L’attività delle Commissioni
nella XV legislatura
Commissione Affari costituzionali
n.1/1
parte terza
Maggio 2008
Camera dei deputati
XVI LEGISLATURA
SERVIZIO STUDI
Documentazione e ricerche
L’attività delle Commissioni
nella XV legislatura
Commissione Affari costituzionali
n. 1/1
parte terza
Maggio 2008
La documentazione di inizio legislatura predisposta dal Servizio Studi e,
quanto ad alcune parti, dall’Ufficio per i Rapporti con l’Unione europea, dal
Servizio Biblioteca, dal Servizio Bilancio dello Stato, dal Servizio
Commissioni e dal Servizio per il Controllo parlamentare, si compone di:
ƒ un dossier ipertestuale su CD-ROM (Documentazione e ricerche, n. 1), che
illustra analiticamente le principali politiche legislative e attività istituzionali
svolte dalla Camera dei deputati nel corso della XV legislatura;
ƒ 14 fascicoli di accompagnamento (Documentazione e ricerche, nn. da 1/1 a
1/14 – prima parte) recanti, per ciascuna Commissione, una nota di sintesi
sulle aree tematiche di interesse, sull’attività svolta e sugli adempimenti
governativi nelle materie di competenza;
ƒ 14 volumi (Documentazione e ricerche, nn. da 1/1 a 1/14 – seconda parte)
recanti, per ciascuna Commissione, un estratto del dossier ipertestuale
concernente le politiche legislative e l’attività istituzionale nelle materie di
competenza (il volume relativo alla I Commissione si articola a sua volta in
due parti).
DIPARTIMENTO ISTITUZIONI
Consiglieri:
Documentaristi:
Segreteria:
Mario GENTILE (3209)
Alberto TABACCHI (6795)
Luciano MECAROCCI (3819)
Roberto CESELLI (3800)
Giuliana CATUREGLI (9559)
Luciana PIETROPAOLI (3855)
Viola MONTUORI (9475)
I dossier dei servizi e degli uffici della Camera sono destinati alle esigenze di
documentazione interna per l’attività degli organi parlamentari e dei parlamentari.
La Camera dei deputati declina ogni responsabilità per la loro eventuale
utilizzazione o riproduzione per fini non consentiti dalla legge.
File: ac0001b2.doc
INDICE
POLITICHE LEGISLATIVE E ATTIVITÀ ISTITUZIONALE
SCHEDE DI APPROFONDIMENTO
AFFARI COSTITUZIONALI E ORDINAMENTO DELLA REPUBBLICA
Bicameralismo e forma di governo
7
ƒ L’iter del progetto di legge di riforma
ƒ La revisione del sistema bicamerale
7
ƒ La funzione legislativa dello Stato
ƒ La forma di Governo
ƒ Il Governo in Parlamento; l’esercizio del potere legislativo da parte
del Governo
8
13
18
20
ƒ Il Presidente della Repubblica
ƒ Altre disposizioni
22
I progetti di legge elettorale esaminati dal Senato
26
ƒ La legge elettorale vigente
ƒ Il dibattito politico
ƒ Le proposte esaminate dal Senato della Repubblica
26
30
I referendum elettorali
39
ƒ L’iniziativa referendaria
ƒ Le sentenze della Corte Costituzionale sull’ammissibilità dei quesiti
ƒ L’indizione del referendum e la sua sospensione
39
43
La disciplina dell’elettorato passivo
49
ƒ Il testo unificato
49
La legge elettorale europea
55
ƒ Il testo unificato
ƒ I lavori parlamentari nelle precedenti legislature
56
59
Trattamento economico dei parlamentari
62
22
I
27
45
REGIONI E AUTONOMIE LOCALI
L’ipotesi di riforma dell’art. 132 Cost.
67
ƒ Il quadro normativo e la giurisprudenza costituzionale
ƒ Il disegno di legge di revisione dell’art. 132 Cost.
67
70
Il quadro normativo dei servizi pubblici locali
72
ƒ
ƒ
ƒ
ƒ
ƒ
Ambito di applicazione
72
La proprietà e la gestione delle reti
74
L’erogazione dei servizi
75
Altre disposizioni in materia di servizi pubblici locali
81
La gestione dei servizi privi di rilevanza industriale
82
Enti locali: iniziative di riforma
84
ƒ Il dibattito parlamentare sulla proposta di riforma
ƒ Il disegno di legge del Governo
84
85
Interventi sui “costi della politica” negli enti locali
91
Il terzo mandato dei sindaci
99
ƒ
ƒ
ƒ
ƒ
ƒ
Premessa
99
I lavori parlamentari nelle precedenti legislature
99
Il dibattito al Senato
100
Le principali questioni interpretative poste dalla normativa vigente
102
La vicenda dei sindaci eletti nel 2006 per il terzo mandato
consecutivo
106
DIRITTI E LIBERTÀ FONDAMENTALI
Le politiche di programmazione dei flussi migratori
111
ƒ La programmazione dei flussi migratori
ƒ Il documento programmatico
ƒ Il decreto flussi
112
115
Permesso di soggiorno e lavoro
117
ƒ
ƒ
ƒ
ƒ
L’ingresso nel territorio dello Stato
117
Il soggiorno dello straniero
118
Il permesso di soggiorno CE di lungo periodo
120
La disciplina del lavoro
121
112
Contrasto dell’immigrazione clandestina
126
ƒ Il respingimento e il controllo delle frontiere
ƒ L’espulsione: profili generali
126
II
131
ƒ
ƒ
ƒ
ƒ
ƒ
L’espulsione amministrativa
132
L’espulsione per motivi di prevenzione del terrorismo
139
L’espulsione disposta dal giudice
141
L’attuazione della normativa comunitaria in materia di espulsione
143
Gli accordi di riammissione e la “politica estera” dell’immigrazione
146
Le politiche di integrazione degli stranieri
148
ƒ
ƒ
ƒ
ƒ
ƒ
ƒ
Il diritto all’unità familiare
148
Il diritto alla salute
152
Il diritto all’istruzione
152
Il diritto all’abitazione e all’assistenza sociale
155
L’integrazione sociale degli stranieri
156
Lotta alla discriminazione razziale
158
Il progetto di riforma del testo unico sull’immigrazione
164
ƒ
ƒ
ƒ
ƒ
I lavori parlamentari
164
Le principali innovazioni del disegno di legge del Governo
165
Il contenuto del disegno di legge
168
Le proposte di legge di iniziativa parlamentare
173
Documento programmatico e decreti flussi
175
ƒ Il documento programmatico
175
Ricongiungimento familiare
188
Permesso di soggiorno CE di lungo periodo
200
La nuova disciplina sui rifugiati
205
ƒ Le Convenzioni di Ginevra e di Dublino
ƒ Il decreto legislativo n. 251/2007: attribuzione e contenuto dello
205
status di rifugiato
207
ƒ Il decreto legislativo n. 25/2008: le procedure per l’attribuzione
dello status di rifugiato
215
ƒ L’assistenza ai rifugiati
ƒ Le misure di protezione temporanea
ƒ La normativa comunitaria: quadro generale
226
Proposte di legge sul diritto di asilo
231
Il decreto legislativo 30/2007
238
ƒ Disposizioni generali
ƒ Diritto di circolazione e soggiorno fino a tre mesi
238
III
228
229
239
ƒ Diritto di soggiorno per una durata superiore a tre mesi
ƒ Diritto di soggiorno permanente
ƒ Disposizioni comuni al diritto di soggiorno e al diritto di soggiorno
permanente
240
242
243
ƒ Restrizioni al diritto di ingresso e soggiorno
ƒ Allontanamento per cessazione delle condizioni che determinano il
diritto di soggiorno
243
251
ƒ Ricorsi contro i provvedimenti di allontanamento
ƒ Disposizioni finali
252
Cittadinanza: il testo elaborato dalla Camera
253
ƒ
ƒ
ƒ
ƒ
ƒ
Acquisto della cittadinanza per nascita
253
Acquisto della cittadinanza da parte del minore
253
Attribuzione della cittadinanza
254
Motivi preclusivi dell’attribuzione della cittadinanza
257
Concessione della cittadinanza
257
252
Il ministro e il Dipartimento per le pari opportunità
261
ƒ Il Ministro per i diritti e le pari opportunità
ƒ Il Dipartimento
ƒ Organismi collegiali operanti presso il Dipartimento
261
Interventi in materia di pari opportunità
268
Progetti in materia di libertà religiosa
271
ƒ
ƒ
ƒ
ƒ
Il contenuto del progetto di riforma
272
Libertà di religione (Capo I)
273
Riconoscimento della personalità giuridica (Capo II)
281
Diritti delle confessioni religiose iscritte nel registro delle
confessioni (Capo III)
283
263
264
ƒ Matrimonio religioso con effetti civili (Capo IV)
ƒ Stipulazione di intese (capo V)
ƒ Disposizioni finali e transitorie (Capo VI)
288
Le intese con le confessioni religiose
292
ƒ I rapporti tra Stato e Chiesa cattolica
ƒ I rapporti tra Stato e confessioni non cattoliche
292
293
L’Autorità sui diritti umani e per i detenuti
305
ƒ L’iter delle proposte di legge
305
ƒ Il testo approvato dalla Camera dei deputati
307
IV
286
290
PUBBLICA AMMINISTRAZIONE
Il processo di riorganizzazione interna
315
La composizione dei successivi Governi
321
ƒ Numero dei ministeri (dal D.Lgs. 300/1999 alla legge finanziaria
2008)
321
ƒ Numero massimo dei componenti del Governo
ƒ Pari opportunità di accesso
ƒ Denominazione e competenze dei ministeri
324
Disciplina dell’attività amministrativa
329
ƒ Il regolamento sull’accesso ai documenti amministrativi
ƒ L’indennizzo in caso di revoca del provvedimento amministrativo
ƒ Il disegno di legge del Governo in materia di modernizzazione ed
329
efficienza delle amministrazioni pubbliche
324
324
330
330
Il dibattito sui “costi della politica”
337
ƒ L’indagine conoscitiva sui “costi della politica”
ƒ Le iniziative del Governo
338
Responsabilità e controlli
346
ƒ La responsabilità amministrativa nella XV legislatura
ƒ L’organizzazione e i controlli della Corte dei conti
346
Organismi governativi per la semplificazione
367
ƒ Il Comitato interministeriale
ƒ L’Unità per la semplificazione
ƒ Il ruolo del Parlamento
367
370
L’accordo Stato-Regioni sulla semplificazione
372
ƒ Profili generali
ƒ Esame degli effetti di una normativa (articoli 2-7)
ƒ Strutture e procedure per l’esame degli effetti di una normativa
372
341
357
371
(articoli 10 e 11)
374
376
ƒ Semplificazione normativa (articolo 8) e comunicazione legislativa
ƒ
ƒ
ƒ
ƒ
(articolo 13)
377
Riduzione degli oneri amministrativi (articolo 9)
378
Drafting normativo e qualità della regolamentazione (articoli 14-15)
378
Formazione (articolo 12)
379
Attuazione dell’accordo (articoli 16 e 17)
379
V
L’intesa tra le Assemblee legislative sulla semplificazione
380
Il piano d’azione per la semplificazione
386
ƒ
ƒ
ƒ
ƒ
ƒ
Il miglioramento della qualità della regolazione
386
La riduzione degli oneri amministrativi
389
Riduzione e certezza dei tempi
392
Reingegnerizzazione dei processi
392
Semplificazione normativa e amministrativa delle attività delle
Regioni e degli enti locali
392
ƒ Interventi di supporto all’attuazione del piano
393
AIR: relazione sullo stato di attuazione
394
ƒ La relazione in sintesi
ƒ L’AIR nel Piano di azione per la semplificazione e la qualità della
394
regolazione
396
ƒ L’AIR nel contesto delle politiche per la qualità della regolazione
397
Il “taglia-leggi”
401
ƒ La relazione del Governo al Parlamento
ƒ I report e gli allegati
ƒ L’informatizzazione della normativa vigente nella legge finanziaria
402
per il 2008
407
409
ORDINE PUBBLICO E SICUREZZA
Personale e risorse
413
ƒ Il personale
ƒ Le risorse
413
Il “pacchetto sicurezza”
426
ƒ Il disegno di legge in materia di sicurezza urbana
ƒ Gli altri disegni di legge
426
I patti per la sicurezza
433
ƒ
ƒ
ƒ
ƒ
ƒ
La prima fase
433
La legge finanziaria per il 2007
434
Il patto cornice con l’ANCI
434
I patti attualmente sottoscritti
436
Le iniziative recenti delle Regioni
438
421
VI
429
La vittima del reato nel processo
440
Il quadro normativo sulle vittime dei reati
445
ƒ La legge n. 206 del 2004
ƒ La disciplina generale
445
Nuovi provvedimenti e iniziative per le vittime dei reati
454
ƒ Le modifiche alla disciplina dei benefici per le vittime del terrorismo
ƒ L’ampliamento delle categorie beneficiarie delle provvidenze per le
454
446
vittime del terrorismo
457
ƒ L’estensione alle vittime della criminalità organizzata ed alle vittime
del dovere delle provvidenze per le vittime del terrorismo
460
Indennizzo per le vittime dei reati
465
Il sistema di informazione per la sicurezza
469
ƒ Il Presidente del Consiglio dei ministri
ƒ L’Autorità delegata
ƒ Il Comitato interministeriale per la sicurezza della Repubblica
469
(CISR)
471
472
ƒ Il Dipartimento delle informazioni per la sicurezza (DIS)
ƒ I servizi di informazione per la sicurezza: AISE ed AISI
ƒ Forme di collaborazione con altre amministrazioni e con l’autorità
giudiziaria
473
477
479
ƒ Disposizioni finali
481
Garanzie funzionali; norme sul personale
486
ƒ Le garanzie funzionali
ƒ Stato giuridico e norme sull’attività del personale
ƒ Norme di contabilità e disposizioni finanziarie
486
Il controllo parlamentare
502
Il segreto di Stato
510
Scioglimento di enti locali
521
ƒ Il quadro normativo
ƒ Le proposte di legge di revisione della disciplina
ƒ I contenuti del testo elaborato dalla I Commissione della Camera
521
524
La Commissione d’inchiesta sulla mafia
535
ƒ L’iter del provvedimento
ƒ I contenuti della L. 277/2006
535
492
500
525
536
VII
Polizia locale e sicurezza sussidiaria
541
ƒ Iniziative parlamentari per la definizione delle funzioni della polizia
amministrativa locale
541
ƒ Misure intervenute in materia di servizi di sicurezza privata
VIII
542
Politiche legislative e attività istituzionale
Schede di approfondimento
AFFARI COSTITUZIONALI E ORDINAMENTO
DELLA REPUBBLICA
BICAMERALISMO E FORMA DI GOVERNO
INIZIATIVE DI RIFORMA ISTITUZIONALE
BICAMERALISMO E FORMA DI GOVERNO
L’iter del progetto di legge di riforma
Nella seduta dell’8 maggio 2007, la Commissione affari costituzionali della
Camera iniziava l’esame di due proposte di legge costituzionale (A.C. 2335, on.
Boato e A.C. 2479, on. Zaccaria) entrambe recanti modifiche agli articoli 92 e 94
della Costituzione in materia di forma di Governo. Nel corso dell’esame
risultavano abbinate altre 13 proposte, tutte di iniziativa parlamentare, intese a
modificare anche altri articoli della Parte seconda della Costituzione.
Nel corso dell’esame parlamentare, dopo ampio dibattito, la Commissione si
orientò verso un approfondimento dei temi del bicameralismo, della forma di
governo e del procedimento di formazione della legge statale,
tendenzialmente rinviando ad un successivo momento l’esame di proposte di
revisione costituzionale aventi ad oggetto il riparto delle competenze tra Stato e
Regioni.
Nella seduta del 12 giugno 2007 i due relatori (on. Amici ed on. Bocchino,
rispettivamente appartenenti a gruppi di maggioranza e di opposizione)
presentavano una proposta di testo unificato che, riformulata nel corso delle
sedute successive, veniva adottata quale testo base dalla Commissione nella
seduta del 21 giugno.
L’esame proseguiva nel corso di numerose sedute sin quando, il 17 ottobre
2007, la Commissione dava mandato ai relatori di riferire favorevolmente
all’Assemblea sul testo unificato, come risultante dalle modifiche approvate in
sede referente, con il voto favorevole dei gruppi di maggioranza e l’astensione
dei gruppi di opposizione.
La discussione in Aula cominciava il 22 ottobre 2007 e proseguiva per ulteriori
sei sedute, sino al 13 novembre; l’Assemblea giungeva ad esaminare gli articoli 2
e 3 del testo unificato, approvando alcuni emendamenti; la fine anticipata della
legislatura non consentiva la prosecuzione dell’esame.
Il testo licenziato dalla Commissione (A.C. 553 ed abb.-A) si compone di 22
articoli, che recano modifiche, più o meno ampie, a 28 articoli della
Costituzione. A parte le novelle formali e di coordinamento, l’opera di revisione
incide essenzialmente:
ƒ sul sistema bicamerale e sui limiti di età per l’elettorato attivo e passivo;
ƒ sulle modalità di esercizio della funzione legislativa dello Stato;
ƒ sulla forma di governo e sui rapporti tra Governo e Parlamento;
ƒ sui requisiti di età per l’elezione a Presidente della Repubblica.
7
SCHEDE DI APPROFONDIMENTO
Si rinvia al testo a fronte presente nel dossier ipertestuale su CD-ROM per un
puntuale raffronto tra il testo vigente della Costituzione e le modifiche apportate dal testo
unificato.
La revisione del sistema bicamerale
Il Senato federale della Repubblica e la sua composizione
Il progetto di riforma costituzionale sostituisce il Senato della Repubblica
previsto dalla Costituzione vigente con un “Senato federale della Repubblica”.
Due caratteristiche fondamentali connotano il nuovo organo parlamentare (cfr.
artt. 1 e 3 del testo):
ƒ l’abbandono della legittimazione universale e diretta (ora, art. 58 Cost.) in
favore delle elezione di secondo grado ad opera dei “poteri locali”, delle cui
istanze il Senato, denominato per l’appunto federale, diviene “rappresentante”,
principalmente nel procedimento di formazione delle leggi;
ƒ l’abbandono del bicameralismo paritario, in favore della distinzione delle
funzioni delle due Camere e della riconduzione unitaria alla Camera dei
deputati della responsabilità politica generale (rapporto di fiducia).
Congiuntamente, i nuovi artt. 57 e 70 della Costituzione (rispettivamente, artt.
3 e 7 della proposta di legge) disegnano un Senato che ha natura e funzioni di
Camera federale, alla quale i senatori sono eletti dai Consigli regionali e dai
Consigli delle autonomie locali e nella quale i senatori partecipano alla
formazione delle leggi istituzionali e di quelle che incidono sulle potestà e sulle
risorse finanziarie delle autonomie regionali e locali, ma non conferiscono la
fiducia al Governo e, pertanto, non ne condizionano durata e poteri.
Da questo nucleo di trasformazioni si dipartono numerose altre modifiche
recate da vari articoli del testo, che incidono su altrettante disposizioni della
Costituzione vigente, per adattare al “Senato federale” gli istituti che esse
disciplinano. Così è, in particolare, con riguardo al nome (art. 55, co. 1°, Cost.), al
rapporto di fiducia (art. 94), alla sottrazione del Senato al potere di scioglimento
del Capo dello Stato (art. 88, co. 1°): rispettivamente, artt. 1, 15 e 13, co. 6, della
proposta di legge.
Il Senato federale della Repubblica, come definito dal nuovo testo dell’art. 57
Cost., risulta composto da 186 senatori:
ƒ 180 eletti nel territorio nazionale, secondo la nuova legittimazione elettorale
passiva,
ƒ 6 eletti nella Circoscrizione estero, secondo la disciplina per essi oggi vigente
(L. 459/2001: ma sul punto, vedi infra).
Dei 180 eletti nel territorio nazionale, 144 sono consiglieri regionali eletti dai
rispettivi consigli e 36 sono componenti di consigli comunali, provinciali o
8
BICAMERALISMO E FORMA DI GOVERNO
di città metropolitane, eletti dai Consigli delle autonomie locali della regione
o provincia autonoma.
Possono essere eletti senatori, dunque, soltanto i componenti dei consigli di
regioni, province autonome ed enti locali territoriali. Con l’abrogazione dell’art. 58
Cost., inoltre, scompare il requisito dell’età minima, oggi prevista in 40 anni.
L’elettorato attivo è conferito – “su base regionale”, così continua ad esprimersi
anche il nuovo testo dell’art. 57 – ai consiglieri regionali in carica in ciascuna
regione e provincia autonoma ed ai componenti il consiglio delle autonomie locali
di quella stessa regione, per il numero di seggi ad esso spettante a ciascun
organo. Per questa elezione la regione Trentino-Alto Adige è ripartita in due
circoscrizioni, corrispondenti alle province autonome di Trento e di Bolzano.
Il numero dei senatori da eleggere in ciascuna regione e provincia autonoma è
stabilito in base a classi di popolazione secondo l’ultimo censimento generale
della popolazione. Schematicamente:
popolazione censita nel 2001
… sino a 1.000.000
da 1.000.001 a 3.000.000
da 3.000.001 a 5.000.001
da 5.000.001 a 7.000.000
… più di 7.000.000
in ciascuna regione e provincia
autonoma sono eletti dal:
Valle d'Aosta, Molise
Prov. Aut. Trento e Prov. Aut. Bolzano
Umbria, Basilicata
Friuli-Venezia Giulia, Liguria
Marche, Abruzzo, Calabria
Sardegna
Piemonte, Veneto,
Emilia-Romagna, Toscana,
Puglia, Sicilia
Lazio, Campania
Lombardia
senatori da eleggere
Consiglio
Consiglio
regionale aut. Locali
1
1
2
1
5
1
7
2
9
2
10
12
2
2
In base al censimento svoltosi nel 2001, la composizione del Senato federale
risulterebbe, per il territorio nazionale, la seguente:
9
SCHEDE DI APPROFONDIMENTO
ART.3 - NUOVO ART. 57 COST.
COMPOSIZIONE DEL
SENATO FEDERALE
NELLE CIRCOSCRIZIONI DEL
TERRITORIO NAZIONALE
Piemonte
Valle d'Aosta
Lombardia
Trentino-A.A.
Provincia aut. Bolzano - Bozen
Provincia aut. Trento
Veneto
Friuli-V.G.
Liguria
Emilia-Romagna
Toscana
Umbria
Marche
Lazio
Abruzzo
Molise
Campania
Puglia
Basilicata
Calabria
Sicilia
Sardegna
totale
popolaz. del
cens.to 2001
4.214.677
119.548
9.032.554
462.999
477.017
4.527.694
1.183.764
1.571.783
3.983.346
3.497.806
825.826
1.470.581
5.112.413
1.262.392
320.601
5.701.931
4.020.707
597.768
2.011.466
4.968.991
1.631.880
56.995.744
Senatori eletti nelle
circoscrizioni del territorio nazionale
seggi
Senatori
Senatori
del Senato
eletti dal
eletti dai
federale
consiglio
consigli delle nel territorio
regionale
aut. Locali
9
1
12
2
1
2
2
2
9
7
7
9
9
5
7
10
7
1
10
9
5
7
9
7
144
1
1
2
2
2
2
2
1
2
2
2
1
2
2
1
2
2
2
36
nazionale
11
2
14
3
3
11
9
9
11
11
6
9
12
9
2
12
11
6
9
11
9
180
Senato
2006
22
1
47
3
4
24
7
8
21
18
7
8
27
7
2
30
21
7
10
26
9
309
variazione
+ /del numero
dei seggi
-11
+1
-33
+0
-1
-13
+2
+1
-10
-7
-1
+1
-15
+2
+0
-18
-10
-1
-1
-15
+0
-129
Due emendamenti approvati nel corso dell’esame in Assemblea1 hanno apportato
alcune modifiche a questa articolazione, prevedendo un’ulteriore fascia di popolazione
(superiore a nove milioni) alla quale sono assegnati 14 senatori, e attribuendo due
senatori (anziché uno) al Molise.
Due ulteriori emendamenti hanno disposto, rispettivamente, che il Presidente e gli
altri componenti della Giunta regionale non sono eleggibili a senatore2 e che il
meccanismo elettorale deve tener conto delle esigenze di una equilibrata
rappresentanza di genere3.
Sia i consigli regionali, sia i consigli delle autonomie locali procedono alla
elezione “con voto limitato”, così da consentire che siano rappresentate anche
le minoranze.
Alla elezione dei senatori si procede entro trenta giorni dalla prima
riunione (successiva alla sua elezione) del Consiglio regionale o delle Province
autonome di Trento e Bolzano. Questa scelta fa del Senato federale un organo
permanente, soggetto a rinnovi parziali dei suoi membri in concomitanza con il
rinnovo dei Consigli delle rispettive regioni o province autonome.
Nessuna modifica è apportata agli artt. 66-69 Cost., che disciplinano aspetti importanti
dello status di parlamentare: il giudizio sui titoli di ammissione e sulle cause di
1
2
3
Em. Maroni 3. 119 e 3. 251 della Commissione.
Em. 3. 253 della Commissione.
Em. 3. 250 della Commissione.
10
BICAMERALISMO E FORMA DI GOVERNO
ineleggibilità e incompatibilità, il divieto del vincolo di mandato, le guarentigie penali, le
indennità.
L’elezione dei senatori e il Consiglio delle autonomie locali
In connessione con quanto stabilito dal nuovo testo dell’art. 57 Cost., co. 2°,
4° e 5°, sulla elezione dei senatori ad opera dei consigli delle autonomie locali,
l’art. 18 del testo in esame introduce un nuovo comma nell’art. 123 della
Costituzione, nel quale attribuisce alla legge dello Stato la disciplina dei
“principi fondamentali per la formazione e la composizione dei consigli delle
autonomie locali”. La nuova disposizione integra quanto disposto dal comma
precedente, ove si stabilisce che “lo statuto [regionale] disciplina il Consiglio
delle autonomie locali, quale organo di consultazione fra la Regione e gli enti
locali”.
La Camera dei deputati: composizione ed elettorato passivo
L’art. 2 del progetto di legge modifica l’art. 56 della Costituzione intervenendo
sulla composizione della Camera dei deputati e sull’età per l’eleggibilità a
deputato: il numero dei deputati viene ridotto da 630 a 512 e l’età minima per
poter essere candidati è portata da 25 anni a 18 anni.
L’art. 2, co. 1, sostituendo il secondo comma dell’art. 56 Cost., riduce a 512 il
numero di deputati, compresi i 12 deputati eletti nella circoscrizione Estero (ma
sul punto, vedi infra).
Si tratta di una riduzione consistente, 128 membri, pari al 20,3 per cento
dell’attuale numero. Una conseguenza della diminuzione è il proporzionale
aumento del peso percentuale dei deputati eletti all’estero, il cui numero viene
lasciato immutato (ma si veda oltre il paragrafo dedicato a “I deputati e i senatori
eletti all’estero”).
Sull’opportunità di una riduzione del numero dei deputati si è registrato un ampio
consenso in sede referente, principalmente sulla base di tre esigenze:
ƒ snellimento delle procedure;
ƒ riduzione delle spese per le istituzioni;
ƒ allineamento agli standard internazionali.
Ancor prima dell’inizio del dibattito in sede referente, il ministro per i rapporti con il
Parlamento e le riforme istituzionali, audito dalla I Commissione sulle questioni relative
alla riforma delle Costituzione, aveva indicato come opportuna una riduzione dei deputati,
esprimendo una preferenza per 450 deputati e 225 senatori, ma ritenendo soddisfacente
anche la soluzione prospettata nel testo della riforma approvata nella XIV legislatura (518
deputati e 252 senatori)4. Il Governo ha ribadito questa posizione nella Dichiarazione del
Governo sulle riforme istituzionali, deliberata dal Consiglio dei ministri il 28 settembre
2007, riducendo ulteriormente il numero di parlamentari (450 deputati e 200 senatori).
4
Il ministro è ritornato sul punto nel corso dell’esame in sede referente (seduta del 3 ottobre
2007).
11
SCHEDE DI APPROFONDIMENTO
Il co. 2 dell’art. 2 contiene una norma di coordinamento, conseguente alla
diminuzione del numero dei deputati, che stabilisce che la ripartizione dei seggi
tra le circoscrizioni si debba effettuare dividendo il numero degli abitanti per
500 e non più per 618. L’assegnazione dei seggi conseguente alla diminuzione
del numero dei deputati (ferme restando le attuali circoscrizioni elettorali) è
riportata nella tabella che segue.
Camera dei deputati - assegnazione di 500 seggi alle circoscrizioni
1
2
3
4
5
6
7
8
9
10
11
12
13
14
15
16
17
18
19
20
21
22
23
24
25
26
27
in base alla popolazione legale risultante dal censimento 2001 (G.U. 7 aprile 2003, suppl. ord. n. 54)
500
618
in meno
Circoscrizione
seggi
seggi
19
24
5
PIE 1 (Torino)
18
22
4
PIE 2 (Vercelli, Novara, Cuneo, Asti, Alessandria, Biella, Verbania)
33
40
7
LOM 1( Milano)
34
43
9
LOM 2 (Varese, Como, Sondrio, Lecco, Bergamo, Brescia)
12
15
3
LOM 3 ( Pavia, Cremona, Mantova, Lodi)
8
10
2
TAA
24
29
5
VEN 1 (Verona, Vicenza, Padova, Rovigo)
16
20
4
VEN 2 (Venezia, Treviso, Belluno)
3
FVG
10
13
14
17
3
LIG
35
43
8
EMR
31
38
7
TOS
7
9
2
UMB
13
16
3
MAR
33
40
7
LAZ 1 (Roma)
12
15
3
LAZ 2 (Viterbo, Rieti, Latina, Frosinone)
11
14
3
ABR
MOL
3
3
27
33
6
CAM 1 (Napoli)
23
29
6
CAM 2 (Caserta, Benevento, Avellino, Salerno)
35
44
9
PUG
5
6
1
BAS
18
22
4
CAL
21
26
5
SIC 1 (Palermo, Trapani, Agrigento, Caltanissetta)
23
28
5
SIC 2 (Messina, Catania, Ragusa, Siracusa, Enna)
4
SAR
14
18
1
1
Valle d'Aosta
500
618
118
totali
Il co. 3 dell’art. 2 modifica il terzo comma dell’art. 56 Cost., portando da 25 a
18 anni l’età minima per essere eletto deputato.
L’abbassamento dell’età per l’eleggibilità ha, in primo luogo, l’obiettivo di
favorire la partecipazione dei giovani alla politica consentendo una maggiore
rappresentanza delle giovani generazioni alla Camera5. Inoltre, la disposizione
consente di superare l’incoerenza dell’attuale sistema che permette ad es.
l’elezione di un cittadino di 18 anni alla carica di Presidente di regione e non
5
Si vedano le relazioni illustrative delle pdl A.C. 553, 1524 e 2586.
12
BICAMERALISMO E FORMA DI GOVERNO
anche a quella di deputato6. A queste motivazioni, per così dire preesistenti al
progetto di riforma, deve essere aggiunta la necessità di equilibrare l’età della
rappresentanza tra la Camera e il nuovo Senato federale come risultante
dall’art. 3 del progetto di riforma. Infatti, l’elezione indiretta del Senato da parte
dei Consigli regionali e dei Consigli delle autonomie locali che eleggono i senatori
al proprio interno (i primi) e tra i consiglieri degli enti locali (i secondi), apre di
fatto l’elettorato passivo ai diciottenni per questo ramo del Parlamento.
I deputati e i senatori eletti all’estero
Relativamente ai deputati e ai senatori eletti nella circoscrizione Estero
(prevista dall’art. 48 Cost.), il testo licenziato dalla Commissione non modifica
l’attuale situazione, con riguardo alla loro presenza in entrambe le Camere, così
come al numero (sei al Senato, dodici alla Camera).
Nel corso dell’esame in sede referente si è peraltro discusso dell’opportunità
di un adeguamento che tenesse conto sia dell’avvenuta diversificazione tra i
due rami del Parlamento, sia della consistente riduzione del numero dei
parlamentari eletti sul territorio nazionale (come si è detto, i deputati si riducono a
500 mentre, in base all’attuale distribuzione della popolazione tra le Regioni, il
numero dei senatori risulta di 180).
La questione dei parlamentari eletti all’estero è stata a lungo dibattuta in Commissione
senza giungere ad una soluzione condivisa. Ferma restando la convinzione di mantenere
un sistema di rappresentanza degli italiani all’estero, in conformità al disposto dell’art. 48
Cost., si è deciso, pertanto, di mantenere inalterata la situazione attuale avendo presente
che la questione non deve ritenersi definitiva, e rimettendo la decisione all’Assemblea7.
Nel corso dell’esame in Assemblea, l’approvazione di due emendamenti8
determinava l’attribuzione al Senato federale ed alla Camera, rispettivamente, di 12 e di 6
componenti eletti nella Circoscrizione estero.
La funzione legislativa dello Stato
La riforma del bicameralismo in ambito legislativo
L’art. 7 sostituisce integralmente l’art. 70 della Costituzione, che disciplina
l’esercizio della funzione legislativa da parte delle Camere.
Nella vigente formulazione, l’art. 70 si limita a disporre che “la funzione
legislativa è esercitata collettivamente dalle due Camere”. Il nuovo testo,
necessariamente più articolato, mira al superamento del “bicameralismo
6
7
8
Si veda in questo senso la relazione illustrativa della pdl A.C. 2586 e l’intervento del relatore on.
Bocchino nella seduta del 12 giugno 2007 della I Commissione.
Si veda l’intervento del Presidente della I Commissione on. Violante il 4 ottobre 2007.
Em. 2. 250 (nuova formulazione, approvato nella sua prima parte) e 3. 255, entrambi della
Commissione.
13
SCHEDE DI APPROFONDIMENTO
perfetto”, in virtù del quale ciascun progetto di legge deve essere approvato, in
eguale testo, da entrambi i rami del Parlamento.
La nuova configurazione del procedimento di formazione delle leggi dello Stato
appare strettamente correlata con le disposizioni recate dalla restante parte
dell’articolato, che da un lato mutano la denominazione e la composizione del Senato,
facendone la Camera rappresentativa delle realtà territoriali, dall’altro attribuiscono alla
sola Camera dei deputati la titolarità del rapporto fiduciario.
Essa risponde anche al dichiarato intendimento di semplificare e velocizzare il
procedimento legislativo definendo, nei limiti del possibile, i tempi di esame e limitando le
ipotesi di navette tra le due Camere che spesso determinano il prolungamento dei tempi
della decisione parlamentare.
Il nuovo art. 70 Cost., novellato dall’art. 7 del testo unificato, configura tre
diversi procedimenti per l’esercizio della funzione legislativa dello Stato; essi
trovano applicazione con riguardo a distinte categorie di leggi, in ragione delle
quali comportano gradi e modalità diverse di partecipazione delle due Camere:
ƒ un procedimento bicamerale a carattere paritario, nel quale, non
diversamente da oggi, Camera e Senato federale esercitano collettivamente la
funzione legislativa;
ƒ un procedimento bicamerale in cui il ruolo della Camera dei deputati
appare prevalente, ad essa spettando sia l’esame del testo in prima lettura,
sia la deliberazione definitiva sulle modifiche eventualmente apportate dal
Senato federale;
ƒ un terzo procedimento, anch’esso bicamerale, nel quale è invece riservato al
Senato l’esame del progetto di legge in prima lettura, spettando tuttavia
alla Camera l’approvazione definitiva.
Nel secondo e nel terzo procedimento la Camera è chiamata a deliberare, in
determinate ipotesi, a maggioranza assoluta dei componenti.
In linea di massima, e salvo alcune eccezioni, la ratio che sembra ricavabile
da tale tripartizione vede l’apporto del Senato federale alla decisione legislativa
pieno e del tutto parificato a quello della Camera nei casi in cui la materia trattata
attiene alle scelte “di sistema”, che direttamente incidono sull’assetto
costituzionale della Repubblica o che definiscono il quadro delle regole generali
che presiedono ai rapporti tra lo Stato e gli altri enti che, ai sensi dell’art. 114
Cost., “costituiscono” la Repubblica (le Regioni, le Province, i Comuni, le Città
metropolitane).
Si tratta di scelte la cui definizione si ritiene debba essere sottratta alla piena
disponibilità della sola maggioranza di Governo, richiedendo auspicabilmente un
consenso più ampio, che includa la rappresentanza politica delle realtà territoriali. È infatti
appena il caso di ricordare che, nel sistema delineato dal testo in esame, il Governo gode
solo alla Camera dei deputati del sostegno della “sua” maggioranza politica e non ha la
possibilità di indirizzare il voto del Senato federale utilizzando lo strumento della
questione di fiducia.
14
BICAMERALISMO E FORMA DI GOVERNO
Con riguardo alla restante attività legislativa, nella quale ordinariamente si
attua l’indirizzo politico del Governo e della sua maggioranza, l’apporto del
Senato federale resta presente, ma le sue deliberazioni non sono mai in
grado di trasformarsi in un veto non superabile dalla Camera dei deputati,
onde evitare che ciò paralizzi l’iter legislativo e impedisca l’attuazione del
programma sul quale il Presidente del Consiglio ha ottenuto la fiducia della
Camera. Il peso istituzionale delle deliberazioni del Senato federale risulta
peraltro rafforzato quando l’iter legislativo abbia ad oggetto materie che più da
vicino incidono sul rapporto Stato-autonomie territoriali.
Il procedimento “bicamerale paritario”
Il procedimento “bicamerale paritario”, disciplinato dal primo comma del
nuovo art. 70 Cost., non presenta differenze rispetto a quello oggi in vigore; esso
esige pertanto che i due rami del Parlamento esaminino, in successive letture, il
progetto di legge e lo approvino nel medesimo testo. Tale procedimento trova
peraltro applicazione solo per un limitato insieme di provvedimenti.
Si tratta in particolare:
delle leggi di revisione costituzionale e delle altre leggi costituzionali: per esse resta
ferma la procedura di cui all’art. 138 Cost., che richiede la doppia lettura da parte
delle due Camere e consente il ricorso al referendum (lett. a));
ƒ delle leggi in materia elettorale (il testo sembra far riferimento sia alla disciplina delle
elezioni europee, sia a quelle politiche, sia a quelle amministrative) (lett. b));
ƒ delle leggi che disciplinano gli organi di governo e le funzioni fondamentali di
Comuni, Province e Città metropolitane (lett. c));: il testo riprende qui testualmente
la formulazione dell’art. 117, secondo co., lettera p), Cost.);
ƒ delle leggi dello Stato che disciplinano (lett. d)):
- l’ordinamento di Roma, capitale della Repubblica, ai sensi dell’art. 114, co. 3°,
Cost.;
- l’attribuzione a Regioni a statuto ordinario di forme e condizioni particolari di
autonomia, secondo la procedura di cui all’art. 116, co. 3°, Cost.;
- le modalità procedurali e l’esercizio del potere sostitutivo dello Stato con
riguardo alla partecipazione delle Regioni alla “fase ascendente” e alla “fase
discendente” del diritto comunitario e all’esecuzione degli accordi internazionali
(art. 117, co. 5°, Cost.), nonché il “potere estero” delle Regioni (art. 117, co. 9°,
Cost.);
- le procedure per l’esercizio (nel rispetto dei principi di sussidiarietà e di leale
collaborazione) dei poteri sostitutivi del Governo nei confronti di Regioni ed enti
locali (art. 120, co. 2°);
- i princìpi fondamentali concernenti il sistema di elezione e i casi di
ineleggibilità e di incompatibilità del Presidente e degli altri componenti della
Giunta regionale nonché dei consiglieri regionali (art. 122, co. 1°, Cost.; nel rispetto
di tali princìpi, la disciplina delle materie indicate è rimessa alla legge regionale);
ƒ
15
SCHEDE DI APPROFONDIMENTO
-
i princìpi fondamentali per la formazione e la composizione dei Consigli delle
autonomie locali (art. 123, co. 5°, Cost.: si tratta, come già ricordato, di un comma
introdotto dall’art. 18 del testo unificato);
- il passaggio di Province o Comuni da una Regione ad un’altra (art. 132, co. 2°,
Cost.), il mutamento delle circoscrizioni provinciali e l’istituzione di nuove Province
(art. 133, co. 1°, Cost.);
ƒ delle leggi istitutive e regolative delle Autorità di garanzia e di vigilanza (lett. e));
ƒ delle leggi in materia di tutela delle minoranze linguistiche (lett. f)).
Quanto alla lett. e), va segnalato che tramite il richiamo alle leggi regolatrici, le
Autorità indipendenti trovano per la prima volta un’esplicita menzione (e un
riconoscimento) nella Carta costituzionale9.
Il procedimento “a prevalenza Camera”
Il procedimento “normale” di esame e di approvazione delle leggi è definito dal
terzo comma dell’art. 70 Cost. riformulato.
Esso prevede che la generalità dei progetti di legge ordinaria sia esaminata e
approvata in prima lettura dalla Camera dei deputati. Il testo è quindi
trasmesso al Senato federale della Repubblica.
Quest’ultimo ha facoltà di esaminare il testo approvato dalla Camera, ma solo
se ne faccia richiesta almeno un quinto dei suoi componenti. L’esame deve
ultimarsi entro trenta giorni dalla trasmissione: tale termine è ridotto alla metà
per i disegni di legge di conversione di decreti-legge, ed è finalizzato
all’eventuale approvazione di modifiche.
Qualora il Senato federale non avvii l’esame o, comunque, non giunga ad
ultimarlo entro il termine costituzionale, il procedimento di approvazione della
legge si intende concluso ed il testo approvato dalla Camera in prima (e unica)
lettura è promulgato dal Capo dello Stato (salva la facoltà di rinvio ex art. 74
Cost.) e pubblicato.
Quando invece il Senato federale abbia approvato modifiche, il testo è
nuovamente sottoposto all’esame della Camera dei deputati, alla quale spetta
pronunciarsi in via definitiva.
Una variante del procedimento, volta a valorizzare il ruolo del Senato federale,
è prevista dal secondo periodo del comma: se le deliberazioni modificative
riguardano determinate materie di precipuo interesse regionale, ad esse è
attribuita un’efficacia per dir così “rinforzata”: la Camera può in tali casi
discostarsi da quanto il Senato federale ha deliberato solo votando a
maggioranza assoluta dei propri componenti.
Le materie su cui tale maggioranza qualificata è richiesta sono le seguenti:
9
Il testo di riforma della Parte II della Costituzione approvato nella XIV legislatura prevedeva in
un apposito articolo (art. 98-bis Cost.) la figura delle Autorità indipendenti, limitandone l’ambito
di intervento allo svolgimento di attività di garanzia o di vigilanza su diritti di libertà garantiti dalla
Costituzione e su materie riservate alla potestà legislativa esclusiva dello Stato; era affidata al
Capo dello Stato la nomina dei relativi presidenti.
16
BICAMERALISMO E FORMA DI GOVERNO
ƒ
il conferimento di funzioni amministrative ai diversi livelli di governo previsto
dall’art. 118, co. 2°, Cost. e il coordinamento dell’attività amministrativa tra Stato e
Regioni in materia di immigrazione, ordine pubblico e sicurezza e tutela dei beni
culturali di cui all’art. 118, co. 3°, Cost.;
ƒ l’istituzione di un fondo perequativo per i territori con minore capacità fiscale per
abitante, previsto dall’art. 119, co. 3°, Cost. quale strumento volto a realizzare
l’autonomia finanziaria delle regioni e degli enti locali;
ƒ la destinazione da parte dello Stato di risorse aggiuntive e l’effettuazione di
interventi speciali in favore di determinati enti territoriali (art. 119, co. 5°, Cost.) al
fine di promuovere lo sviluppo economico, la coesione e la solidarietà sociale,
rimuovere gli squilibri economici e sociali, favorire l'effettivo esercizio dei diritti della
persona, o provvedere a scopi diversi dal normale esercizio delle loro funzioni;
ƒ la definizione dei princìpi generali relativi all’attribuzione del patrimonio delle
Regioni e degli enti locali (art. 119, co. 6°, Cost.).
Il procedimento “a prima lettura Senato”
Il secondo comma del nuovo art. 70 Cost. individua una terza modalità di
approvazione delle leggi, il cui il ruolo del Senato è ancor più valorizzato.
Essa è riservata unicamente alle leggi statali “che hanno lo scopo di
determinare i princìpi fondamentali” nelle materie rientranti nella competenza
legislativa concorrente tra Stato e Regioni, ai sensi dell’art. 117, co. 3°, Cost..
I relativi progetti di legge sono individuati dai Presidenti delle due Camere,
d’intesa tra loro, per essere assegnati al Senato federale della Repubblica che,
dunque, li esamina sempre in prima lettura.
Il testo esaminato ed eventualmente emendato dal Senato federale è
trasmesso, dopo l’approvazione, alla Camera dei deputati, alla quale spetta
l’esame in seconda lettura e l’approvazione in via definitiva (è dunque esclusa
ogni ipotesi di “navette”). Nel corso di tale esame la Camera può certamente
modificare il testo approvato dal Senato federale: ma qualsiasi emendamento
dovrà essere approvato a maggioranza assoluta dei componenti
l’Assemblea.
La prevista intesa tra i due Presidenti sembra volta a prevenire l’insorgere di conflitti di
competenza, non improbabile in considerazione della non sempre univoca individuabilità
della materia (o delle materie) oggetto dei disegni di legge. È in effetti un dato di comune
esperienza la compresenza, all’interno della gran parte dei provvedimenti legislativi
statali, sia di norme afferenti a materie rientranti nella competenza esclusiva dello Stato,
sia di princìpi fondamentali concernenti materie di competenza concorrente StatoRegioni10.
10
Anche la giurisprudenza costituzionale ha evidenziato (sul versante della ripartizione di
competenze tra Stato e Regioni) il possibile verificarsi, in determinati ambiti di disciplina
legislativa, di una inscindibile “concorrenza di competenze” (cosa diversa dalla “competenza
concorrente”) tra Stato e Regioni, spesso non risolvibile neppure ricorrendo a criteri di
prevalenza (cfr., tra le altre, C.Cost., sentt. 50/2005 e 151/2005).
17
SCHEDE DI APPROFONDIMENTO
La forma di Governo
Gli artt. 14 e 15 del testo unificato intervengono rispettivamente sugli artt. 92
e 94 della Costituzione, che disciplinano la formazione del Governo e il rapporto
di fiducia tra questo e il Parlamento. La finalità perseguita è duplice: valorizzare
la posizione del Presidente del Consiglio – sia nell’ambito dell’Esecutivo, sia
nei rapporti con il Parlamento – e superare il bicameralismo perfetto che
caratterizza la forma di governo parlamentare italiana, differenziando le due
Camere sotto il profilo del rapporto fiduciario.
Tali obiettivi – come si è visto – rappresentano un elemento comune all’intero progetto
di riforma costituzionale, ponendosi pertanto in relazione con altre disposizioni del
progetto stesso, e in particolare con quelle concernenti la nuova composizione del
Senato e le nuove modalità di esercizio della funzione legislativa.
Il potere di nomina del Presidente del Consiglio
La prima innovazione recata al secondo comma dell’art. 92 della Costituzione
dall’art. 14 del progetto in esame prevede che il Capo dello Stato nell’affidare
l’incarico per la formazione di un nuovo Governo sia tenuto a valutare i
risultati delle elezioni per il rinnovo della Camera dei deputati, con ciò
introducendo nel testo costituzionale una disciplina della fase che precede la
nomina formale dell’esecutivo da parte del Presidente della Repubblica,
attualmente regolamentata esclusivamente da consuetudini, convenzioni e
prassi.
La prevista valutazione dei risultati elettorali pare meglio attagliarsi ad una disciplina
elettorale che preveda o consenta la formazione sin dalla fase pre-elettorale di coalizioni
alternative che si candidino al Governo. In mancanza di una disciplina così
caratterizzata – peraltro conforme alla vigente disciplina per l’elezione delle due Camere
– il vincolo derivante dalla formulazione introdotta di fatto si allenterebbe, finendo in
sostanza per indicare la necessità per il Presidente della Repubblica di valutare
l’esistenza di una maggioranza parlamentare che sostenga il Presidente del Consiglio da
lui scelto.
Il potere di nomina e di revoca dei ministri
L’art. 14 del testo conferisce al Presidente del Consiglio il potere di proporre
al Capo dello Stato la revoca (oltre che la nomina) dei ministri.
Secondo il vigente co. 2° dell’art. 92 Cost., “Il Presidente della Repubblica
nomina il Presidente del Consiglio dei ministri e, su proposta di questo, i Ministri”.
La novella apportata prevede dunque che la proposta del Presidente del
Consiglio possa avere ad oggetto sia la nomina, sia la revoca dei ministri.
La disposizione, come già evidenziato, mia a valorizzare il ruolo di direzione della
politica generale del Governo attribuito dall’art. 95 della Costituzione al Presidente del
18
BICAMERALISMO E FORMA DI GOVERNO
Consiglio, rafforzandone i poteri nei confronti dei singoli ministri, in linea con quanto
previsto dalle disposizioni costituzionali di alcuni dei principali Paesi europei.
Il testo non pone limiti espliciti al nuovo potere di (proporre la) revoca di un ministro.
Ne consegue il riconoscimento al Presidente del Consiglio dei ministri della facoltà di
sostituire uno o più ministri in ogni caso in cui valuti necessario od opportuno un
avvicendamento. Resta comunque ferma in capo al Presidente della Repubblica la
competenza ad assumere la relativa decisione, accogliendo (ovvero, in casi
presumibilmente eccezionali, respingendo) la proposta di revoca: non si è infatti voluto
modificare o indebolire quella funzione di controllo (in senso lato) e di mediazione
istituzionale che il Capo dello Stato ha occasione di esercitare (con modalità informali e di
norma riservate) in un passaggio particolarmente delicato quale quello che conduce a
una modifica nella composizione del Governo.
Il rapporto fiduciario
L’art. 15 del progetto in esame introduce modifiche alla disciplina del rapporto
fiduciario tra Governo e Parlamento recata dall’art. 94 della Costituzione,
intervenendo tanto sul momento costitutivo del rapporto di fiducia che sulla
disciplina della mozione di sfiducia.
Con riferimento alla costituzione del rapporto di fiducia la riscrittura dell’art.
94 introduce due rilevanti elementi di novità:
ƒ la fiducia iniziale è accordata non più al Governo (come prevede la
Costituzione vigente), bensì al Presidente del Consiglio dei ministri, che a
tal fine presenta il Governo alla Camera entro dieci giorni dalla sua
formazione;
ƒ la fiducia è accordata o revocata non più da entrambe le Camere, bensì
dalla sola Camera dei deputati.
In sintesi, il rapporto fiduciario non intercorre più tra l’Esecutivo e ciascuna
delle due Camere, bensì tra il Presidente del Consiglio e la Camera dei
deputati. Si potrebbe altresì affermare che il Governo che formerebbe oggetto
del voto di fiducia sarebbe identificato non più (o non tanto) dalla sua
composizione, bensì dall’identità del Presidente del Consiglio: pur se deve
osservarsi che, in base alla stessa formulazione della novella, il dibattito
parlamentare e il voto sulla fiducia interverrebbero, non diversamente da oggi,
solo successivamente alla formazione del Governo, che il Presidente del
Consiglio “presenterebbe” alla Camera per ottenere la fiducia.
In virtù del secondo elemento di novità introdotto nell’art. 94 Cost., il Senato
federale risulta escluso dal rapporto di fiducia. Tale significativa innovazione
si inserisce, come si è più volte rilevato, nel quadro del più complessivo disegno
volto al superamento del bicameralismo “paritario”, che costituisce uno dei tratti
unificanti del progetto in esame.
In stretta correlazione con tale scelta si pone la modifica apportata al primo
comma dell’art. 88 Cost. dall’art. 13 del progetto in esame, con la quale si è
limitato alla sola Camera dei deputati il potere di scioglimento attribuito al
Presidente della Repubblica (sul punto v. infra).
19
SCHEDE DI APPROFONDIMENTO
Quanto alle innovazioni previste in materia di mozione di sfiducia, la
disposizione in esame modifica il co. 5° dell’art. 94 Cost., introducendo due
rilevanti novità. La mozione di sfiducia dovrà essere:
ƒ firmata da almeno un terzo dei componenti della Camera dei deputati,
anziché da un decimo, come previsto nel testo vigente;
ƒ approvata dalla maggioranza assoluta dei componenti della Camera (il
testo vigente non richiede un particolare quorum per l’approvazione).
Per un quadro sinottico delle modifiche apportate dal testo in commento alla forma di
Governo ed ai rapporti tra organi costituzionali, si rinvia alle tavole riportate in calce alla
presente sheda.
Il Governo in Parlamento; l’esercizio del potere legislativo da parte
del Governo
Il Governo e l’ordine del giorno delle Camere
L’art. 8, aggiungendo un comma all’art. 72 della Costituzione, attribuisce al
Governo il potere di incidere sui tempi parlamentari di esame e di approvazione
delle leggi.
In particolare, viene data facoltà al Governo di chiedere che un disegno di
legge sia iscritto con priorità all’ordine del giorno di ciascuna Camera e che,
soprattutto, sia votato entro una data determinata.
Ai regolamenti parlamentari spetta l’individuazione dei limiti e dei modi per
l’esercizio di tale facoltà. Una modalità (o piuttosto un limite) è indicata dalla
medesima disposizione, laddove stabilisce che il termine temporale fissato per il
voto deve essere in ogni caso sufficiente per consentire un “adeguato” esame
del disegno di legge da parte del Parlamento.
La disposizione, si è affermato nel corso del dibattito, tende ad assicurare la certezza
della decisione11 e risponde alla finalità di snellire e razionalizzare le procedure12. Essa,
inoltre, potrebbe fornire al Governo un mezzo alternativo al ricorso al voto di fiducia,
spesso utilizzato per assicurare l’approvazione in tempi determinati di provvedimenti quali
i disegni di legge di conversione di decreti-legge soggetti a decadenza se non approvati
celermente.
La delegazione legislativa e la decretazione d’urgenza
Gli artt. 10 e 11 introducono ulteriori strumenti di garanzia a favore
dell’istituzione parlamentare, limitando o sottoponendo a controllo l’esercizio del
11
12
On. Violante, Presidente della I Commissione (I Commissione, seduta del 9 ottobre 2007).
On. Bocchino, relatore (I Commissione, seduta del 9 ottobre 2007).
20
BICAMERALISMO E FORMA DI GOVERNO
potere legislativo da parte del Governo nelle due ipotesi in cui la Costituzione lo
consente: la delegazione legislativa e la decretazione d’urgenza.
In particolare, l’art. 10, aggiungendo un comma all’art. 76 Cost., stabilisce che
tutti gli schemi di decreti legislativi predisposti dal Governo siano
sottoposti al parere delle Commissioni parlamentari competenti. È così
generalizzato e costituzionalizzato un obbligo, quello del parere parlamentare,
oggi previsto unicamente a livello di legislazione ordinaria e solo in determinati
casi, dalle rispettive leggi di delega13.
L’art. 11 sostituisce interamente l’art. 77 Cost., che disciplina la decretazione
d’urgenza, pur conservando alcuni degli elementi che ne caratterizzano la
vigente stesura.
Benché riformulato, il primo comma dell’art. 77 resta immutato quanto al
significato sostanziale: viene mantenuto l’espresso divieto al Governo di
emanare (senza delega del Parlamento) decreti che abbiano valore di legge
ordinaria, divieto che attribuisce natura derogatoria alla disciplina recata dai
commi successivi.
Per quanto riguarda l’ambito di intervento dei decreti-legge (secondo
comma), il Governo può ricorrere alla loro adozione soltanto in casi straordinari
di necessità ed urgenza. Tale requisito costituzionale è identico a quello richiesto
dall'attuale art. 77, così come l’obbligo per il Governo di presentare
immediatamente i provvedimenti d’urgenza per la loro conversione in legge alle
Camere, che devono riunirsi entro cinque giorni.
Le innovazioni più rilevanti sono contenute nel quarto comma del nuovo art.
77. La disposizione in questione delimita l’esercizio del potere del Governo di
adottare provvedimenti d’urgenza, recependo tra l’altro a livello costituzionale
alcuni dei vincoli attualmente posti dall’art. 15 della L. 400/1988, ai quali si è
di fatto talvolta derogato, in quanto posti con legge ordinaria.
In particolare, con il decreto-legge non è possibile:
ƒ rinnovare disposizioni di decreti non convertiti in legge;
ƒ ripristinare l'efficacia di disposizioni dichiarate illegittime dalla Corte
costituzionale;
ƒ conferire deleghe legislative;
ƒ attribuire poteri regolamentari in materie già disciplinate con legge14.
Il quinto comma dell’art. 77, infine, precisa che la conversione in legge deve
essere effettuata secondo i procedimenti legislativi di volta in volta previsti
dall’art. 70 per la materia oggetto del decreto-legge.
13
14
Una disposizione di ordine generale è peraltro recata dall’art. 14, co. 4, della L. 400/1988, che
prevede un doppio parere parlamentare sugli schemi di decreti delegati, che il Governo deve
richiedere in tutti i casi in cui il termine finale per l’esercizio della delega ecceda i due anni.
Quest’ultimo limite, che sembra fare riferimento all’ipotesi di autorizzazione al Governo
all’esercizio della potestà regolamentare mediante regolamenti di delegificazione, non è
previsto dall’art. 15 della L 400/1988.
21
SCHEDE DI APPROFONDIMENTO
Il Presidente della Repubblica
A parte quanto detto innanzi con riguardo al potere di nomina del Presidente
del Consiglio (che il Capo dello Stato esercita “valutati i risultati delle elezioni
per la Camera dei deputati”), il testo in esame incide sulla figura del Presidente
della Repubblica con l’art. 13, che apporta varie modifiche agli artt. da 83 a 88
della Costituzione.
La modifica che appare più rilevante e innovativa è quella recata dal co. 2
dell’art. all’art. 84 Cost.. In virtù di essa l’età minima che (insieme alla
cittadinanza e al godimento dei diritti civili e politici) costituisce il solo requisito
per l’elezione alla carica di Presidente della Repubblica è abbassata dagli
attuali cinquanta a quaranta anni.
Le altre modifiche, pur rilevanti, hanno finalità di coordinamento. Tra queste si
ricordano:
ƒ l’abrogazione del co. 2°dell’art. 83 Cost., ove si prevede che il Parlamento in seduta
comune, in occasione dell’elezione del Capo dello Stato, sia integrato con la presenza
di tre delegati per ogni Regione (uno per la Valle d’Aosta), eletti dal Consiglio
regionale, previsione che appare non più necessaria alla luce della composizione del
Senato federale;
ƒ la riformulazione dell’art. 86 Cost., che attribuisce al Presidente della Camera –
anziché a quello del Senato – le funzioni di supplenza in caso di temporaneo
impedimento del Capo dello Stato;
ƒ la novella al co. 1° dell’art. 88, che limita l’esercizio del potere di scioglimento
presidenziale alla sola Camera dei deputati.
Altre disposizioni
L’art. 19 del progetto di legge modifica il primo comma dell’art. 126 della
Costituzione, relativo allo scioglimento dei Consigli regionali e alla rimozione
dei Presidenti delle Giunte regionali, prevedendo che il parere sul decreto di
scioglimento, oggi espresso dalla Commissione per le questioni regionali,
dovrà essere richiesto ai Presidenti delle Camere.
L’art. 21 del progetto di legge reca la disciplina relativa alle modalità e ai tempi
di attuazione della riforma.
Il co. 1 dispone che quanto previsto dal provvedimento in esame trovi
applicazione dall’avvio della legislatura successiva a quella di entrata in
vigore del provvedimento.
Come specificato al co. 3, le leggi statali di cui agli artt. 57 e 123 Cost.
(modalità di elezione del Senato federale e princìpi fondamentali per la
composizione dei Consigli delle autonomie locali) dovranno essere approvate
entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della legge costituzionale.
Quando, in assenza della norma disciplinatrice o per ritardo nei successivi
adempimenti, i Consigli risultino non ancora costituiti alla data delle elezioni –
22
BICAMERALISMO E FORMA DI GOVERNO
e nelle sole Regioni in cui ciò avvenga – i senatori in rappresentanza delle
autonomie locali saranno eletti dal Consiglio regionale (o della Provincia
autonoma).
L’art. 22 del testo in esame riproduce la cosiddetta clausola di migliore
trattamento delle regioni a statuto speciale, già posta dall’art. 10 della L.Cost.
3/2001 (di riforma del Titolo V15), secondo cui, sino all'adeguamento degli statuti,
le disposizioni della riforma “si applicano anche alle Regioni a statuto speciale e
alle Province autonome di Trento e di Bolzano per le parti in cui prevedono
forme di autonomia più ampie rispetto a quelle già attribuite”.
15
Con la clausola di miglior trattamento “il legislatore costituzionale del 2001 ha [...] perseguito [...]
l'obbiettivo di evitare che il rafforzamento del sistema delle autonomie delle Regioni ordinarie,
attuato dalla riforma del titolo V, potesse determinare un divario rispetto a quelle Regioni che
godono di forme e condizioni particolari di autonomia” (così, da ultimo, C. cost., sent.
370/2006).
23
SCHEDE DI APPROFONDIMENTO
La forma di governo e il rapporto tra organi costituzionali
secondo la Costituzione vigente
Parlamento
delegati regionali
nomina
Ministri
Governo
Camera
dei deputati
Consigli
regionali
y vota la fiducia al
Governo
y può approvare una
mozione di sfiducia
elegge
y vota la fiducia al
Governo
y può approvare una
mozione di sfiducia
elegge
elegge
propone la nomina
dei ministri
Presidente
del Consiglio
in seduta comune
Senato
nomina
può sciogliere le Camere
elegge
può sciogliere le Camere
Presidente della Repubblica
Corpo elettorale
24
BICAMERALISMO E FORMA DI GOVERNO
La forma di governo e il rapporto tra organi costituzionali
secondo l’A.C. 553 e abb.-A
Parlamento
in seduta comune
Presidente
del Consiglio
nomina e revoca
propone la nomina e
la revoca dei ministri
nomina valutati
i risultati elettorali
elegge
può sciogliere la Camera
Presidente della Repubblica
Ministri
Governo
Camera
dei deputati
Senato
federale
eleggono
Consigli
regionali
eleggono
Consigli
autonomie
locali
elegge
elegge
elegge
Consigli
enti locali
Corpo elettorale
25
y vota la fiducia al
Presidente del
Consiglio
y può approvare una
mozione di sfiducia
SCHEDE DI APPROFONDIMENTO
INIZIATIVE DI RIFORMA ELETTORALE
I PROGETTI DI LEGGE ELETTORALE ESAMINATI DAL SENATO
La legge elettorale vigente
Il sistema elettorale vigente, introdotto sul finire della XIV legislatura dalla L.
270/200516 è orientato in senso interamente proporzionale, con premio di
maggioranza e articolate soglie di sbarramento per liste e coalizioni.
Ai fini dell’elezione della Camera la legge prevede, in estrema sintesi, che:
ƒ i partiti politici che intendono presentare liste di candidati possono collegarsi
tra loro in coalizioni; i partiti che si candidano a governare presentano il loro
programma e indicano il nome del loro leader. I partiti collegati in coalizione
depositano lo stesso programma e indicano il nome del capo della coalizione;
ƒ l’elettore esprime un solo voto per la lista di candidati prescelta; non è
prevista l’espressione di preferenze;
ƒ i seggi sono ripartiti proporzionalmente, in ambito nazionale17, tra le
coalizioni di liste e le liste che abbiano superato le soglie di sbarramento
previste dalla legge. Sono previste soglie di sbarramento per le coalizioni nel
loro complesso (10% del totale dei voti validi18), per le liste che non facciano
parte di una coalizione ammessa alla ripartizione (4%), e per le liste che ne
facciano parte, ai fini della ripartizione dei seggi già assegnati alla coalizione
(2%19).
ƒ alla coalizione di liste (o alla lista non coalizzata) più votata, qualora non
abbia già conseguito almeno 340 seggi, è attribuito un premio di
maggioranza tale da farle raggiungere tale numero di seggi;
ƒ l’assegnazione dei seggi spettanti in ogni circoscrizione alle coalizioni e alle
liste ha luogo secondo un complesso meccanismo ispirato anch’esso a criteri
di proporzionalità e accompagnato da procedure di correzione.
La disciplina per l’elezione del Senato è analoga a quella già descritta con
riguardo alla Camera, ma presenta alcune differenze legate alla natura
dell’organo, che è eletto “su base regionale” (art. 57, co. 1°, Cost.).In
particolare:
16
17
18
19
L. 21 dicembre 2005, n. 270, Modifiche alle norme per l’elezione della Camera dei deputati e
del Senato della Repubblica.
Con il “metodo del quoziente intero e dei maggiori resti”.
La coalizione deve inoltre comprendere almeno una lista che abbia raggiunto almeno il 2% del
totale dei voti validi o, a determinate condizioni, una lista rappresentativa di minoranze
linguistiche riconosciute.
È inoltre ammessa alla ripartizione la lista che ha ottenuto il risultato migliore tra quelle che non
hanno raggiunto la soglia del 2%.
26
I PROGETTI DI LEGGE ELETTORALE ESAMINATI DAL SENATO
ƒ
i seggi sono ripartiti e assegnati in ambito regionale, e le soglie di
sbarramento (più elevate20) sono anch’esse riferite al totale dei voti conseguiti
nella Regione;
ƒ anche il premio alla coalizione o lista singola più votata è assegnato Regione
per Regione, con l’attribuzione del 55% dei seggi spettanti alla Regione,
qualora essa non abbia già conseguito tale risultato.
Il dibattito politico
Il tema della revisione del sistema elettorale vigente per le elezioni di Camera
e Senato ha assunto particolare rilievo nel dibattito pubblico e in quello politico
sin dall’avvio della XV legislatura, anche in ragione dei risultati della
consultazione elettorale svoltasi il 9 e 10 aprile 2006, che avevano mostrato una
tendenza ad una elevata frammentazione del quadro politico e, specialmente
al Senato, sembravano determinare problemi di governabilità.
In questo quadro, già nell’esposizione degli indirizzi programmatici del
Governo in materia di riforme istituzionali il Ministro per i rapporti con il
Parlamento e le riforme istituzionali evidenziava infatti come la maggioranza di
Governo ritenesse necessaria una modifica alla legge elettorale vigente sia
per ragioni attinenti al metodo della sua approvazione (in quanto la L. 270 è frutto
di una modifica realizzata senza il concorso dell’opposizione) sia per motivi legati
al contenuto delle disposizioni della legge elettorale, che determinerebbe in
particolare effetti di “disfunzione e di contraddizione nel rapporto tra eletti e
territorio” 21.
In quella fase, tuttavia, non ritenendosi opportuno avviare immediatamente la
riforma del sistema elettorale22, le indicazioni fornite dal Ministro si riferivano in
via principale al metodo da seguire per l’elaborazione di una nuova legge,
evidenziandosi come anche sulla legge elettorale – analogamente a quanto
indicato per le riforme costituzionali – si dovesse procedere con ampie
convergenze tra maggioranza ed opposizione.
Quanto ai contenuti della possibile riforma, il Ministro rilevava che dagli
incontri avuti con i rappresentanti dei Gruppi parlamentari aveva tratto indicazioni
in ordine alla prevalenza di un orientamento favorevole all’introduzione nel nostro
20
21
22
20% per le coalizioni; 8% per le liste non coalizzate; 3% per le liste facenti parte di una
coalizione ammessa alla ripartizione.
Senato della Repubblica - 1ª Commissione. Resoconto stenografico della 17ª seduta (2ª
pomeridiana) di mercoledì 12 luglio 2006, pag. 8 e segg. Nello stesso senso v. anche
l'audizione del Ministro per i rapporti con il Parlamento e le riforme istituzionali, Vannino Chiti,
sulle linee programmatiche del suo dicastero, svoltasi presso la I Commissione della Camera
dei deputati nella seduta di martedì 18 luglio 2006.
Come evidenziato dal Ministro Chiti nell’audizione sugli indirizzi programmatici del Governo in
materia di riforme istituzionali svoltasi presso la I Commissione della Camera, infatti, nella
visione del Governo il tema della riforma elettorale avrebbe dovuto essere affrontato nel corso
della seconda parte della legislatura, a partire, indicativamente, dal 2009 (Camera dei deputati I Commissione. Resoconto stenografico della seduta di martedì 18 luglio 2006 pag. 6).
27
SCHEDE DI APPROFONDIMENTO
sistema elettorale di elementi mutuati da quello attualmente vigente in Germania,
mentre il ritorno a leggi organicamente maggioritarie non sembrava raccogliere la
maggioranza dei consensi.
I tempi del dibattito, che sembravano essere non particolarmente stringenti al
momento dell’avvio della legislatura, subirono tuttavia una prima accelerazione
a seguito dell’avvio dell’iter della consultazione referendaria sui quesiti in
materia elettorale promossa da un Comitato presieduto dal costituzionalista
Giovanni Guzzetta (v. scheda I referendum elettorali, pag. 39).
La necessità di intervenire sulla legge elettorale vigente in tempi più rapidi e
con il concorso di una ampia maggioranza parlamentare emerse con particolare
evidenza anche nel corso della crisi del governo Prodi II23 tra la fine del mese
di febbraio e l’inizio del mese di marzo 2007. In quella circostanza, infatti, il
Presidente della Repubblica - nell’esplicitare con una dichiarazione letta in
pubblico i motivi per i quali aveva deciso di rinviare il Governo alle Camere al
fine di verificare la sussistenza del rapporto fiduciario – sottolineava in particolare
di non aver proceduto all’immediato scioglimento delle Camere, “sia alla luce di
una costante prassi istituzionale, sia in considerazione di un giudizio
largamente convergente, benché non unanime, sulla necessità prioritaria di
una modificazione del sistema elettorale vigente”.
Il tema della necessità di un intervento di revisione della L. 270/2005 è stato
successivamente ripreso anche dal Presidente del Consiglio nelle sue
comunicazioni al Senato della Repubblica, svolte nella seduta del 27 febbraio
2007. In quella sede, il Presidente del Consiglio, rispondendo all’invito del
Presidente della Repubblica, ribadiva l’impegno del Governo ad operare per una
pronta riforma del sistema elettorale. Più in particolare, nell’affermare il carattere
assolutamente prioritario della riforma, il Presidente del Consiglio precisava
anche i ruoli che Governo e Parlamento avrebbero dovuto assumere nel
processo di individuazione del nuovo sistema elettorale. Il Governo avrebbe
cercato di favorire il raggiungimento di una intesa al riguardo, assumendo un
ruolo di supporto e di accompagnamento delle riflessioni, che tuttavia avrebbero
dovuto essere svolte in ambito parlamentare con la ricerca del più ampio
consenso possibile.
Un quadro piuttosto approfondito in ordine alle direttrici per una possibile
riforma del sistema elettorale vigente emerse nel dibattito politico, nonché alle
diverse formule proposte dai diversi partiti, è stato quindi offerto dal Ministro per i
rapporti con il Parlamento e le riforme istituzionali nell’aprile 2007 nel corso di
due audizioni svolte presso le Commissioni Affari costituzionali dei due rami del
Parlamento24.
23
24
La crisi si aprì a seguito della mancata approvazione da parte del Senato, il 21 febbraio 2007,
della risoluzione che approvava le comunicazioni del Governo sulle proprie linee di politica
estera.
Sia alla Camera che al Senato l’audizione ebbe luogo il 23 aprile 2007.
28
I PROGETTI DI LEGGE ELETTORALE ESAMINATI DAL SENATO
In quella sede, il Ministro sottolineava come, a seguito delle consultazioni con
le diverse forze politiche, condotte in una prima fase sul finire del 2006 e
successivamente nel marzo del 2007, in un ciclo di incontri ai quali aveva preso
direttamente parte anche il Presidente del Consiglio dei ministri, si fossero andati
delineando taluni obiettivi di carattere generale che il nuovo sistema
elettorale avrebbe dovuto realizzare. In particolare, si evidenziava la necessità
di:
ƒ preservare un assetto tendenzialmente bipolare del sistema politico, pur
rispettandone gli aspetti pluralistici, sia nel momento della competizione
elettorale sia nel corso della legislatura;
ƒ incentivare la stabilità e la coesione delle coalizioni;
ƒ prevedere meccanismi per avvicinare gli eletti agli elettori e per consentire
a questi ultimi di incidere in modo più efficace sulla selezione dei candidati e
degli stessi eletti;
ƒ valorizzare la democrazia dell'alternanza, senza tuttavia costringere i partiti
politici ad un bipolarismo “coatto”, che rischia di portare alla creazione di
schieramenti elettorali particolarmente ampi ed eterogenei al solo fine di
conquistare il premio di maggioranza;
ƒ dare piena attuazione all'articolo 51 Cost., assicurando pari opportunità per
entrambi i sessi per quanto riguarda non soltanto la presenza nelle liste
elettorali, ma anche nelle assemblee elettive.
Quanto alle concrete soluzioni per realizzare tali obiettivi, il Ministro Chiti
proponeva25 una ipotesi di riforma basata sulla divisione dei seggi da
assegnare in due grandi quote:
ƒ una quota attorno al 90 per cento da assegnare secondo il sistema
proporzionale alle liste che abbiano superato una soglia di sbarramento26
uguale per le liste coalizzate e per quelle non coalizzate, senza misure di
favore per la miglior lista perdente;
ƒ la seconda quota (pari a circa il 10 per cento) rappresenterebbe il premio di
maggioranza per la coalizione o la lista vincente che abbia ottenuto almeno il
40 per cento dei voti27.
Per rafforzare il rapporto tra i cittadini e gli eletti, l’ipotesi prospettata dal
Ministro faceva invece leva esclusivamente sull’aumento del numero delle
circoscrizioni, che avrebbe determinato una riduzione del numero dei candidati
presenti nelle liste, che comunque sarebbero rimaste “bloccate”, in modo da
consentire ai partiti politici interessati l’effettuazione di elezioni “primarie”.
25
26
27
L’ipotesi descritta nel testo è espressa con maggior ampiezza precisione nell’audizione presso il
Senato (pag. 6 e segg. del resoconto)
Quanto al valore della soglia si ipotizzava una sua definizione progressiva che avrebbe dovuto
portare gradualmente ad un innalzamento della soglia.(al riguardo, si ipotizzava il 5 per cento
nella XVII legislatura). Si evidenziava altresì la possibilità di prevedere una deroga a tale soglia
qualora essa fosse superata di due punti percentuali in almeno 3 circoscrizioni elettorali.
il premio, peraltro, non sarebbe scattato in caso di maggioranze diverse tra le due Camere.
29
SCHEDE DI APPROFONDIMENTO
Le proposte esaminate dal Senato della Repubblica
Nella seduta del 29 novembre 2006, la 1a Commissione del Senato aveva
avviato l’esame di tre proposte di legge28 e di due petizioni popolari in materia
di riforma del sistema elettorale vigente per le elezioni della Camera e del Senato
Come peraltro rilevato dal presidente della Commissione, sen. Bianco, relatore
sul provvedimento, la materia sarebbe tuttavia stata affrontata attraverso un
ampio confronto, che si sarebbe sviluppato solo successivamente alla
presentazione di ulteriori iniziative in materia.
In quella fase, pertanto, si richiamavano anche i contenuti delle iniziative
referendarie in materia, il cui iter aveva di recente preso avvio, nonché i tratti
fondamentali di alcune delle proposte di riforma che all’epoca erano oggetto di
attenzione nell’ambito del dibattito pubblico sul tema della riforma del sistema
elettorale.
Venivano in particolare, richiamati i contenuti della c.d. “proposta D’Alimonte”, che
prende il nome dal costituzionalista Roberto D’Alimonte ed era stata da questi più volte
esposta in una serie di scritti pubblicati tra il finire del 2006 ed i primi mesi dei 200729
come una soluzione “di ripiego” rispetto alla reintroduzione del sistema maggioritario, che
però – diversamente da questa -avrebbe avuto possibilità di essere realizzata nel corso
della legislatura.
La proposta si basava su alcune puntuali modifiche alla legge elettorale vigente, le
quali – senza modificare l’impianto fondamentale della L. 270 - miravano a migliorarne
l’applicazione rafforzando gli elementi volti ad assicurare minore frammentazione politica,
maggiore governabilità e maggiore partecipazione dei cittadini alla scelta dei candidati
eletti.
In particolare, accanto a modifiche di minore portata, si proponeva di:
ƒ attribuire anche al Senato il premio di maggioranza a livello nazionale e non più a
livello regionale;
ƒ riconoscere anche per le elezioni del Senato l’elettorato attivo a tutti i cittadini che
abbiano raggiunto la maggiore età;
ƒ abolire sia alla Camera che al Senato la possibilità di candidature “plurime”;
ƒ conteggiare, ai fini dell’assegnazione del premio di maggioranza, solo i voti delle
liste che abbiano raggiunto le soglie di sbarramento previste per l’assegnazione dei
seggi;
ƒ introdurre meccanismi che consentano agli elettori di scegliere i candidati da
eleggere, in particolare valutando la possibilità di prevedere - come avviene nel
sistema elettorale tedesco – che la metà dei parlamentari sia eletto in collegi
uninominali e la metà in base a liste “bloccate;
ƒ includere i voti espressi nella Valle d’Aosta nel calcolo per l’attribuzione del premio
di maggioranza alla Camera.
28
29
Si tratta, in particolare, dell’A.S. 129 (sen. Cutrufo), volto a introdurre nell’attuale sistema
elettorale il voto di preferenza; dell’A.S. 313 (sen. Tomassini), ispirato al modello elettorale
tedesco; dell’A.S. 904 (sen. Casson ed altri), che propone il ritorno alla disciplina elettorale
previgente, attraverso l’abrogazione della L. 270/2005.
V. in particolare R. D’Alimonte Una riforma elettorale come si può in Il mulino n. 6/2006 pag.
1183-1187.
30
I PROGETTI DI LEGGE ELETTORALE ESAMINATI DAL SENATO
Durante la fase di approfondimenti istruttori condotti dal Governo tra le diverse
forze politiche (v. supra) tra la fine del 2006 ed i primi mesi del 2007, l’esame è
quindi proseguito in modo piuttosto discontinuo30. Nella seduta del 16 maggio
2007, quando risultavano abbinate 10 proposte di legge di iniziativa parlamentare
e 5 petizioni, di contenuto assai eterogeneo, il relatore preannunciava31 peraltro
la presentazione, successivamente alla conclusione del turno elettorale
amministrativo32, di una proposta di testo unificato in materia.
Una accelerazione dei tempi di esame fu quindi perseguita attraverso la
dichiarazione d’urgenza dell’affare inerente alla revisione delle leggi elettorali,
la quale fu approvata dall’Assemblea del Senato33 nella seduta del 7 giugno
2007.
Nell’illustrare la richiesta della dichiarazione di urgenza, il presentatore, sen Calderoli,
indicava come potesse essere fissato intorno al 28 giugno il termine complessivo per
individuare una forma di mediazione rispetto alle scadenze di tutti i provvedimenti. Detto
termine, in particolare, avrebbe dovuto consentire al Parlamento di procedere
all’individuazione di una nuova legge elettorale, o – eventualmente – di decidere di
ritornare al sistema vigente anteriormente alla riforma del 2005, senza rimettere le
decisioni in materia all’esito della consultazione referendaria, il cui iter stava in quel
periodo proseguendo con la raccolta delle firme.
Sulla dichiarazione di urgenza si realizzò un’ampia convergenza ed anche il Governo
espresse il proprio sostegno all’iniziativa34: la richiesta venne quindi approvata – secondo
quanto precisato dal richiedente - con l’indicazione che, trattandosi di provvedimenti
presentati in tempi diversi, il termine di scadenza per l’esame in Commissione era
fissato al 28 giugno 2007.
Lo schema di testo unificato proposto il 4 luglio 2007
Un primo schema di testo viene illustrato dal presidente Bianco, in qualità di
relatore, nella seduta del 4 luglio 2007. Si tratta, in sostanza di un documento di
lavoro elaborato dal relatore, che si è riservato di formalizzare in un secondo
momento – alla luce delle eventuali osservazioni emergenti dal dibattito in
30
31
32
33
34
Nel complesso tra il dicembre 2006 ed il maggio 2007 sono state dedicate all’esame dei
provvedimenti in materia elettorale solo tre sedute, una delle quali (quella del 6 marzo 2007) ha
avuto esclusivamente ad oggetto l’esame della richiesta di intesa, formulata dalla Presidenza
della Camera, in ordine alla trattazione dei progetti di legge in materia elettorale ed in materia di
riforma del bicameralismo (per questa vicenda v. il capitolo Iniziative di riforma del sistema
elettorale, nel dossier 1/1, Parte seconda).
Senato della Repubblica - 1ª Commissione. Resoconto sommario della 113ª seduta
(pomeridiana) di mercoledì 16 maggio 2007.
Le elezioni amministrative per il 2007, che riguardavano l'elezione dei Presidenti e dei consigli
di 7 province e dei Sindaci e dei consigli di 856 comuni, si tennero il 27 e 28 maggio 2007. Il
turno di ballottaggio ebbe invece luogo nei giorni di domenica 10 e lunedì 11 giugno.
Ai sensi dell’art. 77 del regolamento di quel ramo del Parlamento.
Per il dibattito v. Senato della Repubblica – Resoconto stenografico della 160 e della 163a
seduta pubblica (antimeridiana) di martedì 5 e giovedì 7 giugno 2007.
31
SCHEDE DI APPROFONDIMENTO
Commissione – una vera e propria proposta di testo unificato delle proposte di
legge in materia elettorale, da assumere successivamente quale possibile testo
base per il seguito dell’esame parlamentare.
Su un piano generale, il relatore ha sottolineato come le disposizioni
contenute nello schema proposto, che tengono conto delle indicazioni emerse
dalle consultazioni con le forze politiche ed i Gruppi parlamentari svolte dal
Ministro Chiti e fanno propri gli elementi di alcune delle proposte esaminate dalla
1a Commissione del Senato sui quali si è registrata una più ampia convergenza,
intendono perseguire principalmente due ordini di obiettivi:
ƒ assicurare la governabilità e di ridurre la frammentazione del sistema
politico;
ƒ recuperare il rapporto tra elettori ed eletti.
Quanto ai contenuti dello schema illustrato35, che riprendeva in parte le
soluzioni proposte dal Ministro Chiti nell’audizione del 23 aprile 2007, il testo si
concentrava esclusivamente sulla disciplina del sistema elettorale della
Camera dei deputati, articolandosi in due varianti alternative, mentre per altre
rilevanti questioni (sistema elettorale del Senato, disposizioni volte al riequilibrio
della rappresentanza di genere e norme relative ai territori di insediamento delle
minoranze linguistiche) il relatore faceva presente la necessità di un supplemento
di istruttoria e rinviava a successive elaborazioni.
Per quanto riguarda, dunque, la Camera dei deputati, l’ipotesi individuata
come principale prevede che il 90 per cento dei seggi riferiti alle circoscrizioni
del territorio nazionale sia attribuito nell’ambito di collegi uninominali con un
riparto proporzionale tra gruppi di candidati collegati su base circoscrizionale. Il
restante 10 per cento dei seggi è attribuito a seguito dell’eventuale
individuazione di una coalizione o di una lista a cui spetti il premio di
maggioranza. In questo quadro, l’elettore disporrebbe di un solo voto.
Per accedere al riparto dei seggi avviene in primo luogo a livello
circoscrizionale le liste devono aver superato una soglia di sbarramento,
rappresentata dal conseguimento di almeno il 4 per cento dei voti validi a livello
nazionale o dall’aver ottenuto almeno 3 seggi in altrettante circoscrizioni.
E’ inoltre previsto un premio di maggioranza per la coalizione o la lista
singola non appartenente a una coalizione cui spetti la maggioranza dei seggi nei
collegi uninominali, purché essa abbia ottenuto almeno 248 seggi
(corrispondenti circa al 40 per cento dei seggi da assegnare) e non più di 340
seggi. In tal caso alla coalizione o alla lista è attribuito un numero aggiuntivo di
seggi fino al raggiungimento della soglia di 340 seggi. In caso contrario non si
applica il premio di maggioranza e la parte residua di seggi è ripartita a livello
circoscrizionale tra le liste ammesse.
35
Lo schema è stato oggetto di illustrazione da parte del relatore nella seduta del 4 luglio 2007,
ma, non essendo stato formalmente presentato, non risulta, allegato al resoconto della seduta.
32
I PROGETTI DI LEGGE ELETTORALE ESAMINATI DAL SENATO
Per quanto attiene alle candidature “plurime”, si prevede che nessun
candidato può essere incluso nelle liste con il medesimo contrassegno in più di
tre collegi.
In base all’ipotesi alternativa dello schema, individuata dal relatore come
subordinata, ferma restando la suddivisione tra una quota del 90 per cento e
una del 10 per cento, ogni lista è invece composta da due elenchi distinti, uno
recante le candidature nei collegi della circoscrizione e l’altro riferito alle
candidature per i seggi da assegnare nell’ambito della quota residua del 10
per cento.
Diverso è quindi anche il regime delle candidature “plurime”: nella seconda
ipotesi, infatti, nessun candidato può essere incluso in più di uno degli elenchi
previsti per l’attribuzione dei seggi della quota residua e il candidato iscritto negli
elenchi per l’attribuzione della quota residua non potrà candidarsi nei collegi
uninominali della medesima circoscrizione.
Il seguito del dibattito e le nuove proposte
Dopo l’illustrazione dello schema di testo unificato, si è quindi aperta una
ampia fase di discussione che ha riguardato in un primo momento, a cavallo
della sospensione estiva dei lavori parlamentari, lo schema proposto dal relatore
e le ulteriori proposte di legge che venivano mano a mano presentate36 ed
illustrate, e – successivamente37 – una serie di questioni poste da relatore con
riferimento ai possibili contenuti del testo unificato.
A questo ultimo proposito, il relatore evidenziava38 come la proposta di testo unificato
da presentare avrebbe dovuto tenere conto delle indicazioni che avessero incontrato il
maggiore consenso in Commissione e nel dibattito tra le forze politiche, ma anche degli
effetti che la nuova legge elettorale avrebbe determinato con riferimento allo svolgimento
della consultazione referendaria.
Con specifico riferimento ai contenuti del nuovo modello elettorale, il relatore rilevava
come fosse emerso un accordo pressoché generale su una formula elettorale
proporzionale, nonché sull’esigenza di predisporre gli accorgimenti necessari per ridurre
la frammentazione e favorire il bipolarismo.
In questa fase, nel dibattito politico svoltosi anche al di fuori delle sedi
parlamentari si sono andate sviluppando ulteriori proposte di riforma del sistema
elettorale, tra le quali si segnala - per il rilievo assunto nel dibattito politico nelle
fasi successive dell’esame parlamentare delle proposte di legge presentate al
Senato - la c.d. proposta Vassallo.
36
37
38
Al momento della presentazione dell’ultima proposta di testo-base parte del relatore (15
gennaio 2008), le proposte di legge abbinate erano 29 (27 d’iniziativa parlamentare e 2
d’iniziativa popolare), oltre a 5 petizioni popolari.
A partire dalla seduta del 24 ottobre 2007.
Senato della Repubblica – 1a Commissione. Resoconto sommario della 166ª seduta di
mercoledì 24 ottobre 2007.
33
SCHEDE DI APPROFONDIMENTO
La proposta venne formulata all’inizio del mese di novembre 200739 e intendeva
costituire – nelle intenzioni dichiarate dal suo autore – uno strumento che consentisse la
realizzazione di un nuovo sistema elettorale che garantisse il raggiungimento di alcuni
obiettivi di fondo condivisi dalle diverse forze politiche (rafforzamento della possibilità per
gli elettori di giudicare la qualità dei candidati; riduzione della frammentazione del
sistema, che garantisca il mantenimento di un moderato pluralismo partitico,
mantenimento della dinamica bipolare, che non si traduca nella formazione di coalizioni
pre-elettorali artificiose ed eterogenee).
Il sistema individuato dalla proposta per la realizzazione di tali obiettivi è costituito da
un sistema elettorale che presenta analogie con il sistema elettorale tedesco e con quello
spagnolo. In particolare, si prevede un sistema misto, nel quale la metà dei seggi viene
assegnata in collegi uninominali e l’altra metà con sistema proporzionale. L’elettore ha a
sua disposizione un solo voto che vale sia per il collegio che per la quota proporzionale.
Per la quota proporzionale l’attribuzione dei seggi è effettuata a livello circoscrizionale
e si realizza con il metodo d’Hondt. Per l’accesso al riparto dei seggi non sarebbe
prevista alcuna soglia di sbarramento, ma – al fine di limitare la frammentazione politica si richiederebbe un aumento delle circoscrizioni che dovrebbero assegnare 12, 14 o al
massimo 16 seggi (compresi quelli da assegnare con il metodo uninominale).
