solo gradino non merita di
essere chiamata scala...
Esiste un altro Tempio dietro questo secondo
Tempio, che pure è già velato."
Cominciavo a vederci chiaro nelle intenzioni di
Oddone. Mi chiedevo solamente cosa avesse
davvero potuto percepire in me per correre il
rischio di parlarmi in questo modo. "Mi vuoi
introdurre a quell'altro Tempio?"
"Credo che la tua coscienza vi sia già penetrata
senza che tu lo sappia.
Tutto ti tradisce... persino il tuo corpo!"
Cercai di ridere, come per discolparmi un'ultima
volta. Ma discolparmi di cosa? A volte il fatto di
comprendere ci rende così diversi da procurarci
la fuggevole sensazione di essere fragili e
colpevoli. Ma il cavaliere non scherzava.
Nel mio profondo sapevo perfettamente che
diceva la verità e che non faceva altro che
spingermi nelle mie ultime trincee.
Cambiando bruscamente tono, Oddone avvicinò
ancora un po' il suo seggio al mio.
"Qualcosa in me insiste affinché ti faccia
incontrare il Gran Maestro del nostro Ordine.
Sarà tra le nostre mura domani, se Dio lo vuole.
Ne hai sentito parlare? Si chiama messer di
Beaujeu... Guglielmo di Beaujeu!" "Bene", dissi,
"se Nostro Signore lo vuole, incontrerò
messer di Beaujeu...
Ricordo che ero seduto sotto il mandorlo con il
mio Falco sulla spalla quando, verso la fine della
mattinata, vidi la sagoma di un uomo dall'aspetto ascetico profilarsi sull'ampia soglia della dimora. Era messer di Beaujeu, dietro di lui, visibilmente impaziente, un'altra sagoma si proiettava fino a me... Oddone di Renoncourt.
"Ecco il cavaliere Saubhiya!", esclamò Oddone
indicandomi con il dito, sotto l'albero.
"Cavaliere Saubhiya? Ma..." Non proseguì oltre.
Il Maestro del Tempio si voltò verso Oddone per
tossire e poi aggiunse di proposito: "Messere,
mi sembra che questo non sia un luogo per
conversare. Fa troppo caldo. Fate piuttosto
servire del vino nel mio studio."
Quando la pesante porta dello studio privato di
messer di Beaujeu si richiuse dietro di noi, ci fu
un lungo silenzio. Era logico che non toccava a
me mettervi fine. Ufficialmente ero solo un
semplice eremita che non aveva mai sollecitato
un simile incontro.
Dopo aver bevuto in fretta e da solo una sorsata
di vino, il cavaliere si voltò verso di me. "Sire!",
gridò allora Beaujeu gettandosi ai miei piedi.
Il cavaliere scoppiò immediatamente in profondi singhiozzi e non riuscii a fare altro che posargli una mano sulla testa. Avrei potuto imitarlo
nel suo straripare di emozioni, perché nel mio
petto il cuore era straziato, tuttavia in me una
forza si mostrò capace, malgrado tutto, di
osservare la scena dall'esterno.
Era così strano... Mentre un uomo aveva riconosciuto il re nella mia persona, io non mi ero
mai sentito così pienamente Saubhiya come in
quel preciso istante. Quei momenti di intensa
emozione tra Beaujeu e me durarono molto a
lungo. Nessuna parola veniva a mettersi fra noi
per attenuarne la forza ed era meraviglioso.
Quando infine mi decisi a pregare il cavaliere di
rialzarsi, mi sentii rivestito di una potenza che
non avevo mai avvicinato. Non era né orgoglio
né fierezza: dominavo soltanto me stesso, dal
minimo movimento della mano alla minima
oscillazione dell'anima. "Sire... Vorrei dirvi...
Com'è possibile...?" "Tacete, ve ne prego, messer Guglielmo. Lasciatemi raccontare... e sigillate nel vostro cuore ognuna delle parole che vi
riverserò." Mi pareva di sentirmi dall'esterno
del mio corpo. Ero proprio io a esprimermi così,
con la sicurezza di un monarca regnante? Con
gesto sicuro mi vidi spingere leggermente il
Maestro del Tempio fino a un seggio e poi mi
sedetti davanti a lui, con la schiena più dritta di
quanto non fosse mai stata.
Allora gli presi le mani, le strinsi nelle mie e le
mie labbra e tutto il soffio del mio petto iniziarono a raccontargli la mia vita, la mia vera vita,
quella che aveva avuto inizio il giorno dopo la
mia morte. Così il mio essere si svuotò dei suoi
segreti in tutta semplicità, senza premeditazione, solo perché era il momento di farlo.