La proposta di testo unificato dell’11 dicembre 2007
Nella seduta dell’11 dicembre 2007 il presidente Bianco ha quindi presentato
una proposta di testo unificato delle varie proposte di legge in materia elettorale
all'esame della 1a Commissione40, che ha inteso recepire i contenuti della lunga e
articolata discussione svoltasi nell'ambito della Commissione e del dibattito che
ha coinvolto le diverse formazioni politiche.
Il sistema elettorale delineato dalla proposta di testo unificato elaborato dal
relatore ha un impianto a carattere sostanzialmente proporzionale e si ispira
nei suoi tratti essenziali al modello attualmente adottato in Germania, pur con
alcuni adattamenti, derivanti in primo luogo da vincoli costituzionali presenti in
Italia (in particolare, dalle previsioni degli articoli 56 e 57 della Costituzione, che
determinano in modo fisso il numero dei parlamentari).
In via generale, con riferimento al sistema per le elezioni della Camera dei
deputati, si prevede che i seggi siano attribuiti per metà in collegi uninominali
e per l’altra metà con sistema proporzionale, a liste concorrenti di candidati,
senza voto di preferenza. Le liste di candidati e i candidati nei collegi, presentati
da ciascun partito o movimento politico organizzato, formano un unico "gruppo di
candidati" nell’ambito della circoscrizione, fatta salva la possibilità di candidature
indipendenti nei collegi uninominali.
39
40
La proposta è formulata in uno scritto, dal titolo Un sistema elettorale semplice, per un nuovo
bipolarismo. Un po’ tedesco, un po’ spagnolo, un po’ italiano, pubblicato in diversi siti web (v. ad
es. http://www.lavoce.info/binary/la_voce/articoli/sistema_elettorale.1194882027.pdf.
La proposta è pubblicata in allegato al resoconto della seduta dell’11 dicembre 2007:
http://www.senato.it/japp/bgt/showdoc/framfe.jsp?tipodoc=SommComm&leg=15&id=294925.
34
I PROGETTI DI LEGGE ELETTORALE ESAMINATI DAL SENATO
Anche in questo caso, tuttavia, come già avvenne per il testo illustrato il 4
luglio 2007, la proposta presenta ancora dei margini “aperti”, che vengono
sottoposti alla valutazione della Commissione.
In particolare, con riferimento alle modalità di espressione del voto da parte
dell’elettore si prevedono due ipotesi alternative:
ƒ nella prima ipotesi, che nella proposta di testo base è denominata “ipotesi
A”, l’elettore dispone di un solo voto, valido sia per il candidato nel collegio
uninominale, sia per la lista circoscrizionale ad esso collegata41;
ƒ nella seconda ipotesi, che nella proposta di testo base è denominata “ipotesi
B”, l'elettore dispone di due voti, riferiti rispettivamente collegio uninominale e
alla lista circoscrizionale, che potranno essere esercitati anche in modo
“disgiunto”42.
Anche il numero e, conseguentemente, l’ampiezza delle circoscrizioni non
sono individuati dalla proposta di testo base. Al riguardo, tuttavia, il presidente
Bianco nell’illustrare la proposta in esame osservava come dovesse ipotizzarsi
un numero di circoscrizioni superiore a quello previsto dalla legge elettorale
vigente (27), indicando – a titolo esemplificativo – come possibile parametro il
numero di circoscrizioni previsto prima della riforma elettorale del 1993 (33)
Sono, inoltre, previste soglie di sbarramento per l’accesso al riparto dei
seggi, fissate ad un livello superore a quello previsto dal testo del 4 luglio 2007:
al riparto sono infatti ammesse le liste circoscrizionali che a livello nazionale
conseguono una percentuale pari almeno al 5 per cento del totale nazionale dei
voti validi ovvero le liste che, non conseguendo quella percentuale nazionale,
abbiano ottenuto almeno il 7 per cento dei voti validi in cinque circoscrizioni.
Con una significativa innovazione rispetto al sistema elettorale vigente e
rispetto allo schema di testo base precedentemente elaborato, non è invece
previsto alcun premio di maggioranza.
Una volta individuate le liste ammesse, l’attribuzione dei seggi è effettuata a
livello circoscrizionale e si realizza con il metodo d’Hondt. Gli eletti nei collegi
sono compresi nel numero complessivo di seggi attribuito con metodo
proporzionale alle liste circoscrizionali. Quando una lista di candidati sia
insufficiente a coprire i seggi ottenuti nella circoscrizione, si ricorre ai candidati
nei collegi appartenenti allo stesso gruppo che hanno conseguito le maggiori
cifre individuali. I candidati che in ciascun collegio uninominale hanno ottenuto il
maggior numero di voti validi risultano comunque eletti, anche se fanno parte di
gruppi di candidati le cui liste circoscrizionali, nel complesso, non abbiano
raggiunto la soglia di sbarramento. Quando un partito abbia ottenuto nei collegi
uninominali un numero di seggi superiore a quello che gli spetterebbe in base al
41
42
Si tratta della soluzione prevista nel sistema elettorale tedesco nella sua formulazione
originaria, del 1949.
il doppio volto venne introdotto nel sistema tedesco nel 1953.
35
SCHEDE DI APPROFONDIMENTO
riparto proporzionale, mantiene tali seggi in eccedenza e si procede ad una
nuova ripartizione dei seggi rimanenti tra le altre liste.
Per quanto riguarda, invece, il sistema di elezione del Senato, esso si fonda
su un computo regionale dei voti sia per il calcolo della soglia di sbarramento
(che anche qui è fissata al 5 per cento dei voti validi), sia per la ripartizione dei
seggi in ragione proporzionale.
Per il resto, si applicano, con gli opportuni adattamenti, le regole già illustrate
per l’elezione della Camera dei deputati.
Il testo reca inoltre specifiche disposizioni in materia di pari opportunità
nell’accesso al mandato parlamentare, in attuazione dell’articolo 51 della
Costituzione, così come da ultimo modificato dalla L.Cost. 1/200343.
Al riguardo, si prevede che il numero massimo di candidati dello stesso sesso,
per ciascun gruppo di candidati (presentati nelle liste e nei collegi e tra loro
collegati), non possa eccedere i due terzi dei seggi assegnati alla circoscrizione,
e che le liste siano formate in modo che non vi siano più di due candidati dello
stesso sesso in successione immediata.
Infine, con una norma analoga a quella attualmente prevista dall’articolo 14bis del T.U. delle leggi per l’elezione della Camera dei deputati, si prevede che
ogni partito, nel depositare il contrassegno, debba presentare un programma di
Governo, a titolo proprio o in coalizione con altri partiti con vincolo di reciprocità,
In luogo dell’indicazione del “capo della forza politica” o dell’ “unico capo della
coalizione”, si prevede inoltre l’indicazione del “nome e cognome della persona
da sottoporre, dopo l’esito delle votazioni, al Presidente della Repubblica
quale candidato alla carica di Presidente del Consiglio dei ministri”.
Al riguardo, il relatore nel presentare i contenuti della proposta ha evidenziato
come questa ultima opzione – unitamente alla scomparsa delle coalizioni dal
sistema elettorale - affidi agli elettori una possibilità di scelta in ordine agli
equilibri di Governo conseguenti alle elezioni senza tuttavia prevedere forme
rigide di bipolarismo, attraverso la costituzione di blocchi contrapposti prima delle
consultazioni elettorali.
Il testo lascia, infine, aperte una serie di ulteriori questioni relative, in
particolare, alla delimitazione dei collegi uninominali, alle disposizioni volte a
salvaguardare le minoranze linguistiche e al sistema di elezione previsto per la
circoscrizione Estero. Quanto alle possibili modifiche da introdurre, il relatore, nel
dichiararsi disposto a valutare eventuali proposte compatibili con le linee
fondamentali del sistema delineato, ha evidenziato in particolare come modifiche
potrebbero essere apportate al sistema di attribuzione dei seggi, che potrebbe
avvenire a livello nazionale, anziché in sede circoscrizionale.
43
L.Cost. 30 maggio 2003, n. 1, Modifica dell'articolo 51 della Costituzione.
36
I PROGETTI DI LEGGE ELETTORALE ESAMINATI DAL SENATO
La nuova proposta di testo unificato del 15 gennaio 2008
A seguito del dibattito apertosi sulla proposta di testo unificato presentata dal
nella seduta dell'11 dicembre 2007, il presidente Bianco nella seduta del 15
gennaio 2008 ha presentato alla Commissione una nuova proposta di testo
base, pubblicata in allegato al resoconto della seduta44, nella quale – ferme
restando le caratteristiche essenziali del sistema elettorale prefigurato – sono
recepite alcune delle sollecitazioni emerse nel corso del dibattito stesso e sono
sciolti i nodi che la precedente proposta lasciava volutamente da risolvere.
In primo luogo, con riferimento alla disciplina per l’elezione della Camera dei
deputati, il sistema resta fondato sull’assegnazione della metà dei seggi
disponibili in collegi uninominali, con formula maggioritaria, e dell’altra metà a
liste circoscrizionali, senza voto di preferenza. Resta ferma anche la soglia di
sbarramento (pari al 5 per cento dei voti validi a livello nazionale, o al 7 per cento
in cinque circoscrizioni).
L’alternativa tra voto unico e doppio voto è risolta con la scelta del voto
unico, per il candidato nel collegio uninominale e per la lista
circoscrizionale che ha lo stesso contrassegno.
Al riguardo, il relatore ha sottolineato come – sotto il profilo politico-istituzionale l’opzione prescelta “corrisponde all’intento di assicurare al sistema un fattore di tenuta
della competizione bipolare, una volta intrapresa la via della formula proporzionale senza
premio di maggioranza: infatti, gli elettori sono portati, in questa forma, a votare in modo
univoco, perché sia il candidato nel collegio sia la lista circoscrizionale sono l'oggetto
comune della scelta”.
Viene anche modificata la disciplina del riparto dei seggi: questo è ora
compiuto in sede nazionale, in base alle cifre elettorali risultanti dalla somma dei
risultati circoscrizionali e secondo la formula dei quozienti naturali e dei resti
più alti.
La modifica introdotta è stata motivata dal relatore con l'esigenza di raccogliere le
molteplici sollecitazioni emerse nel corso del dibattito volte a richiedere che - una volta
superata la soglia di sbarramento - i voti espressi dagli elettori si trasformino in seggi
secondo un criterio che assicuri la massima realizzazione dell'effetto proporzionale, fatto
salvo il criterio di prevalenza del voto per i candidati nei collegi quando questo non
corrisponda alla ripartizione proporzionale.
Il testo è inoltre modificato nella parte che riguarda il limite alle candidature
plurime, confermando che è possibile candidarsi in un solo collegio uninominale
nel quale, elevando (da una a) due le liste circoscrizionali nelle quali è
possibile presentare la medesima candidatura.
44
http://www.senato.it/japp/bgt/showdoc/frame.jsp?tipodoc=SommComm&leg=15&id=297435.
37
SCHEDE DI APPROFONDIMENTO
Quanto, infine, alle disposizioni in materia di indicazione del nome del
candidato da sottoporre al Presidente della Repubblica per la nomina a
Presidente del Consiglio dei ministri e del programma di governo, innovando
rispetto al testo del 15 dicembre, si prevede che sussista l'obbligo, non la
semplice facoltà, di dichiarare preventivamente l'alleanza di riferimento, il
candidato premier e il programma comune tra più forze politiche.
Per quanto riguarda, invece, il sistema di elezione del Senato, esso rimane
caratterizzato – come nel testo del 15 dicembre 2007 – da un impianto a base
regionale, in ossequio a quanto disposto dall'articolo 57 della Costituzione. Con
una rilevante innovazione, si prevede peraltro che tutti i seggi siano attribuiti
con il metodo proporzionale, sulla base dei voti espressi per candidati in
collegi uninominali.
Rimangono invece ferme le previsioni – che erano già presenti nella
precedente proposta di testo unificato – secondo le quali il riparto dei seggi
viene effettuato a livello regionale e vi accedono i gruppi di candidati che
abbiano superato una soglia di sbarramento prevista a livello regionale (pari
al 5 per cento dei voti validamente espressi in tale ambito). Anche in questo
caso, come per la Camera, i seggi sono attribuiti seguendo la formula dei
quozienti naturali e dei resti più alti.
Per quanto attiene, infine, alle questioni non direttamente affrontate dal testo,
può infine rilevarsi come nella proposta del relatore non fossero contenute
indicazioni in ordine ad una serie di tematiche che erano state oggetto di
segnalazione nel corso del dibattito sulla riforma del sistema elettorale, con
specifico riferimento al numero delle circoscrizioni in cui suddividere il territorio
nazionale, alla delimitazione dei collegi uninominali e al sistema di elezione
previsto per la circoscrizione Estero.
A seguito della crisi di Governo e del successivo scioglimento delle Camere,
l’esame del provvedimento, sui contenuti del quale peraltro non sembrava
registrarsi una ampia convergenza, non è ulteriormente proseguito.
38
I REFERENDUM ELETTORALI
INIZIATIVE DI RIFORMA ELETTORALE
I REFERENDUM ELETTORALI
L’iniziativa referendaria
Nella Gazzetta ufficiale n. 250 del 26 ottobre 2006 è stato pubblicato il
comunicato della Corte suprema di cassazione recante l’annuncio di tre richieste
di referendum popolari ai sensi dell’articolo 75 della Costituzione, abrogativi di
disposizioni in materia elettorale45.
I tre quesiti intervengono su diverse parti della disciplina per l’elezione delle
Camere, come risultante dalla riforma approvata con L. 270/200546, operando
un’abrogazione “mirata” di parole o frasi; il testo risultante da tali soppressioni
configurerebbe un sistema elettorale in parte diverso da quello in vigore.
In estrema sintesi, il primo e il secondo quesito incidono su varie disposizioni,
rispettivamente, del testo unico per l’elezione della Camera dei deputati (D.P.R.
361/195747) e del testo unico per l’elezione del Senato della Repubblica (D.Lgs.
533/199348), al fine di sopprimere la disciplina che permette il collegamento di più
liste in coalizioni. In caso di esito positivo dei referendum, si avrebbe quale
principale conseguenza l’attribuzione del premio di maggioranza alla lista singola
– e non più alla coalizione di liste – che ottenesse il maggior numero di seggi.
Il terzo quesito reca l’abrogazione di alcune disposizioni del testo unico per
l’elezione della Camera, avente quale effetto l’eliminazione della possibilità per
un candidato di presentarsi in più circoscrizioni.
Ai sensi della disciplina vigente (L. 352/197049, art. 32), le richieste di referendum,
corredate dalle firme di almeno 500.000 elettori, devono essere depositate presso
l’Ufficio centrale per il referendum costituito presso la Corte di cassazione entro il 30
settembre.
La raccolta delle firme ha avuto inizio il 24 aprile 2007 e, conformemente a quanto
richiesto dalla legge (L. 352/1970, art. 28), è terminata il 24 luglio 2007 (entro tre mesi
dalla data apposta sui fogli per la raccolta delle firme, che devono essere datati e
vidimati), con il deposito delle firme presso la cancelleria della Corte di cassazione. In
45
46
47
48
49
I tre quesiti sono stati formulati dal costituzionalista prof. Giovanni Guzzetta, presidente del
comitato promotore. Il comitato, che ha eletto domicilio presso il Patto Segni, via Veneto n. 169,
Roma, è coordinato da Mario Segni. Fra gli aderenti al comitato promotore sono numerosi gli
esponenti
politici,
sia
di
maggioranza,
sia
di
opposizione
(cfr.
http://www.referendumelettorale.org/cgi-bin/adon.cgi?act=doc&doc=1).
L. 21 dicembre 2005, n. 270, Modifiche alle norme per l’elezione della Camera dei deputati e
del Senato della Repubblica.
D.P.R. 30 marzo 1957, n. 361, Approvazione del testo unico delle leggi recanti norme per la
elezione della Camera dei deputati.
D.Lgs. 20 dicembre 1993, n. 533, Testo unico delle leggi recanti norme per l’elezione del
Senato della Repubblica.
L. 25 maggio 1970, n. 352, Norme sui referendum previsti dalla Costituzione e sulla iniziativa
legislativa del popolo.
39
SCHEDE DI APPROFONDIMENTO
quella sede, le firme che appoggiavano la richiesta furono quantificate dai promotori del
referendum nel numero di 821.916.
Con ordinanza emessa in data 28 novembre 2007, l'Ufficio centrale per il
referendum, costituito presso la Corte di cassazione ai sensi dell’art. 12 della
legge 25 maggio 1970, n. 352, ha dichiarato legittime le richieste di referendum.
Il primo quesito
Il primo quesito referendario abroga i commi 1 e 2 dell’art. 14-bis del D.P.R.
361/1957 (introdotto dalla riforma elettorale del 2005), che consentono ai partiti e
gruppi politici che si presentano alle elezioni per il rinnovo della Camera di
effettuare il collegamento in coalizione delle liste da essi presentate.
Conseguentemente, il quesito prevede anche l’abrogazione delle numerose altre
disposizioni del testo unico che fanno riferimento alle coalizioni.
Il referendum non ha ad oggetto le disposizioni relative al deposito del programma
elettorale ed alla contestuale indicazione del “capo della forza politica”, che dunque
resterebbero in vigore (salva, ovviamente, l’impossibilità di indicare un “capo della
coalizione”).
Risulterebbero, in particolare, soppresse ampie parti degli artt. 83 e 84, che
disciplinano il meccanismo di assegnazione dei seggi. Ne conseguirebbe un
sistema di riparto sostanzialmente diverso da quello vigente.
Per l’elezione dei 618 deputati nel territorio nazionale, il testo unico per l’elezione della
Camera prevede oggi un sistema elettorale di tipo proporzionale con eventuale premio di
maggioranza50, secondo il quale il riparto dei seggi è effettuato in ambito nazionale tra le
coalizioni di liste e le liste che abbiano superato le soglie di sbarramento previste dalla
legge. Il premio di maggioranza – consistente nell’attribuzione complessiva di 340 seggi,
pari al 55 per cento del totale dei seggi della Camera assegnati nelle circoscrizioni del
territorio nazionale – è attribuito alla coalizione di liste o alla lista più votata, qualora tale
coalizione o lista non abbia già conseguito almeno 340 seggi.
L’esito favorevole all’approvazione del referendum avrebbe le seguenti
conseguenze:
ƒ la partecipazione al riparto proporzionale dei seggi non più delle coalizioni,
ma delle sole singole liste che abbiano conseguito sul piano nazionale almeno
il 4 per cento dei voti validi espressi. La scomparsa delle coalizioni
comporterebbe, in altri termini, anche il venir meno dell’articolata serie di
soglie di sbarramento oggi prevista per le coalizioni medesime e per le liste ad
50
Fa eccezione la regione Valle d’Aosta, che è costituita in unico collegio uninominale.
40
I REFERENDUM ELETTORALI
esse collegate: resterebbe in vigore la sola soglia del 4 per cento prevista oggi
per le liste “non collegate”51;
ƒ l’attribuzione del premio di maggioranza52 alla sola lista singola (e non alla
coalizione) che abbia ottenuto la più alta cifra elettorale nazionale.
Analogamente a quanto consentito dalla disciplina in vigore, che non prevede
una soglia minima per l’operatività del premio di maggioranza, quest’ultimo
sarebbe attribuito alla lista che abbia ottenuto la maggioranza relativa dei voti,
indipendentemente dall’ampiezza del suo risultato elettorale in termini
assoluti.
Secondo il comitato promotore del referendum, il sistema elettorale risultante
dall’accoglimento del primo e del secondo quesito referendario “spingerà gli attuali
soggetti politici a perseguire, sin dalla fase pre-elettorale, la costruzione di un unico
raggruppamento, rendendo impraticabili soluzioni equivoche e incentivando la
riaggregazione nel sistema partitico”, riducendo la frammentazione e aprendo una
prospettiva tendenzialmente bipartitica53.
Il secondo quesito
Il secondo quesito referendario persegue effetti del tutto analoghi al primo, ma
ha ad oggetto il sistema per l’elezione del Senato.
Per l’elezione dei 309 senatori nel territorio nazionale, la legge elettorale per il Senato
prevede un sistema di tipo proporzionale con eventuale attribuzione di un premio in
ambito regionale. In ogni regione, i seggi sono attribuiti alle coalizioni di liste e alle liste
che abbiano superato, in ambito regionale, le soglie di sbarramento previste dalla legge;
sempre nell’ambito di ciascuna regione, è assegnato un “premio di coalizione regionale”
alla coalizione di liste o alla lista più votata, qualora tale coalizione o lista non abbia già
conseguito almeno il 55 per cento dei seggi assegnati alla Regione54.
Anche in questo caso, il quesito prevede l’abrogazione delle diverse
disposizioni che, nel D.Lgs. 533/1993, fanno riferimento alle coalizioni; le
abrogazioni parziali riferite agli 16, 17 e 19, in particolare, determinerebbero un
sistema di attribuzione dei seggi in virtù del quale:
51
52
53
54
Resterebbe peraltro in vigore la specifica disciplina prevista per le liste rappresentative di
minoranze linguistiche riconosciute, presentate esclusivamente in una delle circoscrizioni
comprese in regioni il cui statuto speciale prevede una particolare tutela di tali minoranze
linguistiche.
Com’è noto, il premio di maggioranza è attribuito a condizione che il beneficiario non abbia già
ottenuto almeno 340 seggi in virtù del riparto proporzionale, e consiste nell’attribuzione di un
ulteriore numero di seggi pari alla differenza fra 340 ed il numero di seggi assegnati in base alla
ripartizione proporzionale.
Cfr. http://www.referendumelettorale.org/cgi-bin/adon.cgi?act=doc&doc=2
Fanno eccezione le regioni Valle d’Aosta, Trentino-Alto Adige e Molise, per le quali vigono
disposizioni particolari.
41
SCHEDE DI APPROFONDIMENTO
ƒ
i seggi sarebbero ripartiti (non più tra le coalizioni ma) tra le sole liste che
abbiano conseguito sul piano regionale almeno l’8 per cento dei voti validi
espressi;
ƒ il “premio regionale” sarebbe attribuito (non più alla coalizione di liste, ma)
alla lista singola che abbia ottenuto il maggior numero di voti validi espressi
nell’ambito della circoscrizione regionale55.
Il terzo quesito
La vigente disciplina elettorale non reca limiti alla possibilità per un candidato
di essere incluso in liste, aventi lo stesso contrassegno, presentate in più
circoscrizioni. I candidati che siano stati eletti in più circoscrizioni sono tenuti ad
optare per una di esse56, così da consentire la proclamazione dei subentranti
nelle altre circoscrizioni.
L’art. 19 del D.P.R. 361/1957, peraltro (oltre a vietare la candidatura
contestuale alla Camera e al Senato), dispone che “nessun candidato può
essere incluso in liste con diversi contrassegni nella stessa o in altra
circoscrizione, pena la nullità dell’elezione”.
Il terzo quesito referendario prevede la soppressione, all’interno di
quest’ultimo articolo, delle parole: “nella stessa”. Il testo risultante (“nessun
candidato può essere incluso in liste con diversi contrassegni o in altra
circoscrizione, pena la nullità dell’elezione”) determina il venir meno della
possibilità per un candidato di presentarsi in più di una circoscrizione.
Il divieto avrebbe effetto sia per le candidature alla Camera sia per quelle al
Senato: l’art. 19 del testo unico per l’elezione della Camera trova infatti
applicazione anche ai fini dell’elezione del Senato, in virtù del rinvio operato
dall’art. 9, co. 5, del relativo testo unico.
Il quesito prevede altresì la consequenziale abrogazione dell’art. 85 del D.P.R.
361/1957, che disciplina l’opzione del deputato eletto in più circoscrizioni.
Il comitato promotore del referendum pone alla base di tale quesito l’asserita esigenza
di sopprimere una disciplina che attribuisce “un enorme potere al […] ‘plurieletto’ [il
quale], optando per uno dei vari seggi ottenuti, […] di fatto dispone del destino degli altri
candidati la cui elezione dipende dalla propria scelta”57.
55
56
57
Il premio è attribuito a condizione che il beneficiario non abbia già conseguito almeno il 55 per
cento dei seggi assegnati alla regione, con arrotondamento all’unità superiore, e consiste
nell’attribuzione del numero di seggi ulteriore, necessario per raggiungere tale percentuale.
L’opzione ha luogo entro otto giorni dalla data dell’ultima proclamazione. Mancando l’opzione, si
procede per sorteggio (art. 85, D.P.R. 361/1957).
Cfr. http://www.referendumelettorale.org/cgi-bin/adon.cgi?act=doc&doc=2
42
I REFERENDUM ELETTORALI
Le sentenze della Corte Costituzionale sull’ammissibilità dei quesiti
Concluse le verifiche dell’Ufficio centrale per il referendum sulla legittimità
delle richieste referendarie, si è quindi attivata la fase della valutazione dei
quesiti da parte della Corte Costituzionale, che si è pronunciata in favore
dell’ammissibilità con tre sentenze depositate il 30 gennaio 2008.
I primi due quesiti
Con le sentenza n. 15 e n. 16 del 2008 la Corte Costituzionale, con
motivazioni sostanzialmente coincidenti, ha dichiarato ammissibili i primi due
quesiti referendari, concernenti l’abrogazione della possibilità di collegamento
tra liste e di attribuzione del premio di maggioranza ad una coalizione di liste
nelle elezioni riferite al rinnovo rispettivamente della Camera e del Senato
Per quanto attiene all’inquadramento generale della questione dell’ammissibilità, la
Corte ribadisce preliminarmente che le leggi elettorali possono essere oggetto di
referendum abrogativi, poiché le stesse non sono comprese tra gli atti legislativi per i
quali l'art. 75, secondo co., Cost. esclude l'ammissibilità dell'abrogazione popolare
(sentenza n. 47 del 1991, confermata da tutta la successiva giurisprudenza costituzionale
sul tema).
Le leggi elettorali rientrano tuttavia nella categoria – elaborata dalla medesima Corte delle leggi costituzionalmente necessarie, trattandosi di disposizioni la cui esistenza e
vigenza è indispensabile per assicurare il funzionamento e la continuità degli organi
costituzionali della Repubblica58. Per la Corte, quindi, “l’ammissibilità di un referendum su
norme contenute in una legge elettorale relativa ad organi costituzionali o a rilevanza
costituzionale è pertanto assoggettata «alla duplice condizione che i quesiti siano
omogenei e riconducibili a una matrice razionalmente unitaria, e ne risulti una
coerente normativa residua, immediatamente applicabile, in guisa da garantire, pur
nell’eventualità di inerzia legislativa, la costante operatività dell’organo» (sentenza n. 32
del 1993)”.
In sostanza, quindi, i quesiti referendari riferiti alla materia elettorale, oltre a possedere
le caratteristiche fissate in via generale sin dalla sentenza n. 16 del 1978 (chiarezza,
univocità ed omogeneità), sono sottoposti ad ulteriori vincoli, in quanto non possono
avere ad oggetto una legge elettorale nella sua interezza, ma devono
necessariamente riguardare parti di essa, la cui ablazione lasci in vigore una normativa
complessivamente idonea a garantire il rinnovo, in ogni momento, dell'organo
costituzionale elettivo. In questo senso la Corte sottolinea come i referendum elettorali,
per essere ammissibili, devono essere “intrinsecamente e inevitabilmente
«manipolativi», nel senso che, sottraendo ad una disciplina complessa e interrelata
singole disposizioni o gruppi di esse, si determina, come effetto naturale e spontaneo, la
ricomposizione del tessuto normativo rimanente, in modo da rendere la
regolamentazione elettorale successiva all'abrogazione referendaria diversa da quella
prima esistente”.
58
In tal senso v. già la sentenza n. 29 del 1987.
43
SCHEDE DI APPROFONDIMENTO
Con specifico riferimento ai quesiti in esame, la Corte rileva che essi possono
considerarsi chiari, univoci ed omogenei, evidenziando che gli effetti
manipolativi proposti dai quesiti non superano i limiti propri di ogni proposta
referendaria in materia legge elettorale Non si realizza, infatti, l’effetto di
sostituire la disciplina vigente con un'altra assolutamente diversa ed estranea al
contesto normativo vigente, trasformando così l'abrogazione in legislazione
positiva, ma si utilizzano i criteri di assegnazione dei seggi già esistenti,
restringendo l'arco delle possibilità offerte ai partiti ed ai gruppi politici. In
questo modo si realizza quindi una espansione delle potenzialità intrinseche nella
normativa vigente, la cui intensità la Corte ritiene estranea alle proprie
competenze sottolineando come in base alla propria giurisprudenza la
valutazione delle conseguenze politiche della dilatazione di una regola già
presente nel sistema normativo deve essere lasciata al corpo elettorale.
Quanto al secondo profilo rilevante ai fini dell’ammissibilità, vale a dire la c.d.
“autoapplicatività” della disciplina di risulta, la Corte evidenzia che
l'eliminazione della possibilità di collegamento tra liste non incide sulla operatività
del sistema elettorale vigente, che resta uguale a se stesso nei suoi meccanismi
di funzionamento e pienamente applicabile alle liste singole. Anche gli eventuali
inconvenienti che possono essere individuati, dal punto di vista tecnico, per il
sistema che scaturirebbe dall'eventuale abrogazione referendaria sono già insiti
nella legge vigente e, comunque, costituiscono eventualità remote nell’una e
nell’altra situazione normativa.
Da ultimo, la Corte evidenzia come in sede di controllo di ammissibilità dei
referendum non possono venire in rilievo profili di incostituzionalità sia
della legge oggetto di referendum sia della normativa di risulta (al proposito
richiama “una costante giurisprudenza” e in particolare le recenti sentenze
numeri 45, 46, 47 e 48 del 2005). Richiamando proprio la sentenza n. 45 del
2005 la Corte sottolinea come nel giudizio di ammissibilità possa effettuarsi solo
“una valutazione liminare e inevitabilmente limitata del rapporto tra oggetto del
quesito e norme costituzionali, al fine di verificare se, nei singoli casi di specie, il
venir meno di una determinata disciplina non comporti ex se un pregiudizio totale
all'applicazione di un precetto costituzionale, consistente in una diretta e
immediata vulnerazione delle situazioni soggettive o dell'assetto organizzativo
risultanti a livello costituzionale”
In particolare, la Corte evidenzia come non potrebbe essere anticipato alla
fase del giudizio di ammissibilità un giudizio di ragionevolezza sulla normativa
di risulta, in quanto esso è sempre emesso in esito ad una considerazione dei
principi costituzionali in gioco, con riferimento ad una norma attuale che sia già
stata sottoposta all’interpretazione, in prima battuta, dei giudici comuni.
In ogni caso, con riferimento a talune delle obiezioni mosse, la Corte
sottolinea che l'assenza di una soglia minima per l'assegnazione del premio di
44
I REFERENDUM ELETTORALI
maggioranza rappresenta una carenza riscontrabile già nella normativa vigente
che non impone le coalizioni, ma le rende solo possibili.
Anche con riferimento a detta normativa, la Corte ritiene tuttavia doveroso
“segnalare al Parlamento l’esigenza di considerare con attenzione gli aspetti
problematici di una legislazione che non subordina l’attribuzione del premio di
maggioranza al raggiungimento di una soglia minima di voti e/o di seggi”.
Analogamente, si esclude che i quesiti siano in contrasto con il principio
costituzionale dell'eguaglianza del voto, in quanto un referendum abrogativo che
tenda ad influire sulla tecnica di attribuzione dei seggi, in modo da favorire la
formazione di maggioranze coese e di diminuire, allo stesso tempo, la
frammentazione del sistema politico non è, in sé e per sé, in contrasto né con
l'art. 48 né con l'art. 49 Cost..
Il terzo quesito
Con la sentenza n. 17 del 2008 la Corte Costituzionale ha dichiarato
ammissibile il terzo quesito, concernente l’abrogazione della possibilità per uno
stesso candidato di presentare la propria candidatura in più di una circoscrizione.
Nella breve motivazione in diritto la Corte evidenzia che il quesito non riguarda
le leggi per le quali l'art. 75, secondo comma, Cost. esclude espressamente il
referendum abrogativo e rispetta gli ulteriori limiti di ammissibilità individuati nel
tempo dalla Corte Costituzionale. In particolare:
ƒ le disposizioni della legge elettorale oggetto della richiesta non possono
essere ritenute a contenuto costituzionalmente vincolato, così da sottrarsi
alla possibilità di abrogazione referendaria;
ƒ il quesito presenta il necessario carattere di omogeneità, chiarezza ed
univocità;
ƒ la normativa di risulta è autoapplicativa, in quanto non presenta elementi di
indeterminatezza che non siano risolvibili alla stregua dei normali canoni
interpretativi.
L’indizione del referendum e la sua sospensione
Il 5 febbraio 2008 il Consiglio dei ministri ha, con apposita deliberazione,
“doverosamente59 provveduto all’ultimo adempimento procedurale relativo all’iter
referendario per l’abrogazione di talune norme della vigente legislazione
elettorale per le consultazioni politiche”. In pari data sono quindi stati emanati i
tre decreti del Presidente della Repubblica di indizione dei referendum60.
59
60
Il riferimento alla doverosità dell’adempimento è da ricondursi alla circostanza che i poteri del
Governo erano in quella fase limitati al disbrigo degli affari correnti.
I tre decreti sono pubblicati nella Gazzetta Ufficiale n. 31 del 6 febbraio 2008.
45
SCHEDE DI APPROFONDIMENTO
In base a quanto previsto dai decreti lo svolgimento dei referendum popolari è
stato fissato nella giornata di domenica 18 maggio 2008 e nella successiva
mattina di lunedì.
Al riguardo si ricorda che l’art. 34 della L. 352/1970 prevede che, una volta che sia
intervenuta la comunicazione della sentenza della Corte costituzionale sull’ammissibilità
dei quesiti, la data di convocazione degli elettori sia fissata in una domenica compresa tra
il 15 aprile e il 15 giugno dal Presidente della Repubblica, che adotta un decreto, sulla
base di una deliberazione del Consiglio dei Ministri.
Il giorno successivo all’indizione del referendum, il 6 febbraio 2008, con due
distinti decreti, il Presidente della Repubblica ha disposto lo scioglimento delle
Camere61 e la convocazione dei comizi per le elezioni politiche nei giorni di
domenica 13 aprile e di lunedì 14 aprile 200862.
Nel caso di specie trova quindi applicazione il secondo comma dell’art. 34
della L. 352/1970, in base al quale: “Nel caso di anticipato scioglimento delle
Camere o di una di esse, il referendum già indetto si intende
automaticamente sospeso all'atto della pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale
del decreto del Presidente della Repubblica di indizione dei comizi elettorali per
la elezione delle nuove Camere o di una di esse”.
Con una disposizione che pare riferirsi tanto ai referendum già indetti che a
quelli che ancora non lo siano stati, il terzo comma del medesimo articolo 34
prevede inoltre che “i termini del procedimento per il referendum riprendono a
decorrere a datare dal 365° giorno successivo alla data della elezione”.
Un caso sostanzialmente analogo ebbe a verificarsi già nel 1972 con riferimento al
quesito sul divorzio, quando la consultazione referendaria venne sospesa in quanto era
stata indetta un giorno prima dello scioglimento anticipato delle Camere. Il referendum fu
infatti indetto il 27 febbraio di quell’anno, mentre lo scioglimento fu disposto il successivo
28 febbraio.
In quella circostanza, anche alla luce di un parere del Consiglio di Stato63, si ritenne
che anche nell’ipotesi di sospensione del referendum trovassero applicazione i termini
previsti dagli art. 15 e 18 della L. 352/197064 e che, pertanto, la consultazione dovesse
tenersi in una data compresa tra il 50° ed il 70° giorno dalla sua indizione e dovesse
assicurarsi un periodo di 40 giorni per la compilazione e la consegna dei certificati
elettorali (tale ultima disposizione è stata ora abrogata). Essendosi tenute le elezioni per
il rinnovo delle Camere nelle giornate del 7-8 maggio 1973, non risultava possibile fissare
61
62
63
64
Decreto del Presidente della Repubblica 6 febbraio 2008, n. 19, Scioglimento del Senato della
Repubblica e della Camera dei deputati, pubblicato nella Supplemento Ordinario n. 31 alla
Gazzetta Ufficiale n. 31 del 6 febbraio 2008.
Decreto del Presidente della Repubblica 6 febbraio 2008, n. 20, Convocazione dei comizi per le
elezioni della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica, pubblicato nella Supplemento
Ordinario n. 31 alla Gazzetta Ufficiale n. 31 del 6 febbraio 2008.
Parere 24 febbraio 1973, n. 6.
Richiamati in via generale per la disciplina dei referendum abrogativi dall’art. 40 della medesima
L. 352.
46
I REFERENDUM ELETTORALI
la data del referendum in una data anteriore al 15 giugno 1973 che consentisse il rispetto
di tali termini. La celebrazione del referendum slittò quindi al 13 e 14 maggio 1974.
Nel 1994, invece, lo scioglimento anticipato delle Camere portò alla celebrazione delle
elezioni il 27 e 28 marzo dello stesso anno, consentendo la celebrazione dei referendum
già indetti per il 12 giugno 199465 nell’anno successivo (e, precisamente, l’11 giugno
1995).
Per far fronte agli effetti dello scioglimento anticipato delle Camere sul procedimento
referendario, una diversa soluzione fu invece adottata con riferimento alle consultazioni in
materia di centrali elettriche nucleari, di responsabilità civile dei magistrati e di
procedimenti di accusa, indette nel 1987. In quella circostanza, infatti, a fronte dello
scioglimento anticipato delle Camere, fu approvato uno specifico provvedimento
normativo (la L. 332/198766), di deroga alla disciplina posta dall’articolo 34 della L.
352/1970. Detta disciplina speciale stabilì, limitatamente alle consultazioni referendarie di
quell’anno, che i termini del procedimento referendario, già sospesi a far tempo dalla data
di scioglimento, riprendessero a decorrere dal giorno successivo all’entrata in vigore della
legge, piuttosto che dal 365° giorno dall’elezione. In ragione di detta deroga si dispose
altresì che per la consultazione referendaria in questione il Presidente della Repubblica,
previa deliberazione del Consiglio dei Ministri, su proposta del Presidente del Consiglio
dei Ministri, di concerto con i Ministri dell'interno e di grazia e giustizia, potesse indire con
decreto i referendum fissando la nuova data di convocazione degli elettori in una delle
domeniche comprese tra il 15 ottobre e il 30 novembre 1987. Il referendum si svolse,
quindi, l’8 novembre 1997.
L’ordinanza n. 38/2008 della Corte Costituzionale
A seguito della deliberazione del Consiglio dei ministri che ha fissato al 18
maggio 2008 la data di svolgimento dei referendum, e della automatica
sospensione dei medesimi referendum, i promotori delle tre richieste
referendarie hanno sollevato dinnanzi alla Corte Costituzionale un conflitto di
attribuzione tra poteri dello Stato, chiedendo in sostanza che venga
riconosciuto il diritto a votare per il referendum in data 18 maggio 2008 (e
comunque entro il 15 giugno del 2008
Nel merito, i ricorrenti hanno richiesto alla Corte Costituzionale di
ƒ dichiarare “che non spettava al Governo deliberare la data di svolgimento dei
referendum prima dello scioglimento anticipato delle Camere con l’effetto di
determinarne la sospensione”, e “che sussiste il diritto allo svolgimento
delle operazioni di voto referendario, una volta compiuta la procedura di
verifica della legittimità e dell’ammissibilità delle relative domande, entro
termini ragionevoli, mantenendo ferma la data del 18 maggio 2008 ovvero
entro il 15 giugno 2008”;
65
66
Si trattava, in particolare, delle consultazioni in materia di rappresentanze sindacali aziendali e
di rappresentatività sindacale nel pubblico impiego.
L. 7 agosto 1987, n. 332, Deroghe alla legge 25 maggio 1970, n. 352, in materia di referendum.
47
SCHEDE DI APPROFONDIMENTO
ƒ
“annullare in conseguenza, in parte qua, la deliberazione del Consiglio dei
ministri 5 febbraio 2008 con la quale è stata decisa la data di svolgimento del
referendum ovvero l’art. 34, secondo comma, della legge n. 352 del 1970,
nella parte in cui prevede, in caso di scioglimento delle Camere, l’automatica
sospensione dei referendum e la ripresa del decorso dei termini solo a partire
dal 365° giorno dallo svolgimento delle elezioni”.
Decidendo sul ricorso, la Corte – con l’ordinanza n. 38/2008 - ha rilevato in
via preliminare come il Consiglio dei ministri disponga di un ampio potere di
valutazione nell’effettuare la proposta al Presidente della Repubblica – cui spetta
l’adozione del relativo provvedimento formale – sia in ordine al momento di
indizione del referendum, sia per quanto attiene alla fissazione della data della
consultazione referendaria, ponendo quale unico limite indeclinabile che le
relative operazioni di voto si svolgano tra il 15 aprile e il 15 giugno.
In questo quadro, secondo la Corte, né il decreto presidenziale di indizione del
referendum, né l’art. 34, secondo comma, della L. 352/1970 sono idonei ad
incidere sulla sfera di attribuzioni costituzionalmente garantite al comitato
promotore, in quanto Il comitato promotore “pur essendo indubbiamente titolare
di un potere, di natura costituzionale, teso a garantire che sia concretamente
effettuata la competizione referendaria, non può vedere esteso siffatto potere
anche per quanto attiene alle specifiche modalità organizzative di essa, rispetto
alle quali operano pienamente le facoltà del Governo”. Il comitato promotore
potrebbe quindi sindacare con lo strumento del conflitto di attribuzioni solo
iniziative di altri poteri, eventualmente dirette a paralizzare la consultazione
referendaria, ma non contestare scelte procedurali relative al suo svolgimento
che siano rimesse alla valutazione di detti poteri.
L’ordinanza conclude quindi dichiarando il ricorso inammissibile per
mancanza del requisito oggettivo del conflitto di attribuzione.
48
LA DISCIPLINA DELL’ELETTORATO PASSIVO
ALTRI INTERVENTI IN MATERIA ELETTORALE
LA DISCIPLINA DELL’ELETTORATO PASSIVO
Il 20 giugno 2007 la Commissione Affari costituzionali della Camera ha avviato
l’esame di una proposta di legge di iniziativa parlamentare67 volta ad estendere
la portata della causa di ineleggibilità prevista dal numero 1) del primo comma
dell’articolo 10 del testo unico delle leggi per la elezione della Camera dei
deputati (D.P.R. 361/1957).
Quest’ultima disposizione stabilisce che non sono eleggibili alla carica di deputato (e
di senatore, ai sensi del rinvio operato dall’art. 5 del testo unico per l’elezione del
Senato68), tra gli altri, coloro che, in proprio o in qualità di rappresentanti legali di società
o di imprese private, risultino vincolati con lo Stato per contratti di opere o di
somministrazioni, oppure per concessioni o autorizzazioni amministrative di notevole
entità economica, che importino l'obbligo di adempimenti specifici, l'osservanza di norme
generali o particolari protettive del pubblico interesse, alle quali la concessione o la
autorizzazione è sottoposta.
La proposta di legge C. 2516 intende ampliare l'ambito di applicazione della
causa di ineleggibilità di cui alla disposizione richiamata, che fa riferimento
soltanto ai titolari o ai legali rappresentanti di tali imprese, escludendo
l’eleggibilità anche di coloro che detengano una partecipazione di controllo o
esercitino un’influenza dominante su una società vincolata con lo Stato in ragione
di concessioni o autorizzazioni amministrative di notevole entità economica.
A tale proposta, di portata limitata, sono stati in seguito abbinati altri progetti
di legge69 vertenti più in generale sulla materia delle ineleggibilità e
incompatibilità e tendenti a introdurre per i candidati alle elezioni politiche le
ipotesi di incandidabilità previste per le elezioni regionali e amministrative dalla
legge 55/199070 e dal testo unico degli enti locali (D.Lgs. 267/200071).
Il testo unificato
Il relatore ha presentato il 18 luglio 2007 un testo unificato che rappresenta
una sintesi delle diverse proposte di legge all’esame. Adottato dalla
Commissione nella medesima seduta come testo base, esso si articola in tre
67
68
69
70
71
C. 2516 (Franco Russo ed altri).
D.Lgs. 20 dicembre 1993, n. 533, Testo unico delle leggi recanti norme per l’elezione del
Senato della Repubblica.
C. 1451, (Formisano), C. 2242, (Martusciello), C. 2314, (Antonio Russo), C. 2564, (Mazzoni), C.
2680, (Costantini), C. 2681, (Costantini), C. 2799, (Franco Russo). Dopo l’adozione del testo
base sono state abbinate le proposte di legge C. 2563, (Mantini), C. 2916, (D'Antona) e C.
3017, (Consiglio regionale della Toscana).
L. 19 marzo 1990, n. 55, Nuove disposizioni per la prevenzione della delinquenza di tipo
mafioso e di altre gravi forme di manifestazione di pericolosità sociale (art. 15).
D.Lgs. 18 agosto 2000 n. 267, Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali (art. 58).
49
SCHEDE DI APPROFONDIMENTO
capi: il primo contenente disposizioni in materia di ineleggibilità al mandato
parlamentare e una specifica disciplina in tema di incandidabilità; il secondo
relativo alle incompatibilità parlamentari, il terzo volto a ampliare le ipotesi di
incandidabilità negli enti locali.
Incandidabilità dei parlamentari
Preliminarmente occorre ricordare che la Commissione affari costituzionali del Senato
ha iniziato il 1° agosto 2007 l’esame di un progetto di legge72 diretto ad estendere alle
elezioni politiche le cause di impedimento alla candidatura previste per le elezioni dei
consigli comunali e provinciali. L’esame del provvedimento è stato rinviato per attendere
che giungesse all'attenzione del Senato l'iniziativa legislativa di più ampia portata in fase
avanzata di trattazione presso la Camera.
Il testo unificato, assumendo come riferimento la disciplina prevista per le
cariche elettive locali dall'articolo 58 del testo unico degli enti locali, introduce la
fattispecie dell’incandidabilità alla carica di deputato (e di senatore73) nei
confronti di coloro che abbiano riportato una condanna definitiva per una serie di
delitti puntualmente indicati:
ƒ associazione di tipo mafioso o associazione finalizzata al traffico di sostanze
stupefacenti; delitto concernente l’importazione, l’esportazione, la produzione,
la vendita di armi; delitto di favoreggiamento personale o reale commesso in
relazione a tali reati;
ƒ peculato, malversazione a danno dello Stato, concussione, corruzione per un
atto d’ufficio, corruzione per un atto contrario ai doveri d’ufficio, corruzione in
atti giudiziari, corruzione di persona incaricata di un pubblico servizio;
ƒ delitti non colposi per i quali sia stata inflitta una pena della reclusione non
inferiore a due anni.
Sulla formulazione di questa norma si è svolto in Commissione un ampio dibattito. Il
relatore ha osservato che la previsione nel testo base di un elenco di fattispecie
delittuose volte a dare luogo alla incandidabilità implicava il rischio di escludere reati in
ordine ai quali non era maturata una riflessione. Ha quindi proposto di stabilire
l'incandidabilità alle cariche di senatore e di deputato per coloro che sono stati
condannati con sentenza definitiva per un delitto non colposo la cui pena minima è
stabilita in una misura non inferiore a due anni, con l'esclusione dei cosiddetti reati di
opinione74.
Tale criterio, che fa riferimento alla pena minima e non alla condanna
effettivamente inflitta, tuttavia, ha suscitato rilievi per due ordini di motivi:
ƒ per la presenza, nel codice penale, di delitti non colposi per i quali il legislatore non
ha previsto una pena edittale minima, stabilendo unicamente la pena massima che il
72
73
74
S. 1076, sen. (Formisano ed altri).
Mediante una novella all’art. 5 del testo unico delle elezioni del Senato (D.Lgs. 533/1993), il
testo base estende ai senatori le cause di incandidabilità e le nuove ipotesi di ineleggibilità da
esso introdotte.
Emendamento 1.50, presentato il 26 settembre 2007.
50
LA DISCIPLINA DELL’ELETTORATO PASSIVO
giudice può irrogare, ovvero una pena fissa, come nel caso dei delitti puniti con la
pena dell’ergastolo;
ƒ poiché il riferimento a delitti non colposi puniti con una pena detentiva non inferiore
nel minimo a due anni prende in considerazione unicamente la pena base
astrattamente prevista dal legislatore, e non quella concretamente comminata dal
giudice, che può considerare eventuali circostanze aggravanti o attenuanti.
Con un successivo emendamento75 il relatore ha modificato questa
impostazione: prendendo come riferimento la disciplina della sospensione
condizionale della pena, che è ammessa soltanto per i reati puniti con pena
inferiore a due anni, l’incandidabilità dei membri del Parlamento è stata collegata
non più alla condanna per reati specifici ma alla condanna ad una pena
superiore a due anni di reclusione per un delitto non colposo76.
Le medesime condizioni di non candidabilità sussistono anche per coloro nei
confronti dei quali sia stata applicata, con provvedimento definitivo, una misura
di prevenzione, in quanto indiziati di appartenere ad una associazione di stampo
mafioso.
La presentazione della candidatura all’Ufficio centrale circoscrizionale deve
essere accompagnata da una dichiarazione sostitutiva del candidato che
comprovi l'insussistenza delle cause di incandidabilità.
La competenza a pronunciarsi sulla decadenza dei deputati nei confronti dei
quali siano emessi, in corso di mandato, sentenze e provvedimenti definitivi per
reati che determinino causa sopravvenuta di incandidabilità è riservata alla
Camera, la quale dichiara anche la nullità delle elezioni dei propri componenti la
cui condizione di incandidabilità, esistente al momento dell’elezione, sia
accertata successivamente.
La disciplina dell'incandidabilità non si applica nei confronti di coloro che
sono stati condannati con sentenza passata in giudicato o che sono stati
sottoposti a misura di prevenzione con provvedimento definitivo, nel caso in cui
sia stata loro concessa la riabilitazione.
Il testo stabilisce in via generale che la perdita delle condizioni di eleggibilità
comporta la decadenza dalla carica di deputato, che viene dichiarata dalla
Camera.
A seguito di talune perplessità sorte durante l’esame del provvedimento in
merito all’estensione ai parlamentari dell’incandidabilità e dell’espressa richiesta
avanzata sia da un gruppo dell’opposizione sia da uno della maggioranza, la
Commissione ha svolto l’8 gennaio 2008, nell’ambito di un’apposita indagine
75
76
Emendamento 1.70, presentato il 7 novembre 2007. L’esame degli emendamenti, rinviato per
consentire lo svolgimento dell’audizione di esperti, non si è svolto prima dello scioglimento delle
Camere.
Secondo quanto osservato da parte del relatore, la soglia dei due anni di pena minima distingue
i reati che hanno pericolosità sociale, nel senso che quelli non socialmente pericolosi sono
puniti con pene edittali minime inferiori e per essi è ammessa la sospensione condizionale della
pena.
51
SCHEDE DI APPROFONDIMENTO
conoscitiva, una serie di audizioni di esperti in diritto costituzionale77 per
approfondire la compatibilità della fattispecie della incandidabilità, come prevista
dal testo base, con la Costituzione (e, in particolare, con gli articoli 51, che
sancisce il diritto di accesso alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza; 65,
in quanto non prevede l’istituto dell’incandidabilità; e 66, che attribuisce a
ciascuna Camera la verifica dei titoli di ammissione dei suoi componenti).
Ineleggibilità
Il testo prevede una nuova ipotesi di ineleggibilità nei confronti dei soggetti
che risultino avere la titolarità o il controllo, ovvero l'esercizio di un'influenza
dominante, anche per interposta persona, di un'impresa che svolga
prevalentemente o esclusivamente la propria attività in regime di autorizzazione
o di concessione rilasciata dallo Stato, ovvero che risultino poterne disporre in
tutto o in parte, direttamente o indirettamente, o possano determinarne in
qualche modo gli indirizzi, ivi comprese le partecipazioni azionarie indirette.
L’ineleggibilità sussiste anche nel caso in cui ad avere la titolarità e il controllo
risultano essere il coniuge, i parenti e gli affini entro il quarto grado.
Le cause di ineleggibilità illustrate cessano nel caso in cui gli
amministratori delle imprese interessate si dimettano almeno 180 giorni prima
della fine della legislatura precedente o nei 7 giorni successivi alla pubblicazione
del decreto di scioglimento delle Camere che ne anticipi la scadenza di almeno
120 giorni, ovvero i proprietari, gli azionisti di maggioranza o i detentori di un
pacchetto azionario di controllo, sia direttamente sia per interposta persona,
provvedano nei medesimi termini alla cessione della proprietà o del pacchetto
azionario di controllo.
Si ricorda in proposito che la Commissione affari costituzionali della Camera
ha concluso l’esame in sede referente di una proposta di legge (A.C. 1318-A) in
materia di conflitti di interessi, volta a sostituire integralmente la normativa
introdotta dalla L. 215/200478 (vedi il capitolo Disciplina dei conflitti di interessi,
nel dossier 1/1, parte seconda). Il provvedimento riguarda i soli titolari di cariche
77
78
Questi gli studiosi auditi:
ƒ
Annibale Marini, Presidente emerito della Corte costituzionale;
ƒ
Nicolò Zanon, Professore ordinario di diritto costituzionale presso la facoltà di
Giurisprudenza dell'Università degli studi di Milano;
ƒ
Carlo Mezzanotte, Professore ordinario di diritto costituzionale presso la facoltà di
Giurisprudenza della Libera Università per gli Studi Sociali «Guido Carli» di Roma;
ƒ
Fulco Lanchester, Professore ordinario di diritto pubblico comparato presso la facoltà di
Scienze politiche dell'Università degli studi «La Sapienza» di Roma;
ƒ
Claudio De Fiores, Professore associato di diritto costituzionale presso la facoltà di
Giurisprudenza della Seconda università degli studi di Napoli;
ƒ
Beniamino Caravita di Toritto, Professore ordinario di diritto pubblico presso la facoltà di
Scienze politiche dell'Università degli studi «La Sapienza» di Roma;
ƒ
Massimo Luciani, Professore ordinario di diritto costituzionale presso la facoltà di
Giurisprudenza dell'Università degli studi «La Sapienza» di Roma.
L. 20 luglio 2004, n. 215, Norme in materia di risoluzione dei conflitti di interessi (c.d. “legge
Frattini”).
52
LA DISCIPLINA DELL’ELETTORATO PASSIVO
di governo e contiene una delega al Governo finalizzata a disciplinare in modo
analogo la materia per i titolari di cariche di governo regionali e locali.
Incompatibilità
Novellando la legge 60/195379, il testo individua alcune ulteriori cause di
incompatibilità.
È innanzitutto stabilita, con una norma di carattere generale, peraltro già
prevista da alcune leggi istitutive di authorities, l’incompatibilità dell’ufficio di
parlamentare e di membro del Governo con la carica di componente di autorità
amministrative indipendenti.
Le cariche di sindaco di comune con popolazione superiore a 20.000
abitanti e di presidente di giunta provinciale, ove assunte durante il mandato
parlamentare, sono incompatibili con l'ufficio di deputato o di senatore.
Quest’ultima disposizione intende superare l’orientamento giurisprudenziale
affermato a partire dal 2002 dagli organi di verifica dei poteri della Camera dei
deputati e del Senato in materia di incompatibilità tra la carica di parlamentare e i mandati
elettivi locali.
L'articolo 7, comma 1, lett. c) del testo unico delle elezioni della Camera (D.P.R.
361/1957) stabilisce l'ineleggibilità alla carica di deputato per i “sindaci dei Comuni con
popolazione superiore a 20.000 abitanti”.
Nella prassi parlamentare le cause di ineleggibilità sopravvenute alla elezione a
deputato o senatore sono state trattate, per quanto concerne la determinazione delle
conseguenze da esse derivanti, alla stregua di cause di incompatibilità, riconoscendosi
all'interessato la facoltà di optare tra la carica di parlamentare e quella ritenuta dalla
legge con essa incompatibile. Dall'articolo 7, comma 1, lett. c), del D.P.R. 361/1957, la
prassi parlamentare ha costantemente fatto derivare il principio della incompatibilità tra la
carica di sindaco nei comuni con popolazione superiore a 20.000 abitanti e il mandato
parlamentare.
Innovando la prassi, la Giunta delle elezioni della Camera, nella seduta del 2 ottobre
2002, ha dichiarato compatibile con il mandato parlamentare la carica di sindaco di
comune con popolazione superiore a 20.000 abitanti ricoperta dai deputati
Cammarata, Zaccheo e Di Giandomenico.
La Giunta delle elezioni della Camera, nella seduta del 23 settembre 2004,
richiamando la propria decisione del 2 ottobre 2002, ha deliberato, a maggioranza, di
dichiarare compatibile con il mandato parlamentare la carica di presidente di
provincia, ricoperta dai deputati Boiardi, Costa, Alberta De Simone e Oliverio.
La Giunta delle elezioni e delle immunità parlamentari del Senato, nella seduta del 28
settembre 2004, tenendo conto del nuovo indirizzo giurisprudenziale della Camera dei
deputati in materia di incompatibilità della carica di deputato con i mandati elettivi locali,
ha deliberato il superamento della regola della trasformazione delle cause di ineleggibilità
sopravvenute in cause di incompatibilità e ha dichiarato compatibili le cariche rivestite dal
sen. Coletti, presidente della provincia di Chieti e sen. Provera, presidente della provincia
di Sondrio.
79
L. 13 febbraio 1953, n. 60, Incompatibilità parlamentari.
53
SCHEDE DI APPROFONDIMENTO
Oltre ad essere incompatibile con le cariche di amministratore o consulente
permanente di società ed enti vincolati con lo Stato in ragione di contratti o
di concessioni o di autorizzazioni amministrative di notevole entità
economica, il mandato parlamentare non è inoltre cumulabile con le cariche di
presidente, direttore generale, membro del consiglio di amministrazione,
liquidatore, sindaco, revisore o consulente di:
ƒ enti, agenzie o società a prevalente partecipazione azionaria dello Stato o
sottoposte alla sua vigilanza che abbiano come finalità la promozione delle
attività produttive e delle politiche del lavoro e dell'occupazione;
ƒ società o enti ai quali sia affidata la gestione di servizi pubblici locali in
territori appartenenti a più regioni.
Novellando la legge 165/200480 il testo stabilisce alcuni princìpi in materia di
incompatibilità dei presidenti di regione e dei membri delle giunte regionali
in caso di conflitto tra gli interessi pubblici da perseguire nell'esercizio delle loro
funzioni e gli interessi economici di cui i medesimi siano portatori.
Una disposizione analoga è contenuta nella citata proposta di legge (A.C. 1318-A) in
materia di conflitti di interessi (art. 22).
Incandidabilità negli enti territoriali
Il testo unificato presentato il 18 luglio 2007 si limita a disporre un
ampliamento delle ipotesi di incandidabilità ai mandati elettivi locali, inserendo tra
quelle già contemplate dall’articolo 58 del testo unico degli enti locali, le
condanne per reati commessi con finalità terroristiche o di eversione.
Il relatore ha in seguito proposto di modificare81 il testo, nel senso di
uniformare il regime dell’incandidabilità a livello regionale e locale a quello
stabilito per i parlamentari, prevedendone quindi l’applicazione ai soggetti
condannati con sentenza definitiva ad una pena superiore a due anni di
reclusione per delitto non colposo. Tale parametro si applica anche per quanto
riguarda la disciplina della sospensione dalla carica degli amministratori regionali
e locali. La sospensione del parlamentare dalle funzioni, prevista dalla proposta
di legge C. 2564 (Mazzoni), non è stata inserita dal relatore nel testo base,
ritenendosi opportuno un approfondimento in merito all’impatto di tale fattispecie
sulle garanzie costituzionali.
80
81
L. 2 luglio 2004, n. 165, Disposizioni di attuazione dell’articolo 122, primo comma, della
Costituzione.
Emendamenti 9.70 e 10.070, presentati il 7 novembre 2007, non sottoposti a votazione.
54
LA LEGGE ELETTORALE EUROPEA
ALTRI INTERVENTI IN MATERIA ELETTORALE
LA LEGGE ELETTORALE EUROPEA
La Commissione Affari costituzionali della Camera ha iniziato il 1 agosto 2007
l’esame di tre proposte di legge di iniziativa parlamentare82 volte a modificare in
alcune parti la L. 18/197983, che disciplina l’elezione dei membri del Parlamento
europeo spettanti all’Italia, con il principale intento di assicurare l’elezione di un
parlamentare europeo anche in quelle parti del territorio in cui, per effetto del
sistema di distribuzione dei seggi attualmente vigente, basato su cinque macrocircoscrizioni, non viene eletto alcun rappresentante.
Il 20 dicembre 2007 il relatore ha presentato una proposta di testo unificato;
l’iter non è ulteriormente proseguito sino allo scioglimento delle Camere.
Per meglio comprendere le ragioni ispiratrici del testo presentato, sembra
opportuno ricordare sinteticamente l’ambito normativo in cui esso va ad incidere.
La normativa attuale prevede la suddivisione del territorio nazionale in cinque
circoscrizioni elettorali, la cui popolazione, secondo il censimento 2001, oscilla da un
massimo di 13.914.865 (IV Circoscrizione – Italia meridionale, che comprende le regioni
Abruzzo, Molise, Campania, Puglia, Basilicata e Calabria) ad un minino di 6.600.871
abitanti (V Circoscrizione – Italia insulare, costituita dalle regioni Sicilia e Sardegna).
Nella distribuzione dei seggi, e in particolare nell’utilizzo dei resti, si verifica un
fenomeno di spostamento dei seggi (splitting) dalle circoscrizioni minori dal punto
di vista demografico verso quelle maggiori.
All’interno di una medesima circoscrizione, inoltre, il sistema delle preferenze tende ad
avvantaggiare i candidati provenienti dalle regioni più popolose a svantaggio degli
altri. Il caso più emblematico è rappresentato dalla Sardegna, che, pur avendo una
popolazione di 1.631.880 abitanti (pari al 24,7% degli abitanti della V circoscrizione) non
ha eletto, nelle ultime consultazioni elettorali, alcun parlamentare europeo.
Come disciplinata dalla L. 18/1979, la formula per la ripartizione dei seggi osserva in
effetti un doppio criterio di proporzionalità riferito all’intero territorio nazionale:
ƒ tra le liste concorrenti, in ragione dei voti validi conseguiti da ciascuna,
ƒ all’interno dei seggi che spettano a ciascuna di esse, in proporzione ai voti conseguiti da quella lista in ciascuna circoscrizione.
Data la compresenza di due differenti criteri proporzionali, risulta impossibile che
siano entrambi perfettamente rispettati in termini numerici. La legge vigente tende a
privilegiare il rispetto del risultato elettorale determinatosi nel collegio unico nazionale e,
all’interno dei seggi ottenuti da ciascuna lista, il rispetto della peso proporzionale dei voti
ottenuti da quella lista in ciascuna circoscrizione; non contiene correttivi intesi al rispetto
della assegnazione dei seggi alle circoscrizioni in base alla popolazione residente.
Quanto detto fa si che, il più delle volte, alcune circoscrizioni possono ottenere dalla
assegnazione dei seggi un numero minore o, corrispondentemente, maggiore di seggi
rispetto a quelli che spettano alla circoscrizione in base alla popolazione residente. Infatti,
82
83
Si tratta delle proposte C. 199 (Zeller ed altri), C. 768 (Marras), C. 2170 (Palomba ed altri), cui
sono state successivamente abbinate le p.d.l. C. 3221 (Cassola ed altri) e C. 3234 (Cicu ed
altri).
L. 24 gennaio 1979, n. 18, Elezione dei membri del Parlamento europeo spettanti all’Italia.
55
SCHEDE DI APPROFONDIMENTO
il numero degli aventi diritto al voto in ciascuna circoscrizione non è un valore
percentuale costante rispetto alla popolazione residente e, ancor più, il numero dei voti
validi finali è fortemente differenziato in ciascuna circoscrizione sia per la diversa
incidenza dell’astensionismo, sia perché sul risultato finale incide anche il numero delle
schede bianche o nulle.
Le modifiche proposte dai progetti di legge presentati nella XV legislatura, attribuendo
un maggior peso al vincolo relativo all’assegnazione dei seggi su base territoriale,
necessariamente incidono – in misura più o meno rilevante in ragione della
disomogeneità delle circoscrizioni da essi configurate84 – sulla proporzionalità nel
rapporto tra voti conseguiti e seggi attribuiti; più precisamente, esse – senza modificare la
ripartizione proporzionale dei seggi tra le liste in sede nazionale – alterano in misura
diversa il rapporto voti/seggi fra le liste in talune circoscrizioni, o tra le circoscrizioni
all’interno dei seggi spettanti ad una medesima lista.
Il testo unificato
Queste sono in sintesi le modifiche alla legge elettorale per il Parlamento
europeo previste dal testo unificato predisposto dal relatore85:
ƒ una diversa delimitazione delle attuali circoscrizioni elettorali, che
verrebbero a coincidere con le regioni – le regioni Trentino-Alto Adige,
Lombardia e Campania vengono divise ciascuna in due circoscrizioni – e il
conseguente aumento del loro numero da 5 a 23;
Le due circoscrizioni della regione Trentino-Alto Adige corrispondono alle province
autonome di Trento e di Bolzano. Le due circoscrizioni della regione Campania sono
formate rispettivamente dalla provincia di Napoli e dalle province di Caserta, Benevento,
Avellino e Salerno. Le due circoscrizioni della regione Lombardia sono formate
rispettivamente dalla provincia di Milano e dalle province di Bergamo, Brescia, Cremona,
Lodi, Mantova e, Sondrio, Lecco, Como, Varese, Lodi e Pavia.
ƒ il meccanismo per l’assegnazione dei seggi alle singole circoscrizioni; il
testo unificato, al fine di evitare che vengano penalizzate le circoscrizioni o le
regioni meno popolose e per garantire che venga comunque assegnato
almeno un seggio a ciascuna regione e alle province autonome di Trento e
Bolzano, stabilisce che la ripartizione dei seggi venga effettuata:
a) determinando il quoziente per l’assegnazione dei seggi alle circoscrizioni
(che si ottiene dalla divisione del numero degli abitanti della Repubblica per
il numero dei membri del Parlamento europeo spettanti all’Italia);
b) attribuendo preliminarmente un seggio ad ogni circoscrizione il cui numero
di abitanti sia inferiore al quoziente per l’assegnazione dei seggi;
84
85
In generale, più piccole (quanto al numero dei seggi assegnati) e più disomogenee (come
popolazione residente) sono le circoscrizioni, maggiore è il grado di incidenza sul princìpio
proporzionalistico nel rapporto tra voti e seggi ottenuti.
Il testo presenta numerose analogie con quello della proposta di legge C. 2170 (Palomba ed
altri).
56
LA LEGGE ELETTORALE EUROPEA
c) procedendo successivamente alla distribuzione dei rimanenti seggi nelle
altre circoscrizioni con il criterio della proporzionalità, sulla base dei
quozienti interi e dei più alti resti; a tale scopo viene determinato un
nuovo quoziente per l’attribuzione dei seggi residui, che risulta dalla
divisione del numero degli abitanti delle circoscrizioni (escluse quelle sub
b)) per il numero dei parlamentari europei spettanti all’Italia, dal quale siano
stati detratti i seggi già assegnati alle circoscrizioni con popolazione
inferiore al quoziente di cui al punto a).
ƒ le modalità per la presentazione delle candidature; il testo unificato prevede
che le liste di candidati debbano essere sottoscritte da almeno 1.500 e non
più di 2.000 elettori nelle circoscrizioni con popolazione sino a 500.000
abitanti, da almeno 2.500 e non più di 3.000 elettori nelle circoscrizioni con
popolazione compresa tra 500.000 e un milione di abitanti e da almeno 4.000
e non più di 4.500 elettori nelle circoscrizioni con più di un milione di abitanti; i
sottoscrittori devono essere tutti iscritti nelle liste elettorali di comuni
compresi nelle circoscrizioni. Il testo unificato stabilisce inoltre che ciascuna
lista debba comprendere un numero di candidati pari al numero dei
rappresentanti da eleggere nella circoscrizione (la L. 18/1979 indica anche
un numero minimo, pari a tre, di candidati che devono essere presenti nella
lista);
ƒ l’abrogazione espressa delle disposizioni volte a garantire la rappresentanza
dei gruppi di minoranza linguistica attraverso il collegamento delle liste (art.
12, commi nono e decimo, della L. 18/1979);
ƒ la soppressione della possibilità di esprimere preferenze (la L. 18/1979
consente di esprimerne fino a tre);
La possibilità di esprimere preferenze perde significato nelle circoscrizioni alle quali è
assegnato un solo seggio, in presenza della richiamata disposizione secondo cui
ciascuna lista comprende un numero di candidati pari al numero dei rappresentanti da
eleggere nella circoscrizione (nella fattispecie, pari ad uno).
ƒ il sistema di riparto dei seggi.
Riguardo a quest’ultimo punto, il testo unificato mantiene immutato l’attuale
procedimento per l’assegnazione dei seggi alle liste nel collegio unico nazionale,
secondo il metodo proporzionale dei quozienti interi e dei più alti resti; è invece
interamente riscritto il procedimento per la distribuzione tra le circoscrizioni
dei seggi che ciascuna lista ha conseguito in sede nazionale, allo scopo di
garantire ad ogni circoscrizione l’elezione del numero di rappresentanti ad essa
assegnato.
Tale diversa ripartizione è effettuata adottando due innovazioni:
ƒ l’attribuzione dei seggi a quoziente intero è effettuata con riferimento al
quoziente circoscrizionale, in luogo del quoziente nazionale di lista utilizzato
dalla formula vigente; il quoziente circoscrizionale è determinato, a sua volta,
57
SCHEDE DI APPROFONDIMENTO
dividendo il totale dei voti validi ottenuti nella circoscrizione dalle liste cui
spettano seggi per il numero dei seggi spettanti alla circoscrizione stessa. Il
testo prevede un meccanismo di correzione per il caso in cui l’assegnazione
dei seggi a quoziente intero attribuisca nelle circoscrizioni ad una lista più
seggi di quanti gliene spettino in base alla ripartizione in sede nazionale;
ƒ i seggi residui sono attribuiti alle liste in base alla graduatoria decrescente
delle parti decimali dei quozienti di ciascuna lista. Tale operazione è
effettuata in ciascuna circoscrizione seguendo l’ordine crescente della
popolazione residente, a partire cioè dalla circoscrizione meno popolata.
Tale successione fa si che nelle circoscrizioni più piccole – dove i seggi
vengono assegnati quasi sicuramente soltanto con le parti decimali – siano
assegnati i seggi spettanti alle liste che hanno le più grandi parti decimali.
Poiché infatti i quozienti circoscrizionali sono elevati rispetto ai voti ottenuti dalle liste
minori, nelle circoscrizioni più piccole i seggi sono assegnati per lo più alle liste
maggiori che, sicuramente, hanno le parti decimali maggiori. Pur se il metodo non
garantisce che in ogni circoscrizione siano assegnati tutti i seggi che ad essa
spettano, l’eventuale slittamento di seggi ha luogo in danno delle circoscrizioni che
hanno il maggior numero di seggi e, pertanto, risulta proporzionalmente meno
influente.
Quale criterio suppletivo, i seggi che eventualmente rimanessero ancora da
assegnare ad una lista sono attribuiti alla stessa nelle circoscrizioni dove essa
abbia ottenuto i maggiori resti, utilizzando per primi quelli che non hanno già dato
luogo alla attribuzione di un seggio. Qualora i seggi da assegnare in una
circoscrizione eccedano il numero dei componenti la lista, i seggi eccedenti sono
assegnati alla medesima lista nelle altre circoscrizioni, secondo la già detta
graduatoria delle parti decimali.
Gli Uffici elettorali circoscrizionali verificano che sia stato assegnato almeno
un seggio alla lista che ha ottenuto il maggior numero di voti in sede
circoscrizionale. Qualora, al termine delle operazioni illustrate, la lista che ha
ottenuto il maggior numero di voti in sede circoscrizionale non abbia conseguito
alcun seggio in sede nazionale, l'Ufficio elettorale nazionale assegna a tale lista
un seggio, sottraendolo alla lista che ottiene in sede nazionale l'assegnazione del
seggio con il minore resto utile.
Il sistema elettorale delineato dal testo unificato, pur rimanendo proporzionale in
ambito nazionale, assume sostanzialmente i caratteri di un sistema maggioritario
nelle circoscrizioni alle quali è assegnato un solo seggio; in tali circoscrizioni risulterà
infatti eletto il candidato della lista (tra quelle alle quali saranno stati assegnati seggi in
ambito nazionale) che avrà ottenuto la maggioranza relativa nella circoscrizione.
58
LA LEGGE ELETTORALE EUROPEA
I lavori parlamentari nelle precedenti legislature
Già nella XIII legislatura la Commissione Affari costituzionali della Camera dei
deputati aveva esaminato alcune proposte di legge volte a modificare la L. 18/197986.
Uno degli elementi comuni alla maggior parte delle proposte allora presentate era la
modifica del sistema elettorale con l’intento di garantire un’adeguata rappresentanza
territoriale. A tal fine alcune proposte prevedevano l’aumento delle circoscrizioni da 5 a
20 o a 21.
Il testo unificato, presentato in Commissione il 1° dicembre 1998, modificava la L.
18/1979 in vari punti (i medesimi sui quali incidono le proposte di legge esaminate nella
XV legislatura).
In particolare, le circoscrizioni elettorali erano aumentate da 5 a 9, e non a 20 o 21
come ipotizzato da alcune delle proposte allora in esame con lo scopo di farne coincidere
i confini con quelli delle regioni. In tal modo si accolse il suggerimento, espresso nel
corso dell’audizione87 dei parlamentari europei eletti in Italia, volto a limitare l’aumento
delle circoscrizioni al fine di contemperare la necessità di garantire una piena
rappresentanza delle regioni con il rispetto del principio della proporzionalità, alla base
del sistema elettorale europeo.
Per quanto riguarda l’elettorato passivo, veniva proposto l’abbassamento del limite di
età da 25 a 21 anni, unitamente all’introduzione di un rigido regime di ineleggibilità e
all’aumento del numero delle cause di incompatibilità.
Il numero di sottoscrittori necessario per la presentazione delle liste dei candidati era
ridotto, nel numero minimo da 30.000 a 15.000, in quello massimo da 35.000 a 20.000
elettori.
Erano espressamente abrogate le disposizioni volte a garantire la rappresentanza dei
gruppi di minoranza linguistica attraverso il collegamento delle liste (art. 12, commi 9 e
10, della L. 18/1979). Tale rappresentanza era però garantita da specifiche disposizioni.
Veniva mantenuto il sistema elettorale proporzionale, ma era proposto un correttivo con
l’introduzione di una soglia di sbarramento del 2%. In deroga a tale principio, era previsto
che i candidati espressione dei gruppi linguistici minoritari fossero eletti comunque,
purché ottenessero almeno 30.000 voti.
Infine, veniva disposta l’applicazione alle elezioni europee della L. 515/1993 per
quanto riguarda i limiti massimi della spesa per la campagna elettorale di ciascun
candidato e delle liste.
Alla fine del 1998 si è ritenuto opportuno, da parte della Commissione, interrompere la
discussione per l’imminenza delle elezioni europee, svoltesi nella primavera del 1999. Il
dibattito è ripreso circa un anno dopo, il 7 ottobre 1999; la legislatura si è conclusa senza
che la Commissione pervenisse alla votazione del testo unificato.
Nella XIV legislatura, il 4 dicembre 2002, è iniziato presso la Commissione affari
costituzionali del Senato l’esame in sede referente di alcuni progetti di legge di iniziativa
86
87
A.C. 220 (p.d.l. costituzionale, poi disabbinata e non più esaminata), A.C. 1355, 1664, 2211,
3354 e 3957 per l’esame delle quali la Commissione ha costituito un comitato ristretto che ha
elaborato un testo unificato. In seguito sono state abbinate altre cinque proposte (A.C. 4309,
5628, 5960, 6020 e 7423).
Nel corso dell’esame si è svolta, il 20 maggio 1998, un’audizione di una rappresentanza di
parlamentari italiani al Parlamento europeo, i quali hanno portato elementi utili per il
proseguimento del dibattito.
59
SCHEDE DI APPROFONDIMENTO
parlamentare tendenti a modificare la L. 18/1979 (A.S. 340 ed abb.88) e diretti
principalmente ad una revisione delle circoscrizioni elettorali e all’individuazione di nuovi
criteri per l’assegnazione dei seggi alle stesse, al fine di determinare una maggiore
rappresentatività di alcune regioni presso il Parlamento europeo. Alcuni di questi (A.S.
1913, 1929 e 2494) disponevano anche l’incompatibilità tra il mandato elettivo europeo e
quello nazionale.
L’11 febbraio 2004 il relatore presentava un testo unificato, in cui venivano recepite
unicamente le modifiche alla disciplina per l’elezione dei membri del Parlamento europeo
necessarie per adeguarla alle nuove regole stabilite in sede europea in conseguenza
dell’approvazione della decisione 2002/772/CE, Euratom del Consiglio, del 25 giugno
2002 e del 23 settembre 2002.
In particolare, il testo unificato disciplinava la materia delle incompatibilità, recependo
le norme di cui al citato Atto europeo.
In tale testo, secondo quanto osservato dal relatore nel corso dell’illustrazione dei suoi
contenuti89, venivano intenzionalmente tralasciate eventuali ulteriori cause di
incompatibilità proposte in alcune delle iniziative allora in corso di esame e non venivano
affrontate questioni, oggetto delle medesime iniziative, quali la revisione delle
circoscrizioni elettorali, in attesa di verificare, nel corso dell’esame, se vi fossero i
tempi necessari per introdurre nella legislazione più ampie modifiche, nell’imminenza
della consultazione per l’elezione del Parlamento europeo.
Quanto alle soluzioni proposte (sia mediante le iniziative legislative, sia attraverso gli
emendamenti) per introdurre meccanismi atti a favorire il successo dei candidati
provenienti dalle isole, dalle regioni minori e dai territori in cui sono presenti minoranze
linguistiche, il relatore riteneva che esse apparissero tutte deboli.
Dovendosi escludere l’ipotesi di dar luogo a circoscrizioni più piccole, che
avrebbero comportato il surrettizio passaggio a un meccanismo sostanzialmente
maggioritario, a parere del relatore si sarebbe potuto correggere il meccanismo di
distribuzione dei seggi in base al computo dei resti, stabilendo che questi
confluissero in un’unica graduatoria nazionale nell’ambito della quale i seggi fossero
assegnati in proporzione ai resti e comunque fino alla concorrenza del numero di seggi
previsto per ognuna delle circoscrizioni. Tale ipotesi veniva formalizzata dal relatore
medesimo con la presentazione, nel corso dell’esame del d.d.l. S. 2791-bis, del proprio
emendamento 5.0.102, successivamente ritirato il 6 aprile 2004 (vedi infra).
Il relatore ribadiva peraltro l’inopportunità di intervenire con una modifica delle
circoscrizioni elettorali in prossimità delle elezioni.
Il successivo 26 febbraio il Governo presentava, in attuazione della citata decisione
del Consiglio 2002/772, CE, Euratom, un disegno di legge (A.S. 2791) che la
Commissione adottava come testo base nella seduta del 3 marzo 2004.
Il 16 marzo la Commissione conveniva poi, al fine di giungere all’approvazione
definitiva, seppure parziale, del disegno di legge entro il 31 marzo 2004, di proporre lo
stralcio di quegli articoli del testo del Governo che costituivano applicazione immediata
delle norme precettive della decisione 2002/772/CE, in modo da renderle applicabili alle
imminenti elezioni europee fissate per il 12 e 13 giugno 200490.
88
89
90
A.S. 340, 363, 911, 1913, 1929, 2068, 2419, 2494, 2551.
Senato, 1a Commissione affari costituzionali, seduta dell’11 febbraio 2004.
Il Ministro degli Affari esteri, con lettera del 9 marzo 2004, aveva segnalato al presidente della
a
1 Commissione del Senato l’esigenza di accelerare l’iter del provvedimento al suo esame al
fine di consentirne la promulgazione entro il 31 marzo 2004, ultima data utile per garantire dal
1° maggio l’entrata in vigore della decisione del Consiglio dell’Unione Europea del 2002
60
LA LEGGE ELETTORALE EUROPEA
Il 17 marzo 200491, il relatore, esprimendo parere contrario sugli emendamenti
concernenti la revisione delle circoscrizioni elettorali, annunciava in Assemblea che le
norme per risolvere il problema della sottorappresentazione della Sardegna al
Parlamento europeo erano trattate nell'ambito di un altro provvedimento (A.S. 2791-bis),
con un emendamento che garantiva alla circoscrizione delle isole l'elezione del numero di
parlamentari europei ad essa spettante.
A seguito dello stralcio, le disposizioni originariamente contenute nel disegno di legge
del Governo A.S. 2791 hanno pertanto dato origine a due distinte leggi.
La L. 78/200492, in attuazione alla decisione 2002/772/CE, Euratom, ha recepito la
principale novità da essa introdotta, sancendo l’incompatibilità tra la carica di
parlamentare europeo e quella di deputato o di senatore.
La L. 90/200493 ha individuato ulteriori incompatibilità tra il mandato europeo e alcune
cariche elettive territoriali (presidente di provincia e sindaco di comune con popolazione
superiore a 15.000 abitanti), ha esplicitato anche nella legge ordinaria l’incompatibilità in
capo al consigliere regionale prevista dall’art. 122 Cost. e ha modificato le norme per la
sottoscrizione delle liste di candidati e per l'espressione delle preferenze.
Durante la discussione in Assemblea dell’A.S. 2791-bis (dal quale è originata la L.
90/2004), la questione del riequilibrio della rappresentanza al Parlamento europeo nelle
singole circoscrizioni veniva nuovamente affrontata senza giungere ad una soluzione,
rilevandosi94 che una soluzione pienamente soddisfacente avrebbe richiesto una
rivisitazione più ampia della legge, da affrontare in una successiva occasione.
91
92
93
94
sull’elezione dei rappresentanti al Parlamento Europeo; il Ministro aveva sottolineato che il
mancato recepimento della decisione da parte dell’Italia entro il 31 marzo avrebbe reso
impossibile, per tutti gli Stati membri dell’Unione, l’applicazione delle modifiche all’Atto
Elettorale alle elezioni del Parlamento europeo di giugno 2004, ponendo l’Italia in una posizione
di estrema difficoltà.
Senato, Assemblea, seduta antimeridiana del 17 marzo 2004.
L. 27 marzo 2004, n. 78, Disposizioni concernenti i membri del Parlamento europeo eletti in
Italia, in attuazione della decisione 2002/772/CE, del Consiglio, originata dagli articoli 1, 2, 3 5 e
11 dell’A.S. 2791.
L. 8 aprile 2004, n. 90, Norme in materia di elezioni dei membri del Parlamento europeo e altre
disposizioni inerenti ad elezioni da svolgersi nell’anno 2004, originata dall’A.S. 2791-bis,
risultante dallo stralcio degli articoli 4, 6, 7, 8, 9, 10 del S. 2791 deliberato dall’Assemblea nella
seduta del 17 marzo 2004.
Cfr. intervento del relatore nella seduta antimeridiana del 6 aprile 2004.
61
SCHEDE DI APPROFONDIMENTO
PARLAMENTO E SISTEMA DEI PARTITI
TRATTAMENTO ECONOMICO DEI PARLAMENTARI
Relativamente alle misure intervenute in materia di trattamento economico
dei parlamentari, si segnalano in primo luogo quelle contenute nelle leggi
finanziarie, volte al contenimento delle spese per le indennità parlamentari.
L’indennità è prevista dalla Costituzione (art. 69) ed è disciplinata dalla L.
1261/196595, che ne fissa la misura massima: essa non può superare il
trattamento complessivo massimo annuo lordo dei magistrati con funzioni di
Presidente di Sezione della Corte di Cassazione ed equiparate.
L’art. 1, co. 52, della L. 266/200596 (legge finanziaria per il 2006) ha ridotto
del 10 per cento l’ammontare massimo delle indennità mensili spettanti ai
componenti della Camera e del Senato. Spetta agli Uffici di Presidenza dei due
rami del Parlamento determinare in concreto, entro il citato limite massimo,
l’ammontare delle dodici quote mensili da corrispondere a titolo di indennità. In
attuazione della disposizione della legge finanziarie per il 2006, l’Ufficio di
Presidenza della Camera dei deputati ed il Consiglio di Presidenza del Senato
della Repubblica hanno disposto una riduzione pari al 10 per cento dell’importo
lordo allora vigente della quota mensile dell’indennità parlamentare spettante
rispettivamente a deputati e senatori.
Si ricorda inoltre che il trattamento economico dei parlamentari comprende
anche una diaria corrisposta a titolo di rimborso delle spese di soggiorno a
Roma (art. 2, L. 1261/1965).
Vanno distinte dalle due voci indicate quelle relative ai rimborsi corrisposti a
vario titolo: per le spese inerenti al rapporto tra eletto ed elettori; per le spese di
trasporto e le spese di viaggio; per le spese telefoniche; per l’assistenza
sanitaria.
Sia alla Camera che al Senato è inoltre previsto che ogni parlamentare versi
mensilmente, in un Fondo, una quota pari al 6,7% della propria indennità lorda.
Al termine del mandato, il parlamentare riceve l’assegno di fine mandato pari
all’80% dell’importo mensile lordo dell’indennità, per ogni anno di mandato
effettivo (o frazione non inferiore a sei mesi). Con una deliberazione dell’Ufficio di
presidenza della Camera del 23 luglio 2007 sono state infine previste misure
volte a ridurre la dinamica della spesa per gli assegni vitalizi e la soppressione
dei rimborsi per i viaggi di studio all’estero dei deputati. Per quanto riguarda i
vitalizi, sono stati modificati l’importo e le condizioni di accesso: dalla XVI
legislatura infatti saranno legate all’acquisizione di una esperienza parlamentare
95
96
Legge 31 ottobre 1965, n. 1261, Determinazione dell’indennità spettante ai membri del
Parlamento.
Legge 23 dicembre 2005, n. 266, Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e
pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2006).
62
TRATTAMENTO ECONOMICO DEI PARLAMENTARI
praticata almeno per un’intera legislatura, mentre l’importo dell’assegno vitalizio
varierà da un minimo del 20% ad un massimo del 60% e non sarà corrisposto a
coloro che, successivamente al 1° gennaio 2008, assumano cariche pubbliche97
che prevedano una indennità il cui importo sia pari o superiore al 40%
dell’indennità parlamentare (alla sospensione non si procederà qualora
l’interessato opti per l’assegno vitalizio in luogo dell’indennità).
Analoghe misure sono state adottate dal Consiglio di presidenza del Senato.
La legge finanziaria 200798, all’art. 1, co. 575, a decorrere dal 1° gennaio
2007, riduce del 30% il trattamento economico complessivo dei ministri e dei
sottosegretari di Stato, di cui alla L. 212/195299, limitatamente ai ministri e
sottosegretari di Stato che siano anche membri del Parlamento.
Il successivo co. 576, riduce del 30%, per gli anni 2007 e 2008, la misura
dell’adeguamento retributivo previsto per le categorie che ancora usufruiscono di
progressioni stipendiali automatiche tra quelle, cosiddette in regime pubblico, indicate dal
D.Lgs. 165/2001100. Le categorie oggetto della riduzione sono magistrati, docenti e
ricercatori universitari, dirigenti dei corpi di polizia e delle forze armate, per i quali i
rispettivi ordinamenti prevedono l’adeguamento annuale delle retribuzioni in base agli
aumenti percepiti dalle altre categorie di personale delle pubbliche amministrazioni. La
decurtazione è limitata al personale che, rientrando in taluna delle categorie innanzi
indicate, percepisca retribuzioni complessivamente superiori a 53.000 euro annui. La
portata di tale previsione, è stata peraltro limitata al solo anno 2007 dal comma 66
dell’art. 3 della legge finanziaria 2008.
La legge finanziaria 2008101 reca anch’essa, all’art. 1 co. 375, una
disposizione che stabilisce che, nella determinazione delle quote mensili
dell’indennità parlamentare – per cinque anni dall’entrata in vigore della legge
finanziaria 2008 – non venga applicato l’adeguamento automatico annuale delle
retribuzioni del personale pubblico “non contrattualizzato” agli incrementi medi
97
98
99
100
101
Le cariche pubbliche elencate in allegato sono le seguenti: componente del Governo nazionale,
Giunta regionale, Provincia autonoma o Commissione europea; titolari di incarichi che la
Costituzione o altre disposizioni costituzionali prevedono come incompatibili con il mandato
parlamentare; componente del Consiglio della magistratura militare, del Consiglio di presidenza
della giustizia amministrativa, del Consiglio di presidenza della giustizia tributaria e del
Consiglio di presidenza della Corte dei conti; sindaco di comune capoluogo di regione o di
comune con popolazione superiore a 250 mila abitanti e presidente di provincia con
popolazione superiore a 500 mila abitanti; Presidente del Consiglio nazionale dell’economia e
del lavoro; componente delle Autorità indipendenti; componente del Consiglio di
amministrazione della RAI; altre cariche elettive o di governo presso gli enti locali; altre cariche
di nomina parlamentare o da parte di assemblee elettive regionali, provinciali o comunali,
ovvero di nomina governativa, a livello statale, regionale o locale, per le quali sia prevista la
corresponsione di una indennità.