Non ci muovemmo fino ai primi segni di declino
del sole, quando il profumo di una zuppa di fave
ci richiamò ad altre realtà.
Guglielmo di Beaujeu fu più che sconvolto dal
racconto dei miei percorsi interiori.
Non era tanto la mia sopravvivenza a meravigliarlo quanto l'itinerario solitario della mia anima
attraverso i suoi deserti e le sue oasi di libertà.
Quell'uomo comprendeva... comprendeva tutto
e, quando dovemmo sederci a tavola intorno al
pasto comune per spezzare il pane, vidi che
portava quel titolo non a caso. Il suo viso non
tradiva più il minimo segno d'emozione. Quando
il canto del muezzin arrivò fino a noi, cercò persino di animare un po' la tavolata con qualche
battuta piacevolmente "poco cristiana". Credo
che soltanto Oddone sospettasse l'importanza
di ciò che avevamo appena vissuto.
Per un attimo sperò di poter frugare nello
sguardo del suo Maestro, poi nel mio... Invano.
Quando la notte ci separò, rifiutai la camera
privata che messer di Beaujeu si fece scrupolo
di offrirmi. Era chiaro che non ero più re e che
non volevo uscire dalla strada che avevo scelto.
Del resto, il cavaliere aveva da offrirmi qualcosa
di infinitamente più bello e più grande di una
stanza confortevole.
Se la Vita avesse voluto, avrei scoperto quel
qualcosa l'indomani all'alba. Messer Guglielmo
se lo augurava di tutto cuore ed era stabilito
che ci saremmo ritrovati nello stesso luogo
della mia confessione.
Conservo nella memoria il ricordo di una notte
che non fu tale. Il mio essere profondo era
immerso in un'immensa dolcezza... come una
luce nel senso originario del termine.
Fu dunque lì, nel dormitorio della Casa dei
Templari, che i primi segni di un nuovo dolore
mi attraversarono il petto da parte a parte.
Ero diventato vecchio e dovevo rassegnarmi a
prenderne coscienza.
Così, quando nella penombra cercai di spingere
la porta ferrata dello studio di Beaujeu, ero davvero vacillante. "Venite, Sire, ve ne prego. Questa notte non sono riuscito a chiudere occhio.
E da molto tempo che ho raggiunto questa
stanza e che vi sto aspettando."
Il Maestro del Tempio stava in piedi davanti a
me, tremolante, alla luce incerta di una piccola
misura di candela. Entrambi non riuscimmo a
trattenere un abbraccio, poi egli, dopo aver
chiuso la porta, mi condusse subito dietro il
massiccio tavolo di legno a cui doveva avere
l'abitudine di lavorare. Lì c'era un armadio con
lo stemma dell'Ordine.
Il cavaliere lo spinse dolcemente, scoprendo
così un pesante tendaggio marrone con riflessi
dorati su cui, sopra due combattenti che incrociavano le spade, la luna e il sole volevano
congiungersi.
Quindi ne sollevò uno dei lati con gesto misurato, quanto bastava per lasciar intravedere una
porta. "Siete pronto a seguirmi, Sire? Ma forse
bisognerebbe...?" Subito non capii quello che
Beaujeu cercava di dirmi. Mi ci volle un istante
per realizzare che si trattava del mio Falco. La
sua presenza al mio fianco, permanente e quasi
simbiotica, era ormai così scontata che non vi
prestavo più attenzione.
Con una rapida occhiata captai i suoi artigli non
a caso già solidamente aggrappati al quadrato
di cuoio spesso fissato sulla mia spalla.
"Sì, viene anche lui", risposi brevemente.
Dopo aver armeggiato con il meccanismo del
pesante catenaccio con cui la porta era solidamente chiusa, messer Guglielmo lasciò andare
un sospiro di sollievo. Poi con una spallata fece
cigolare sui cardini il pannello di legno e
contemporaneamente mi invitò a seguirlo.
Scendemmo due gradini, uno dietro l'altro. Frugando con gli occhi la penombra, scoprii una
stanzetta quasi paragonabile alla cella di una
prigione. In alto, vicino a uno dei suoi angoli,
era stata praticata una fenditura nella muraglia;
un raggio di luce vi scivolava a fatica, ma bastava già a ispirare a quel posto una parvenza di
vita. "È una prigione?"
"No, Sire... Qui c'è un'altra porta..."
Con un gesto del braccio Beaujeu mi indicò la
zona più buia della stanza. Sì, a ben guardare vi
si distingueva una porta. Era stata chiusa usando una semplice trave.