Legge 27 dicembre 2006, n. 296, Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e
pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2007).
Legge 8 aprile 1952, n. 212, Revisione del trattamento economico dei dipendenti statali.
Decreto Legislativo 30 marzo 2001, n. 165, Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle
dipendenze delle amministrazioni pubbliche.
Legge 24 dicembre 2007, n. 244, Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e
pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2008).
63
SCHEDE DI APPROFONDIMENTO
calcolati dall’ISTAT conseguiti nell’anno precedente dalle categorie di pubblici
dipendenti in regime contrattuale sulle voci della rispettiva retribuzione, previsto
dalla L. 448/1998102.
Sempre con riferimento alla portata della disposizione sotto il profilo finanziario, si
segnala che nella relazione tecnica allegata al testo iniziale del disegno di legge
finanziaria, il Governo illustra come essa produca una riduzione di spesa “a cascata”,
posto che all’indennità dei parlamentari nazionali sono legati gli emolumenti di una serie
di titolari di pubblici uffici (parlamentari europei, ministri e sottosegretari non
parlamentari103 e consiglieri regionali). Al proposito si rileva che l’importo dell’indennità
spettante ai parlamentari europei corrisponde attualmente a quello dell’indennità di
funzione del parlamentare nazionale. In particolare, la L. 384/1979104 stabilisce che ai
membri del Parlamento europeo spettanti all’Italia competa, dal giorno successivo a
quello dell’elezione e fino a quando non sia diversamente stabilito dal medesimo
Parlamento europeo, un’indennità mensile pari all’indennità percepita dai membri del
Parlamento nazionale in applicazione dell’art. 1 della L. 1261/1965.
Deve peraltro ricordarsi che nel 2009 entrerà in vigore lo Statuto dei deputati del
Parlamento europeo, il quale provvede, tra l’altro (artt. 9 e seguenti), a rendere
omogeneo il trattamento dei singoli eurodeputati e a porlo a carico del bilancio
dell’Unione europea anziché – come ora – di quello dei singoli Stati membri. Gli Stati
membri (art. 29) potranno definire per i propri deputati del Parlamento europeo una
regolamentazione in deroga alle disposizioni dello statuto in materia di indennità,
indennità transitorie, pensioni di anzianità e pensioni di reversibilità per un periodo di
transizione che non potrà superare la durata di due legislature del Parlamento europeo
(quindi fino al 2019). I pagamenti relativi saranno in questo caso interamente a carico del
bilancio dei rispettivi Stati membri.
102
103
104
Legge 23 dicembre 1998, n. 448, Misure di finanza pubblica per la stabilizzazione e lo sviluppo.
Per quanto riguarda i ministri e i sottosegretari non parlamentari, la L. 9 novembre 1999 n. 418,
Disposizioni in materia di indennità dei Ministri e dei Sottosegretari di Stato non parlamentari,
ha stabilito che essa sia corrisposta – in aggiunta allo stipendio previsto dalla già citata L.
212/1952 – anche una indennità pari a quella spettante ai membri del Parlamento, al netto degli
oneri previdenziali e assistenziali. Si ricorda che tale indennità è stata ridotta del 10% dalla L.
266/2005.
Legge 13 agosto 1979 n. 384, Trattamento dei membri del Parlamento europeo spettanti
all’Italia.
64
REGIONI E AUTONOMIE LOCALI
L’IPOTESI DI RIFORMA DELL’ART. 132 COST.
DISTACCO/AGGREGAZIONE DI ENTI LOCALI
L’IPOTESI DI RIFORMA DELL’ART. 132 COST.
Il quadro normativo e la giurisprudenza costituzionale
La Costituzione e le disposizioni attuative
Ai sensi dell’articolo 132, secondo comma, della Costituzione “si può, con
l’approvazione della maggioranza delle popolazioni della Provincia o delle
Province interessate e del Comune o dei Comuni interessati espressa mediante
referendum e con legge della Repubblica, sentiti i Consigli regionali,
consentire che Provincie e Comuni, che ne facciano richiesta, siano staccati da
una Regione e aggregati ad un’altra”.
Il testo vigente del comma è quello risultante dalla riformulazione operata
dall’art. 9, co. 1, della L.Cost. 3/2001105. La novella ha precisato che, per
procedere alla modifica territoriale, è necessaria l’approvazione della
maggioranza delle popolazioni della provincia (o delle province) e del comune (o
dei comuni) interessati al distacco. È stato in tal modo circoscritto l’ambito
territoriale al cui interno deve aver luogo la consultazione referendaria.
L’originaria formulazione prevedeva che “con referendum e con legge della
Repubblica, sentiti i Consigli regionali”, si potesse consentire per le province o i comuni
che ne facessero richiesta il distacco da una Regione e l’aggregazione ad un’altra. La
norma costituzionale nulla diceva sia sui soggetti da coinvolgere nel processo di
richiesta di referendum per il distacco, sia sull’ambito territoriale interessato alla
consultazione referendaria.
Le norme per l’attuazione del disposto costituzionale sono recate dal Titolo
III (artt. 41 ss.) della L. 352/1970106, che regola lo svolgimento dei vari
referendum previsti dalla Costituzione. Tali norme non sono state modificate in
conseguenza della revisione costituzionale107.
È tuttavia sopravvenuta la sentenza 334/2004 della Corte costituzionale,
che ha inciso sull’art. 42, co. 2°, della L. 352/1970 che regola per l’appunto la
richiesta del referendum. Secondo la disciplina che ne risulta, tale richiesta deve
essere corredata delle deliberazioni, identiche nell'oggetto, dei consigli
105
106
107
Legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, Modifiche al titolo V della parte seconda della
Costituzione.
Legge 25 maggio 1970, n. 352, Norme sui referendum previsti dalla Costituzione e sulla
iniziativa legislativa del popolo.
Benché nel corso della XIV legislatura la Camera avesse avviato l’esame di quattro proposte di
legge (A.C. 1852 ed abb.) volte a modificare la L. 352/1970 per adeguarne la disciplina al nuovo
testo dell’art. 132, co. 2°, Cost., l’iter parlamentare delle proposte di legge non è giunto a
conclusione.
67
SCHEDE DI APPROFONDIMENTO
provinciali o comunali delle (sole) province o comuni di cui si propone il
distacco.
Il testo originario del comma prescriveva invece che la richiesta dovesse essere
corredata anche delle deliberazioni di un numero di consigli provinciali o di consigli
comunali tale da rappresentare
ƒ almeno un terzo della restante popolazione della Regione dalla quale è proposto il
distacco, ed
ƒ almeno un terzo della popolazione della Regione alla quale si propone che le
province o i comuni siano aggregati.
La Corte costituzionale ha ritenuto illegittima questa parte della norma, osservando
che essa pone a carico dei richiedenti un adempimento la cui onerosità appare
“eccessiva (in quanto non necessitata) rispetto alla determinazione ricavabile dalla nuova
previsione costituzionale, e si risolve nella frustrazione del diritto di autodeterminazione
dell'autonomia locale, la cui affermazione e garanzia risulta invece tendenzialmente
accentuata dalla riforma del 2001.
Poiché il referendum […] mira a verificare se la maggioranza delle popolazioni
dell'ente o degli enti interessati approvi l'istanza di distacco-aggregazione, deve
coerentemente discenderne che la legittimazione a promuovere la consultazione
referendaria spetta soltanto ad essi e non anche ad altri enti esponenziali di popolazioni
diverse. Infatti, la riforma del parametro evocato ha inteso evitare che maggioranze non
direttamente o immediatamente coinvolte nel cambiamento possano contrastare ed
annullare finanche le determinazioni iniziali (neppure giunte al di là dello stadio di
semplici richieste) di collettività che intendano rendersi autonome o modificare la propria
appartenenza regionale.
Ad ogni modo, le valutazioni di tali altre popolazioni – anche di segno contrario alla
variazione territoriale – trovano congrua tutela nelle fasi successive a quella della mera
presentazione della richiesta di referendum”, e cioè nel corso dell’esame parlamentare
del disegno di legge – poiché il legislatore statale non è in alcun modo vincolato dall’esito
positivo del referendum – e in occasione dell’acquisizione e dell'esame dei pareri dei
Consigli regionali.
Il successivo art. 44, co. 3° (la cui formulazione è antecedente alla modifica
costituzionale intervenuta nel 2001) prevede tuttora che il referendum sia indetto
sia nel territorio della Regione dalla quale le province o i comuni intendono
staccarsi, sia nel territorio della Regione alla quale le province o i comuni
intendono aggregarsi; nella già menzionata sent. 334/2004, tuttavia, la Corte
costituzionale ha affermato il principio secondo cui “l’espressione ‘popolazioni
della provincia o delle province interessate e del comune o dei comuni
interessati’, utilizzata dal nuovo art. 132, secondo comma, [della Costituzione,]
inequivocamente si riferisce soltanto ai cittadini degli enti locali direttamente
coinvolti nel distacco-aggregazione”: essi soli costituiscono quindi il corpo
elettorale chiamato ad esprimersi con referendum sulla proposta di variazione
territoriale.
Quanto agli aspetti procedurali (artt. 43-45, L. 352/1970), spetta all’Ufficio centrale
per il referendum, costituito presso la Corte di cassazione, accertare la legittimità della
68
L’IPOTESI DI RIFORMA DELL’ART. 132 COST.
richiesta di referendum (che è indetto con D.P.R., su deliberazione del Consiglio dei
ministri), e in seguito proclamare i risultati. La proposta è dichiarata approvata se il
numero dei voti attribuiti alla risposta affermativa non sia inferiore alla maggioranza
degli elettori iscritti nelle liste elettorali dei comuni nei quali è stato indetto il
referendum; altrimenti è dichiarata respinta.
In caso di approvazione, il ministro dell’interno presenta al Parlamento il disegno
di legge di cui all’articolo 132, co. 2°, Cost. entro 60 giorni dalla pubblicazione nella
Gazzetta ufficiale del risultato del referendum. La proposta respinta, invece, non può
essere rinnovata prima che siano trascorsi cinque anni.
La questione delle Regioni a statuto speciale
Nell’ambito del dibattito politico sul tema in esame, sia nella XIV sia nella XV
legislatura, sono emerse opinioni diverse in ordine alle modalità di applicazione
della disciplina qualora il distacco o l’aggregazione di province o comuni incida
sul territorio di Regioni ad autonomia differenziata, i cui statuti speciali sono,
com’è noto, adottati con legge costituzionale.
La questione dell’applicabilità tout-court dell’art. 132, co. 2°, Cost. alle
Regioni a statuto speciale è stata risolta in senso positivo dalla Corte
costituzionale nella recente sentenza 66/2007, con la quale è stato definito un
conflitto di attribuzione sollevato dalla Regione Valle d’Aosta a seguito
dell’indizione del referendum relativo al distacco del comune di Noasca dalla
Regione Piemonte e alla sua aggregazione alla Regione Valle d'Aosta108.
Tra le argomentazioni addotte dalla Regione ricorrente vi era quella secondo cui il
proprio territorio sarebbe stato sostanzialmente costituzionalizzato dall'art. 1, secondo
comma, dello statuto di autonomia109, con riferimento alle circoscrizioni comunali che ne
facevano parte alla data della sua entrata in vigore (11 marzo 1948), e che modificazioni
al territorio regionale potrebbero essere introdotte solo mediante il procedimento di
revisione dello statuto previsto dall'art. 50 dello stesso.
La Corte non ha accolto le argomentazioni della ricorrente, affermando invece che
“l'art. 132, primo e secondo comma, Cost. si riferisce pacificamente a tutte le Regioni
[…] mediante l'individuazione di procedure che coinvolgono tutti i diversi organi e soggetti
indicati dalle norme costituzionali come attori necessari nei differenziati procedimenti ivi
configurati” e che “nessuna procedura normativa interna ad un singolo ordinamento
regionale potrebbe produrre effetti su due diversi enti regionali, come è palese nello
stesso caso che ha originato il presente giudizio, nel quale il procedimento di distaccoaggregazione investe ovviamente due Regioni”.
Si è dibattuto, per altro verso, se – ferma restando la procedura di cui all’art.
132, co. 2°, Cost. – sia o meno necessario il ricorso a una legge
108
109
Ordinanza dell'Ufficio centrale per il referendum del 12 aprile 2006; deliberazione del Consiglio
dei ministri del 7 luglio 2006 e decreto del Presidente della Repubblica 10 luglio 2006.
L.Cost. 26 febbraio 1948, n. 4, Statuto speciale per la Valle d'Aosta. L’art. 1, co. 2°, recita: “Il
territorio della Valle d'Aosta comprende le circoscrizioni dei Comuni ad esso appartenenti alla
data della entrata in vigore della presente legge”.
69
SCHEDE DI APPROFONDIMENTO
costituzionale, anziché ordinaria, quando il distacco/aggregazione incida sul
territorio di una Regione a statuto speciale.
Il Governo, in occasione della presentazione del disegno di legge
conseguente al referendum avente ad oggetto il distacco del comune di Lamon
dalla Regione Veneto e l’aggregazione alla Regione Trentino-Alto Adige, ha
ritenuto necessaria la presentazione di un disegno di legge costituzionale.
Come precisa la relazione illustrativa che accompagna il disegno di legge di iniziativa
governativa (A.C. 1427), al Governo “è apparso imprescindibile procedere mediante lo
strumento della legge costituzionale, quale fonte di diritto pariordinata a quella che
definisce l’autonomia speciale del Trentino-Alto Adige”, in quanto la variazione territoriale
(distacco-aggregazione) che interessa il comune di Lamon “andrebbe ad incidere anche
sul territorio di una Regione ad autonomia differenziata”.
La posizione è stata ribadita dall’Avvocatura dello Stato, in rappresentanza della
Presidenza del Consiglio dei ministri, nel già ricordato giudizio per conflitto di attribuzione
sollevato dalla Regione Valle d’Aosta. Nelle motivazioni della sentenza, peraltro, la Corte
non affronta espressamente questo profilo.
Il disegno di legge di revisione dell’art. 132 Cost.
Con il disegno di legge A.C. 2523 (presentato il 17 aprile 2007 e discusso
dalla I Commissione della Camera, che non ne ha concluso l’esame) il
Governo ha ritenuto di intervenire sulla disciplina costituzionale in materia
riformulando l’intero secondo comma dell’art. 132 Cost..
Le novità introdotte dalla riformulazione proposta sono essenzialmente tre:
ƒ si prevede che la richiesta della provincia o del comune di passare da una
regione ad un’altra sia sostenuta dal previo espresso consenso della
rispettiva popolazione. La manifestazione di tale consenso avrebbe luogo
secondo forme rimesse all’autonomia statutaria di ciascun ente locale;
ƒ risulta ampliato l’ambito territoriale di svolgimento del referendum, e quindi
la popolazione coinvolta nella consultazione: non più soltanto i cittadini degli
enti locali direttamente coinvolti nel distacco/aggregazione, bensì quella:
- delle due Regioni interessate, se il referendum ha ad oggetto il
passaggio una provincia da una ad altra Regione;
- delle due province interessate, se il referendum ha ad oggetto il
passaggio di uno o più comuni da una provincia ad un'altra appartenente a
diversa Regione;
ƒ ai fini della prosecuzione dell’iter, si esige che la consultazione referendaria
abbia esito positivo (distintamente e contestualmente) presso ciascuna
delle due Regioni (o province) in cui essa si svolge.
La relazione del Governo motivava l’iniziativa sostenendo che “il distacco e la
conseguente aggregazione di un comune o di una provincia da una Regione ad un'altra
costituisce […] una forma di ‘annessione’ parziale e consensuale, il che presuppone, di
70
L’IPOTESI DI RIFORMA DELL’ART. 132 COST.
conseguenza, un accordo tra due entità distinte, ossia l'incontro di due volontà tra loro
anche contrapposte. Questo momento di ‘convergenza di volontà’ – consacrato nella
tornata referendaria – non può che essere riservato tanto ai soggetti che richiedono per
se stessi di essere distaccati e successivamente aggregati, quanto a quelli che, in ordine
alla propria sfera di interessi (sociali, economici eccetera), subiscono in ogni caso un
profondo e significativo impatto dal suddetto processo”.
71
SCHEDE DI APPROFONDIMENTO
SERVIZI PUBBLICI LOCALI
IL QUADRO NORMATIVO DEI SERVIZI PUBBLICI LOCALI
La disciplina generale dei servizi pubblici locali si rinviene principalmente
nel testo unico delle disposizioni in materia di enti locali, adottato con il decreto
legislativo 267/2000110, come modificato dall’art. 35 della L. 448/2001111, legge
finanziaria per il 2002 e dall’art. 14 del D.L. 269/2003112.
La normativa prevede un diverso regime tra la gestione dei servizi di rilevanza
economica (art. 113) e di quelli privi di rilevanza economica (art. 113-bis).
Tuttavia, occorre precisare fin d’ora che le disposizioni dell’art. 113-bis del
testo unico (introdotto dalla citata L. 448/2001) sono state giudicate illegittime
dalla Corte costituzionale (sent. 272/2004; vedi oltre). Pertanto, solamente i
servizi pubblici di rilevanza economica risultano disciplinati a livello statale.
Ambito di applicazione
L’articolo 113 disciplina la gestione dei servizi pubblici locali di rilevanza
economica.
Quanto alla definizione di servizi di rilevanza economica essa si può
desumere indirettamente dall’art. 2082 del codice civile che definisce
l’imprenditore come colui che esercita “un’attività economica organizzata al fine
della produzione o dello scambio di beni o di servizi”.
L’introduzione di tale definizione si deve all’art. 14 del D.L. 269/2003, che ha
sostituito la precedente distinzione tra servizi di rilevanza industriale e servizi
privi di rilevanza industriale.
La novella accoglie uno dei rilievi alla base della procedura d’infrazione
attivata da parte della Commissione europea.
La Commissione aveva infatti eccepito che la qualificazione di alcune categorie di
servizi pubblici come “servizi privi di rilevanza industriale” non avrebbe potuto comunque
avere l’effetto di sottrarre l’affidamento di tali servizi alle regole comunitarie in materia di
appalti e di concessioni. In tal senso, la separazione fra una disciplina dei servizi pubblici
di rilevanza economica (art. 113 del TU) e una disciplina dei servizi pubblici “privi di
rilevanza economica” (art. 113-bis del TU) appare più coerente con i principi del diritto
comunitario, che comprende nell’ambito delle proprie norme tutte le attività economiche
di prestazione di beni e servizi (art. 50 del Trattato), sottoponendole – in quanto tali – al
rispetto delle norme e dei principi del Trattato.
110
111
112
D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267, Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali.
L. 28 dicembre 2001, n. 448, Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale
dello Stato (legge finanziaria 2002).
D.L. 30 settembre 2003, n. 269, Disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e per la correzione
dell’andamento dei conti pubblici (conv. L. 24 novembre 2003, n. 326).
72
IL QUADRO NORMATIVO DEI SERVIZI PUBBLICI LOCALI
Il comma 1 dell’art. 113 definisce l’ambito di applicazione delle disposizioni
successive, specificando che esse:
ƒ si applicano ai servizi pubblici locali di rilevanza industriale;
ƒ concernono la tutela della concorrenza;
ƒ sono inderogabili ed integrative delle discipline di settore afferenti ai servizi
pubblici locali;
ƒ lasciano ferme le disposizioni prevista per i singoli settori;
ƒ lasciano ferme le disposizioni necessarie all’attuazione di specifiche normative
comunitarie in materia;
ƒ non si applicano ai settori dell’energia elettrica e del gas (disciplinati,
rispettivamente, dal D.Lgs. 79/1999113 e dal D.Lgs. 164/2000114).
Successivamente, anche il settore del trasporto pubblico locale è stato
escluso espressamente dal regime generale dei servizi pubblici locali (art. 1,
comma 48, della L. 308/2004115, che aggiunge un comma 1-bis all’art. 113 del
testo unico; lo stesso art. 1, co. 48, ha sottratto al regime generale anche gli
impianti di trasporti a fune nelle località turistiche montane).
Pertanto, le maggiori attività di erogazione di servizi pubblici locali (elettricità,
gas e trasporto pubblico locale) sono esclusi dall’ambito di applicazione delle
norme del testo unico.
In proposito, si pone anche il problema del rapporto tra norme statali e
legislazione regionale. Infatti, nel nuovo art. 117 della Costituzione la disciplina
dei servizi pubblici locali non è compresa né tra le competenze esclusive dello
Stato, né fra quelle concorrenti, e pertanto parrebbe da considerarsi di
competenza piena (residuale) delle regioni.
La Corte costituzionale, con la sentenza 272/2004, ha contribuito a chiarire
in modo significativo sia il rapporto tra normativa generale e normativa di settore,
sia quello tra competenza legislativa statale e competenza legislativa regionale.
Secondo la Corte la disciplina dei servizi pubblici locali “può essere
agevolmente ricondotta nell’ambito della materia tutela della concorrenza,
riservata dall’art. 117, secondo comma, lettera e), della Costituzione, alla
competenza legislativa esclusiva dello Stato”. La stessa Corte, secondo un
indirizzo giurisprudenziale costante, dà, inoltre, una interpretazione ampia del
principio della tutela della concorrenza, concernente oltre alla tutela vera e
propria anche l’adozione di misure di promozione della concorrenza stessa.
Tutela e promozione sono dunque gli ambiti di manovra legittimi per il legislatore
113
114
115
D.Lgs. 16 marzo 1999, n. 79, Attuazione della direttiva 96/92/CE recante norme comuni per il
mercato interno dell’energia elettrica.
D.Lgs. 23 maggio 2000, n. 164, Attuazione della direttiva n. 98/30/CE recante norme comuni
per il mercato interno del gas naturale, a norma dell’articolo 41 della legge 17 maggio 1999, n.
144.
L. 15 dicembre 2004, n. 308, Delega al Governo per il riordino, il coordinamento e l’integrazione
della legislazione in materia ambientale e misure di diretta applicazione.
73
SCHEDE DI APPROFONDIMENTO
statale, che non possono essere derogati né dalle regioni, né dalle norme
settoriali.
Centrale, sotto questo profilo, è la dichiarazione, contenuta nell’art. 14 di
modifica del comma 1 dell’art. 113 del testo unico, secondo cui le disposizioni
sulle modalità di gestione ed affidamento dei servizi pubblici locali di rilevanza
economica “concernono la tutela della concorrenza e sono inderogabili ed
integrative delle discipline di settore”. Tale disposizione per la Corte: “si può
dunque sostanzialmente considerare una norma-principio della materia, alla
cui luce è possibile interpretare il complesso delle disposizioni in esame nonché il
rapporto con le altre normative di settore, nel senso cioè che il titolo di
legittimazione dell’intervento statale in oggetto è fondato sulla tutela della
concorrenza, di cui all’art. 117, secondo comma, lettera e), della Costituzione, e
che la disciplina stessa contiene un quadro di principi nei confronti di regolazioni
settoriali di fonte regionale”.
La proprietà e la gestione delle reti
La proprietà degli impianti, delle reti e delle altre dotazioni, destinati
all’esercizio dei servizi pubblici di rilevanza economica deve comunque rimanere
pubblica (art. 113, co. 2).
Agli enti locali è rimessa la scelta tra il possesso diretto delle reti ovvero il
loro conferimento a società di capitali delle quali, in ogni caso, debbono
detenere la maggioranza.
Infatti, in alternativa al controllo diretto, il comma 13 dell’articolo 113 prevede
che gli enti locali possono conferire la proprietà delle reti degli impianti e delle
altre dotazioni a società a capitale interamente pubblico, che è incedibile. Queste
società a loro volta pongono le reti a disposizione di gestori del servizio a fronte
del pagamento di un canone. La quantificazione del canone è demandata alla
Autorità nazionale di settore, ove costituita, come per esempio nel settore
dell’elettricità e del gas, ovvero, in assenza all’ente locale.
Per l’individuazione dei casi in cui l’attività di gestione delle reti e degli
impianti può essere separata dall’attività di erogazione dei servizi l’art. 113 fa
rinvio alle discipline di settore (comma 3). Si afferma, inoltre, il principio per cui
deve comunque essere garantito l’accesso alla rete a tutti gli operatori legittimati
all’erogazione dei relativi servizi. In sostanza, il testo non stabilisce alcuna
preferenza in ordine al contestuale svolgimento, da parte di un medesimo
soggetto, dell’attività di gestione delle reti e dello svolgimento del servizio.
Nel caso di separazione fra attività di gestione delle infrastrutture e attività di
erogazione dei servizi (comma 4), l’ente locale può affidare la gestione delle reti
e delle infrastrutture secondo due modalità:
ƒ affidamento diretto a società di capitali interamente pubbliche secondo la
procedura in house (vedi oltre);
74
IL QUADRO NORMATIVO DEI SERVIZI PUBBLICI LOCALI
ƒ
gara pubblica.
Va peraltro segnalata un’ulteriore disposizione in materia di gestione delle reti;
si tratta, in particolare, della previsione di cui all’ultimo periodo del comma 13
dell’art. 113, in base al quale gli enti locali possono decidere di assegnare la
gestione stessa alle società cui i medesimi enti hanno la facoltà di conferire le reti
e gli impianti. Si ricorda che la maggioranza del capitale di tale facoltà deve in
ogni caso essere detenuta dagli stessi enti locali.
La legge finanziaria 2004 (art. 4, co. 234, lett. a) ha integrato la disciplina
sopra esposta.
Il testo del nuovo comma 5-ter dispone sull’esecuzione dei lavori connessi
alla gestione della rete secondo tre diverse modalità a seconda che la gestione
della rete (separata o integrata con la gestione dei servizi) sia stata o meno
affidata con gara ad evidenza pubblica, o che la gara abbia avuto ad oggetto
esclusivamente la gestione del servizio relativo alla rete.
ƒ Qualora la gestione della rete sia stata affidata senza gara, i gestori
provvedono all’esecuzione dei relativi lavori:
- con appalti o concessioni con procedure di evidenza pubblica,
- ovvero in economia nei limiti di cui all’art. 24 della legge 11 febbraio 1994
n. 109116 e all’art. 143 del D.P.R. 21 dicembre 1999, n. 554117.
ƒ Qualora la gestione della rete sia stata affidata con gara, il gestore può
realizzare direttamente i relativi lavori a due condizioni:
- che sia qualificato ai sensi della normativa vigente e
- che la gara abbia compreso – oltre al servizio relativo alla rete – anche
l’esecuzione dei lavori connessi.
ƒ Qualora, invece, la gara abbia compreso solo il servizio relativo alla rete, il
gestore deve appaltare i lavori a terzi con le procedure ad evidenza pubblica.
L’erogazione dei servizi
Il comma 5 dell’articolo 113 reca le disposizioni volte a liberalizzare il mercato
dei servizi pubblici locali a rilevanza industriale.
In particolare, viene definito il tipo di concorrenza che si può applicare al
settore. In particolare, piuttosto che imporre l’introduzione di forme di
concorrenza nel mercato (ossia la contemporanea presenza nel mercato di una
molteplicità di soggetti fornitori dei medesimi servizi, con la possibilità da parte
degli utenti di scegliere indifferentemente a quale di essi ricorrere), viene
116
117
La L. 11 febbraio 1994, n. 109, Legge quadro in materia di lavori pubblici, è confluita nel nuovo
Codice dei contratti pubblici (D.Lgs. 12 aprile 2006, n. 163). Le disposizioni dell’art. 24 co. 6,
relative ai lavori in economia, sono ora comprese nell’art. 125 del Codice.
Il regolamento di cui al D.P.R. 21 dicembre 1999, n. 554 è il Regolamento di attuazione della L.
11 febbraio 1994, n. 109. Anche le disposizioni dell’art. 143 del D.P.R. 554 sono confluite
nell’art. 125 del Codice.
75
SCHEDE DI APPROFONDIMENTO
prospettata la necessità di assicurare la concorrenza per il mercato, attraverso
il conferimento della titolarità del servizio, che viene esercitato in regime di
monopolio, ma attraverso l’espletamento di gare di evidenza pubblica, alle quali
tutti gli operatori (pubblici e privati) partecipano su un piano di parità.
L’art. 35 della legge 448 individuava una sola modalità di esercizio dell’attività
di erogazione dei servizi pubblici locali: affidamento a società di capitali
mediante procedure di evidenzia pubblica.
L’art. 14 del decreto legge 269 ha ampliato le forme di affidamento
prevedendo due ulteriori possibilità:
ƒ affidamento a società a capitale misto pubblico-privato;
ƒ affidamento in house a società a capitale interamente pubblico alle
condizioni viste sopra per la gestione delle infrastrutture
Per quanto riguarda la scelta della società di capitali, la norma si inserisce in un
processo normativo che ha progressivamente individuato strumenti operativi per favorire,
nella gestione dei servizi pubblici locali, la forma societaria. Con la L. 142/1990 (art. 22)
per la prima volta si individua la società per azioni, sia pure a prevalente proprietà
pubblica (le cosiddette società miste), tra le forme di gestione dei servizi pubblici locali
accanto a forme tipiche del diritto pubblico (concessione, azienda speciale, istituzione
ecc.). Nel decennio successivo l’ordinamento si muove in due direzioni. Da un lato si
amplia e si fa più articolato il ricorso a istituti di diritto privato: introduzione tra le forme di
gestione della società per azioni non a maggioranza pubblica (art 12, L. 498/92) e della
società a responsabilità limitata (art. 17, comma 58, L. 127/97); dall’altro, si moltiplicano
gli incentivi ad utilizzare tali istituti: tra questi si ricordano l’esenzione tributarie per i
trasferimenti di beni effettuati dagli enti locali a favore delle società miste (D.L. 6/1991,
conv. L. 80/1991), la definizione di una disciplina dettagliata per la costituzione delle
società miste a prevalente capitale privato (D.P.R. 533/1996), la semplificazione delle
procedure di trasformazione delle aziende speciali in società per azioni (art. 17, co. 48 e
51-58, L. 127/1997).
L’art. 35 della legge 448 porta a compimento tale percorso con l’individuazione della
società di capitali come unica forma di gestione dei servizi pubblici locali e con il
conseguente obbligo delle aziende speciali di trasformarsi in società di capitali118 (vedi
oltre: comma 8).
Il riferimento alle procedure ad evidenza pubblica, ai fini dell’individuazione del
soggetto idoneo, rende applicabili alla ipotesi in esame le norme di cui alla direttiva CEE
n. 50 del 1992, che coordina le procedure di aggiudicazione degli appalti di servizi,
recepita nel nostro ordinamento dal D.Lgs. 157/1995, ora confluito nel D.Lgs. 12 aprile
2006, n. 163, Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione
delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE.
Di particolare rilievo, l’innovazione introdotta dall’art. 14 del D.L. 269, che
prevede la possibilità di affidare l’erogazione dei servizi a società a capitale
118
Si ricorda che le società di capitali, disciplinate dagli artt. 2325 ss. del codice civile, sono:
ƒ
le società per azioni;
ƒ
le società a responsabilità limitata;
ƒ
le società in accomandita per azioni.
76
IL QUADRO NORMATIVO DEI SERVIZI PUBBLICI LOCALI
pubblico sul quale l’ente pubblico proprietario vi eserciti un controllo analogo a
quello esercitato sui propri servizi e che la società realizzi la parte più importante
della propria attività con l’ente pubblico che la controllo (c.d. affidamento in
house). Tale tipologia di affidamento è espressamente esclusa dall’ambito di
applicazione del Codice dei contratti pubblici (D.Lgs. 163/2006, art. 15).
Per quanto riguarda questa particolare modalità di esercizio dei servizi pubblici locale
è opportuno richiamare la circolare del Dipartimento politiche comunitarie 1° marzo 2002,
n. 3944 Procedure di affidamento delle concessioni di servizi e di lavori (pubblicata nella
Gazzetta Ufficiale n. 102 del 3 maggio 2002) dove viene chiarito che “la normativa
europea in tema di appalti pubblici, in particolare di servizi, non trova applicazione (e
pertanto l’affidamento diretto della gestione del servizio è consentito anche senza
ricorrere alle procedure di evidenza pubblica prescritte dalle norme comunitarie) solo
quando manchi un vero e proprio rapporto giuridico tra l’ente pubblico e il soggetto
gestore, come nel caso, secondo la terminologia della Corte di giustizia, di delegazione
interorganica o di servizio affidato, in via eccezionale, in house (cfr. Corte di giustizia,
sentenza 18 novembre 1999, causa C-107/98, Teckal). In altri termini, quando un
contratto sia stipulato tra un ente locale ed una persona giuridica distinta, l’applicazione
delle direttive comunitarie può essere esclusa nel caso in cui l’ente locale eserciti sulla
persona di cui trattasi un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi e questa
persona (giuridica) realizzi la parte più importante della propria attività con l’ente o con gli
enti locali che la controllano. Segnatamente, ad avviso delle istituzioni comunitarie per
controllo analogo s’intende un rapporto equivalente, ai fini degli effetti pratici, ad una
relazione di subordinazione gerarchica; tale situazione si verifica quando sussiste un
controllo gestionale e finanziario stringente dell’ente pubblico sull’ente societario. In detta
evenienza, pertanto, l’affidamento diretto della gestione del servizio è consentito senza
ricorrere alla procedure di evidenza pubblica prescritte dalle disposizioni comunitarie
innanzi citate. Al contrario, ove non ricorra un siffatto controllo gestionale ed economico
dell’ente pubblico sul soggetto gestore ma l’affidamento riguardi un servizio in cambio
della gestione dello stesso come corrispettivo (e dunque configuri, secondo
l’interpretazione della commissione, una concessione di servizi) l’aggiudicazione del
servizio deve in ogni caso avvenire nel rispetto dei principi comunitari di trasparenza e di
parità di trattamento che impongono la necessità di seguire procedure di evidenza
pubblica”.
Le normative di settore possono introdurre regole che assicurino la
concorrenzialità nella gestione dei servizi, al fine di superare assetti
monopolistici, prevedendo criteri di gradualità nella scelta della modalità di
conferimento del servizio. (comma 5-bis dell’art. 113 TU, introdotto dalla legge
350/2003, legge finanziaria 2004, art. 4, comma 234, lett. a)).
Viene fatto salvo il rispetto delle disposizioni di cui al comma 5 che rinvia alle
discipline di settore e prevede una triplice possibilità di conferimento della
titolarità del servizio (società di capitali individuate con evidenza pubblica; società
a capitale misto pubblico privato alle condizioni previste; affidamento c.d. “in
house”).
77
SCHEDE DI APPROFONDIMENTO
Il comma 6 dell’art. 113 individua alcuni casi di esclusione dalla
partecipazione alle gare.
Si tratta, in particolare:
ƒ delle società che gestiscono, anche all’estero e a qualunque titolo servizi
pubblici locali in affidamento diretto o a seguito di una procedura non a
evidenza pubblica o a seguito dei relativi rinnovi;
ƒ delle società di gestione delle reti, qualora le discipline di settore stabiliscano
la separazione tra l’attività di gestione delle reti e quella di erogazione del
servizio (si veda sopra: commi 3 e 4).
Tali divieti sono estesi anche alle società controllate e collegate.
Per quanto concerne la nozione di controllo delle imprese, Il codice civile reca una
definizione riferita alle società per azioni (art. 2359 c.c.). Sono società controllate:
ƒ le società in cui un’altra società dispone della maggioranza dei voti esercitabili
nell’assemblea ordinaria (si tratta del c.d. controllo di diritto);
ƒ le società in cui un’altra società dispone di voti sufficienti per esercitare un’influenza
dominante nell’assemblea ordinaria;
ƒ le società che sono sotto influenza dominante di un’altra società in virtù di particolari
vincoli contrattuali con essa.
Nei primi due casi si computano anche i voti spettanti a società controllate, a società
fiduciarie e a persona interposta; ma non i voti spettanti per conto di terzi.
Si definiscono collegate, invece, le società sulle quali un’altra società esercita
un’influenza notevole. Si presume l’influenza quando nell’assemblea ordinaria può essere
esercitato almeno un quinto dei voti ovvero un decimo se la società ha azioni quotate in
borsa.
Tale disciplina è stata integrata dalla legge istitutiva dell’Autorità anti-trust che ha
ampliato ed approfondito il concetto di controllo ai fini dei compiti istituzionali dell’Autorità,
volti a tutelare il diritto di iniziativa economica (L. 287/1990, art. 7). Per questi fini si ha
controllo, oltre che nei casi contemplati dall’articolo 2359 c.c., in presenza di diritti o
contratti che conferiscono la possibilità di esercitare un’influenza determinante sulle
attività di un’impresa, anche attraverso: diritti di proprietà o di godimento sulla totalità o su
parti del patrimonio di un’impresa, diritti, contratti o altri rapporti giuridici che conferiscono
un’influenza determinante sulla composizione, sulle deliberazioni o sulle decisioni degli
organi di un’impresa. Il controllo si estende anche alle persone o imprese che, pur non
essendo titolari di tali diritti o contratti, abbiano il potere di esercitare i diritti che ne
derivano.
La legge individua alcuni criteri e modalità per lo svolgimento delle gare di
affidamento (art. 113, comma 7). In particolare:
ƒ le gare devono essere indette nel rispetto degli standard qualitativi,
quantitativi, ambientali, di equa distribuzione sul territorio e di sicurezza,
definiti dalla competente Autorità di settore o, in mancanza di essa, dagli enti
locali;
ƒ le gare sono aggiudicate sulla base del migliore livello di qualità e sicurezza e
delle condizioni economiche e di prestazione del servizio, dei piani di
investimento per lo sviluppo e il potenziamento delle reti e degli impianti, per il
78
IL QUADRO NORMATIVO DEI SERVIZI PUBBLICI LOCALI
loro rinnovo e manutenzione, nonché dei contenuti di innovazione tecnologica
e gestionale.
Il secondo criterio individuato dall’art. 113 è stato giudicato illegittimo dalla
Corte costituzionale nella citata sentenza n. 272/2004: “L’estremo dettaglio
nell’indicazione di questi criteri, […] va al di là della pur doverosa tutela degli
aspetti concorrenziali inerenti alla gara […]. È evidente quindi che la norma in
esame, prescrivendo che deve considerarsi integrativa delle discipline settoriali di
fonte regionale la disposizione estremamente dettagliata ed autoapplicativa di cui
al citato art. 113, comma 7, pone in essere una illegittima compressione
dell’autonomia regionale, poiché risulta ingiustificato e non proporzionato rispetto
all’obiettivo della tutela della concorrenza l’intervento legislativo statale”.
La possibilità di gestire più servizi pubblici integrati da parte di una sola
impresa (c.d. multiutility) è contemplata dal comma 8 dell’art. 113, che ammette
esplicitamente la possibilità di affidare più servizi con unica gara se ciò risulti
economicamente più vantaggioso. Sono esclusi i servizi di trasporto. La durata
dell’affidamento è unica per tutti i servizi e non può essere superiore alla media
calcolata sulla base della durata degli affidamenti indicata dalle discipline di
settore.
Il comma 9 dell’art. 113 disciplina gli effetti della scadenza del periodo di
affidamento e gli esiti delle gare di affidamento. In tali casi le reti, gli impianti e le
altre dotazioni, di proprietà degli enti locali sono affidate al nuovo gestore. Si
prevede, inoltre, che al nuovo gestore vengano trasferite le infrastrutture
realizzate dal gestore uscente in attuazione dei piani di investimento e che venga
riconosciuto un indennizzo pari al valore dei beni non ancora ammortizzati, il cui
ammontare è indicato nel bando di gara.
Il comma 10 dell’art. 113 afferma il principio della parità di trattamento, in
primo luogo sotto il profilo tributario, dei gestori di pubblici servizi. Si stabilisce,
infatti, il divieto di introdurre regimi differenziati, anche con riferimento
all’eventuale concessione di contributi o agevolazioni per lo svolgimento del
servizio. La disposizione ha carattere generale, riferendosi a concessioni “da
chiunque dovute”. Si può peraltro osservare che proprio il richiamo ad un obbligo
di corrispondere contribuzioni o agevolazioni sembra riferirsi a rapporti ovvero a
disposizioni preesistenti. In forza di tali disposizioni, non sarebbero ammissibili
discriminazioni derivanti dalla diversa forma giuridica adottata dal soggetto
erogatore del servizio.
Il comma 11 dell’art. 113 stabilisce che i rapporti tra società di erogazione del
servizio e di gestione delle reti e degli impianti, da un lato, e gli enti locali,
dall’altro, sono regolati da contratti di servizio allegati ai capitolati di gara. Detti
contratti devono prevedere sia i livelli dei servizi da garantire, sia adeguati
strumenti di controllo del rispetto di tali livelli.
79
SCHEDE DI APPROFONDIMENTO
Il contratto di servizio costituisce uno strumento innovativo per la regolazione
dell’esercizio dei servizi di interesse pubblico che segna, in sostanza, il passaggio dal
regime concessorio a quello negoziale.
Esso è stato inizialmente introdotto nel settore del trasporto pubblico locale con il
Regolamento 1191/69/CEE così come modificato dal 1893/91/CEE.
In seguito, l’utilizzo di tale strumento è stato esteso anche agli altri settori dei servizi
pubblici locali con il D.L. n. 26 del 1995 (L. n. 95 del 1995) che all’articolo 5 (ora articolo
114, comma 8, del testo unico degli enti locali) prevede la stipulazione di un contratto di
servizio per disciplinare i rapporti tra ente locale ed azienda speciale.
Caratteristiche essenziali del contratto di servizio sono le seguenti:
previsione di una disciplina degli obblighi propri dei soggetti erogatori del servizio;
previsione di un corrispettivo per gli obblighi di servizio.
Il D.Lgs. 422/97 di disciplina del trasporto pubblico locale ha dato una compiuta
definizione dei contenuti dei contratti di servizio che devono prevedere:
il periodo di validità;
le caratteristiche dei servizi offerti;
gli standard qualitativi minimi del servizio;
la struttura tariffaria;
gli oneri di servizio e le modalità di adeguamento della struttura tariffaria;
le modalità di revisione ed adeguamento del contratto stesso.
Il comma 12 dell’art. 113 disciplina la cessione da parte dell’ente locale
delle partecipazioni nella società di capitali alla quale sia stata affidata
l’erogazione dei servizi pubblici, disponendo che tale cessione non ha effetti in
merito alla durata delle concessioni e degli affidamenti. La cessione non
comporterebbe, quindi, alcuna soluzione di continuità relativamente ai rapporti in
essere.
Si segnala inoltre che il comma 10 dell’articolo 35 della L. 448/2001,
subordina la facoltà di cedere le partecipazioni nelle società erogatrici di servizi
allo scorporo (disciplinato dal comma 9 dello stesso art. 35) delle reti, degli
impianti e delle altre dotazioni per l’esercizio dei servizi pubblici locali.
Le disposizioni in esame, che intervengono in ordine alle conseguenze della
dismissione della partecipazione di controllo da parte dell’ente locale, sono
dettate dall’esigenza di favorire la privatizzazione delle imprese pubbliche, senza
che questo comporti un immediato obbligo di procedere ad un nuovo
affidamento.
Come si è visto sopra (comma 3) l’articolo 113 affida alle discipline di settore il
compito di stabilire la separazione o meno tra gestione delle reti ed erogazione
del servizio che utilizza le medesime reti. Il comma 14 dell’art. 113 stabilisce che
qualora le reti, gli impianti e le altre dotazioni patrimoniali per la gestione di
servizi di rilevanza industriale siano di proprietà di soggetti diversi rispetto agli
enti locali, questi soggetti possono gestire i servizi solo a condizione che
vengano rispettati gli standard qualitativi, quantitativi ambientali e di
sicurezza stabiliti, ai sensi del comma 7 dell’art. 113, da parte dell’Autorità di
80
IL QUADRO NORMATIVO DEI SERVIZI PUBBLICI LOCALI
settore o dagli enti locali e che siano praticate tariffe non superiori alla media
regionale.
Altre disposizioni in materia di servizi pubblici locali
L’art. 35 della legge 448 contiene altre disposizioni in materia di servizi
pubblici locali non inserite nel testo unico.
Il comma 6 stabilisce che nel caso in cui le specifiche discipline di settore
prevedono la gestione sovracomunale del servizio, i soggetti affidatari del
servizio stipulano apposite convenzioni con i comuni di dimensione demografica
inferiore a 5.000 abitanti anche al fine di assicurare il rispetto di standard
adeguati di erogazione del servizio. In caso di inosservanza di tali standard da
parte degli gestori operanti nel territorio del comuni di minore dimensione, i
soggetti competenti all’affidamento del servizio nell’ambito sovracomunale
provvedono alla revoca dell’affidamento in corso sull’intero ambito.
Il comma 7 prevede che al termine dell’affidamento, le imprese concessionarie
reintegrano gli enti locali del possesso delle reti, degli impianti e delle
infrastrutture utilizzate per la gestione dei servizi.
Il comma 8 prevede la trasformazione, entro il 30 giugno 2003, delle
aziende speciali e dei consorzi che gestiscono servizi di rilevanza
industriale in società di capitali. Si ricorda infatti che l’art. 113, comma 5,
prevede che l’erogazione di tali servizi avvenga con conferimento a società di
capitali.
Per quanto riguarda le modalità di trasformazione, si rinvia alle disposizioni
contenute nell’articolo 115 del testo unico. Si tratta di norme di semplificazione
delle procedure di trasformazione, introdotte dalla legge 15 maggio 1997, n. 127
(art. 17, commi 48 e 51-58), poi confluite nel testo unico.
Ai sensi dell’articolo 115 del testo unico (come modificato dal medesimo art. 35 della
legge 448) le province e i comuni possono trasformare le aziende speciali e i consorzi in
società di capitali con “atto unilaterale”, con l’unico obbligo da parte degli enti locali
medesimi di non rimanere azionisti unici per più di due anni dalla trasformazione, e di
aprire le società alla partecipazione di altri soggetti, anche privati. Tali società possono
essere costituite anche ai fini della loro privatizzazione ai sensi del D.L. 332/94. Inoltre,
viene lasciata aperta anche la possibilità della trasformazione parziale dell’azienda
speciale mediante la sua scissione e il conferimento di un ramo aziendale ad una nuova
società.
In attuazione del principio di separazione tra proprietà delle reti (pubblica) e
gestione del servizio (in concorrenza), il comma 9, prevede che gli enti locali
debbano provvedere a scorporare dalle società di cui detengano la
maggioranza del capitale che, alla stessa data, gestiscano servizi pubblici locali e
siano titolari delle reti, degli impianti e delle altre dotazioni, le medesime
81
SCHEDE DI APPROFONDIMENTO
infrastrutture e dotazioni e il loro contestuale conferimento ad una nuova
società di capitali, di cui gli enti locali detengano la maggioranza, a cui è affidata
esclusivamente la proprietà delle reti e impianti.
La norma appare orientata alla creazione dei presupposti della privatizzazione
del settore, anche in considerazione che il successivo comma 10 subordina,
come già ricordato, la facoltà da parte degli enti locali di cedere le partecipazioni
nelle società erogatrici di servizi solo successivamente alle operazioni di
scorporo delle reti, degli impianti e delle altre dotazioni per l’esercizio dei servizi
pubblici locali.
Ai sensi del comma 11, in deroga alle disposizioni recate all’articolo 113,
comma 2, del testo unico sugli enti locali, come sostituito dal comma 1, è
consentita la cessione, totale o parziale, della partecipazione detenuta dagli enti
locali nelle società erogatrici di servizi che siano proprietarie anche delle reti e
degli impianti, senza l’obbligo del preventivo scorporo, nel caso in cui le
medesime società siano già quotate in borsa ovvero quando si tratti di società la
cui quotazione sia stata già deliberata dagli enti locali alla data del 1° gennaio
2002, fermo restando che il relativo procedimento deve concludersi entro il 31
dicembre 2003.
In tal caso si prevede la costituzione di un diritto di uso perpetuo e inalienabile
a favore degli enti locali, ai sensi dell’articolo 1021 del codice civile, sulle reti,
sugli impianti e sulle altre dotazioni patrimoniali ai fini della loro assegnazione al
nuovo gestore delle reti a seguito della gara di affidamento successiva alla
scadenza dell’affidamento.
In altre parole, le società di cui sopra mantengono la proprietà delle reti,
l’affidamento per l’erogazione del servizio e, se la normativa di settore lo
consente anche la gestione delle reti (vedi comma 3 del nuovo articolo 113). Una
volta che l’affidamento della gestione delle reti o – nel caso di non separazione
tra gestione delle reti e erogazione del servizio – dell’erogazione del servizio è
scaduto, l’ente locale provvede all’affidamento della gestione delle reti,
unitamente o meno alla gestione del servizio, attraverso gara pubblica. L’esito
della gara può portare all’individuazione di un soggetto diverso dalle società di
cui sopra, le quali sono tenute a cedere la gestione delle reti in virtù del diritto di
uso sopra richiamato.
Il proprietario, nel caso si verifichi l’ipotesi di cui sopra di affidamento della
gestione delle reti ad un soggetto diverso, rimane titolare del diritto della
percezione di un canone.
La gestione dei servizi privi di rilevanza industriale
Per i servizi pubblici locali privi di rilevanza industriale, non sussistendo
particolari esigenze di tutela della concorrenza, la legge non ha previsto
stringenti disposizioni volte all’apertura al mercato.
82
IL QUADRO NORMATIVO DEI SERVIZI PUBBLICI LOCALI
L’art. 113-bis del testo unico, aggiunto dall’art. 35 della legge 448, si limitava a
stabilire due possibili forme di gestione dei servizi non rilevanti:
ƒ l’affidamento diretto (tramite istituzioni, aziende speciali, o società di gestione
in house) e
ƒ la gestione in economia.
Come anticipato all’inizio, le disposizioni dell’art. 113-bis sono state giudicate
illegittime dalla Corte costituzionale nella più volte citata sentenza n. 272/2004
proprio in considerazione della non rilevanza ai fini economici dei servizi pubblici
oggetto della norma. Essendo prive di rilevanza economica, a tali attività non
sono applicabili criteri concorrenziali. Dal momento che la Corte giustifica
l’intervento del legislatore statale nel settore dei servizi pubblici locali
esclusivamente per gli aspetti di tutela della concorrenza, mentre la disciplina dei
servizi di rilevanza industriale sono di competenza statale, quelli che sono privi di
tale rilevanza rientrano nelle competenze delle autonomie territoriali.
83
SCHEDE DI APPROFONDIMENTO
ORDINAMENTO DEGLI ENTI LOCALI
ENTI LOCALI: INIZIATIVE DI RIFORMA
Il dibattito parlamentare sulla proposta di riforma
Il 9 maggio 2007 la Commissione Affari costituzionali del Senato ha iniziato
l’esame in sede referente del disegno di legge di iniziativa governativa S.
1464119 (cosiddetto Codice delle autonomie), recante una serie di deleghe al
Governo finalizzate dare attuazione all’articolo 117, secondo comma, lettera p)
della Costituzione120 e dare una disciplina organica alla materia degli enti locali,
al loro ordinamento e ai loro rapporti con lo Stato e le Regioni, adeguandoli alla
riforma del Titolo V della Parte II della Costituzione.
Il tema era stato in precedenza oggetto della legge 131 del 2003121 (cosiddetta legge
La Loggia), il cui art. 2, comma 1, recava una delega al Governo ad adottare, entro il 31
dicembre 2005, i decreti per l’individuazione delle funzioni fondamentali essenziali per il
funzionamento di Comuni, Province e Città metropolitane e per il soddisfacimento di
bisogni primari delle comunità di riferimento; la delega non fu però esercitata prima della
fine della legislatura, anche perché era in corso l’adozione di una profonda modifica della
Costituzione, non promulgata a seguito dell’esito del referendum confermativo svoltosi il
25 giugno 2006.
Come ricordato dal relatore di maggioranza, la questione del codice delle
autonomie era stata ampiamente trattata nell’ambito dell’indagine conoscitiva
svolta congiuntamente dalle Commissioni affari costituzionali della Camera dei
deputati e del Senato sul Titolo V della Parte II della Costituzione (vedi il
capitolo Titolo V: le questioni aperte, nel dossier 1/1, parte seconda): in quella
sede egli aveva svolto una relazione, nella seduta del 20 ottobre 2006, punto di
partenza del percorso che aveva portato il Governo, d’intesa con le Regioni e gli
enti locali, a sottoporre al Parlamento il disegno di legge in questione.
Durante l’esame del provvedimento, per il quale è stato nominato anche un
relatore dell’opposizione, venivano svolte alcune audizioni informali sui
principali aspetti dello stesso; il 12 luglio veniva adottato come testo base il
disegno di legge del Governo; il 18 luglio, al termine della discussione generale,
veniva costituito un comitato ristretto per l’esame degli emendamenti; in quella
119
120
121
Al disegno di legge governativo sono stati abbinati i progetti S. 104 (Vitali ed altri); S. 1020
(Vitali ed altri); S. 1196 (Del Pennino ed altri); S.1265 (Sinisi e Fuda); S. 1281 (Ripamonti); S.
1520 (Di Lello Finuoli ed altri).
L’articolo 117, secondo comma, lettera p), della Costituzione riserva alla competenza legislativa
esclusiva dello Stato le materie relative alla legislazione elettorale, agli organi di governo e alle
funzioni fondamentali di Comuni, Province e Città metropolitane.
L. 5 giugno 2003, n. 131, Disposizioni per l’adeguamento dell’ordinamento della Repubblica alla
legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3.
84
ENTI LOCALI: INIZIATIVE DI RIFORMA
seduta il relatore riteneva condivisibile la proposta di stralciare le deleghe in
materia di sistema elettorale degli enti locali e di bilancio e contabilità: così
facendo, la struttura del provvedimento avrebbe seguito in sostanza la traccia
della delega approvata nella precedente legislatura con la legge n. 131 del 2003;
il 3 ottobre 2007 il relatore informava la Commissione che le previste riunioni del
comitato ristretto non si erano tenute per la mancata partecipazione dei senatori
designati dai Gruppi di opposizione, motivata dal relatore dell’opposizione con la
contrarietà all’introduzione, nel disegno di legge finanziaria per il 2008, di una
parte delle disposizioni contenute nel disegno di legge S. 1464, relative alla
riduzione dei costi per la rappresentanza negli enti territoriali, una scelta non
condivisa dai Gruppi di opposizione (vedi la scheda Interventi sui “costi della
politica” negli enti locali, pag. 91). Il 5 dicembre 2007, la Commissione aderiva
alla proposta del Presidente di ricondurre alla sede plenaria l’esame degli
emendamenti; l’iter del provvedimento non aveva ulteriore corso.
Il disegno di legge del Governo
Il disegno di legge, composto di 9 articoli, conferisce le seguenti deleghe al
Governo, aventi ad oggetto:
ƒ l’individuazione e l’allocazione delle funzioni fondamentali degli enti locali;
ƒ l’individuazione e l’allocazione delle funzioni proprie degli enti locali;
ƒ la disciplina degli organi di governo, del sistema elettorale e degli altri settori
relativi all’organizzazione degli enti locali, di competenza esclusiva dello Stato;
ƒ l’individuazione dei principi fondamentali nelle materie di competenza
concorrente che interessano le funzioni, le organizzazioni ed i servizi degli enti
locali;
ƒ l’istituzione delle città metropolitane;
ƒ l’individuazione di funzioni amministrative statali ulteriori, rispetto a quelle
fondamentali e proprie, da allocare a livello territoriale;
ƒ l’ordinamento di Roma, capitale della Repubblica;
ƒ il potere sostitutivo dello Stato da esercitarsi nei confronti delle Regioni in
caso di inerzia delle stesse nell’adeguare le proprie disposizioni al nuovo
ordinamento degli enti locali;
ƒ la revisione delle circoscrizioni delle province;
ƒ l’adozione di una "Carta delle autonomie locali" conseguente al nuovo
ordinamento degli enti locali.
Il provvedimento contiene, infine, una clausola di invarianza di spesa:
dall’attuazione della legge non devono derivare oneri a carico della spesa
pubblica.
Trattandosi di un disegno di legge di delega, le disposizioni in esso contenute
dettano i principi e criteri direttivi per l’esercizio della delega e non sono pertanto
immediatamente attuative.
85
SCHEDE DI APPROFONDIMENTO
Le finalità e gli indirizzi generali
La legge si propone di attuare gli articoli 114, 117 e 118 della Costituzione,
quanto alla individuazione, allocazione e conferimento delle funzioni
amministrative spettanti a comuni, province, città metropolitane, regioni e Stato;
adeguare l’ordinamento degli enti locali alla riforma del Titolo V; disciplinare
l’ordinamento di Roma capitale e il procedimento di istituzione delle città
metropolitane.
Tra i principi che lo Stato e le regioni, nell’esercizio delle proprie competenze
legislative, devono osservare nell’adeguare i rispettivi ordinamenti alle
disposizioni contenute nella legge, rileva quello dell’obbligatorietà
dell’esercizio associato di determinate funzioni amministrative da parte
degli enti di minori dimensioni demografiche.
È demandata al Governo l’istituzione di una sede di coordinamento (una
sorta di cabina di regia) cui partecipano i rappresentanti dei ministeri interessati e
quelli di regioni ed enti locali, con il compito di predisporre gli atti istruttori relativi
ai provvedimenti attuativi dei decreti delegati, di verificare i processi di
individuazione, allocazione e conferimento delle funzioni amministrative e delle
relative risorse, da parte dello Stato e delle regioni, e di coordinare le iniziative
relative all’attuazione del federalismo fiscale.
L’Individuazione e l’allocazione delle funzioni degli enti locali
Il disegno di legge delega il Governo ad individuare e allocare le funzioni
fondamentali di comuni, province e città metropolitane, nonché le funzioni
proprie di tali enti.
Secondo quanto previsto dal disegno di legge, le funzioni fondamentali degli enti
locali sono non solo quelle ordinamentali inerenti l’esistenza e l’organizzazione dell’ente,
ma anche quelle gestionali attinenti all’esercizio di compiti che sono essenziali per la
collettività territoriale amministrata. In quanto “fondamentali” esse sono essenziali e
imprescindibili per il funzionamento dell’ente e per il soddisfacimento dei bisogni primari
delle comunità di riferimento.
La delega detta ulteriori parametri generali per l’individuazione delle funzioni
fondamentali:
ƒ considerare le funzioni storicamente svolte, nonché quelle preordinate a garantire i
servizi essenziali su tutto il territorio nazionale;
ƒ considerare tra le funzioni fondamentali dei comuni tutte quelle che li connotano
come ente di governo di prossimità e tra le funzioni fondamentali delle province
quelle che le connotano come enti per il governo di area vasta;
ƒ considerare come funzione fondamentale di comuni, province e città metropolitane,
secondo il criterio di sussidiarietà, l’individuazione, per quanto non già stabilito dalla
legge, delle attività relative ai servizi pubblici locali di rilevanza economica, il cui
svolgimento è necessario al fine di assicurare la soddisfazione dei bisogni primari
della comunità locale.
86
ENTI LOCALI: INIZIATIVE DI RIFORMA
Il disegno di legge mira a incentivare l’esercizio in forma associata delle funzioni
fondamentali.
L’individuazione delle condizioni e modalità di esercizio delle funzioni fondamentali
deve avvenire nel rispetto dei princìpi di sussidiarietà di adeguatezza, di semplificazione,
di concentrazione e di differenziazione, in modo da assicurarne l’esercizio unitario da
parte del livello di ente locale che, per le caratteristiche dimensionali e strutturali, ne
garantisca l’ottimale gestione.
Il disegno di legge consente l’assunzione di funzioni proprie ai comuni che
rispettino parametri di sana gestione economica.
Le funzioni proprie vanno identificate con i compiti ulteriori rispetto alle funzioni
fondamentali, non doverosi secondo le leggi statali, che gli enti locali possono assumere
per soddisfare bisogni generali e durevoli della collettività amministrata, valorizzando la
sussidiarietà orizzontale.
I parametri di “virtuosità” il cui raggiungimento consente l’assunzione di funzioni
proprie sono: la capacità di conseguire avanzi di bilancio su soglie predeterminate; di
conseguire specifici obiettivi di qualità; di raggiungere la dimensione organizzativa
ottimale anche mediante forme di cooperazione, associazione, fusione, unione con altri
enti locali.
La disciplina degli organi di governo, del sistema elettorale e degli altri
settori relativi all’organizzazione degli enti locali
Il provvedimento pone innanzitutto il principio ispiratore della futura disciplina
concernente gli organi di governo ossia la semplificazione della
rappresentanza territoriale locale.
Esso reca inoltre i princìpi e criteri direttivi per la disciplina dei tre organi di
governo comuni a tutti gli enti locali e i princìpi dei sistemi per l’elezione degli
organi, riflettendo l’intenzione di non modificare i sistemi vigenti (maggioritario a
turno unico per i comuni più piccoli e proporzionale con premio di maggioranza e
sbarramento del 3% per quelli con più di 15.000 abitanti).
Il sistema vigente è invece innovato, sempre a livello di princìpi, soltanto per la
parte riguardante l’elezione degli organi della città metropolitana, in
considerazione della necessità di individuare un sistema di elezione che tenga
conto delle caratteristiche del nuovo ente.
Il sistema di elezione del consiglio e del sindaco metropolitano può essere in
tutto simile a quello vigente per l’elezione degli organi della provincia, con la
possibilità, mediante la legge istitutiva della città metropolitana, di introdurre nel
sistema elettorale dei correttivi per garantire la rappresentanza delle comunità
locali insistenti sulla parte del territorio metropolitano esterna a quello del
preesistente comune capoluogo.
È riconosciuta all’autonomia statutaria dei comuni la possibilità di attribuire ai
cittadini stranieri non comunitari che siano in possesso della carta di soggiorno
l’elettorato attivo e passivo nelle elezioni degli organi delle circoscrizioni
comunali.
87
SCHEDE DI APPROFONDIMENTO
Infine, rileva, tra gli altri, un ulteriore principio di delega che limita il ricorso
alla costituzione da parte degli enti locali di società di capitali per il
perseguimento di scopi che abbiano scarsa attinenza con i bisogni dei cittadini e
conferisce al legislatore delegato la possibilità di intervenire sulla composizione
degli organi di amministrazione delle società ai fini di una loro semplificazione e
razionalizzazione che produca una maggiore efficienza e una riduzione degli
oneri per il loro funzionamento.
L’individuazione di funzioni amministrative statali ulteriori, rispetto a
quelle fondamentali e proprie, da allocare a livello territoriale
Il disegno di legge reca disposizioni per l’attuazione dell’articolo 118, primo e
secondo comma, della Costituzione, quanto alle funzioni conferite agli enti
locali e alle regioni con leggi statali, prevedendo una delega al Governo per la
loro individuazione.
Si tratta delle funzioni amministrative ulteriori rispetto a quelle fondamentali che,
pur essendo attualmente esercitate dallo Stato (sulla base di leggi statali), non richiedono
tuttavia tale unitario esercizio. Esse, pertanto, devono, sulla base dei principi di
sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza essere attribuite a comuni, province, città
metropolitane e regioni.
Nell’esercizio della delega il Governo deve osservare tre principi e criteri direttivi:
ƒ conferire al livello diverso da quello comunale soltanto le funzioni di cui occorra
assicurare l’unitarietà di esercizio, sulla base dei principi di sussidiarietà, (c.d.
verticale) differenziazione e adeguatezza;
ƒ favorire l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli o associati, per lo svolgimento di
attività di interesse generale, ai sensi dell’articolo 118, quarto comma della
Costituzione (si tratta del principio c.d. di sussidiarietà orizzontale);
ƒ provvedere al riordino e alla semplificazione delle strutture organizzative
dell’amministrazione statale, limitandole a quelle strettamente necessarie
all’esercizio delle funzioni che continuano ad essere esercitate dallo Stato, anche al
fine di eliminare le sovrapposizioni.
Le città metropolitane
Il Governo è delegato ad istituire le nove città metropolitane già individuate
dalla legge n. 142 del 1990122 e dal testo unico degli enti locali, disciplinando il
relativo procedimento e gli aspetti organizzativi. Esse sono istituite nelle aree
metropolitane in cui sono compresi i comuni di Torino, Milano, Venezia, Genova,
Bologna, Firenze, Roma, Bari, Napoli e sostituiranno una o più province.
Il criterio-guida è quello dell’eliminazione della compresenza sul medesimo
territorio di due enti di governo con le medesime funzioni: le città
122
L. 8 giugno 1990, n. 142, Ordinamento delle autonomie locali, abrogata dal D.Lgs. 18 agosto
2000, n. 267, Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali.
88
ENTI LOCALI: INIZIATIVE DI RIFORMA
metropolitane si delineano come nuovi soggetti di governo e acquisiscono tutte le
funzioni delle preesistenti province.
L’iniziativa per la creazione delle città metropolitane spetta ai territori
interessati: alternativamente, al comune capoluogo, ovvero al 30% dei comuni
della provincia o delle province interessate, che rappresentino il 60% della
relativa popolazione, ovvero ad una o più province congiuntamente ad un
numero di comuni che rappresentino il 60% della popolazione della provincia o
delle province proponenti. La proposta di istituzione, su cui esprime il proprio
parere la Regione, contiene la perimetrazione dell’area metropolitana e una
proposta di statuto.
Sulla proposta di istituzione della città metropolitana è indetto un referendum
tra tutti i cittadini dell’area compresa nella città metropolitana; se il parere della
Regione è favorevole, per la validità del referendum non è richiesta la
partecipazione al voto della maggioranza degli aventi diritto; in caso contrario, il
quorum richiesto è del 30%. Espletato il referendum, l’istituzione delle città
metropolitane avviene, come già ricordato, con decreti legislativi (di regola, un
decreto per ciascuna città).
Nelle nove aree metropolitane citate, come alternativa alla istituzione della
città metropolitana, possono essere individuate forme associate di gestione
delle funzioni comunali.
L’ordinamento di Roma capitale
Il disegno di legge, in attuazione dell’articolo 114 della Costituzione, delega il
Governo a disciplinare i poteri e l’organizzazione di Roma capitale, cui viene
conferito un potere regolamentare negli ambiti di cui all’articolo 117, sesto
comma, della Costituzione, anche in deroga a specifiche disposizioni legislative,
nel rispetto degli obblighi internazionali, del diritto comunitario, della Costituzione
e dei princìpi generali dell’ordinamento giuridico, nell’ambito di specifiche
materie (governo del territorio, edilizia pubblica e privata, trasporti, mobilità,
servizi sociali).
Legislazione regionale ed eventuale potere sostitutivo dello Stato
Le regioni disciplinano le modalità di esercizio delle funzioni fondamentali
degli enti locali, nelle materie di propria competenza, e conferiscono ulteriori
funzioni agli enti locali.
In dettaglio, con proprie leggi, sulla base di accordi stipulati nei Consigli delle
autonomie locali o in altra sede di concertazione prevista dai propri ordinamenti,
le regioni provvedono a:
ƒ adeguare la propria legislazione alla disciplina statale di individuazione delle
funzioni fondamentali, nelle materie di propria competenza legislativa ai sensi
dell’articolo 117, terzo e quarto comma, della Costituzione, regolandone le
modalità di esercizio e allocando le funzioni amministrative e le relative risorse
89
SCHEDE DI APPROFONDIMENTO
in modo organico a comuni, province e città metropolitane al fine di evitare
duplicazioni e sovrapposizioni di competenze;
ƒ conferire, nelle materie di propria competenza legislativa ai sensi dell’articolo
117, terzo e quarto comma, della Costituzione, agli enti locali le funzioni ad
esse conferite dallo Stato che non richiedano di essere esercitate
unitariamente a livello regionale in attuazione dell’articolo 118 della
Costituzione;
ƒ conferire agli enti locali le funzioni amministrative esercitate dalla regione,
che non richiedano l’unitario esercizio a livello regionale;
ƒ semplificare i livelli locali, prevedendo, nel rispetto dei princìpi di cui agli
articoli 97 e 118 della Costituzione, che su un medesimo territorio possa
configurarsi, di regola, un solo livello, plurifunzionale, per l’esercizio
associato delle funzioni che i singoli comuni non sono in grado di svolgere
singolarmente.
Qualora le regioni non provvedano entro i termini, il Governo è delegato ad
intervenire in via sostitutiva, per la prima e la quarta categoria citate, con
decreti legislativi che si applicano in via suppletiva, potendo sempre essere
approvate leggi regionali che – nel momento della loro data di entrata in vigore –
sostituiranno i decreti legislativi.
La revisione delle circoscrizioni provinciali
Per razionalizzare e armonizzare gli assetti territoriali in conseguenza delle
nuove funzioni di programmazione di area vasta conferite alle province, si
prevede la revisione (e conseguente riduzione) delle circoscrizioni
provinciali, necessaria anche a seguito dell’istituzione delle città metropolitane.
L’iniziativa del procedimento è affidata ai comuni.
La finalità è quella di ottimizzare il rapporto tra estensione territoriale e
popolazione residente, rivedendo anche gli ambiti degli uffici decentrati dello
Stato, che possono essere modificati in relazione all’entità dei conferimenti
attuati e delle funzioni statali residue nei singoli territori.
Il procedimento di revisione, in conformità all’articolo 133 della Costituzione,
prevede l’adesione della maggioranza dei comuni dell’area interessata, che
devono rappresentare comunque la maggioranza della popolazione complessiva
dell’area stessa, nonché il parere della provincia o delle province interessate e
della regione.
La Carta delle autonomie locali
Il Governo è delegato a riunire e coordinare in un unico testo normativo –
denominato: “Carta delle autonomie locali” – tutti i decreti legislativi attuativi del
provvedimento.
90
INTERVENTI SUI “COSTI DELLA POLITICA” NEGLI ENTI LOCALI
ORDINAMENTO DEGLI ENTI LOCALI
INTERVENTI SUI “COSTI DELLA POLITICA” NEGLI ENTI LOCALI
La legge finanziaria per il 2008 (L. 244/2007123) ha introdotto una serie di
misure (art. 2, commi 16-32) che, con l’obiettivo di contenere i costi della
rappresentanza degli enti locali, sono intervenute sia sulla disciplina di alcuni
organi (comunità montane, giunte comunali e provinciali, forme associative
comunali, circoscrizioni di decentramento comunale), sia su quella dello status
degli amministratori (aspettativa, indennità, rimborsi spese).
Una parte del contenuto normativo delle disposizioni di seguito illustrate corrisponde
sostanzialmente allo schema di disegno di legge, approvato in via preliminare dal
Consiglio dei ministri il 13 luglio 2007, recante Misure per la riduzione dei costi politicoamministrativi e per la promozione della trasparenza, predisposto in attuazione degli
impegni contenuti nel Patto per il contenimento dei costi delle istituzioni124, sottoscritto da
rappresentanti del Governo e delle autonomie territoriali il 12 luglio 2007. Il
provvedimento in questione non è stato in seguito presentato alle Camere in quanto non
ha avuto il parere della Conferenza unificata. Il 1° agosto 2007 i rappresentanti dei
Comuni e Province non hanno partecipato alla riunione della Conferenza in segno di
protesta; nella riunione successiva, svoltasi il 20 settembre, lo schema di disegno di
legge non è stato posto all’ordine del giorno.
Tra i disegni di legge collegati alla manovra di finanza pubblica per il 2008, il Governo
ha presentato alla Camera, il 15 novembre 2007, l’A.C. 3254, Misure per la promozione
della trasparenza125, in cui si prevedono, tra l’altro, disposizioni che pongono limiti al il
cumulo tra diverse cariche pubbliche, anche a vari livelli territoriali, e che sono volte ad
evitare situazioni di conflitti di interessi per gli amministratori locali, vietando loro di
123
124
125
L. 24 dicembre 2007, n. 244, Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale
dello Stato (legge finanziaria 2008).
Tra i punti significativi dell’accordo si segnalano:
ƒ
riduzione del numero dei ministeri con ritorno all’originario testo del dlgs 300/99;
ƒ
ripristino del numero dei consiglieri regionali, in linea con quanto previsto dalla legge
108/68 in proporzione al numero degli abitanti, nel rispetto dell’autonomia delle assemblee
regionali;
ƒ
riduzione del numero dei consiglieri provinciali e comunali;
ƒ
riduzione e razionalizzazione delle circoscrizioni municipali e razionalizzazione dei
compensi dei componenti di tali organismi;
ƒ
riduzione del numero dei comuni montani, attraverso la formulazione di nuovi criteri di
montanità, e dei componenti degli organi delle comunità montane;
ƒ
riduzione del numero degli assessori regionali, provinciali e comunali in rapporto al numero
dei consiglieri;
ƒ
riduzione dei componenti e dei compensi degli amministratori delle società pubbliche
statali;
ƒ
eliminazione delle duplicazioni di enti e associazioni di comuni che operano nello stesso
territorio;
ƒ
riordino e/o soppressione di enti pubblici;
ƒ
trasparenza delle cariche e degli emolumenti;
ƒ
attivazione, presso la Conferenza unificata, della cabina di regia per la riduzione dei costi
amministrativi con il compito di monitorare le iniziative dei diversi livelli di governo.
L’esame del provvedimento non è iniziato.
91
SCHEDE DI APPROFONDIMENTO
operare contestualmente nel privato nei settori connessi alla specifica carica di governo
locale ricoperta. L’incompatibilità si estende anche all’anno successivo alla cessazione
dalla carica pubblica, limitatamente al territorio regionale nell’ambito del quale l’incarico è
stato ricoperto.
La Commissione Affari costituzionali della Camera ha iniziato l’esame di alcuni
progetti di legge di iniziativa parlamentare sul tema126; in tale ambito la Commissione ha
avviato lo svolgimento di una indagine conoscitiva sulle spese attinenti al funzionamento
della Repubblica, con riferimento anche al contenimento dei costi e alla riorganizzazione
della rappresentanza, con particolare riferimento agli enti territoriali.
Sul tema degli interventi sui “costi della politica” si vedano anche i capitoli Parlamento
e sistema dei partiti, e (limitatamente ad alcuni profili) Contenimento della spesa pubblica
(nell dossier 1/1, parte seconda), nonché la scheda Il dibattito sui “costi della politica”,
pag. 91.
Comunità montane: riduzione del numero complessivo delle comunità,
del numero dei componenti e delle indennità loro spettanti
I commi da 16 a 22 dell’art. 2 delle legge finanziaria per il 2008 hanno
modificato disciplina relativa alle comunità montane, al fine della loro
razionalizzazione e del contenimento dei costi.
L’obiettivo di risparmio deve essere conseguito attraverso il riordino delle
comunità montane operato da ciascuna regione con leggi regionali da
emanarsi, con il parere dei consigli delle autonomie locali, entro sei mesi
dall’entrata in vigore della medesima legge finanziaria.
A regime, il riordino deve comportare, in ciascuna regione, la riduzione della
spesa corrente per il finanziamento delle comunità montane per un importo
pari ad un terzo della quota loro destinata del Fondo ordinario per il
finanziamento degli enti locali.
Il risparmio di spesa deve essere ottenuto mediante la riduzione del numero
complessivo delle comunità e del numero dei componenti e delle indennità
loro spettanti.
Contestualmente la dotazione del Fondo medesimo viene ridotta di 33,4
milioni di euro per il 2008 e di 66,8 milioni a decorrere dal 2009.
Il comma 18 individua i seguenti criteri generali di cui il legislatore regionale
deve tener conto nell’adempiere alle disposizioni sopra indicate:
ƒ la riduzione del numero delle comunità montane sulla base di alcuni
indicatori fisico-geografici (dimensione territoriale, acclività dei terreni, altezza
altimetrica, distanza dal capoluogo di provincia), demografici (dimensione
demografica, indice di vecchiaia) e socio-economici (reddito medio pro capite,
livello dei servizi, presenza di attività produttive extra-agricole);
ƒ la riduzione del numero dei componenti degli organi rappresentativi delle
comunità montane;
126
A.C. 1942 e abbinati.
92
INTERVENTI SUI “COSTI DELLA POLITICA” NEGLI ENTI LOCALI
ƒ la riduzione delle indennità spettanti ai componenti degli organi delle
comunità montane, in deroga a quanto previsto dall’art. 82 del testo unico
degli enti locali (D.Lgs. 267/2000).
Il comma 20 reca una disposizione sostitutiva che scatta in caso di inerzia
delle regioni: essa prevede, qualora le regioni non abbiano provveduto entro i
sei mesi di tempo prescritti al loro riordino, la soppressione automatica delle
comunità montane che non corrispondono a precisi criteri altimetrici e quelle
costituite da meno di cinque comuni; la cessazione dell’appartenenza alle
comunità montane dei comuni capoluogo, di quelli costieri e di quelli con più di
20.000 abitanti; la riduzione del numero dei consiglieri e dei membri
dell’esecutivo delle comunità.
La scansione temporale che le disposizioni illustrate prefigurano si può così
riassumere:
ƒ entro il 30 giugno 2008 le regioni devono adottare le leggi di riordino delle
comunità montane;
ƒ nel mese di luglio 2008 il Governo deve procedere all’accertamento delle
riduzioni di spesa effettivamente conseguite;
ƒ entro il 31 luglio 2008 deve essere emanato il D.P.C.M. relativo a tale
accertamento;
ƒ al momento della pubblicazione del D.P.C.M. (che può in ipotesi aver luogo
anche successivamente al 31 luglio), scattano le riduzioni automatiche del
numero delle comunità montane e del numero dei loro amministratori.
In caso di eventuale soppressione di comunità montane, le regioni
disciplineranno gli effetti giuridici conseguenti. Le regioni dovranno, in particolare,
provvedere alla ripartizione delle risorse umane, finanziarie e strumentali.
Una norma di chiusura prevede che, nelle more del provvedimento regionale
o in caso di mancata adozione, i comuni subentrino alla comunità montana
soppressa in tutti i rapporti giuridici di cui questa è titolare.
Già a partire dal mese di gennaio 2008, varie regioni hanno avviato l’iter per
l’adozione delle misure di contenimento dei costi delle comunità montane in attuazione
delle disposizioni illustrate.
Giunte comunali e provinciali: riduzione del numero degli assessori
Il comma 23 riduce il previsto tetto massimo di assessori (comunali e
provinciali) da 16 a 12.
Considerando che la composizione delle giunte comunali e provinciali è
direttamente correlata (ai sensi dell’art. 47, co. 1, del testo unico degli enti locali)
a quella dei rispettivi consigli, la modifica introdotta ha l’effetto di ridurre il
numero massimo dei componenti delle giunte:
ƒ nei comuni con popolazione superiore a 100.000 abitanti;
ƒ nei comuni che, pur avendo popolazione inferiore, siano capoluogo di
provincia;
93
SCHEDE DI APPROFONDIMENTO
ƒ nelle province con popolazione residente superiore a 1.400.000 abitanti.
Gli enti locali (comuni e province) che hanno una popolazione inferiore a
quella dei parametri suindicati (o che, pur avendo popolazione inferiore, sono
capoluogo di provincia) non sono interessati dalla disposizione illustrata, in
quanto hanno già un tetto massimo di assessori pari o minore di 12 membri.
Come espressamente previsto, la disposizione entra in vigore a partire dalle
prime elezioni amministrative.
Forme associative comunali: limiti all’adesione
Il comma 28 stabilisce che ogni comune possa aderire ad una unica forma
associativa per ciascuna di quelle previste dagli articoli 31, 32 e 33 del TUEL (si
tratta, sostanzialmente, dei consorzi e delle unioni di comuni).
Finalità della norma è la semplificazione della varietà e della diversità delle
forme associative comunali e del processo di riorganizzazione sovracomunale
dei servizi, delle funzioni e delle strutture.
Essa incide in particolar modo sui comuni di piccole dimensioni, che
generalmente aderiscono a più di un consorzio per garantire l’erogazione dei
servizi minimi.
La disposizione non si applica all’adesione a consorzi obbligatori.
È sanzionata la permanenza di un comune in più di una forma associativa
dello stesso tipo (“adesione multipla”) oltre il termine del 30 settembre 2008. In
tal caso è nullo non solo ogni atto adottato dall’associazione (forma associativa),
ma anche ogni atto attinente all’adesione o allo svolgimento di essa da parte del
comune interessato (per il quale – dovrebbe intendersi – permanga l’adesione a
più forme associative).
L’articolo 35-bis del D.L. 248/2007127, convertito con modificazioni in L.
31/2008, recante proroghe di termini legislativi, ha così modificato il termine del
1° aprile 2008, originariamente previsto dalla L. 244/2007 per l’applicazione della
norma che sanziona la permanenza dell’adesione da parte dei comuni a più di
una forma associativa tra quelle previste dal TUEL.
Circoscrizioni di decentramento comunale: riduzione del numero
Il comma 29 modifica i parametri demografici per l’istituzione delle
circoscrizioni di decentramento comunale, riducendone conseguentemente il
numero; esse sono pertanto obbligatoriamente istituite soltanto nei comuni con
più di 250.000 abitanti (rispetto ai 100.000 precedenti) e possono essere previste
nei comuni con popolazione compresa tra 100.000 e 250.000 abitanti (tale
facoltà era prevista per comuni nella fascia tra 30.000 e 100.000 abitanti); in
127
D.L. 31 dicembre 2007, n. 248, Proroga di termini previsti da disposizioni legislative e
disposizioni urgenti in materia finanziaria, conv. con mod. in L. 28 febbraio 2008, n. 31.
94
INTERVENTI SUI “COSTI DELLA POLITICA” NEGLI ENTI LOCALI
questo secondo caso la popolazione media delle circoscrizioni non può essere
inferiore a 30.000 abitanti.
La presenza obbligatoria delle circoscrizioni rimane quindi una prerogativa
dei comuni con popolazione superiore a 250.000 abitanti: ossia Torino, Milano,
Genova, Venezia, Verona, Firenze, Bologna, Roma, Napoli, Bari.
Le circoscrizioni possono essere mantenute (ove istituite), o create, e
comunque nel rispetto del limite demografico cui si è in precedenza accennato,
nei comuni con popolazione compresa tra 100.000 e 250.000 abitanti.
Non è più prevista la possibilità di istituire le circoscrizioni nei comuni che
hanno una popolazione compresa fra 30.000 e 100.000 abitanti.
L’articolo 42-bis del citato D.L. 248/2007, recante proroga di termini legislativi,
ha rinviato alle elezioni successive all’entrata in vigore della legge di
conversione del decreto-legge stesso128 l’applicazione delle disposizioni di cui
all’art. 2, co. 29, della L. 244/2007 testé illustrate, che dispongono la riduzione
del numero delle circoscrizioni di decentramento comunale attraverso la
modifica dei parametri demografici per la loro istituzione.
Amministratori locali: aspettativa, indennità, rimborsi spese
Aspettativa
Il comma 24 ha modificato il regime delle aspettative degli amministratori
locali, limitando la possibilità di collocamento in aspettativa non retribuita,
per il periodo di espletamento del mandato, soltanto ad alcune figure di
amministratori locali (sindaci, presidenti delle province, presidenti dei consigli
comunali e provinciali, presidenti delle comunità montane e delle unioni di
comuni, componenti delle giunte comunali e provinciali, presidenti dei consigli
circoscrizionali dei comuni capoluogo di aree metropolitane).
Inoltre, sono interamente posti a carico di alcune categorie di
amministratori locali (consiglieri dei comuni anche metropolitani e delle
province, presidenti dei consigli comunali, metropolitani e provinciali, consiglieri
delle comunità montane, componenti degli organi delle unioni di comuni e dei
consorzi fra enti locali, componenti degli organi di decentramento, che non siano
presidenti dei consigli circoscrizionali dei comuni capoluogo di aree
metropolitane) gli oneri previdenziali e assistenziali qualora questi siano stati
collocati – a domanda – in aspettativa non retribuita per il periodo di
espletamento del mandato.
128
La L. 28 febbraio 2008, n. 31, di conversione del decreto-legge 31 dicembre 2007, n. 248, è
entrata in vigore il 1° marzo 2008, giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella
Gazzetta Ufficiale, secondo quanto stabilito dall’art. 1, co. 2, della stessa legge 31/2008.
95
SCHEDE DI APPROFONDIMENTO
Indennità e gettoni di presenza
Il comma 25, novellando l’art. 82 del testo unico degli enti locali, è intervenuto
su molteplici aspetti del regime delle indennità e dei gettoni di presenza
spettanti agli amministratori locali e in particolare:
ƒ ha ridotto da un terzo a un quarto dell’indennità del sindaco o del presidente
dell’organo rappresentativo dell’ente locale, il limite massimo di valore del
gettone di presenza che consiglieri comunali, provinciali, circoscrizionali delle
comunità montane hanno diritto a percepire per la partecipazione a consigli e
commissioni;
ƒ ha limitato la corresponsione del gettone di presenza ai consiglieri
circoscrizionali dei soli comuni capoluogo di provincia;
ƒ ha escluso dal diritto all’indennità tutti i consiglieri circoscrizionali;
ƒ ha eliminato la possibilità di trasformare il gettone di presenza in indennità di
funzione e di cumulare entrambi gli emolumenti;
ƒ ha ridotto il tetto massimo delle indennità del presidente e degli assessori di
unioni di comuni, consorzi e comunità montane, stabilendo che l’indennità
corrisposta a tali soggetti non può superare il 50% della misura prevista per un
singolo comune di eguale popolazione o di popolazione pari alla popolazione
montana della comunità montana;
ƒ ha eliminato la facoltà per gli organi degli enti locali di adeguare gli importi dei
gettoni di presenza;
ƒ ha limitato la possibilità di disporre l’aumento delle indennità di carica
unicamente ai sindaci, presidenti di provincia e assessori (con delibera della
giunta) e ai presidenti delle assemblee (con delibera del consiglio):
l’incremento non è dunque più possibile per i presidenti di comunità montane
e dei consigli circoscrizionali dei comuni capoluogo di provincia e i componenti
degli organi esecutivi di comunità montane, unioni di comuni e consorzi fra
enti locali;
ƒ ha precluso la possibilità di incremento delle indennità, non soltanto agli enti
locali che si trovino in condizioni di dissesto finanziario ma anche agli enti
locali che non rispettano il patto di stabilità interno, fino all’accertamento del
rientro dei parametri;
ƒ ha subordinato la corresponsione dei gettoni di presenza alla effettiva
partecipazione del consigliere alle riunioni di consigli e commissioni.
Il comma 26, sostituendo l’art. 83 del testo unico degli enti locali, relativo al
divieto di cumulo degli emolumenti degli amministratori locali:
ƒ ha soppresso la possibilità per i parlamentari nazionali o europei e i
consiglieri regionali (che siano anche amministratori locali) di percepire i
gettoni di presenza;
ƒ ha stabilito che gli amministratori locali non percepiscono alcun compenso
per la partecipazione ad organi o commissioni, se tale partecipazione è
connessa all’esercizio delle proprie funzioni pubbliche;
96
INTERVENTI SUI “COSTI DELLA POLITICA” NEGLI ENTI LOCALI
ƒ
ha disposto infine che, in presenza di cariche incompatibili, gli amministratori
locali non possono cumulare le indennità di funzione.
Rimborsi spese
L’indennità di missione percepita dagli amministratori locali in caso di
viaggio è stata sostituita con un rimborso forfetario onnicomprensivo per le
spese diverse da quelle di viaggio, mantenendo comunque, unitamente a quello
forfetario, il rimborso delle spese di viaggio effettivamente sostenute (comma 27).
Riduzioni di spesa attese e loro destinazione
Il comma 31 contiene le disposizioni di rilievo finanziario relative alle risorse
derivanti dalle riduzioni di spesa di cui ai commi da 23 a 29 ora illustrati.
A decorrere dal 2008 il Fondo ordinario per il finanziamento dei bilanci degli
enti locali è ridotto di 313 milioni di euro, vale a dire di un ammontare pari a
quello per il quale vengono valutati i risparmi derivanti dai commi da 23 a 29.
La stessa cifra di 313 milioni di euro derivante, in sostanza, dai predetti
risparmi, è destinata alle seguenti finalità nell’anno 2008:
ƒ per 100 milioni di euro all’incremento del contributo ordinario disposto
dalla legge finanziaria 2007 in favore dei piccoli comuni, da ripartirsi in
proporzione alla popolazione residente. Beneficiari sono – più precisamente –
una parte dei piccoli comuni: quelli aventi popolazione fino a 5.000 abitanti e
non rientranti nei parametri previsti dall’articolo 1, comma 703, della legge
finanziaria 2007, vale a dire che abbiano
- popolazione residente oltre i 65 anni superiore al 30% del totale;
- popolazione residente sotto i 5 anni superiore al 5% del totale;
ƒ per 213 milioni di euro, a copertura di quota parte degli oneri derivanti
dall’abolizione, per l’anno 2008, della quota di partecipazione al costo per le
prestazioni di assistenza specialistica ambulatoriale per gli assistiti non
esentati.
Il Ministero dell’economia, d’intesa con la Conferenza Stato-città e autonomie
locali, quantifica entro il 30 giugno 2008, basandosi sulle certificazioni inviate
dagli enti locali interessati dalle disposizioni illustrate, l’ammontare effettivo delle
riduzioni di spesa conseguibili al 31 dicembre 2008.
Il Ministro dispone quindi l’adeguamento della dotazione del Fondo
ordinario e l’eventuale integrazione dei trasferimenti ai soli enti che
abbiano dato piena attuazione alle disposizioni di contenimento dei costi
previste dai commi da 23 a 32.
97
SCHEDE DI APPROFONDIMENTO
Ambito di applicazione delle disposizioni sul contenimento dei costi
della politica negli enti locali: estensione alle Regioni a statuto
speciale
L’articolo 40, comma 4-bis, del citato D.L. 248/2007, recante proroga di
termini, ha aggiunto all’articolo 2 della L. 244/2007 il comma 32-bis, con il quale
si estende agli enti locali delle Regioni a statuto speciale l’efficacia delle
disposizioni relative al contenimento dei costi della politica e, nella specie,
le misure indicate come necessarie a consentire la riduzione di 313 milioni di
euro del Fondo ordinario per i comuni, riduzione disposta dal comma 31 quale
ammontare dei risparmi attesi dalla realizzazione delle misure di indicate ai
commi da 23 a 29 dell’art. 2 della legge finanziaria per il 2008.
Il comma 32-bis pone a carico delle Regioni a statuto speciale l’obbligo di
emanare disposizioni idonee a che quelle misure siano assunte, nei medesimi
termini e tempi, anche dagli enti locali del proprio territorio per modo che anche
essi concorrano alla realizzazione del risparmio atteso.
La disposizione si rende necessaria perché nelle regioni a statuto speciale la
disciplina dell’ordinamento e della finanza degli enti locali è materia che rientra
nella competenza primaria (o esclusiva) delle Regioni. L’intervento della
legislazione statale si legittima tuttavia sotto il profilo del coordinamento della
finanza pubblica, coordinamento al quale soggiace anche la competenza
legislativa delle Regioni a statuto speciale.
In caso di inadempimento – della Regione – o di mancato adempimento da
parte degli organi locali, i trasferimenti derivanti dal fondo comune sono ridotti –
anche per gli enti locali delle Regioni a statuto speciale – della medesima misura
comminata per gli inadempimenti degli enti locali delle regioni a statuto ordinario.
98
IL TERZO MANDATO DEI SINDACI
ORDINAMENTO DEGLI ENTI LOCALI
IL TERZO MANDATO DEI SINDACI
Premessa
Nel corso della XV legislatura la Commissione Affari costituzionali del Senato
ha intrapreso l’esame di alcuni disegni di legge di iniziativa parlamentare129, volti
a introdurre modifiche testuali all’articolo 51 del D.Lgs. 267/2000 (Testo unico
degli enti locali, TUEL), che dispone in materia di limitazioni al numero dei
mandati consecutivi dei sindaci e dei presidenti di provincia.
La legge 25 marzo 1993, n. 81130, confluita nel Testo unico degli enti locali, ha
introdotto nell’ordinamento previsioni relative all’elezione diretta del sindaco e del
presidente della provincia. In particolare, la legge ha stabilito che tali soggetti non siano
immediatamente rieleggibili alla medesima carica dopo due mandati consecutivi. Un terzo
mandato consecutivo è consentito soltanto nel caso in cui uno dei due mandati
precedenti abbia avuto una durata inferiore a due anni, sei mesi e un giorno, per causa
diversa dalle dimissioni volontarie.
La ratio della disciplina illustrata è di solitamente rinvenuta nell’esigenza di bilanciare i
nuovi e maggiori poteri riconosciuti al sindaco e al presidente di provincia dalla legge
elettorale del 1993 rispetto a quelli delle giunte e dei consigli, attraverso un limite alla
permanenza al potere.
Da parte della giurisprudenza, in particolare, la ratio legis è stata individuata
nell’esigenza di favorire il ricambio ai vertici dell’amministrazione locale ed evitare la
soggettivizzazione dell’uso del potere dell’amministrazione locale, in modo da spezzare il
vincolo personale tra elettore ed eletto per sostituire alla personalità del comando
l’impersonalità di esso ed evitare clientelismo (in questo senso la Corte di cassazione, I
Sezione civile, nella sentenza 20 maggio 2006 n. 11895, tenuto conto anche dei lavori
preparatori della legge 81/199,).
I lavori parlamentari nelle precedenti legislature
La questione del “terzo mandato” dei sindaci e presidenti di provincia è stata affrontata
dalle Camere anche nelle legislature precedenti.
Nella XIII legislatura sono state discusse alla Camera alcune proposte di legge131
volte a rimuovere i vigenti limiti relativi allo svolgimento di più di due mandati consecutivi.
Le proposte sono state esaminate dalla Commissione Affari costituzionali della
Camera tra la fine del 2000 e i primi mesi del 2001 senza pervenire all’adozione di un
testo base. Nonostante ciò i provvedimenti sono stati calendarizzati in Assemblea, dove
129
130
131
S. 226, (Manzione), S. 1022 (Collino e Storace), S. 1053 (Cutrufo), S.1100 (Bianco), S. 1162
(Stiffoni ed altri), S. 1189 (Magda Negri).
L. 25 marzo 1993, n. 81, Elezione diretta del sindaco, del presidente della provincia, del
consiglio comunale e del consiglio provinciale.
A.C. 5904-6875-7371-7374-7514-7574.
99
SCHEDE DI APPROFONDIMENTO
si è svolta nel febbraio 2001 la discussione sulle linee generali, al termine della quale
l’esame dei provvedimenti si è arrestato.
Nel corso della XIV legislatura il tema del divieto di terzo mandato per i sindaci e i
presidenti di provincia è stato oggetto di discussione in entrambi i rami del Parlamento.
In particolare, il Senato ha approvato il 31 marzo 2004 una proposta di legge che
intendeva consentire la possibilità di un terzo mandato consecutivo per i sindaci di
comuni con popolazione superiore a 3.000 abitanti. Tale provvedimento (divenuto poi
A.C. 4870) non è però stato approvato dalla Camera dei deputati prima della fine della
legislatura.
Il dibattito al Senato
Le proposte di legge presentano sostanzialmente tre opzioni:
ƒ portare da due a tre il numero massimo di mandati consecutivi dei
sindaci e dei presidenti di provincia
ƒ consentire un terzo mandato consecutivo ai sindaci dei piccoli comuni
(quelli con popolazione inferiore a 15 mila abitanti) e ai sindaci di comuni che
appartengono ad una comunità montana o isolana o ad una unione di comuni;
ƒ rimuovere completamente il limite dei mandati per la rielezione a sindaco
e presidente di provincia.
Dalle relazioni illustrative dei disegni di legge emerge che l’intervento
legislativo proposto trae origine dalla necessità di superare l’attuale disciplina
limitativa in quanto essa comporta:
ƒ una disparità di trattamento rispetto alla carica di Presidente di Regione132 e
alle altre cariche elettive (per le quali la limitazione dei mandati non è
prevista);
ƒ una limitazione del principio democratico, per il fatto che i cittadini sono privati
della possibilità di continuare ad eleggere soggetti che hanno dato buona
prova delle loro capacità politiche e istituzionali;
ƒ una penalizzazione dei comuni di minori dimensioni, nel cui ambito è difficile il
ricambio dei vertici con soggetti dotati delle necessarie competenze e
capacità;
ƒ la lesione del buon andamento dell’amministrazione, data dalla impossibilità
di portare a termine il lavoro istituzionale e amministrativo iniziato;
ƒ l’incertezza da un punto di vista interpretativo e applicativo, come
testimoniato - secondo i proponenti - dalla giurisprudenza formatasi in materia.
132
Si osserva peraltro che la legge statale che detta le disposizioni di principio, in attuazione
dell’articolo 122, primo comma, della Costituzione (legge 2 luglio 2004, n. 165), prevede la non
immediata rieleggibilità allo scadere del secondo mandato consecutivo del Presidente della
Giunta regionale eletto a suffragio universale e diretto, sulla base della normativa regionale
adottata in materia (articolo 2, comma 1, lettera f)). A titolo esemplificativo, si ricorda che la
legge della Regione Abruzzo 30 dicembre 2004 n. 51 (art. 1, comma 3), stabilisce che non può
essere candidato Presidente della Giunta chi ha già ricoperto tale carica per due mandati
consecutivi.
100
IL TERZO MANDATO DEI SINDACI
L’esame delle proposte iniziava il 15 novembre 2006; in quella sede veniva
prospettata da alcuni l’opportunità di affrontare, unitamente alla questione della
rimozione del limite al numeri dei mandati, anche altri aspetti connessi all’assetto
istituzionale degli enti locali, in particolare quello del generale riequilibrio dei
poteri dei sindaci e dei presidenti rispetto a quelli delle assemblee elettive e
delle giunte, in modo da attenuare la concentrazione del potere in capo
all’organo monocratico.
Il 31 gennaio 2007 il relatore riferiva gli esiti della consultazione da lui
effettuata presso i Gruppi parlamentari per ricercare un ampio consenso sul
tema in discussione, dalla quale erano emerse opinioni articolate non soltanto fra
le diverse forze politiche ma anche al loro interno.
Coloro che si erano espressi in favore della soppressione del limite, avevano
sottolineato la necessità di assicurare un trattamento omogeneo per cariche elettive
consimili, quali sono quelle di sindaco e presidente di provincia e quella di presidente di
una regione. Era stata rilevata, inoltre, l’utilità di un mandato più lungo soprattutto nelle
grandi città, in modo da favorire la realizzazione dei progetti di trasformazione locale a cui
sono finalizzate le politiche degli amministratori.
In senso contrario, cioè per il mantenimento del divieto di terzo mandato consecutivo,
erano state ribadite le ragioni che portarono all’introduzione di quella clausola, cioè
l’esigenza di bilanciare i nuovi e maggiori poteri riconosciuti al sindaco e al presidente di
provincia dalla legge elettorale del 1993 rispetto a quelli delle giunte e dei consigli,
attraverso un limite alla permanenza al potere. Era stato proposto, anzi, di estendere la
limitazione anche ai mandati dei presidenti di regione, in modo generalizzato.
Era stata infine sostenuta da alcuni anche l’opzione di mantenere la preclusione per
gli amministratori delle grandi città, rimuovendola invece nei comuni più piccoli.
Il relatore osservava conclusivamente che le posizioni assunte dai partiti
erano inevitabilmente condizionate da motivazioni politiche, anche in relazione
alla dislocazione del potere nelle diverse realtà territoriali.
Nella stessa seduta il rappresentante del Governo133 rilevava che la
questione del limite dei mandati dei sindaci e dei presidenti di provincia non era
compresa tra le priorità del programma di Governo e della maggioranza né fra
le linee di indirizzo del Governo, il quale si sarebbe pertanto rimesso alla
decisione del Parlamento. Esprimeva, peraltro, un avviso contrario a
disposizioni suscettibili di determinare una sanatoria per coloro ai quali in
passato fosse stato precluso un ulteriore mandato di amministratore; manifestava
infine la riserva del Governo verso scelte che introducessero trattamenti distinti
per i comuni, a seconda del maggiore o minore numero di abitanti.
133
Sottosegretario all’interno, Pajno.
101
SCHEDE DI APPROFONDIMENTO
Il Ministro dell’interno Amato, intervenendo il 6 luglio 2006 alla Camera dei deputati
nel question time134, ricordava che, nelle consultazioni amministrative del 2006, presso
20 comuni si era verificata l’elezione di sindaci che avevano già espletato due mandati
consecutivi in violazione del disposto normativo di cui all’art. 51 del decreto legislativo n.
267/2000 (per ulteriori dettagli, si veda oltre); escludeva che una nuova normativa che
prevedesse il terzo mandato potesse anche consentire una sanatoria della situazione
esistente; evidenziava gli aspetti negativi che comporterebbe la rimozione
dell’ineleggibilità soltanto nei piccoli comuni, nei quali è più facile di quanto non lo sia
nelle grandi città determinare la continuità di medesime persone e di medesimi gruppi,
con la conseguenza di una “sclerosi democratica”.
Il 6 febbraio 2007 il presidente della Commissione riassumeva i termini della
discussione svolta, rammentando che un certo numero di senatori si era
pronunciato contro il divieto di terzo mandato, mentre un numero meno
consistente aveva manifestato la preferenza per il mantenimento del vincolo. Il
relatore si dichiarava quindi disponibile a elaborare un testo unificato, ma in un
termine sufficientemente congruo, tale da agevolare un’ulteriore verifica del
possibile consenso.
La Commissione non riprendeva l’esame dei provvedimenti prima della fine
della legislatura.
Le principali questioni interpretative poste dalla normativa vigente
La disciplina di cui all’articolo 51 del TUEL ha fatto sorgere alcuni dubbi di
legittimità costituzionale.
In particolare, sono state portate all’attenzione del giudice amministrativo diverse
censure, relative alla violazione, da parte dell’art. 51 del TUEL, dei seguenti articoli della
Costituzione:
a) 1, in quanto, "costituisce un’illegittima limitazione della sovranità popolare, in
violazione dei principi democratici su cui si fonda la Repubblica Italiana";
b) 2, 48 e 51, in quanto, "costituisce un’illegittima limitazione del diritto di elettorato
attivo e passivo, riconducibile ai diritti inviolabili dell’uomo, (…), che non trova
giustificazione alcuna nell’ambito dell’assetto generale dei principi e degli interessi
costituzionali e delle relative disposizioni, (…), implicando, altresì, una lesione del
principio costituzionale di favore per la maggiore partecipazione alla competizione
elettorale (tanto più rilevante nei piccoli comuni nei quali non sono molte le persone che
possiedono la qualificazione necessaria per espletare il delicato mandato di Sindaco)";
c) 3, in quanto, "introduce una evidente disuguaglianza e disparità di trattamento a
danno dei soggetti aspiranti alla carica di Sindaco (uscenti per la seconda volta
consecutiva), rispetto "ad altri soggetti, all’uopo indicati, "senza che ciò trovi ragionevole
giustificazione e contemperamento in ordine ad altri precetti e valori costituzionali";
134
Camera dei Deputati, Assemblea, seduta del 6 luglio 2006, Interrogazioni a risposta immediata,
(Iniziative normative concernenti l’ineleggibilità alla carica di sindaco di coloro che hanno
ricoperto due mandati consecutivi - n. 3-00088).
102
IL TERZO MANDATO DEI SINDACI
d) 97, in quanto, "comporta una potenziale lesione dei principi di efficienza, buon
andamento ed imparzialità dell’Amministrazione, posto che potrebbe impedire
l’amministrazione di un ente locale da parte di un Sindaco distintosi per particolare
efficienza e capacità in favore di altro soggetto di minori qualità e capacità gestionali";
e) 118, in quanto, "nel limitare ingiustificatamente le possibilità di elezione di
determinati soggetti alla carica di Sindaco, comporta una compromissione dell’autonomia
amministrativa garantita ai comuni".
Il giudice amministrativo ha ritenuto manifestamente infondate le
suddette questioni di legittimità costituzionale (Tar Piemonte, sent. 296 del
2005).
In quanto: “in merito all’art. 1 Cost., il quale, al 2° comma, prevede che ‘La sovranità
appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione’, tale
norma non ha nulla a che vedere con quanto statuito dall’art. 51, comma 2, del decreto
legislativo n. 267, il quale, pertanto, non costituisce un’illegittima limitazione della detta
"sovranità"; in merito agli artt. 2, 48 e 51 Cost., in base ai quali, rispettivamente, ‘La
Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, …’, ‘Il diritto di voto non
può essere limitato se non …’ (art. 48, ult. comma) e ‘Tutti i cittadini dell’uno e dell’altro
sesso possono accedere agli uffici pubblici e alle cariche elettive …’ (art. 51, 1° comma),
nessuna delle dette norme fa riferimento all’asserito ‘diritto di elettorato attivo e passivo’,
per cui, anche ad ammettere che con l’art. 51, comma 2, del decreto legislativo 2000, n.
267, si abbia una ‘limitazione’ del citato diritto di elettorato passivo, tale limitazione non è
‘illegittima’, così come nessuna ‘lesione’ del ‘principio costituzionale’, all’uopo indicato, si
può ritenere derivante dalla norma in questione; in merito all’art. 3 Cost., in base al quale
‘tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge, …’ (1° comma),
dal riferimento ai soggetti, indicati dal ricorrente, non deriva l’asserita ‘disuguaglianza e
disparità di trattamento a danno’ di ‘Chi ha ricoperto per due mandati consecutivi la carica
di sindaco’, giacché rientrava nella discrezionalità del legislatore prevedere, con la norma
in questione, che il detto ‘sindaco’, ‘non è, allo scadere del secondo mandato,
immediatamente rieleggibile’ alla medesima carica, a nulla rilevando quanto previsto per i
soggetti, indicati dal ricorrente; in merito all’art. 97 Cost., in base al quale ‘I pubblici uffici
sono organizzati secondo disposizioni di legge, in modo che siano osservati il buon
andamento e l’imparzialità dell’amministrazione’ (1° comma), è evidente che tale norma
non ha nulla a che vedere con l’art. 51, comma 2, del decreto legislativo 2000, n. 267, per
cui da essa non ‘deriva alcuna potenziale lesione dei principi di efficienza, buon
andamento ed imparzialità dell’amministrazione’, in relazione all’impedimento, al quale si
fa riferimento; in merito all’art. 118 Cost., come risulta sostituito dall’art. 4 della L. cost. 18
ottobre 2001, n. 3, in base al quale, ‘Le funzioni amministrative sono attribuite ai Comuni
salvo che, …’ (1° comma). ‘I Comuni, …, sono titolari di funzioni amministrative proprie e
di quelle conferite con legge statale o regionale, secondo le rispettive competenze’ (2°
comma), è altrettanto evidente che l’art. 51, comma 2, del decreto legislativo 2000 n. 267,
non ha nulla a che vedere con le dette norme, per cui il citato art. 51, comma 2, del
decreto legislativo 2000, n. 267 non comporta la non meglio precisata ‘compromissione
dell’autonomia amministrativa garantita ai comuni’”.
In seguito anche la Corte di cassazione si è pronunciata per l’infondatezza di
analoghe questioni di legittimità riguardanti l’art. 51 del TUEL, rilevando che della
103
SCHEDE DI APPROFONDIMENTO
costituzionalità della causa di ineleggibilità di cui all’art. 51, comma 2, del D.Lgs.
n. 267/2000 non è lecito dubitare perché “il divieto di cui si discute ha carattere
solo temporaneo e non comprime illegittimamente il diritto di elettorato passivo”
(Cass. Civ., sez. I, 20 maggio 2006, n. 11895135).
Altra questione che è stata posta, in sede applicativa, è quella della natura
della situazione soggettiva in cui si trova il sindaco/presidente che abbia già
svolto due mandati consecutivi.
Al riguardo la giurisprudenza, in linea con la dottrina prevalente, ha ritenuto
che si configuri una causa di ineleggibilità e non già di incandidabilità (cfr. Tar
Campania, sez. I, sent. 1485 del 2003).
Ciò determina delle conseguenze procedurali rilevanti, in quanto “non spetta
alla commissione elettorale circondariale rilevare la causa di ineleggibilità (ma
solo quella di incandidabilità), avendo il legislatore affidato tale compito al
successivo intervento del Consiglio comunale” (Tar Toscana, Firenze, sez. II, 26
gennaio 2005, n. 316). In altri termini, “la mera sussistenza di una condizione di
ineleggibilità non inficia né la candidatura dell’interessato né, correlativamente
l’ammissione della lista. Il rimedio apprestato dall’ordinamento, nell’ipotesi di
elezione di un candidato che non abbia tempestivamente rimosso la causa di
ineleggibilità consiste piuttosto nella configurazione di una causa di decadenza”
(Tar Lazio, Roma, sez. II-ter, 7 settembre 2005, n. 6608).
La giurisprudenza ha anche affrontato il problema degli effetti della
candidatura del soggetto ineleggibile alla carica di sindaco sulle operazioni
di voto. Al riguardo, è stato rilevato che, da una parte, “l’ineleggibilità ordinaria
che colpisca il candidato sindaco (…) ha un effetto che può definirsi “unilaterale”:
provoca la decadenza dell’ineleggibile, senza estendere la sua portata agli altri
esiti del voto” (Cons. Stato, sez. V, 15 giugno 2000, n. 3338); dall’altra, tuttavia, è
stato sottolineato che occorre tenere distinte due evenienze: “se il candidato
ineleggibile viene eletto sindaco, la decadenza che lo riguarda rende necessaria
la celebrazione di nuove elezioni; se, invece, rimane soccombente, le elezioni
resteranno valide e si verifica solo la decadenza del candidato sindaco dalla
carica di consigliere comunale” (Cons. Stato, sentenza n. 3338/00, citata).
135
Nella stessa sentenza la Cassazione ha rilevato che l’art. 51 del TUEL, “non interferisce né col
principio di cui all’art. 1, che sancisce al comma 2 che «la sovranità appartiene al popolo che la
esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione», né con gli artt. 2, 48 e 51, secondo i quali la
Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, ed ancora il diritto di voto non
può essere limitato se non per legge. Tanto meno rilevano il principio di buona ed imparziale
amministrazione enunciato nell’art. 97, che è riferito all’azione della P.A., ovvero il principio di
uguaglianza di cui all’art. 3.
Tutti questi principi invocati operano su piani diversi e distinti rispetto a quelli prospettati, e non
interferiscono nella situazione costruita nella specie del legislatore ordinario, alla cui
discrezionalità, ragionevolmente esercitata, è rimesso il loro bilanciamento e riequilibrio”.
104
IL TERZO MANDATO DEI SINDACI
Quanto alla questione della competenza del Consiglio comunale a
deliberare sull’ineleggibilità del sindaco eletto in violazione del divieto di terzo
mandato consecutivo, il giudice amministrativo, chiamato a pronunciarsi sul
punto, ha affermato che il consiglio comunale è chiamato a pronunciarsi
esclusivamente sulle cause generali e oggettive di ineleggibilità di cui al Capo II
del Titolo III del TUEL e non già anche sulla causa di ineleggibilità “soggettiva” di
cui all’art. 51, comma 2, del TUEL (ricadente nel Capo I del Titolo III).
“La causa di ineleggibilità, soggettiva, di cui all’art. 51, c. 2, d.lgs. 267/00 è (..)
verificabile esclusivamente attraverso la procedura di cui all’art. 70 TUEL, vale a dire
attraverso l’azione popolare esercitabile da qualsiasi cittadino elettore del Comune o da
chiunque vi abbia interesse (…), ovvero “anche”, come si esprime il legislatore, dal
prefetto (…). Con una scelta propria della discrezionalità riconosciutagli, quindi, il
legislatore ha ritenuto che fosse lo stesso elettorato attivo che ha provveduto all’elezione,
o meglio, che fossero gli stessi cittadini interessati, a tutela dell’interesse alla
governabilità locale, a richiedere di constatare l’ineleggibilità del sindaco per il terzo
mandato consecutivo o, in alternativa, il prefetto, a tutela dell’interesse pubblico al
rispetto della legge. Tale compito non poteva, logicamente, essere chiesto al Consiglio
Comunale, composto per la maggioranza di elementi vicino al sindaco eletto per modo di
sentire politico e amministrativo” (Tar Piemonte, Torino, sez. II, 22 ottobre 2005, n. 3278).
Diverso l’orientamento espresso dalla Corte di cassazione, che, privilegiando
un approccio interpretativo volto a valorizzare la ratio del “divieto di terzo
mandato” e la complessiva armonia del sistema, sembra ritenere che tra le cause
di ineleggibilità che devono essere vagliate dal Consiglio comunale vi è anche
quella delineata dall’art. 51 del TUEL, che può essere oggetto anche (non solo)
di azione popolare (Cass. Civ., sez. I, n.11895/2006, citata).
Tale contrasto interpretativo origina dal fatto che l’articolo 41 del TUEL stabilisce che
nella prima seduta il Consiglio comunale e provinciale, prima di deliberare su qualsiasi
altro oggetto – ancorché non sia stato prodotto alcun reclamo – deve esaminare la
condizione degli eletti a norma del capo II Titolo III e dichiarare la ineleggibilità di essi
quando sussista alcuna delle cause ivi previste. Poiché l’art. 51 è al di fuori del capo
secondo del titolo terzo, una interpretazione meramente letterale, come quella seguita dal
giudice amministrativo, può indurre a ritenere che al Consiglio comunale sia precluso il
controllo sul rispetto del divieto di terzo mandato.
Dell’esistenza di tale problema interpretativo ed applicativo ha dato atto anche il
Ministro dell’interno, che in una risposta ad una interrogazione presentata alla
Camera136 ha affermato quanto segue:
“Dal punto di vista più strettamente giuridico, la disposizione in questione [art. 51 del
TUEL] ha introdotto una causa non già di incandidabilità, bensì di ineleggibilità, che come
tale andrebbe fatta valere in sede di convalida degli eletti.
136
Camera dei deputati, seduta del 9 ottobre 2006, Allegato B, Interrogazione a risposta scritta
Amici n. 4-00314 (sulla questione del terzo mandato dei sindaci e sul procedimento di
decadenza dei sindaci rieletti al terzo mandato).
105
SCHEDE DI APPROFONDIMENTO
In sede applicativa, tuttavia, è stata eccepita una carenza di coordinamento
formale tra la norma che dispone il divieto e l’articolo 41 del citato testo unico,
che indica gli adempimenti della prima seduta dei consigli comunali e provinciali.
Quest’ultima disposizione, infatti, prevede che si proceda alla dichiarazione
d’ineleggibilità soltanto con riferimento ad una delle cause previste dal titolo III capo II
della stessa legge, e non anche per altre cause come il divieto di terzo mandato che è
previsto al capo I; motivo per cui la magistratura amministrativa ha escluso la
competenza del consiglio a pronunciarsi in merito in sede di convalida degli eletti (cfr.
sentenza TAR Piemonte - Sezione II - n. 3278 del 22 ottobre 2005).
Per attivare il relativo procedimento di decadenza, si può quindi ricorrere allo specifico
istituto dell’azione popolare giurisdizionale, che può essere proposta da qualsiasi elettore
del comune ed anche dal prefetto ai sensi dell’articolo 70 dello stesso testo unico, con la
conseguenza che l’amministratore può rimanere nella titolarità della carica fino alla
sentenza di secondo grado.
L’ammissibilità di tale rimedio è stata ribadita anche dalla recente sentenza della
Cassazione n. 11895 del 12 aprile 2006, che (pur dissentendo dall’orientamento della
magistratura amministrativa in merito all’incompetenza dell’organo consiliare) ha
confermato come, nel caso in cui il consiglio convalidi l’elezione, il prefetto sia legittimato
a promuovere la relativa azione in sede giurisdizionale ordinaria”.
La vicenda dei sindaci eletti nel 2006 per il terzo mandato
consecutivo
Per quanto riguarda la vicenda dei sindaci eletti nelle consultazioni del
2006 nonostante il divieto di elezione per il terzo mandato137, il Ministro
dell’interno, con circolare n. 3/2007-UCO del 19 febbraio 2007138, al fine di
137
138
Si tratta, più specificamente, dei Comuni di:
ƒ
Casalbore;
ƒ
Veggiano
ƒ
Castelletto Monferrato
ƒ
Sgurgola
ƒ
Alfano
ƒ
Novedrate
ƒ
Pescorocchiano
ƒ
Monteu da Po
ƒ
Liberi
ƒ
Torralba
ƒ
Favrià
ƒ
Guardialfiera
ƒ
Castiadas
ƒ
San Marzano di S. Giuseppe
ƒ
Santo Stefano del Sole
ƒ
Sirignano
ƒ
Dragoni
ƒ
Mugnano del Cardinale
ƒ
Varapodio
ƒ
Taurianova (unico con popolazione superiore a 15.000 abitanti).
Avente ad oggetto “Sindaci eletti al terzo mandato in violazione dell’art. 51 del T.U.O.E.L
Iniziative esperibili a tutela della legalità violata”.
106
IL TERZO MANDATO DEI SINDACI
ripristinare il sostanziale rispetto della regola del divieto di terzo mandato
consecutivo e per dare esecuzione alle pronunce del giudice di appello
dichiarative della decadenza del sindaco, ha prescritto ai prefetti competenti di
procedere, nei confronti dei sindaci in questione, facendo ricorso al disposto
dell’art. 19 del R.D. n. 383/1934139, mediante la nomina da parte del prefetto di
un commissario per la provvisoria amministrazione dell’ente fino alle successive
elezioni.
Nella circolare si afferma che “la percorribilità di tale rimedio trova supporto nella
considerazione che l’ineleggibilità originaria riveste natura dichiarativa, sussistendo sin
dall’origine del suo verificarsi e producendo perciò effetti ex tunc. La giurisprudenza ha
evidenziato che detta ineleggibilità rappresenta causa ostativa all’espletamento del terzo
mandato consecutivo.
Dalla accertata assenza del presupposto legittimante la carica di Sindaco deriva, in
linea di stretta consequenzialità, l’illegittimità della composizione del consiglio, in virtù del
vigente sistema elettorale di attribuzione dei seggi. Viene, inoltre, meno la legittimazione
alla permanenza in carica della giunta e del vicesindaco in quanto le relative nomine,
espressione del rapporto fiduciario con il sindaco, sono travolte dalla caducazione del
presupposto unico e determinante. Caducazione acclarata con sentenza esecutiva del
giudice d’appello.
Ne consegue l’impossibilita di funzionamento dell’ente, cui occorre porre rimedio
assicurando la provvisoria gestione fino all’imminente rinnovo elettorale mediante la
nomina di un commissario che espleti le funzioni del sindaco, della giunta e del
consiglio”.
L’applicazione della procedura di commissariamento prevista dall’art. 19
del R.D. 383/1934 e sostenuta dal Ministero dell’interno è stata ritenuta corretta
dal Consiglio di Stato (sentenza n. 5309 del 10 luglio-9 ottobre 2007).
Il Consiglio di Stato, dopo aver osservato che il divieto di elezione alla carica di
sindaco al terzo mandato consecutivo è sfornito di sanzione specifica, ha ritenuto che “è
proprio questa norma di chiusura [l’art. 19 del R.D. 383/1934] che garantisce un efficace
controllo di legalità, che la procedura ex art. 70 TUEL (letto unitamente agli artt. 53 e 141
TUEL) non assicura pienamente.”, pertanto: “L’art. 19, comma 4, R.D. n. 383/1934 (non
abrogato dall’art. 273 TUEL), in assenza di una specifica sanzione per l’ipotesi in esame,
ben può, quindi, essere applicato nella fattispecie, una volta che sia divenuta esecutiva la
139
Il quarto comma dell’art. 19 stabilisce che il prefetto: “Invia appositi Commissari presso le
amministrazioni degli enti locali territoriali e istituzionali, per compiere in caso di ritardo o di
omissione da parte degli organi ordinari, previamente e tempestivamente invitati a provvedere,
atti obbligatori per legge o per reggerle, per il periodo di tempo strettamente necessario, qualora
non possano, per qualsiasi ragione, funzionare”.
Il R.D. 383/1934 risulta abrogato dall’art. 274 del D.Lgs. 267/2000 (TUEL).
Il Consiglio di Stato ha ritenuto che l’art. 19 del R. D. n. 383/1934 deve considerarsi vigente,
dal momento che attribuisce al Prefetto uno degli strumenti (potere di commissariamento) con
cui il Ministero dell’Interno esercita la funzione di vigilanza sugli enti locali in relazione alla
“garanzia della regolare costituzione degli organi elettivi degli enti locali e del loro
funzionamento” (art. 14, commi 1 e 2 lett. a), del D.Lgs. n. 300/1999), e che il potere di
commissariamento in esso contemplato opera in un ambito diverso da quello proprio dell’art.
141 del D.Lgs. n. 267/2000 (Cons. Stato, sentenza n. 5309/2007, citata).
107
SCHEDE DI APPROFONDIMENTO
sentenza del giudice ordinario che ha accertato la violazione dell’art. 51, comma 2,
TUEL, rappresentando tale violazione una ‘ragione’ sufficiente che giustifica la nomina di
un commissario prefettizio”.
Non risultano casi di elezione di sindaci al terzo mandato consecutivo nelle
consultazioni amministrative del 2007.
Nell’ambito dei rimedi previsti dall’ordinamento rispetto alla terza elezione
consecutiva del sindaco e del presidente di provincia, accanto alle possibilità di
deliberazione da parte del Consiglio comunale ex art. 41 del TUEL (ammessa,
come detto, dalla Cassazione) e di esperimento dell’azione popolare prevista
dall’art. 70 del TUEL, vi è poi quella del ricorso giurisdizionale: ove esso, pur
essendo formalmente volto all’annullamento delle operazioni elettorali per il
rinnovo di un consiglio comunale, dell’elezione diretta del sindaco e della
proclamazione degli eletti, risulti in realtà proposto per contestare l’eleggibilità del
candidato sindaco, il quale è stato eletto pur avendo già espletato due mandati
consecutivi, e, dunque, in violazione dell’art. 51, comma 2, del D.Lgs. 267/2000,
la competenza a decidere sulla sussistenza della causa di ineleggibilità è del
giudice ordinario (da ultimo Tar Veneto, sez. III - sentenza n. 3533/2006).
108
DIRITTI E LIBERTÀ FONDAMENTALI
LE POLITICHE DI PROGRAMMAZIONE DEI FLUSSI MIGRATORI
IMMIGRAZIONE
LE POLITICHE DI PROGRAMMAZIONE DEI FLUSSI MIGRATORI
Le linee generali delle politiche pubbliche in
extracomunitaria in Italia, fissate dalla legge n. 40 del
Turco – Napolitano”), sono state successivamente
legislativo 25 luglio 1998, n. 286, Testo unico
condizione dello straniero del 1998141.
materia di immigrazione
1998140 (cosiddetta “legge
consolidate nel decreto
sull’immigrazione e sulla
Il testo unico costituisce il primo tentativo di definire un quadro giuridico completo e
sistematico in una materia caratterizzata nel decennio precedente dal sovrapporsi di
numerosi interventi normativi, talvolta non coordinati tra loro, di natura prevalentemente
emergenziale. L’origine di tali interventi è da individuare da un lato nel vincolo esterno
costituito dalla normativa europea in materia di libera circolazione delle persone e
dall’adesione dell’Italia all’accordo di Schengen, dall’altro nelle situazioni di emergenza
venutesi a creare in conseguenza di massicci afflussi di immigrati o di rifugiati.
Il testo unico interviene su entrambi gli ambiti principali del diritto
dell’immigrazione: il diritto dell’immigrazione in senso stretto, concernente la
gestione nel suo complesso del fenomeno migratorio: la definizione di regole di
ingresso, di soggiorno, di controllo, di stabilizzazione dei migranti ed anche la
repressione delle violazioni a tali regole; e il diritto dell’integrazione, che
riguarda l’estensione, in misura più o meno ampia, ai migranti dei diritti propri dei
cittadini (diritti civili, sociali, politici).
I princìpi fondamentali che sono alla base del testo unico sono
essenzialmente tre: la programmazione dei flussi migratori e il contrasto
all’immigrazione clandestina (per quanto riguarda il diritto dell’immigrazione); la
concessione di una ampia serie di diritti volti all’integrazione degli stranieri
regolari (diritto dell’integrazione).
Nel corso dei dieci anni intercorsi dalla sua approvazione il testo unico ha
subito numerose modifiche. Di particolare rilievo la riforma operata nella XIV
legislatura dalla legge 189/2002142 (la cosiddetta “legge Bossi-Fini”) che,
mantenendone sostanzialmente inalterata la struttura generale, ne ha modificato
la parte relativa alla gestione dell’immigrazione, non toccando, se non in minima
parte, quella riguardante i diritti dei lavoratori immigrati.
140
141
142
L. 6 marzo 1998, n. 40, Disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero.
La riforma del Titolo V della Costituzione ha attribuito alla potestà legislativa esclusiva dello
Stato le materie “diritto di asilo e condizione giuridica dei cittadini di Stati non appartenenti
all’Unione europea” (art. 117, co. 2, lett. a) e “immigrazione” (art. 117, co. 2, lett. b); l’art. 118,
co. 3, demanda alla legge statale la disciplina delle “forme di coordinamento fra Stato e regioni”
in materia di immigrazione, oltre che di ordine pubblico e sicurezza.
L. 30 luglio 2002, n. 189, Modifica alla normativa in materia di immigrazione e di asilo.
111
SCHEDE DI APPROFONDIMENTO
Nella XV legislatura il Governo ha proposto una nuova ampia riforma,
esaminata dalla Camera ma non approvata; sono invece entrate in vigore alcune
disposizioni che hanno modificato specifici punti del testo unico.
La programmazione dei flussi migratori
In Italia l’immigrazione dei cittadini stranieri non appartenenti all’Unione
europea è regolata secondo il principio delle quote programmatiche. Ogni anno
il Governo, sulla base della necessità di manodopera interna, stabilisce il numero
di stranieri che possono entrare nel nostro Paese per motivi di lavoro.
Più in generale, la gestione dei flussi di immigrazione è realizzata attraverso
una serie di strumenti:
ƒ il documento programmatico triennale relativo alla politica dell’immigrazione
e degli stranieri (articolo 3, commi 1-3 e 8, del citato testo unico);
ƒ il decreto sui flussi (art. 3, comma 4) che stabilisce ogni anno, in base alle
indicazioni contenute sul documento programmatico, le quote massime di
stranieri da ammettere nel territorio dello Stato per motivi di lavoro;
ƒ il decreto sugli ingressi degli studenti universitari (art. 39, comma 4) che
fissa il numero massimo dei permessi di soggiorno per l’accesso all’istruzione
universitaria degli studenti stranieri.
Il documento programmatico
Il documento programmatico costituisce la base di riferimento della politica
dell’immigrazione. È elaborato dal Governo ogni tre anni (a meno che non si
renda necessario un termine più breve) e viene presentato al Parlamento per il
parere delle competenti Commissioni parlamentari.
Il documento è predisposto dal Presidente del Consiglio previa
consultazione, oltre che dei ministri interessati, di una serie di organismi:
ƒ il CNEL;
ƒ la Conferenza Stato-Regioni;
ƒ la Conferenza Stato-Città;
ƒ gli enti e le associazioni nazionali maggiormente attivi nell’assistenza e
nell’integrazione degli immigrati;
ƒ le organizzazioni dei lavoratori e dei datori di lavoro maggiormente
rappresentative sul piano nazionale.
Una volta acquisiti i pareri, il documento viene approvato dal Consiglio dei
Ministri. Il documento è quindi trasmesso al Parlamento per l’espressione del
parere da parte delle competenti Commissioni parlamentari che devono
pronunciarsi entro trenta giorni dal ricevimento dell’atto. In caso di mancanza del
parere il documento è comunque emanato decorso tale termine.
112
LE POLITICHE DI PROGRAMMAZIONE DEI FLUSSI MIGRATORI
Il documento programmatico – che deve tener conto dei pareri ricevuti – è,
infine, emanato con decreto del Presidente della Repubblica e pubblicato nella
Gazzetta Ufficiale.
Il documento programmatico, ai sensi dell’art. 3, co. 2 e 3, del testo unico,
deve contenere:
ƒ gli interventi che lo Stato italiano intende svolgere in materia di immigrazione,
anche attraverso accordi internazionali;
ƒ le linee generali per la definizione dei flussi d’ingresso nel territorio dello
Stato di stranieri extracomunitari;
ƒ le misure di carattere economico e sociale nei confronti degli stranieri
soggiornanti nelle materie che non devono essere disciplinate con legge;
ƒ gli interventi pubblici per favorire sia l’inserimento sociale e l’integrazione
culturale degli stranieri regolari nel nostro Paese, sia il reinserimento dei Paesi
di origine.
Solitamente, inoltre, il documento è corredato dall’analisi quantitativa e
qualitativa del fenomeno migratorio e dallo studio degli scenari futuri.
Il documento programmatico è materialmente redatto dagli uffici della
Presidenza del Consiglio, ed in particolare dal Dipartimento per il
coordinamento amministrativo (DICA), struttura di supporto delle attività di
competenza del Presidente del Consiglio.
L’organizzazione e il coordinamento amministrativi in materia di immigrazione
sono stati ridefiniti dall’art. 2-bis del testo unico, introdotto dalla L. 189/2002, che
prevede l’istituzione di tre organismi:
− il Comitato per il coordinamento e il monitoraggio delle disposizioni del testo
unico, organo interministeriale istituito per la prima volta nel 2000 in via
amministrativa (decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 2 agosto 2000) e,
successivamente, elevato a rango legislativo ad opera come si è detto della legge
189. Esso è presieduto dal Presidente o dal Vice Presidente del Consiglio o da un
Ministro delegato, ed è composto dai Ministri interessati ai temi trattati in ciascuna
riunione e da un presidente di regione designato dalla Conferenza dei presidenti delle
regioni;
− il Comitato è coadiuvato da un Gruppo tecnico di lavoro istituito presso il Ministero
dell’interno e composto dai rappresentanti di diverse amministrazioni. Il Gruppo di
lavoro, anch’esso previsto dal DPCM del 2000, è stato poi disciplinato dalla legge 189
che ne ha fissato la composizione e ha demandato ad un successivo regolamento la
definizione delle modalità di coordinamento fra il Gruppo e la struttura di supporto
della Presidenza del Consiglio competente in materia di immigrazione. Tale
regolamento è stato adottato con il DPR 100/2004143 che ha stabilito che le funzioni di
segreteria del Gruppo tecnico sono svolte dal dipartimento per le libertà civili e
l’immigrazione del Ministero dell’interno. Il Gruppo si è costituito con il DM 29
novembre 2004 e si è riunito per la prima volta il 28 gennaio 2005;
143
D.P.R. 6 febbraio 2004, n. 100, Regolamento recante modalità di coordinamento delle attività
del gruppo tecnico presso il Ministero dell’interno con la apposita struttura della Presidenza del
Consiglio dei Ministri in materia di immigrazione.
113
SCHEDE DI APPROFONDIMENTO
− lo stesso DPR 100/2004 ha demandato alla Presidenza del Consiglio la
predisposizione del documento programmatico e dei decreti flussi, oltre ai compiti di
coordinamento con il Gruppo di lavoro. Con un ulteriore provvedimento, il decreto del
Presidente del Consiglio del 19 maggio 2004144, la struttura interna della Presidenza,
competente in materia, è stata individuata con il Dipartimento per il coordinamento
amministrativo (DICA). Il Dipartimento è la struttura di supporto che opera nel settore
dell’attuazione, in via amministrativa, delle politiche del Governo.
Nella XV legislatura il Governo ha sottoposto al parere delle Camere il quarto
documento programmatico, relativo al triennio 2007-2009, il cui contenuto è
oggetto della scheda Documento programmatico e decreti flussi (vedi pag. 175).
In precedenza il Governo aveva predisposto tre documenti programmatici, nel
1998, nel 2001 e nel 2005145.
Come si è detto, il documento programmatico triennale indica una serie di
obiettivi e di misure concrete di intervento in materia di immigrazione. Secondo
quanto stabilito dall’art. 3, comma 1 del testo unico, il Governo riferisce al
Parlamento con una relazione annuale, predisposta dal Ministro dell’interno,
sui risultati ottenuti attraverso i provvedimenti attuativi del documento
programmatico.
La prima relazione sull’attuazione del documento di programmazione risale al 2000146,
e riguarda il periodo dal 27 marzo 1998 (data di pubblicazione della legge 40/98) al 31
ottobre 1999, ossia la prima fase di attuazione della legge. Essa è articolata in due parti:
una dedicata all’analisi della presenza straniera in Italia, alla programmazione di flussi,
alle misure di contrasto dell’immigrazione clandestina, alle misure relative ai rifugiati e
alle attività svolte in ambito internazionale. La seconda parte riguarda le misure di
integrazione degli immigrati.
A partire dalla relazione successiva, riferita al 2003 e presentata nel 2005, le relazioni
sono presentate in allegato alla relazione annuale al Parlamento sull’attività delle Forze di
Polizia trasmessa dal Ministro dell’interno ai sensi dell’articolo 113 della legge n.
121/1981. Tali relazioni sono dedicate esclusivamente alle attività di contrasto
all’immigrazione clandestina e di cooperazione transfrontaliera e di sicurezza.
L’ultima relazione si riferisce all’anno 2006 ed è stata presentata nell’agosto 2007147.
144
145
146
147
D.P.C.M. 19 maggio 2004, Modifica al D.P.C.M. 23 luglio 2002, riguardante l’ordinamento delle
strutture generali della Presidenza del Consiglio dei Ministri.
Approvati rispettivamente con il D.P.R. 5 agosto 1998 (documento programmatico 1998-2000),
il D.P.R. 30 marzo 2001 (documento programmatico 2001-2003) e il D.P.R. 13 maggio 2005
(documento programmatico 2004-2006).
Relazione sui risultati conseguiti attraverso provvedimenti attuativi del documento
programmatico riferito al triennio 1998-2000 relativo alla politica dell’immigrazione degli stranieri
nel territorio dello Stato, (articolo 3, comma 1, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286),
presentata dal Ministro dell’interno, trasmessa il 24 marzo 2000 (doc. CLVII, n. 1).
La relazione, curata dalla Direzione centrale dell’immigrazione e della polizia delle frontiere del
Ministero dell’interno, è allegata alla Relazione al Parlamento sull’attività delle Forze di Polizia,
sullo stato dell’ordine e della sicurezza pubblica e sulla criminalità organizzata, trasmessa alle
Camere il 3 agosto 2007 (doc. CCXII, n. 1).
114
LE POLITICHE DI PROGRAMMAZIONE DEI FLUSSI MIGRATORI
Nell’aprile 2008, il ministro dell’interno ha presentato il Primo Rapporto sugli
immigrati in Italia recante una dettagliata analisi del fenomeno migratorio,
corredata da una esposizione delle politiche pubbliche in materia.
Un rapporto annuale specificatamente dedicato allo stato di attuazione delle
politiche di integrazione degli immigrati è previsto dall’articolo 46 del testo unico. Il
compito di predisporre il rapporto è affidato alla Commissione per le politiche di
integrazione, organismo della Presidenza del Consiglio istituito dallo stesso articolo 46.
La Commissione ha curato due rapporti, nel 1999 e nel 2000.
Infine, si ricorda che la Corte dei conti, Sezione centrale di controllo sulla gestione,
ha deliberato nel 2001 una indagine sulla Gestione delle risorse previste in connessione
al fenomeno dell’immigrazione. Regolamentazione e sostegno all’immigrazione. Controllo
dell’immigrazione clandestina. Nell’ambito di tale iniziativa sono state approvate tre
relazioni (nel 2003, 2004 e nel 2005) che analizzano le politiche dell’immigrazione dal
punto di vista dei risultati gestionali raggiunti, dell’efficienza e l’efficacia delle misure
adottate, della regolarità delle procedure, della coerenza del disegno organizzativo con
gli obiettivi indicati dalla normativa.
Nel febbraio 2008 la Corte dei conti ha concluso una relazione su L’attività di gestione
integrata dei flussi di immigrazione. Oggetto dell’indagine i caratteri dell’azione
amministrativa svolta nel segmento di attività relativo alla gestione dei flussi d’ingresso
regolamentati attraverso il sistema delle quote oggetto di programmazione annuale e di
specifica disciplina affidata ad appositi decreti ministeriali.
Il decreto flussi
Sulla base delle indicazioni contenute nel documento programmatico, ogni
anno il Governo stabilisce le quote massime di cittadini stranieri da ammettere
nel territorio dello Stato per motivi di lavoro, attraverso l’emanazione di un
decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, il cosiddetto decreto flussi (per
i decreti flussi adottati nella XV legislatura e per un elenco di quelli emanati a
partire dal 1997, si veda la scheda Documento programmatico e decreti flussi,
pag. 175).
Le quote sono suddivise per lavoro subordinato, lavoro stagionale e lavoro
autonomo.
Il decreto è adottato dal Governo con il parere delle Commissioni
parlamentari, del Comitato interministeriale per il coordinamento e il monitoraggio
delle politiche in materia di immigrazione e della Conferenza unificata Statoregioni-enti locali. Ciascuna regione può trasmettere alla Presidenza del
Consiglio, in vista della predisposizione del decreto flussi, un rapporto sulla
presenza e sulla condizione degli immigrati nel territorio regionale, indicando
anche la capacità di assorbimento di nuova manodopera.
l decreto flussi, come si è detto, ha cadenza annuale e deve essere emanato
entro il 30 novembre dell’anno precedente a quello di riferimento.
115
SCHEDE DI APPROFONDIMENTO
Una norma di salvaguardia prevede che qualora non sia possibile emanare il
decreto secondo la procedura sopra descritta (per esempio in assenza del
documento programmatico) il Presidente del Consiglio può adottare un decreto
transitorio che però non deve superare le quote dell’anno precedente. Per
quanto riguarda il lavoro stagionale è possibile stabilire, sempre con decreto del
Presidente del Consiglio, quote massime di lavoratori stagionali stranieri non
comunitari autorizzati – nei soli settori dell’agricoltura e del turismo – a fare
ingresso in Italia, anche in misura superiore a quelle dell’anno precedente.
Ulteriori criteri per la definizione delle quote sono indicate dall’art. 21 del testo
unico. Si prevede, da un lato, la possibilità di restrizioni numeriche all’ingresso
di lavoratori provenienti da Paesi che non collaborino adeguatamente al
contrasto dell’immigrazione clandestina e, dall’altro, l’assegnazione in via
preferenziale di quote riservate ai cittadini di quegli Stati che abbiano invece
concluso con l’Italia accordi di cooperazione in materia di immigrazione.
Ulteriori quote riservate sono assegnate ai lavoratori non comunitari di
origine italiana.
Infine, ai sensi del regolamento di attuazione (art. 34 del D.P.R. 394/1999,
come modificato dall’art. 29 del D.P.R. 334/2004) una quota è riservata ai
lavoratori che abbiano partecipato alle attività formative nei Paesi di
provenienza previste dall’art. 23 del testo unico.
In alcuni anni è stata accordata una preferenza ad alcune categorie di
lavoratori specializzati (informatici, infermieri professionali).
Lo schema di decreto è predisposto dalla Presidenza del Consiglio,
Dipartimento per il coordinamento amministrativo (la stessa struttura che cura il
documento programmatico triennale) sulla base sia degli indirizzi contenuti nel
documento medesimo, sia delle indicazioni del Comitato per il coordinamento ed
il monitoraggio delle disposizioni del testo unico.
116
PERMESSO DI SOGGIORNO E LAVORO
IMMIGRAZIONE
PERMESSO DI SOGGIORNO E LAVORO
L’ingresso nel territorio dello Stato
L’ingresso nel territorio italiano – che deve avvenire esclusivamente attraverso
i valichi di frontiera, salvi i casi di forza maggiore – è consentito ai cittadini dei
Paesi non appartenenti all’Unione europea in possesso di:
ƒ passaporto valido (o documento equipollente);
ƒ visto d’ingresso (salvi i casi di esclusione).
Il Ministero degli affari esteri definisce le diverse tipologie dei visti d’ingresso e
le modalità di concessione148.
Non sempre è necessario il visto d’ingresso: spetta al Ministero degli affari
esteri redigere l’elenco dei Paesi i cui cittadini sono soggetti ad obbligo di visto,
anche in attuazione di specifici accordi internazionali (art. 4, comma 6, T.U.)149.
Nella competenza del Ministero degli esteri rientra anche la procedura di
concessione dei visti: le rappresentanze diplomatiche o consolari italiane
localizzate nello Stato di origine o di residenza sono competenti alla ricezione
delle richieste, al rilascio o al diniego del visto d’ingresso.
Il rilascio del visto di ingresso è subordinato alla presenza di una serie di
condizioni: lo straniero deve avere prove idonee a confermare lo scopo e le
condizioni del soggiorno, nonché la disponibilità di mezzi di sussistenza
sufficienti per la durata di soggiorno. L’entità di tali mezzi sono determinati dal
Ministro dell’interno (art. 4, comma 3, T.U.)150.
La documentazione attestante il possesso di tali requisiti può essere richiesta
nuovamente al momento dell’ingresso in Italia, anche se in possesso del visto.
Per quanto riguarda l’immigrazione per lavoro, l’ingresso degli stranieri è
limitato e determinato secondo quote annuali (si veda la scheda Le politiche di
programmazione dei flussi migratori, pag. 111); pertanto, le autorità diplomatiche
rilasciano i visti di ingresso entro tali quote (art. 3, comma 4, T.U.) e secondo le
modalità definite dal testo unico (artt. 21 e seguenti).
148
149
150
Ministero degli affari esteri, Decreto 12 luglio 2000, Definizione delle tipologie dei visti
d’ingresso e dei requisiti per il loro ottenimento.
L’esigenza di una progressiva armonizzazione delle diverse politiche nazionali dei visti ha
condotto in sede europea all’adozione del Regolamento n. 539 del 15 marzo 2001, che
determina la lista degli Stati i cui cittadini sono soggetti all’obbligo del visto. Esso sostituisce il
precedente Regolamento (CE) n. 574/99.
Ministero dell’Interno, Direttiva 1° marzo 2000, Definizione dei mezzi di sussistenza per
l’ingresso e il soggiorno degli stranieri nel territorio dello Stato.
117
SCHEDE DI APPROFONDIMENTO
Inoltre, il testo unico individua alcune condizioni ostative al rilascio del visto:
oltre coloro che non sono in possesso dei requisiti di cui sopra (mezzi di
sussistenza e documenti che confermano lo scopo del soggiorno), non sono
ammessi (art. 4, comma 3, T.U.):
ƒ gli stranieri considerati una minaccia per l’ordine pubblico sia da parte
dell’Italia, sia di uno degli Paesi dell’area Schengen;
ƒ gli stranieri condannati – anche a seguito di patteggiamento – ad una serie di
gravi reati per i quali la legge prevede l’arresto obbligatorio in flagranza (ai
sensi dell’art. 380, commi 1 e 2 del codice di procedura penale), ovvero per
quelli riconducibili direttamente o indirettamente al fenomeno migratorio (si
tratta dei reati inerenti gli stupefacenti, la libertà sessuale, il favoreggiamento
delle migrazioni clandestine, lo sfruttamento della prostituzione e lo
sfruttamento dei minori).
Non possono altresì fare ingresso in Italia (art. 4, comma 6, T.U.):
ƒ gli stranieri espulsi (a meno che non abbiano ottenuto la speciale
autorizzazione o che sia trascorso il perizio di divieto di ingresso, di norma di
dieci anni);
ƒ gli stranieri da espellere;
ƒ gli stranieri segnalati da altri Paesi, ai fini della non ammissione per gravi
motivi di ordine pubblico.
La non concessione del visto di ingresso è adottata con un provvedimento di
diniego che deve essere comunicato all’interessato limitatamente alle cause più
frequenti di richiesta di visto di ingresso: lavoro, studio e ricongiungimento
familiare.
Il testo unico non dà indicazioni sul procedimento di tutela giurisdizionale avverso il
provvedimento di diniego. La questione è stata risolta dalla giurisprudenza in base al
rapporto tra il regime del permesso di soggiorno e quello del visto di ingresso: è
impugnabile davanti al giudice amministrativo il diniego di concessione del visto
d’ingresso, in quanto, essendo il visto d’ingresso subordinato, al pari del permesso di
soggiorno, alla valutazione della sussistenza di requisiti soggettivi o di condizioni
internazionali, la pubblica amministrazione dispiega, nella sua emanazione, una specifica
ed ampia discrezionalità, il che esclude la configurabilità, in capo allo straniero, di una
posizione di diritto soggettivo al relativo ottenimento151.
Il soggiorno dello straniero
I documenti che legittimano la permanenza dello straniero nel territorio italiano
sono il permesso di soggiorno rilasciato per un periodo variabile a seconda dei
motivi del soggiorno (art. 5, T.U.) e il permesso di soggiorno CE di lungo
periodo, a tempo indeterminato, per gli stranieri stabilizzati (art. 9, T.U.).
151
Cassazione civile, Sez. Unite, sent. 25 marzo 2005, n. 6426.
118
PERMESSO DI SOGGIORNO E LAVORO
Una volta fatto ingresso nel territorio nazionale, ogni straniero deve fare
richiesta del permesso di soggiorno entro otto giorni al questore della provincia in
cui si trova, ed esso è rilasciato per le attività previste dal visto di ingresso (art. 5,
comma 2).
Da rilevare che la richiesta del permesso di soggiorno è obbligatoria per tutti
gli stranieri per i quali è necessario il visto di ingresso (anche se sono previste
modalità semplificate per brevi soggiorni e per motivi particolari, quali turismo,
cura ecc.).
Una rilevante modifica a tale disciplina è intervenuta nella XV legislatura ad
opera della legge 68/2007152 che ha eliminato l’obbligo di richiesta del permesso
di soggiorno per i soggiorni di breve durata. La legge sostituisce il permesso
di soggiorno con una semplice dichiarazione di presenza per gli stranieri non
comunitari che intendono soggiornare in Italia per periodi non superiori a tre mesi
per motivi di visita, affari, turismo e studio153.
L’inosservanza della disposizione comporta l’espulsione dello straniero, sia in
caso di ritardo nella presentazione della dichiarazione, sia in caso di
trattenimento nel territorio dello Stato oltre il periodo consentito.
Tutti gli immigrati – e non solamente quelli per motivi di lavoro – la cui
permanenza è subordinata al possesso del permesso di soggiorno, al momento
della richiesta (o del rinnovo) sono sottoposti alla rilevazione dei dati
fotodattiloscopici (art. 5, comma 2-bis e 4-bis)154.
La durata del permesso di soggiorno è variabile a seconda del motivo del
soggiorno (art. 5, comma 3-bis e seguenti T.U.). In particolare, viene distinta la
durata massima del permesso per lavoro a tempo determinato, fissata in un
anno, da quello per lavoro a tempo indeterminato, autonomo e ricongiungimento,
due anni.
I tempi massimi per far richiesta di rinnovo del permesso di soggiorno:
sono di 60 giorni per lavoro a tempo determinato, 90 giorni per lavoro a tempo
indeterminato e 30 per le altre fattispecie.
Il rinnovo del permesso di soggiorno è di competenza del questore, che deve
verificare la sussistenza delle condizioni previste per il rilascio155.
152
153
154
155
L. 28 maggio 2007, n. 68, disciplina dei soggiorni di breve durata degli stranieri per visite, affari,
turismo e studio.
La disposizione è finalizzata ad evitare la procedura di infrazione (n. 2006/2126) avviata dalla
Commissione europea per la non conformità al diritto comunitario delle norme italiane.
Da segnalare che l’art. 2, comma 7, del D.L. 195/2002 ha esteso anche ai cittadini italiani la
sottoposizione ai rilievi dattiloscopici, da effettuare all’atto della consegna della carta d’identità
elettronica.
Da segnalare che il D.L. 272/2006, nell’ambito di una ampia riforma del testo unico sulla droga,
all’art. 4-ter sostituisce l’art. 75 del DPR 309 del 1990, inserendo al comma 8 la previsione per
cui lo straniero che incorre in condotte integranti illeciti amministrativi (ossia acquista o detiene
sostanze stupefacenti al di sotto dei limiti quantitativi per i quali scatta la sanzione penale) è
119
SCHEDE DI APPROFONDIMENTO
Il rilascio del permesso di soggiorno per lavoro subordinato è condizionato alla
sottoscrizione del contratto di soggiorno. Il “contratto di soggiorno per lavoro
subordinato” fra un datore di lavoro (italiano o straniero regolarmente
soggiornante in Italia) e un cittadino extracomunitario viene stipulato presso lo
sportello unico per l’immigrazione e deve contenere la garanzia – da parte del
datore di lavoro – della disponibilità di un’adeguata sistemazione alloggiativa per
il dipendente e l’impegno al pagamento delle spese di viaggio per il rientro del
lavoratore nel Paese di provenienza.
La sottoscrizione del contratto di soggiorno costituisce requisito essenziale per
il rilascio del permesso di soggiorno per motivi di lavoro.
Il D.L. 144/2005156 ha introdotto (art. 2) un particolare tipo di permesso di
soggiorno a fini investigativi, in favore degli stranieri che prestino la loro
collaborazione all’autorità giudiziaria o agli organi di polizia in relazione a delitti
commessi per finalità di terrorismo, anche internazionale, o di eversione
dell’ordine democratico.
Inoltre l’art. 11 ha sostituito l’art. 5, comma 8, del testo unico, che disciplina i
modelli – aventi caratteristiche anticontraffazione – del permesso di soggiorno e
della carta di soggiorno, al fine di assicurare valenza identificativa al permesso e
alla carta di soggiorno elettronici.
Il permesso di soggiorno CE di lungo periodo
Il permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo è stato
introdotto dal D.Lgs. 3/2007157, che ha sostituito l’analoga carta di soggiorno,
prevista dall’art. 9, T.U. (sul D.Lgs. 3/2007 si veda anche la scheda Permesso di
soggiorno CE di lungo periodo, vedi pag. 200).
Tale istituto risponde all’esigenza di dare la possibilità agli stranieri
regolarmente soggiornanti in Italia da lungo tempo, di passare da una condizione
di temporaneità ad una di maggiore stabilità. Infatti, diversamente dal permesso
di soggiorno ordinario, che ha durata temporanea, esso è rilasciato a tempo
indeterminato, riconoscendo allo straniero una sorta di diritto permanente di
soggiorno.
Tale documento può essere richiesto al questore (per sé, per il coniuge e per i
figli minori conviventi) dallo straniero in possesso dei seguenti requisiti:
156
157
segnalato dalla polizia al questore per le valutazioni di competenza in sede di rinnovo di
permesso.
D.L. 27 luglio 2005, n. 144, Misure urgenti per il contrasto del terrorismo internazionale,
convertito dalla L. 31 luglio 2005, n. 155.
D.Lgs. 8 gennaio 2007, n. 3, Attuazione della direttiva 2003/109/CE relativa allo status di
cittadini di Paesi terzi soggiornanti di lungo periodo.
120
PERMESSO DI SOGGIORNO E LAVORO
ƒ essere in possesso da almeno cinque anni di un permesso di soggiorno in
corso di validità;
ƒ dimostrare di avere un reddito sufficiente.
Le condizioni ostative al rilascio del permesso, e quelle relative alla sua revoca
sono specificamente individuate dal testo unico. In particolare, non può essere
rilasciato agli stranieri considerati pericolosi per l’ordine pubblico o la sicurezza
dello Stato.
Inoltre, a favore dei titolari vengono circoscritte, rispetto a quelle generali
previste all’art. 11 del testo unico, le ipotesi in cui si può procedere all’espulsione
amministrativa.
Il permesso di soggiorno CE di lungo periodo consente al titolare: l’ingresso e
il reingresso nel territorio italiano in esenzione delle norme sul visto; lo
svolgimento di ogni attività lecita (con eccezione di quelle che la legge
espressamente vieta allo straniero o riserva al cittadino italiano); l’accesso ai
servizi ed alle prestazioni erogati dalla pubblica amministrazione (salvo che sia
diversamente disposto); la partecipazione alla vita pubblica locale.
Una disciplina specifica è dettata per i titolari di un permesso di soggiorno CE
rilasciato da un altro Stato membro dell’Unione europea (art. 9-bis, introdotto dal
D.Lgs. 3/2007).
La disciplina del lavoro
Come si è detto, l’ingresso per motivi di lavoro nel territorio italiano è regolato
con il sistema della quote annuali e la concessione del permesso di soggiorno è
subordinato alla firma del contratto di soggiorno per lavoro tra lo stranero e il
suo datore di lavoro. Il contratto è stipulato presso lo sportello unico per
l’immigrazione territorialmente competente, nel quale è concentrata la gran
parte delle competenze nella procedura dell’accesso al lavoro degli immigrati.
In ciascuna provincia è collocato uno sportello unico, ubicato presso la
prefettura – ufficio territoriale del Governo. Esso è configurato quale organismo
responsabile dell’interno procedimento relativo all’instaurazione del rapporto di
lavoro, assommando le attività in precedenza svolte dalle prefetture, dalle
direzioni provinciali dalle lavoro e dalle questure, in modo da semplificare le
procedure.
Il compito principale degli sportelli unici è di ricevere la richiesta di nulla osta al
lavoro da parte del datore di lavoro e di rilasciarlo previo esame e, soprattutto,
dopo verifica dell’indisponibilità per quel posto di lavoro di un lavoratore italiano o
comunitario. Il nulla osta è poi consegnato al datore di lavoro o, su sua richiesta,
inviato direttamente all’autorità diplomatica del Paese del lavoratore ai fini del
rilascio del visto di ingresso.
121
SCHEDE DI APPROFONDIMENTO
Successivamente, sempre presso lo sportello deve essere firmato il citato
contratto di soggiorno per lavoro (art. 5, comma 3-bis, T.U.) che costituisce titolo
per il rilascio del permesso di soggiorno.
Allo sportello unico, inoltre, devono essere comunicate tutte le variazioni
intervenute del rapporto di lavoro.
Gli sportelli unici sono divenuti operativi solamente nel 2005 dopo un complesso
procedimento attuattivo.
Infatti, la legge 189/2002 (art. 34) che li ha istituiti ha previsto l’emanazione di un
regolamento volto in linea generale a dare attuazione alla legge e, in particolare, a
definire le modalità di funzionamento dello sportello unico.
Il regolamento è stato adottato alla fine del 2004 con il decreto del Presidente della
Repubblica 18 ottobre 2004, n. 334, che ha modificato il precedente regolamento di
attuazione del testo unico, il D.P.R. 31 agosto 1999, n. 394.
Ai sensi del regolamento attuativo (art. 30), lo sportello unico deve essere costituito
con decreto del prefetto e deve essere composto da almeno tre membri: un
rappresentante della prefettura – ufficio territoriale del Governo, uno della Direzione
provinciale del lavoro e uno della Polizia di Stato. Lo stesso decreto prefettizio di
costituzione dello sportello ne designa il responsabile secondo le direttive adottate
congiuntamente dal Ministro dell’interno e dal Ministro del lavoro. Tali direttive sono state
emanate il 13 maggio 2005 e a partire da questa data i prefetti hanno potuto emanare i
decreti relativi e si sono potuti costituire materialmente gli sportelli unici.
In occasione delle procedure relative alle domande di lavoro connesse con il decreto
flussi per il 2006 (presentate nel marzo 2006) sono stati utilizzati per la prima volta gli
sportelli unici secondo la nuova procedura fissata dalla legge 189.
Un bilancio della prima fase di attività degli sportelli unici è stato realizzato dalla Corte
dei conti nella relazione su L’attività di gestione integrata dei flussi di immigrazione, dove
si rileva che le nuove strutture “non sono apparse in grado di ridurre le criticità del
procedimento che, anzi, sono aumentate nella lavorazione dei flussi 2006”158.
Da segnalare che l’art. 23 del testo unico prevede titoli di prelazione nel
collocamento dei lavoratori stranieri derivanti dall’aver frequentato corsi di
istruzione e di formazione professionale organizzati nei paesi di origine da
enti abilitati. Nei decreti annuali dei flussi sono stabilite quote privilegiati per gli
stranieri che hanno frequentato tali corsi (art. 34, comma 5, del regolamento di
attuazione DPR 394/1999, come modificato dal DPR 334/2004).
Lo stesso art. 34 del regolamento prevede che le modalità di predisposizione
e di svolgimento dei programmi di formazione e di istruzione da effettuarsi nel
Paese di origine siano fissati con decreto del Ministro del lavoro, di concerto con
il Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca, di intesa con la
Conferenza Stato-Regioni.
Disposizioni specifiche sono dettate nei confronti del lavoro stagionale (art.
24), il lavoro autonomo (art. 26) e altre categorie particolari di lavoratori (art. 27).
158
Corte dei conti, L'attività di gestione integrata dei flussi di immigrazione, 8 febbraio 2008, p. 39.
122
PERMESSO DI SOGGIORNO E LAVORO
L’art. 27 del testo unico e l’art. 40 del regolamento di attuazione regolano i
cosiddetti ingressi fuori quota, che riguardano lavoratori appartenenti a
specifiche categorie, in possesso di determinati requisiti, i quali possono entrare
in Italia indipendentemente dalle quote stabilite ogni anno dai decreti sui flussi, a
condizione che ci sia un datore di lavoro che intenda assumerli.
Le categorie che possono usufruire degli ingressi fuori quota sono espressamente
indicate dall’art. 27, comma 1; tra queste si ricordano:
ƒ dirigenti o personale altamente specializzato di società aventi sede o filiali in Italia o
di uffici di rappresentanza di società estere che abbiano la sede principale di attività
nel territorio di uno Stato membro dell'Organizzazione mondiale del commercio,
ovvero dirigenti di sedi principali in Italia di società italiane o di società di altro Stato
membro dell'Unione europea;
ƒ lettori universitari di scambio o di madre lingua;
ƒ professori universitari destinati a svolgere in Italia un incarico accademico;
ƒ traduttori e interpreti;
ƒ persone che, autorizzate a soggiornare per motivi di formazione professionale,
svolgano periodi temporanei di addestramento presso datori di lavoro italiani
effettuando anche prestazioni che rientrano nell'ambito del lavoro subordinato;
ƒ lavoratori alle dipendenze di organizzazioni o imprese operanti nel territorio italiano,
che siano stati ammessi temporaneamente a domanda del datore di lavoro, per
adempiere funzioni o compiti specifici, per un periodo limitato o determinato, tenuti a
lasciare l'Italia quando tali compiti o funzioni siano terminati;
ƒ lavoratori dipendenti regolarmente retribuiti da datori di lavoro, persone fisiche o
giuridiche, residenti o aventi sede all'estero e da questi direttamente retribuiti, i quali
siano temporaneamente trasferiti dall'estero presso persone fisiche o giuridiche,
italiane o straniere, residenti in Italia, al fine di effettuare nel territorio italiano
determinate prestazioni oggetto di contratto di appalto stipulato tra le predette persone
fisiche o giuridiche residenti o aventi sede in Italia e quelle residenti o aventi sede
all'estero;
ƒ artisti e personale artistico e tecnico per spettacoli;
ƒ stranieri che siano destinati a svolgere qualsiasi tipo di attività sportiva
professionistica presso società sportive italiane;
ƒ giornalisti corrispondenti ufficialmente accreditati in Italia e dipendenti regolarmente
retribuiti da organi di stampa quotidiani o periodici, ovvero da emittenti radiofoniche o
televisive straniere;
ƒ persone che, secondo le norme di accordi internazionali in vigore per l'Italia, svolgono
in Italia attività di ricerca o un lavoro occasionale nell'ambito di programmi di scambi di
giovani o di mobilità di giovani o sono persone collocate “alla pari”;
ƒ infermieri professionali assunti presso strutture sanitarie pubbliche e private.
La richiesta di nulla osta al lavoro per l’ingresso al di fuori delle quote può essere
presentata in qualsiasi periodo dell'anno.
Le domande per il rilascio del nulla osta al lavoro vanno presentate presso lo
sportello unico per l’immigrazione, secondo le modalità previste in via generale
per coloro che intendano assumere lavoratori stranieri dall’art. 30-bis, commi 2 e
3, del regolamento di attuazione.
123
SCHEDE DI APPROFONDIMENTO
Per i procedimenti in questione, non è richiesto l’adempimento della
preventiva verifica della sussistenza di eventuali richieste presentate da parte di
un lavoratore nazionale o comunitario per il medesimo impiego.
Per gli ingressi al di fuori delle quote, il nulla osta al lavoro non può essere
concesso per un periodo superiore a quello del rapporto di lavoro a tempo
determinato e, comunque, a due anni; la proroga oltre il limite biennale, se
prevista, non può superare lo stesso termine di due anni159. La validità del
nullaosta deve essere espressamente indicata nel provvedimento.
L’articolo 27 è stato oggetto di alcune modifiche nel corso della XV legislatura.
In primo luogo, è stato abolito il nulla osta per il lavoro per i lavoratori
extracomunitari dipendenti da datori di lavoro residenti o aventi sede un
altro Stato membro nell’Unione europea, sostituito da una semplice
dichiarazione ai fini del rilascio del permesso di soggiorno (decreto legge
10/2007, art. 5)160.
Inoltre, per la categoria dei ricercatori, in precedenza compresa tra quelle
fuori quota ai sensi dell’art. 27, è stata prevista una specifica procedura
semplificata indicata dal nuovo art. 27-ter, introdotto dal D.Lgs. 17/2008161.
Il provvedimento introduce una nuova tipologia di visto di ingresso modulato su una
procedura agevolata e finalizzato all’ingresso di soggetti specifici per lo svolgimento di
attività di ricerca. In tal senso promuove la figura del ricercatore senza legarla alle
modalità concrete di tale attività, ovvero al rapporto di lavoro o di collaborazione che
verrà posto in essere tra il ricercatore e l’istituto di ricerca.
I destinatari del provvedimento sono i cittadini stranieri in possesso di un titolo di
studio superiore che, nel Paese in cui è stato conseguito, dia accesso a programmi di
dottorato.
I ricercatori sono selezionati da istituti di ricerca, pubblici o privati, che svolgono
attività di ricerca, e che devono essere iscritti in un apposito elenco tenuto dal Ministero
dell’università e della ricerca.
Il ricercatore e l’istituto di ricerca stipulano quindi una convenzione d’accoglienza con
cui si impegnano reciprocamente a tener fede ai rispettivi impegni (realizzazione del
progetto di ricerca da una parte, accoglienza e sostegno del ricercatore dall’altra).
Il progetto di ricerca, che deve essere approvato dagli organi di amministrazione
dell’istituto, in quanto attività retribuita può assumere la forma di lavoro subordinato,
borsa di addestramento alla ricerca o lavoro autonomo compatibile con gli obiettivi del
progetto. La convenzione indica inoltre il compenso mensile messo a disposizione del
ricercatore.
I ricercatori possono essere ammessi – a parità di condizioni con i cittadini italiani – a
svolgere attività di insegnamento collegate al progetto di ricerca, se lo consentono le
disposizioni statutarie e regolamentari dell’istituto di ricerca.
159
160
161
Disposizioni specifiche in merito alla durata sono previste per i lettori e i professori universitari,
per i ricercatori, per gli infermieri professionali.
D.L. 15 febbraio 2007, n. 10, Disposizioni volte a dare attuazione ad obblighi comunitari ed
internazionali (convertito dalla L. 6 aprile 2007, n. 469).
D.Lgs. 9 gennaio 2008, n. 17, Attuazione della direttiva 2005/71/CE relativa ad una procedura
specificamente concepita per l'ammissione di cittadini di Paesi terzi a fini di ricerca scientifica.
124
PERMESSO DI SOGGIORNO E LAVORO
Una specifica disciplina è prevista anche per l’ingresso e soggiorno per
volontariato (art. 27-bis, introdotto dal D.Lgs. 154/2007)162.
162
D.Lgs. 10 agosto 2007, n. 154, Attuazione della direttiva 2004/114/CE, relativa alle condizioni di
ammissione dei cittadini di Paesi terzi per motivi di studio, scambio di alunni, tirocinio non
retribuito o volontariato.
125
SCHEDE DI APPROFONDIMENTO
IMMIGRAZIONE
CONTRASTO DELL’IMMIGRAZIONE CLANDESTINA
Uno dei princìpi cardine della vigente disciplina dell’immigrazione consiste
nell’adozione di misure di contrasto di tutti i comportamenti illeciti collegati ai
fenomeni migratori. Innanzitutto misure preventive, volte a impedire gli ingressi
al di fuori delle modalità consentite (immigrazione clandestina). In secondo luogo,
misure repressive che puniscono sia la presenza di stranieri entrati
illegalmente, sia la violazione delle disposizioni amministrative che regolano la
presenza legale, sia, infine, l’eventuale comportamento criminale dell’immigrato.
Nell’elaborazione delle misure e delle politiche di contrasto dell’immigrazione
clandestina nel nostro Paese, un ruolo decisivo è stato assunto dal vincolo
esterno rappresentato dall’adeguamento delle norme del diritto interno alle
esigenze legate all’adesione degli accordi internazionali di Schengen che
hanno portato all’abolizione dei controlli alle frontiere interne (vedi oltre il
paragrafo relativo a L’attuazione della normativa comunitaria in materia di
espulsione).
Un articolato sistema di contrasto è definito dal testo unico del 1998163, sul
quale è intervenuta la L. 189/2002164 che, pur mantenendone inalterate le basi, vi
ha apportato notevoli modifiche, volte principalmente a rendere
complessivamente più stringenti gli obblighi previsti e più restrittivo l’apparato
sanzionatorio.
Il respingimento e il controllo delle frontiere
Il primo strumento di contrasto all’immigrazione clandestina è costituito da un
efficace controllo delle frontiere atto, da un lato, ad intercettare i flussi degli
immigrati clandestini e ad impedirne l’ingresso nel territorio dello Stato, attraverso
il loro respingimento, e, dall’altro, a individuare e punire coloro che favoriscono
l’ingresso illegale di stranieri, spesso a scopo di lucro.
Il respingimento
Il respingimento è sostanzialmente una operazione di polizia volta ad impedire
l’ingresso clandestino di immigrati.
Il testo unico prevede due diverse tipologie di respingimento:
ƒ il respingimento immediato (art. 10, co. 1, T.U.), effettuato direttamente
dalla polizia di frontiera nei confronti di coloro che si presentano ai valichi di
163
164
D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, Testo unico sull’immigrazione e sulla condizione dello straniero.
L. 30 luglio 2002, n. 189, Modifica alla normativa in materia di immigrazione e di asilo.
126
CONTRASTO DELL’IMMIGRAZIONE CLANDESTINA
frontiera senza avere i requisiti necessari per l’ingresso nel territorio
nazionale165;
ƒ il respingimento differito (art. 10, co. 2, T.U.), operato per ordine del
questore, tramite accompagnamento alla frontiera, quando lo straniero, pur se
intercettato ai valichi di frontiera senza i documenti richiesti per fare ingresso
nello Stato, abbisogna di soccorso, oppure nel caso di ingresso attraverso
l’elusione dei controlli di frontiera e conseguente fermo nelle sue vicinanze.
Il respingimento non viene effettuato nei casi previsti dalle disposizioni
concernenti l’asilo politico, il riconoscimento dello status di rifugiato, la protezione
temporanea degli stranieri per motivi umanitari (art. 10, co. 4, T.U.), oppure nei
confronti dello straniero che possa essere oggetto di persecuzione nello Stato di
provenienza (art. 19, co. 1, T.U.)
Il controllo delle frontiere
Il testo unico affida la funzione di controllo delle frontiere ai Ministeri
dell’interno e degli affari esteri. Spetta ai titolari dei due dicasteri adottare, per la
rispettiva competenza, un piano generale per il potenziamento e il
perfezionamento delle misure di controllo delle frontiere (art. 11, co. 1, T.U.)
La funzione di coordinamento in materia di controlli delle frontiere compete al
Ministero dell’interno166 al quale sono demandati i seguenti compiti (co. 1-bis
dell’art. 11).
ƒ l’emanazione delle misure necessarie per il coordinamento unificato dei
controlli sulla frontiera marittima e terrestre italiana, sentito, ove necessario, il
Comitato nazionale per l’ordine e la sicurezza pubblica167;
165
166
167
Tali requisiti sono indicati essenzialmente nell’art. 4 del testo unico e consistono principalmente
nel passaporto (o altro documento valido per l’espatrio) e nel visto d’ingresso (ove richiesto):
vedi scheda Immigrazione – Permesso di soggiorno e lavoro, pag. 117. Sono inoltre respinti gli
stranieri espulsi che rientrano prima della scadenza del periodo di divieto di 10 anni e coloro
che sono stati espulsi da un altro Paese dell’area Schenghen (art. 4, co. 6, T.U.).
Si ricorda che già ai sensi dell’art. 1 della L. 1 aprile 1981 n. 121, Nuovo ordinamento
dell’Amministrazione della pubblica sicurezza, il Ministero dell’interno è responsabile dell’ordine
e della sicurezza pubblica ed è autorità nazionale di pubblica sicurezza. Ha l’alta direzione dei
servizi di ordine e sicurezza pubblica e coordina in materia i compiti e le attività delle forze di
polizia.
Il Comitato nazionale dell’ordine e della sicurezza pubblica è un organo ausiliario di consulenza
del ministro dell’interno per l’esercizio delle sue attribuzioni di alta direzione e di coordinamento
in materia di ordine e sicurezza pubblica. Il Comitato, disciplinato dagli artt.18 e 19 della legge
1° aprile 1981, n. 121, esamina ogni questione di carattere generale relativa alla tutela
dell’ordine e della sicurezza pubblica e all’ordinamento ed organizzazione delle forze di polizia.
E’ presieduto dal ministro dell’interno ed è composto da un Sottosegretario di Stato per l’interno,
designato dal ministro. dal capo della polizia, dal comandante generale dell’Arma dei
carabinieri, dal comandante generale del Corpo della guardia di finanza, dal direttore generale
dell’Amministrazione penitenziaria e dal dirigente generale capo del Corpo forestale dello Stato
Dato l’interesse degli argomenti posti all’ordine del giorno, il ministro dell’interno può chiamare a
partecipare alle riunioni del Comitato, dirigenti generali del Ministero, l’ispettore generale del
Corpo delle capitanerie di porto, altri rappresentanti dell’amministrazione dello Stato e delle
forze armate.
127
SCHEDE DI APPROFONDIMENTO
ƒ la promozione di apposite misure di coordinamento tra le autorità italiane
competenti in materia di controlli sull’immigrazione e le autorità europee
competenti nella stessa materia in base all’Accordo di Schengen.
Le funzioni di polizia dell’immigrazione trovano un centro specifico e
dedicato di direzione a livello dell’amministrazione centrale dell’interno nella
Direzione centrale dell’immigrazione e della polizia delle frontiere (nata per
scorporazione dalla Direzione centrale per la polizia stradale, ferroviaria, postale,
di frontiera e dell’immigrazione). Alla direzione sono affidate non solamente le
funzioni polizia di frontiera e di contrasto all’immigrazione clandestina ma anche
le attività gestionali proprie dell’autorità di pubblica sicurezza in materia di
ingresso e soggiorno degli stranieri.
A livello locale, il testo unico affida ai prefetti delle province di confine
terrestre ed ai prefetti dei capoluoghi delle regioni interessate alla frontiera
marittima il coordinamento dei controlli di frontiera e la vigilanza marittima e
terrestre, nell’ambito delle direttive adottate dal ministro dell’interno; i prefetti,
inoltre, sovrintendono all’attuazione delle direttive emanate in materia (art. 11, co.
3).
Sia il Ministero degli affari esteri, sia quello dell’interno possano promuovere
intese con i Paesi di provenienza o di transito dei flussi irregolari finalizzate, in
generale, alla collaborazione nel contrasto all’immigrazione clandestina, e,
inoltre, volte ad accelerare l’espletamento degli accertamenti e il rilascio dei
documenti relativi ai procedimenti previsti dal testo unico (quali ad esempio quelli
relativi all’espulsione). Le intese di collaborazione possono prevedere anche la
cessione a titolo gratuito di apparecchiature e mezzi, strumentali alla prevenzione
dell’immigrazione clandestina (art. 11, co. 4).
In tale ambito, il D.L. 241/2004168 ha previsto la possibilità che il Ministero
dell’interno contribuisca, solo per il 2004 e il 2005, alla realizzazione, nei Paesi di
provenienza, di apposite “strutture” destinate al contrasto dei flussi
irregolari (art. 11, co. 5-bis, introdotto dall’art. 1-bis del decreto-legge). Allo
scopo sono destinati 13,8 milioni di euro (art. 2, co. 1-quater).
La repressione dei traffici legati all’immigrazione clandestina
Il testo unico dell’immigrazione (art. 12) contempla una serie di norme che
costituiscono un completamento delle disposizioni relative ai controlli di frontiera.
Si tratta, innanzitutto, della previsione del reato di favoreggiamento
all’immigrazione clandestina, destinato a colpire coloro, come i cosiddetti
“scafisti”, che a scopo di lucro conducono illegalmente nel territorio dello Stato
cittadini provenienti da Paesi non comunitari (co. 1).
168
D.L. 14 settembre 2004, n. 241, Disposizioni urgenti in materia di immigrazione (conv. L. 12
novembre 2004, n. 271).
128
CONTRASTO DELL’IMMIGRAZIONE CLANDESTINA
Si tratta di un reato grave per il quale è obbligatorio l’arresto in flagranza e la
confisca del mezzo di trasporto.
È considerato come illecito non solo il favoreggiamento all’ingresso, ma anche
le attività dirette a favorire l’uscita dall’Italia e l’ingresso illegale in altro Stato
(immigrazione clandestina di transito).
Un secondo gruppo di disposizioni disciplina le operazioni di polizia
finalizzate al contrasto delle immigrazioni clandestine. Il testo unico dà la
facoltà alle forze dell’ordine operanti nelle zone di confine e in mare di procedere
al controllo, alle ispezioni e alle perquisizione dei mezzi di trasporto nel corso
delle operazioni di contrasto dei traffici legati all’immigrazione clandestina, e, in
caso di necessità, al sequestro di tali mezzi e degli altri beni eventualmente
utilizzati (art. 12, co. 7 e 8).
Quanto alla destinazione dei beni sequestrati nel corso di operazioni di contrasto dei
traffici di clandestini, il co. 8 ne prevede (qualora non ostino esigenze processuali)
l’affidamento in custodia giudiziale:
ƒ agli organi di polizia che ne facciano richiesta per l’impiego in attività di polizia,
ovvero
ƒ ad altri organi dello Stato o ad altri enti pubblici per finalità di giustizia, di protezione
civile o di tutela ambientale.
Gli oneri relativi alla gestione sono a carico di chi abbia l’utilizzo dei beni169.
Una volta che i beni sequestrati sono definitivamente confiscati e acquisiti dallo Stato
possono essere, a richiesta, assegnati all’amministrazione o trasferiti all’ente che ne
abbiano avuto l’uso a titolo di custodia giudiziale ai sensi del co. 8, ovvero sono alienati
(co. 8-quinques).
Peraltro, i mezzi di trasporto non affidati, assegnati o trasferiti ai sensi dei co. 8 e 8quinques, non possono comunque essere alienati; di essi si prevede, in ultima istanza, la
distruzione.
Le navi che si ha fondato motivo di ritenere siano adibite o coinvolte nel
traffico illecito di migranti posso essere fermate, ispezionate ed eventualmente
sequestrate (co. 9-bis e seguenti), in modo da prevenire gli sbarchi di clandestini.
Le modalità di intervento delle navi militari e il raccordo tra le loro attività e
quelle svolte dalle navi in servizio di polizia sono rimesse dal co. 9-quinquies a
un decreto interministeriale adottato dai ministri dell’interno, della difesa,
dell’economia e delle finanze e delle infrastrutture e dei trasporti.
Tale disposizione è stata attuata con l’adozione del decreto del ministro dell’interno 14
luglio 2003, Disposizioni in materia di contrasto all’immigrazione clandestina, Il decreto
169
Così dispone l’art. 100, co. 3, del testo unico in materia di disciplina degli stupefacenti (D.P.R. 9
ottobre 1990, n. 309), al quale il testo unico in materia di immigrazione fa rinvio. Il co. 2 dello
stesso art. 100 prevede che, se i beni appartengono a terzi, i proprietari sono convocati
dall’autorità giudiziaria procedente per svolgere, anche con l’assistenza di un difensore, le loro
deduzioni e per chiedere l’acquisizione di elementi utili ai fini della restituzione, secondo le
norme del codice di procedura penale in quanto compatibili.
129
SCHEDE DI APPROFONDIMENTO
affida le attività di vigilanza, prevenzione e contrasto dell’immigrazione clandestina ai
mezzi aereonavali della Marina militare, delle Forze di polizia e delle Capitanerie di porto.
Alla Marina militare spettano in modo prevalente le attività in acque internazionali, mentre
le attività nelle acque territoriali e nelle zone contigue sono attribuite principalmente alle
Forze di Polizia (Polizia di Stato, Carabinieri e Guardia di finanza, cui compete il
coordinamento in caso di interventi di più corpi). Al Corpo delle capitanerie di porto sono
affidati compiti di soccorso, assistenza e salvataggio. Il coordinamento di tutte le attività è
esercitato dalla Direzione centrale della polizia di frontiera del Ministero dell’interno.
La polizia europea di frontiera
L’abolizione delle frontiere interne dell’Unione europea a seguito degli accordi
di Schengen ha comportato che i confini dei singoli Paesi membri con i Paesi
extraeuropei sono diventati, in sostanza, i confini dell’Unione stessa. Pertanto, la
maggior parte degli oneri conseguenti alla realizzazione dell’area Schengen
(maggiori controlli alle frontiere, alimentazione delle banche dati, monitoraggio
dei flussi migratori) ricadono su quei Paesi che hanno una più vasta estensione
delle frontiere “esterne” e sono più esposti ai tentativi di ingressi clandestini.