Non era difficile immaginare che avremmo dovuto superare anche quella. Confesso di non
essere stato attraversato da nessun particolare
pensiero, semplicemente trovavo che tutto ciò
fosse enigmatico e piuttosto piacevole da
vivere.
Tuttavia, appena superata la soglia di quella
seconda porta, le cose presero un'altra piega. Ci
trovammo all'estremità di un'immensa sala che
si sviluppava tutta in lunghezza e aveva una
volta a tutto sesto.
Anche lì erano state praticate minuscole fenditure nella pietra, che permettevano di vederci
abbastanza per spostarsi. Non riuscii a trattenere un'esclamazione. "E l'odore, Sire... Lo sentite?" Effettivamente nell'aria che respiravo c'era
una presenza. Era qualcosa di forte e anche
qualcosa di familiare..." "I cavalli!"
"Sì, Sire! Erano le nostre scuderie...
Nei primi tempi del nostro Ordine, quando Gerusalemme era nostra, vi tenevamo centinaia di
destrieri. Guardate, c'è ancora della paglia sparsa per terra!" Feci qualche passo avanti, da solo. Sì, era proprio così... C'erano persino decine
e decine di anelli di metallo piantati in fila nel
muro.
"Si dice che sia stato messer di Payns a farli
murare", commentò con emozione Beaujeu
avvicinandosi a me. "Oh, lui sapeva!"
"Sapeva cosa, messer Guglielmo?"
"Sapeva cosa rappresentava questo luogo. L'aveva già capito nella sua terra, la Champagne."
"Una scuderia? "Oh, no, Sire, non soltanto! Il
Tempio... Sapete, qui ci troviamo sotto il Tempio
di Salomone, vicino alle sue fondamenta..."
Rimasi sconcertato per un bel po'.
"Credo che non l'abbiate notato, ma la nostra
Casa è posta sui fianchi del monte che
sorreggeva l'antico Tempio."
(Il Monte Morya) Vi fu costruita al tempo in cui
messer di Bouillon (Goffredo di Buglione) era re
di Gerusalemme. È un miracolo averla potuta
conservare dopo aver subito una sconfitta così
netta." "Ma allora è questo il vostro segreto?",
chiesi un po' deluso, accarezzando con la mano
uno degli anelli fissati nella roccia.
"Se si tratta soltanto di un luogo dimenticato...
o di cui i fedeli di Maometto ignorano l'esistenza, non è certo una gran gloria. Comprendo la
vostra nostalgia, ma..."
"Oh, no, no... Non si tratta affatto di nostalgia,
Sire!", sussultò Beaujeu. "No... qui ci troviamo
sulla porta... di un santuario del Dragone!"
Quelle parole risuonarono in me con una forza
tutta particolare. Il Dragone? Questo mi riportava di colpo sotto Notre-Dame, quando seguivo
a fatica Frate Tommaso rischiando di soffocare
a ogni passo. Non avevo dimenticato nulla...
Tuttavia feci come se niente fosse e cominciai
ad avanzare a caso nelle antiche scuderie dei
Templari. I miei occhi si erano abituati all'oscurità e non ci vedevo così male.
Beaujeu non diceva più nulla e mi seguiva, forse
un po' indispettito dalla mia assenza di reazione
di fronte alla fantastica potenza che aveva
evocato.
Ma l'immensa sala a volta non finiva lì dove
credevo. Faceva una curva a gomito, poi dava
su altri spazi altrettanto impressionanti.
Alcuni erano stati scavati quasi integralmente
nella roccia, mentre altri lasciavano intravedere
un'architettura ciclopica che sicuramente risaliva a tempi antichissimi.
Di fatto ci stavamo spostando in quello che ben
presto mi parve essere un dedalo di stanze
gigantesche, in seno alle quali una luce discreta
riusciva sempre a infilarsi come per magia.
L'odore dei cavalli era scomparso, ma si respirava a fatica. "Siamo ancora all'interno delle
scuderie, messere?" "Sì, Sire... Ma non nelle
nostre. Non abbiamo mai posseduto così tanti
cavalli qui! Guardate, non ci sono più anelli di
metallo, ma buchi praticati direttamente nella
roccia. Era... Era proprio il re Salomone a tenervi i suoi cavalli e i suoi cammelli. Si dice che ce
ne potessero stare circa duemila! Li facevano
entrare da un passaggio che si apriva più in
basso, sulla valle del Cedron. Ma tutto ciò non è
importante. Seguitemi, ve ne prego."
(Segue nel volume due)
Volume
uno di quattro
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