Questo spiega perché negli ultimi anni i Paesi dell’Unione europea affacciati
sul Mediterraneo, come l’Italia, hanno promosso la realizzazione di forme di
controllo coordinato delle frontiere, anche al fine di condividere gli oneri finanziari
che questo comporta.
Un passo fondamentale in questa direzione è stato compiuto con l’istituzione
dell’Agenzia europea per la gestione della cooperazione operativa alle
frontiere esterne degli Stati membri dell’Unione europea (Frontex, dal
francese Frontières extérieures) con il Regolamento (CE) n. 2007/2004 del
Consiglio del 26 ottobre 2004.
L’Agenzia è stata costituita nel 2005 con sede a Varsavia.
Fermo restando che i singoli Stati membri rimangono responsabili del controllo
e della sorveglianza delle frontiere esterne, l’Agenzia dovrà semplificare
l’applicazione delle misure comunitarie in materia di gestione delle frontiere
coordinando le azioni degli Stati membri nell’attuazione di tali misure.
L’Agenzia ha il compito di coordinare la cooperazione operativa tra gli Stati
membri in materia di gestione delle frontiere esterne; assistere gli Stati membri
nella formazione di guardie nazionali di confine, anche elaborando norme comuni
in materia di formazione; preparare analisi dei rischi; seguire l’evoluzione delle
ricerche in materia di controllo e sorveglianza delle frontiere esterne; aiutare gli
Stati membri che devono affrontare circostanze tali da richiedere un’assistenza
tecnica e operativa rafforzata alle frontiere esterne; fornire agli Stati membri il
sostegno necessario per organizzare operazioni di rimpatrio congiunte.
Frontex opera in stretto collegamento con altri organismi comunitari e
dell’Unione responsabili in materia di sicurezza alle frontiere esterne, come
Europol, Cepol (l’accademia europea di polizia) e Olaf (l’ufficio europeo anti
130
CONTRASTO DELL’IMMIGRAZIONE CLANDESTINA
frodi), e di cooperazione nel settore delle dogane e dei controlli fitosanitari e
veterinari, al fine di garantire la coerenza complessiva del sistema.
Tra gli atti preparatori che hanno fornito le basi di discussione per l’istituzione
dell’Agenzia, una menzione particolare va fatta per lo Studio di fattibilità per una
polizia europea, affidato dalla Commissione all’Italia e presentato a Roma nel
maggio 2002.
L’espulsione: profili generali
Il testo unico sull’immigrazione contempla diversi tipi di espulsione del
cittadino straniero riconducibili sostanzialmente a due categorie giuridiche:
l’espulsione quale sanzione amministrativa, comminata, appunto, dall’autorità
amministrativa (ministro o prefetto) in caso di violazione delle regole relative
all’ingresso e al soggiorno e l’espulsione applicata dal giudice nell’ambito di
un procedimento penale (l’espulsione a titolo di misura di sicurezza e
l’espulsione a titolo di sanzione sostitutiva o alternativa a sanzione penale).
Esse rispondono a due distinte finalità: la prima punisce coloro che
trasgrediscono le procedure fissate per l’ingresso e il soggiorno degli stranieri e
costituiscono dunque una sanzione necessaria ai fini del loro rispetto.
La seconda colpisce il comportamento delinquenziale dello straniero a
prescindere dalla regolarità della sua posizione amministrativa. Tuttavia, alcune
forme di espulsione “giudiziaria” possono essere eseguite solo nei confronti degli
stranieri passibili di espulsione amministrativa.
Il testo unico prevede poi una serie di situazioni per le quali è stabilito il
divieto di espulsione (art. 19 che ha introdotto il principio del non refoulement).
Innanzitutto, l’espulsione, ed anche il semplice respingimento, sono vietati se
nello Stato verso cui lo straniero è estradato, egli può essere oggetto di
persecuzione “per motivi di razza, di sesso, di lingua, di cittadinanza, di religione,
di opinioni politiche, di condizioni personali o sociali”170.
Inoltre, è consentito il solo respingimento ma non l’espulsione nei seguenti
casi:
ƒ minori, salvo il diritto di seguire il genitore espulso;
ƒ possessori di carta di soggiorno, a meno che non ricorrano gravi motivi di
ordine pubblico, ai sensi dell’art. 9 T.U.;
170
In proposito occorre rilevare che la giurisprudenza di merito ha interpretato in senso restrittivo
tale disposizione. L’accertamento dell’esistenza delle cause ostative all’espulsione non possono
basarsi sulle dichiarazioni dell’interessato bensì su dati oggettivi quali la vigenza del
provvedimento del Presidente del Consiglio dei ministri con il quale vengono fissate misure
straordinarie di accoglienza per esigenze umanitarie ai sensi dell’art. 20 T.U. (Cass. civ. Sez. I,
sent. 25 febbraio 2004, n. 3732) ovvero il riconoscimento dello status di rifugiato da parte
dell’apposita Commissione (Cass. pen. Sez. I, sent. del 17 dicembre 2004, n. 2239).
131
SCHEDE DI APPROFONDIMENTO
ƒ conviventi con coniuge o con parenti entro il quarto grado di nazionalità
italiana;
ƒ donne in stato di gravidanza o con figli minori di sei mesi171.
È possibile espellere lo straniero anche nelle circostanze sopra indicate, nel
caso di espulsione amministrativa operata da parte del ministro dell’interno per
gravi motivi di ordine pubblico (art. 13, co. 1, T.U. vedi oltre).
L’espulsione amministrativa
L’art. 13 del testo unico disciplina l’espulsione amministrativa prevedendo
due tipologie distinte di provvedimento:
ƒ l’espulsione disposta dal ministro dell’interno per motivi di ordine pubblico o
di sicurezza dello Stato;
ƒ l’espulsione disposta dal prefetto nei seguenti casi:
- quando lo straniero è entrato nel territorio dello Stato sottraendosi ai
controlli di frontiera (immigrato clandestino);
- quando lo straniero si è trattenuto nel territorio dello Stato senza aver
chiesto il permesso di soggiorno nel termine prescritto, oppure quando il
permesso di soggiorno è stato revocato o annullato o scaduto da più di
sessanta giorni e non è stato chiesto il rinnovo (immigrato irregolare);
- quando lo straniero sia un delinquente abituale o sia indiziato di
appartenere ad associazioni criminali di tipo mafioso.
L’espulsione amministrativa (sia di iniziativa del ministro dell’interno, sia quella
prefettizia) è disposta con decreto motivato ed è eseguita dal questore (co. 3). Il
decreto è immediatamente esecutivo anche se sottoposto a gravame o
impugnativa da parte dell’interessato e l’espulsione viene di norma eseguita con
accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica (co. 4, vedi
oltre).
Da ricordare in questa sede, che il D.L. 272/2006172, nell’ambito di una ampia riforma
del testo unico sulla droga, all’art. 4-ter sostituisce l’art. 75 del D.P.R. 309/1990,
inserendo al co. 8 la previsione per cui lo straniero che incorre in condotte integranti
illeciti amministrativi (ossia acquista o detiene sostanze stupefacenti al di sotto dei limiti
quantitativi per i quali scatta la sanzione penale) è segnalato dalla polizia al questore per
le valutazioni di competenza in sede di rinnovo di permesso.
171
172
La Corte costituzionale, sentenza 12-27 luglio 2000, n. 376 ha dichiarato l’illegittimità di questa
disposizione nella parte in cui non estende il divieto di espulsione al marito convivente della
donna in stato di gravidanza o nei sei mesi successivi alla nascita del figlio.
D.L. 30 dicembre 2005, n. 272 (conv. con mod. in L. 21 febbraio 2006, n. 49), Misure urgenti
per garantire la sicurezza ed i finanziamenti per le prossime Olimpiadi invernali, nonché la
funzionalità dell’Amministrazione dell’interno. Disposizioni per favorire il recupero di
tossicodipendenti recidivi.
132
CONTRASTO DELL’IMMIGRAZIONE CLANDESTINA
Il nulla osta dell’autorità giudiziaria
Qualora lo straniero sia sottoposto a procedimento penale, l’esecuzione del
provvedimento di espulsione è eseguita previo nulla osta dell’autorità giudiziaria
che può essere negato in presenza di inderogabili esigenze processuali. Nel
caso di arresto in flagranza o di fermo il giudice rilascia il nulla osta al momento
della convalida. In dettaglio:
ƒ non si dà luogo all’espulsione se lo straniero sottoposto a procedimento
penale si trova in stato di custodia cautelare in carcere; una volta estinta o
revocata la misura di custodia il giudice rilascia il nulla osta (co. 3 e 3-ter);
ƒ le “inderogabili esigenze processuali” vanno valutate in relazione
all’accertamento di responsabilità di eventuali concorrenti nel reato e
all’interesse della persona offesa (co. 3);
ƒ una volta disposta l’espulsione in pendenza di giudizio, il giudice è tenuto a
pronunciare sentenza di non luogo a procedere (co. 3-quater);
ƒ la sentenza di non luogo a procedere non impedisce l’esercizio dell’azione
penale per il medesimo fatto a carico dello straniero espulso, qualora questi
rientri illegalmente, ai sensi dell’art. 345 del codice di procedura penale (co. 3sexies).
L’esecuzione dell’espulsione
Se il provvedimento di espulsione è stabilito dal prefetto o dal ministro
dell’interno, l’esecuzione dell’espulsione è disposta con atto del questore.
L’articolo 13 del testo unico prevede che l’espulsione sia eseguita di regola
mediante l’intimazione a lasciare il territorio dello Stato (comma 4) o,
esclusivamente in presenza di precise circostanze, tramite accompagnamento
alla frontiera da parte della forza pubblica.
La modalità di espulsione con intimazione a lasciare il territorio dello Stato è
riservata agli immigrati irregolari il cui permesso di soggiorno è scaduto da oltre
60 giorni e non ne è stato chiesto il rinnovo. È previsto però l’allontanamento
forzato in presenza di sospetti sulla effettiva volontà del soggetto ad ottemperare
all’ordine.
Per le altre ipotesi di mancanza di un titolo di soggiorno valido – permesso
non richiesto o revocato o annullato – si dispone sempre l’allontanamento
forzato.
L’esecuzione del provvedimento del questore di allontanamento dal territorio
nazionale mediante accompagnamento da parte della forza pubblica è sottoposta
alla sua convalida da parte dell’autorità giudiziaria (art. 13, co. 5-bis, T.U.)
Il testo unico del 1998 nella sua formulazione originale era privo di un
sindacato giurisdizionale nei confronti del provvedimento di allontanamento. La
convalida
da
parte
dell’autorità
giudiziaria
dei
provvedimenti
di
133
SCHEDE DI APPROFONDIMENTO
accompagnamento alla frontiera è stata introdotta dal D.L. 51/2002173 al fine di
assicurare loro le garanzie previste dall’articolo 13 della Costituzione174.
In questo modo si è adeguato l’ordinamento giuridico all’orientamento della Corte
costituzionale (sen. 105 del 2001) che ha ritenuto contrario alla Costituzione il fatto che
l’immigrato clandestino sia allontanato dal territorio nazionale in virtù di un semplice
provvedimento amministrativo, emanato dal questore senza il vaglio della magistratura175.
In particolare, la Corte costituzionale ha dichiarato la non fondatezza della questione
assunta come più rilevante, ossia la lamentata violazione del principio della riserva della
giurisdizione da parte del testo unico nella parte in cui non prevede espressamente che
la decisione del giudice di convalida del provvedimento di trattenimento nel centro di
permanenza temporanea coinvolga anche il provvedimento prefettizio di espulsione con
accompagnamento alla frontiera, provvedimento a monte della decisione del
trattenimento. La Corte ha affermato che il controllo del giudice non si limita alla verifica
della sussistenza o meno dei presupposti che hanno portato alla decisione del
trattenimento, ma investe anche l’espulsione amministrativa nella sua specifica modalità
di esecuzione consistente nell’accompagnamento alla frontiera.
In realtà, come la Consulta non ha mancato di rilevare, i giudici rimettenti ponevano
anche la questione di legittimità costituzionale del provvedimento di accompagnamento in
sé, a prescindere se ad esso segua o meno il trattenimento, in quanto la legge non
prevede la convalida di tale provvedimento da parte dell’autorità giudiziaria. Il giudice
costituzionale non ha considerato rilevante questa parte: tuttavia, ha affermato
decisamente che l’accompagnamento alla frontiera “inerisce alla materia regolata dall’art.
13 Cost., in quanto presenta quel carattere di immediata coercizione che qualifica, per
costante giurisprudenza costituzionale, le restrizioni della libertà personale e che vale a
differenziarle dalle misure incidenti solo sulla libertà di circolazione”. Tale posizione è
stata da più parti interpretata nel senso che, se le parti rimettenti avessero posto come
principale la questione, la Corte non avrebbe potuto esimersi dal dichiarare la illegittimità
costituzionale dell’art. 13, co. 4 e 5, del testo unico nella parte in cui non prevede
l’intervento del giudice a convalida del provvedimento di accompagnamento alla frontiera.
La norma introdotta dal D.L. 51 (art. 2) prevede – in caso di espulsione dello
straniero – la comunicazione immediata (e, comunque, entro 48 ore) da parte del
questore al tribunale monocratico competente, del provvedimento che dispone
l’accompagnamento alla frontiera. Da questo momento il provvedimento è
immediatamente esecutivo. Nelle successive 48 ore dalla comunicazione, il
tribunale verificata la sussistenza dei requisiti, convalida il provvedimento.
Tuttavia, la Corte costituzionale è intervenuta nuovamente sul punto con la
sentenza 222 del 2004, sanzionando la possibilità per il questore di disporre
173
174
175
D.L.. 4 aprile 2002, n. 51, Disposizioni urgenti recanti misure di contrasto all’immigrazione
clandestina e garanzie per soggetti colpiti da provvedimenti di accompagnamento alla frontiera
(conv. con mod. in L. 7 giugno 2002, n. 106).
In particolare, il secondo co. dell’art. 13 Cost. vieta qualsiasi restrizione della libertà personale
“se non per atto motivato dell’autorità giudiziaria e nei soli casi e modi previsti dalla legge”.
Tale motivazione si legge nel Comunicato della Presidenza del Consiglio relativo al Consiglio
dei ministri che ha approvato il decreto-legge (28 marzo 2002) ed è ribadita nella relazione
illustrativa del d.d.l. di conversione A.C. 2608.
134
CONTRASTO DELL’IMMIGRAZIONE CLANDESTINA
l’accompagnamento alla frontiera prima di un controllo ai fini della convalida da
parte dell’autorità giudiziaria.
La Corte ha ritenuto che tale norma privi lo straniero di una effettiva tutela
giurisdizionale poiché risulta eliminato l’effettivo controllo del giudice sul provvedimento
concernente la libertà personale: lo straniero viene espulso, infatti, prima che il giudice
abbia potuto pronunciarsi sul provvedimento restrittivo della libertà personale, così
vanificando la garanzia di cui all’art. 13, terzo comma, Cost.
La disposizione è stata ritenuta illegittima anche in quanto non prevede che il giudizio
di convalida debba svolgersi in contraddittorio e con le garanzie delle difesa. Il
procedimento infatti non contempla alcuna contestazione o audizione dell’interessato, né
qualsivoglia forma di contraddittorio o difesa, così da riservare al giudice un controllo
puramente formale sul decreto. Inoltre il medesimo provvedimento del questore – fa
notare la Corte – è immediatamente esecutivo e non è prevista alcuna forma di
opposizione avverso lo stesso, né alcuna possibilità di sospensione da parte dell’autorità
giudiziaria.
Si è reso così necessario un nuovo intervento normativo realizzato con il D.L.
241/2004176 che ha stabilito la sospensione dell’esecuzione del
provvedimento del questore di allontanamento fino alla sua convalida.
Inoltre, la competenza passa dal giudice monocratico al giudice di pace (art. 1,
co. 1 del D.L. 241/2004 che modifica l’art. 13, co. 5-bis del T.U. e aggiunge il co.
5-ter)177.
L’udienza per la convalida si svolge in camera di consiglio con la partecipazione
necessaria di un difensore. La convalida è disposta con decreto motivato entro le 48 ore
successive, verificando il rispetto dei termini, la sussistenza dei requisiti previsti dallo
stesso art. 13 del T.U. per l’espulsione e sentito l’interessato. In attesa della decisione del
giudice, lo straniero è trattenuto in uno dei centri di permanenza temporanea e di
assistenza, a meno che si possa procedere al giudizio nell’immediatezza, senza dover
ricorrere all’invio nei centri. Il provvedimento del questore diviene esecutivo se la
convalida è concessa ma perde ogni effetto sia in caso di convalida negata dal giudice,
sia in caso di mancata decisione del giudice nel termine previsto.
Contro il decreto del giudice che dispone la convalida è esperibile ricorso per
Cassazione; tuttavia il ricorso non determina ulteriori effetti sospensivi sul provvedimento
di allontanamento: lo straniero colpito dal provvedimento di allontanamento può dunque
essere allontanato subito dopo la convalida, ferma la possibilità di proporre il ricorso dopo
che il provvedimento restrittivo è stato eseguito.
176
177
L. 14 settembre 2004, n. 241, Disposizioni urgenti in materia di immigrazione (conv. con mod. in
L. 12 novembre 2004, n. 271).
Secondo quanto sostenuto nella relazione illustrativa del d.d.l di conversione (A.S. 3107), il
significativo aggravio del carico di lavoro determinato dalla introduzione della udienza di
convalida dell’accompagnamento alla frontiera ha indotto il Governo a una complessiva
rimeditazione della competenza sulla convalida e ad optare per la scelta di sollevare il Tribunale
da tale incombenza, attribuendo l’intera materia al giudice di pace (anche con riguardo alla
convalida del trattenimento nei centri di permanenza temporanea ed al ricorso avverso il
decreto di espulsione, su cui si v. infra).
135
SCHEDE DI APPROFONDIMENTO
A tale proposito va peraltro segnalato che l’articolo 2 del D.L. 249/2007, poi
decaduto, riprendendo il testo dell’art. 1-ter del D.L. 181/2007 (anch’esso
decaduto), introdotto nel corso dell’esame al Senato, trasferisce al tribunale
ordinario in composizione monocratica le competenze riconosciute al giudice
di pace dal testo unico sull’immigrazione (vedi capitolo Diritto di circolazione dei
cittadini UE, nel dossier 1/1 parte seconda).
Il ricorso avverso il provvedimento di espulsione
Avverso il decreto di espulsione può essere presentato unicamente il ricorso
al giudice di pace del luogo in cui ha sede l’autorità che ha disposto
l’espulsione.
Il ricorso può essere presentato anche all’estero presso la rappresentanza
diplomatica o consolare nel Paese di destinazione dello straniero espulso.
Non vi è l’obbligo di sentire l’interessato prima di decidere sul ricorso.
Il termine di presentazione del ricorso è di 60 giorni dalla comunicazione
all’interessato. Il giudice ha 20 giorni di tempo dal deposito del ricorso per
decidere sul ricorso stesso.
Contro il decreto di espulsione disposto dal ministro dell’interno per motivi di
ordine pubblico o di sicurezza dello Stato, è ammesso ricorso al tribunale
amministrativo regionale del Lazio (art. 13, co. 11, T.U.).
Le sanzioni alle violazioni delle disposizioni in materia di espulsione
All’espulsione si accompagna il divieto di rientrare nel territorio dello Stato,
salva speciale autorizzazione del ministro dell’interno, per un periodo che di
norma è pari a dieci anni, ma che può essere di misura inferiore, sino a un
minimo di cinque anni. L’eventuale termine più breve può essere previsto nel
decreto di espulsione (art. 13, co. 14, T.U.).
L’interdizione al reingresso può diventare perpetua: infatti il testo unico indica
come condizioni ostative all’ottenimento del visto di ingresso la condanna ad uno
di una serie di gravi reati indicati dall’art. 4, co., 3.
La trasgressione del divieto di reingresso è sanzionata penalmente.
Il meccanismo sanzionatorio previsto dal testo unico (modificato dalla L.
189/2002 e dal D.L. 2412004) si articola come segue.
Innanzitutto, si distinguono due fattispecie: il reingresso e l’inadempienza
all’ordine di allontanamento (quest’ultimo in caso ovviamente di espulsione
tramite intimazione ad abbandonare il territorio dello Stato).
La fattispecie generale di reato di reingresso nel territorio dello Stato prima
della scadenza del divieto è punito con la pena, da 1 a 4 anni e con una nuova
espulsione con accompagnamento immediato alla frontiera (art. 13, co. 13, T.U.).
136
CONTRASTO DELL’IMMIGRAZIONE CLANDESTINA
Nel caso di espulsione disposta da giudice la pena per il reingresso è più alta:
da 1 a 5 anni (art. 13, co. 13-bis, primo periodo).
Un aggravio della pena è previsto anche per lo straniero recidivo che, già
denunciato per il reato di reingresso prima della scadenza del divieto e
nuovamente espulso, è rientrato illegalmente per la seconda volta nel territorio
nazionale. In questo caso la pena è la stessa della fattispecie precedente
(minimo 1 anno, massimo 5 (co. 13-bis, secondo periodo).
La seconda fattispecie, l’inadempienza all’ordine di allontanamento, è
prevista nell’ipotesi di espulsione tramite intimazione del questore a lasciare il
territorio nazionale per lo straniero che non sia stato possibile trattenere in un
centro di permanenza temporanea, ovvero per il quale sono scaduti i termini di
permanenza nel centro (art. 14, co. 5-bis). In caso di inadempienza si prevedono
due ipotesi distinte (art. 14, co. 5-ter e co. 5-quater):
ƒ se la violazione è compiuta da coloro che erano stati espulsi in quanto
clandestini, delinquenti abituali o con permesso di soggiorno scaduto,
annullato o non rinnovato senza valido motivo, la pena è fissata nella
reclusione da 1 a 4 anni. In caso di recidiva la pena massima è aumentata a 5
anni;
ƒ se, invece, lo straniero era stato espulso semplicemente per la scadenza da
più di 60 giorni del permesso di soggiorno è prevista la pena dell’arresto da 6
mesi ad un anno. Se recidivo, la pena è da 1 a 4 anni.
La Corte costituzionale - chiamata ad esprimersi sulla legittimità costituzionale sul
pena prevista per il reato di trattenimento, senza giustificato motivo, nel territorio dello
Stato in violazione dell’ordine di allontanamento impartito dal questore - ha messo in
rilievo alcuni squilibri e disarmonie dell’apparato sanzionatorio delle violazioni alle regole
che presiedono all’ingresso e alla permanenza degli stranieri “tali da rendere
problematica la verifica della compatibilità con i principi costituzionali di uguaglianza e di
proporzionalità della pena e con la finalità rieducativa della stessa”. La Corte ha, inoltre,
rilevato l’opportunità dell’intervento del legislatore volto ad eliminare tali squilibri
(sentenza 22/2007).
I centri di permanenza temporanea e accoglienza
Nel quadro delle misure sanzionatorie disposte per la violazione delle norme
sull’immigrazione il testo unico ha previsto l’istituzione di appositi centri di
permanenza temporanea e accoglienza (CPTA) da costituire con decreto del
ministro dell’interno (art. 14 T.U.).
Il centri costituiscono lo strumento per trattenere lo straniero quando non è
possibile, per motivi contingenti, eseguire immediatamente il respingimento alla
frontiera o l’espulsione mediante accompagnamento alla frontiera. Il testo unico
indica tassativamente i motivi che consentono il trattenimento:
ƒ necessità di prestare soccorso;
ƒ accertamento dell’identità o nazionalità dello straniero;
137
SCHEDE DI APPROFONDIMENTO
ƒ acquisizione dei documenti per il viaggio;
ƒ indisponibilità di un mezzo di trasporto idoneo per l’espulsione;
E’ prevista una ulteriore ipotesi per lo straniero in attesa della definizione del
procedimento di convalida che deve essere trattenuto in uno dei centri, a meno
che non si possa procedere immediatamente alla convalida (art. 13, co. 5-bis).
Il trattenimento è disposto con provvedimento del questore per un periodo di
30 giorni, prorogabile, su richiesta del questore e solo in presenza di gravi
difficoltà, di altri 30 giorni.
Anche questo atto, in quanto incidente sulla libertà di circolazione del cittadino
straniero, è sottoposto a verifica giurisdizionale (convalida), come il
provvedimento del questore di accompagnamento alla frontiera (di cui all’art. 12,
co. 5-bis, vedi sopra).
Il questore è tenuto, perciò, a trasmettere immediatamente e comunque entro
48 copia degli atti all’autorità giudiziaria (giudice di pace) ai fini della sua
convalida.
L’udienza di convalida si svolge in camera di consiglio con la presenza
necessaria di un difensore e l’interessato, tempestivamente informato e condotto
nel luogo in cui il giudice tiene l’udienza, se compare, viene sentito. La decisione
deve essere assunta dal giudice nelle 48 ore successive, con decreto motivato,
verificato il rispetto dei termini e la sussistenza dei requisiti di cui agli articoli 13 e
14 del testo unico.
Il provvedimento del questore cessa di avere effetto se la convalida viene
negata o se il giudice non decide nel termine summenzionato di 48 ore.
La disposizione prevede infine la possibilità che la convalida in questione sia
disposta contestualmente alla convalida del decreto di accompagnamento alla
frontiera o in sede di esame del ricorso avverso il decreto di espulsione.
La verifica delle condizioni di vita nei centri di permanenza temporanea e assistenza
(CPTA), anche in vista della loro riforma, è stato l’obiettivo principale di una speciale
commissione d’indagine sui CPTA istituita dal ministro dell’interno nel luglio 2006 e
presieduta dall’ambasciatore Staffan de Mistura.
La Commissione ha concluso i suoi lavori nel gennaio 2007 con la pubblicazione di un
dettagliato rapporto, in cui si propone il “superamento” dei CPTA attraverso un processo
di svuotamento di tutte le categorie di persone per le quali non c’è necessità di
trattenimento178.
Il Governo è intervenuto in questa direzione con alcuni provvedimenti amministrativi.
Innanzitutto, sono stati chiusi i centri di Brindisi, Crotone e Ragusa e si è avviato un
approfondito studio sulle altre strutture, in vista di ulteriori, eventuali, soppressioni o
riqualificazione. Saranno adottati, inoltre, nuovi criteri per l’accesso ai Centri, garantendo
la più ampia trasparenza e conoscenza dell’attività e dei servizi resi agli ospiti e sono
178
Commissione per le verifiche e le strategie dei centri per gli immigrati, Rapporto conclusivo, 31
gennaio 2007, p. 25.
138
CONTRASTO DELL’IMMIGRAZIONE CLANDESTINA
previsti progetti di riqualificazione dei Centri di accoglienza (CDA) finalizzati al
miglioramento degli standards attuali di ospitalità179.
Inoltre, sono state avviate nuove procedure che, attraverso una più stretta
collaborazione tra le autorità carcerarie e le forze di polizia, consentono l’espletamento di
tutte le pratiche necessarie all’identificazione durante la permanenza in carcere degli
extracomunitari, mentre in precedenza l’identificazione avveniva prevalentemente nei
CPTA180.
Attualmente sono operativi i centri di permanenza temporanea e assistenza localizzati
a Torino, Milano, Bologna, Modena, Roma, Lecce, Lametia Terme, Caltanissetta,
Agrigento, Lampedusa, Trapani.
L’espulsione per motivi di prevenzione del terrorismo
L’art. 3, co. 1 del D.L. 144/2005 (emanato dopo gli attentati del 7 luglio a
Londra) ha introdotto una nuova ipotesi di espulsione amministrativa, sottoposta
in parte ad un regime diverso da quello previsto dal testo unico.
Essa può essere disposta dal ministro dell’interno, o, su sua delega, dal
prefetto nei confronti dello straniero qualora ricorra una delle seguenti
condizioni:
ƒ il destinatario appartenga ad una delle categorie di cui all’art. 18 della L.
152/1975181;
ƒ vi siano fondati motivi di ritenere che la permanenza del destinatario nel
territorio dello Stato possa in qualsiasi modo agevolare organizzazioni o
attività terroristiche, anche internazionali.
Le categorie di cui all’art. 18 della L. 152/1975182 comprendono coloro che:
1. operanti in gruppi o isolatamente, pongano in essere atti preparatori, obiettivamente
rilevanti, diretti a sovvertire l’ordinamento dello Stato, con la commissione di uno dei
delitti elencati dal citato art. 18183, nonché alla commissione dei reati con finalità di
terrorismo anche internazionale;
2. abbiano fatto parte di associazioni politiche disciolte ai sensi della L. 645/1952184
(concernente la riorganizzazione del disciolto partito fascista) e nei confronti dei quali
debba ritenersi, per il comportamento successivo, che continuino a svolgere una
attività analoga a quella precedente;
179
180
181
182
183
184
I provvedimenti sono stati adottati con due direttive del Ministro dell’interno del 24 aprile 2007.
Direttiva del Ministro dell’interno e del Ministro della giustizia 24 luglio 2007.
L. 22 maggio 1975, n. 152, Disposizioni a tutela dell’ordine pubblico.
Il citato art. 18 della L. 152/1975 ha esteso a tali categorie di soggetti la disciplina di cui alla L.
575/1965, recante disposizioni contro la mafia.
Si tratta dei reati previsti dal capo I, titolo VI, del libro II (delitti di comune pericolo mediante
violenza) e dagli artt. 284 (Insurrezione armata contro i poteri dello Stato), 285 (Devastazione,
saccheggio e strage), 286 (Guerra civile), 306 (Banda armata: formazione e partecipazione),
438 (Epidemia), 439 (Avvelenamento di acque o di sostanze alimentari), 605 (Sequestro di
persona) e 630 (Sequestro di persona a scopo di rapina o di estorsione) del codice penale.
L. 20 giugno 1952, n. 645, Norme di attuazione della XII disposizione transitoria e finale
(comma primo) della Costituzione.
139
SCHEDE DI APPROFONDIMENTO
3. compiano atti preparatori, obiettivamente rilevanti, diretti alla ricostituzione del partito
fascista ai sensi dell’art. 1 della citata L. 645/1952, in particolare con l’esaltazione o la
pratica della violenza;
4. fuori dei casi sin qui indicati, siano stati condannati per uno dei delitti in materia di armi
previsti nella L. 895/1967185 e negli artt. 8 e seguenti della L. 497/1974186, quando
debba ritenersi, per il loro comportamento successivo, che siano proclivi a
commettere un reato della stessa specie col fine indicato nel precedente n. 1.
Agli appartenenti alle categorie sin qui illustrate sono equiparati i relativi istigatori,
mandanti e finanziatori (è definito finanziatore colui il quale fornisce somme di denaro o
altri beni, conoscendo lo scopo a cui sono destinati).
Il co. 2 dell’art. 3 dispone che l’espulsione sia eseguita immediatamente,
salvo che si tratti di persona detenuta, anche in deroga a quanto previsto
dall’art. 13, co. 3 e 5-bis, del T.U. in materia di immigrazione, prescindendo cioè
sia dal nulla osta dell’autorità giudiziaria richiesto per l’esecuzione
dell’espulsione dello straniero sottoposto a procedimento penale, sia dal
procedimento giurisdizionale di convalida (di competenza del giudice di pace) al
quale è di norma condizionata l’esecuzione del provvedimento del questore di
allontanamento dal territorio nazionale mediante accompagnamento alla
frontiera.
Ai sensi del medesimo comma, la disciplina testé illustrata si applica anche
nei casi in cui l’espulsione è disposta dal ministro dell’interno per motivi di
ordine pubblico o di sicurezza dello Stato, ai sensi dell’art. 13, co. 1 del T.U.
Il successivo co. 3 consente al prefetto di omettere, sospendere o revocare
il provvedimento di espulsione previsto in caso di ingresso o permanenza
irregolare dello straniero nel territorio nazionale e nelle altre fattispecie di cui
all’art. 13, co. 2, del T.U..
ƒ quando sussistono le condizioni per il rilascio del permesso di soggiorno a
fini investigativi, introdotto dall’art. 2 del medesimo D.L. 144/2005, ovvero
ƒ quando sia necessario per l’acquisizione di notizie concernenti la
prevenzione di attività terroristiche, ovvero per la prosecuzione delle indagini
o delle attività informative dirette alla individuazione o alla cattura dei
responsabili dei delitti commessi con finalità di terrorismo.
Anche in questo caso, il prefetto informa preventivamente il ministro
dell’interno.
Ai sensi del co. 4, contro i decreti di espulsione di cui al co. 1 è ammesso
ricorso al tribunale amministrativo competente per territorio. È espressamente
escluso (co. 4-bis) che il ricorso giurisdizionale sospenda l’esecuzione del
provvedimento di espulsione o che in sede giurisdizionale (sia dinanzi al TAR, sia
dinanzi al Consiglio di Stato) possa comunque disporsi la sospensione
dell’esecuzione in via cautelare.
185
186
L. 2 ottobre 1967, n. 895, Disposizioni per il controllo delle armi.
L. 14 ottobre 1974, n. 497, Nuove norme contro la criminalità.
140
CONTRASTO DELL’IMMIGRAZIONE CLANDESTINA
L’art. 3, co. 5 prevede invece che il procedimento dinanzi al TAR sia
sospeso quando la decisione dipenda dalla cognizione di atti per i quali sussiste
il segreto d’indagine o il segreto di Stato; la sospensione dura fino a quando
l’atto o i contenuti essenziali dello stesso non possono essere comunicati al
tribunale amministrativo. Se la sospensione si protrae per più di due anni, il TAR
può tuttavia fissare un termine entro il quale l’amministrazione è tenuta a
produrre nuovi elementi per la decisione o a revocare il provvedimento
impugnato. Decorso il termine, il TAR decide allo stato degli atti.
La medesima procedura è estesa al giudizio amministrativo dinanzi al TAR del
Lazio su ricorso contro il decreto di espulsione disposto dal ministro dell’interno
per motivi di ordine pubblico o di sicurezza dello Stato, ex art. 13, co. 1 del T.U..
Il co. 6 ha posto peraltro un termine finale di efficacia alle disposizioni di cui
ai commi 2 e 5 dell’articolo in esame, testé illustrate, disponendo che esse
trovassero applicazione sino al 31 dicembre 2007.
Il co. 7 dell’art. 3 ha infine soppresso il comma 3-sexies dell’art. 13 del T.U.
sull’immigrazione, che vietava la concessione del nulla osta all’espulsione dello
straniero sottoposto a procedimento penale qualora si proceda per delitti previsti
dall’art. 407, co. 2, lett. a), c.p.p.187, nonché per i delitti concernenti le
immigrazioni clandestine di cui all’art. 12 del T.U. medesimo.
L’espulsione disposta dal giudice
L’ordinamento considera diverse ipotesi di espulsione disposta dall’autorità
giudiziaria.
Il codice penale prevede l’espulsione a titolo di misura di sicurezza – ossia
da eseguire dopo l’esecuzione della pena188 – in due casi:
187
188
Si tratta delle seguenti fattispecie:
1) delitti di cui agli artt. 285, 286, 416-bis e 422 c.p.;
2) delitti consumati o tentati di cui agli artt. 575, 628, terzo comma, 629, secondo comma, e 630
c.p.;
3) delitti commessi avvalendosi delle condizioni previste dall’art. 416-bis c.p. ovvero al fine di
agevolare l’attività delle associazioni previste dallo stesso articolo;
4) delitti commessi per finalità di terrorismo o di eversione dell’ordinamento costituzionale per i
quali la legge stabilisce la pena della reclusione non inferiore nel minimo a cinque anni o nel
massimo a dieci anni, nonché delitti di cui agli artt. 270, terzo comma e 306, secondo comma,
c.p.;
5) delitti di illegale fabbricazione, introduzione nello Stato, messa in vendita, cessione,
detenzione e porto in luogo pubblico o aperto al pubblico di armi da guerra o tipo guerra o parti
di esse, di esplosivi, di armi clandestine nonché di più armi comuni da sparo escluse quelle
previste dall’art. 2, comma terzo, della L. 110/1975;
6) delitti di cui agli artt. 73, limitatamente alle ipotesi aggravate ai sensi dell’art. 80, co. 2, e 74
del T.U. sugli stupefacenti (D.P.R. 309/1990), e successive modificazioni;
7) delitto di cui all’art. 416 c.p. nei casi in cui è obbligatorio l’arresto in flagranza;
7-bis) delitti previsti dagli artt. 600, 600-bis, co. 1, 600-ter, co. 1, 601, 602, 609-bis nelle ipotesi
aggravate previste dall’art. 609-ter, 609-quater, 609-octies c.p..
L’art. 211 c.p. stabilisce che le misure di sicurezza sono aggiuntive alla pena: se la pena è
detentiva sono eseguite dopo che la pena è scontata o in ogni caso estinta; se la pena non è
141
SCHEDE DI APPROFONDIMENTO
ƒ condanna alla reclusione per un tempo non inferiore a dieci anni (art. 235 del
codice penale);
ƒ condanna a una pena restrittiva della libertà personale per uno dei delitti
contro la personalità dello Stato (art. 312 del codice penale).
Il testo unico ha esteso la possibilità di applicare allo straniero l’espulsione
quale misura di sicurezza a tutti reati per i quali è previsto l’arresto, anche
facoltativo, in caso di flagranza indicati dagli art. 380 e 381 del codice di
procedura penale189 (art. 15 del testo unico). Il giudice può applicare tale misura,
che è facoltativa, solo previo accertamento della pericolosità sociale
dell’individuo.
L’espulsione quale misura di sicurezza è prevista, inoltre, in caso di condanna
per uno dei delitti legati al traffico di stupefacenti (art. 86 del testo unico in
materia di stupefacenti190).
A differenza dell’espulsione quale misura di sicurezza, che si applica dopo
l’esecuzione della pena, di cui costituisce un inasprimento, l’espulsione a titolo
di sanzione sostitutiva o alternativa, si applica in luogo della pena.
Quanto all’espulsione a titolo di sanzione sostitutiva delle detenzione, l’art.
16 del testo unico sull’immigrazione dispone che il giudice, al momento della
sentenza di condanna per reato non colposo, quando ritiene di dover irrogare
una pena detentiva contenuta entro i due anni, può decidere di sostituire la pena
medesima con l’espulsione per un periodo di almeno cinque anni. È, dunque,
anch’essa una misura facoltativa, la cui adozione spetta al giudice, e può essere
applicata anche in caso di sentenza di applicazione della pena su richiesta delle
parti, ai sensi dell’art. 444 c.p.p. (il cosiddetto “patteggiamento”)191.
L’ambito di applicazione dalla misura sostitutiva non comprende gli stranieri
extracomunitari legittimamente presenti sul territorio dello Stato, bensì
unicamente quelli che si trovano in una delle situazioni passibili di espulsione
amministrativa da parte del prefetto ai sensi dell’art. 13, co. 2: irregolari,
clandestini e delinquenti abituali.
189
190
191
detentiva, le misure di sicurezza sono eseguite dopo che la sentenza di condanna è diventata
irrevocabile.
L’art. 380 c.p.p. prevede l’arresto obbligatorio di chiunque è colto in flagranza di un delitto non
colposo, consumato o tentato, per il quale la legge stabilisce la pena dell’ergastolo o della
reclusione non inferiore nel minimo a cinque anni e nel massimo a venti anni. L’arresto in
flagranza è facoltativo (art. 381 c.p.p.) per i delitti non colposi per i quali la legge stabilisce la
pena della reclusione superiore nel massimo a tre anni ovvero di delitti colposi per i quali la
legge stabilisce la pena della reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni.
D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti
e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza.
La disposizione ricalca da vicino la disciplina generale delle sanzioni sostitutive delle pene
detentive brevi introdotte nell’ordinamento penale italiano dalla L. 689/1981 che ha dato la
facoltà al giudice, nel pronunciare la sentenza di condanna, di sostituire pene brevi di due anni,
un anno e sei mesi, rispettivamente con la semidetenzione, la libertà controllata e la pena
pecuniaria (art. 53).
142
CONTRASTO DELL’IMMIGRAZIONE CLANDESTINA
Non può, inoltre, essere applicata qualora non ricorrano le condizioni per la
concessione della sospensione condizionale della pena (ai sensi dell’art. 163
c.p.) o nel caso sia impossibile eseguire immediatamente l’espulsione per le
stesse cause (di cui all’art. 14, co. 1) che obbligano il trattenimento nei centri di
permanenza (mancanza di documenti, indisponibilità di mezzi di trasporto ecc.).
La L. 189/2002 ha aggiunto due nuove cause ostative all’adozione della
misura sostitutiva che ne restringono ulteriormente la possibilità di applicazione,
si tratta di:
ƒ condanna di delitti particolarmente gravi (di cui all’art. 407, co. 2, lett. b)
c.p.p.);
ƒ condanna per uno dei delitti previsti dal testo unico.
La sanzione sostitutiva è revocata nel caso di reingresso illegale prima del
termine di 10 anni previsto in linea generale dall’art. 13, co. 14.
A differenza dell’espulsione sostitutiva, applicata discrezionalmente dal
giudice, anche su richiesta delle parti, al momento della pronuncia della sentenza
di condanna, l’espulsione quale sanzione alternativa è automatica e si applica
dopo la condanna, nel caso dello straniero detenuto che deve scontare una
pena, anche residua, non superiore ai due anni.
Sono escluse le condanne per i reati particolarmente gravi, come per la
sanzione sostitutiva, e quelle per tutti i reati in materia di immigrazione previsti
dal testo unico.
Anche l’espulsione a titolo di sanzione alternativa non riguarda gli stranieri
legittimamente presente nel territorio italiano, bensì gli immigrati clandestini e gli
irregolari.
L’attuazione della normativa comunitaria in materia di espulsione
In virtù della Convenzione di applicazione dell’Accordo di Schengen192, il
provvedimento di espulsione comporta l’inserimento del nome dello straniero nel
Sistema d’informazione Schengen ai fini della non ammissione nell’area
Schengen.
192
Ratificato dall’Italia con la L. 30 settembre 1993, n. 388, Ratifica ed esecuzione: a) del
protocollo di adesione del Governo della Repubblica italiana all’accordo di Schengen del 14
giugno 1985 tra i Governi degli Stati dell’Unione economica del Benelux, della Repubblica
federale di Germania e della Repubblica francese relativo all’eliminazione graduale dei controlli
alle frontiere comuni, con due dichiarazioni comuni; b) dell’accordo di adesione della
Repubblica italiana alla convenzione del 19 giugno 1990 di applicazione del summenzionato
accordo di Schengen, con allegate due dichiarazioni unilaterali dell’Italia e della Francia,
nonché la convenzione, il relativo atto finale, con annessi l’atto finale, il processo verbale e la
dichiarazione comune dei ministri e Segretari di Stato firmati in occasione della firma della citata
convenzione del 1990, e la dichiarazione comune relativa agli articoli 2 e 3 dell’accordo di
adesione summenzionato; c) dell’accordo tra il Governo della Repubblica italiana ed il Governo
della Repubblica francese relativo agli articoli 2 e 3 dell’accordo di cui alla lettera b); tutti atti
firmati a Parigi il 27 novembre 1990.
143
SCHEDE DI APPROFONDIMENTO
Il Sistema d’informazione Schengen (SIS) è un sistema comune di
informazione automatizzato gestito dai paesi aderenti all’accordo di Schengen
per la libera circolazione dei cittadini nei Paesi dell’Unione europea. Obiettivo del
SIS è di consentire alle autorità di controllo di disporre di segnalazioni di persone,
in occasione dei controlli di frontiera (art. 92).
Nella banca dati SIS sono inseriti anche i dati relativi agli stranieri che sono
stati espulsi, respinti o allontanati (art. 96).
Sono, inoltre, segnalati:
ƒ gli stranieri colpevoli di reati per cui è prevista una pena privativa di libertà di
almeno un anno;
ƒ gli stranieri sospettati di gravi reati, incluso il traffico di stupefacenti.
Le segnalazioni sono utilizzate ai fini della procedura di rilascio dei visti e dei
documenti di soggiorno e ad esse consegue la non ammissione nell’area
Schengen (art. 25).
Il sistema comporta l’efficacia in tutti gli Stati aderenti delle decisioni di
espulsione adottato da uno di essi, e costituisce una delle condizioni
indispensabili per la creazione di un effettivo spazio di libera circolazione.
Tuttavia, la varietà delle disposizioni nazionali relative alle modalità e ai criteri
delle espulsioni hanno reso necessario l’adozione di disposizioni comuni in
materia di allontanamento dei cittadini non comunitari in modo da consentire il
riconoscimento reciproco dei provvedimenti di espulsione.
Tali disposizioni sono contenute della direttiva 2001/40/CE recepita nel nostro
ordinamento con il D.Lgs. 10 gennaio 2005, n. 12193 che, in pratica, introduce una
nuova tipologia di allontanamento nell’ordinamento interno: l’espulsione a
seguito di misura di allontanamento presa da un altro Paese dell’area
Schenghen.
Il D.Lgs. 12/2005 individua nel prefetto l’autorità italiana cui compete
l’adozione del provvedimento di espulsione per attuare la decisione di
allontanamento adottata da un altro Stato membro. Mentre all’esecuzione
materiale dell’espulsione provvede il questore.
Per quanto riguarda le procedure di adozione del provvedimento prefettizio e
dell’esecuzione dell’espulsione, il D.Lgs. 12/2005 fa riferimento essenzialmente a
quelle del testo unico con alcune particolarità. Il prefetto può acquisire i
documenti dallo Stato autore della decisione relativi alla medesima decisione. Il
Dipartimento della pubblica sicurezza del Ministero dell’interno è tenuto ad
193
D.Lgs. 10 gennaio 2005, n. 12, Attuazione della direttiva 2001/40/CE relativa al riconoscimento
reciproco delle decisioni di allontanamento dei cittadini di Paesi terzi, emanato in attuazione
della delega recata nella L. 31 ottobre 2003, n. 306, Disposizioni per l’adempimento di obblighi
derivanti dall’appartenenza dell’Italia alle Comunità europee. Legge comunitaria 2003 (Allegato
A). L’attuazione della direttiva è avvenuto con ritardo. Il termine per il recepimento era, infatti,
fissato, al 2 dicembre 2002. Il 6 marzo 2003 la Commissione europea ha inviato all’Italia una
lettera di messa in mora per il mancato recepimento della direttiva 2001/40/CE. La direttiva
2001/40/CE figurava nell’allegato A della legge comunitaria per il 2001 (L. 1° marzo 2002, n.
39).
144
CONTRASTO DELL’IMMIGRAZIONE CLANDESTINA
effettuare ulteriori accertamenti sulla situazione dello straniero da espellere,
avvalendosi del Servizio per la cooperazione internazionale. Lo stesso Ministero
dell’interno provvede anche a comunicare allo Stato autore della decisione
l’avvenuta esecuzione dell’espulsione.
Contro il provvedimento di esecuzione è prevista la possibilità di ricorrere
all’autorità giudiziaria secondo le modalità previste per l’espulsione ai sensi del
testo unico (art. 13, co. 8).
Il Comitato Schengen
La legge 30 settembre 1993, n. 388, di ratifica dell’accordo di Schengen,
nonché della Convenzione di applicazione dell’accordo medesimo, prevede,
accanto alle disposizioni immediatamente attuative dei due trattati, l’istituzione
(art. 18) di un Comitato parlamentare incaricato di “esaminare l’attuazione ed il
funzionamento della Convenzione di applicazione dell’Accordo di Schengen”.
Dal punto di vista strutturale, ai sensi dell’art. 18, co. 2 della legge, il Comitato
è composto da 10 deputati e 10 senatori, nominati dai Presidenti di ciascuna
Camera in modo da rispecchiare la proporzione dei gruppi parlamentari. Il
Comitato elegge al suo interno, così come stabilisce il comma 3 dell’articolo 18,
un Presidente ed un Vicepresidente. Nel corso della XIII Legislatura, pur in
assenza di una specifica previsione in tal senso della legge istitutiva, si è
ritenuto, con l’assenso dei Presidenti delle Camere, di integrare la composizione
dell’Ufficio di Presidenza con l’elezione di un Segretario.
Dal punto di vista delle competenze e delle funzioni, i commi 4, 5 e 6 dell’art.
18 dispongono che il Comitato parlamentare esamini i progetti di decisione,
vincolanti per l’Italia, pendenti innanzi al Comitato esecutivo contemplato dal
Titolo VII della citata Convenzione.
A tal fine, il rappresentante del Governo italiano, chiesto eventualmente al
Comitato esecutivo il rinvio della decisione a norma dell’art. 132, paragrafo 3,
della Convenzione, trasmette immediatamente il progetto di decisione al
Comitato parlamentare. Questo esprime il proprio parere vincolante entro
quindici giorni dalla data di ricezione del progetto; qualora il parere non venga
espresso entro tale termine, esso s’intende favorevole alla decisione.
Nella XV legislatura il Comitato ha svolto un’indagine conoscitiva
sull’immigrazione e l’integrazione che si è conclusa con l’approvazione di un
documento conclusivo il 19 febbraio 2008.
Inoltre, la I Commissione ha iniziato l’esame di una proposta di legge (A.C.
2808 Gozi ed altri) volta ad aggiornare le competenze del Comitato
parlamentare, che assumerebbe la denominazione di “Comitato parlamentare in
materia di immigrazione”.
L’iniziativa origina dal passaggio della materia Schengen dal quadro
intergovernativo a quello giuridico comunitario e dell’Unione europea, e dalla
145
SCHEDE DI APPROFONDIMENTO
necessità di raccordare le politiche nazionali in materia di libera circolazione,
controllo delle frontiere, cooperazione di polizia ed immigrazione con la
costruzione dello spazio europeo di libertà, sicurezza e giustizia (si veda anche il
capitolo Parlamento e sistema dei partiti, nel dossier 1/1, parte seconda).
L’espulsione per via aerea
Sempre nel corso della XV legislatura è stato emanato il decreto legislativo
24/2007194, recante il recepimento della direttiva 2003/110/CE, del 25 novembre
2003, che definisce alcune misure comuni in materia di assistenza tra le autorità
competenti qualora, nell’ambito dell’esecuzione di provvedimenti di espulsione
di cittadini stranieri effettuata per via aerea, si verifichi la necessità del transito
in altro Stato membro dell’Unione europea.
Il provvedimento lo scopo di stabilire le procedure necessarie per
un’organizzazione ottimale del transito dei cittadini di paesi terzi espulsi,
attraverso una notifica preventiva dello Stato membro richiedente delle
coordinate di viaggio dello straniero, con l’indicazione dell’aeroporto di transito,
della presenza della scorta e di ogni altra informazione utile per l’effettuazione
del transito.
Da segnalare, inoltre, l’emanazione del decreto legislativo 144/2007195,
anch’esso di attuazione di norme comunitarie, che introduce l’obbligo, per i
vettori aerei professionali, di comunicare anticipatamente i dati delle persone
trasportate alle autorità incaricate di svolgere i controlli di polizia di frontiera. Il
provvedimento si inserisce nel vasto insieme di misure finalizzate a migliorare i
controlli alle frontiere e a contrastare l’immigrazione illegale, ma al contempo,
presuppone il rispetto dei principi e delle garanzie previste in materia di tutela
delle persone fisiche riguardo al trattamento dei dati personali.
Gli accordi di riammissione e la “politica estera” dell’immigrazione
Uno degli strumenti che hanno reso possibile un’efficace azione di contrasto
all’immigrazione clandestina è stato la stipulazione, da parte del Governo
italiano, di una serie di accordi bilaterali in materia di immigrazione.
Si tratta, innanzitutto, degli accordi di riammissione degli stranieri irregolari,
previsti dal testo unico sull’immigrazione (art. 11, co. 4), volti ad ottenere la
collaborazione delle autorità del Paese straniero nelle operazioni di rimpatrio dei
migranti non regolari, espulsi dall’Italia o respinti al momento
dell’attraversamento della frontiera.
194
195
D.Lgs. 25 gennaio 2007, n. 24, Attuazione della direttiva 2003/110/CE, relativa all’assistenza
durante il transito nell’ambito di provvedimenti di espulsione per via aerea.
D.Lgs. 2 agosto 2007, n. 144, Attuazione della direttiva 2004/82/CE concernente l’obbligo per i
vettori aerei di comunicare i dati relativi alle persone trasportate.
146
CONTRASTO DELL’IMMIGRAZIONE CLANDESTINA
Con alcuni Paesi, e specificamente con quelli a più alta pressione migratoria,
sono stati perfezionati pacchetti di intese di portata più ampia che prevedono non
soltanto accordi di riammissione, ma anche intese di cooperazione di polizia,
nonché accordi in materia di lavoro. Nei decreti annuali sui flussi di ingresso
del lavoratori extracomunitari sono previste quote riservate per gli stranieri
provenienti da Paesi che hanno stretto tali accordi globali di cooperazione.
Si richiama, infine, la L. 228/2003 contro la tratta di persone, che affida al
ministro degli affari esteri il compito di definire le politiche di cooperazione nei
confronti dei Paesi interessati da tale reato tenendo conto della collaborazione da
essi prestata e dell’attenzione riservata dai medesimi alle problematiche della
tutela dei diritti umani e provvede ad organizzare, d’intesa con il ministro per le
pari opportunità, incontri internazionali e campagne di informazione anche
all’interno dei Paesi di provenienza delle vittime del traffico di persone (art. 14,
co. 1).
147
SCHEDE DI APPROFONDIMENTO
IMMIGRAZIONE
LE POLITICHE DI INTEGRAZIONE DEGLI STRANIERI
Il testo unico delle leggi sull’immigrazione del 1998196 disciplina sia il diritto
dell’immigrazione in senso stretto, ossia l’insieme delle regole e delle procedure
relative alla gestione complessiva dei flussi migratori, sia il diritto
all’integrazione, consistente nella predisposizione degli strumenti idonei per
garantire anche agli stranieri, per quanto è possibile, gli stessi diritti dei cittadini,
per rimuovere gli ostacoli all’effettivo esercizio di tali diritti e per favorire la loro
integrazione nella società.
Una disposizione di carattere generale è rinvenibile nell’art. 40, co. 1-bis,
introdotto dalla L. 189/2002, che circoscrive l’accesso alle misure di integrazione
sociale agli stranieri regolari.
Il testo unico contiene un articolato insieme di disposizioni volte a garantire
agli stranieri alcuni diritti attribuiti ai cittadini italiani, tra queste:
ƒ il diritto alla difesa in giudizio (art. 17);
ƒ il diritto all’unità familiare (ricongiungimenti familiari: artt. 28-29);
ƒ il diritto alla salute (artt. 34-35);
ƒ il diritto allo studio (art. 39);
ƒ il diritto alla casa (art. 40).
Il diritto all’unità familiare
Il D.Lgs. 286/1998 appresta, agli artt. 28 e seguenti, una specifica tutela del
diritto dello straniero, regolarmente soggiornante nel territorio dello Stato, a
mantenere l’unità del suo nucleo familiare, prevedendo la possibilità del
ricongiungimento, allorché ricorrano le condizioni di cui all’art. 29, a favore di
talune categorie di familiari. Specifiche disposizioni del testo unico (artt. 31-33)
prendono poi in esame la tutela dei minori, il cui prioritario interesse deve
sorreggere tutti i provvedimenti amministrativi e giurisdizionali in materia di diritto
all’unità familiare.
Nella XV legislatura la disciplina sul ricongiungimento è stata adeguata alla
normativa comunitaria ad opera del decreto legislativo 5/2007 (vedi la scheda
Ricongiungimento familiare, pag. 188).
Il diritto a mantenere o a riacquistare l’unità familiare nei confronti dei
familiari stranieri è riconosciuto dall’art. 28 agli stranieri in possesso di un titolo
legale di permanenza in Italia, ovvero: permesso di soggiorno CE di lungo
periodo (che ha durata indeterminata) o permesso di soggiorno di durata non
196
D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, Testo unico sull’immigrazione e sulla condizione dello straniero.
148
LE POLITICHE DI INTEGRAZIONE DEGLI STRANIERI
inferiore a un anno, rilasciato per lavoro subordinato o autonomo, per asilo, per
studio, per motivi religiosi, o per motivi familiari.
L’art. 29 individua le categorie di soggetti per i quali lo straniero regolarmente
soggiornante può avanzare richiesta di ricongiungimento familiare e i requisiti
necessari perché il questore possa rilasciare il relativo nulla osta (consistenti
nella disponibilità di un reddito sufficiente al sostentamento e di un alloggio
idoneo). Tali requisiti non sono richiesti nel caso di rifugiato.
Per quanto riguarda il primo profilo, il ricongiungimento può riguardare il
coniuge, i figli minori, i figli maggiorenni se non possono provvedere a loro stessi
e i genitori a carico che non dispongono di un adeguato sostentamento in patria.
Con riguardo al secondo profilo, lo straniero che richiede il ricongiungimento
deve dimostrare la disponibilità:
ƒ di un alloggio che soddisfi determinati requisiti di idoneità;
ƒ di un reddito annuo derivante da fonti lecite sufficiente al sostentamento del
nucleo familiare ampliato a seguito del ricongiungimento.
A condizione che ricorrano i requisiti di disponibilità di alloggio e di reddito
appena illustrati, si consente l’ingresso al seguito dello straniero titolare di
permesso di soggiorno, dei familiari con i quali è possibile attuare il
ricongiungimento.
È consentito inoltre l’ingresso, per ricongiungimento, al figlio minore
regolarmente soggiornante in Italia, del genitore naturale che dimostri, entro un
anno dall’ingresso in Italia, il possesso dei requisiti logistici e reddituali di cui
sopra, salvo che si tratti di straniero già espulso o del quale sia segnalato come
necessario il respingimento (ai sensi dell’art. 4, co. 6 del Testo unico).
Le competenze in materia di nulla osta al ricongiungimento familiare sono
conferite allo sportello unico per l’immigrazione (per un inquadramento della
struttura e delle funzioni degli sportelli unici si veda la scheda Permesso di
soggiorno e lavoro, pag. 117).
Sotto il profilo processuale, il testo unico affida al tribunale in composizione
monocratica la giurisdizione sui ricorsi avverso il diniego di nulla osta al
ricongiungimento familiare e, in generale, contro tutti i provvedimenti in materia di
diritto all’unità familiare (art. 30, co. 6 T.U.).
Si individua, inoltre, (art. 30) una particolare categoria di permesso di
soggiorno rilasciato per motivi familiari alle categorie di soggetti
espressamente individuate e con durata identica a quella del permesso di
soggiorno del familiare in possesso dei requisiti per il ricongiungimento.
Il permesso di soggiorno per motivi familiari è rilasciato:
149
SCHEDE DI APPROFONDIMENTO
ƒ allo straniero che ha fatto ingresso in Italia con visto di ingresso per ricongiungimento
familiare, ovvero con visto di ingresso al seguito del proprio familiare nei casi previsti
dall’articolo 29, ovvero con visto di ingresso per ricongiungimento al figlio minore;
ƒ agli stranieri regolarmente soggiornanti ad altro titolo da almeno un anno che abbiano
contratto matrimonio nel territorio dello Stato con cittadini italiani o di uno Stato
membro dell’Unione europea, ovvero con cittadini stranieri regolarmente
soggiornanti197;
ƒ al familiare straniero regolarmente soggiornante, in possesso dei requisiti per il
ricongiungimento con il cittadino italiano o di uno Stato membro dell’Unione europea
residenti in Italia, ovvero con straniero regolarmente soggiornante in Italia. In tal caso
il permesso del familiare è convertito in permesso di soggiorno per motivi familiari. La
conversione può essere richiesta entro un anno dalla data di scadenza del titolo di
soggiorno originariamente posseduto dal familiare. Qualora detto cittadino sia un
rifugiato si prescinde dal possesso di un valido permesso di soggiorno da parte del
familiare;
ƒ al genitore straniero, anche naturale, di minore italiano residente in Italia. In tal caso il
permesso di soggiorno per motivi familiari è rilasciato anche a prescindere dal
possesso di un valido titolo di soggiorno, a condizione che il genitore richiedente non
sia stato privato della potestà genitoriale secondo la legge italiana.
Il permesso di soggiorno per motivi familiari consente l’accesso ai servizi
assistenziali, l’iscrizione a corsi di studio o di formazione professionale,
l’iscrizione nelle liste di collocamento, lo svolgimento di lavoro subordinato o
autonomo.
Le disposizioni a favore dei minori (artt. 31-33) prevedono forme di
facilitazione all’ingresso dei medesimi nel territorio nazionale, consistenti nella
loro iscrizione automatica nel permesso o nella carta di soggiorno di uno o
entrambi i genitori (se conviventi e regolarmente soggiornanti) fino al
compimento del quattordicesimo anno di età. Al medesimo minore verrà in
seguito rilasciato un permesso di soggiorno per motivi familiari, valido fino al
raggiungimento della maggiore età, e che potrà essere successivamente
riconvertito in altra categoria di permesso.
Si prevede, inoltre, la possibilità di concedere anche ai minori stranieri di cui
non sono stati rintracciati i genitori (i cosiddetti minori non accompagnati) il
permesso di soggiorno per motivi familiari, a condizione che siano ammessi per
un periodo di almeno due anni in un progetto di integrazione gestito da enti
autorizzati.
Recentemente è intervenuta in materia la direttiva del Ministro dell’interno 4 aprile
2008, che in primo luogo consente al minore straniero, che al compimento della maggiore
età non decide immediatamente se proseguire gli studi o cominciare a lavorare, di
rinnovare il permesso di soggiorno per motivi familiari. Ciò naturalmente in
197
In tale fattispecie, il permesso di soggiorno è immediatamente revocato qualora sia accertato
che al matrimonio non è seguita l’effettiva convivenza salvo che dal matrimonio sia nata prole.
150
LE POLITICHE DI INTEGRAZIONE DEGLI STRANIERI
considerazione del fatto che i genitori o chi ne esercita la patria potestà, garantiscono per
lui e per il suo mantenimento.
In secondo luogo è previsto il rilascio di un permesso di soggiorno autonomo al
minore 14enne anche in mancanza di passaporto. Il permesso è valido fino ai 18 anni, al
compimento dei quali, dovrà essere convertito.
Infine vengono previsti interventi per i minori stranieri non accompagnati e presi in
carico da associazioni ed enti locali. A costoro, i questori potranno rilasciare, al
compimento dei 18 anni, un permesso di soggiorno, indipendentemente dalla durata della
sua presenza sul territorio nazionale, evitando così il rischio di espulsione.
Per far fronte alle diverse esigenze collegate alla presenza dei minori, l’art. 33
del testo unico ha istituito il Comitato per i minori stranieri, originariamente
operante presso la Presidenza del Consiglio, ed oggi presso il Ministero della
solidarietà sociale.
Il Comitato, disciplinato dal decreto del Presidente del Consiglio 535/1999198,
svolge compiti di vigilanza e coordinamento sulle modalità di soggiorno dei minori
stranieri temporaneamente ammessi sul territorio dello Stato e di tutela dei
relativi diritti.
Il Comitato per i minori stranieri, nominato con decreto del Presidente del Consiglio
dei Ministri, è composto dai seguenti rappresentanti:
ƒ uno del Ministero della solidarietà sociale, che presiede il Comitato
ƒ uno del Ministero degli Affari Esteri
ƒ uno del Ministero di Giustizia
ƒ uno del Ministero dell’Interno
ƒ uno dell’Unione province italiane
ƒ due dell’Associazione Nazionale Comuni Italiani
ƒ due di organizzazioni maggiormente rappresentative operanti nel settore dei problemi
della famiglia e dei minori.
Il comitato svolge la sua attività soprattutto in relazione ai “minori stranieri non
accompagnati” e “minori stranieri accolti”:
Per minori non accompagnati si intende i minorenni senza cittadinanza italiana (o di
altro Paese dell’Unione Europea) che non ha presentato domanda di asilo politico e che
si trova nel territorio dello Stato privo di assistenza e rappresentanza da parte dei genitori
o di altri adulti per lui legalmente responsabili.
In relazione ai minori non accompagnati, il Comitato svolge le seguenti attività:
accerta lo status del minore non accompagnato;
promuove l’individuazione dei familiari dei minori;
adotta il provvedimento di rimpatrio assistito;
provvede al censimento dei minori presenti non accompagnati.
Al minore non accompagnato sono garantiti i diritti relativi al soggiorno temporaneo,
alle cure sanitarie, all’avviamento scolastico e alle altre provvidenze disposte dalla
legislazione vigente.
Al fine di garantire l’adeguata accoglienza del minore il Comitato può proporre la
stipula di convenzioni con amministrazioni pubbliche e organismi nazionali e
ƒ
ƒ
ƒ
ƒ
198
D.P.C.M. 9 dicembre 1999, n. 535, Regolamento concernente i compiti del Comitato per i minori
stranieri, a norma dell’articolo 33, commi 2 e 2-bis, del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286.
151
SCHEDE DI APPROFONDIMENTO
internazionali che svolgono attività inerenti i minori non accompagnati in conformità ai
princìpi e agli obiettivi che garantiscono il superiore interesse del minore, la protezione
contro ogni forma di discriminazione, il diritto del minore di essere ascoltato.
I minori stranieri accolti sono bambini, di almeno sei anni, che hanno fatto ingresso
in Italia nell’ambito di programmi solidaristici di accoglienza temporanea promossi da enti,
associazioni o famiglie.
In relazione ai minori accolti, il Comitato:
ƒ delibera, previa adeguata valutazione e secondo criteri predeterminati, in ordine alle
richieste provenienti da enti, associazioni o famiglie italiane per l’ingresso di minori
accolti nell’ambito dei programmi solidaristici di accoglienza temporanea nonché per
l’affidamento temporaneo e per il rimpatrio dei medesimi;
ƒ provvede alla istituzione e alla tenuta dell’elenco dei minori accolti nell’ambito dei
programmi solidaristici;
ƒ definisce i criteri predeterminati di valutazione delle richieste per l’ingresso di minori
accolti.
Il diritto alla salute
Il testo unico garantisce una ampia assistenza sanitaria a tutti gli stranieri,
compresi coloro che non sono in regola con le norme relative all’ingresso e al
soggiorno.
Le disposizioni in materia sanitaria contenute nel testo unico (artt. 34-36), individuano le categorie di stranieri in capo ai quali è posto l’obbligo di iscrizione
al Servizio sanitario nazionale, con conseguente parità di trattamento e piena
uguaglianza di diritti e doveri rispetto ai cittadini italiani (specie in relazione
all’obbligo contributivo e all’assistenza erogata dal Servizio): si tratta degli
stranieri regolarmente soggiornanti che svolgono una attività lavorativa o che
abbiano chiesto il rinnovo del permesso di soggiorno e i familiari a carico. Al di
fuori di questi casi, lo straniero in posizione regolare è comunque tenuto ad
assicurarsi contro il rischio di malattie, infortunio e maternità, mediante la stipula
di una polizza assicurativa o mediante iscrizione al Servizio sanitario nazionale
con compartecipazione alla spesa sostenuta.
Per gli studenti stranieri e quelli collocati alla pari l’iscrizione al Servizio
sanitario è facoltativa e prevede la corresponsione di un contributo annuale
forfetario.
È prevista, infine, l’ipotesi dell’erogazione di prestazioni sanitarie agli stranieri
non iscritti al Servizio sanitario nazionale, con garanzia di fornitura dei servizi
sanitari essenziali che sono espressamente garantiti anche agli irregolari.
Il diritto all’istruzione
Il testo unico disciplina le condizioni e le forme in cui è consentito agli stranieri
regolarmente soggiornanti in Italia l’iscrizione agli ordini o collegi
professionali (art. 37).
152
LE POLITICHE DI INTEGRAZIONE DEGLI STRANIERI
L’art. 38 prevede che i minori stranieri presenti (per qualsiasi ragione) sul
territorio nazionale siano soggetti all’obbligo scolastico, e ad essi si applichino
tutte le disposizioni vigenti in materia di diritto all’istruzione, accesso ai servizi
educativi, partecipazione alla vita della comunità scolastica; ulteriori disposizioni
concernono le iniziative volte a garantire l’effettività del diritto allo studio, nonché
la realizzazione di un’offerta culturale valida per gli stranieri adulti regolarmente
soggiornanti199.
Per quanto riguarda l’istruzione superiore, i princìpi generali per l’accesso
degli studenti stranieri ai corsi delle università italiane sono disciplinati dall’art. 39
del testo unico e dall’art. 46 del regolamento di attuazione (D.P.R. 394/1999).
Viene sancita in via generale la parità di trattamento degli stranieri con i
cittadini italiani per quanto riguarda l’accesso all’istruzione universitaria ed il
diritto allo studio.
Agli stranieri residenti in Italia, il co. 5 dell’articolo consente l’accesso, a parità
di condizioni con gli studenti italiani, se titolari di permesso di soggiorno di lunga
durata, ovvero di permesso di soggiorno per lavoro subordinato o per lavoro
autonomo, per motivi familiari, per asilo politico, per asilo umanitario, o per motivi
religiosi, ovvero se regolarmente soggiornanti da almeno un anno e in possesso
di titolo di studio superiore conseguito in Italia.
L’accesso alle università italiane degli studenti stranieri residenti all’estero
viene, come del resto già accadeva prima dell’entrata in vigore del testo unico,
contingentato nei limiti del numero massimo di visti d’ingresso e permessi di
soggiorno determinato annualmente, sulla base delle disponibilità comunicate
dalle università, con decreto del ministro degli affari esteri, di concerto con il
ministro dell’università e con il ministro dell’interno; sul relativo schema le
competenti Commissioni parlamentari esprimono il proprio parere.
La prima applicazione dell’art. 39 del testo unico è avvenuta nel 2000, con la
quantificazione di 20.220 visti di ingresso disponibili per l’anno accademico 2000-2001200.
L’anno successivo il numero massimo di visti è stato fissato in 22.019 unità per l’anno
accademico 2001-2002201.
Dopo alcuni anni (il 26 luglio 2005), il ministro degli affari esteri ha presentato alle
Camere, per il prescritto parere, uno schema di decreto per l’anno accademico 20052006 che stabilisce il numero di 40.268 visti. Il decreto non risulta ancora pubblicato.
199
200
201
A questo proposito, si ricorda che nel giugno del 2004 è stato istituito l’Ufficio per l’integrazione
degli alunni stranieri presso la Direzione generale per lo studente del Ministero dell’istruzione, al
fine di sostenere, potenziare e coordinare gli interventi a sostegno dell’accoglienza e
dell’integrazione.
D.M. 10 novembre 2000, Accesso di studenti ai corsi universitari per l’anno accademico 20002001
DM 19 dicembre 2001, Fissazione del numero massimo di visti di ingresso per l’accesso
all’istruzione universitaria degli studenti stranieri. Anno accademico 2001-2002 (pubblicato nella
Gazzetta ufficiale 16 aprile 2002, n. 89).
153
SCHEDE DI APPROFONDIMENTO
È stato, invece, pubblicato il decreto flussi stranieri per il successivo anno accademico
2006-2007 che fissa in 47.128 il numero massimo di visti (41.351 per l’accesso
all’università e 5.777 alle istituzioni di alta formazione artistica, musicale e coreutica)202.
Viceversa, non risulta pubblicato il successivo decreto per il 2007-2008, del quale è
stato presentato lo schema alle Camere per il parere. Lo schema prevede 52.497 visti di
ingresso suddivisi in 46.272 per le università e 6.224 per le altre istituzioni.
Al di fuori delle quote annuali, è in ogni caso consentito l’accesso ai corsi
universitari (e alle scuole di specializzazione delle università, come specificato
dal DL 241/2004203) a parità di condizioni con gli studenti italiani (e nei limiti delle
disponibilità dei singoli atenei), ad alcune categorie di studenti, definite dall’art.
39, co. 5, del T.U.):
ƒ stranieri titolari di permesso di soggiorno CE, ovvero di permesso di
soggiorno per lavoro subordinato o autonomo, per motivi familiari, per asilo
politico, per asilo umanitario o per motivi religiosi,
ƒ stranieri regolarmente soggiornanti da almeno un anno in possesso di titolo di
studio superiore conseguito in Italia;
ƒ stranieri titolari di diplomi conseguiti nelle scuole italiane all’estero o nelle
scuole oggetto di intese bilaterali.
Le università – nella loro autonomia e nei limiti delle loro disponibilità
finanziarie – promuovono l’accesso degli stranieri ai corsi universitari, stipulando
apposite intese con gli atenei stranieri per la mobilità studentesca ed
organizzando attività di orientamento e di accoglienza e tenendo conto degli
orientamenti comunitari in materia, con particolare riguardo all’inserimento di una
quota di studenti universitari stranieri.
Il decreto legislativo 154/2007, di attuazione di normativa comunitaria204, ha
introdotto la fattispecie dell’ingresso e soggiorno per volontariato che prevede
la determinazione annuale di un contingente di stranieri ammessi a partecipare a
programmi di volontariato in Italia (art. 27-bis T.U.).
Viene disciplinato, inoltre, l’ingresso di studenti, sia minorenni, sia
maggiorenni per studio, scambio di alunni, tirocinio e formazione
professionale (art. 39-bis T.U.).
202
203
204
D.M. 11 ottobre 2006, Fissazione del numero massimo di visti di ingresso per l’accesso
all’istruzione universitaria e di alta formazione artistica, musicale e coreutica degli studenti
stranieri, per l’anno accademico 2006/2007.
D.L. 14 settembre 2004, n. 241, Disposizioni urgenti in materia di immigrazione (conv. con mod.
in L. 12 novembre 2004, n. 271).
D.Lgs. 10 agosto 2007, n. 154, Attuazione della direttiva 2004/114/CE, relativa alle condizioni di
ammissione dei cittadini di Paesi terzi per motivi di studio, scambio di alunni, tirocinio non
retribuito o volontariato.
154
LE POLITICHE DI INTEGRAZIONE DEGLI STRANIERI
Infine, è stata introdotta una procedura semplificata per l’ingresso di cittadini
extracomunitari ai fini di ricerca scientifica con il D.Lgs. 17/2008205 che ha
introdotto un apposito nuovo articolo (l’art. 27-ter) nel testo unico.
Il diritto all’abitazione e all’assistenza sociale
Le disposizioni del testo unico in materia di servizi abitativi e di assistenza
sociale per stranieri (artt. 40-41) prevedono che le regioni, in collaborazione con
gli enti locali e con le associazioni di volontariato, predispongano centri di
accoglienza destinati ad ospitare stranieri regolarmente soggiornanti e
impossibilitati, temporaneamente, a provvedere autonomamente alle proprie
esigenze abitative e di sussistenza206.
L’istituzione dei centri di accoglienza è comunque finalizzata a rendere
autosufficienti gli stranieri ospitati nel più breve tempo possibile, anche
provvedendo, ove possibile, ai servizi sociali e culturali idonei a favorire
l’autonomia e l’inserimento sociale degli ospiti.
In situazioni di emergenza si prevede la possibilità di accogliere anche i
clandestini nei centri di accoglienza, fino alla predisposizione di una adeguata
rete di centri di permanenza temporanea e di assistenza (art. 34, co. 4, della L.
189/2002).
Le misure di integrazione sociale sono riservate agli stranieri in regola con
le norme relative al soggiorno, essendone precluso l’accesso agli irregolari e
clandestini (art. 40, co. 1-bis). Si tratta di una disposizione che, pur collocata
nell’ambito delle norme sui centri di accoglienza, sembra avere un carattere
generale, coinvolgendo tutti gli strumenti di integrazione.
È inoltre stabilito il principio dell’accesso degli stranieri (regolari) agli alloggi
sociali (pensionati) e alle graduatorie per l’assegnazione di alloggi di edilizia
residenziale pubblica.
Per l’accesso alle graduatorie delle case popolari da parte degli stranieri è
richiesto il permesso di soggiorno almeno biennale e svolgimento di una regolare
attività lavorativa.
L’art. 41 del testo unico estende a favore degli stranieri in possesso del
permesso di soggiorno CE o del permesso di soggiorno (di durata non inferiore a
205
206
D.Lgs. 9 gennaio 2008, n. 17, Attuazione della direttiva 2005/71/CE relativa ad una procedura
specificamente concepita per l’ammissione di cittadini di Paesi terzi a fini di ricerca scientifica.
Secondo gli ultimi dati disponibili, pubblicati nel 2006, al 31 dicembre 2004, risultano dislocate
nel territorio nazionale 1.870 strutture di accoglienza per extracomunitari, di cui 1.393 strutture
residenziali, con una disponibilità di 26.970 posti letto, e 477 non residenziali; si veda Ministero
dell’interno, Dipartimento affari interni e territoriali, Problematiche ed iniziative relative
all’immigrazione extracomunitaria in Italia. Anno 2004, gennaio 2006, p. 7.
155
SCHEDE DI APPROFONDIMENTO
un anno) anche l’accesso ai servizi socioassistenziali organizzati sul
territorio207.
La legge finanziaria 2001 (art. 80, co. 19)208 ha circoscritto la portata della
disposizione precisando che l’assegno sociale e le provvidenze economiche che
costituiscono diritti soggettivi in base alla legislazione vigente in materia di servizi sociali
sono concessi agli stranieri che siano titolari di permesso di soggiorno CE per
soggiornanti di lungo periodo (e non anche a coloro in possesso del semplice permesso
di soggiorno); per le altre prestazioni e servizi sociali l’equiparazione con i cittadini italiani
è consentita a favore degli stranieri che siano almeno titolari di permesso di soggiorno di
durata non inferiore ad un anno.
L’integrazione sociale degli stranieri
Il testo unico individua una pluralità di attività e di interventi finalizzati a
garantire, da parte dei soggetti pubblici e delle associazioni di volontariato,
l’integrazione sociale degli stranieri soggiornanti in Italia (art. 42). In particolare,
lo Stato, le regioni e gli enti locali, in collaborazione con le associazioni del
settore devono favorire tutte le iniziative volte sia a diffondere la conoscenza dei
diritti e doveri degli stranieri nella società italiana, sia la valorizzazione delle
culture dei Paesi di origine.
Per la promozione dell’integrazione il testo unico prevede l’istituzione di
appositi organismi.
Presso il CNEL, opera l’Organismo nazionale di coordinamento per le
politiche di integrazione sociale dei cittadini stranieri a livello locale,
previsto dall’art. 42, co. 3 del T.U., insediatosi il 10 dicembre 1998.
L’Organismo di coordinamento promuove il confronto fra soggetti istituzionali e
sociali a livello locale al fine di individuare e valutare percorsi e modelli efficaci di
intervento.
Presso il Ministero della solidarietà sociale è inoltre istituita una Consulta per
i problemi degli stranieri immigrati e delle loro famiglie, si tratta di organo
prevalentemente consultivo con il compito di verificare l’attuazione del testo unico
e di elaborare proposte e suggerimenti per una migliore integrazione degli
stranieri. La Consulta, inoltre, acquisisce le osservazioni degli enti e delle
associazioni nazionali maggiormente attivi nell’assistenza e nell’integrazione
207
208
La Corte costituzionale (sen. n. 432/2005) nel dichiarare l’illegittimità costituzionale di una
norma regionale che non includeva “i cittadini stranieri, residenti nella Regione, fra gli aventi il
diritto alla circolazione gratuita sui servizi di trasporto pubblico di linea, riconosciuto alle persone
totalmente invalide per cause civili”, ha rilevato che l’art. 41 del T.U. costituisce, a norma
dell’art. 1, co. 4, del medesimo T.U., principio fondamentale dello Stato ai sensi dell’art. 117
della Costituzione, con la conseguenza che qualsiasi scelta del legislatore regionale che
introducesse rispetto ad esso regimi derogatori dovrebbe permettere di rinvenire nella stessa
struttura normativa una specifica, trasparente e razionale “causa giustificatrice”, idonea a
“spiegare”, sul piano costituzionale, le “ragioni” poste a base della deroga.
L. 23 dicembre 2000 n. 388, Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale
dello Stato (legge finanziaria 2001).
156
LE POLITICHE DI INTEGRAZIONE DEGLI STRANIERI
degli immigrati in vista dell’elaborazione del documento di programmazione
triennale.
Il testo unico prevede l’istituzione, presso la Presidenza del Consiglio dei
Ministri di un Fondo nazionale per le politiche migratorie (art. 45) attualmente
trasferito al Ministero della solidarietà sociale.
Il Fondo nazionale per le politiche migratorie è destinato a finanziare una pluralità di
iniziative e interventi richiamati in precedenti articoli del decreto; tra di essi si segnalano
quelli relativi alle misure straordinarie di accoglienza per eventi eccezionali, all’istruzione
degli stranieri e all’educazione interculturale, ai centri di accoglienza, e alle misure di
integrazione sociale. L’entità della dotazione del Fondo è disposta direttamente dal testo
unico per il triennio 1997/1999, per gli anni successivi, la determinazione degli importi è
fissata dalla Tabella C della legge finanziaria, ai sensi della L. 468/1978. Si prevede
comunque che nel fondo possano poi confluire eventuali ulteriori risorse di entrata
provenienti da privati, da organizzazioni internazionali e dall’Unione europea. Il Fondo è
annualmente ripartito con D.P.C.M., di concerto con i ministri interessati.
Lo Stato, le regioni e gli enti locali sono tenuti ad adottare, nelle materie di propria
competenza, programmi annuali o pluriennali delle iniziative e attività concernenti
l’immigrazione, con particolare riguardo a quelle attuative del testo unico e del
regolamento di attuazione, alle attività culturali, formative, informative, di integrazione e di
promozione di pari opportunità. I programmi sono adottati secondo i criteri e le modalità
indicati dal regolamento di attuazione e indicano le iniziative pubbliche e private prioritarie
per il finanziamento da parte del Fondo, compresa l’erogazione di contributi agli enti locali
per l’attuazione del programma.
Nella XV legislatura al Fondo nazionale si è aggiunto un nuovo strumento di
integrazione: il Fondo per l’inclusione sociale degli immigrati operante
anch’esso presso il Ministero della solidarietà sociale209. Il Fondo è finalizzato
alla realizzazione di un piano per l’accoglienza degli alunni stranieri, anche per
favorire il rapporto scuola-famiglia, mediante l’utilizzo per fini non didattici, di
apposite figure professionali madrelingua quali mediatori culturali.
La dotazione del Fondo, fissata originariamente a 50 milioni di euro annui per
il triennio 2007-2009, è stata successivamente integrata di ulteriori 50 milioni per
il 2008210.
La Corte costituzionale (sen. 27 febbraio - 7 marzo 2008, n. 50), ha peraltro
dichiarato l’illegittimità costituzionale della norma di istituzione del fondo per
violazione degli artt. 117, quarto comma, e 119 Cost.
Dal momento che la norma non prevede un intervento pubblico connesso alla
programmazione dei flussi di ingresso ovvero al soggiorno degli stranieri nel territorio
nazionale - argomenta la Corte - “non rientra nella competenza legislativa esclusiva
209
210
L. 2 dicembre 2006, n. 296, Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale
dello Stato (legge finanziaria 2007)., art. 1, co. 1267.
L. 24 dicembre 2007, n. 244, Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale
dello Stato (legge finanziaria 2008), Art. 2, co. 536.
157
SCHEDE DI APPROFONDIMENTO
statale in materia di immigrazione, ma inerisce ad ambiti materiali regionali, quali quelli
dei servizi sociali e dell’istruzione (sentenza n. 300 del 2005, nonché, sia pure con
riferimento ad una fattispecie diversa, sentenza n. 156 del 2006). Del resto, lo stesso
legislatore statale ha attribuito alle Regioni il compito di adottare misure di ‘integrazione
sociale’ nell’ambito ‘delle proprie competenze’ secondo quanto previsto dall’art. 42 del
decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, recante ‘Testo unico delle disposizioni
concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero’”.
La Commissione per le politiche di integrazione (art. 46, T.U.), con sede
operativa presso la Presidenza del Consiglio, ha i compiti di predisporre per il
Governo, anche ai fini dell’obbligo di riferire al Parlamento, il rapporto annuale
sullo stato di attuazione delle politiche per l’integrazione degli immigrati, di
formulare proposte di interventi di adeguamento di tali politiche nonché di fornire
risposta a quesiti posti dal Governo concernenti le politiche per l’immigrazione,
interculturali, e gli interventi contro il razzismo. La Commissione ha curato due
rapporti sull’attuazione delle politiche per l’integrazione, nel 1999 e nel 2000.
Tra le strutture attive nelle politiche dell’integrazione si ricordano i Consigli
territoriali per l’immigrazione, istituiti dall’art. 3, co. 6, T.U., operanti presso le
prefetture e composti dai rappresentanti delle amministrazioni locali dello Stato,
delle regioni, degli enti locali e dalle associazioni di settore con compiti di analisi
delle esigenze e di promozione degli interventi a livello locale.
Lotta alla discriminazione razziale
Nell’ambito delle azioni per l’integrazione degli immigrati, il testo unico
prevede alcune disposizioni volte a contrastare la discriminazione razziale.
In particolare gli articoli 43 e 44 recano rispettivamente l’individuazione
puntuale degli atti di discriminazione e la disciplina dell’azione in sede civile
contro gli atti di discriminazione211.
L’art. 43 del testo unico sull’immigrazione qualifica come discriminatori i
comportamenti che, direttamente o indirettamente, operano una distinzione,
un’esclusione, una restrizione o una preferenza per motivi di razza, colore,
nazionalità, etnia, religione e che abbiano l’intento o l’effetto di distruggere o
compromettere il riconoscimento o l’esercizio, in condizione di parità, dei diritti
umani e delle libertà fondamentali in campo politico, economico, sociale e
culturale e in ogni altro settore della vita pubblica.
In particolare sono individuati i seguenti atti di discriminazione in ragione
dell’appartenenza a una determinata razza, religione, etnia o nazionalità :
211
Entrambi gli articoli si riferiscono ai comportamenti discriminatori compiuti non solamente nei
riguardi di cittadini stranieri non comunitari – destinatari della gran parte delle disposizioni del
testo unico – ma anche di cittadini italiani, di apolidi e di cittadini di altri Stati membri dell’Unione
europea presenti in Italia.
158
LE POLITICHE DI INTEGRAZIONE DEGLI STRANIERI
ƒ
ƒ
ƒ
ƒ
ƒ
compimento o omissione di un atto ingiustamente discriminatorio nei confronti di un
cittadino straniero, da parte di un pubblico ufficiale o di un incaricato di pubblico
servizio o di un esercente un servizio di pubblica utilità;
imposizione di condizioni più svantaggiose o rifiuto di fornire beni o servizi offerti al
pubblico;
imposizione di condizioni più svantaggiose o rifiuto di fornire l’accesso
all’occupazione, all’alloggio, all’istruzione, alla formazione e ai servizi socioassistenziali allo straniero regolarmente soggiornante in Italia;
azioni od omissioni dirette ad impedire l’esercizio di un’attività economica
legittimamente intrapresa dallo straniero regolarmente soggiornante in Italia;
atti o comportamenti compiuti dal datore di lavoro o dai suoi preposti diretti a
discriminare anche indirettamente il lavoratore straniero. La disposizione fornisce,
inoltre, una individuazione dei criteri in base ai quali individuare le fattispecie di
“discriminazione indiretta”: è da considerarsi tale ogni trattamento pregiudizievole
conseguente all’adozione di criteri che svantaggino in modo proporzionalmente
maggiore i lavoratori appartenenti ad una determinata razza, ad un determinato
gruppo etnico o linguistico, ad una determinata confessione religiosa o ad una
cittadinanza e riguardino requisiti non essenziali allo svolgimento dell’attività
lavorativa.
L’articolo 44 del testo unico sull’immigrazione istituisce e disciplina l’azione in
sede civile contro gli atti di discriminazione.
Si prevede la possibilità di agire in giudizio avanti al tribunale civile in
composizione monocratica con un ricorso privo di formalità, teso ad ottenere un
provvedimento, impugnabile davanti al tribunale collegiale, che, eventualmente,
anche in via di urgenza, possa rimuovere gli effetti della discriminazione e
risarcire il danno subito. L’inosservanza del provvedimento è perseguita
penalmente.
Quando si tratti di discriminazione di carattere collettivo in ambito lavorativo, il
ricorso può essere presentato anche dalle maggiori organizzazioni sindacali, e
sono previste sanzioni accessorie per le aziende212.
Infine, si prevede l’istituzione ad opera delle regioni di centri di informazione,
assistenza legale e osservazione sull’andamento del fenomeno.
Si ricorda, inoltre, che la citata Commissione per le politiche dell’integrazione
esplica la sua attività consultiva nei confronti del Governo anche in relazione agli
interventi contro il razzismo (vedi sopra).
Le norme sopra descritte non esauriscono quanto previsto dall’ordinamento
sul contrasto alla discriminazione razziale.
Il complesso di norme di maggiore organicità in materia di discriminazione razziale è
costituito dalla legge 13 ottobre 1975, n. 654213, di ratifica ed esecuzione della
Convenzione contro il razzismo adottata dalle Nazioni Unite a New York nel 1966.
212
In tema giova menzionare l’art. 13 della legge 9 dicembre 1977, n. 903, Parità di trattamento tra
uomini e donne in materia di lavoro il quale, aggiungendo un secondo comma all’art. 15 della
legge 20 maggio 1970, n, 300 (Statuto dei lavoratori), ha previsto la nullità di patti o atti diretti “a
fini di discriminazione politica, religiosa, razziale, di lingua o di sesso”.
159
SCHEDE DI APPROFONDIMENTO
La Convenzione condanna qualsiasi forma di discriminazione razziale, ed in
particolare le forme più estreme quali la segregazione razziale e l’apartheid.
Gli Stati contraenti si impegnano da un lato, a non porre in essere pratiche di
discriminazione razziale e, dall’altro, ad adottare provvedimenti volti ad eliminare tali
pratiche, ove esistano.
In particolare, si prevede che ciascuno degli Stati che aderiscono alla Convenzione
modifichi la propria legislazione penale nel senso di prevedere i delitti di propaganda e di
violenza razziale. Tali modifiche sono state apportate nel nostro ordinamento dalla stessa
legge n. 654 del 1975 di ratifica della Convenzione, ed in particolare dall’articolo 3 che ha
introdotto alcune nuove fattispecie penali, quali l’attività di discriminazione razionale, la
diffusione idee razziste, la violenza per motivi razziali, la partecipazione ad organizzazioni
o movimenti razzisti. Il D.L. n. 122 del 1993 214 (il c.d. “decreto Mancino”) ha provveduto
ad inasprire le pene per le fattispecie di cui sopra e ha introdotto la circostanza
aggravante della finalità di discriminazione o di odio etnico. Per qualsiasi reato, ad
eccezione di quelli per i quali è previsto l’ergastolo, se commesso per le finalità di cui
sopra, la pena viene aumentata fino alla metà. Il D.L. 122 ha introdotto, inoltre, due
nuove fattispecie di reato: la prima incrimina il comportamento di chiunque in pubbliche
riunioni, compia manifestazioni esteriori od ostenti emblemi o simboli di tipo razzista, o
basati sull’odio etnico, nazionale o religioso propri o usuali di organizzazioni razziste; la
seconda fattispecie di reato consiste nel divieto di accesso ai luoghi ove si svolgono
competizioni agonistiche per i soggetti che vi si rechino con gli emblemi o i simboli sopra
citati.
L’articolo 5 della Convenzione, inoltre, impegna gli Stati contraenti ad adoperarsi per
garantire – senza distinzione di razza o nazionalità – una serie di diritti fondamentali quali
il diritto all’eguaglianza davanti alla legge, il diritto alla sicurezza e all’integrità personale, i
diritti politici ed altri diritti civili (tra i quali il diritto di circolazione, alla libertà di pensiero, di
religione, di associazione, diritto al lavoro, alla sanità, all’educazione).
Si segnalano i seguenti provvedimenti recanti ulteriori disposizioni per la repressione
dei fenomeni di discriminazione razziale:
ƒ L. 11 marzo 1952, n, 153, che ratifica della Convenzione per la prevenzione e la
repressione del delitto di genocidio. Le norme attuative della Convenzione sono state
adottate con la legge 9 ottobre 1967, n. 962, recante la prevenzione e la repressione
del delitto di genocidio: l’articolo 8 prevede la reclusione da 3 a 12 anni per il delitto di
istigazione a commettere genocidio e apologia di genocidio;
ƒ L. 20 giugno 1952, n. 645 (c.d. “Legge Scelba”) relativa al divieto di ricostituzione del
partito fascista: l’art. 1 comprende la propaganda razzista tra le caratteristiche che
denotano un movimenti o un partito come fascista; l’art. 4 (come modificato dal DL
122/93) che comprende tra le forme di apologia del fascismo l’esaltazione di principi
razzisti;
ƒ L. 8 marzo 1989, n. 101, di recepimento dell’intesa tra lo Stato italiano e le Comunità
ebraiche: l’art. 2 stabilisce che le fattispecie di reato connessi alla discriminazione
razziale (di cui all’articolo 3 della L. 654 del 1975), si intendono riferiti anche alle
manifestazioni di intolleranza e pregiudizio religioso.
213
214
L. 13 ottobre 1975, n. 654, Ratifica ed esecuzione della convenzione internazionale
sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione razziale, aperta alla firma a New York il 7
marzo 1966.
D.L. 26 aprile 1993, n. 122, conv. con mod. in L. 25 giugno 1993, n. 205, Misure urgenti in
materia di discriminazione razziale, etnica e religiosa.
160
LE POLITICHE DI INTEGRAZIONE DEGLI STRANIERI
A queste norme si è aggiunto un complesso organico di disposizioni in materia
di non discriminazione contenuto nei decreti legislativi 215 e 216 del 2003,
entrambi di attuazione comunitaria, volti a tutelare la parità di trattamento tra le
persone, il primo in via generale, il secondo per quanto riguarda specificatamente
le condizioni di lavoro.
Il D.Lgs. 215/2003215, di attuazione della direttiva 2000/43/CE, reca
disposizioni relative della parità di trattamento tra le persone
indipendentemente dalla razza e dall’origine etnica. Il provvedimento dispone
a tal fine le misure necessarie per evitare che le differenze di razza e di origine
etnica siano causa di discriminazione, diretta e indiretta, anche in considerazione
del differente impatto che le medesime forme di discriminazione possano avere:
ƒ su donne e uomini;
ƒ sull’esistenza di forme di razzismo a carattere culturale e religioso.
Nella nozione di discriminazione indiretta si fa riferimento, quali possibili fonti di
discriminazione, oltre che ad una disposizione, a un criterio e una prassi anche a “un
atto, un patto o un comportamento”.
Il provvedimento, all’articolo 3, specifica che il principio di parità di trattamento senza
distinzioni di razza ed origine etnica si applica a tutte le persone sia del settore pubblico
che del settore privato, con particolare riferimento alle seguenti aree:
ƒ accesso all’occupazione e al lavoro, sia autonomo sia dipendente, compresi i criteri
di selezione e le condizioni di assunzione;
ƒ occupazione e condizioni di lavoro, compresi gli avanzamenti di carriera, la
retribuzione e le condizioni di licenziamento;
ƒ accesso a tutti i tipi e livelli di orientamento e formazione professionale,
perfezionamento e riqualificazione professionale, inclusi i tirocini professionali;
ƒ attività nell’ambito di organizzazioni dei lavoratori o dei datori di lavoro e accesso alle
prestazioni erogate da tali organizzazioni;
ƒ protezione sociale, inclusa la sicurezza sociale;
ƒ assistenza sanitaria;
ƒ prestazioni sociali;
ƒ istruzione;
ƒ accesso a beni e servizi e alla loro fornitura, incluso l’alloggio.
Il decreto disciplina anche la tutela giurisdizionale dei diritti, rinviando alla procedura di
azione civile fissata dall’art. 44 del testo unico (vedi sopra), integrandola con alcuni
strumento correlati, quali la possibilità di esperire il tentativo di conciliazione previsto dal
codice civile e dal decreto legislativo n. 165 del 2001, il regime probatorio di cui
all’articolo 2729 del codice civile, la possibilità per il giudice (oltre che di risarcire il danno
anche non patrimoniale e di impartire le opportune disposizioni per la cessazione del
comportamento discriminatorio) di ordinare l’adozione di un piano di rimozione, di tenere
conto, ai fini della liquidazione del danno, che l’atto o il comportamento discriminatorio
costituiscono ritorsione ad una precedente azione giudiziale finalizzata ad ottenere il
rispetto del principio della parità di trattamento e di ordinare la pubblicazione della
sentenza.
215
D.Lgs. 9 luglio 2003, n. 215, Attuazione della direttiva 2000/43/CE per la parità di trattamento
tra le persone indipendentemente dalla razza e dall’origine etnica.
161
SCHEDE DI APPROFONDIMENTO
Da rilevare il riconoscimento della legittimazione ad agire da parte delle associazioni e
agli enti inseriti in un apposito registro approvato con decreto del Ministro del lavoro e
delle politiche sociali e del Ministro per le pari opportunità216.
Viene inoltre istituito presso la Presidenza del Consiglio dei ministri – Dipartimento per
le pari opportunità l’Ufficio per la promozione della parità di trattamento e la rimozione
delle discriminazioni fondate sulla razza o sull’origine etnica217.
Sulla stessa linea il Governo ha promosso la costituzione di un Comitato
interministeriale contro la discriminazione e l’antisemitismo, che opera presso il
Ministero dell’interno ed è presieduto dal direttore del Dipartimento per le libertà civili e
l’immigrazione218. Il Comitato ha il compito di vigilare sui pericoli di regressione verso
forme di intolleranza, razzismo, xenofobia e antisemitismo e di individuare tutte le misure
necessarie per contrastare ogni comportamento ispirato da odio religioso o razziale.
Il D.Lgs. 216/2003219, di attuazione della direttiva 2000/78/CE, stabilisce un
quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e di
condizioni di lavoro, contro ogni forma di discriminazione legata a religione,
convinzioni personali, handicap, età, orientamento sessuale.
Per principio di parità di trattamento si intende l’assenza di qualsiasi discriminazione
diretta o indiretta a causa della religione, delle convinzioni personali, degli handicap,
dell’età o dell’orientamento sessuale. Tale principio comporta che non sia praticata
alcuna discriminazione diretta o indiretta (art. 2). In particolare si ha discriminazione:
ƒ quando una persona è trattata meno favorevolmente di quanto sia, sia stata o
sarebbe trattata un’altra in una situazione analoga (discriminazione diretta);
ƒ quando una disposizione, un criterio, una prassi, un atto, un patto o un
comportamento apparentemente neutri possono mettere le persone in una situazione
di particolare svantaggio rispetto ad altre persone (discriminazione indiretta);
ƒ quando vengono perpetrate molestie o comportamenti indesiderati che hanno lo
scopo o l’effetto di violare la dignità di una persona e di creare un clima intimidatorio,
ostile, degradante, umiliante od offensivo;
Dopo aver stabilito l’ambito di applicazione del principio di parità di trattamento ed
aver enucleato una serie di ipotesi che non costituiscono discriminazione (art. 3), il
decreto legislativo disciplina la tutela giurisdizionale dei suddetti diritti, riconoscendo
anche il ruolo delle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative ad agire in
giudizio in nome e per conto di chi abbia subito discriminazioni (artt. 4 e 5).
216
217
218
219
Si veda Presidenza del Consiglio dei ministri – Dipartimento per le pari opportunità, Decreto 16
dicembre 2005, Istituzione dell’elenco delle associazioni ed enti legittimati ad agire in giudizio in
nome, per conto o a sostegno del soggetto passivo di discriminazione basata su motivi razziali
o etnici di cui all’articolo 5 del decreto legislativo 9 luglio 2003, n. 215.
D.P.C.M., 11 dicembre 2003, Costituzione e organizzazione interna dell’ufficio per promozione
della parità di trattamento e la rimozione delle discriminazioni, di cui all’art. 29 della legge
comunitaria 1° marzo 2002, n. 39.
Decreto del ministro dell’interno 30 gennaio 2004, Istituzione del Comitato contro la
discriminazione e l’antisemitismo.
D.Lgs. 9 luglio 2003, n. 216, Attuazione della direttiva 2000/78/CE per la parità di trattamento in
materia di occupazione e di condizioni di lavoro.
162
LE POLITICHE DI INTEGRAZIONE DEGLI STRANIERI
Si ricorda, infine, il D.Lgs. 30/2006220, in materia di professioni che vieta,
nell’esercizio dell’attività professionale, qualsiasi discriminazione, che sia
motivata da ragioni sessuali, razziali, religiose, politiche o da ogni altra
condizione personale o sociale, secondo quanto stabilito dalla disciplina statale e
comunitaria in materia di occupazione e condizioni di lavoro (art. 1, co. 2).
220
D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 30, Ricognizione dei principi fondamentali in materia di professioni, ai
sensi dell’articolo 1 della legge 5 giugno 2003, n. 131.
163
SCHEDE DI APPROFONDIMENTO
IMMIGRAZIONE
IL PROGETTO DI RIFORMA DEL TESTO UNICO SULL’IMMIGRAZIONE
I lavori parlamentari
La Camera ha avviato l’esame, nel periodo tra settembre e novembre 2007, di
diversi progetti di legge in materia di immigrazione. Tra questi, uno di iniziativa
governativa (A.C. 2976) predisposto dal Ministro dell’interno, Giuliano Amato, e
da Paolo Ferrero a capo del dicastero della Solidarietà sociale di nuova
istituzione, volto a modificare in profondità il testo unico del 1998 (D.Lgs.
286/1998)221.
ll 26 settembre 2007 presso la I Commissione (Affari costituzionali) ha inizio l’esame
congiunto di nove proposte di legge di iniziativa parlamentare (776 Zacchera, 1102
Campa, 1263 Mascia ed altri, 1779 Boato, 1804 Sgobio ed altri, 1850 Bordo, 1852
Bucchino ed altri, 2122 Capotosti ed altri, 2547 Migliore ed altri) e del disegno di legge
del Governo A.C. 2976. In un secondo momento verranno abbinate altre due proposte:
3122 Maroni ed altri e 3148 Santelli.
Il 31 ottobre 2007 si conclude la discussione sulle linee generali e il successivo 6
novembre il progetto del Governo viene adottato come testo base per il seguito
dell’esame, con il parere contrario dei gruppi di opposizione.
Viene quindi fissato, dopo alcune proroghe, il termine per la presentazione degli
emendamenti al 27 novembre 2007, quando risultano depositate oltre 1.000 proposte
emendative.
Nel frattempo la Commissione ha deliberato un’indagine conoscitiva (il 13 novembre
2007) per procedere alle audizioni di un numero limitato di rappresentanti di istituzioni
pubbliche e delle organizzazioni che direttamente operano a contatto con le realtà
interessate dai fenomeni oggetto dei progetti di legge, nonché di alcuni esperti della
materia. Il termine per la conclusione dell’indagine era stato fissato alla fine del mese di
gennaio 2008.
Nella seduta del 15 novembre 2007 sono state svolte le audizioni di Marcello Fulvi,
Questore di Roma, Massimo Sarmi, Amministratore delegato di Poste italiane s.p.a.,
Vincenzo Indolfi, Questore di Milano, Oscar Fiorolli, Questore di Napoli, Stefano
Berrettoni, Questore di Torino, don Massimo Mapelli, Fondazione Casa della carità, Aldo
Morrone, Ospedale San Gallicano di Roma - Medicina preventiva delle migrazioni, del
turismo e dermatologia tropicale, Angela Pria, Prefetto presso la Direzione centrale
dell'immigrazione e della Polizia delle frontiere del Ministero dell'interno, Luciano
Bertozzi, Confcommercio, Fabio Sturani, Associazione nazionale comuni italiani,
Tommaso Edoardo Frosini, Professore ordinario di diritto pubblico comparato presso
l'Università Suor Orsola Benincasa di Napoli, Giovanni Pitruzzella, Professore ordinario di
diritto costituzionale presso l'Università di Palermo, Daniela Ruffini, Lega delle
autonomie, Guglielmo LoY, Unione italiana del lavoro, Oberdan Ciucci, Confederazione
221
D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina
dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero.
164
IL PROGETTO DI RIFORMA DEL TESTO UNICO SULL’IMMIGRAZIONE
italiana sindacati lavoratori, Antonella Inverno, Save the children, Mohamed Tailmoun,
Rete G2 Seconde generazioni, Patrizia Toss, Federazione delle Chiese evangeliche in
Italia, Michele Consiglio, Associazioni cristiane lavoratori italiani, Paolo Bonetti,
Associazione per gli studi giuridici sull'immigrazione, padre Giovanni Lamanna,
Associazione Centro Astalli, Angela OritI, Medici senza frontiere, Paolo Morozzo della
Rocca, Comunità di Sant'Egidio, Pietro Soldini, Confederazione generale italiana del
lavoro, Filippo Miraglia, Associazione ARCI, Oliviero Forti, Caritas italiana, e Luciano
Lagamba, Unione generale del lavoro.
La Commissione non ha proseguito l’esame del provvedimento.
Le principali innovazioni del disegno di legge del Governo
Qui di seguito sono sommariamente indicati, suddivisi per argomento, i punti
qualificanti del disegno di legge del Governo adottato dalla Commissione come
testo base, confrontati con le disposizioni attualmente vigenti.
1. Programmazione
La situazione attuale
Le modifiche proposte
La definizione delle quote massime di
stranieri da ammettere nel territorio dello
Stato per motivi di lavoro avviene
annualmente con un decreto del
Presidente del Consiglio (decreto-flussi)
sulla base del documento triennale di
programmazione (art. 3, co. 4, TU).
La programmazione delle quote assume
cadenza triennale, con eventuali quote
aggiuntive annuali in presenza di ulteriori
esigenze.
Alle procedure di definizione delle quote
partecipano i sindacati, le associazioni dei
datori di lavoro e le organizzazioni non
governative del settore.
2. Lavoro
La situazione attuale
Le modifiche proposte
Le intese di cooperazione in materia di
immigrazione con i Paesi a forte
pressione
migratoria
prevedono
l’istituzione di liste di collocamento di
lavoratori stranieri che intendono fare
ingresso in Italia. Ad essi sono assegnate
quote riservate nel decreto flussi annuale
(art. 21, co. 1 e 5, TU).
Il sistema delle liste di collocamento viene
generalizzato: esse saranno istituite non
solamente nei Paesi che hanno stretto
accordi ufficiali con l’Italia, ma ovunque e in
via prioritaria negli Stati che collaborino al
contrasto dell’immigrazione clandestina.
Nella
formazione
della
graduatoria,
costituiranno titolo di preferenza la
conoscenza della lingua italiana e la
qualifica professionale posseduta.
Il testo unico prevedeva la possibilità di
ingresso per ricerca di lavoro, abrogata
dalla
L.
189/2002,
basata
sulla
prestazione di adeguate garanzie da
parte di sponsor, quali enti locali,
associazioni di volontariato, privati.
Viene
ripristinato
l’ingresso
per
inserimento nel mercato di lavoro,
destinandovi una quota apposita del decreto
flussi. E’ prevista inoltre la possibilità per
l’immigrato di fornire egli stesso prove di
adeguate risorse finanziarie al fine di
ottenere il premesso di soggiorno per
165
SCHEDE DI APPROFONDIMENTO
La situazione attuale
Le modifiche proposte
ricerca di lavoro (autosponsorizzazione).
Alcune categorie di professionisti e di
lavoratori particolarmente qualificati
(dirigenti, ricercatori, artisti, sportivi, ecc.)
non sono sottoposti al sistema delle
quote e beneficiano di un trattamento di
favore (art. 27 TU).
Viene semplificato l’ingresso dei lavoratori
altamente qualificati nell’ambito della
revisione dei canali di ingresso e soggiorno
agevolato al di fuori delle quote.
Il datore di lavoro e il lavoratore straniero
devono stipulare il contratto di
soggiorno per lavoro (introdotto a dalla
L. 189/2002) indispensabile per il rilascio
del permesso di soggiorno (art. 5-bis TU).
Il contratto di soggiorno è abolito.
3. Permesso di soggiorno
La situazione attuale
Le modifiche proposte
L’ingresso nel territorio italiano è
consentito ai cittadini dei Paesi non
appartenenti all’Unione europea in
possesso di passaporto e di visto
d’ingresso. Per ottenere il visto di
ingresso deve avere prove idonee a
confermare lo scopo e le condizioni del
soggiorno, nonché la disponibilità di
mezzi di sussistenza sufficienti per la
durata di soggiorno. Mentre in origine il
testo unico prevedeva che tutti i
provvedimenti di diniego del visto fossero
accompagnati dalla motivazione, la legge
189 ha conservato tale obbligo solo per i
visti per lavoro, studio e ricongiungimento
familiare. Anche se il testo unico non ne
fa menzione, il provvedimento di diniego
è impugnabile davanti al giudice
amministrativo (art. 4 TU).
Il decreto delegato dovrà semplificare le
procedure per il rilascio del visto per
l’ingresso anche attraverso la revisione
della documentazione da esibire.
Il permesso di soggiorno è rilasciato e
rinnovato dalle questure (art. 5 TU).
Attualmente è in corso il trasferimento
agli uffici postali dell'attività di sportello in
materia di richiesta e rinnovo di numerose
tipologie di permessi di soggiorno. Gli
sportelli unici per l’immigrazione,
istituiti dalla L. 189/2002, rilasciano il
nulla osta al lavoro e presiedono alla
stipula del contratto di soggiorno per
lavoro tra datore di lavoro e lavoratore
(art. 22 TU).
Il
disegno
di
legge
prevede
la
semplificazione delle procedure per il
rilascio del nulla osta, del permesso di
soggiorno e del suo rinnovo. Mentre il
contratto di soggiorno, come si è detto,
viene eliminato. Dovranno essere trasferite
ai Comuni le competenze per la ricezione
delle domande di rilascio e rinnovo del
permesso di soggiorno e per il suo ritiro e
rinnovo. Anche gli sportelli unici saranno
riorganizzati.
La durata del permesso di soggiorno è
al massimo di 9 mesi per lavoro
stagionale, un anno per lavoro a tempo
Vengono allungati i tempi di durata dei
permessi di soggiorno: un anno per
rapporti di lavoro di durata fino a 6 mesi;
La previsione dell’obbligo di motivazione
del diniego viene estesa a tutte le tipologie
di visto, prevedendo forme di tutela e
garanzia per i richiedenti i visti.
166
IL PROGETTO DI RIFORMA DEL TESTO UNICO SULL’IMMIGRAZIONE
La situazione attuale
Le modifiche proposte
determinato, e di due anni, per lavoro a
tempo indeterminato e autonomo. Il
rinnovo va richiesto rispettivamente
almeno 60 e 90 giorni prima della
scadenza (art. 5, TU).
due anni per rapporti di lavoro a tempo
determinato superiore a 6 mesi; tre anni per
rapporti di lavoro a tempo indeterminato e
lavoro autonomo. E’ prevista, inoltre,
l’unificazione dei termini per la richiesta di
rinnovo.
4. Immigrazione clandestina
La situazione attuale
Le modifiche proposte
Gli stranieri rintracciati in posizione
irregolare sono espulsi di norma con
l’accompagnamento alla frontiera da
parte della forza pubblica. Nei casi di
violazioni di minor rilievo l’espulsione
avviene con la semplice intimazione a
lasciare il territorio dello Stato (art. 13).
Alle tipologie di esecuzione di espulsione
vigenti si aggiunge il rimpatrio volontario
assistito esteso anche ai non espulsi. Per il
suo finanziamento è prevista l’istituzione di
un Fondo nazionale rimpatri.
All’espulsione si accompagna il divieto di
reingresso nel territorio dello Stato per
un periodo che di norma è pari a dieci
anni. Il decreto di espulsione può
prevedere un termine inferiore sino a un
minimo di cinque anni (art. 13, co. 14,
TU).
Si procederà ad una differenziazione dei
termini di divieto di reingresso in
considerazione alla partecipazione ai
programmi di rimpatrio e ai motivi
dell’espulsione.
L’autorità competente a decidere sul
ricorso contro l’espulsione è il giudice di
pace (art. 13, co. 8, TU).
La competenza sul ricorso in materia di
espulsione viene attribuita al giudice
ordinario,
come
previsto
prima
dell’approvazione
del
decreto-legge
241/2004.
Si prevede, inoltre, una revisione delle
sanzioni, anche penali, e delle modalità di
allontanamento
in
correlazione
alle
violazioni delle disposizioni in materia di
immigrazione.
Nei centri di permanenza temporanea e
accoglienza (CPTA) sono trattenuti gli
stranieri quando non è possibile eseguire
immediatamente
l’espulsione
per
necessità
di
prestare
soccorso,
accertamento dell’identità dello straniero,
acquisizione dei documenti per il viaggio,
indisponibilità di un mezzo di trasporto
idoneo per l’espulsione, attesa di
definizione del procedimento di convalida
(art. 14).
L’attuale sistema dei CPTA deve essere
superato attraverso la differenziazione del
trattamento tra coloro che si sottraggono
all’identificazione
(che
dovrà
essere
effettuata in carcere) e gli stranieri da
trattenere per altri motivi.
Da rivedere anche il regime di gestione e
l’accesso ai centri.
167
SCHEDE DI APPROFONDIMENTO
5. Integrazione
La situazione attuale
Le modifiche proposte
Attualmente è previsto il diritto di voto
unicamente per gli stranieri comunitari.
Gli immigrati non comunitari regolari
soggiornanti da lungo tempo in Italia
potranno votare ed essere eletti nelle
elezioni amministrative.
I
minori
stranieri
sono
iscritti
automaticamente nel permesso di
soggiorno dei genitori fino al compimento
del 14° anno di età. Ad essi viene in
seguito rilasciato un permesso di
soggiorno per motivi familiari, valido fino
al raggiungimento della maggiore età, e
che potrà essere successivamente
riconvertito in altra categoria di permesso
(art. 31). Particolari forme di tutela sono
previste per i minori non accompagnati
(art. 33).
Il disegno di legge da ampio rilievo ai diritti
dei minori stranieri prevedendo: il rilascio
del permesso di soggiorno per motivi
familiari anche dopo la maggiore età per i
ragazzi ancora a carico della famiglia, la
conversione del permesso di soggiorno dei
minori non accompagnati in permesso per
lavoro, l’istituzione di un Fondo di
accoglienza e tutela dei minori non
accompagnati, disposizioni di tutela del
minore in caso di espulsione.
Gli stranieri regolarmente soggiornanti
hanno l’obbligo di iscrizione al servizio
sanitario nazionale e hanno parità di
trattamento rispetto ai cittadini italiani.
Agli irregolari sono assicurate le cure
urgenti e essenziali (artt. 34-35 TU).
Si
prevede
l’aggiornamento
delle
disposizioni relative all’iscrizione al Servizio
sanitario nazionale e la razionalizzazione
delle competenze in materia di assistenza
sanitaria dei cittadini stranieri.
L’accesso all’assistenza sociale è
garantita ai titolari della carta di soggiorno
(di durata illimitata) o del permesso di
soggiorno di durata non inferiore ad un
anno e ai bambini (art. 41 TU).
Si prevede l’equiparazione ai cittadini italiani
degli stranieri regolarmente soggiornanti da
almeno due anni e dei minori iscritti nel loro
permesso di soggiorno in materia di
accesso alle provvidenze di assistenza
sociale.
La legge finanziaria 2007 (art. 1, co.
1267) ha istituito un Fondo per
l’inclusione sociale degli immigrati di
50 milioni di euro annui, finalizzato anche
all’accoglienza degli alunni stranieri.
Il Fondo potrà contare su ulteriori forme di
finanziamento quali contributi volontari dei
datori di lavoro e contributi, o donazioni
disposti da privati, enti, organismi
internazionali e dall’Unione Europea.
Gli stranieri vittime di violenza e di
sfruttamento che tentano di sottrarsi ai
condizionamenti
di
organizzazioni
criminali possono usufruire di un
permesso di soggiorno speciale e di
programmi di assistenza sociale (art. 18,
TU).
Si prevede ulteriori forme di tutela degli
stranieri sfruttati o ridotti in schiavitù
attraverso
alcune
modifiche
delle
disposizione riguardanti l’espulsione, il
ricongiungimento e la punibilità delle vittime.
Il contenuto del disegno di legge
Il disegno di legge presentato dal Governo (A.C. 2976), composto da un solo
articolo, reca una delega per l’adozione di un decreto legislativo di modifica della
disciplina legislativa in materia di immigrazione e di condizione dello straniero, di
168
IL PROGETTO DI RIFORMA DEL TESTO UNICO SULL’IMMIGRAZIONE
cui al testo unico approvato con D.Lgs. 286/1998. Il termine finale è fissato in
dodici mesi dalla data di entrata in vigore della legge; l’esercizio della delega non
può comunque aver luogo prima del gennaio 2008.
Mentre le sedici lettere (da a) ad r)) in cui si articola il comma 1 contengono i
princìpi e criteri direttivi per l’esercizio della delega, i successivi commi da 2 a 5
definiscono le modalità per l’adozione del decreto legislativo e delle successive
disposizioni di coordinamento, correttive e integrative222.
Come accennato, le lettere da a) ad r) del comma 1 contengono i princìpi e
criteri direttivi.
La lettera a) stabilisce i principi e criteri di delega per la revisione della
disciplina dell’ingresso in Italia per motivi di lavoro degli stranieri non
comunitari. In particolare:
ƒ il numero 1 prevede la revisione del meccanismo di determinazione dei flussi
di ingresso, con una programmazione triennale delle quote e una procedura
per l'adeguamento annuale;
ƒ il numero 2 prevede la partecipazione ai procedimenti di definizione dei flussi
dei sindacati, delle associazioni dei datori di lavoro e delle organizzazioni ed
enti che operano nel settore dell’immigrazione;
ƒ ai sensi del numero 3, con l’adeguamento annuale la quota fissata per il
lavoro subordinato e autonomo può essere superata qualora ci sia un numero
di richieste di nulla osta al lavoro eccedente la stessa quota;
ƒ il numero 4 prevede iniziative per favorire l'incontro tra la domanda e l’offerta
di lavoro nel settore del lavoro domestico e di assistenza alla persona;
ƒ i criteri di delega di cui ai numeri da 5 a 8) delineano un modello di gestione
dei flussi di lavoratori immigrati da realizzarsi mediante liste collegate
informaticamente che formeranno una sorta di sistema di collocamento
all’estero;
ƒ il numero 9 reintroduce l’ingresso per inserimento nel mercato del lavoro con il
meccanismo della “sponsorizzazione”;
ƒ il numero 10 concerne la revisione della disciplina dei permessi riservati a
categorie di lavoratori altamente qualificati (i cosiddetti ingressi “fuori quota”);
ƒ il numero 11 prevede la possibilità per l’immigrato di fornire personalmente
prove di garanzia patrimoniale per ottenere il permesso di soggiorno per
ricerca di lavoro (“autosponsorizzazione”).
222
Per un esame più dettagliato si rinvia al dossier del Servizio studi Modifiche alla disciplina
dell’immigrazione ed alle norme sulla condizione dello straniero. A.C. 776 e abb.
(Progetti di legge n. 248 – 21 settembre 2007).
169
SCHEDE DI APPROFONDIMENTO
La lettera b), al numero 1, prevede che il decreto contenga disposizioni volte
ad agevolare l’invio delle rimesse degli stranieri verso i Paesi di origine,
incentivando il ricorso a strumenti legali.
Le misure relative all’invio delle rimesse degli stranieri, che il Governo è
delegato ad emanare, non riguardano solamente i canali di invio delle rimesse e
la riduzione dei costi di trasferimento. Infatti, allo scopo di favorire lo sviluppo dei
Paesi da cui provengono i lavoratori migranti, il numero 2 prevede l’adozione di
misure di cooperazione allo sviluppo utili a convogliare sia le competenze
acquisite che le risorse da essi prodotte verso i Paesi d’origine, mentre il numero
3 prevede il coinvolgimento dei lavoratori migranti in attività di cooperazione allo
sviluppo anche attraverso la partecipazione a progetti specifici che si svolgano
nei Paesi di origine, consentendo quindi in tali casi un rientro temporaneo, senza
pregiudizio per lo status di soggiornante regolare in Italia. Il numero 3 incoraggia
inoltre il ritorno produttivo, sia temporaneo che definitivo.
La lettera c) interviene in materia di visti
semplificare le procedure per il rilascio e la
presentare, prevedendo di estendere a tutte le
motivazione del diniego e di introdurre forme di
ritardo nel rilascio.
di ingresso, allo scopo di
relativa documentazione da
tipologie di visto l’obbligo di
tutela dei richiedenti contro il
La lettera d) enuncia i princìpi e criteri direttivi per la semplificazione delle
procedure e dei requisiti necessari per il rilascio del nulla osta, del permesso di
soggiorno e del suo rinnovo. Si prevede l’eliminazione del contratto di
soggiorno, il graduale passaggio ai comuni delle competenze amministrative per
il rinnovo del permesso di soggiorno, l’adeguamento della loro durata e la
riorganizzazione degli sportelli unici per l’immigrazione:
ƒ il numero 1 estende la validità iniziale dei permessi di soggiorno per lavoro
non stagionale;
ƒ il numero 2 prevede misure per assicurare la continuità degli effetti del
soggiorno regolare nelle more del rinnovo del permesso di soggiorno;
ƒ il numero 3 estende la validità del permesso di soggiorno per attesa
occupazione, in caso di cessazione del rapporto di lavoro;
ƒ il numero 4 concerne la revisione dei permessi di soggiorno per motivi
umanitari;
ƒ il numero 5 prevede la possibilità di svolgere attività lavorativa per lo straniero
legalmente soggiornante in base a disposizioni che non richiedono di
dimostrare il possesso di risorse economiche.
La lettera e) prevede l’attribuzione, ad opera dell’emanando decreto
legislativo, del diritto di elettorato attivo e passivo nelle elezioni
170
IL PROGETTO DI RIFORMA DEL TESTO UNICO SULL’IMMIGRAZIONE
amministrative per gli stranieri extracomunitari, alle condizioni e con le modalità
previste per i cittadini dell'Unione europea.
La lettera f) individua la finalità dell’armonizzazione della disciplina
dell'ingresso e del soggiorno degli stranieri con la normativa comunitaria,
prevedendo in particolare che, in conformità con quest’ultima, la disciplina delle
cause ostative all'ingresso o al soggiorno si fondi su una valutazione degli
elementi soggettivi dell’interessato e non sia collegata in modo automatico alla
sussistenza di determinati presupposti.
La lettera g) reca i princìpi e criteri direttivi in materia di espulsione e
rimpatrio degli immigrati clandestini o irregolarmente soggiornanti. improntati al
principio della graduazione delle misure di intervento.
In particolare, si prevede l’introduzione – accanto alle misure di contrasto
all’immigrazione clandestina previsti a legislazione vigente – di programmi di
rimpatrio volontario e assistito degli immigrati finanziati da un Fondo nazionale
cui affluiscono contributi da parte dei datori di lavoro, degli sponsor e degli
stranieri (numero 1).
In base al principio di graduazione degli interventi, si prevede inoltre:
ƒ l’introduzione di durate differenziate dei divieti di rimpatrio tenendo conto della
partecipazione degli stranieri a programmi di rimpatrio (numero 2);
ƒ una revisione del quadro sanzionatorio amministrativo e penale in materia di
immigrazione (numeri 3 e 4);
ƒ la riforma della disciplina dell’allontanamento forzato dello straniero, con la
previsione della sospensione dell'esecuzione per gravi motivi (numero 5).
Si prevede, infine, (numero 6) che la competenza giurisdizionale in materia
dovrà essere riportata al giudice ordinario in composizione monocratica.
La lettera h) reca i principi e criteri di delega per la riforma del sistema dei
centri di trattenimento e di assistenza degli immigrati, prevedendo il
superamento dei Centri di permanenza temporanea e assistenza (CPTA)
attraverso un potenziamento della loro funzione di accoglienza, di soccorso e di
tutela dell’unità familiare.
Il numero 1 introduce una riforma del sistema delle strutture destinate
all’accoglienza e al soccorso degli stranieri in condizione di irregolarità, che
intende valorizzare – attraverso interventi strutturali e gestionali – il carattere
assistenziale delle strutture esistenti.
Il numero 2 interviene sulla disciplina dell’identificazione degli stranieri da
espellere, stabilendo che – nei casi in cui tali soggetti siano sottoposti a misure
limitative della libertà personale – gli accertamenti sulla loro identità siano
effettuati durante il periodo di carcerazione.
171
SCHEDE DI APPROFONDIMENTO
Il numero 3 prevede la conversione dei CPTA in strutture destinate alle
espulsioni, nelle quali siano trattenuti esclusivamente:
ƒ gli stranieri da espellere che si siano sottratti all’identificazione,;
ƒ i cittadini stranieri identificati o che collaborino in modo fattivo alla propria
identificazione, solo nei casi in cui non sia possibile procedere
immediatamente all’espulsione.
Il numero 4 prevede infine una riforma della disciplina vigente in materia di
accesso ai centri di permanenza e di assistenza nonché di visite agli stranieri che
vi sono trattenuti.
La lettera i) è dedicata ai minori stranieri; i criteri previsti mirano a favorirne
l’inserimento civile e sociale adeguando le disposizioni sul loro soggiorno.
Al compimento della maggiore età vengono pertanto previsti (numeri 1 e 2) il
rilascio di un permesso di soggiorno per motivi familiari al minore straniero
affidato o sottoposto a tutela; quanto al minore straniero non accompagnato, al
compimento della maggiore età si prevede la conversione del permesso di
soggiorno in altre tipologie, compresa quella per accesso al lavoro; il rilascio del
nuovo titolo di soggiorno rimane in questo caso condizionato alla partecipazione
ad un progetto di accoglienza e tutela gestito da un ente pubblico o privato in
possesso di determinati requisiti.
È inoltre confermato (numero 3) il rilascio del permesso per protezione sociale
anche allo straniero che, avendo commesso reati durante la minore età, abbia
concluso positivamente un percorso riabilitativo con la partecipazione ad un
programma di assistenza ed integrazione sociale ovvero nei confronti del quale
sia stata dichiarata l'estinzione del reato per esito positivo della messa alla prova.
L’azione degli enti pubblici o privati nella presa in carico dei minori stranieri
viene sostenuta con l'istituzione presso il ministero della Solidarietà sociale di un
“Fondo nazionale di accoglienza e tutela a favore dei minori stranieri non
accompagnati” (numero 4).
È prevista la riorganizzazione e la ridefinizione delle procedure del Comitato
per i minori stranieri istituito presso il Ministero della solidarietà sociale, anche
con la previsione di una funzione consultiva dei Consigli territoriali per
l'immigrazione presso le Prefetture-Uffici territoriali del Governo. (numero 5)
Il numero 6 introduce un criterio generale relativo alla “ridefinizione e
l’estensione delle procedure di rimpatrio volontario assistito anche ai minori
stranieri che al raggiungimento della maggiore età non possiedano i requisiti per
la conversione del permesso di soggiorno per minore età”, stabilendo un più
puntuale controllo giurisdizionale con la previsione della convalida da parte del
Tribunale dei minori del rimpatrio del minore disposto senza il suo consenso. Al
rientro nel paese d’origine, i minori stranieri rimpatriati, usufruiranno inoltre di un
titolo di priorità relativamente all’iscrizione nelle liste di lavoratori stranieri di cui
alla lettera a), numero 5, incentivando in tal modo la loro collaborazione.
172
IL PROGETTO DI RIFORMA DEL TESTO UNICO SULL’IMMIGRAZIONE
Nei casi d'incertezza sulla minore età, il numero 7 prescrive che, ove gli
accertamenti medico-sanitari non consentano l'esatta determinazione dell'età, si
applicheranno comunque le disposizioni relative ai minori.
Le lettere da l) a p) riguardano l’integrazione sociale e l’assistenza sanitaria
dei cittadini stranieri legalmente soggiornanti. Esse prevedono, in particolare,
l’aggiornamento delle disposizioni in materia di assistenza sanitaria finalizzate ad
una piena inclusione nel sistema sanitario nazionale (lettera l), numero 1) e di
quelle relative alle provvidenze economiche di natura assistenziale (lettera l),
numero 2), nonché la possibilità di interventi di accoglienza a carattere
straordinario e temporaneo nei casi di emergenza (lettera m)).
La lettera o) richiede il potenziamento delle misure dirette all'integrazione dei
migranti, concepita come inclusione, interazione e scambio e non come
coabitazione tra comunità separate.
Sono previste altresì specifiche norme relativamente alla Consulta per i
problemi degli stranieri immigrati e delle loro famiglie (lettera n) ed al Fondo per
l'inclusione sociale degli immigrati (lettera p).
La lettera q) prevede misure volte a rafforzare la tutela delle vittime dei reati
di tratta, riduzione o mantenimento in schiavitù o in servitù, violenza o grave
sfruttamento.
La lettera r) prevede il coordinamento formale e sostanziale delle
disposizioni introdotte con le restanti disposizioni del testo unico, nonché con la
legislazione nazionale e comunitaria vigente in materia.
I commi da 2 a 4 dell’articolo 1 definiscono le modalità per l’adozione del
decreto legislativo e contengono due ulteriori deleghe per l’adozione delle
disposizioni di coordinamento, nonché delle disposizioni correttive e integrative
che si rendessero successivamente necessarie.
Il comma 5 introduce una clausola di salvaguardia finanziaria.
Le proposte di legge di iniziativa parlamentare
Il disegno di legge governativo è stato esaminato congiuntamente a nove
proposte di legge di iniziativa parlamentare.
Di queste, due proponevano una radicale riforma del testo unico:
l’A.C. 2547 (on. Migliore ed altri), composta da 54 articoli, recava una disciplina
organica della materia, alternativa a quella recata dal vigente testo unico in materia di
immigrazione (D.Lgs. 286/1998), che in buona misura sostituiva;
ƒ l’A.C. 1779 (on. Boato) proponeva l’integrale abrogazione della L. 189/2002 (c.d.
“legge Bossi-Fini”) e la reviviscenza della disciplina legislativa previgente.
ƒ
173
SCHEDE DI APPROFONDIMENTO
Le altre proposte di legge intervenivano su ambiti più limitati, con puntuali modifiche o
integrazioni. In particolare:
ƒ l’A.C. 776 (on. Zacchera) modificava il procedimento che presiede all’ingresso in
Italia per motivi di lavoro entro i limiti fissati dalle quote annuali, al fine di superare le
difficoltà e i disagi originati dal criterio di precedenza oggi seguito, (basato sull'ordine
di presentazione delle richieste presso gli uffici postali); esso regolava inoltre in modo
specifico, al di fuori delle quote, l’ingresso per lavoro delle c.d. “badanti”;
ƒ l’A.C. 1102 (on. Campa) consentiva agli sportivi stranieri dilettanti che si trovino nel
territorio nazionale da almeno sei mesi di cambiare settore di attività per svolgere
un’attività lavorativa subordinata o autonoma;
ƒ l’A.C. 1263 (on. Mascia ed altri) riconosceva allo straniero che regolarmente e
stabilmente risiede in Italia da almeno cinque anni il diritto di elettorato attivo e passivo
nelle elezioni amministrative;
ƒ l’A.C. 1804 (on. Sgobio ed altri) e l’A.C. 1850 (on. Bordo), con formulazione diversa,
estendevano entrambe la disciplina concernente il rilascio di un permesso di
soggiorno per motivi di protezione sociale, di cui all’art. 18 del testo unico, agli
stranieri che siano vittime di violenze o grave sfruttamento sui luoghi di lavoro;
ƒ l’A.C. 1852 (on. Bucchino ed altri) modificava la disposizione che vieta l’espulsione
delle donne in stato di gravidanza o nei sei mesi successivi alla nascita del figlio,
estendendo tale periodo a dodici mesi e disponendo che il divieto riguarda anche i
mariti conviventi (come già sancito dalla sent. 376/2000 della Corte costituzionale);
ƒ l’A.C. 2122 (on. Capotosti) recava misure volte ad agevolare il processo di
integrazione degli immigrati, concernenti il riconoscimento dei titoli di formazione
professionale, il ricongiungimento familiare, il diritto allo studio, nonché la promozione
delle attività di studio e ricerca sull’immigrazione e delle funzioni svolte dalle
associazioni di stranieri e da quelle che operano in loro favore;
ƒ l’A.C. 3122 (on. Maroni ad altri) incideva su due specifici aspetti del testo unico,
facendo rientrare nel delitto di favoreggiamento della permanenza illegale anche la
locazione di immobili agli stranieri clandestini e prevedendone la confisca obbligatoria;
introducendo, mutuati da una proposta di legge all’esame del Parlamento francese,
due requisiti ulteriori per il ricongiungimento familiare: la valutazione del grado di
conoscenza della lingua italiana e dei valori della Repubblica dei familiari dei quali si
richiede il ricongiungimento e l’identificazione mediante le impronte genetiche (test del
DNA);
ƒ anche l’A.C. 3148 (on. Santelli) prevedeva la rilevazione del DNA, oltre che in caso di
ricongiungimento familiare, anche in presenza di comportamenti elusivi
dell’identificazione, per i quali viene contestualmente incrementata la sanzione
relativa. introduceva, inoltre, varie disposizioni relative alla tutela dei minori e al
contrasto dello sfruttamento degli stranieri clandestini, disponendo, anche in questa
occasione in analogia con l’A.C. 3122, la confisca degli immobili per chi alloggia i
clandestini, e il sequestro dell’azienda per i datori di lavoro che li impiegano alle
proprie dipendenze. Altre disposizioni riguardavano il potenziamento dei controlli sulle
rotte dell’immigrazione clandestina, l’effettività dell’espulsione e la previsione di criteri
preferenziali nella determinazione dei flussi di ingresso.
174
DOCUMENTO PROGRAMMATICO E DECRETI FLUSSI
IMMIGRAZIONE
DOCUMENTO PROGRAMMATICO E DECRETI FLUSSI
Il documento programmatico
Il Documento programmatico relativo alla politica dell’immigrazione e degli
stranieri nel territorio dello Stato per il triennio 2007-2009 reca un’analisi ed una
programmazione delle più importanti politiche relative all’immigrazione e alla
presenza in Italia degli stranieri non cittadini dell’Unione europea, con riferimento
al triennio 2007-2009.
Il Consiglio dei Ministri ha approvato il documento programmatico nella seduta
del 12 ottobre 2007 e nel dicembre successivo lo ha trasmesso alle Camere per
il prescritto parare della Commissioni competenti. Nel febbraio 2008 il Governo
ha sottoposto il documento al parere delle Camere.
La I Commissione della Camera ha reso parere favorevole il 13 febbraio 2008,
lo stesso giorno anche la 1ª Commissione del Senato ha espresso parere
favorevole con osservazioni.
Alla data di chiusura del presente dossier (28 aprile 2008) il documento non
risulta pubblicato nella Gazzetta Ufficiale.
Il principio fondamentale alla base del documento programmatico 20072009 consiste nel “favorire una condizione migratoria secondo un percorso di
stabilizzazione e di inclusione” in vista di un “nuovo patto” tra lo Stato e immigrati
volto a superare la precarietà delle loro condizioni. Alla base di tale principio ci
sono tre considerazioni:
ƒ i flussi migratori non sono più un fenomeno eccezionale, bensì continuo e
stabile;
ƒ i lavoratori immigrati stranieri rappresentano una risorsa indispensabile per il
nostro Paese;
ƒ l’Unione europea è avviata verso politiche comuni in materia di immigrazione,
non incentrate esclusivamente sulla sicurezza, ma nelle quali hanno ampio
spazio la gestione efficace dei flussi e l’integrazione degli stranieri.
Il documento affronta le problematiche relative sia alla immigrazione per motivi
di lavoro (Cap. 1: Le politiche di governo degli ingressi e del lavoro), sia a quella
legata ad esigenze umanitarie (Cap. 6: Richiedenti asilo e rifugiati).
Particolare spazio è dedicato al diritto all’integrazione dei migranti, dal punto di
visti degli interventi volti all’inclusione sociale (Cap. 2: Interventi per favorire
l’inclusione e l’accoglienza), ma anche per quanto riguarda la lotta alle
discriminazioni (Cap. 3: Politiche di contrasto alle discriminazioni razziste e
xenofobe).
175
SCHEDE DI APPROFONDIMENTO
La questione della sicurezza e della lotta alla immigrazione clandestina è
affrontata nel Capitolo 4 Politiche di contrasto al traffico di persone e
all’irregolarità.
Infine, un capitolo specifico è dedicato all’attività internazionale in materia di
immigrazione (Cap. 5: Parteniariato e cooperazione a livello europeo e
internazionale).
Nel documento viene formulata una previsione della domanda di lavoro nel
triennio in oggetto, quantificata in oltre 200 mila unità per anno.
Il documento indica numerosi interventi da realizzare nei prossimi anni, tra cui
si segnalano:
ƒ la determinazione triennale (e non più annuale) dei flussi di ingresso;
ƒ la introduzione dell’ingresso per ricerca di lavoro (sponsorizzazione);
ƒ misure per favorire l’immigrazione qualificata;
ƒ la semplificazione dei procedimenti amministrativi;
ƒ la lotta al lavoro nero;
ƒ azioni per favorire l’inclusione sociale con particolare riguardo alle “seconde
generazioni”;
ƒ il contrasto alla discriminazione razziale e xenofoba;
ƒ il superamento dei centri di permanenza temporanea e accoglienza (i CPTA);
ƒ il rafforzamento delle relazioni bilaterali con i Paesi a forte pressione
migratoria;
ƒ la predisposizione di un testo unico sull’asilo.
Molti di questi interventi sono contenuti nel disegno di legge delega, di
iniziativa governativa, A.C. 2976, il cui esame è iniziato presso la I Commissione
della Camera (si veda in proposito la scheda Il progetto di riforma del testo unico
sull’immigrazione, pag. 164).
Capitolo 1. Le politiche di governo degli ingressi e del lavoro
Il primo capitolo del documento programmatico è dedicato alle politiche di
gestione dell’immigrazione regolare che si ispirano ad una programmazione dei
flussi di ingresso più flessibile, a una diversificazione delle modalità di ingresso
per motivi di lavoro e alla semplificazione delle procedure amministrative.
Nella prima sezione, particolare rilievo viene dato alla necessità di
predisporre una serie di indicatori quantitativi della domanda di lavoro.
Nella sezione sono presenti una serie di previsioni sulla necessità di
manodopera nel triennio 2007-2009 che viene complessivamente valutata
nell’ordine di oltre 200 mila unità l’anno in media, con un’ipotesi massima di 275
mila.
La disponibilità di elementi quantitativi è necessaria per una determinazione
efficace dei flussi di ingresso la cui scansione temporale dovrà essere riformata
e portata da base annuale, come avviene attualmente con i “decreti-flussi”, a
176
DOCUMENTO PROGRAMMATICO E DECRETI FLUSSI
triennale, con possibilità di rideterminazione annuale e con procedure comunque
semplificate rispetto a quelle attuali.
Pur confermando il sistema delle quote, si prevede una revisione dei canali
di ingresso, sia dal punto di vista quantitativo, prevedendo una differente
modulazione del decreto flussi in base alla tipologia lavorativa (per esempio
lavoro stagionale) e una gestione temporale separata dei flussi per evitare picchi
periodici, sia dal punto di vista qualitativo, determinando le quote di ingresso in
corrispondenza della domanda, con particolare attenzione all’attività di
collaborazione familiare, agli ingressi fuori quota di personale specialistico, al
personale formato all’estero.
Si prevedono, inoltre, meccanismi innovativi, quali l’ingresso per ricerca di
lavoro – attraverso la triplice forma di sponsorizzazione collettiva (da parte di enti
e istituzioni), di sponsorizzazione da parte di privati e di auto-sponsorizzazione –
e la predisposizione di liste all’estero di cittadini extracomunitari disponibili a
lavorare in Italia (entrambi gli strumenti erano previsti dal citato d.d.l. di riforma).
Altre forme di agevolazione sono previste in caso di legalizzazione del
soggiorno in casi particolari (ad esempio per motivi umanitari) e per il lavoro
stagionale.
La seconda sezione descrive alcune misure per favorire l’immigrazione
qualificata, sia dirette all’accoglienza di lavoratori altamente qualificati, sia per
creare canali privilegiati per l’ingresso e la permanenza di studenti, ricercatori,
investitori ed imprenditori, secondo le indicazioni della strategia di Lisbona
finalizzata all’aumento della competitività dell’economia europea.
La terza sezione individua alcuni interventi di semplificazione
amministrativa (in parte contenuti anche nel disegno di legge di riforma del testo
unico).
Si ricordano in particolare:
ƒ la semplificazione degli oneri in capo al datore di lavoro collegati alla stipula
del contratto di lavoro;
ƒ la riorganizzazione degli sportelli unici per l’immigrazione in vista della
completa informatizzazione delle procedure;
ƒ la semplificazione dei procedimenti di rilascio del nulla osta e del permesso
di soggiorno, nell’ottica di un futuro trasferimento delle competenze in materia
ai comuni.
Alle prospettive dell’allargamento dell’Unione europea sul mercato del
lavoro è dedicata la quarta sezione, incentrata sull’esigenza di monitorare
attentamente le assunzioni di lavoratori provenienti da Romania e Bulgaria, in
considerazione dei rilevanti flussi provenienti da questi Paesi (nel 2006 il 27%
177
SCHEDE DI APPROFONDIMENTO
delle domande di nulla osta sono state di cittadini rumeni (121 su 458 mila
lavoratori non stagionali).
Sulla base del principio della parità di trattamento tra lavoratori italiani e
stranieri in materia pensionistica, che ha il suo fondamento nella costituzione
(art. 38, co. 2), la quinta sezione dispone la incentivazione della politica volta
alla definizione di accordi e convenzioni internazionale in materia di prestazioni
previdenziali, sulla scorta degli accordi già in essere con diversi Paesi sulla
totalizzazione dei periodi assicurativi.
Il capitolo dedica ampio spazio alla formazione – oggetto della sesta sezione
– ed in particolare della formazione universitaria, sia dal punto di vista della
mobilità (in entrata e in uscita), sia per quanto riguarda l’inserimento e
l’integrazione dello studente straniero. Tra le misure previste si segnalano:
ƒ l’aumento dei finanziamenti per la ricerca;
ƒ gli interventi per la riforma dei sistemi di istruzione;
ƒ l’incentivazione delle collaborazioni internazionali;
ƒ iniziative mirate ad attrarre studenti stranieri (borse di studio ecc.);
ƒ semplificazione delle procedure di rinnovo del permesso di soggiorno al
termine del periodo universitario per la prosecuzione degli studi post laurea.
La formazione degli adulti stranieri risponde alle esigenze derivanti dalle
caratteristiche ormai strutturali assunte dall’immigrazione nel nostro Paese. La
formazione in questo campo riguarda prioritariamente l’apprendimento della
lingua italiana e l’acquisizione di un titolo di studio, ma deve estendersi anche
alla sicurezza dei luoghi di lavoro.
Da incentivare anche i meccanismi di selezione e formazione all’estero già
previsti dalla normativa vigente (art. 23 del TU).
Infine, la settima sezione introduce misure volte a combattere il lavoro nero,
in particolare delle donne, e l’economia sommersa il cui contrasto costituisce
ormai un’esigenza “non più procrastinabile”.
Tra le misure previste si segnalano le seguenti:
ƒ il coordinamento degli organismi preposti al controllo ispettivo (Direzioni
regionali e provinciali del lavoro, enti previdenziali);
ƒ l’applicazione agli immigrati di programmi e modelli di prevenzione del lavoro
nero già sperimentati dal Ministero del lavoro;
ƒ l’attuazione delle disposizioni in materia previste nella legge finanziaria 2007;
ƒ la previsione di una strategia specificatamente mirata alla protezione della
salute e della sicurezza degli immigrati stranieri.
178
DOCUMENTO PROGRAMMATICO E DECRETI FLUSSI
Capitolo 2. Interventi per favorire l’inclusione e l’accoglienza
Il capitolo 2, suddiviso in 12 sezioni, prefigura un percorso di integrazione
coerente con quanto proposto in ambito europeo223, individuando interventi
normativi ed obiettivi specifici da conseguire attraverso un approccio integrato
in grado di comprendere i differenti ambiti della vita degli stranieri.
La prima sezione è dedicata all’accesso alla cittadinanza e al permesso di
soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo, considerati momenti
fondamentali del processo di integrazione.
Nella seconda e terza sezione il documento rileva come l’equiparazione tra
cittadini e stranieri abbia fatto notevoli progressi in materia di godimento dei diritti
sociali mentre proceda ancora fra molte cautele nell’ambito dei diritti politici. In
tal senso, vengono considerati di grande importanza, oltre al riconoscimento del
diritto di voto alle elezioni amministrative la creazione o il rafforzamento di
organismi in grado di consentire la partecipazione degli stranieri alla vita delle
comunità di residenza, locale e nazionale.
La Consulta per i problemi degli stranieri immigrati e delle loro famiglie
(art, 42, co.4, del T.U.) costituirà in tal senso lo strumento attraverso il quale
rafforzare il dialogo con gli enti e le associazioni nazionali attive nel settore,
affiancata altresì dalla neocostituita Consulta giovanile per il pluralismo
religioso e culturale224.
Grande spazio è dedicato (nella quarta sezione) ai Consigli territoriali per
l’immigrazione, previsti dall’art. 3 del testo unico, istituiti a livello provinciale
presso le Prefetture. L’azione di monitoraggio svolta dal Ministero dell’interno ha
evidenziato come tali organismi siano in grado di assicurare il coordinamento
necessario a promuovere la rete di relazioni ed interventi fra centro e periferia,
fondamentale fra l’altro per la determinazione delle quote di ingresso dei
lavoratori extracomunitari.
La quinta sezione è dedicata agli interventi per la famiglia nonché ai
ricongiungimenti familiari, la cui disciplina è stata innovata dal D. Lgs. 5/2007.
Il documento sottolinea come, in Italia, negli ultimi anni sia stato registrato un
forte incremento delle famiglie immigrate (nel triennio 2004-2006 si è avuto un
aumento, pari al 30,94%, dei visti per ricongiungimento familiare emessi da tutta
la rete estera). A fronte di tale dato, e degli incrementi registrati nel numero dei
nati stranieri e dei minori stranieri presenti sul territorio nazionale, si ritiene
indispensabile che le famiglie immigrate, “promotrici del processo di inclusione
223
224
A tale proposito, nel documento vengono citati i Principi fondamentali comuni su Immigrazione
e Integrazione adottati dal Consiglio europeo nel 2004 e la Comunicazione della Commissione
europea Un’agenda comune per l’integrazione COM(2005)389.
Istituita con decreto ministeriale 15 dicembre 2006.
179
SCHEDE DI APPROFONDIMENTO
sociale degli stranieri”, possano fruire degli interventi indirizzati alle famiglie in
difficoltà, da individuare attraverso il primo Piano nazionale, finanziato, come
stabilito dalla legge finanziaria 2008225, con le risorse del Fondo per la Famiglia,
d’intesa con le amministrazioni statali competenti e la Conferenza Unificata.
Tra le misure specificamente previste per i nuclei familiari stranieri, rivestono
grande importanza quelle relative alla promozione della conoscenza dei servizi
sanitari e socio-educativi presenti sul territorio e l’inserimento nell’organico dei
consultori (della cui disciplina è prevista una riforma) della figura dei mediatori
culturali nonché la formazione di operatori preposti alle relazioni con i cittadini
stranieri. Verrà inoltre definito un piano d’intervento per promuovere
l’informazione e il sostegno delle donne e delle loro famiglie prima e dopo il
parto. Infine, per agevolare lo scambio tra le famiglie di diverse culture,
immigrate e non, nei comuni, per tramite delle Regioni, dovranno essere attuate
azioni di prossimità (ricorso all’accompagnamento o ad azioni di mediazione
territoriale).
La sesta sezione è dedicata ai minori stranieri non accompagnati, la cui
presenza sul territorio, secondo dati aggiornati al febbraio 2007, risulta pari a
circa 6000. Il documento rileva come la normativa in materia appaia ormai
inadeguata a corrispondere all’esigenze di protezione e tutela di una categoria di
stranieri particolarmente vulnerabile e purtroppo soggetta ai fenomeni di
reclutamento delle organizzazioni criminali.
Si prevede pertanto l’introduzione di disposizioni di vario genere, prima fra
tutte la riduzione dei limiti temporali di permanenza dei minori sul territorio
nazionale e di frequenza a un progetto di integrazione sociale e civile, necessari,
a legislazione vigente, per la conversione, al compimento della maggiore età,
del permesso di soggiorno per minore età in altre tipologie di permesso,
comprendendo quella per accesso al lavoro. Inoltre, l’aumento della presenza
di minori provenienti da aeree geografiche a rischio, rende opportuno “un
processo di innovazione, nella composizione, nelle procedure, e nelle modalità di
funzionamento del Comitato per minori stranieri”, unitamente all’impostazione
di un Programma nazionale che regoli nello specifico i singoli ambiti di
intervento.
Il documento, nella settima sezione, indica poi misure per le seconde
generazioni, finalizzate ad assicurare loro pari opportunità di accesso alla
formazione, all’inserimento lavorativo e all’inclusione sociale: l’integrazione delle
seconde generazioni è considerata cruciale per la tenuta del tessuto sociale del
paese e per la sua evoluzione verso forme mature di pluralismo.
225
L. 24 dicembre 2007, n. 244, Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale
dello Stato (legge finanziaria 2008).
180
DOCUMENTO PROGRAMMATICO E DECRETI FLUSSI
Alla salute è dedicata l’ottava sezione, che rende conto della già ottima
situazione dell’assistenza sanitaria prestata agli stranieri nel nostro paese, da
questo punto di vista fra i più garantisti del panorama europeo.
L’obiettivo fissato dal documento programmatico è dunque quello di
rafforzare, con azioni concordate fra lo Stato e gli enti locali, una politica di
piena parità fra stranieri e cittadini italiani ponendo in essere correttivi quali il
coordinamento delle politiche sanitarie regionali, la prevenzione e il contrasto
di pratiche quali la mutilazione genitale femminile, la promozione di campagne
informative sul SSN, ponendo particolare attenzione a donne e minori e
intensificando i controlli sanitari nei centri di permanenza temporanea e nelle
carceri.
Nella nona sezione il documento illustra le politiche relative all’integrazione
scolastica e all’educazione interculturale. I dati rivelano come la presenza
degli alunni stranieri sia in progressivo aumento nel segmento delle scuole
superiori, più elevata nel centro e nel nord del paese ma diffusa sia nei grandi
che nei piccoli centri; conseguentemente gli elementi di criticità individuati
risultano la polarizzazione degli alunni stranieri in alcuni istituti scolastici e la
novità della loro maggiore presenza nelle scuole superiori.
Gli interventi proposti riguardano pertanto la formazione dei dirigenti
scolastici e di tutto il personale delle scuole ad alta presenza di alunni
stranieri, da affrontare attraverso un Piano nazionale per la formazione, da
definire d’intesa con gli uffici scolastici regionali, gli enti locali, le università e in
collaborazione con i centri interculturali e le associazioni del terzo settore.
Ampio spazio è dedicato all’insegnamento dell’italiano, posto al centro
dell’azione didattica scolastica ma considerato fondamentale anche come
percorso formativo da offrire alle famiglie, con particolare attenzione alle
donne, soggetti con scarse occasioni di interazione sociale, ma fondamentali per
il coinvolgimento nei processi decisionali che riguardano i figli.
Il documento infine rimanda alla necessità di rivisitare i curricula scolastici
alla luce delle diverse e molteplici appartenenze culturali degli alunni, tenendo
anche conto delle strategie adottate dagli altri paesi europei.
La decima sezione del documento è dedicata alle attività sportive.
Attualmente, la normativa vigente disciplina solo l’ingresso degli sportivi che
svolgono la loro attività a livello professionistico, prevedendo quale presupposto
per il soggiorno sul territorio italiano, un contratto di lavoro; in quest’ambito
diviene quindi di particolare importanza la previsione di un permesso anche per
gli sportivi che praticano attività dilettantistica nelle numerose discipline che non
appartengono alle attività sportive professionistiche (nuoto, pallavolo, baseball,
etc.), approfondendo la percorribilità dell’istituzione di un visto per attività
sportiva dilettantistica.
181
SCHEDE DI APPROFONDIMENTO
L’undicesima sezione è dedicata al riconoscimento dei titoli di studio e
delle qualifiche professionali: viene proposta l’istituzione di un nuovo
certificato attestante il livello, sostitutivo delle dichiarazioni di equipollenza e di
riconoscimento.
La dodicesima sezione concerne infine le politiche abitative. Il documento
rileva come la questione abitativa sia un problema strutturale avvertito da tutte le
fasce più deboli della popolazione – indipendentemente dalla cittadinanza – sia
per la povertà dell’offerta di edilizia residenziale pubblica che per la scarsezza di
alloggi privati in affitto a canoni accessibili. Premesso che non appare opportuno
affrontare la questione separando e individuando percorsi diversi per i cittadini e
gli immigrati, il documento segnala l’esigenza di percorsi d’accesso orientati
all’accompagnamento all’abitare per le fasce deboli, soprattutto in talune aree
metropolitane più esposte al degrado e alla marginalizzazione; quanto agli
immigrati, occorrerà tener conto delle tipologie di ingresso e di composizione
del nucleo familiare: lavoratori stagionali e lavoratori fissi non accompagnati dal
nucleo familiare (creazione di centri di accoglienza, alloggi sociali in forma di
pensionato, etc.) o lavoratori fissi che vivano con il proprio nucleo familiare
(forme di credito ad hoc, forme di garanzia per i piccoli proprietari che intendano
affittare agli immigrati, sportelli informativi).
Capitolo 3. Politiche di contrasto alle discriminazioni razziste e xenofobe
Il terzo capitolo si articola in sette sezioni: le prime quattro forniscono
indicazioni di massima relativamente ai fenomeni legati alla percezione della
discriminazione con particolare riguardo all’origine etnica. Il monitoraggio dei
fenomeni di esclusione sociale viene ritenuto fondamentale per l’individuazione di
azioni positive che favoriscano una piena collaborazione delle istituzioni con le
parti sociali. Viene pertanto sottolineata l’importanza che si proceda ad indagini
sistematiche di tipo multiscopo ed ad analisi statistiche, cercando di favorire il
più possibile l’emersione su tutti gli aspetti della discriminazione, violenze e
crimini razzisti e xenofobi.
D’altra parte, viene ribadita la necessità che il principio della parità e delle pari
opportunità divenga parte integrante del patrimonio culturale ed educativo.
La quinta sezione del documento esamina sinteticamente i nodi
problematici legati al mondo del lavoro, all’alloggio, all’accesso al credito,
all’attività sportiva e alla rappresentazione mediatica del mondo
dell’immigrazione, indicando al contempo le possibile linee di intervento.
La sesta sezione è dedicata all’integrazione dei Rom e dei Sinti: l’ingresso
nell’Unione europea della Romania, paese da cui tradizionalmente tali
182
DOCUMENTO PROGRAMMATICO E DECRETI FLUSSI
popolazioni provengono, fa ragionevolmente presumere che la loro presenza si
rafforzerà nel tempo, rendendo necessari interventi mirati alla risoluzione delle
criticità legate alla gestione dei cosiddetti “campi sosta”, nonché alle situazioni di
disagio abitativo, devianza, accesso ai servizi sociali e all’istruzione, e a
contrastare le discriminazioni. Si ritiene necessario che una strategia mirata di
intervento si avvalga dell’apporto delle associazioni impegnate nella tutela dei
diritti di tali minoranze.
La settima sezione sottolinea l’importanza di utilizzare strumenti di azione e
mezzi di intervento finalizzati al rafforzamento diffuso della consapevolezza
dei diritti e delle regole. In tale prospettiva, il documento ritiene fondamentale
instaurare uno stretto legame con il mondo dell'associazionismo, partendo dai
luoghi della vita quotidiana, attraverso la costituzione di piccoli gruppi sostenuti
dalle pratiche della mediazione interculturale.
Capitolo 4. Politiche di contrasto al traffico di persone e all’irregolarità
Il capitolo 4, ripartito in cinque sezioni, prende in esame le questioni relative
alle politiche europee di contrasto all’immigrazione clandestina e alla tratta
di esseri umani. Queste si ispirano alla duplice necessità di
ƒ rafforzare la gestione integrata delle frontiere esterne;
ƒ promuovere la cooperazione con i Paesi di origine e transito
dell’immigrazione.
Nella prima sezione sono illustrate le iniziative in ambito comunitario, alle
quali partecipa anche l’Italia, che sono state assunte più di recente o che sono in
corso di realizzazione.
La seconda sezione riguarda le misure di espulsione. Tra gli interventi da
attuare al riguardo si prevede di:
ƒ rendere effettive le espulsioni, graduando le misure di intervento e
incentivando la collaborazione degli immigrati irregolari;
ƒ predisporre programmi di rimpatrio volontario e assistito, rivolti anche a
immigrati non espulsi, privi dei mezzi di sussistenza, finanziati da un Fondo
nazionale rimpatri, in cui confluiscono i contributi corrisposti dai datori di
lavoro e dagli sponsor (enti o singoli cittadini), che garantiscono l’ingresso
degli stranieri;
ƒ differenziare la durata del divieto di reingresso per gli stranieri espulsi,
tenendo conto della loro partecipazione ai programmi di rimpatrio o dei motivi
dell’espulsione e prevedere un meccanismo deterrente graduale, in
funzione della gravità e della reiterazione delle violazioni e dei motivi
dell’espulsione.
183
SCHEDE DI APPROFONDIMENTO
La terza sezione enuncia le linee guida per la modifica sostanziale della
disciplina dei Centri di permanenza temporanea e assistenza (CPT), nel senso
di:
ƒ rivedere le caratteristiche strutturali e gestionali dei CPT:
- limitando il tempo di trattenimento degli stranieri irregolari al minimo
necessario,
- applicando misure di sicurezza proporzionate alle finalità,
- individuando forme di gestione in collaborazione con gli enti locali, le ASL
e le associazioni umanitarie,
- fornendo informazioni agli immigrati sulle procedure per ottenere l’asilo,
sulla normativa in materia di tratta e di grave sfruttamento del lavoro, sulle
modalità di ingresso regolare e sui programmi di rimpatrio;
ƒ prevedere l’esclusiva destinazione delle strutture per le espulsioni al
trattenimento degli stranieri da espellere che si sono sottratti
all’identificazione, riducendo il periodo di permanenza e utilizzando le stesse
strutture per gli stranieri identificati, quando non è possibile eseguire
immediatamente l’espulsione;
ƒ garantire maggiore trasparenza all’attività svolta nei CPT rivedendo la
disciplina dell’accesso a tali strutture.
Nella quarta sezione il documento propone una serie di azioni per
contrastare la tratta di esseri umani.
Tra queste, si segnala l’introduzione, a livello normativo, della possibilità di
ricongiungimento familiare per le vittime di tratta alle quali sia stato rilasciato
il permesso di soggiorno per motivi di protezione sociale: ciò consentirebbe di
evitare ritorsioni nei confronti dei familiari rimasti nei Paesi d’origine e di favorire
la collaborazione con le Forze di polizia.
Per le vittime della tratta e dello sfruttamento minori di 18 anni (sovente
impiegati nell’accattonaggio e nel lavoro clandestino) devono essere previste
misure specifiche che garantiscano loro il diritto allo studio e l’assistenza
psicologica specializzata; si intende inoltre valutare la possibilità di dotare tutti i
minori presenti sul territorio di un documento di riconoscimento elettronico,
per evitare che i membri delle organizzazioni criminali si dichiarino parenti del
minore. Per i minori sprovvisti di qualunque documento di identità, si dovrà
attivare una procedura per l’accertamento dell’età, fermo restando, nel dubbio,
il principio di presunzione della minore età.
Si dovranno inoltre adeguare le risorse finanziarie per i programmi di
assistenza alle vittime di tratta, rilanciare una politica per il rientro volontario
assistito e promuovere un “sistema europeo” di politiche di contrasto della
tratta. Si intende modificare il quadro sanzionatorio per reprimere più
efficacemente il favoreggiamento dell’immigrazione clandestina.
184
DOCUMENTO PROGRAMMATICO E DECRETI FLUSSI
La quinta sezione indica gli obiettivi che il Governo intende perseguire nel
campo della cooperazione di polizia con i Paesi da cui hanno origine o
transitano rilevanti flussi di immigrazione irregolare per realizzare iniziative di
collaborazione operativa, nel quadro di accordi formali già conclusi o in via di
perfezionamento, e per attuare i programmi già intrapresi di assistenza tecnica
con la fornitura di mezzi e con attività di formazione.
Capitolo 5. Parteniariato e cooperazione
Nella prima sezione, delle tre di cui si compone il capitolo, si ribadisce che il
partenariato con i Paesi di origine e di transito resta, nell’ottica italiana, lo
strumento d’azione privilegiato a disposizione dell’Unione europea, in grado di
garantire un’ordinata gestione delle migrazioni con beneficio di tutti i Paesi
interessati (di origine, di transito, di destinazione) oltre che degli stessi migranti.
Per questo motivo, l’Italia continuerà ad impegnarsi in sede comunitaria nella
promozione di iniziative di cooperazione nel campo dell’immigrazione.
ƒ
ƒ
ƒ
ƒ
ƒ
ƒ
La seconda sezione si diffonde sugli accordi bilaterali in materia di:
regolamentazione e gestione dei flussi di lavoro, che consentono di
rafforzare i canali di ingesso regolare e l’incontro tra domanda e offerta di
lavoro;
minori non accompagnati, al fine di prevenire il fenomeno, agevolare il
rimpatrio assistito e il reinserimento familiare e sociale dei minori rientrati in
patria;
riammissione: l’obiettivo è di trasformare tali accordi in accordi generali in
materia migratoria che prevedano percorsi di ingressi legali, programmi di
rimpatrio volontario e di reintegrazione nel Paese di provenienza, forme di
immigrazione circolare e di utilizzo produttivo delle rimesse degli immigrati;
movimento temporaneo di personale qualificato, per semplificare le
procedure per gli ingressi collegati alla fornitura di specifici servizi nel quadro
di accordi commerciali internazionali (distacchi intra-societari, visitatori d’affari,
tirocinanti laureati, prestatori di servizi su contratto, professionisti indipendenti,
etc.);
salute e scienze mediche, con l’obiettivo di favorire lo scambio di
informazioni ed esperienze tra i sistemi sanitari e il trasferimento di
conoscenze e tecnologie nel settore della ricerca;
prevenzione e contrasto alla tratta di esseri umani, accrescendo l’impegno
per la ratifica degli atti internazionali sulla tutela dei diritti fondamentali e in
particolare della Convenzione di Varsavia del 2005 in materia di azioni contro
il traffico di esseri umani.
La terza sezione dà conto delle strategie di cooperazione allo sviluppo
mirate, tra l’altro, a sostenere il consolidamento della democrazia, la riduzione
185
SCHEDE DI APPROFONDIMENTO
della povertà, lo sviluppo economico nei Paesi di origine dei flussi migratori,
stimolando le capacità produttive.
Nel quadro dell’impegno dei maggiori Paesi industrializzati per incentivare
l’utilizzo produttivo delle rimesse dei lavoratori immigrati, assumono rilievo le
azioni volte a ridurre i costi di transazione delle rimesse, allo scopo di favorire
l’investimento nei Paesi di provenienza.
Capitolo 6. Richiedenti asilo e rifugiati
Il capitolo 6 si articola in quattro sezioni.
La prima sezione illustra le principali iniziative assunte in ambito
comunitario in materia di riconoscimento del diritto di asilo.
Particolare rilievo viene dato al recente recepimento da parte dell’Italia di due
direttive, la 2004/83/CE, attuata con il D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, sulle
norme minime per l'attribuzione della qualifica di rifugiato e per il contenuto
della protezione riconosciuta, e la 2005/85/CE, concernente le procedure per il
riconoscimento e la revoca dello status di rifugiato.
Nel documento si individua l’obiettivo della predisposizione di un testo unico
sul diritto di asilo, che dia un assetto ordinamentale organico alla materia.
La seconda sezione delinea un quadro della normativa interna concernente i
centri di identificazione, il Sistema di protezione per i richiedenti asilo e i
rifugiati e il Piano nazionale di accoglienza per i minori non accompagnati
richiedenti asilo.
Nella terza sezione, dedicata alle procedure per il riconoscimento dello
status di rifugiato, si evidenzia la diminuzione complessiva delle istanze di
asilo, a fronte di un costante aumento delle decisioni di riconoscimento di
protezione umanitaria, segno della crescente attenzione prestata dall’Italia a
questo tema.
La quarta sezione, infine, ha per oggetto il regolamento (CE) 343/2003 (c.d.
Regolamento Dublino II).
L’Italia si propone di migliorare il funzionamento delle procedure previste da
tale regolamento con particolare riferimento a:
ƒ l’esame delle domande di asilo;
ƒ il riconoscimento al richiedente asilo della facoltà di rimanere nello Stato
membro fino al momento in cui non sia stata assunta la decisione relativa
all’effetto sospensivo, armonizzando le differenze ora esistenti
nell’interpretazione da parte dei singoli Stati della nozione di rifugiato e
dell’applicazione;
ƒ il rispetto del principio dell’unità familiare.
186
DOCUMENTO PROGRAMMATICO E DECRETI FLUSSI
Sul tema del diritto di asilo, si vedano anche i capitoli Status di rifugiato e diritto di
asilo e Attività UE: immigrazione e asilo, nel dossier 1/1, parte seconda.
187
SCHEDE DI APPROFONDIMENTO
IMMIGRAZIONE
RICONGIUNGIMENTO FAMILIARE
Il decreto legislativo 8 gennaio 2007, n. 5, Attuazione della direttiva
2003/86/CE relativa al diritto di ricongiungimento familiare, modifica l’istituto del
ricongiungimento familiare degli stranieri non comunitari semplificandone le
procedure ed eliminando alcune condizioni limitative al suo esercizio.
Il decreto è stato adottato in virtù della norma di delega conferita al Governo nell’art. 1,
commi 1 e 3, della L. 62/2005 (legge comunitaria 2004)226; per effetto di tali disposizioni
lo schema preliminare del decreto è stato sottoposto preventivamente al parere delle
competenti Commissioni parlamentari. Si segnala peraltro che lo schema è stato
presentato oltre il termine per il recepimento della direttiva, fissato dalla direttiva stessa al
3 ottobre 2005.
La I Commissione (Affari costituzionali) della Camera ha reso parere favorevole il 18
ottobre 2006, mentre la 1ª Commissione (Affari costituzionali) del Senato non ha
espresso il prescritto parere.
Il decreto legislativo apporta al testo unico sull’immigrazione (D.Lgs.
286/1998227) le modifiche e le integrazioni necessarie per il recepimento della
direttiva 2003/86/CE, del Consiglio dell’Unione europea, in materia di diritto al
ricongiungimento familiare da parte dei cittadini di Paesi terzi legalmente
soggiornanti nel territorio degli Stati membri.
Il provvedimento incide in primo luogo sulle disposizioni del testo unico che
garantiscono il diritto all’unità familiare e dettano le condizioni per i
ricongiungimenti familiari (artt. 28-30); tuttavia, le modifiche al testo unico
riguardano anche altri aspetti: il pieno adeguamento alla direttiva comunitaria
comporta infatti una ricaduta anche sulla disciplina in materia di ingresso nel
territorio dello Stato (art. 4); permesso di soggiorno (art. 5); espulsione
amministrativa (art. 13). La disciplina relativa a tali istituti viene integrata con
l’obiettivo di introdurvi specifiche fattispecie applicabili in caso di ricongiungimenti
familiari.
In attuazione del dettato comunitario, viene inoltre introdotto un articolo
aggiuntivo (art. 29-bis) concernente specificamente il ricongiungimento familiare
dei rifugiati.
Nel dettaglio, l’articolo 1 dello schema di decreto reca le finalità del
provvedimento in esame, consistenti, come si diceva, nell’adeguamento della
normativa italiana alla direttiva comunitaria 2003/86/CE in materia di esercizio del
226
227
L. 18 aprile 2005, n. 62, Disposizioni per l’adempimento di obblighi derivanti dall’appartenenza
dell’Italia alla Comunità europea – Legge comunitaria 2004.
D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina
dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero.
188
RICONGIUNGIMENTO FAMILIARE
diritto di ricongiungimento familiare da parte degli stranieri residenti regolarmente
sul territorio degli Stati membri.
L’articolo 2 reca al D.Lgs. 286/1998 le modifiche di seguito illustrate.
Il comma 1, lett. a), aggiunge un periodo all’art. 4, comma 3, del testo Unico
sull’immigrazione, che disciplina l’ingresso degli stranieri nel territorio dello
Stato italiano.
Nel nuovo periodo si precisa che gli stranieri per i quali è richiesto il
ricongiungimento familiare non sono ammessi nel nostro Paese quando
rappresentino una minaccia concreta e attuale per l’ordine pubblico o la
sicurezza dello Stato italiano o di uno dei Pesi dell’area Schengen, con i quali
l’Italia ha sottoscritto accordi per la soppressione dei controlli alle frontiere interne
e la libera circolazione delle persone.
Per effetto della novella, le ipotesi in cui le richieste di ricongiungimento
familiare possono essere respinte vengono circoscritte alle motivazioni sopra
enunciate (minaccia per l’ordine pubblico o la sicurezza dello Stato), laddove,
precedentemente, anche tali richieste rientravano nella disciplina generale di cui
al comma 3 dell’art. 4 che prevede ulteriori cause ostative all’ingresso nel
territorio dello Stato: esso infatti è automaticamente interdetto in caso di
condanna – anche a seguito di patteggiamento – ad una serie di gravi reati. Si
tratta, innanzitutto, dei reati particolarmente gravi per i quali la legge prevede
l’arresto obbligatorio in flagranza (ai sensi dell’art. 380, commi 1 e 2 del codice di
procedura penale) nonché di una serie di reati, riconducibili direttamente o
indirettamente al fenomeno migratorio (sono quelli inerenti gli stupefacenti, la
libertà sessuale, il favoreggiamento delle migrazioni clandestine, lo sfruttamento
della prostituzione e lo sfruttamento dei minori).
La lettera b) apporta due modifiche all’art. 5 del testo unico, che reca la
disciplina del permesso di soggiorno, incidendo, in particolare, sul procedimento
con il quale viene disposto il rifiuto del rilascio, la revoca o il diniego di
rinnovo del permesso di soggiorno.
Ai sensi dell’art. 5, co. 5, il rifiuto, la revoca o il diniego di rinnovo sono disposti in
assenza dei requisiti per l’ingresso e per il soggiorno nel territorio dello Stato, sempre che
non siano sopraggiunti nuovi elementi che ne consentano il rilascio e che non si tratti di
irregolarità amministrative sanabili.
I requisiti per l’ingresso sono contenuti principalmente nell’art. 4, co. 3, di cui si è
detto. In particolare, per i familiari ricongiunti rileva, ai fini del loro ingresso, il requisito di
non costituire una minaccia per l’ordine pubblico o per la sicurezza dello Stato. Mentre
per quanto riguarda i requisiti per il soggiorno, si ricorda che il permesso di soggiorno è
rilasciato agli stranieri entrati regolarmente e, per i lavoratori, è subordinato alla stipula
con il datore di lavoro del contratto di soggiorno per lavoro (art. 5 e 5-bis).
189
SCHEDE DI APPROFONDIMENTO
Per effetto della prima modifica, nella decisione su un provvedimento di rifiuto,
revoca o diniego del rinnovo del permesso di soggiorno dello straniero che ha
esercitato il diritto al ricongiungimento familiare o del familiare ricongiunto, si
dovrà effettuare una valutazione che tenga conto dei seguenti aspetti:
ƒ natura ed effettività dei vincoli familiari dell’interessato;
ƒ esistenza di legami familiari e sociali con il Paese d’origine;
ƒ durata del soggiorno nel territorio nazionale (ciò vale, evidentemente, soltanto
per lo straniero che vi è già presente).
Come evidenziato nella relazione illustrativa del Governo sullo schema di
decreto presentato alle Camere per il parere, la disposizione innova fortemente
la disciplina nazionale sui permessi di soggiorno, poiché introduce un elemento
di valutazione discrezionale in sede di decisione sul rifiuto, sulla revoca o sul
diniego di rinnovo del medesimo, in caso di ricongiungimento familiare, in
precedenza definita in modo automatico in base ad un elemento oggettivo (ossia
la mancanza dei requisiti necessari).
Viene così a crearsi una doppia procedura in materia di permesso di
soggiorno: per coloro che non hanno esercitato il diritto al ricongiungimento
familiare vale la disciplina generale per cui la revoca e il rinnovo sono subordinati
unicamente alla presenza dei requisiti di legge, mentre per gli stranieri che hanno
ottenuto il ricongiungimento e per i loro congiunti si introduce anche una
valutazione discrezionale.
Tale innovazione recepisce una precisa disposizione contenuta nella direttiva
2003/86/CE che all’articolo 17 prevede: “In caso di rigetto di una domanda, di ritiro o di
mancato rinnovo del permesso di soggiorno o di adozione di una misura di
allontanamento nei confronti del soggiornante o dei suoi familiari, gli Stati membri
prendono nella dovuta considerazione la natura e la solidità dei vincoli familiari della
persona e la durata del suo soggiorno nello Stato membro, nonché l'esistenza di legami
familiari, culturali o sociali con il suo paese d'origine”.
Un ulteriore motivo di diniego del ricongiungimento familiare è individuato dal
provvedimento in esame nell’ipotesi di accertamento che il matrimonio o
l’adozione abbiano avuto luogo unicamente per permettere l’ingresso o il
soggiorno dell’interessato (si veda oltre il nuovo comma 9, dell’art. 29 TU e la
modifica all’art. 30).
La seconda modifica chiarisce quali tipi di reati contro l’ordine pubblico e la
sicurezza pubblica debbano essere presi in considerazione ai fini della
valutazione in ordine al rilascio o al rinnovo del permesso di soggiorno per motivi
familiari (disciplinato dall’art. 30 del TU): si tratta dei reati di favoreggiamento
dell’immigrazione clandestina (di cui all’art. 12, co. 1 e 3 del TU) e di quei reati
particolarmente gravi (omicidio, sequestro, associazione mafiosa ecc.) per i quali
la legge prevede una durata massima delle indagini preliminari di due anni in
luogo di 18 mesi (ai sensi dell’art. 470, co. 2 del codice di procedura penale).
190
RICONGIUNGIMENTO FAMILIARE
Tale modifica accoglie sostanzialmente un’osservazione formulata nel corso
dell’esame al Senato con la quale si invitava il Governo a prevedere “un
riferimento alle tipologie di reati contro l'ordine pubblico e la sicurezza pubblica in
presenza dei quali si orienta la valutazione ai fini della revoca o del rifiuto del
rinnovo del permesso di soggiorno per motivi familiari”228.
La lettera c) introduce due novelle all’art. 13 del testo unico, che regola
l’espulsione amministrativa dello straniero.
Con la prima novella, si inserisce nel corpo dell’articolo un comma 2-bis ai
sensi del quale – parallelamente a quanto disposto dalla precedente lettera b) –
anche per l’adozione del provvedimento di espulsione dello straniero che ha
esercitato il diritto al ricongiungimento familiare o del familiare ricongiunto si deve
effettuare una valutazione discrezionale che tenga conto di alcuni elementi di
fatto, ovvero:
ƒ natura ed effettività dei vincoli familiari dell’interessato;
ƒ esistenza di legami familiari, culturali o sociali con il Paese d’origine;
ƒ durata del soggiorno nel territorio nazionale.
È importante evidenziare che tale valutazione – che anche in questo caso
comporta un freno all’automatismo dell’espulsione e introduce un elemento di
discrezionalità nel giudizio – può essere fatta unicamente nei casi in cui
l’espulsione è disposta perché lo straniero ha violato le norme sull’ingresso o sul
soggiorno nel nostro paese e vi soggiorna illegalmente (ai sensi dell’art. 13, co.
2, lett. a) e b) del T.U.); mentre è preclusa nei casi “più gravi”, in cui l’espulsione
derivi dall’appartenenza dello straniero alle categorie di persone che la legge
ritiene pericolose per la sicurezza e la moralità pubblica229 oppure dall’affiliazione
ad associazioni di tipo mafioso230 (art. 13, co. 2 lett. c), così come è preclusa nel
caso di espulsione disposta dal giudice nell’ambito del procedimento penale.
La seconda novella incide sul comma 13 dell’art. 13, che sancisce il divieto,
per lo straniero espulso, di rientrare nel territorio italiano senza una speciale
autorizzazione del ministro dell’interno e, in caso di trasgressione, prevede la
228
229
230
Schema di parere proposto dalla relatrice sull’atto del Governo n. 18, 1ª Commissione (Affari
costituzionali) del Senato, seduta del 26 ottobre 2006. Come anticipato, la Commissione non ha
reso il parere.
Ai sensi dell’art. 1 della legge 27 dicembre 1956, n. 1423, Misure di prevenzione nei confronti
delle persone pericolose per la sicurezza e per la pubblica moralità, le categorie di persone
considerate “pericolose” sono le seguenti: 1) coloro che debba ritenersi, sulla base di elementi
di fatto, che sono abitualmente dediti a traffici delittuosi; 2) coloro che per la condotta ed il
tenore di vita debba ritenersi, sulla base di elementi di fatto, che vivono abitualmente, anche in
parte, con i proventi di attività delittuose; 3) coloro che per il loro comportamento debba
ritenersi, sulla base di elementi di fatto, che sono dediti alla commissione di reati che offendono
o mettono in pericolo l'integrità fisica o morale dei minorenni, la sanità, la sicurezza o la
tranquillità pubblica.
Cfr. la legge 31 maggio 1965, n. 575, Disposizioni contro la mafia.
191
SCHEDE DI APPROFONDIMENTO
reclusione da uno a quattro anni e una nuova espulsione con accompagnamento
immediato alla frontiera.
La disposizione in esame esclude l’applicazione del divieto di reingresso
allo straniero espulso per il quale sia stato autorizzato il ricongiungimento,
sempre se l’espulsione era stata disposta per aver violato le norme sull’ingresso
o sul soggiorno nel nostro paese.
Viene quindi eliminato l’automatismo relativo al divieto di reingresso nel
territorio italiano che vige per gli stranieri espulsi; ciò significa che il
ricongiungimento non potrà essere negato solamente per il fatto che il familiare è
stato già destinatario di un decreto di espulsione per ingresso o soggiorno
clandestino nel nostro Paese, ferma restando la valutazione della pericolosità
dello straniero per l’ordine pubblico e la sicurezza.
La lettera d) sostituisce il comma 1 dell’art. 28 del testo unico che sancisce il
diritto a mantenere o a riacquistare unità familiare degli stranieri regolarmente
soggiornanti sul nostro territorio.
In particolare, il diritto è riconosciuto agli stranieri titolari di permesso di
soggiorno CE (per i soggiornanti di lungo periodo) o di permesso di soggiorno
rilasciato per lavoro subordinato o autonomo, per asilo, per studio o per motivi
religiosi e, come aggiunto dal provvedimento in esame, anche ai titolari di
permesso di soggiorno per motivi familiari.
Viene così recepito l’orientamento della giurisprudenza che ha riconosciuto il diritto a
chiedere il ricongiungimento familiare non solamente allo straniero titolare di permesso di
soggiorno, rilasciato per lavoro subordinato o autonomo ovvero per asilo, studio o motivi
religiosi, ma anche allo straniero in possesso di permesso di soggiorno per motivi
familiari, in base al fatto che quest'ultimo ha la stessa durata del permesso di soggiorno
del familiare che ha ottenuto il ricongiungimento, è, inoltre, rinnovabile con esso e
consente lo svolgimento delle stesse attività. I due tipi di permessi di soggiorno dunque
attribuiscono facoltà analoghe se non identiche, e pertanto un trattamento giuridico
differenziato non sarebbe costituzionalmente legittimo231. Peraltro, tale orientamento è
stato già accolto nella prassi amministrativa che ammette gli stranieri in possesso di un
titolo di soggiorno per motivi familiari alla richiesta di ricongiungimento familiare, purché
in possesso di tutti gli altri requisiti previsti dall'art. 29 del TU232.
La lettera e) sostituisce l’art. 29 del testo unico che regola le condizioni per
l’esercizio del diritto al ricongiungimento familiare.
La relazione governativa allo schema di decreto dichiara che le modifiche
apportate all’art. 29 incidono “su alcune condizioni che limitavano o
appesantivano ingiustificatamente l’esercizio del diritto, anche perché rilevatasi di
231
232
Cass. civ. Sez. I, sent. 7 febbraio 2001, n. 1714.
Ministero dell'interno. Dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione-Direzione centrale per le
politiche dell'immigrazione e dell'asilo, Circolare n. 2768 del 25 ottobre 2005.
192
RICONGIUNGIMENTO FAMILIARE
difficile accertamento nella prassi applicativa”, nel dichiarato obiettivo di
“semplificare le relative procedure”.
La nuova disciplina non amplia il numero delle categorie di familiari per i
quali è possibile chiedere il ricongiungimento familiare ma elimina talune
limitazioni o condizioni presenti nel testo previgente (art. 29, co. 1).
Per il coniuge viene eliminata la condizione di non sussistenza della
separazione legale, in quanto tale istituto non è presente in alcuni ordinamenti. Il
legislatore delegato non ha ritenuto di includere nel novero dei familiari anche il
partner non coniugato, come pure era possibile in via facoltativa ai sensi dell’art.
4, comma 3 della direttiva.
Viene eliminato il requisito di familiari a carico per i figli minori, che è da
considerarsi implicito.
Per i figli maggiorenni a carico non viene più richiesta l’invalidità totale ai fini
del ricongiungimento, sostituita dall’impossibilità di provvedere a sé stessi.
Infine, per i genitori si è eliminata la necessità di accertare o la non esistenza
di altri figli nel Paese di origine, ovvero, per genitori ultrasessantacinquenni,
l’impossibilità di provvedere al loro sostentamento da parte di altri figli per
documentati gravi motivi di salute. Tali ipotesi sono state sostituite dall’unico
requisito di non disporre di un adeguato sostegno familiare nel Paese di origine.
Rispetto alla normativa previgente si segnalano gli ulteriori elementi di novità
concernenti:
ƒ il computo della minore età dei figli, riferito al momento della presentazione
dell’istanza di ricongiungimento (art. 29, co. 2);
ƒ il requisito della disponibilità di un alloggio, le cui caratteristiche di idoneità
sono riferite non solo ai parametri minimi previsti dalla legge regionale per gli
alloggi di edilizia residenziale pubblica ma, in alternativa, ai requisiti di idoneità
igienico-sanitaria accertati dall’ASL competente (ciò oltre ad evitare disparità
di trattamento di regione in regione, eleva a norma di legge una disposizione
già contenuta nel regolamento di attuazione233);
ƒ il requisito del reddito minimo occorrente, che in presenza di figli
infraquattordicenni viene diminuito, ciò per favorire il ricongiungimento dei figli
minori;
ƒ la soppressione dei commi 5 e 9 la cui disciplina, relativa ai cittadini
comunitari, è superata dall’entrata in vigore del relativo testo unico (DPR
54/2002, poi sostituito dal D.Lgs. 30/2007 (sul quale si può consultare il
capitolo Diritto di circolazione dei cittadini UE, nel dossier 1/1, parte seconda);
ƒ l’introduzione (al nuovo comma 6) di un “permesso per assistenza minore”,
che consente l’esercizio di un’attività lavorativa al familiare di minore presente
nel territorio italiano che, ai sensi dell’art. 31, co. 3, del TU, sia stato
autorizzato a permanere sul territorio nazionale dal Tribunale per i minorenni
233
DPR 394/1999, art. 6, co. 1, lett. c).
193
SCHEDE DI APPROFONDIMENTO
(per un periodo di tempo determinato ed anche in deroga alle altre
disposizioni del T.U.), per gravi motivi connessi con lo sviluppo psicofisico e
tenuto conto dell’età e delle condizioni di salute del minore;
ƒ le modalità di presentazione della richiesta di ricongiungimento e le
procedure di rilascio del relativo nulla osta, affidando alle autorità consolari il
compito di verificare la veridicità dello stato di parentela e allo sportello unico
per l’immigrazione quello di verificare i requisiti di reddito ed alloggio (art. 29,
co. 7);
ƒ l’introduzione di un motivo di reiezione della richiesta di ricongiungimento in
caso di accertamento che il matrimonio o l’adozione hanno avuto luogo
esclusivamente per eludere le norme sull’ingresso e il soggiorno (art. 29, co.
9, che recepisce l’art. 16, co. 2, lett. b) della direttiva);
ƒ l’esclusione della possibilità di richiedere il ricongiungimento familiare per
coloro che sono in attesa del riconoscimento dello status di rifugiato, e per
quelli destinatari di misure di protezione temporanea (art. 20 TU e D.lgs.
85/2003234) o titolari di permesso di soggiorno per motivi umanitari (art. 5, co.
6 TU).
Per un analitico esame delle novità introdotte dall’articolo, si veda il testo a fronte che
segue.
Testo previgente
Testo modificato dal D.Lgs. 5/2007
Art. 29.
Ricongiungimento familiare.
Art. 29.
Ricongiungimento familiare.
1. Lo straniero può chiedere il 1. Identico
ricongiungimento per i seguenti familiari:
a) coniuge non legalmente separato;
a) coniuge;
b) figli minori a carico, anche del coniuge
o nati fuori del matrimonio, non coniugati
ovvero legalmente separati, a condizione
che l’altro genitore, qualora esistente,
abbia dato il suo consenso;
b) figli minori, anche del coniuge o nati
fuori del matrimonio, non coniugati, a
condizione che l’altro genitore, qualora
esistente, abbia dato il suo consenso;
b-bis) figli maggiorenni a carico, qualora
non possano per ragioni oggettive
provvedere al proprio sostentamento a
causa del loro stato di salute che
comporti invalidità totale;
c) figli maggiorenni a carico, qualora
permanentemente
non
possano
provvedere alle proprie indispensabili
esigenze di vita in ragione del loro stato
di salute;
c) genitori a carico qualora non abbiano d) genitori a carico che non dispongano
altri figli nel Paese di origine o di di un adeguato sostegno familiare nel
provenienza
ovvero
genitori Paese di origine o di provenienza.
ultrasessantacinquenni qualora gli altri figli
siano impossibilitati al loro sostentamento
234
D.Lgs. 7.4.2003 n. 85. Attuazione della direttiva 2001/55/CE relativa alla concessione della
protezione temporanea in caso di afflusso massiccio di sfollati ed alla cooperazione in àmbito
comunitario
194
RICONGIUNGIMENTO FAMILIARE
per documentati gravi motivi di salute;
d) [lettera abrogata dall’art. 23, co. 1, L.
189/2002].
2. Ai fini del ricongiungimento si
considerano minori i figli di età inferiore a
18 anni. I minori adottati o affidati o
sottoposti a tutela sono equiparati ai figli.
2. Ai fini del ricongiungimento si
considerano minori i figli di età inferiore a
diciotto
anni
al
momento
della
presentazione
dell’istanza
di
ricongiungimento. I minori adottati o
affidati o sottoposti a tutela sono equiparati
ai figli.
3. Salvo che si tratti di rifugiato, lo straniero 3. Salvo quanto previsto dall’articolo 29che richiede il ricongiungimento deve bis, lo straniero che richiede il
dimostrare la disponibilità:
ricongiungimento deve dimostrare la
disponibilità:
a) di un alloggio che rientri nei parametri
minimi previsti dalla legge regionale per gli
alloggi di edilizia residenziale pubblica,
ovvero, nel caso di un figlio di età inferiore
agli anni 14 al seguito di uno dei genitori,
del consenso del titolare dell’alloggio nel
quale il minore effettivamente dimorerà;
a) di un alloggio che rientri nei parametri
minimi previsti dalla legge regionale per gli
alloggi di edilizia residenziale pubblica,
ovvero che sia fornito dei requisiti di
idoneità igienico-sanitaria accertati
dall’Azienda unità sanitaria locale
competente per territorio. Nel caso di un
figlio di età inferiore agli anni quattordici al
seguito di uno dei genitori, è sufficiente il
consenso del titolare dell’alloggio nel quale
il minore effettivamente dimorerà;
b) di un reddito annuo derivante da fonti
lecite non inferiore all’importo annuo
dell’assegno sociale se si chiede il
ricongiungimento di un solo familiare, al
doppio dell’importo annuo dell’assegno
sociale se si chiede il ricongiungimento di
due o tre familiari, al triplo dell’importo
annuo dell’assegno sociale se si chiede il
ricongiungimento di quattro o più familiari.
Ai fini della determinazione del reddito si
tiene conto anche del reddito annuo
complessivo dei familiari conviventi con il
richiedente.
b) di un reddito minimo annuo derivante
da fonti lecite non inferiore all’importo
annuo dell’assegno sociale se si chiede il
ricongiungimento di un solo familiare, al
doppio dell’importo annuo dell’assegno
sociale se si chiede il ricongiungimento di
due o tre familiari, al triplo dell’importo
annuo dell’assegno sociale se si chiede il
ricongiungimento di quattro o più familiari.
Per il ricongiungimento di due o più figli
di età inferiore agli anni quattordici è
richiesto, in ogni caso, un reddito
minimo non inferiore al doppio
dell’importo
annuo
dell’assegno
sociale. Ai fini della determinazione del
reddito si tiene conto anche del reddito
annuo complessivo dei familiari conviventi
con il richiedente.
4. È consentito l’ingresso, al seguito dello 4. Identico
straniero titolare di carta di soggiorno o di
un visto di ingresso per lavoro subordinato
relativo a contratto di durata non inferiore a
un anno, o per lavoro autonomo non
occasionale, ovvero per studio o per motivi
religiosi, dei familiari con i quali è possibile
attuare il ricongiungimento, a condizione
che ricorrano i requisiti di disponibilità di
195
SCHEDE DI APPROFONDIMENTO
alloggio e di reddito di cui al comma 3.
5. Oltre a quanto previsto dall’articolo [soppresso].
28, comma 2, è consentito l’ingresso, al
seguito del cittadino italiano o
comunitario, dei familiari con i quali è
possibile attuare il ricongiungimento.
6. Salvo quanto disposto dall’articolo 4, 5. Identico
comma 6, è consentito l’ingresso, per
ricongiungimento
al
figlio
minore
regolarmente soggiornante in Italia, del
genitore naturale che dimostri, entro un
anno dall’ingresso in Italia, il possesso dei
requisiti di disponibilità di alloggio e di
reddito di cui al comma 3.
6. Al familiare autorizzato all’ingresso
ovvero alla permanenza sul territorio
nazionale ai sensi dell’articolo 31,
comma 3, è rilasciato, in deroga a
quanto previsto dall’articolo 5, comma
3-bis, un permesso per assistenza
minore,
rinnovabile,
di
durata
corrispondente a quella stabilita dal
Tribunale per i minorenni. Il permesso
di soggiorno consente di svolgere
attività lavorativa ma non può essere
convertito in permesso per motivi di
lavoro.
7. La domanda di nulla osta al
ricongiungimento familiare, corredata della
prescritta
documentazione
compresa
quella attestante i rapporti di parentela,
coniugio e la minore età, autenticata
dall’autorità
consolare
italiana,
è
presentata allo sportello unico per
l’immigrazione presso la prefettura-ufficio
territoriale del Governo competente per il
luogo di dimora del richiedente, la quale ne
rilascia copia contrassegnata con timbro
datario e sigla del dipendente incaricato
del ricevimento. L’ufficio, verificata, anche
mediante accertamenti presso la
questura competente, l’esistenza dei
requisiti di cui al presente articolo, emette il
provvedimento richiesto, ovvero un
provvedimento di diniego del nulla osta.
7. La domanda di nulla osta al
ricongiungimento familiare, corredata della
documentazione relativa ai requisiti di
cui al comma 3, è presentata allo
sportello unico per l’immigrazione presso
la prefettura-ufficio territoriale del Governo
competente per il luogo di dimora del
richiedente, il quale ne rilascia copia
contrassegnata con timbro datario e sigla
del dipendente incaricato del ricevimento.
L’ufficio, acquisito dalla questura il
parere sulla insussistenza dei motivi
ostativi all’ingresso dello straniero nel
territorio nazionale, di cui all’articolo 4,
comma 3, ultimo periodo, e verificata
l’esistenza dei requisiti di cui al comma 3,
rilascia il nulla osta ovvero un
provvedimento di diniego dello stesso. Il
rilascio del visto nei confronti del
familiare per il quale è stato rilasciato il
predetto nulla osta è subordinato
all’effettivo
accertamento
dell’autenticità, da parte dell’autorità
consolare
italiana,
della
documentazione
comprovante
i
presupposti di parentela, coniugio,
196
RICONGIUNGIMENTO FAMILIARE
minore età o lo stato di salute.
8. Trascorsi novanta giorni dalla richiesta 8. Identico
del nulla osta, l’interessato può ottenere il
visto di ingresso direttamente dalle
rappresentanze diplomatiche e consolari
italiane, dietro esibizione della copia degli
atti contrassegnata dallo sportello unico
per l’immigrazione, da cui risulti la data di
presentazione della domanda e della
relativa documentazione.
9. Le rappresentanze diplomatiche e [soppresso].
consolari italiane rilasciano altresì il
visto di ingresso al seguito nei casi
previsti dal comma 5.
9. La richiesta di ricongiungimento
familiare è respinta se è accertato che il
matrimonio o l’adozione hanno avuto
luogo
allo
scopo
esclusivo
di
consentire all’interessato di entrare o
soggiornare nel territorio dello Stato.
10. Le disposizioni del presente articolo
non si applicano:
a) quando il soggiornante chiede il
riconoscimento dello status di rifugiato
e la sua domanda non è ancora stata
oggetto di una decisione definitiva;
b) agli stranieri destinatari delle misure
di protezione temporanea, disposte ai
sensi del decreto legislativo 7 aprile
2003, n. 85 ovvero delle misure di cui
all’articolo 20;
c) nelle ipotesi di cui all’articolo 5,
comma 6.
La lettera f) introduce nel testo unico il nuovo articolo 29-bis volto a estendere
espressamente anche ai rifugiati il diritto di ricongiungimento familiare,
regolandone le modalità, in attuazione del Capo V della direttiva.
Lo straniero al quale è stato riconosciuto lo status di rifugiato può richiedere il
ricongiungimento per le stesse categorie di familiari previste all’art. 29 e con le
stesse modalità, ma è esonerato dal dover dimostrare la disponibilità dei requisiti
di idoneità abitativa e finanziaria previsti in via generale dall’art. 29, co. 3 (in
virtù di quanto previsto dalla direttiva: art. 12, co. 1).
Il nuovo articolo prende in considerazione l’ipotesi in cui il rifugiato non possa
fornire una documentazione ufficiale a sostegno dei suoi vincoli familiari.
Ciò potrebbe accadere per diversi motivi:
ƒ in ragione del suo particolare status;
ƒ per la mancanza di un’autorità riconosciuta nel paese di origine;
197
SCHEDE DI APPROFONDIMENTO
ƒ per la presunta inaffidabilità dei documenti rilasciati dall’autorità locale, rilevata
anche in sede di cooperazione consolare locale tra i Paesi di area Schengen.
In tale ipotesi si prevede che le rappresentanze diplomatiche o consolari
forniscano le necessarie certificazioni sulla base di verifiche effettuate a spese
degli interessati. Per provare l’esistenza del vincolo familiare è ammesso anche
il ricorso ad altri mezzi, come ad esempio alla documentazione fornita da
organismi internazionali ritenuti idonei dal Ministero degli esteri.
Si stabilisce comunque l’importante principio, contenuto nella direttiva
comunitaria (art. 11, co. 2), per cui il rigetto della domanda di
ricongiungimento non può essere motivato unicamente dall’assenza di
documenti probatori.
Se, infine, il rifugiato è un minore non accompagnato, ai fini del
ricongiungimento è consentito l’ingresso e il soggiorno degli ascendenti diretti di
primo grado (art. 10, co. 3 della direttiva).
La lettera g) aggiunge un nuovo periodo al comma 1-bis dell’art. 30, in materia
di permesso di soggiorno per motivi familiari.
Tale tipologia di permesso di soggiorno può essere rilasciato, tra gli altri allo
straniero che ha fatto ingresso in Italia con visto di ingresso per ricongiungimento
familiare, ovvero con visto di ingresso al seguito del proprio familiare nei casi
previsti dall’articolo 29, ovvero con visto di ingresso per ricongiungimento al figlio
minore (così la lett. a) del co. 1 dell’art. 30 citato).
L’integrazione disposta dalla lett. g) in commento dispone che in tal caso, la
richiesta di rilascio o rinnovo del permesso di soggiorno è rigettata e il permesso
di soggiorno è revocato se è accertato che il matrimonio o l’adozione hanno
avuto luogo allo scopo esclusivo di permettere all’interessato di soggiornare nel
territorio dello Stato.
Si tratta di una norma analoga a quella introdotta all’art. 29, co. 9 che
recepisce anch’essa l’art. 16, co. 2, lett. b) della direttiva.
L’articolo 3 reca una clausola di invarianza finanziaria: dall’attuazione del
decreto non dovranno derivare nuovi oneri per la finanza pubblica; pertanto, gli
uffici interessati dalle modifiche disposte nel decreto dovranno utilizzare le
risorse umane, strumentali e finanziarie già disponibili secondo la legislazione
vigente.
L’articolo 4 demanda a un successivo regolamento l’adozione delle norme di
integrazione e attuazione del decreto legislativo, nonché l’adeguamento del
198
RICONGIUNGIMENTO FAMILIARE
vigente regolamento di attuazione del Testo unico, recato dal D.P.R. 394/1999235,
alle novità normative introdotte dal decreto legislativo.
Tale regolamento, che avrebbe dovuto essere adottato entro sei mesi dalla
pubblicazione del decreto non è ancora stato emanato.
In particolare, il regolamento dovrebbe adeguare l’art. 6 del citato D.P.R. 394/2999,
relativo ai visti per il ricongiungimento familiare e per i familiari al seguito.
Tuttavia l’amministrazione dell’interno ha ritenuto, con riguardo alle modalità di
presentazione della richiesta di nulla osta al ricongiungimento familiare, che la nuova
disciplina sia applicabile anche in assenza di provvedimenti attuativi in quanto “la
procedura finora disciplinata dal regolamento di attuazione viene modificata da una
norma di rango primario” volte a introdurre “sostanziali modifiche che mirano ad una
razionalizzazione e conseguente semplificazione delle procedure” (si veda in particolare
l’art. 29, comma 7). Inoltre, è stato chiarito che la nuova disciplina deve essere applicata
anche alle istanze già acquisite e per le quali non sia stato ancora avviato l’iter
istruttorio236.
235
236
D.P.R. 31 agosto 1999 n. 394, Regolamento recante norme di attuazione del testo unico delle
disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero,
a norma dell'art. 1, comma 6, del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286.
Ministero dell'interno. Dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione-Direzione centrale per le
politiche dell'immigrazione e dell'asilo, Circolare 15 febbraio 2007. Si veda anche la successiva
Circolare del 15 novembre 2007.
199
SCHEDE DI APPROFONDIMENTO
IMMIGRAZIONE
PERMESSO DI SOGGIORNO CE DI LUNGO PERIODO
Il decreto legislativo 8 gennaio 2007, n. 3, Attuazione della direttiva
2003/109/CE relativa allo status di cittadini di Paesi terzi soggiornanti di lungo
periodo apporta al testo unico sull’immigrazione le modifiche e le integrazioni
necessarie per il recepimento della direttiva 2003/109/CE, del 25 novembre
2003, del Consiglio.
Lo decreto è stato adottato in virtù della norma di delega conferita al Governo nell’art.
1, commi 1 e 3, della L. 62/2005 (legge comunitaria 2004)237; per effetto di tali
disposizioni lo schema preliminare del decreto è anche sottoposto al parere delle
competenti Commissioni parlamentari. Si segnala peraltro che lo schema è stato
presentato oltre il termine per il recepimento della direttiva, fissato dalla direttiva stessa al
23 gennaio 2006.
La I Commissione (Affari costituzionali) della Camera ha espresso parere favorevole
con osservazioni il 24 ottobre 2006; mentre la 1ª Commissione (Affari costituzionali) del
Senato non ha espresso il prescritto parere.
L’articolo 1, in particolare, riscrive integralmente l’art. 9 del testo unico (co. 1,
lett. a)), sostituendo la disciplina della carta di soggiorno ivi recata con quella
del permesso di soggiorno CE per i soggiornanti di lungo periodo ed
aggiunge (co. 1, lett. b)) un nuovo art. 9-bis, che definisce lo status dello
straniero in possesso di permesso di soggiorno di lungo periodo rilasciato da un
altro Stato membro.
L’art. 9 del testo unico, nella nuova riformulazione, prevede come requisiti
per il rilascio del permesso di soggiorno CE per i soggiornanti di lungo periodo
(co. 1):
ƒ il possesso da almeno cinque anni di un permesso di soggiorno in corso di
validità (per il rilascio della carta di soggiorno era prima previsto il regolare
soggiorno nel territorio dello Stato da almeno sei anni e la titolarità di un
permesso di soggiorno per un motivo che consente un numero indeterminato
di rinnovi);
ƒ un reddito minimo non inferiore all’assegno sociale annuo.
L'assegno sociale è una prestazione di natura assistenziale erogata dall'Inps riservata
ai cittadini italiani che abbiano: 65 anni di età, la residenza in Italia, un reddito pari a zero
o di modesto importo. I redditi devono essere inferiori ai limiti stabiliti ogni anno dalla
legge e variano a seconda che il pensionato sia solo o coniugato. Per il 2008 tali limiti
sono pari a € 5.142,67 annui se il pensionato è solo, € 10.285,34 annui se è coniugato.
Sono equiparati ai cittadini italiani: gli abitanti della Repubblica di San Marino; i rifugiati
237
L. 18 aprile 2005, n. 62, Disposizioni per l’adempimento di obblighi derivanti dall’appartenenza
dell’Italia alla Comunità europea – Legge comunitaria 2004.
200
PERMESSO DI SOGGIORNO CE DI LUNGO PERIODO
politici; i cittadini di uno Stato dell'Unione europea; i cittadini extracomunitari che hanno
ottenuto la carta di soggiorno. L'importo dell'assegno viene stabilito anno per anno ed è
esente da imposta. Per il 2008 è pari a € 395,59 mensili.
Il permesso di soggiorno può essere richiesto dallo straniero, oltre che per sé,
per i familiari dei quali lo straniero può chiedere il ricongiungimento ai sensi
dell’art. 29, co. 1, del T.U. (si veda in proposito la scheda Ricongiungimento
familiare, pag. 188).
In caso di richiesta formulata per i familiari, la disposizione in commento
prevede i più elevati requisiti di reddito fissati, ai fini del ricongiungimento, dal
comma 3, lett. b), del citato art. 29238 nonché il requisito della disponibilità di un
alloggio, le cui caratteristiche di idoneità sono riferite non solo ai parametri
minimi previsti dalla legge regionale per gli alloggi di edilizia residenziale pubblica
ma, in alternativa, ai requisiti di idoneità igienico-sanitaria accertati dall’ASL
competente.
Il permesso di soggiorno che, non diversamente dalla carta di soggiorno, è a
tempo indeterminato, è rilasciato entro 90 giorni dalla data della richiesta (co.
2).
Il co. 3 del nuovo art. 9 individua le ipotesi in cui il permesso di soggiorno non
può essere richiesto: permanenza del personale diplomatico, titolarità di
permessi soggiorno per motivi di carattere temporaneo, soggiorno per motivi di
carattere umanitario, soggiorno dei rifugiati e dei richiedenti asilo, soggiorno per
motivi di studio o di formazione professionale. Se le relative categorie di stranieri
non possono richiedere lo status di soggiornante di lungo periodo, la (trascorsa)
permanenza in Italia per i motivi suelencati è tuttavia computata ai fini del calcolo
del periodo di permanenza (con l’eccezione dei permessi di soggiorno di breve
durata e della permanenza del personale diplomatico): così dispone il co. 5,
mentre il successivo co. 6 reca ulteriori criteri per il computo del periodo di
permanenza.
Il co. 4 esclude il rilascio del permesso di soggiorno di lungo periodo agli
stranieri pericolosi per l’ordine pubblico o la sicurezza dello Stato. A tale riguardo
si fa riferimento all’appartenenza dello straniero alle categorie di persone che la
legge ritiene pericolose per la sicurezza e la moralità pubblica239 oppure
238
239
La norma richiamata richiede un reddito annuo derivante da fonti lecite non inferiore all’importo
annuo dell’assegno sociale se si chiede il ricongiungimento di un solo familiare, al doppio
dell’importo annuo dell’assegno sociale se si chiede il ricongiungimento di due o tre familiari, al
triplo dell’importo annuo dell’assegno sociale se si chiede il ricongiungimento di quattro o più
familiari. Ai fini della determinazione del reddito si tiene conto anche del reddito annuo
complessivo dei familiari conviventi con il richiedente. Per il ricongiungimento di due o più figli di
età inferiore agli anni quattordici è richiesto, in ogni caso, un reddito minimo non superiore al
doppio dell’importo annuo dell’assegno sociale.
Ai sensi della legge 27 dicembre 1956, n. 1423, Misure di prevenzione nei confronti delle
persone pericolose per la sicurezza e per la pubblica moralità, le categorie di persone
considerate “pericolose” sono le seguenti: 1) coloro che debba ritenersi, sulla base di elementi
di fatto, che sono abitualmente dediti a traffici delittuosi; 2) coloro che per la condotta ed il
tenore di vita debba ritenersi, sulla base di elementi di fatto, che vivono abitualmente, anche in
201
SCHEDE DI APPROFONDIMENTO
all’affiliazione ad associazioni di tipo mafioso240, nonché all’irrogazione di
condanne, anche non definitive, per delitti per i quali la legge prevede l’arresto
obbligatorio in flagranza (art. 380 c.p.c.) ovvero per delitti non colposi per i quali
si prevede l’arresto facoltativo in flagranza (art. 381 c.p.c.). Il diniego è comunque
subordinato alla valutazione di ulteriori elementi, quali la durata del soggiorno e
l’inserimento sociale, familiare e lavorativo dello straniero.
I co. 7, 8 e 9 disciplinano le ipotesi di revoca del permesso di soggiorno CE
per i soggiornanti di lungo periodo; tale revoca non esclude, qualora sussistano i
requisiti prescritti, il rilascio di un permesso di soggiorno (ordinario) ad altro titolo
(comma 9) o il riacquisto del permesso di soggiorno CE se la revoca è dovuta ad
una prolungata assenza (comma 8).
I co. 10 e 11 precisano (e delimitano) le ipotesi in cui è possibile disporre
l’espulsione dello straniero titolare di permesso di soggiorno CE per i
soggiornanti di lungo periodo. Si tratta di motivi in ogni caso attinenti alla tutela
dell’ordine pubblico e della sicurezza; analogamente a quanto previsto per il
diniego, la relativa decisione dovrà inoltre tener conto di ulteriori elementi, quali
la durata del soggiorno, l’età dell’interessato, le conseguenze per lui e per i
familiari, i vincoli con il Paese di soggiorno e l’assenza di vincoli con quello di
origine.
Tali previsioni, necessarie per adeguarsi alla normativa comunitaria, hanno
innovato fortemente la disciplina previgente, introducendo un elemento di
valutazione discrezionale, in precedenza assente.
Il comma 12 elenca i diritti del soggiornante di lungo periodo.
Questi ultimi, pur adeguandosi nella formulazione al dettato della direttiva, non
si discostano, nella sostanza, dai diritti riconosciuti già in precedenza al titolare
della carta di soggiorno. Giova comunque rilevare l’esplicita esclusione, ai fini
dello svolgimento di attività lavorative, della necessità di stipulare il contratto di
soggiorno di cui all’art. 5-bis del T.U., e la diversa formulazione della facoltà di
“partecipare alla vita pubblica locale”, che non fa più menzione dell’ipotetico (e
inoperante) esercizio dell’elettorato.
Ai sensi del co. 13, infine, lo straniero espulso da altro Stato membro e
titolare di permesso di soggiorno CE per i soggiornanti di lungo periodo può
essere riammesso sul territorio nazionale, se non costituisce un pericolo per
l’ordine pubblico e la sicurezza dello Stato.
L’articolo 9-bis del T.U., introdotto dall’art. 1, co. 1, lett. b), dello schema in
esame, elenca i casi e le modalità con cui uno straniero in possesso di permesso
240
parte, con i proventi di attività delittuose; 3) coloro che per il loro comportamento debba
ritenersi, sulla base di elementi di fatto, che sono dediti alla commissione di reati che offendono
o mettono in pericolo l'integrità fisica o morale dei minorenni, la sanità, la sicurezza o la
tranquillità pubblica.
Cfr. la legge 31 maggio 1965, n. 575, Disposizioni contro la mafia.
202
PERMESSO DI SOGGIORNO CE DI LUNGO PERIODO
di soggiorno di lungo periodo rilasciato da un altro Stato membro può essere
ammesso a soggiornare in Italia.
Il soggiorno per brevi periodi (inferiori a tre mesi) è ammesso (co. 4) secondo
le modalità previste dall’art. 5, co. 7, del T.U. per gli stranieri muniti di permesso
di soggiorno rilasciato da un altro Stato membro e valido per il soggiorno in Italia.
Gli stranieri in questione sono tenuti a dichiarare la loro presenza al questore entro
otto giorni lavorativi dall’ingresso nel territorio dello Stato; ad essi è rilasciata idonea
ricevuta della dichiarazione di soggiorno.
Il permesso di soggiorno per periodi superiori a tre mesi può essere
richiesto (co. 1-3) per motivi di lavoro subordinato o autonomo, di studio, o per
altri scopi leciti previa dimostrazione della disponibilità di mezzi di sussistenza
(pari almeno al doppio dell’importo minimo previsto per l’esenzione dalla spesa
sanitaria), e di una assicurazione sanitaria. È possibile inoltre il rilascio del
permesso di soggiorno per motivi di famiglia previsto dall’art. 30 del T.U.. Per
l’ingresso in Italia non è richiesto il visto e si prescinde dall’effettiva residenza
all’estero per il rilascio del nulla osta al lavoro di cui all’art. 22 T.U. (co. 5).
Il diniego e la revoca del permesso di soggiorno possono essere disposti (co.
6) in presenza di presupposti (pericolosità per l’ordine pubblico e la sicurezza
dello Stato) sostanzialmente non dissimili da quelli previsti dal precedente art. 9
(vedi supra).
In caso di espulsione (co. 7) l’allontanamento è di norma disposto verso lo
Stato membro di provenienza, ma in caso di espulsione disposta dal ministro
dell'interno per motivi di ordine pubblico o di sicurezza dello Stato (art. 13, co. 1,
T.U.), ovvero dal ministro dell'interno o, su sua delega, dal prefetto per motivi di
prevenzione del terrorismo (art. 3, co. 1, D.L. 144/2005241), l’espulsione – sentito
lo Stato membro che ha rilasciato il permesso di soggiorno – comporta
l’allontanamento dal territorio dell’Unione europea.
Il co. 8, infine, prevede che il titolare di permesso di soggiorno di lungo
periodo rilasciato da un altro Stato membro e regolarmente presente in Italia
possa richiedere alle autorità italiane, se in possesso dei requisiti, il permesso di
soggiorno per i soggiornanti di lungo periodo.
L’articolo 2 dello schema di D.Lgs. in esame reca norme transitorie e di
coordinamento, principalmente volte a consentire l’applicazione della nuova
disciplina ai titolari della carta di soggiorno, e ad attivare i meccanismi di scambio
informativo tra le autorità italiane e quelle degli altri Stati membri previste dalla
direttiva.
241
D.L. 27 luglio 2005, n. 144 (conv., con mod., dalla L.31 luglio 2005, n. 155), Misure urgenti per il
contrasto del terrorismo internazionale.
203
SCHEDE DI APPROFONDIMENTO
L’articolo 3 reca la copertura finanziaria del provvedimento, i cui oneri sono
quantificati in 1 milione di euro per l’anno 2006 e in 2 milioni di euro annui a
decorrere dal 2007.
L’articolo 4, infine, demanda a un successivo regolamento (non ancora
emanato) l’adozione delle norme di integrazione e attuazione del decreto
legislativo.
204
LA NUOVA DISCIPLINA SUI RIFUGIATI
STATUS DI RIFUGIATO E DIRITTO DI ASILO
LA NUOVA DISCIPLINA SUI RIFUGIATI
Le Convenzioni di Ginevra e di Dublino
Secondo il diritto internazionale, presupposto per l’applicazione del diritto di
asilo è la nozione di rifugiato internazionale, cioè di colui che, direttamente
(mediante provvedimento di espulsione o impedimento al rientro in patria) o
indirettamente (per l’effettivo o ragionevolmente temuto impedimento
dell’esercizio di uno o più diritti o libertà fondamentali), sia stato costretto dal
Governo del proprio Paese ad abbandonare la propria terra e a “rifugiarsi” in un
altro Paese, chiedendovi asilo.
Questa nozione risulta ulteriormente specificata dall’art. 1 della Convenzione
di Ginevra relativa allo statuto dei rifugiati242, che indica i seguenti motivi per i
quali si ha diritto allo status di rifugiato:
ƒ discriminazioni fondate sulla razza;
ƒ discriminazioni fondate sulla nazionalità (cittadinanza o gruppo etnico);
ƒ discriminazioni fondate sull’appartenenza ad un determinato gruppo sociale;
ƒ limitazioni al principio della libertà di culto;
ƒ persecuzione per le opinioni politiche.
La cessazione dello status di rifugiato avviene quando (sez. C dell’art. 1 della
Convenzione):
ƒ il rifugiato abbia nuovamente usufruito della protezione del Paese di cui abbia
la cittadinanza oppure ne riacquisti volontariamente la cittadinanza;
ƒ il rifugiato sia tornato a stabilirsi volontariamente nel proprio Paese;
ƒ il rifugiato abbia acquisito una nuova cittadinanza e goda della protezione del
Paese che gliel’ha concessa;
ƒ siano venute meno le condizioni in seguito alle quali la persona abbia
ottenuto il riconoscimento della qualifica di rifugiato.
Le sezioni D, E ed F dell’articolo 1 della Convenzione di Ginevra individuano
invece le cause di esclusione, precludendo dai benefici della Convenzione le
seguenti categorie di persone:
ƒ coloro che beneficino attualmente ed effettivamente della protezione o
assistenza da parte di organi o agenzie delle Nazioni Unite diverse dall’Alto
Commissariato per i rifugiati;
ƒ i rifugiati o profughi nazionali, cioè i cittadini di un Paese che abbiano la
propria residenza abituale in un altro Paese e che, a causa di eventi bellici,
politici o altre situazioni verificatesi in tale Paese, volontariamente o
242
L. 24 luglio 1954, n. 722, Ratifica ed esecuzione della Convenzione relativa allo statuto dei
rifugiati, firmata a Ginevra il 28 luglio 1951.
205
SCHEDE DI APPROFONDIMENTO
forzatamente lo abbandonano o non vi facciano rientro e si rifugiano nel
Paese di cui sono cittadini;
ƒ coloro che non sono degni di protezione internazionale.
L’articolo 32 della Convenzione prevede espressamente il divieto di
espulsione del rifugiato che risieda regolarmente nel territorio di uno degli Stati
contraenti se non per motivi di sicurezza nazionale o di ordine pubblico. In tali
casi, il rifugiato dovrà essere messo comunque in condizione di far valere le
proprie ragioni e gli dovrà essere accordato un periodo di tempo per cercare di
essere ammesso in un altro Paese.
Il principio del divieto di espulsione è stato recepito nel testo unico del 1998
(art. 19) dove si fa divieto di procedere all’espulsione ed al respingimento se
nello Stato verso cui lo straniero è estradato, egli può essere oggetto di
persecuzione “per motivi di razza, di sesso, di lingua, di cittadinanza, di religione,
di opinioni politiche, di condizioni personali o sociali” (si veda la scheda Contrasto
dell’immigrazione clandestina, pag. 126).
L’Italia, con la L. 523/1992243, ha ratificato la Convenzione di Dublino sulla
determinazione dello Stato competente per l’esame di una domanda di asilo
presentata in uno degli Stati membri della Comunità europea, in ottemperanza
alle statuizioni della Convenzione di Ginevra.
In particolare, gli Stati membri si impegnano affinché la domanda di asilo loro
presentata da parte di qualsiasi straniero sia esaminata dallo Stato competente (i
criteri di individuazione della competenza sono indicati dagli artt. 5-8 della
Convenzione) in conformità alla sua legislazione ed agli obblighi internazionali. È
sancito il diritto da parte di ogni Stato membro di prendere in esame la domanda
di asilo, liberando quindi lo Stato competente.
Lo Stato competente ha l’obbligo:
ƒ di accettare il richiedente asilo che abbia presentato domanda in altro Stato
membro o di riammetterlo se si trova irregolarmente in altro Stato membro;
ƒ di condurre a termine l’esame della domanda.
Gli Stati membri hanno poi l’obbligo:
ƒ di procedere a scambi reciproci riguardanti la legislazione nazionale e i dati
statistici relativi al numero dei richiedenti asilo;
ƒ di comunicare a qualsiasi altro Stato membro che ne faccia domanda le
informazioni di carattere personale necessarie per determinare lo Stato
competente per l’esame della domanda e l’esecuzione degli obblighi derivanti
dalla Convenzione, ovvero (previo consenso dell’interessato) i motivi invocati
dal richiedente a sostegno della domanda e della decisione presa nei suoi
confronti.
243
Legge 23 dicembre 1992, n. 523, Ratifica ed esecuzione della convenzione sulla
determinazione dello Stato competente per l’esame di una domanda di asilo presentata in uno
degli Stati membri delle Comunità europee, con processo verbale, fatta a Dublino il 15 giugno
1990.
206
LA NUOVA DISCIPLINA SUI RIFUGIATI
Il decreto legislativo n. 251/2007: attribuzione e contenuto dello
status di rifugiato
Il decreto legislativo reca l’attuazione della direttiva 2004/83/CE, del 29 aprile
2004, del Consiglio relativa alla introduzione di norme minime comuni
sull’attribuzione della qualifica di rifugiato (o di persona altrimenti bisognosa di
protezione internazionale) e sul contenuto della protezione riconosciuta.
Esso è composto da 34 articoli e suddiviso in sei capi:
ƒ Capo I: Disposizioni generali (artt. 1 e 2);
ƒ Capo II: Valutazione delle domande di protezione internazionale (artt. 3-5);
ƒ Capo III: Status di rifugiato (artt. 7-13);
ƒ Capo IV: Protezione sussidiaria (artt. 14-18);
ƒ Capo V: Contenuto della protezione internazionale (artt.19-30);
ƒ Capo VI: Disposizioni finali (artt. 31-34).
Disposizioni generali
Il Capo I, recante le disposizioni generali, è composto da due articoli.
L’articolo 1 definisce l’oggetto del provvedimento (disciplina dell’attribuzione
della qualifica di rifugiato o della protezione sussidiaria; contenuto dei due status)
e individua i destinatari (cittadini di Stati non appartenenti all’Unione europea e
apolidi).
L’articolo 2 reca le definizioni di taluni termini utilizzati nel prosieguo
dell’articolato. In particolare, mentre per la definizione di rifugiato si mantiene
quale modello la Convenzione di Ginevra, costituisce un elemento di novità
l’introduzione nell’ordinamento interno, a integrazione di quella che viene definita
nel suo complesso “protezione internazionale”, della figura della “persona
ammissibile alla protezione sussidiaria”, definita come il cittadino straniero privo
dei requisiti per il riconoscimento dello status di rifugiato il quale, tuttavia, si
ritiene che, se ritornasse nel Paese di origine, correrebbe il rischio effettivo di
subire un grave danno e che non può o (proprio a cagione di tale rischio) non
vuole avvalersi della protezione del Paese di origine.
Degna di menzione è anche la definizione di “familiari” del beneficiario dello
status: sono considerati tali ai fini della disciplina in esame il coniuge e i figli
minori non sposati e a suo carico. Sono inclusi i figli naturali, adottati o affidati o
sottoposti a tutela. Il nucleo familiare deve essere peraltro già costituito prima
dell’ingresso in Italia244.
244
Non è inclusa la figura del partner non sposato avente con il beneficiario una relazione stabile,
che la direttiva considera tra i familiari se la legislazione o la prassi dello Stato membro
equipara le coppie non sposate a quelle sposate nel quadro della legislazione sugli stranieri,
considerato che l’ordinamento italiano non reca tale equiparazione.
207
SCHEDE DI APPROFONDIMENTO
Riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria
Il Capo II definisce le modalità e i criteri per la valutazione delle domande di
protezione internazionale, ripercorrendo sostanzialmente il disposto della
direttiva, con particolare riguardo all’affermazione del principio secondo cui
l’esame della domanda deve essere effettuato su base individuale, tenendo
conto di tutti i fatti pertinenti che riguardano sia il Paese d’origine sia il
richiedente, e degli elementi (sia meramente dichiarati, sia documentati) offerti
dal richiedente medesimo, il quale per parte sua è tenuto a presentarli
unitamente alla domanda o, comunque, non appena disponibili.
Il comma 4 dell’articolo 3 (con formula che si incontra anche in altre parti del
testo: cfr. art. 9, co. 2 e art. 15, co. 2) introduce quale ulteriore elemento di
valutazione l’eventuale presenza di gravi motivi umanitari, che impediscano il
ritorno nel Paese di origine anche nell’ipotesi in cui si ritenga cessato il rischio di
persecuzioni o danni gravi.
La protezione internazionale è attribuita (articolo 4) anche quando il rischio di
persecuzione o di danno grave sia sorto successivamente alla partenza del
richiedente dal Paese d’origine245.
L’articolo 5 individua quali responsabili della persecuzione o del danno grave
lo Stato, i partiti o le organizzazioni, che controllano lo Stato o una parte
consistente del suo territorio, o i soggetti non statuali, se i soggetti precedenti
non possono o non vogliono fornire protezione. L’articolo 6 esamina l’eventualità
che la protezione possa essere fornita nel Paese di origine dallo Stato o da
partiti o organizzazioni, comprese le organizzazioni internazionali, che
controllano lo Stato o una parte consistente del suo territorio. Tale eventualità è
valutata anche tenendo conto, oltre che degli orientamenti del Consiglio
dell’Unione europea (come prevede l’art. 7 della direttiva) anche delle valutazioni
dell’Alto Commissariato delle Nazioni unite sui rifugiati e di altre competenti
organizzazioni internazionali246.
Il Capo III e il Capo IV definiscono, rispettivamente, i requisiti per il
riconoscimento dello status di rifugiato e per l’accesso alla protezione
sussidiaria.
Gli articoli 7 e 8 delineano la natura e le caratteristiche degli atti di
persecuzione e dei motivi che ad essa danno luogo, considerati rilevanti ai fini
del riconoscimento dello status di rifugiato; il successivo articolo 14 definisce il
concetto di “danno grave”, il rischio del quale rileva ai fini del riconoscimento
245
246
Il testo non fa propria la facoltà, offerta agli Stati membri dall’art. 5, par. 3 della direttiva, di non
riconoscere lo status di rifugiato quando il rischio di persecuzioni sia basato su circostanze
determinate dal richiedente stesso dopo la partenza dal Paese di origine.
Il testo non esercita la facoltà, che l’art. 8 attribuisce agli Stati membri, di negare la protezione
internazionale, se in una parte del territorio del Paese di origine il richiedente non abbia fondati
motivi di temere di esser perseguitato o non corra rischi effettivi di subire danni gravi e se è
ragionevole attendere dal richiedente che si stabilisca in quella parte del Paese.
208
LA NUOVA DISCIPLINA SUI RIFUGIATI
della protezione sussidiaria. Il testo dei tre articoli segue, in buona parte anche
letteralmente, quello della direttiva.
Gli articoli 9 e 10 elencano i casi di cessazione e di esclusione dallo status di
rifugiato sulla falsariga, anche in questo caso, della direttiva che a sua volta
riprende tali ipotesi dalla Convenzione di Ginevra. Ulteriori elementi si rinvengono
al comma 2 dell’art. 9, che esclude la cessazione in presenza di gravi motivi
umanitari che impediscano il ritorno nel Paese d’origine, e al successivo comma
3, ove si ribadisce che la cessazione è dichiarata sulla base di una valutazione
individuale della situazione personale del richiedente.
Quanto alle ipotesi di esclusione, quella relativa alla commissione di “reati
gravi di diritto comune” al di fuori del Paese di accoglienza (art. 12, par. 2, lett.
b) della direttiva) è precisata introducendo un criterio di valutazione della gravità
del reato basato sull’entità della pena edittale prevista in Italia (non inferiore nel
minimo a quattro anni o nel massimo a dieci anni). Tale criterio non appare
peraltro esclusivo: il comma 2, lettera b) dell’art. 10 recita infatti: “La gravità del
reato è valutata anche tenendo conto della pena […]”.
Come si desume dagli articoli 11 e 12, comma 1, lettera a) (e come precisa
peraltro la direttiva al punto 14 della premessa), il riconoscimento dello status di
rifugiato ha efficacia dichiarativa di una situazione preesistente e non sembra
presentare margini di discrezionalità, in presenza delle circostanze di legge. Il
diniego dello status di rifugiato può tuttavia aver luogo (anche) quando lo
straniero costituisce (articolo 12) un pericolo per la sicurezza dello Stato
(comma 1, lettera b)) o un pericolo per l’ordine o la sicurezza pubblica
(comma 1, lettera c)): in quest’ultimo caso, la valutazione dev’essere corroborata
dall’intervenuta condanna definitiva per uno tra i reati previsti dall’art. 407, co. 2,
lett. a), c.p.p.247
La revoca dello status di rifugiato ha luogo (articolo 13) per il sopravvenire o il
successivo accertamento di elementi che avrebbero determinato il diniego,
ovvero quando l’aver presentato i fatti in modo erroneo o l’averli omessi ha
determinato in modo esclusivo il riconoscimento dello status.
Parallelamente a quanto detto con riguardo allo status di rifugiato, gli articoli
15, 16, 17 e 18 disciplinano, in termini conformi alla direttiva, rispettivamente la
cessazione, l’esclusione, il riconoscimento e la revoca dello status di protezione
sussidiaria. Diversamente da quanto previsto per i rifugiati, l’articolo 16, comma
1, lettera b), esclude il beneficio in presenza di un reato grave commesso (non
solo all’estero ma) anche in Italia; e la successiva lettera d), nell’escludere il
beneficio quando il richiedente costituisce un pericolo per l’ordine o la
sicurezza pubblica, non richiede il necessario concorso di una condanna penale
definitiva248.
247
248
Si tratta di una serie di delitti caratterizzati da particolare rilevanza, per i quali l’art. 407 c.p.p.
eleva da 18 mesi a due anni la durata massima delle indagini preliminari.
Il testo non esercita la facoltà, che l’art. 17, par. 3, della direttiva attribuisce agli Stati membri, di
escludere dal beneficio uno straniero che, prima di essere ammesso nello Stato membro, abbia
209
SCHEDE DI APPROFONDIMENTO
Contenuto della protezione internazionale
Il Capo V definisce nei suoi vari aspetti il contenuto sia della protezione
connessa allo status di rifugiato, sia della protezione sussidiaria.
L’articolo 19 fa comunque salvi i diritti stabiliti dalla Convenzione di Ginevra e
introduce quale criterio generale l’obbligo di tener conto della specifica situazione
delle persone vulnerabili (minori, disabili, anziani, donne in stato di gravidanza,
genitori singoli con figli minori, persone che hanno subito torture, stupri o altre
forme gravi di violenza psicologia, fisica o sessuale).
L’articolo 20 determina il contenuto della protezione dal respingimento, in
primo luogo operando un richiamo al citato art. 19, co. 1, del testo unico in
materia di immigrazione, che ha introdotto nell’ordinamento il principio del non
refoulement.
Nei limiti del rispetto di tale divieto, l’espulsione del rifugiato o dell’ammesso
alla protezione sussidiaria può aversi (solo) quando:
ƒ sussistono motivi per ritenere che rappresenti un pericolo per la sicurezza
dello Stato;
ƒ rappresenti un pericolo per l’ordine e la sicurezza pubblica, essendo stato
condannato con sentenza definitiva per un reato punibile con la reclusione
non inferiore nel minimo a quattro anni o nel massimo a dieci anni.
L’articolo 21 dà attuazione all’obbligo di fornire adeguate informazioni
all’interessato sui diritti e i doveri inerenti al proprio status sia mediante la
prevista consegna di un opuscolo redatto in lingua nota allo straniero, sia
dettando l’obbligo di fornire informazioni preliminari già nel corso della procedura
di riconoscimento, in sede di audizione del richiedente.
L’articolo 22 regola la condizione dei familiari del soggetto ammesso alla
protezione internazionale, come definiti dal precedente art. 2 (ossia coniuge e
figli minori non sposati a carico), equiparandoli al beneficiario a tutela dell’unità
del nucleo familiare, a meno che per taluno di essi non ricorra una delle cause
che avrebbero determinato l’esclusione o il diniego del beneficio.
Si ricorda che ai familiari del rifugiato, se presenti sul territorio nazionale, è
rilasciato il permesso di soggiorno per motivi familiari ai sensi dell’art. 30, co. 1,
lett. c), ultimo periodo, del testo unico sull’immigrazione; e che l’art. 29-bis del
medesimo testo unico, introdotto dal recente D.Lgs. 5/2007249, ha attribuito al
rifugiato la facoltà di richiedere il ricongiungimento familiare per le medesime
categorie di familiari e con la stessa procedura prevista in via generale dal
precedente art. 29 per gli stranieri legalmente soggiornanti sul territorio
249
commesso reati punibili con la reclusione e abbia lasciato il Paese d’origine soltanto al fine di
evitare le sanzioni risultanti da tali reati.
Il D.Lgs. 8 gennaio 2007, n. 5, ha recepito la direttiva 2003/86/CE del Consiglio, del 22
settembre 2003, relativa al diritto al ricongiungimento familiare degli stranieri.
210
LA NUOVA DISCIPLINA SUI RIFUGIATI
nazionale, escludendo in tale ipotesi la necessità di dimostrare la disponibilità di
un alloggio idoneo e di un reddito minimo, richiesta dal co. 3 dell’art. 29250.
L’articolo 23 prevede che il permesso di lavoro rilasciato ai rifugiati abbia
durata quinquennale e sia rinnovabile; quello rilasciato ai titolari di protezione
sussidiaria ha invece durata triennale, e il rinnovo è subordinato a una verifica
del permanere delle condizioni che hanno determinato il rilascio251.
L’articolo 24 disciplina il rilascio dei documenti necessari a consentire i viaggi
al di fuori del territorio nazionale. I documenti di viaggio possono essere negati
solo in caso di gravissimi motivi attinenti la sicurezza nazionale e l’ordine
pubblico ovvero (per i soli destinatari della protezione sussidiaria) quando manchi
la certezza sull’identità del titolare (tale motivo non è espressamente menzionato
dalla direttiva).
L’articolo 25 equipara la posizione dei titolari di protezione internazionale a
quella dei cittadini italiani con riguardo all’accesso al lavoro ed in particolare:
ƒ al lavoro subordinato,
ƒ al lavoro autonomo,
ƒ all’iscrizione agli albi professionali,
ƒ alla formazione professionale e al tirocinio sul luogo di lavoro,
e con riguardo alla relativa disciplina.
L’accesso al pubblico impiego è consentito al solo titolare dello status di
rifugiato (non a chi beneficia della protezione sussidiaria), secondo le stesse
modalità e limitazioni previste per i cittadini dell’Unione europea252.
Ai sensi dell’art. 38, co. 1 e 2, del D.Lgs. 165/2001253, i cittadini degli Stati membri
dell’Unione europea possono accedere ai posti di lavoro presso le amministrazioni
pubbliche che non implicano esercizio diretto o indiretto di pubblici poteri e non attengono
alla tutela dell’interesse nazionale. I requisiti per l’accesso, nonché i posti e le funzioni
per i quali non può prescindersi dalla cittadinanza italiana, sono stabiliti con regolamento.
Quanto all’accesso all’istruzione, l’articolo 26 equipara pienamente ai cittadini
italiani i minori che beneficino della protezione internazionale; quanto ai
maggiorenni, la loro posizione riguardo all’accesso al sistema di istruzione e di
formazione professionale è equiparata a quella delle altre categorie di stranieri
250
251
252
253
Si segnala al riguardo che l’ambito dei familiari per i quali si può richiedere il ricongiungimento
ex art. 29 è più ampio rispetto a quello definito dal decreto in esame: oltre al coniuge e ai figli
minori a carico, sono compresi anche gli altri figli minori e i figli maggiorenni a carico qualora
permanentemente non possano provvedere alle proprie indispensabili esigenze di vita in
ragione del loro stato di salute, nonché i genitori a carico che non dispongano di un adeguato
sostegno familiare nel Paese di origine o di provenienza.
La direttiva richiede un periodo di validità che non sia non inferiore, rispettivamente, a tre anni e
ad un anno.
Si rileva che l’art. 26 della direttiva non parrebbe evidenziare la possibilità di un trattamento
differenziato tra i due status, sotto questo specifico profilo.
D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle
amministrazioni pubbliche.
211
SCHEDE DI APPROFONDIMENTO
legalmente soggiornanti. È assicurata l’applicazione della disciplina prevista per i
cittadini italiani quanto al riconoscimento di titoli di studio stranieri254.
L’articolo 27 sancisce la piena equiparazione ai cittadini dei titolari della
protezione internazionale con riguardo alle prestazioni di assistenza sociale e
sanitaria. Tale equiparazione, già prevista per i rifugiati (come per altre categorie
di stranieri legalmente soggiornanti) in particolare dall’art. 34 e dall’art. 41 del
testo unico in materia di immigrazione, è dunque estesa ai titolari di protezione
sussidiaria.
L’articolo 28 disciplina la condizione del minore non accompagnato (cioè
dello straniero di età inferiore a 18 anni che si trova per qualsiasi motivo sul
territorio nazionale ed è privo di assistenza e rappresentanza da parte dei
genitori o di altri adulti per lui legalmente responsabili), il quale richieda la
protezione internazionale.
L’articolo (commi 1 e 2) rinvia alla disciplina generale relativa a tutti i minori in
stato di abbandono, recata dagli artt. 343 e seguenti del codice civile, ove si
prevede l’apertura della tutela ad opera dell’autorità giudiziaria per il minore i
cui genitori non possono esercitare la potestà. Nelle more, si consente
l’applicabilità delle misure di protezione sociale previste per i richiedenti asilo ai
sensi dell’art. 1-sexies del D.L. 416/1989 (legge Martelli) che ha previsto e
disciplinato un sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati, e al D.Lgs.
140/2005, di attuazione della disciplina comunitaria in materia di accoglienza dei
richiedenti asilo.
L’art. 8, co. 4, del D.Lgs. 140/2005 già dispone che l’accoglienza ai minori non
accompagnati è effettuata, secondo il provvedimento del Tribunale dei minorenni, ad
opera dell’ente locale, e che nell’àmbito dei servizi del sistema di protezione dei
richiedenti asilo e dei rifugiati, gli enti locali possono prevedere specifici programmi di
accoglienza riservati ai minori non accompagnati, richiedenti asilo e rifugiati, che
partecipano alla ripartizione del Fondo nazionale per le politiche e i servizi dell’asilo.
Il minore, quando sia possibile, è affidato a un familiare adulto e regolarmente
soggiornante; altrimenti si procede al suo affidamento ad una famiglia idonea o,
in mancanza, all’inserimento in una comunità di tipo familiare o in un istituto di
assistenza secondo la disciplina generale recata dall’art. 2, co. 1 e 2, della L.
184/1983255, curando di evitare la separazione dei fratelli e di limitare gli
spostamenti. È qui ribadito il principio secondo cui i provvedimenti in materia
sono adottati nel superiore interesse del minore.
Le iniziative di ricerca volte all’individuazione dei familiari devono anch’essi
svolgersi (comma 3) nel superiore interesse dei minori e con l’obbligo della
254
255
L’obbligo scolastico e l’accesso all’istruzione superiore degli stranieri è regolato dagli artt. 38 e
39 del TU.
L. 4 maggio 1983, n. 184, Diritto del minore ad una famiglia.
212
LA NUOVA DISCIPLINA SUI RIFUGIATI
assoluta riservatezza, in modo da tutelare la sicurezza del richiedente asilo, oltre
che dei suoi familiari.
La disposizione ribadisce quanto previsto dal co. 5 del citato art. 8 del D.Lgs.
140/2005, ove si dispone, inoltre, che il Ministero dell’interno stipula convenzioni, sulla
base delle risorse disponibili del Fondo nazionale per le politiche e i servizi dell’asilo,
sentito il Comitato per i minori, con l’Organizzazione internazionale delle migrazioni (OIM)
ovvero con la Croce Rossa Italiana, per l’attuazione di programmi diretti a rintracciare i
familiari dei minori non accompagnati.
L’articolo 29 dispone, al comma 1, in ordine al diritto di libera circolazione dei
titolari di protezione internazionale sul territorio nazionale, fermi restando i limiti
stabiliti nelle leggi militari e la possibilità per il prefetto di vietare agli stranieri il
soggiorno in comuni o in località che comunque interessano la difesa militare
dello Stato, come prevede l’art. 6 del testo unico in materia di immigrazione.
Il comma 2 prevede che, nell’ambito delle misure di integrazione sociale
intraprese in favore degli stranieri regolarmente soggiornanti a sensi dell’art. 42
del testo unico in materia di immigrazione, si tenga conto delle esigenze
particolari dei titolari di protezione internazionale. Quanto detto si aggiunge alle
misure di accoglienza di cui al poc’anzi citato art. 1-sexies del D.L. 416/1989 e
all’art. 5 del D.Lgs. 140/2005, anch’esso concernente l’accoglienza dei richiedenti
asilo.
Il comma 3 consente ai titolari dello status di rifugiato e di protezione
sussidiaria l’accesso, in condizioni di parità con i cittadini italiani, agli alloggi di
edilizia residenziale pubblica e al credito agevolato in materia di edilizia,
recupero, acquisto e locazione della prima casa, come previsto per altre
categorie di stranieri regolarmente soggiornanti dall’art. 40, co. 6, del testo unico
in materia di immigrazione.
Il citato co. 6 dispone che gli stranieri titolari di permesso di soggiorno CE a tempo
indeterminato e gli stranieri regolarmente soggiornanti in possesso di permesso di
soggiorno almeno biennale e che esercitano una regolare attività di lavoro subordinato o
di lavoro autonomo hanno diritto di accedere, in condizioni di parità con i cittadini italiani,
agli alloggi di edilizia residenziale pubblica e ai servizi di intermediazione delle agenzie
sociali eventualmente predisposte da ogni regione o dagli enti locali per agevolare
l’accesso alle locazioni abitative e al credito agevolato in materia di edilizia, recupero,
acquisto e locazione della prima casa di abitazione.
L’articolo 30 richiama, con riguardo all’assistenza al rimpatrio volontario dei
titolari di protezione internazionale, i programmi menzionati dall’art. 1-sexies del
D.L. 416/1989.
Ai sensi del co. 5, lett. e), dell’art. 1-sexies, tra i compiti del servizio centrale di
informazione, promozione, consulenza, monitoraggio e supporto tecnico agli enti locali
che prestano i servizi di accoglienza dei richiedenti asilo e alla tutela dei rifugiati e degli
213
SCHEDE DI APPROFONDIMENTO
stranieri destinatari di altre forme di protezione umanitaria, vi è quello di promuovere e
attuare, d’intesa con il Ministero degli affari esteri, programmi di rimpatrio attraverso
l’Organizzazione internazionale per le migrazioni o altri organismi, nazionali o
internazionali, a carattere umanitario.
Disposizioni finali
L’articolo 31 individua nel Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione
del Ministero dell’interno il punto nazionale di contatto che, ai sensi dell’art. 35
della direttiva, costituisce l’organo di riferimento per le attività di cooperazione
amministrativa diretta e per lo scambio di informazioni tra le autorità competenti
dei singoli Stati membri.
Il successivo articolo 32 contempla il dovere di impartire la necessaria
formazione di base al personale addetto all’applicazione della disciplina in
esame256, e vincola tale personale all’obbligo di riservatezza su quanto appreso
in ragione delle proprie attività.
L’articolo 33 reca la quantificazione degli oneri recati dal provvedimento e le
disposizioni di copertura finanziaria. Gli oneri derivano dalle prestazioni di
assistenza sanitaria e sociale assicurate ai titolari dello status di rifugiato e dello
status di protezione sussidiaria ed ai loro familiari, nonché dalla pubblicazione
dell’opuscolo informativo di cui all’art. 21.
I commi 1 e 2 recano le seguenti autorizzazioni di spesa:
In euro
2007
Art. 21 (opuscolo
informativo)
2008
2009
2010
2011
e segg.
50.000
50.000
50.000
-
-
Artt. 22 e 27 (assistenza
sanitaria e sociale)
2.031.510
11.901.820
15.677.600
19.453.380
23.229.160
Totale
2.081.510
11.951.820
15.727.600
19.453.380
23.229.160
La copertura (comma 3) è effettuata attingendo, per il 2007, al fondo di
rotazione per l’attuazione delle politiche comunitarie, di cui all’art. 5 della L.
183/1987257; per gli anni successivi, mediante riduzione dell’autorizzazione di
spesa di cui alla medesima L. 183/1987.
256
257
Si vedano in proposito anche gli art. 5, co. 1, e 15 del D.Lgs. 25/2008.
L. 16 aprile 1987, n. 183, Coordinamento delle politiche riguardanti l’appartenenza dell’Italia alle
Comunità europee ed adeguamento dell’ordinamento interno agli atti normativi comunitari. Ai
sensi dell’art. 6 della legge, eroga alle amministrazioni pubbliche ed agli operatori pubblici e
privati interessati la quota di finanziamento a carico del bilancio dello Stato per l’attuazione dei
programmi di politica comunitaria.
214
LA NUOVA DISCIPLINA SUI RIFUGIATI
Il decreto legislativo n. 25/2008: le procedure per l’attribuzione dello
status di rifugiato
Il decreto legislativo reca l’attuazione della direttiva 2005/85/CE, del 1°
dicembre 2005, del Consiglio relativa alla introduzione di norme minime comuni
per le procedure relative al riconoscimento e alla revoca dello status di
rifugiato.
Il decreto, composto di 41 articoli, si suddivide nei seguenti sei capi:
ƒ Capo I: Disposizioni generali (artt. 1-5);
ƒ Capo II: Principi fondamentali e garanzie (artt. 6-25);
ƒ Capo III: Procedure di primo grado (artt. 26-32);
ƒ Capo IV: Revoca, cessazione e rinuncia della protezione internazionale (artt.
33 e 34);
ƒ Capo V: Procedure di impugnazione (artt. 35-36);
ƒ Capo VI: Disposizioni finali e transitorie (artt. 37-41).
Disposizioni generali
Il Capo I reca alcune disposizioni di carattere generale.
In primo luogo, l’articolo 1 (corrispondente agli articoli 1 e 3 della direttiva)
delimita l’ambito di applicazione del provvedimento: le procedure per l’esame
delle domande di protezione internazionale. Viene specificato che si tratta
delle domande presentate nel territorio nazionale da cittadini non appartenenti
all’Unione europea o da apolidi. Il provvedimento reca, inoltre, le procedure per la
revoca e la cessazione degli status riconosciuti e quelle per l’impugnazione
delle decisioni.
Da rilevare, innanzitutto, che il legislatore delegato ha scelto di applicare una
“procedura unica” a tutte le forme di protezione internazionale, attivando
l’opzione prevista dalla direttiva 2005/85: questa, infatti, si applica
obbligatoriamente alle sole domande di asilo (art. 3, co. 1). Il comma 4 del
medesimo art. 3, prevede la possibilità per gli Stati membri di decidere di
applicare la stessa procedura ad altre forme di protezione internazionale.
Nella terminologia comunitaria, la protezione internazionale comprende sia il
riconoscimento dello status di rifugiato ai sensi della convenzione di Ginevra,
sia la protezione sussidiaria, prevista per coloro che, pur non avendo i requisiti
necessari per essere riconosciuti rifugiati, non possono comunque essere
rimpatriati perchè esposti a gravi rischi.
L’articolo 2 contiene le definizioni utilizzate nel provvedimento che coincidono
in parte con quelle dell’articolo 2 della direttiva.
Gli articoli 3, 4 e 5 danno attuazione all’art. 4 della direttiva che prevede la
designazione di una autorità nazionale competente per l’esame delle domande
di asilo.
215
SCHEDE DI APPROFONDIMENTO
In particolare, l’articolo 3 individua tre livelli di competenze in materia (un
quarto livello è indicato nell’articolo 5) riproducendo sostanzialmente la
situazione prevista dalla disciplina anteriore.
Innanzitutto, le autorità competenti a ricevere le istanze di protezione sono gli
uffici della polizia di frontiera e le questure secondo le modalità indicate
dall’art. 26 (comma 2).
La decisione relativa alla determinazione dello Stato competente all’esame
della domanda, ai sensi del regolamento (CE) 343/2003 spetta all’Unità Dublino,
istituita in attuazione dell’art. 22 del citato regolamento 343, che appunto prevede
l’istituzione di una autorità competente in materia (comma 3). Si tratta di un
ufficio operante presso il Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione del
Ministero dell’interno, ed in particolare nell’Ufficio III della Direzione centrale dei
servizi civili per l’immigrazione e l’asilo, una delle articolazioni del Dipartimento.
L’esame vero è proprio delle domande è svolto dalle Commissioni
territoriali per il riconoscimento della protezione internazionale (comma 1).
Si tratta delle Commissioni territoriali per il riconoscimenti dello status di
rifugiato – che assumono la nuova denominazione in virtù del principio di
uniformità della procedura di esame delle domande di protezione (vedi art. 1) –
istituite dalla L. 189/2002, attraverso l’introduzione dell’art. 1-quater nella legge
Martelli.
L’articolo in esame conferma in larga parte la disciplina attuale delle
Commissioni territoriali, con alcune significative differenze.
Innanzitutto, viene fissato il numero massimo delle Commissioni pari a
dieci258. L’individuazione delle sedi spetta al ministro dell’interno.
La competenza relativa alla nomina dei componenti, invece, viene trasferita
dal ministro dell’interno, che mantiene un potere di proposta, al Presidente del
Consiglio.
La struttura della Commissione rimane inalterata; essa è composta da
quattro membri: un prefetto che la presiede, un funzionario della Polizia di Stato,
un rappresentante degli enti territoriali e un rappresentante dell’Alto
Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (ACNUR). A questi può
aggiungersi un rappresentante del Ministero degli affari esteri in presenza di
particolari afflussi di richiedenti protezione internazionale.
Mentre in precedenza era esclusa qualsiasi forma di indennità per i
componenti le Commissioni, il decreto prevede la corresponsione di un gettone
di presenza per ogni partecipazione da determinarsi con decreto del ministro
dell’interno, di concerto con il ministro dell’economia e delle finanze.
Le Commissioni si avvalgono del supporto organizzativo del Dipartimento per
le libertà civili e l’immigrazione del Ministero dell’interno.
258
In precedenza la legge demandava al regolamento di esecuzione la individuazione del numero
delle commissioni (stabilite nel numero di sette ai sensi dell’art. 12, co. 1, D.P.R. 303/2004).
216
LA NUOVA DISCIPLINA SUI RIFUGIATI
L’articolo 5 disciplina il quarto organismo competente in materia, la
Commissione nazionale per il diritto di asilo, in termini analoghi a quanto
previsto dall’articolo 1-quinques del D.L. 416/1989 e dagli artt. 18-20 del D.P.R.
303/2004. Viene confermato, in particolare il ruolo di organo di indirizzo e di
coordinamento delle Commissioni territoriali, oltre all’importante compito di
decidere in materia di revoca e cessazione degli status di protezione
internazionale riconosciuti.
Garanzie del richiedente asilo
Il Capo II contiene prevalentemente disposizioni volte alla tutela del
richiedente asilo, oltre ad alcuni principi di carattere generale.
Innanzitutto, viene disciplinato l’accesso alla procedura prevedendo che la
domanda di protezione è presentata dall’interessato presso l’ufficio di frontiera, al
momento dell’ingresso nel territorio dello Stato, oppure presso la questura (art.
6). Viene specificato che la domanda deve essere presentata personalmente
dal richiedente, non attuando così la disposizione della direttiva (art. 6, co. 3) che
prevede, in via facoltativa, la possibilità di consentire al richiedente di presentare
domanda anche per conto delle persone a suo carico. Parimenti, non viene
contemplata l’ipotesi di presentazione di domanda di asilo da parte dei minori
per proprio conto (art. 6, co. 4, lett. a) della direttiva): per essi vale la domanda
presentata dai genitori; ai minori non accompagnati è consentito l’accesso alla
procedura secondo le modalità dell’articolo 17.
L’articolo 7 sancisce il principio che il richiedente ha diritto a rimanere nel
territorio nazionale per tutto il tempo necessario all’esame della domanda. La
permanenza è finalizzata unicamente allo svolgimento della procedura, anche se
viene fatto salvo il diritto del richiedente di svolgere una attività lavorativa nel
caso in cui la decisione sulla domanda di asilo non venga adottata entro sei mesi
dalla presentazione, senza che il ritardo possa essere attribuito al medesimo
richiedente asilo (come stabilito dal D.Lgs. 140/2005, art. 11, di attuazione della
direttiva n. 9 del 2003)259.
Il diritto di permanenza non è riconosciuto nei seguenti casi:
ƒ mandato di arresto europeo;
ƒ consegna ad un Tribunale penale internazionale;
ƒ avviamento verso un altro Stato competente per l’esame dell’istanza260.
259
260
D.Lgs. 30 maggio 2005, n. 140, Attuazione della direttiva 2003/9/CE che stabilisce norme
minime relative all’accoglienza dei richiedenti asilo negli Stati membri.
Non viene considerata una quarta eccezione al diritto di permanenza, prevista in via facoltativa
dalla direttiva, relativa alla reiterazione delle domande di asilo in quanto questa particolare
fattispecie di domanda (la cui attuazione non è obbligatoria) non è recepita dal decreto
legislativo.
217
SCHEDE DI APPROFONDIMENTO
L’articolo 8 stabilisce che le domande non possono essere respinte o non
esaminate per il solo fatto di non essere state presentate tempestivamente, e che
le domande devono essere esaminate in modo obiettivo ed approfondito.
Le decisioni devono essere comunicate per iscritto e le decisioni negative
devono essere adeguatamente motivate (articolo 9).
Ai sensi dell’articolo 10 sono definite una serie di garanzie a tutela del
richiedente asilo che ricalcano quelle dell’articolo 10 della direttiva: informazione
adeguata al richiedente sulla procedura da seguire e sull’esito della domanda,
possibilità di comunicare con l’ACNUR, assistenza di interpreti. Si tratta, in larga
parte, di disposizioni già presenti nel nostro ordinamento (si veda in particolare
l’art. 2, co. 6, art. 3, co. 3, art. 4 del D.P.R. 303/2004).
A sua volta, il richiedente è tenuto a rispettare alcuni obblighi (articolo 11):
cooperare con le autorità, comunicare i propri cambiamenti di residenza o
domicilio e, in generale, agevolare il compimento degli “accertamenti previsti
dalla legislazione in materia di pubblica sicurezza”. Con tale ultima espressione,
si è inteso presumibilmente dare attuazione all’articolo 11, comma 2, lettere d), e)
ed f) della direttiva che prevedono la possibilità di perquisire e fotografare il
richiedente e di registrarne le dichiarazioni.
Gli articoli 12, 13 e 14 disciplinano il colloquio personale che il richiedente
può sostenere davanti alla commissione territoriale. Si tratta di una delle fasi
centrali del procedimento di esame delle domande di protezione regolate dagli
articoli 12, 13 e 14 della direttiva (e dall’articolo 16 per quanto riguarda la
presenza di un avvocato al colloqui) le cui disposizioni sono sostanzialmente
riprese nel provvedimento in esame ed integrate con quelle previgenti contenute
prevalentemente nell’art. 1-quater del D.L. 416/1989 e negli artt. 13 e 14 del
D.P.R. 303/2004.
L’articolo 15 affida alla Commissione nazionale il compito di curare la
formazione e l’aggiornamento dei propri componenti e di quelli delle commissioni
territoriali come prescritto dall’art. 4, co. 3 della direttiva. Compito già previsto
dall’art. 1-quinquies del decreto legge 416/1989.
Il decreto prevede ulteriori garanzie in favore del richiedente asilo, quali il
diritto all’assistenza legale e, nel caso di ricorso, al gratuito patrocinio (articolo
16)261, il diritto all’accesso alle informazioni relative alla procedura (articolo 17), il
diritto all’accesso agli atti amministrativi e più in generale alle tutele connesse
all’azione amministrativa (articolo 18).
Riguardo a quest’ultimo aspetto, il decreto amplia la portata del grado di tutela
previsto dalla direttiva, estendendo ai richiedenti asilo l’applicazione di alcune forme di
garanzia dei cittadini italiani nei confronti dell’attività amministrativa contemplati dalla L.
261
Il patrocinio a spese dello Stato nel processo è garantito per tutte le persone meno abbienti ed
è regolato dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, Testo unico delle disposizioni legislative e
regolamentari in materia di spese di giustizia, artt. 74 e seguenti.
218
LA NUOVA DISCIPLINA SUI RIFUGIATI
241/1990262, quali l’obbligo di conclusione e di motivazione del procedimento (artt. 2 e 3),
l’obbligo di individuare un responsabile del procedimento (artt. 5 e 6), la possibilità
dell’interessato (ma non anche di soggetti terzi quali associazioni e comitati) di
partecipare al procedimento (artt. 7, 8 e 10), il diritto all’acceso agli atti (capo V). Al
procedimento si applicano anche le norme generali relative all’efficacia ed invalidità del
provvedimento amministrativo (capo IV-bis della L. 241/1990).
Una speciale tutela è assicurata ai minori non accompagnati (articolo 19) ai
quali deve essere garantita l’assistenza del tutore (nominato secondo le
procedure del codice civile, art. 343 e seguenti) in ogni fase del procedimento. In
caso di dubbio sull’età, il richiedente può essere sottoposto, previo consenso, ad
accertamenti medici. Il mancato consenso non pregiudica il proseguimento della
procedura, né il suo esito.
Accoglienza e trattenimento
Gli articoli 20, 21 e 22 disciplinano il trattenimento del richiedente asilo nel
periodo necessario all’esame della domanda.
In proposito, la direttiva (art. 18) si limita a stabilire il principio che il
richiedente asilo non deve essere trattenuto per il solo fatto di aver presentato
istanza. Questo principio, del resto già presente nella disciplina previgente (art.
1-bis, co. 1, del D.L. 416/1989) viene recepito dal decreto legislativo (art. 20, co.
1) che, inoltre, disciplina in modo dettagliato le modalità di trattenimento.
Viene mantenuta la distinzione prevista dal D.L. 416/1989 (art. 1-bis) tra
coloro che fanno richiesta di asilo dopo essere stati oggetto di un provvedimento
di espulsione, da trattenere nei centri di permanenza temporanea e
assistenza (CPTA) e gli altri richiedenti da trattenere nei centri di
identificazione.
Al sistema sopra delineato sono apportate alcune significative modificazioni.
Innanzitutto, viene separata nettamente l’ipotesi di accoglienza da quella del
trattenimento.
Nel primo caso, i richiedenti vengono ospitati nei centri di accoglienza (che
prendono il posto degli attuali centri di identificazione) quando si verificano le
seguenti condizioni:
ƒ necessità di determinare l’identità o la nazionalità del richiedente;
ƒ presentazione della richiesta da parte di coloro che sono stati fermati dalla
forza pubblica per aver eluso i controlli di frontiera o per essere in condizioni di
soggiorno irregolare;
ƒ presentazione della richiesta da parte di coloro che sono stati oggetto di un
provvedimento di espulsione amministrativa per due specifiche cause:
ingresso clandestino e trattenimento nel territorio nazionale senza aver fatto
262
L. 7 agosto 1990, n. 241, Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di
accesso ai documenti amministrativi.
219
SCHEDE DI APPROFONDIMENTO
richiesta del permesso di soggiorno (art. 13, co. 2, lett. a) e b), del testo unico
sull’immigrazione, D.Lgs. 286/1998);
ƒ presentazione della richiesta da parte di coloro che sono stati respinti alla
frontiera (art. 10, D.Lgs. 286/1998).
Rispetto alla normativa previgente, non vengono più accolti nei centri coloro
per i quali è necessario verificare gli elementi su cui si basa la domanda e coloro
nei cui confronti è pendente un procedimento relativo al riconoscimento del diritto
ad essere ammesso nel territorio dello Stato (art. 1-bis, co. 1, lett. b) e c), del D.L.
416/1989,.
La differenza maggiore però consiste nel destinare ai centri di accoglienza gli
espulsi (nelle fattispecie viste sopra) e i respinti alla frontiera che, ai sensi
delle norme previgenti, devono essere trattenuti nei CPTA.
Inoltre, si introduce una differenziazione dei tempi massimi di permanenza
nei centri di accoglienza: il termine previgente di 20 giorni (art. 3, co. 1, D.P.R.
303/2004) è mantenuto solamente nell’ipotesi di dover accertare l’identità del
richiedente, mentre per tutti gli altri casi visti sopra il termine è prolungato a 35
giorni, ferma restando una minore permanenza nel caso intervenga nel frattempo
la decisione sull’istanza. Decorso tale periodo senza che la procedura si sia
conclusa al richiedente è rilasciato un permesso di soggiorno temporaneo di
tre mesi, eventualmente rinnovabile.
L’articolo 21 disciplina i casi di trattenimento presso i CPTA dove
affluiscono:
ƒ coloro che sono esclusi dai benefici della Convenzione di Ginevra, perchè
macchiatesi di gravi reati (crimini di guerra, contro l’umanità)263;
ƒ coloro che sono stati condannati per uno dei delitti per i quali è previsto
l’arresto in flagranza (art. 380 codice procedura penale) o per reati
particolarmente gravi quali quelli di droga, immigrazione clandestina,
prostituzione;
ƒ coloro che sono destinatari di un provvedimento di espulsione diverso da
quelli esaminati sopra e derivanti da più gravi motivi: si tratta dell’espulsione
disposta dal Ministro dell’interno per motivi di ordine pubblico (art. 13, co. 1,
del testo unico in materia di immigrazione), espulsione disposta per i
delinquenti abituali o per gli indiziati di mafia (art. 13, co. 2, lett. c), del testo
unico), per motivi di prevenzione del terrorismo (art. 3, D.L. 144/2005),
espulsione disposta dall’autorità giudiziaria (artt. 235 e 312 c.p., artt. 15 e 16
del testo unico);
È comunque garantito l’accesso ai CPTA dei rappresentanti dell’ACNUR, degli
avvocati e dei rappresentanti degli organismi di tutela dei rifugiati autorizzati dal
Ministero dell’interno.
263
Art. 1, lett. F) della Convenzione di Ginevra ratificata dalla legge 24 luglio 1954, n. 722.
220
LA NUOVA DISCIPLINA SUI RIFUGIATI
L’articolo 22, al comma 2, stabilisce che l’allontanamento dai centri di
accoglienza o di trattenimento senza giustificato motivo fa cessare le condizioni
di accoglienza e fa sì che la commissione territoriale decide la domanda sulla
base della documentazione in suo possesso. Viene, dunque, abolito
l’automatismo che consentiva di considerare l’allontanamento non autorizzato
quale rinuncia della domanda (art. 1-ter, co. 4, D.L. 416/1989).
Conseguentemente non viene recepito l’art. 20 della direttiva che disciplina
l’ipotesi di ritiro implicito della domanda.
È invece considerata la rinuncia esplicita: l’articolo 23 disciplina le
conseguenze del ritiro della domanda di asilo, prevedendo in tal caso
l’estinzione del procedimento, mentre la direttiva offre un’alternativa tra la
sospensione e il respingimento (art. 19).
L’articolo 24 consente all’ACNUR l’accesso alle strutture di accoglienza e il
potere di svolgere attività di consulenza e supporto al Ministero dell’interno, alla
commissione nazionale e alle commissioni territoriali a richiesta del Ministero
dell’interno264.
Infine, l’articolo 25 vieta l’acquisizione di informazioni dai presunti responsabili
delle persecuzioni ai danni del richiedente, e, nel contempo, la diffusione di
informazioni sul conto del richiedente che possano nuocergli.
La procedura di esame delle domande
L’articolo 26 disciplina le operazioni preliminari della procedura di esame,
disponendo, in particolare, che la presentazione della domanda può avvenire
indifferentemente all’ufficio di polizia di frontiera o alla questura265. L’attività
istruttoria è compiuta comunque dal questore che dispone anche l’eventuale
trattenimento nel caso ricorrano le condizioni sopra esaminate.
Si rileva che non è più indicato il termine perentorio (due giorni) entro il quale il
questore deve trasmettere l’istanza alla commissione territoriale competente (art.
1-quater, co. 2, decreto legge 416/1989).
Nel caso di domanda presentata da minori non accompagnati è lo stesso
questore che ne dà comunicazione al Tribunale dei minorenni per la nomina del
tutore ai sensi dell’art. 343 del codice civile e per il suo inserimento nelle strutture
di accoglienza, così come già previsto dall’art. 2, co. 5, del D.P.R. 303/2004.
L’articolo 27 introduce la disciplina relativa alla procedura vera e propria
dell’esame delle domande di protezione.
Viene accolto il sistema delineato dall’articolo 23 della direttiva basato su due
tipi di procedura: una ordinaria e una prioritaria o accelerata (facoltativa) che si
264
265
Si rileva che tale ultima condizione (richiesta all’autorità nazionale per accedere alla strutture) è
assente nel testo della direttiva (art. 21). Inoltre, l’articolo in esame non estende i poteri conferiti
all’ACNUR di accesso e consulenza anche alle organizzazioni operanti per conto dell’ACNUR
come, invece, previsto dal medesimo articolo della direttiva.
In precedenza la presentazione presso la questura poteva avvenire unicamente se nel luogo di
ingresso nel territorio nazionale non vi fosse un ufficio di frontiera, art. 2, co.1, D.P.R. 303/2004.
221
SCHEDE DI APPROFONDIMENTO
distingue dalla prima per tempi di esame più brevi. Tale struttura del resto era già
presente nella normativa previgente (D.L. 416/1989) che prevedeva una
procedura ordinaria (art. 1-quater) e una semplificata (art. 1-ter).
Il comma 1 dell’articolo 27 affida alle commissioni territoriali il compito di
esaminare le domande di asilo, nel rispetto dei principi e delle garanzie indicate
nel Capo II.
I tempi di esame per la procedura ordinaria (comma 2) sono quelli già
previsti dalla normativa in precedenza: entro 30 giorni dal ricevimento della
domanda la commissione territoriale competente provvede al colloquio e nei
successivi 3 giorni decide. Tali termini tuttavia possono essere derogati se
sopravvenga l’esigenza di acquisire nuovi elementi: in tal caso devono esserne
informati il richiedente e la questura competente (comma 3).
La procedura accelerata (definita esame prioritario dall’articolo 28) si attiva in
tre ipotesi266:
ƒ domanda palesemente fondata;
ƒ domanda presentata da persone appartenenti ad una delle categorie
vulnerabili individuate dal D.L. 140/2005 (minori, anziani, disabili, donne in
stato di gravidanza, genitori singoli con figli minori, persone che hanno subito
violenze gravi);
ƒ domanda presentata dai richiedenti che rientrano nelle categorie di cui agli
articoli 20 e 21, ossia coloro che sono avviati ai centri di accoglienza (ad
eccezione di coloro che devono essere semplicemente identificati) o ai CPTA.
La tipologia di casi per i quali si attiva la procedura prioritaria differisce
radicalmente dal sistema precedente, che prevedeva la procedura semplificata in
due ipotesi: accertamento dell’identità e verifica degli elementi su cui si basa la
domanda di asilo (art. 1-bis, co. 1, lett. a) e b) del D.L. 416/1989. Un’altra
importante differenza risiede nei tempi di esame: nella disciplina previgente
erano fissati in 15 giorni per il colloquio e in 3 giorni per la decisione. L’articolo in
esame invece non dà indicazioni sui tempi di esame (condizione del resto non
richiesta dalla direttiva) ma si limita a precisare che le domande con le
caratteristiche di cui sopra devono essere esaminate in via prioritaria. Fanno
eccezione le domande presentate dagli espulsi avviati ai CPTA, per i quali sono
previsti tempi brevissimi: 7 giorni per il colloquio e 2 per la decisione.
In qualsiasi fase del procedimento il richiedente può inviare ulteriore
documentazione alla commissione (articolo 31).
L’articolo 29 disciplina i casi di inammissibilità delle domande. Mentre
l’articolo 30 prevede la sospensione dell’esame delle domande per le quali è in
corso la decisione in merito allo Stato competente (ai sensi del regolamento
(CE) n. 343/2003).
266
L’articolo 23 della direttiva indica una rosa molto più ampia, anche se di natura facoltativa, di
casi per i quali attivare la procedura prioritaria.
222
LA NUOVA DISCIPLINA SUI RIFUGIATI
Dei sette casi indicati dalla direttiva come possibili cause di inammissibilità (o
più precisamente di irricevibilità come definiti dalla direttiva), il decreto legislativo
ne considera solamente due:
ƒ le domande presentate da chi è stato già riconosciuto rifugiato da uno Stato
firmatario della convenzione di Ginevra (la direttiva limita tale ipotesi ai soli
Stati dell’Unione europea, art. 25, co. 2, lett. a);
ƒ le reiterazioni di identica domanda senza nuovi elementi.
Due delle altre ipotesi non considerate dal legislatore delegato, riguardano la
irricevibilità delle domande di coloro che già godono della protezione di un paese
definito paese di primo asilo oppure provengono da un paese terzo sicuro.
Queste ultime due fattispecie (la cui applicazione non è obbligatoria per gli
Stati membri) sono disciplinate dagli articoli 26 e 27 della direttiva e non sono
recepiti dal decreto. Sinteticamente, si tratta di due elenchi, redatti da ciascun
Paese membro, contenenti, rispettivamente, i Paesi che per primi hanno dato
asilo (o una qualche altra forma di protezione adeguata) ai richiedenti e i Paesi di
provenienza dei richiedenti che il Paese membro dove è stata presentata la
domanda di asilo considera sicuri. La redazione dei due elenchi è sottoposta ad
alcune norme dettagliate, e consente ai Paesi membri che scelgono di adottarli di
considerare non ricevibili le istanze presentate da persone provenienti da quei
Paesi.
Come si è detto, il legislatore delegato italiano ha scelto di non attivare questo
meccanismo. Un diverso discorso deve farsi in relazione ad una terza fattispecie
introdotta dalla direttiva, il concetto di paese di origine sicuro, il cui recepimento
apparirebbe invece obbligatorio.
L’articolo 29 della direttiva, infatti, prevede la redazione da parte del Consiglio
dell’Unione europea di un elenco comune minimo di Paesi terzi considerati Paesi
di origine sicuri. Elenco che può essere integrato da ciascun Paese membro
secondo le modalità viste sopra. Ai sensi del successivo articolo 31 della
direttiva, se un cittadino di uno dei Paesi dell’elenco comune presenta istanza di
asilo, questa deve essere necessariamente respinta (o meglio considerata
infondata), a meno che il richiedente non invochi gravi motivi relativi alla
condizione personale del richiedente stesso in quel Paese, che inducano a non
ritenerlo sicuro.
Si segnala, peraltro, che recentemente la Corte di giustizia delle comunità
europee (sen. 6 maggio 2008, C-133/06) ha annullato l’art. 29, co. 1 e 2 e art. 36,
co. 3, della direttiva 2005/85/CE, censurando la procedura di adozione
dell’elenco dei Paesi di origine sicuro che prevede la decisione del Consiglio
previa “consultazione” del Parlamento europeo, in luogo della “co-decisione”.
La definizione di Paese di origine sicuro, operata mediante un mero
riferimento all’art. 29 della direttiva, è contenuta nell’art. 2, co. 1, lett. m), del
decreto, e un riferimento indiretto a tale concetto è contenuto nel successivo
223
SCHEDE DI APPROFONDIMENTO
articolo 32 che regola la fase finale del procedimento, ossia quello della
decisione.
La commissione territoriale, fatto salvo il caso di ritiro della domanda (art. 23),
di inammissibilità della stessa (art. 29), o di sospensione in caso di dubbio sullo
Stato competente a decidere (art. 30), deve adottare una delle seguenti decisioni
(art. 32):
ƒ riconoscere lo status di rifugiato o la protezione sussidiaria;
ƒ rigettare la domanda qualora non sussistano i presupposti per il
riconoscimento della protezione internazionale indicati nel D.Lgs. 251/2007,
oppure in caso di cessazione o esclusione dalla protezione ivi previste.
Il comma 2 stabilisce che il solo fatto che un richiedente asilo provenga da
un Paese di origine sicuro, non deve necessariamente determinare il
respingimento della domanda senza averla esaminata alla luce dei motivi
addotti dal richiedente per non ritenere sicuro quel Paese nelle circostanze
specifiche in cui egli si trova. Si tratta di una disposizione che recepisce il
contenuto di parte dell’articolo 31 della direttiva, descritto sopra. Il decreto di
recepimento aggiunge la specificazione che i gravi motivi di cui sopra possono
comprendere anche gravi discriminazioni e repressioni di comportamenti
che pur risultando oggettivamente perseguibili nel Paese di origine, non
costituiscono reato per l’ordinamento italiano.
Queste precisazioni sono dovute ad uno specifico criterio direttivo contenuto
nella legge di delega.
L’articolo 12 della legge comunitaria 2006 ha introdotto un principio e criterio
direttivo – ulteriore rispetto a quelli di carattere generale indicati nell’art. 2 della legge
comunitaria – che il Governo è tenuto a seguire nell’esercizio della delega per
l’attuazione della direttiva 2005/85/CE. Esso prevede che la domanda di asilo non possa
essere dichiarata infondata solamente perché il richiedente asilo sia cittadino di un paese
sicuro, secondo l’elenco definito dal Consiglio267. Bisognerà, infatti, verificare che non
siano stati invocati gravi motivi per non ritenere sicuro quel Paese in relazione alle
circostanze specifiche in cui si trova il richiedente. Si tratta, quest’ultima, di una
disposizione contenuta nell’art. 31 della direttiva. Tra i motivi di cui sopra possono essere
comprese gravi discriminazioni e repressioni di comportamenti che, nel Paese di
provenienza, risultano oggettivamente perseguiti, mentre nel nostro Paese non
costituiscono reati.
L’obiettivo della disposizione è di inserire, tra gli elementi di valutazione nella
decisione di accoglimento o rifiuto delle domande di asilo, la considerazione che il
richiedente, pur provenendo da un Paese sicuro, può essere perseguito (non
necessariamente in base ad una norma penale, ma comunque in base a disposizioni o
atti concreti, oggettivamente individuabili) a causa di un fatto o comportamento che nel
nostro ordinamento non è perseguibile (in quanto non costituisce reato). La norma non
267
L’art. 12 della legge comunitaria comprendeva anche l’ipotesi del richiedente originario di un
Paese terzo sicuro, ossia di un Paese inserito nell’elenco a cura di ciascun Paese membro.
Tale ipotesi non è considerata nel decreto legislativo in quanto non è stato recepito, come
accennato sopra, il concetto di Paese terzo sicuro.
224
LA NUOVA DISCIPLINA SUI RIFUGIATI
sembra però considerare tutti i fatti o i comportamenti perseguiti, bensì quelli la cui
repressione lede diritti fondamentali (così potrebbe esser letta l’endiadi “gravi
discriminazioni e repressioni di comportamenti […]”)268.
L’articolo 33 disciplina il procedimento di revoca e cessazione della
protezione internazionale secondo i principi degli articoli 37 e 38 della direttiva.
Infine, l’articolo 34 prevede la rinuncia espressa (ipotesi non contemplata
dalla direttiva) allo status di rifugiato o di soggetto ammesso alla protezione
sussidiaria che comporta la decadenza dal medesimo status.
Procedura di ricorso
Il Capo V attua l’articolo 39 della direttiva che riconosce al richiedente asilo il
diritto a ricorrere davanti al giudice nei confronti delle decisioni relative alla sua
domanda.
L’articolo 35 prevede infatti la possibilità di impugnare:
ƒ la decisione della commissione territoriale relativa all’accoglimento o il rigetto
della domanda;
ƒ la decisione di accordare la protezione sussidiaria in luogo dello status di
rifugiato;
ƒ la decisione sulla revoca o cessazione della protezione internazionale;
ƒ il provvedimento di inammissibilità della domanda.
In quest’ultima ipotesi, e nel caso di decisione successiva all’abbandono del
richiedente del centro di accoglienza o di permanenza, il ricorso non comporta la
sospensione della decisione (tranne per decisione del tribunale cui è presentato
il ricorso per gravi motivi); sospensione che, invece, scatta per le altre ipotesi.
Da rilevare che ai sensi della legislazione previgente, il ricorso in nessun caso
poteva sospende automaticamente l’esecuzione del provvedimento di espulsione
(ma il prefetto aveva la facoltà di autorizzare il richiedente a rimanere nel
territorio nazionale, art. 1-ter, co. 6, decreto legge 416/1989).
Il ricorso è presentato dinanzi al tribunale che ha sede nel capoluogo di
distretto di corte d’appello dove ha sede la commissione territoriale che ha preso
la decisione. La sentenza del tribunale può essere impugnata in secondo grado
davanti alla Corte d’appello contro la cui decisione si può ricorrere in
Cassazione.
Il nuovo sistema, interamente giurisdizionale, diverge radicalmente da quello
precedente. Questo prevedeva un riesame di primo grado da parte della stessa
268
L’esplicitazione che tra i gravi motivi debbano essere compresi le discriminazioni e repressioni
di comportamenti è stata aggiunta nel corso dell’esame del Senato dopo una lunga discussione,
sia in sede referente, sia in Assemblea. In origine l’emendamento (Em. 12.14 del sen Silvestri)
includeva tra i gravi motivi suscettibili di portare all’accoglienza della domanda di asilo la
discriminazione e la repressione di orientamenti e di pratiche sessuali. Alla riformulazione
definitiva del testo si è giunti principalmente a seguito della considerazione che il testo originario
poteva essere giudicato incostituzionale, in quanto privilegiante una tipologia di comportamenti
(e di discriminazioni) rispetto ad altre.
225
SCHEDE DI APPROFONDIMENTO
commissione territoriale che ha emesso il provvedimento impugnato, pur se
integrata da un componente la commissione nazionale, e un ricorso in secondo
grado davanti al tribunale in composizione monocratica (art. 1-ter, co. 6, decreto
legge 416/1989).
Ai sensi dell’articolo 36 i richiedenti che hanno fatto ricorso possono avere
rinnovato il permesso di soggiorno se la decisione non interviene entro 6 mesi (ai
sensi dell’art. 11 del D.Lgs., 140/2005). Inoltre, se sono ospitati nei centri di
accoglienza rimangono nei medesimi centri, dove vengono anche trasferiti i
richiedenti trattenuti nei CPTA che hanno ottenuto la sospensione del
provvedimento impugnato.
Disposizioni finali
L’articolo 37 pone l’obbligo della riservatezza in merito alle informazioni
ottenute nel corso del procedimento di esame delle domande.
Le modalità di attuazione della legge sono demandate (articolo 38)
all’emanazione di uno o più regolamenti da emanare ai sensi dell’art. 17. co. 1,
della L. 400/1988269.
L’articolo 39 valuta l’onere complessivo derivante dall’applicazione del
decreto legislativo nella cifra di 9.571.000 euro per il 2008, in 22.018.250 a
decorrere dal 2008 e in 1.332.000 euro annui a decorrere dal 2009.
L’assistenza ai rifugiati
I servizi di assistenza e di protezione dei richiedenti asilo e dei rifugiati sono
svolti principalmente dagli enti locali.
La L. 189/2002 ha soppresso la corresponsione di un contributo di prima
assistenza per 45 giorni da parte del Ministero dell’interno in favore dei
richiedenti asilo privi di mezzi (art. 1, comma 7, DL 416/1989).
In luogo di tale contributo l’articolo 1-sexies del medesimo D.L. 416/1989
(introdotto dall’art. 32 della legge 189/2002), disciplina un sistema di protezione
per richiedenti asilo e rifugiati:
ƒ consentendo agli enti locali di accogliere nell’àmbito dei servizi di accoglienza
da essi apprestati i richiedenti asilo privi di mezzi di sussistenza, ove non
ricorrano le condizioni (previste dai precedenti articoli 1-bis e 1-ter) di
trattenimento nei centri di identificazione (comma 1);
ƒ prevedendo (commi 2 e 3) forme di sostegno finanziario apprestate dal
Ministero dell’interno e poste a carico di un fondo ad hoc (Fondo nazionale per
le politiche e i servizi dell’asilo) istituito dal successivo articolo 1-septies;
269
L. 23 agosto 1988 n. 400, Disciplina dell’attività di Governo e ordinamento della Presidenza del
Consiglio dei Ministri.
226
LA NUOVA DISCIPLINA SUI RIFUGIATI
ƒ prevedendo l’attivazione (ad opera del Ministero dell’interno) e l’affidamento,
mediante convenzione, all’ANCI di un servizio centrale di informazione,
promozione, consulenza, monitoraggio e supporto tecnico agli enti locali che
prestano i servizi di accoglienza (commi 4-6).
Il DL 195/2002, art. 2, comma 8, chiarisce che i soggetti destinatari dei servizi di
accoglienza richiamati all’articolo 1-sexies del D.L. 416/1989, sono gli stranieri titolari di
permesso umanitario di cui all’articolo 5, comma 6, del testo unico. Ai sensi del citato
articolo 5, comma 6, è possibile disporre il rifiuto o la revoca del permesso di soggiorno
sulla base di convenzioni o accordi internazionali quando lo straniero non soddisfi le
condizioni di soggiorno applicabili in uno degli Stati contraenti, “salvo che ricorrano seri
motivi, in particolare di carattere umanitario o risultanti da obblighi costituzionali o
internazionali dello Stato italiano”.
Il Fondo nazionale per le politiche ed i servizi dell’asilo (art. 1-septies)
destinato a finanziarie le iniziative degli enti locali è alimentato da:
ƒ apposite risorse iscritte nel bilancio di previsione del Ministero dell’interno;
ƒ assegnazioni annuali del Fondo europeo per i rifugiati270;
ƒ donazioni private.
Le disponibilità del Fondo sono assegnate annualmente con decreto del
Ministro dell’interno, e sono destinate alle iniziative dei comuni e province, in
misura non superiore all’80% del costo complessivo di ciascuna iniziativa
territoriale (artt. 1-sexies e 1- septies D.L. 416/1989).
Con il decreto del Ministro dell’interno del 23 luglio 2003 si è provveduto alla prima
ripartizione tra i comuni del fondo per un importo complessivo di circa 9 milioni di euro
per l’esercizio 2003, per il 2004 lo stanziamento è stato di 9,7 milioni di euro (decreti 25
maggio e 26 novembre 2004.271
Con decreto del capo del dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione 25 maggio
2006 (non pubblicato in Gazzetta ufficiale) è stata fissata la capacità ricettiva massima
del Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati per l'anno 2007. Il provvedimento
fissa la misura di posti n. 2.350 (di cui una parte riservata per le categorie più vulnerabili
270
271
Il 28 settembre 2000, il Consiglio dell’Unione Europea ha istituito il Fondo Europeo per i
Rifugiati (Decisione del Consiglio Europeo n. 2000/596/CE, cd. “Decisione FER”), per sostenere
le azioni degli Stati membri dell’Unione in merito alle condizioni di accoglienza, integrazione e
rimpatrio volontario di richiedenti asilo, rifugiati e profughi. La Decisione introduce un nuovo
sistema di gestione degli interventi, che affida a ciascuno Stato membro il compito di
individuare, sulla base della situazione esistente nei singoli Paesi, le carenze nel campo
dell’accoglienza, dell’integrazione e del rimpatrio volontario e le azioni da intraprendere per far
fronte alle specifiche esigenze riscontrate a livello nazionale, attraverso la predisposizione di un
apposito programma di attuazione FER. Le risorse finanziarie del FER vengono ripartite fra gli
Stati membri, ai quali viene affidata la responsabilità dell’attuazione delle azioni che beneficiano
del sostegno comunitario e quindi la selezione, la sorveglianza, il controllo e la valutazione dei
singoli progetti. In Italia, l’Autorità Responsabile è il Ministero dell’Interno.
Corte dei conti, Relazione concernente l’indagine di controllo sulla «Gestione delle risorse
previste in connessione al fenomeno dell’immigrazione. Regolamentazione e sostegno
all’immigrazione. Controllo dell’immigrazione clandestina, Programma di controllo 2004, 11
marzo 2005, pag. 78-79.
227
SCHEDE DI APPROFONDIMENTO
individuate dall’art. 6, co. 1 del precedente D.M. 28 novembre 2005, come modificato dal
D.M. 27 giugno 2007).
I D.M. 5 agosto 2006 e 20 novembre 2006 hanno disposto l’assegnazione dei fondi
per l’anno finanziario 2006, per un ammontare complessivo di circa 27,4 milioni di euro.
Mentre per il 2007 l’importo assegnato è di 27,4 milioni (D.M. 16 agosto 2007).
Il sistema nazionale di accoglienza ha trovato il suo completamento con
l’adozione del D.Lgs. 140/2005 di attuazione della disciplina comunitaria in
materia di accoglienza dei richiedenti asilo272.
Si prevede che l’accoglienza dei richiedenti asilo privi di mezzi di sussistenza
sia disposta preferibilmente presso i servizi attivati dagli enti locali e, in caso di
indisponibilità, nei centri di identificazione o nei centri di accoglienza allestiti ai
sensi della legge 563/1995 (cosiddetta “legge Puglia”). Agli interessati è rilasciato
il permesso di soggiorno. Qualora dopo sei mesi non sia stata adottata le
decisione sulla domanda di asilo, il permesso di soggiorno è rinnovato per sei
mesi e consente di svolgere attività lavorativa.
Tra le misure in materia di immigrazione recate dalla legge finanziaria per il 2007 (L.
27 dicembre 2006, n. 296), sono esplicitamente rivolte anche ai richiedenti asilo quelle di
cui:
ƒ all’art. 1, co. 312, che dispone l’esenzione dall’IVA per le prestazioni socio-sanitarie
rese a vari soggetti svantaggiati, tra i quali le persone richiedenti asilo;
ƒ all’art. 1, co. 1262, che istituisce nello stato di previsione del Ministero dell’interno un
Fondo per fare fronte alle spese, diverse da quelle per il personale, connesse agli
interventi in materia di immigrazione ed asilo ed al funzionamento dei servizi connessi
alla gestione delle emergenze derivanti dai flussi migratori. La dotazione del fondo è di
3 milioni di euro a decorrere dall’anno 2007.
Le misure di protezione temporanea
Nel caso di profughi che lasciano il proprio Paese non a causa di misure di
discriminazione individuale cui siano stati sottoposti, bensì al verificarsi di gravi
eventi (guerra civile, violenze generalizzate, aggressioni esterne, catastrofi
naturali ecc.) non è prevista nel nostro ordinamento la possibilità di richiedere il
riconoscimento dello status di rifugiato.
Tuttavia, il testo unico sull’immigrazione consente di far fronte a emergenze
umanitarie causate da eventi eccezionali. In tali circostanze è possibile per il
Governo determinare con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri gli
interventi di protezione temporanea necessari per accogliere in maniera
tempestiva e adeguata le popolazioni sfollate che dovessero raggiungere in
massa il territorio italiano (art. 20, D.Lgs. 286/1998).
272
D.Lgs. 30 maggio 2005, n. 140, Attuazione della direttiva 2003/9/CE che stabilisce norme
minime relative all’accoglienza dei richiedenti asilo negli Stati membri.
228
LA NUOVA DISCIPLINA SUI RIFUGIATI
Tale disposizione è stata applicata per la prima volta nel 1999 in occasione della crisi
che ha interessato i territori dell’area balcanica, in seguito della quale sono giunti in Italia
circa 30.000 stranieri di diversa etnia (kosovari, serbi, montenegrini).
Per oltre 18.000 di loro era stato previsto con il D.P.C.M. 12 maggio 1999 il rilascio di
un permesso di soggiorno per protezione temporanea e l’assistenza in strutture
individuate o realizzate nel territorio nazionale con oneri a carico del Ministero
dell’interno.
Gli altri 12.000 circa avevano presentato domanda di riconoscimento dello status di
rifugiato.
La normativa comunitaria: quadro generale
Nel Consiglio europeo di Tampere, in Finlandia, dell’ottobre 1999 è stata
definita una politica comune dell’Unione europea in materia di immigrazione e di
asilo come politica di carattere globale che abbraccia le questioni della politica,
dei diritti umani e dello sviluppo dei Paesi d’origine dei flussi migratori.
La politica fissata a Tampere prevede quattro direttrici d’azione. Una di esse
riguarda un regime europeo comune in materia di asilo, secondo la quale
l’Unione e gli Stati membri riconoscono l’importanza del rispetto assoluto del
diritto di chiedere asilo.
La strategia di Tampere si proponeva, in una prima fase, l’armonizzazione
delle disposizioni nazionali in materia di asilo per permettere di determinare con
chiarezza e praticità lo Stato competente per l’esame delle domande di asilo, per
prevedere una procedura di asilo equa ed efficace e condizioni comuni minime
per l’accoglienza dei richiedenti asilo nonché il ravvicinamento delle normative
relative al riconoscimento e agli elementi sostanziali dello status di rifugiato.
Nel lungo periodo, le norme comunitarie dovrebbero indirizzarsi verso una
procedura comune in materia di asilo e uno status uniforme per coloro che hanno
ottenuto l’asilo, valido in tutta l’Unione.
La prima fase della politica di Tampere ha compiuto notevoli progressi con
l’adozione di una serie di provvedimenti (tutti accolti nell’ordinamento interno
italiano) i principali dei quali sono:
ƒ la direttiva 2001/55 del 20 luglio 2001, recante norme minime per la
concessione della protezione temporanea (recepita nell’ordinamento interno
con il D.Lgs. 7 aprile 2003, n. 85);
ƒ la direttiva 2003/9 del 27 gennaio 2003, che introduce alcune norme minime
comuni in relazione all'accoglienza dei richiedenti asilo (recepita con D.Lgs.
30 maggio 2005, n. 140);
ƒ il regolamento 2003/343 del 18 febbraio 2003, del Consiglio, che stabilisce i
criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per
l'esame di una domanda d'asilo presentata in uno degli Stati membri da un
cittadino di un paese terzo;
229
SCHEDE DI APPROFONDIMENTO
ƒ la direttiva 2004/83 del 29 aprile 2004, recante norme minime sull’attribuzione
a cittadini di Paesi terzi della qualifica di rifugiato (D.Lgs. 251/2007);
ƒ la direttiva 2005/85 del Consiglio, del 1º dicembre 2005, recante norme
minime per le procedure applicate negli Stati membri ai fini del
riconoscimento e della revoca dello status di rifugiato (D.-Lgs. 25/2008).
Il Consiglio europeo dell’Aja del novembre 2004 ha confermato il
programma di Tampere e ha posto le basi per la realizzazione delle seconda
fase della politica europea in materia di asilo volta a instaurare entro il 2010 un
regime comune in materia di asilo valido nell’intera Unione.
Sul tema si veda anche il capitolo Attività UE: immigrazione e asilo, nel dossier 1/1,
parte seconda.
230
PROPOSTE DI LEGGE SUL DIRITTO DI ASILO
STATUS DI RIFUGIATO E DIRITTO DI ASILO
PROPOSTE DI LEGGE SUL DIRITTO DI ASILO
La I Commissione (Affari costituzionali) della Camera ha avviato il 13 giugno
2007 l’esame di sei proposte di legge, tutti di iniziativa parlamentare, in materia
di protezione umanitaria e diritto di asilo.
Ad esse sono state dedicate sei sedute in sede referente nei mesi di giugno e
luglio, senza pervenire nè alla loro approvazione, né alla redazione di un testo
unificato.
Nell’ultima seduta dedicata alle proposte, il 24 luglio 2007, il rappresentante
del Governo ha annunciato l’imminente presentazione alle Camere di due schemi
di decreti legislativi di recepimento di altrettante direttive comunitarie sui rifugiati.
I due provvedimenti, i cui contenuti coincidono in parte con le proposte di legge,
sono stati effettivamente trasmessi al Parlamento nel successivo mese di agosto
e sono stati successivamente emanati tra la fine del 2007 e l’inizio del 2008 (si
veda la scheda La nuova disciplina sui rifugiati, pag. 205), ed in particolare i
paragrafi dedicati ai D.Lgs. n. 251/2007 e 25/2008).
Si ricorda che la proposta di una legge organica sul diritto d’asilo è
all’attenzione del Parlamento fin dal 1997.
Nel settembre 1997 (XIII legislatura), la 1ª Commissione del Senato avviava
l’esame di un disegno di legge governativo e di due proposte di legge di iniziativa
parlamentare in materia di protezione umanitaria e di diritto di asilo. Il 5
novembre 1998, il Senato approvava in un testo unificato (A.S. 203 e abb.) le tre
proposte di legge, trasmettendole alla Camera dei deputati (A.C. 5381 e abb.).
Obiettivo del provvedimento era quello di completare la riforma della disciplina
relativa alla condizione dello straniero operata in larga parte dalla L. 40/1998 (la
cosiddetta “legge Turco-Napolitano”) e dal testo unico approvato con il D.Lgs.
286/1998 che avevano sostituito la legislazione precedente, la citata “legge
Martelli”, ad eccezione, appunto, della parte in cui viene regolato il diritto di asilo.
La Camera iniziava l’esame del testo unificato (unitamente a quattro proposte
di iniziativa parlamentare) nel luglio 1999, approvandolo con modificazioni nella
seduta del 7 marzo 2001. Nuovamente trasmesso al Senato, il provvedimento
non concludeva il suo iter a causa della fine della legislatura.
Il disegno di legge dettava alcune disposizioni di carattere generale,
riconoscendo il diritto di asilo e il principio della protezione umanitaria su base
individuale in conformità ai princìpi dell’ordinamento costituzionale e delle
convenzioni internazionali cui l’Italia aderisce, e definendo i titolari del diritto di
asilo. Il progetto recava inoltre disposizioni specifiche riguardanti sia le procedure
per la presentazione e l’esame della domanda di asilo sia l’assistenza
temporanea ai richiedenti asilo, e definiva il quadro dei diritti riconosciuti a quanti
avessero ottenuto il riconoscimento di tale diritto.
231
SCHEDE DI APPROFONDIMENTO
L’esame parlamentare riprendeva nella XIV legislatura, il 6 marzo 2003,
presso la I Commissione della Camera, con l’avvio della discussione congiunta di
tre proposte di legge di iniziativa parlamentare (A.C. 1554, on Trantino ed altri;
A.C. 1738, on. Soda ed altri; A.C. 1238, on. Pisapia ed altri). Le prime due
proposte di legge riproducevano, nella sostanza, il testo del progetto di legge
esaminato nella precedente legislatura; la terza, pur mantenendone l’impianto, se
ne differenziava sotto alcuni profili.
Nel corso dell’esame in sede referente sono state abbinate tre ulteriori
proposte di legge273.
Nella seduta dell’11 maggio 2004 la I Commissione ha licenziato per
l’Assemblea un testo unificato, volto a definire una disciplina organica del diritto
di asilo (A.C. 1238 e abb.-A). La discussione in Assemblea, peraltro, non è
andata oltre la prima seduta (12 luglio 2004), nel corso della quale si è svolta la
discussione generale.
Il testo unificato elaborato dalla Commissione era volto ad attuare l’art. 10
Cost., che garantisce il diritto all’asilo politico, e contestualmente a dare
esecuzione alle convenzioni internazionali in materia, tentando di conciliare il
tema della sicurezza con quello dell’accoglienza.
In particolare, la proposta individuava i titolari del diritto di asilo; definiva la
composizione e i compiti delle Commissioni territoriali e della Commissione
centrale per il riconoscimento del diritto di asilo; individuava in dettaglio le
modalità per la presentazione e l’esame delle domande di asilo; stabiliva misure
di assistenza e di integrazione in favore dei soggetti richiedenti asilo e
specificava i diritti spettanti ai rifugiati.
I punti caratterizzanti del testo erano i seguenti:
ƒ il riconoscimento del diritto di asilo non soltanto a coloro che sono qualificati
come rifugiati secondo le Convenzioni internazionali, ma anche a tutti coloro ai
quali nel loro paese di origine sono conculcate le libertà democratiche, ossia a
coloro cui è impedito l’effettivo esercizio del diritto di espressione e di libertà
politiche e democratiche;
ƒ l’estensione dei diritto di asilo anche al coniuge e al convivente;
ƒ la costituzione di commissioni competenti ad esaminare le domande di asilo
articolate sul territorio che garantiscono tempi più rapidi rispetto alla
commissione unica nazionale;
ƒ la garanzia ai richiedenti l’asilo dell’assistenza tecnico-giuridica e di tempi
ragionevoli per l’esame della domanda;
ƒ la disciplina dei centri di identificazione e introduzione della convalida da parte
dell’autorità giudiziaria nel caso di trattenimento dei richiedenti asilo;
ƒ la possibilità di ricorrere davanti all’autorità giudiziaria in caso di rigetto della
domanda.
I sei progetti di legge esaminati nella XV legislatura recano una disciplina
organica del diritto di asilo, attuativa della norma di cui al terzo comma
273
A.C. 3847 (on. Buffo ed altri); A.C. 3857 (on. Mascia ed altri); A.C. 3883 (on. Piscitello).
232
PROPOSTE DI LEGGE SUL DIRITTO DI ASILO
dell’articolo 10 della Costituzione e delle relative convenzioni internazionali,
espressamente richiamati all’articolo 1 di tutti i testi in esame.
La sola proposta A.C. 1449 istituisce la “Giornata nazionale del diritto di asilo”,
da celebrarsi il 20 giugno.
A norma dell’articolo 2 delle proposte di legge, il diritto d’asilo nel territorio
italiano è riconosciuto:
ƒ allo straniero o all’apolide cui sia stato riconosciuto lo status di rifugiato ai
sensi della Convenzione di Ginevra;
ƒ allo straniero o all’apolide che non possa o non voglia avvalersi della
protezione del paese del quale è cittadino o residente abituale, se impedito
nell’esercizio delle libertà garantite dalla Costituzione italiana ed esposto a
pericolo per la vita propria o dei propri familiari oppure a restrizioni gravi della
libertà personale.
A partire dall’articolo 3 le proposte in esame si differenziano in più punti e
pertanto saranno illustrate come segue.
Le prime tre proposte (A.C. 191, 1449 e 1646) riproducono, sostanzialmente
in modo analogo tra di loro, il contenuto dell’A.C. 1738 presentato nella XIV
legislatura e, pertanto, sono esaminate insieme.
La proposta A.C. 2099, pur facendo anch’essa ampio riferimento all’A.C. 1738
presenta alcune caratteristiche peculiari, le principali delle quali sono oggetto di
un esame a parte.
Le altre due proposte (A.C. 2182 e 2410) hanno un profilo autonomo e sono
descritte separatamente. L’A.C. 2182 riproduce integralmente il testo unificato
approvato dalla Commissione affari costituzionali nella XIV legislatura (A.C. 1238
e abbinate A).
L’articolo 3 delle proposte A.C. 191 (on. Boato), A.C. 1449 (on. Piscitello) ed
A.C. 1646 (on. De Zulueta) definisce i compiti della Commissione centrale per il
riconoscimento del diritto di asilo, cui è affidato il compito di esaminare e
decidere sulle domande di asilo. La Commissione ha la durata di tre anni, è
divisa in tre sezioni ed è presieduta da un prefetto. La sola proposta A.C. 1449
prevede la possibilità di istituire sezioni territoriali.
L’articolo 4 reca norme relative alla presentazione della domanda di asilo
presso il posto di polizia di frontiera ovvero presso la questura del luogo di
dimora, mentre l’articolo 5 disciplina le domande di asilo presentate da minorenni
non accompagnati, per i quali si prevede la nomina di un tutore.
L’articolo 6 regolamenta la fase del pre-esame della domanda di asilo, che si
articola:
ƒ nell’accertamento circa la competenza dell’Italia sull’esame delle domande di
asilo;
ƒ nella valutazione di ammissibilità della domanda di asilo;
233
SCHEDE DI APPROFONDIMENTO
ƒ nella valutazione di non manifesta infondatezza della domanda medesima.
In questa fase è previsto il trattenimento del richiedente asilo in sezioni
apposite dei centri di permanenza (CPTA).
L’A.C. 2099 non contempla la fase del pre-esame delle richieste di asilo.
Gli articoli 7 e 8 dispongono in merito all’esame delle domande di asilo ed alle
relative decisioni della Commissione centrale di cui all’articolo 3, le quali possono
essere di tre tipi:
ƒ riconoscimento del diritto di asilo;
ƒ rigetto della domanda;
ƒ temporanea impossibilità al rimpatrio.
Sono previste adeguate garanzie per l’interessato, tra cui il diritto, su sua
richiesta, di essere audito.
L’articolo 9 disciplina la decisione di impossibilità temporanea al rimpatrio, che
viene adottata in assenza dei presupposti per il riconoscimento del diritto di asilo
ma in presenza di gravi e fondati motivi di carattere umanitario che rendano
inopportuno il rinvio del richiedente al Paese di origine.
Avverso le decisioni della Commissione centrale può essere presentato, ai
sensi dell’articolo 10, ricorso entro un mese dalla comunicazione o notificazione
della decisione stessa.
Gli articoli 11 e 12 recano disposizioni sul permesso di soggiorno e il
documento di viaggio.
L’articolo 13 regola l’ipotesi dell’estinzione del diritto di asilo, che viene
dichiarata dalla Commissione centrale che abbia accertato la non sussistenza
delle condizioni richieste per il riconoscimento del diritto di asilo.
L’articolo 14 detta disposizioni finalizzate all’assistenza temporanea dei
soggetti che abbiano presentato richieste di asilo, mentre l’articolo 15 definisce il
quadro dei diritti riconosciuti a quanti abbiano ottenuto il riconoscimento del diritto
di asilo (diritto a soggiornare nel territorio dello Stato, diritto al ricongiungimento
familiare, all’integrazione, allo studio, al lavoro e all’assistenza sociale e
sanitaria).
L’articolo 16 reca la disciplina delle misure di assistenza e di integrazione in
favore dei rifugiati sulla base di programmi definiti con regolamenti governativi. È
prevista l’erogazione di un contributo di prima assistenza da parte dei comuni.
L’articolo 17 detta disposizioni transitorie, mentre disposizioni finanziarie sono
contenute nell’articolo 18.
La proposta di legge A.C. 2099 (on. Mascia ed altri) stabilisce che la
Commissione centrale è presieduta da un docente universitario in materie
giuridiche (articolo 3).
È disciplinato un procedimento di esame delle richieste di asilo,
sostanzialmente simile alle prime tre proposte ad eccezione della fase del preesame, che non è contemplata.
234
PROPOSTE DI LEGGE SUL DIRITTO DI ASILO
Inoltre, in materia di tutela del richiedente asilo l’A.C. 2099 non prevede la
possibilità di negare il prolungamento del permesso di soggiorno per richiesta di
asilo nelle more del ricorso contro una decisione di respingimento della
domanda, né l’espulsione in caso di rigetto del ricorso (articolo 9).
Infine, non è contemplata l’ipotesi dell’estinzione del diritto di asilo, prevista,
invece, dalle altre proposte di legge.
La proposta di legge A.C. 2182 (on. Santelli e Bruno) prevede anch’essa
l’istituzione di una commissione centrale per il diritto di asilo (articolo 4) con
caratteristiche simili a quelle indicate dalle altre proposte ma, sulla scorta della
legislazione allora vigente (confermata anche dalla nuova disciplina sui rifugiati),
a tale commissione sono riservati compiti di indirizzo e coordinamento e di
revoca e cessazione dello status di rifugiato, mentre alle commissioni territoriali
(articolo 3) è affidato l’esame della domande.
L’articolo 5 introduce le modalità di presentazione della domanda,
direttamente alla frontiera o presso le questure.
L’articolo 6 disciplina le domande di asilo presentate da minorenni non
accompagnati, per i quali si prevede la nomina di un tutore.
L’articolo 7 prevede che il richiedente asilo può essere trattenuto per il tempo
necessario alla definizione delle autorizzazioni alla permanenza nel territorio
dello Stato. Devono essere trattenuti in ogni caso gli stranieri in posizione
irregolare.
Le commissioni territoriali provvedono all’istruttoria della domanda di asilo
(articolo 8) consistente principalmente nella definizione nella determinazione
dello Stato competente per l’esame della domanda.
L’esame delle richieste di asilo vero e proprio è disciplinato dall’articolo 9 e
prevede due procedimenti distinti: uno ordinario e uno semplificato per coloro che
si trovano trattenuti ai sensi dell’art. 7.
Anche in questa proposta sono previste garanzie procedurali, tra cui l’obbligo
di audire l’interessato (articolo 10).
L’articolo 11 verte sull’esito dell’esame da parte delle commissioni territoriali.
In particolare, sono disciplinate in modo dettagliato le ipotesi di respingimento
della domanda.
La decisione del rigetto della domanda comporta l’espulsione del richiedente
asilo (articolo 12).
La decisione di impossibilità temporanea al rimpatrio (articolo 13) e le modalità
di ricorso (articolo 14) sono analoghe alle prime tre proposte.
L’articolo 15 riguarda il permesso di soggiorno e altri documenti relativi allo
status di rifugiato.
L’articolo 17 disciplina l’estinzione del diritto di asilo.
235
SCHEDE DI APPROFONDIMENTO
L’articolo 18 reca misure di carattere assistenziale in favore dei richiedenti
asilo, prevedendo ampie competenze in capo agli enti locali. Tali misure sono
finanziate con un fondo apposito istituito dall’articolo 19.
L’articolo 20 definisce i diritti dei rifugiati.
Infine, l’articolo 21 contiene le disposizioni transitorie e finali.
La prima parte della proposta di legge A.C. 2410 (on. Zaccaria ed altri) è
dedicata alla disciplina di fattispecie non considerate dalle altre proposte, quali la
protezione sussidiaria in favore di coloro che pur non possedendo i requisiti per
ottenere il diritto di asilo, sono in situazione di pericolo (articolo 3), la protezione
temporanea per afflussi massicci di sfollati (articolo 5), il reinsediamento di
rifugiati trasferiti in Paesi terzi (articolo 7).
L’articolo 4 definisce in modo analitico i soggetti responsabili dell’impedimento
dell’esercizio delle libertà democratiche e gli atti da considerare tali.
L’articolo 6 concerne la protezione dei familiari dei rifugiati.
Analogamente alla proposta A.C. 2182, si prevede l’istituzione una
commissione nazionale (articolo 8) e di commissioni territoriali (articolo 9).
Accanto a questi organismi, si prevede la costituzione dell’Ufficio nazionale
per la protezione sociale (articolo 10) con compiti connessi con l’accoglienza e
l’integrazione dei rifugiati. L’Ufficio tra l’altro amministra il fondo nazionale per le
politiche e i servizi dell’asilo, di cui al successivo articolo 29.
L’articolo 11 disciplina la fase della presentazione della domanda di asilo in
via generale, mentre con disposizioni specifiche sono disciplinate la
presentazione della domanda alla frontiera (articolo 12), alla questura (articolo
13), alla rappresentanza diplomatica (articolo 14), al comandante della nave o
dell’aeromobile in navigazione (articolo 15).
L’articolo 16 è dedicato alla questione dello Stato competente per l’esame
delle domande di asilo.
L’articolo 17 disciplina la richiesta di asilo dei minori non accompagnati, in
maniera sostanzialmente analoga alle altre proposte.
L’articolo 18 individua i diritti e i doveri dei richiedenti asilo nelle more
dell’esame della domanda: si prevede, tra l’altro la possibilità di rilasciare loro un
permesso di soggiorno per lavoro.
L’articolo 19 definisce le garanzie del richiedente asilo nel corso del
procedimento, prevedendo, come anche la proposta A.C. 2410, l’obbligo di
audire l’interessato.
L’esito della richiesta di asilo (articolo 20) può essere di
ƒ riconoscimento del diritto di asilo;
ƒ riconoscimento del diritto alla protezione sussidiaria;
ƒ reiezione della domanda;
ƒ sospensione della decisione per ulteriori accertamenti.
236
PROPOSTE DI LEGGE SUL DIRITTO DI ASILO
Contro la decisione può essere presentato ricorso con le modalità di cui
all’articolo 21.
L’articolo 22 disciplina i documenti e i permessi di soggiorno relativi allo status
di rifugiato.
Oltre ai diritti dei rifugiati previsti dalle altre proposte di legge, l’articolo 23
contempla l’equiparazione di essi ai cittadini degli altri Stati membri dell’Unione
europea per quanto riguarda l’accesso al pubblico impiego, l’ottenimento della
cittadinanza e il diritto di voto.
L’articolo 24 stabilisce misure per favorire l’integrazione dei rifugiati, alcune
delle quali di competenza dell’Ufficio nazionale di cui all’articolo 10.
L’articolo 25 reca disposizioni in materia di revoca e cessazione del diritto di
asilo.
Per coloro ai quali non è stato riconosciuto il diritto di asilo, sono previsti
programmi di rimpatrio volontario (articolo 26).
L’articolo 27 prevede programmi di effettiva protezione dei rifugiati in Paesi
vicini a quelli di origine.
Sono riconosciute la associazioni e gli enti di tutela dei rifugiati con compiti di
promozione e consulenza (articolo 28).
Infine, l’articolo 29 istituisce il Fondo nazionale per le politiche e i servizi
dell’asilo.
237
SCHEDE DI APPROFONDIMENTO
DIRITTO DI CIRCOLAZIONE DEI CITTADINI UE
IL DECRETO LEGISLATIVO 30/2007
Il decreto legislativo 30/2007274, come modificato dal decreto legislativo
32/2008275, reca attuazione della direttiva 2004/38/CE del Parlamento europeo e
del Consiglio, del 29 aprile 2004, relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei
loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati
membri. Esso è stato adottato in virtù della norma di delega conferita al Governo
nell’art. 1, commi 1 e 3, della L. 62/2005 (legge comunitaria 2004)276.
Il decreto, in conformità all’atto normativo europeo, prevede la
regolamentazione dell’ingresso e del soggiorno dei cittadini dell’Unione europea
e dei loro familiari, stabilendo pertanto la normativa diretta a sostituire
interamente la precedente disciplina adottata con il D.P.R. 18 gennaio 2002, n.
54, recante il testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia
di circolazione e soggiorno dei cittadini degli Stati membri dell’Unione europea.
Il decreto legislativo 30/2007 è stato emanato nel febbraio 2007 e successivamente
modificato, nella parte relativa all’allontanamento per motivi di sicurezza dei cittadini
comunitari dal territorio italiano, da due decreti legge (n. 181 e 249 del 2007) entrambi
decaduti (per un esame di queste vicende si veda il capitolo Diritto di circolazione dei
cittadini UE, nel dossier 1/1, parte seconda). Alcune delle disposizioni in essi contenute
sono confluite nel D.Lgs. 32/2008 che ha integrato il D.Lgs. 30/2007.
Disposizioni generali
Il provvedimento disciplina le modalità di esercizio del diritto di libera
circolazione e soggiorno nel territorio dello Stato da parte dei cittadini
dell’Unione europea e dei familiari che li accompagnano o li raggiungono, i
presupposti del diritto di soggiorno permanente, nonché le limitazioni ai
predetti diritti per motivi di ordine pubblico e di pubblica sicurezza (articolo 1).
Un particolare rilievo assume, anche alla luce del dibattito parlamentare in
occasione dell’esame dello schema di decreto attuativo della direttiva
2004/38/CE, il recepimento degli articoli 2 e 3 della direttiva.
Tali articoli – recanti, rispettivamente, le definizioni dei termini usati nel testo e
l’individuazione dei titolari del diritto di ingresso e soggiorno – individuano,
274
275
276
D.Lgs. 6 febbraio 2007, n. 30, Attuazione della direttiva 2004/38/CE relativa al diritto dei cittadini
dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati
membri.
D.Lgs. 28 febbraio 2008, n. 32, Modifiche e integrazioni al decreto legislativo 6 febbraio 2007, n.
30, recante attuazione della direttiva 2004/38/CE relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e loro
familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri.
L. 18 aprile 2005, n. 62, Disposizioni per l’adempimento di obblighi derivanti dall’appartenenza
dell’Italia alla Comunità europea – Legge comunitaria 2004.
238
IL DECRETO LEGISLATIVO 30/2007
nell’ambito dei familiari destinatari della direttiva medesima, il partner del
cittadino dell’Unione europea.
La direttiva configura un vero e proprio diritto soggettivo all’ingresso e
soggiorno per coloro che soddisfano le caratteristiche necessarie per essere
definiti partner ai sensi dell’art. 2, lettera b), punto 2: tale condizione deve tuttavia
risultare da un’unione registrata sulla base della legislazione di uno Stato
membro e diviene vincolante solo qualora lo Stato membro ospitante abbia una
legislazione che equipari l’unione registrata al matrimonio, nel rispetto delle
condizioni previste da tale legislazione.
In Italia tale previsione normativa non appare oggi applicabile, poiché manca
nel nostro ordinamento una specifica disciplina giuridica delle “unioni di fatto” ed
un riconoscimento giuridico delle “unioni civili” previste dagli ordinamenti di alcuni
Paesi dell’Unione europea.
Peraltro, il comma 2, lett. b), dell’articolo 3 della direttiva, riferendosi alla
(diversa) figura del “partner con cui il cittadino dell’Unione abbia una relazione
stabile debitamente attestata”, pur non configurando per essa un diritto
soggettivo pieno, prevede che lo Stato membro ospitante – conformemente alla
sua legislazione nazionale - ne agevoli l’ingresso e il soggiorno.
Con riguardo a tale questione, come sottolinea la relazione illustrativa di
accompagnamento dello schema di decreto presentato alle Camere per il prescritto
parere, la scelta operata è stata quella di utilizzare quale modalità di recepimento
l’integrale e testuale riproposizione degli artt. 2 e 3 della direttiva 2004/38/CE nei
corrispondenti articoli 2 e 3 del decreto: ciò – precisa la relazione, “al fine di evitare che
con il provvedimento venissero introdotti istituti non previsti dal nostro ordinamento”.
Diritto di circolazione e soggiorno fino a tre mesi
Gli articoli 4, 5 e 6 disciplinano il diritto di libera circolazione nell’ambito
dell’Unione Europea a favore del cittadino dell’Unione europea e dei suoi
familiari, qualunque sia la loro cittadinanza. Il diritto è condizionato
esclusivamente al possesso di un documento d’identità valido per l’espatrio,
per il cittadino europeo, ovvero al possesso del passaporto valido, per il suo
familiare extracomunitario. Per questi ultimi è anche richiesto il visto d’ingresso,
quando previsto dalla normativa vigente. Il visto non è richiesto nei casi in cui il
familiare, non cittadino europeo, sia in possesso della carta di soggiorno
(disciplinata dal successivo art. 10).
La permanenza entro i tre mesi di tempo non è soggetta a nessuna ulteriore
formalità. Tuttavia, il D.Lgs. 32/2008 ha introdotto la possibilità, per il cittadino
dell’Unione o il suo familiare che abbia fatto ingresso in Italia, di dichiarare
presso un ufficio di polizia la propria presenza nel territorio nazionale. Tale
adempimento non è obbligatorio; la sua mancanza, peraltro, fa sorgere la
239
SCHEDE DI APPROFONDIMENTO
presunzione giuridica, di carattere relativo (che ammette, quindi, la prova
contraria), che il soggiorno si sia protratto da oltre tre mesi.
Le modalità della dichiarazione sono rimesse a un decreto del ministro
dell’interno da adottare entro trenta giorni dall’entrata in vigore della disposizione.
L’onere di dichiarazione e la correlata presunzione si collegano al diritto,
riconosciuto come si è visto dall’art. 6, di soggiornare nel territorio nazionale per
un periodo non superiore a tre mesi senza alcuna condizione o formalità, salvo il
possesso di un documento d’identità valido per l’espatrio (o, per i familiari, di un
passaporto valido).
Si rammenta che l’art. 5, co. 5, della direttiva dà allo Stato membro la possibilità di
“prescrivere all’interessato di dichiarare la propria presenza nel territorio nazionale entro
un termine ragionevole e non discriminatorio. L’inosservanza di tale obbligo può
comportare sanzioni proporzionate e non discriminatorie”.
Diritto di soggiorno per una durata superiore a tre mesi
L’articolo 7 riconosce il diritto di soggiorno per un periodo superiore a tre mesi
al cittadino dell’Unione che sia lavoratore subordinato o autonomo, ovvero che
disponga per sé e per i propri familiari di risorse economiche sufficienti per il
periodo del soggiorno277 non divenendo un onere a carico dell’assistenza
sociale dello Stato e di una assicurazione sanitaria o di altro titolo idoneo che
copra tutti i rischi. Analogo diritto è riconosciuto anche a chi frequenti un corso di
studi o di formazione professionale presso un istituto pubblico o privato. Anche in
tal caso il diritto di soggiorno è subordinato alla titolarità di una assicurazione
sanitaria e alla dimostrazione di disporre di risorse economiche sufficienti per
il periodo del soggiorno. Infine il diritto di soggiorno è riconosciuto al familiare,
qualunque sia la sua cittadinanza, che accompagna o raggiunge il cittadino
dell’Unione cui è riconosciuto il diritto di soggiorno. È prevista la conservazione
del diritto di soggiorno a favore del cittadino comunitario, già lavoratore
subordinato o autonomo, nei casi d’inabilità temporanea al lavoro per malattia o
infortunio ovvero in stato di disoccupazione involontaria, dopo aver lavorato nello
Stato per oltre un anno. Nell’eventualità, invece, in cui la disoccupazione
involontaria si sia verificata durante i primi dodici mesi di soggiorno nel territorio
nazionale, il cittadino dell’Unione conserva il diritto di soggiorno per un solo anno.
A tutela dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari, nei casi di rifiuto o revoca
del diritto di ingresso e soggiorno è ammesso ricorso al tribunale in
composizione monocratica del luogo in cui dimora lo straniero, il quale provvede,
277
Lo schema di decreto correttivo presentato alle Camere precisava che le risorse dovessero
essere “derivanti da fonti lecite e dimostrabili”; il parere della I Commissione della Camera
invitava il Governo a valutare l’opportunità di sopprimere la disposizione.
240
IL DECRETO LEGISLATIVO 30/2007
sentito l’interessato, pronunciandosi in camera di consiglio ai sensi dell’art. 737
del codice di procedura civile (articolo 8).
Per l’iscrizione anagrafica del cittadino dell’Unione e dei suoi familiari si
rinvia alla normativa generale in materia278. Trascorsi tre mesi dall’ingresso nel
territorio nazionale, l’interessato deve chiedere l’iscrizione al comune. Per
l’iscrizione, oltre l’ordinaria documentazione prevista dalla normativa vigente per i
cittadini italiani, è anche richiesta una documentazione specifica secondo le
condizioni cui è collegato il diritto di soggiorno (articolo 9).
L’articolo 10 disciplina la carta di soggiorno per il familiare del cittadino
dell’Unione con cittadinanza di Stato extracomunitario: trascorsi tre mesi
dall’ingresso nel territorio nazionale, il familiare interessato deve fare richiesta
alla questura del luogo di residenza per il rilascio della carta di soggiorno.
La carta di soggiorno ha validità quinquennale anche nell’eventualità di
assenze temporanee non superiori a sei mesi e, nel caso di periodi maggiori,
quando l’assenza è dovuta all’assolvimento di obblighi militari o è dovuta a
rilevanti motivi quali gravidanza e maternità o malattia grave.
Nel caso di decesso o partenza dallo Stato del cittadino dell’Unione,
l’articolo 11 garantisce la conservazione del diritto di soggiorno a favore dei suoi
familiari, cittadini di Stati membri dell’Unione europea, purché questi abbiano
acquisito il “diritto di soggiorno permanente” (vedi infra) oppure abbiano i requisiti
che consentono il riconoscimento del diritto di soggiorno autonomo (attività
lavorativa ovvero polizza assicurativa e disponibilità di risorse economiche, etc.).
Per i familiari non cittadini dell’Unione, la conservazione del diritto di
soggiorno è consentita a condizione di aver soggiornato nel territorio nazionale
per almeno un anno e purché i familiari abbiano acquisito il diritto di soggiorno
permanente o esercitino una attività lavorativa o dimostrino di possedere risorse
economiche sufficienti e una polizza assicurativa sanitaria.
Nell’eventualità che non si sia verificata la condizione del soggiorno per
almeno un anno, il decreto rinvia all’applicazione della disposizione di cui
all’articolo 30, comma 5, del testo unico n. 286/1998 che, con disposizione
valevole in via generale per i cittadini di Stati non appartenenti all’Unione
europea regolarmente soggiornanti, prevede, nelle medesime ipotesi, il rilascio
del permesso di soggiorno per lavoro subordinato o autonomo o per studio
purché ne ricorrano le condizioni. Si è ritenuto necessario estendere tale
disposizione anche ai familiari di cittadini comunitari in quanto, in assenza di tale
specifica previsione, per il caso in esame sarebbe stata prevista una normativa
più favorevole ai cittadini di Stati non appartenenti all’Unione europea rispetto
alla regolamentazione prevista per i comunitari.
Specifiche disposizioni sono previste in caso di divorzio o annullamento del
matrimonio del cittadino dell’Unione europea (articolo 12).
278
D.P.R. 30 maggio 1989, n. 223, Approvazione del nuovo regolamento anagrafico della
popolazione residente.
241
SCHEDE DI APPROFONDIMENTO
Il diritto di soggiorno è conservato ai sensi della disposizione in esame fino a
quando gli interessati dispongano di risorse economiche adeguate in modo da
non diventare un onere eccessivo per il sistema di assistenza sociale dello Stato,
o fin quando non costituiscano un pericolo per l’ordine e la sicurezza pubblica
(articolo 13).
Diritto di soggiorno permanente
Qualsiasi cittadino dell’Unione europea, così come i suoi familiari, che abbia
soggiornato legalmente e in via continuativa per cinque anni nello Stato, gode
del diritto di soggiorno permanente.
La continuità della residenza non è pregiudicata da assenze temporanee che
non superino complessivamente sei mesi all’anno né da assenze superiori per
l’assolvimento degli obblighi militari, né da un’assenza di dodici mesi complessivi
dovuta a motivi rilevanti (gravidanza, maternità, malattia grave, studi o
formazione, distacco per motivi di lavoro presso un altro Stato membro). Tale
diritto non è più soggetto ad alcuna condizione, se non quella relativa ad
assenze dallo Stato membro ospitante di durata superiore a due anni
consecutivi. Le stesse disposizioni si applicano ai familiari dell’interessato, non
aventi la cittadinanza di uno Stato membro, che hanno legalmente risieduto
cinque anni con il suddetto nello Stato in questione.
La direttiva riconosce ai cittadini dell’Unione che svolgono un’attività di lavoro
subordinato o autonomo e ai loro familiari il diritto di soggiorno permanente prima
dello scadere dei cinque anni consecutivi di residenza se determinate condizioni
si verificano.
Relativamente all’attestazione della titolarità, l’articolo 16 prevede che la
richiesta dell’interessato, accompagnata dalla documentazione attestante le
condizioni stabilite, venga inoltrata al Comune di residenza che rilascia, entro
trenta giorni, l’attestato che certifica la titolarità del diritto di soggiorno
permanente. È poi stabilito che l’attestato potrà essere sostituito da una
istruzione contenuta nel microchip della carta d’identità elettronica ai sensi del
D.Lgs. 82/2005279.
I familiari extracomunitari del cittadino dell’Unione europea possono
presentare richiesta alla questura competente, che entro 90 giorni rilascia una
“Carta di soggiorno permanente per familiari di cittadini europei” (articolo
17).
279
D.Lgs. 7 marzo 2005, n. 82, Codice dell’amministrazione digitale.
242
IL DECRETO LEGISLATIVO 30/2007
Disposizioni comuni al diritto di soggiorno e al diritto di soggiorno
permanente
Il decreto rinvia alla legislazione vigente in ordine ai mezzi di prova dei
requisiti per il mantenimento del soggiorno e per le deroghe relative al diritto di
soggiorno permanente. La continuità del soggiorno è comunque interrotta dal
provvedimento di allontanamento adottato nei confronti dell’interessato.
L’allontanamento (come specificato dal decreto correttivo, il D.Lgs. 82/2008)
comporta la cancellazione anagrafica (articolo 18).
Conformemente alla normativa previgente, ai cittadini dell’Unione ed ai loro
familiari, indipendentemente dalla loro cittadinanza, è consentito lo svolgimento
di qualsiasi attività economica autonoma o subordinata escluse quelle attività
che la legge, conformemente ai Trattati dell’Unione europea ed alla normativa
comunitaria, riserva ai cittadini italiani. In linea con quanto disposto dalla direttiva
2004/38/CE, il decreto stabilisce che per i primi tre mesi di soggiorno i cittadini
comunitari e i loro familiari non godono del diritto a prestazioni d’assistenza
sociale (articolo 19).
Restrizioni al diritto di ingresso e soggiorno
Il decreto legislativo distingue due fattispecie principali di cause che
determinano limitazioni al diritto di soggiorno, e quindi l’allontanamento del
cittadini comunitario: quella derivante da motivi di sicurezza (artt. 20, 20-bis e
20-ter), e quella per la perdita dei requisiti che consentono il soggiorno (art.
21).
Per quanto riguarda la prima fattispecie, si distinguono tre ipotesi:
ƒ motivi di sicurezza dello Stato;
ƒ motivi imperativi di pubblica sicurezza;
ƒ altri motivi di ordine pubblico o di pubblica sicurezza.
Il comma 2 indica, a titolo esemplificativo, che i motivi di sicurezza dello
Stato si verificano “anche” quando ricorra una delle seguenti condizioni:
ƒ il destinatario appartenga ad una delle categorie di cui all’art. 18 della L.
152/1975280;
ƒ vi siano fondati motivi di ritenere che la permanenza del destinatario nel
territorio dello Stato possa in qualsiasi modo agevolare organizzazioni o
attività terroristiche, anche internazionali.
Le categorie di cui all’art. 18 della L. 152/1975281 comprendono coloro che:
280
281
L. 22 maggio 1975, n. 152, Disposizioni a tutela dell’ordine pubblico.
Il citato art. 18 della L. 152/1975 ha esteso a tali categorie di soggetti la disciplina di cui alla L.
575/1965, recante disposizioni contro la mafia.
243
SCHEDE DI APPROFONDIMENTO
5. operanti in gruppi o isolatamente, pongano in essere atti preparatori, obiettivamente
rilevanti, diretti a sovvertire l’ordinamento dello Stato, con la commissione di uno dei
delitti elencati dal citato art. 18282, nonché alla commissione dei reati con finalità di
terrorismo anche internazionale;
6. abbiano fatto parte di associazioni politiche disciolte ai sensi della L. 645/1952283
(concernente la riorganizzazione del disciolto partito fascista) e nei confronti dei quali
debba ritenersi, per il comportamento successivo, che continuino a svolgere una
attività analoga a quella precedente;
7. compiano atti preparatori, obiettivamente rilevanti, diretti alla ricostituzione del partito
fascista ai sensi dell’art. 1 della citata L. 645/1952, in particolare con l’esaltazione o la
pratica della violenza;
8. fuori dei casi sin qui indicati, siano stati condannati per uno dei delitti in materia di armi
previsti nella L. 895/1967284 e negli artt. 8 e seguenti della L. 497/1974285, quando
debba ritenersi, per il loro comportamento successivo, che siano proclivi a
commettere un reato della stessa specie col fine indicato nel precedente n. 1.
Agli appartenenti alle categorie sin qui illustrate sono equiparati i relativi istigatori,
mandanti e finanziatori (è definito finanziatore colui il quale fornisce somme di denaro o
altri beni, conoscendo lo scopo a cui sono destinati).
Si tratta delle stesse condizioni per le quali l’art. 3, co. 1 del D.L. 144/2005
(vedi scheda Contrasto dell’immigrazione clandestina, pag. 126) ha previsto
l’espulsione per motivi di terrorismo dello straniero non comunitario su decisione
del ministro dell’interno.
E al citato decreto 144 faceva esplicito riferimento l’art. 3 del decreto-legge
249/2007 (decaduto), le cui disposizioni sono in parte confluite nel comma in
esame.
I motivi imperativi di pubblica sicurezza (la cui disciplina ricalca quella
dell’art. 4 del decreto 144) sussistono in presenza di “comportamenti che
costituiscono una minaccia concreta, effettiva e grave ai diritti fondamentali della
persona o dell’incolumità pubblica” tali da rendere urgente l’allontanamento dello
straniero, in quanto la sua permanenza “è incompatibile con la civile e sicura
convivenza” (comma 3).
Nella disposizione vengono individuati alcuni elementi che devono essere
presi in considerazione in sede di adozione del provvedimento di allontanamento
dal territorio nazionale per motivi imperativi di pubblica sicurezza.
La norma fa riferimento, in primo luogo, ad eventuali sentenze di condanna
pronunciate da un giudice nazionale o straniero per uno o più delitti non colposi,
282
283
284
285
Si tratta dei reati previsti dal capo I, titolo VI, del libro II (delitti di comune pericolo mediante
violenza) e dagli artt. 284 (Insurrezione armata contro i poteri dello Stato), 285 (Devastazione,
saccheggio e strage), 286 (Guerra civile), 306 (Banda armata: formazione e partecipazione),
438 (Epidemia), 439 (Avvelenamento di acque o di sostanze alimentari), 605 (Sequestro di
persona) e 630 (Sequestro di persona a scopo di rapina o di estorsione) del codice penale.
L. 20 giugno 1952, n. 645, Norme di attuazione della XII disposizione transitoria e finale
(comma primo) della Costituzione.
L. 2 ottobre 1967, n. 895, Disposizioni per il controllo delle armi.
L. 14 ottobre 1974, n. 497, Nuove norme contro la criminalità.
244
IL DECRETO LEGISLATIVO 30/2007
anche tentati contro la vita o l’incolumità della persona, ovvero per taluni
delitti corrispondenti a quelli previsti dall’articolo 8 della legge 69/2005286, anche
nel caso in cui la pena inflitta per i citati reati sia stata oggetto di patteggiamento
ai sensi dell’articolo 444 c.p.p..
La citata L. 69/2005 reca disposizioni per conformare il diritto interno alla decisione
quadro 2002/584/GAI del Consiglio, del 13 giugno 2002, relativa al mandato d’arresto
europeo e alle procedure di consegna tra Stati membri. In particolare, l’articolo 8,
richiamato dal comma in esame, delimita il campo di applicazione obbligatoria del
mandato di arresto europeo che prescinde dalla necessità di doppia punibilità (nel Paese
emittente il mandato ed in quello ricevente) enucleando un elenco di 32 reati (per i quali
la pena sia, nel Paese emittente, pari o superiore a 3 anni): tra essi, si segnalano la
partecipazione ad un’associazione criminale, il terrorismo, la tratta di esseri umani, lo
sfruttamento sessuale e la pornografia minorile, lo stupro, numerose fattispecie di traffico
illecito (droga, armi, materiali nucleari e radioattivi, organi e tessuti umani, veicoli rubati,
sostanze ormonali), la corruzione, frode (anche a danno delle comunità europee) il
riciclaggio, l’omicidio volontario, reati ambientali, il razzismo e la xenofobia.
Inoltre, dovrà essere tenuta in considerazione l’eventuale appartenenza della
persona da allontanare per motivi imperativi di pubblica sicurezza a taluna delle
categorie di persone nei cui confronti è possibile applicare una misura di
prevenzione personale ai sensi dell’art. 1 della L. 1423/1956287, e dell’art. 1
della L. 575/1965288.
La L. 1423/1956 individua i seguenti destinatari delle misure di prevenzione
personale:
ƒ coloro che debba ritenersi, sulla base di elementi di fatto, che siano abitualmente
dediti a traffici delittuosi;
ƒ coloro che per la condotta ed il tenore di vita debba ritenersi, sulla base di elementi di
fatto, che vivono abitualmente, anche in parte, con i proventi di attività delittuose;
ƒ coloro che per il loro comportamento debba ritenersi, sulla base di elementi di fatto,
che sono dediti alla commissione di reati che offendono o mettono in pericolo
l’integrità fisica o morale dei minorenni, la sanità, la sicurezza o la tranquillità pubblica.
A sua volta, la L. 575/1965 individua i destinatari delle misure di prevenzione
“antimafia”, in coloro che siano “indiziati di appartenere ad associazioni di tipo mafioso,
alla camorra o ad altre associazioni, comunque localmente denominate, che perseguono
finalità o agiscono con metodi corrispondenti a quelli delle associazioni di tipo mafioso”.
Da ultimo, il comma 3 fa, altresì, riferimento all’eventuale applicazione di
misure di prevenzione o di allontanamento disposte da autorità straniere.
286
287
288
L. 22 aprile 2005, n. 69, Disposizioni per conformare il diritto interno alla decisione quadro
2002/584/GAI del Consiglio, del 13 giugno 2002, relativa al mandato d’arresto europeo e alle
procedure di consegna tra Stati membri.
Legge 27 dicembre 1956, n. 1423, Misure di prevenzione nei confronti delle persone pericolose
per la sicurezza e per la pubblica moralità.
Legge 31 maggio 1965, n. 575, Disposizioni contro la mafia.
245
SCHEDE DI APPROFONDIMENTO
Tutti i provvedimenti di allontanamento sono adottati nel rispetto del principio
della proporzionalità e non possono essere motivati da ragioni estranee ai
comportamenti individuali dell’interessato che comunque devono rappresentare
una minaccia reale ed attuale tale da pregiudicare l’ordine pubblico e la sicurezza
pubblica. Tra le motivazioni da escludere sono comprese le ragioni di ordine
economico289.
La valutazione è fatta con riferimento a comportamenti concreti e non è di per
sé sufficiente l’esistenza di condanne penali.
Nell’adottare il provvedimento di allontanamento, deve comunque tenersi
conto della durata del soggiorno in Italia dell’interessato, della sua età, del suo
stato di salute, della sua situazione familiare ed economica, della sua
integrazione sociale e culturale in Italia e dell’importanza dei suoi legami con il
paese di origine.
Per i cittadini comunitari ed i loro familiari che hanno acquisito il diritto di
soggiorno permanente, l’allontanamento è disposto esclusivamente per gravi
motivi: si tratta degli stessi motivi individuati nei commi precedenti: motivi di
sicurezza dello Stato, nei motivi imperativi di pubblica sicurezza e in altri motivi di
ordine pubblico o di pubblica sicurezza, con la differenza che questi ultimi (motivi
di ordine pubblico o di pubblica sicurezza) devono essere particolarmente gravi.
Invece l’allontanamento di coloro che hanno soggiornato nel territorio dello
Stato per oltre dieci anni e per i minorenni può essere disposto esclusivamente
per motivi di sicurezza dello Stato o motivi imperativi di pubblica sicurezza. Resta
comunque salva la possibilità, per i minorenni, di adottare l’allontanamento nel
caso in cui questo è necessario nell’interesse del minore stesso, come previsto
dalla Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti del fanciullo.
Le malattie e le infermità possono costituire motivo di allontanamento, ma
unicamente nel caso siano individuate dall’Organizzazione mondiale della sanità,
oppure riguardino malattie infettive o parassitarie contagiose, oggetto di
disposizioni valide anche per i cittadini italiani. Sono, inoltre, escluse le malattie
insorte dopo l’ingresso in Italia.
Quanto alla titolarità del potere di allontanamento, la nuova formulazione
del comma 9 (già 7) dell’articolo 20 delinea un “doppio binario”, con una
suddivisione delle competenze tra ministro dell’interno e prefetto290.
Spettano al ministro dell’interno i provvedimenti di allontanamento disposti:
ƒ per motivi imperativi di pubblica sicurezza limitatamente all’ipotesi di cui al
comma 7 (allontanamento di soggiornanti di lungo periodo o di minorenni);
ƒ per motivi di ordine pubblico o di sicurezza dello Stato;
289
290
La specificazione è mutuata da quella inserita nel corso dell’esame in sede referente del ddl di
conversione del DL 249/2007 (Art. 4, co. 1, A.C. 3325-A).
L’introduzione del “doppio binario” è stata operata inizialmente dal DL 181/2007 e confermata,
con diverse modifiche, dal DL 249/2007 e, infine, dallo schema di D.Lgs. correttivo del D.Lgs.
30.
246
IL DECRETO LEGISLATIVO 30/2007
Competono invece al prefetto i provvedimenti disposti negli altri casi, tra cui,
quelli per motivi imperativi di pubblica sicurezza e, presumibilmente i motivi di
pubblica sicurezza.
La competenza territoriale del prefetto è individuata secondo la residenza o
dimora del destinatario del provvedimento.
Il principale elemento di innovazione recato dal decreto correttivo in tema di
competenza all’allontanamento risiede peraltro nella attribuzione della relativa
titolarità al prefetto. Nel testo previgente, infatti, i poteri di allontanamento
erano attribuiti in tutti i casi al ministro dell’interno.
La relazione governativa di illustrazione dello schema di decreto correttivo presentato
alle Camere afferma al riguardo che la devoluzione al prefetto della competenza in ordine
all’adozione dei provvedimenti di allontanamento per motivi di pubblica sicurezza, in linea
con le altre innovazioni introdotte, ha lo scopo di rendere più celeri le procedure di
allontanamento nei casi esso consegua a motivi di pubblica sicurezza.
Il Governo segnala che, a livello sistematico, il potere prefettizio di allontanamento
trova un precedente legislativo nell’art. 13 del T.U. delle disposizioni concernenti la
disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, di cui al decreto
legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (vedi scheda Contrasto dell’immigrazione clandestina,
pag. 126).
La disposizione richiamata stabilisce, infatti, (co. 1) che per motivi di ordine pubblico o
di sicurezza dello Stato, il ministro dell’interno può disporre l’espulsione dello straniero
anche non residente nel territorio dello Stato, dandone preventiva notizia al Presidente
del Consiglio dei ministri e al ministro degli affari esteri. L’espulsione è invece disposta
dal prefetto quando lo straniero, tra l’altro (co. 2, lett. c)), rientri nella categoria delle
persone pericolose per la sicurezza e per la pubblica moralità, ovvero in quella degli
indiziati di appartenere ad associazioni di tipo mafioso, alla camorra o ad altre
associazioni che perseguono finalità o agiscono con metodi corrispondenti a quelli delle
associazioni di tipo mafioso.
Peraltro, l’art. 21, co. 2 (non modificato in questa parte) del D.Lgs. 30/2007 attribuisce
al prefetto la competenza ad adottare i provvedimenti di allontanamento dei cittadini
comunitari e dei loro familiari nel caso in cui il provvedimento fosse motivato dal venir
meno delle condizioni che determinano il diritto al soggiorno nel territorio nazionale.
Quanto ai fondamentali caratteri del provvedimento di allontanamento il nuovo
testo dell’art. 20, co. 10, reca una disciplina uniforme per i provvedimenti adottati
dal ministro dell’interno e dal prefetto.
In particolare, si prevede che l’allontanamento:
ƒ sia disposto con atto motivato, salvo che alla motivazione ostino motivi
attinenti alla sicurezza dello Stato291;
291
Al riguardo, si segnala che in base al testo del co. 7-bis dell’art. 20 del D.Lgs 30/2007, inserito
dal D.L. 181/2007, successivamente decaduto, il provvedimento di allontanamento disposto dal
prefetto doveva in ogni caso essere motivato, a differenza di quello adottato dal ministro
dell’interno, che poteva essere apodittico per motivi attinenti alla sicurezza dello Stato.
247
SCHEDE DI APPROFONDIMENTO
ƒ se il destinatario del provvedimento non comprende la lingua italiana, sia
accompagnato da una traduzione292 del suo contenuto redatta – anche
attraverso l’utilizzo di appositi formulari, sufficientemente dettagliati – in una
lingua comprensibile dall’interessato o, comunque, in francese, inglese,
spagnolo o tedesco, sulla base delle preferenze indicate dall’interessato;
ƒ sia notificato all’interessato;
ƒ debba riportare le modalità di impugnazione;
ƒ salvi i casi di esecuzione immediata dell’allontanamento, introdotti dal
successivo comma 11, debba indicare il termine per lasciare il territorio
nazionale, che non può essere inferiore ad un mese dalla data di notifica, ma
che nei casi di comprovata urgenza può essere ridotto a 10 giorni293;
ƒ debba indicare la durata del divieto di reingresso in Italia, che non può
essere superiore a 10 anni nei casi di allontanamento per motivi di sicurezza
dello Stato e a 5 anni negli altri casi294.
Con riferimento all’esecuzione del provvedimenti di allontanamento, il
nuovo testo dell’articolo 20 conferma che di norma all’allontanamento si
provveda mediante intimazione ad abbandonare il territorio nazionale entro
un termine fissato dal provvedimento, che, come si è detto, non può essere
inferiore a un mese dalla data della notifica. Tale termine può, peraltro, essere
derogato in presenza di casi di comprovata urgenza.
Il successivo comma 11 stabilisce tuttavia che, ove ricorrano motivi di
sicurezza dello Stato e per motivi imperativi di pubblica sicurezza, il
provvedimento di allontanamento è immediatamente eseguito dal questore.
Il testo non chiarisce con quali modalità il questore debba provvedere all’esecuzione
dell’allontanamento. L’art. 13, co. 4 del D.Lgs. 286/1998, precisa come l’espulsione dello
straniero non appartenente all’Unione europea debba essere eseguita dal questore con
accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica. Tale questione applicativa
si poneva, peraltro, già con riferimento al comma 9 dell’art. 20 del testo previgente, il
quale già contemplava analoghe fattispecie di esecuzione immediata dell’allontanamento.
292
293
294
L’obbligo della traduzione del provvedimento di allontanamento era già contenuto, pur con una
diversa formulazione, nel D.Lgs. 30. Sia il D.L. 249/2007, sia lo schema di D.Lgs. correttivo
presentato alle Camere, prevedevano, invece, una sintesi del suo contenuto. Il ripristino della
traduzione integrale in luogo della sintesi è stato operato nell’esame in sede referente del D.L.
249 (A.C. 3325-A, art. 4, co. 4).
Quest’ultimo termine è stato introdotto per la prima volta dal D.L. 181/2007, nel testo emendato
dal Senato (art. 20, co. 7-bis D.Lgs. 30/2007).
Viene così ampliata la durata del divieto di allontanamento, fissata a 3 anni dal D.Lgs. 30 nella
sua formulazione originaria. L’estensione a 10 anni (per motivi di ordine pubblico o di sicurezza
dello Stato o per motivi imperativi di pubblica sicurezza) e a 5 (per motivi di pubblica sicurezza)
appare nel D.L. 181/2007 nel testo modificato dal Senato e confermato nel D.L. 249/2007 nel
testo del Senato (10 anni per motivi di prevenzione di terrorismo, 5 negli altri casi). La
formulazione definitiva è quella contenuta nello schema di D.Lgs. correttivo.
248
IL DECRETO LEGISLATIVO 30/2007
Innovando rispetto alla disciplina precedente, il testo prevede invece
espressamente, tramite rinvio all’art. 13, co. 5-bis, del D.Lgs. 286/1998, che il
rimedio giurisdizionale esperibile avverso il provvedimento di allontanamento
eseguito dal questore per motivi imperativi di pubblica sicurezza è il medesimo
previsto per gli stranieri cittadini di Paesi non appartenenti all’Unione europea
(vedi scheda Contrasto dell’immigrazione clandestina, pag. 126), con la
differenza che per i comunitari l’autorità competente a decidere è il tribunale
ordinario e non il giudice di pace (vedi oltre).
Il questore dispone inoltre l’allontanamento immediato dal territorio dello Stato
anche nei casi in cui:
ƒ l’intimato non abbandoni il territorio dello Stato entro il termine in
precedenza assegnato in sede di intimazione (art. 20, co. 12, nel testo
novellato, la disposizione era peraltro già contenuta nel co. 9 del testo
vigente);
ƒ il destinatario del provvedimento rientri nel territorio dello Stato in
violazione del divieto di reingresso (art. 20, co. 14, nel testo novellato); la
disposizione era contenuta nel co. 8 del testo previgente, ma ora la decisione
dell’allontanamento è disposta a discrezione del giudice, in sostituzione della
reclusione (vedi oltre).
Anche con riferimento a dette fattispecie il testo prevede, attraverso il rinvio
all’art. 13, co. 5-bis, del D.Lgs. 286/1998, la presenza di un giudizio di convalida
coincidente con quello previsto in caso di espulsione con accompagnamento alla
frontiera di stranieri cittadini di Paesi non appartenenti all’Unione europea.
Innovando rispetto alla disciplina previgente, il comma 13 dell’articolo 20
introduce una procedura che consente al cittadino dell’Unione destinatario del
provvedimento di allontanamento di chiedere la revoca del divieto di
reingresso, qualora ritenga di poter dimostrare l’avvenuto oggettivo mutamento
delle circostanze che hanno motivato la decisione, purché sia decorsa almeno la
metà della durata del divieto, o comunque almeno tre anni, dall’esecuzione del
provvedimento.
Sulla domanda decide entro sei mesi con atto motivato l’autorità che ha
emanato il provvedimento. Durante l’esame della domanda l’interessato non ha
diritto di ingresso nel territorio nazionale.
Il comma 14 dell’articolo 20 dispone invece in ordine alle conseguenze della
violazione del divieto di reingresso.
Sul punto, viene innovato il D.Lgs. 30 nel testo originario, che prevedeva una
fattispecie contravvenzionale, punita con l’arresto da tre mesi ad un anno e con
l’ammenda da euro 500 ad euro 5.000.
249
SCHEDE DI APPROFONDIMENTO
In particolare, si prevede che il divieto di reingresso configuri un’ipotesi di
delitto, punito, se l’allontanamento era stato disposto per motivi di sicurezza
dello Stato, con la reclusione fino a due anni, che nelle altre ipotesi è ridotta ad
un anno295. In alternativa la pena detentiva può essere sostituita, a discrezione
del giudice, con l’allontanamento immediato con divieto di reingresso nel territorio
nazionale per un periodo da cinque a dieci anni. L’allontanamento è eseguito
immediatamente dal questore, anche in presenza di sentenza non definitiva.
Nel caso di ulteriore ingresso la pena è aumentata fino a tre anni.
Le segnalazioni del sindaco della città dello straniero sono tenute in
considerazione ai fini delle decisioni di allontanamento (comma 17).
È stato, inoltre, introdotto un articolo 20-bis che disciplina l’ipotesi
dell’allontanamento di stranieri sottoposti a procedimento penale pendente,
recependo così le indicazioni emerse in sede di esame parlamentare.
In questa ipotesi, la decisione di allontanamento è sottoposta a convalida
secondo le procedure previste dall’articolo 13, co. 3, 3-bis, 3-ter, 3-quater e 3quinquies del testo unico sull’immigrazione, di cui al citato D.Lgs. 286/1998.
In altri termini, si rinvia alla analoga disciplina già vigente per i cittadini di Stati
non appartenenti all’Unione europea e per gli apolidi. Tale disciplina si basa sulla
necessità di un nulla-osta da parte dell’autorità giudiziaria (vedi scheda
Contrasto dell’immigrazione clandestina, pag. 126) che viene in parte modificata
(esclusivamente per l’allontanamento dei cittadini comunitari) come segue:
ƒ il nulla osta si intende concesso se il giudice non provvede entro 48 ore (e non
entro 15 giorni come per i non comunitari);
ƒ nel caso di procedimenti non ancora conclusi che hanno ad oggetto reati di cui
all’art. 380 cpp, non si dà luogo alla sentenza di non luogo a procedere che
interrompe il giudizio, una volta constata l’avvenuta espulsione;
ƒ sempre in presenza di reati di cui all’art. 380 è possibile procedere
all’allontanamento solo in assenza di misure cautelari detentive;
ƒ l’interessato può essere autorizzato a rientrare nel territorio dello Stato, anche
dopo l’allontanamento, per esercitare il diritto alla difesa.
I provvedimenti di allontanamento sono sottoposti alla convalida da parte
dell’autorità giudiziaria. L’autorità competente viene individuata nel tribunale
ordinario in composizione monocratica (art. 20-ter).
In questo caso, la disciplina prevista per l’allontanamento degli stranieri
comunitari si differenza da quella per l’espulsione degli stranieri non comunitari,
per i quali è competente il giudice di pace (art. 13, co. 5-bis T.U.).
295
Sia il D.L. 181 nel testo approvato dal Senato, sia il decreto correttivo prevedevano una pena
generalizzata di al massimo tre anni. Alla attuale riformulazione si è giunti sulla scorta del
parere della I Commissione (Affari costituzionali) della Camera sullo schema di correttivo e del
testo approvato in sede referente del ddl di conversione del D.L. 249.
250
IL DECRETO LEGISLATIVO 30/2007
Si ricorda che sia il DL 181/2007 (art. 1-ter), sia il DL 249/2007 (art. 2),
entrambi decaduti, disponevano anche per i non comunitari il trasferimento al
tribunale ordinario in composizione monocratica le competenze in materia di
espulsione riconosciute al giudice di pace.
Allontanamento per cessazione delle condizioni che determinano il
diritto di soggiorno
L’allontanamento per cessazione delle condizioni che determinano il
diritto di soggiorno (articolo 21) è invece previsto, per il cittadino dell’Unione e i
suoi familiari, indipendentemente dalla loro nazionalità, nei casi in cui vengono a
mancare le condizioni che hanno determinato il diritto di soggiorno. In tali ipotesi,
l’allontanamento è disposto con provvedimento motivato del prefetto notificato
all’interessato. Nell’adottare il provvedimento si deve tener conto della durata del
soggiorno in Italia dell’interessato, della sua età, del suo stato di salute, della sua
situazione familiare ed economica, della sua integrazione sociale e culturale in
Italia e dell’importanza dei suoi legami con il paese di origine. Per queste ipotesi
di allontanamento il provvedimento non può prevedere un divieto di
reingresso.
Si prevede, inoltre, che, unitamente al provvedimento di allontanamento, sia
consegnata al cittadino comunitario da allontanare anche una “attestazione di
obbligo di adempimento” dell’allontanamento, secondo modalità stabilite con
decreto del ministro dell’interno e del ministro degli affari esteri. Detta
attestazione deve essere presentata presso un consolato italiano (in base al
tenore letterale della disposizione non sembra necessario si tratti del consolato
del Paese di cittadinanza dell’allontanato).
È conseguentemente introdotta (co. 4) una specifica fattispecie
contravvenzionale, sanzionata con l’arresto da un mese a sei mesi e con
l’ammenda da 200 a 2.000 euro, che ricorre allorquando l’allontanato sia
individuato sul territorio dello Stato oltre il termine fissato nel provvedimento di
allontanamento, e non abbia provveduto alla presentazione dell’attestazione
di cui sopra.
Al riguardo, la relazione illustrativa dello schema di D.Lgs. correttivo evidenzia che la
disciplina introdotta intende garantire maggiore efficacia al provvedimento di
allontanamento nel rispetto delle disposizioni della direttiva comunitaria, la quale esclude
che in caso di allontanamento per cessazione delle condizioni che determinano il diritto di
soggiorno possa prevedersi un divieto di reingresso (art. 15, paragrafo, 3 della direttiva
2004/38/CE)296. La relazione sottolinea come, alla luce di tale previsione, l’esecuzione
dell’allontanamento da parte del questore sarebbe un inutile dispendio di risorse umane e
finanziarie, in quanto l’allontanato potrebbe comunque rientrare immediatamente sul
territorio nazionale.
296
In tal senso dispone anche l’art. 21, co. 2, del D.Lgs. 30/2007.
251
SCHEDE DI APPROFONDIMENTO
Ricorsi contro i provvedimenti di allontanamento
L’articolo 22 dello schema di decreto prevede i mezzi di tutela avverso i
provvedimenti di allontanamento.
Si prevede una differenziazione dell’organo competente a ricevere i ricorsi
fondata sul tipo di motivazioni alla base della decisione dell’allontanamento:
ƒ per i motivi di sicurezza dello Stato e per motivi di ordine pubblico il ricorso
è presentato al Tribunale amministrativo del Lazio;
ƒ per i motivi di pubblica sicurezza e per motivi imperativi di pubblica
sicurezza l’organo competente è il tribunale ordinario.
Il ricorso può essere presentato anche dall’estero. Unitamente al ricorso può
essere presentata anche l’istanza di sospensione dell’allontanamento. In tal caso
l’efficacia dell’allontanamento è sospesa fino alla decisione della relativa istanza,
salvo che il provvedimento di allontanamento si basi su una precedente
decisione giudiziale, oppure sia fondato su motivi di sicurezza dello Stato o su
motivi imperativi di pubblica sicurezza. Il tribunale provvede in camera di
consiglio, ai sensi degli artt. 737 e seguenti del codice di procedura civile.
Disposizioni finali
L’articolo 23 estende l’applicabilità delle norme contenute nel decreto
legislativo, se più favorevoli, ai familiari di cittadini italiani di diversa
cittadinanza.
L’articolo 24 prevede la norma di copertura finanziaria con un onere
derivante valutato in 14,5 milioni di euro annui, a decorrere dal 2007, a carico
della disponibilità del Fondo di rotazione di cui alla legge 183/1987297 cui
risorse sono assegnate all’Istituto nazionale per la previdenza sociale (INPS) e al
Fondo sanitario nazionale.
297
L. 16 aprile 1987, n. 183, Coordinamento delle politiche riguardanti l’appartenenza dell’Italia alle
Comunità europee ed adeguamento dell’ordinamento interno agli atti normativi comunitari.
252
CITTADINANZA: IL TESTO ELABORATO DALLA CAMERA
INIZIATIVE IN MATERIA DI CITTADINANZA
CITTADINANZA: IL TESTO ELABORATO DALLA CAMERA
Composto da 19 articoli, il testo unificato elaborato dalla I Commissione
Affari costituzionali della Camera innova la disciplina vigente sotto vari profili.
Acquisto della cittadinanza per nascita
Intervenendo sull’art. 1, comma 1, della L. 91/1992, l’art. 1 del testo amplia il
novero dei casi in cui la cittadinanza è attribuita in base al criterio dello jus soli.
Si introducono (art. 1) due nuovi casi di acquisizione automatica della
cittadinanza italiana per nascita, stabilendo che essa può essere ottenuta da
parte di:
ƒ coloro che nascono nel territorio italiano da genitori stranieri dei quali almeno
uno vi risieda legalmente e in maniera continuativa da non meno di cinque
anni;
ƒ coloro che nascono nel territorio italiano da genitori stranieri dei quali almeno
uno sia nato in Italia e vi sia legalmente residente, senza interruzioni, da
almeno un anno.
In tali casi la cittadinanza si acquista a seguito di una dichiarazione di
volontà del genitore risultante nell’atto di nascita. Entro un anno dal
compimento della maggiore età, i soggetti che hanno ottenuto secondo le
modalità illustrate la cittadinanza italiana jure soli possono, nel caso in cui siano
in possesso di un’altra cittadinanza, rinunciare a quella italiana. Qualora non sia
stata resa da parte dei genitori la dichiarazione di volontà, al raggiungimento
della maggiore età i soggetti in questione acquistano la cittadinanza su loro
richiesta, senza condizioni, purché presentino domanda entro due anni.
Acquisto della cittadinanza da parte del minore
Dopo il compimento del diciottesimo anno di età, lo straniero nato o entrato in
Italia entro il quinto anno di età può acquistare la cittadinanza italiana se abbia
risieduto legalmente in Italia fino al compimento della maggiore età298, qualora
manifesti entro un anno la volontà di diventare cittadino mediante un’apposita
dichiarazione.
L’art. 2 introduce inoltre un diritto all’acquisizione della cittadinanza jure
domicilii per il minore figlio di genitori stranieri che abbia frequentato corsi di
istruzione presso istituti scolastici del sistema nazionale di istruzione o percorsi di
formazione professionale per ottenere una qualifica professionale. Esso
298
Attualmente la legge n. 91/1992 richiede invece come requisito la residenza senza interruzioni
fino al diciottesimo anno di età.
253
SCHEDE DI APPROFONDIMENTO
costituisce un’alternativa sia allo jus sanguinis, sia allo jus soli, fornendo
un’opportunità di conseguire la cittadinanza a coloro che, pur non essendo nati in
Italia, vi abbiano trascorso il periodo decisivo della formazione della loro
personalità.
Per il conferimento della cittadinanza, in questo caso, è necessaria la
presentazione di un’istanza da parte dei genitori ovvero del genitore che esercita
la potestà genitoriale in base all’ordinamento del Paese di origine; resta
comunque fissata la possibilità per gli interessati di rinunciare, entro un anno dal
raggiungimento della maggiore età, alla cittadinanza italiana per mantenere
quella dei genitori o un’altra cittadinanza.
Acquisto della cittadinanza per matrimonio
Il testo (art. 3) interviene in senso restrittivo sulla disciplina dettata dall’art. 5
della L. 91/1992, che regola l’acquisto della cittadinanza parte di stranieri che
abbiano contratto matrimonio con cittadini italiani, con l’intento di porre un freno
al fenomeno dei “matrimoni di comodo”.
Tale finalità viene perseguita estendendo il periodo minimo di residenza in
Italia (da sei mesi a due anni299) per l’attribuzione della cittadinanza jure
matrimonii; inoltre, la persistenza del vincolo matrimoniale è richiesta al
momento dell’adozione del decreto di conferimento della cittadinanza. Viene
distinta l’ipotesi del matrimonio all’interno del quale siano nati o siano stati
adottati dei figli: in questo caso i termini sono ridotti della metà.
Attribuzione della cittadinanza
La novità di maggior rilievo rispetto alla disciplina vigente è costituita dalle
disposizioni di cui agli artt. 4 e 5 del provvedimento, che introducono un
percorso di attribuzione della cittadinanza ulteriore rispetto a quello
attualmente previsto dall’art. 9 della L. 91/1992, che viene comunque
mantenuto pur con delle modifiche. Secondo la nuova previsione, la cittadinanza
italiana è attribuita con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del
ministro dell’interno:
ƒ allo straniero che risiede legalmente in Italia da almeno cinque anni (in
luogo dei dieci attualmente previsti) e che è in possesso del requisito
reddituale non inferiore a quello prescritto per il rilascio del permesso di
soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo (che disponga cioè un reddito
minimo non inferiore all’assegno sociale annuo; vedi la scheda Permesso di
soggiorno CE di lungo periodo, pag. 200);
299
Il periodo per l’acquisto della cittadinanza è elevato a tre anni nel caso in cui il coniuge straniero
risieda all’estero.
254
CITTADINANZA: IL TESTO ELABORATO DALLA CAMERA
ƒ
al cittadino di uno Stato membro dell’Unione europea che risieda
legalmente da almeno tre anni In Italia (tale ipotesi è già contemplata alla
lettera b) del comma 1 dell’articolo 9 della legge vigente, che viene soppressa,
ma il periodo minimo di residenza è attualmente fissato in quattro anni);
ƒ allo straniero regolarmente soggiornante da almeno tre anni a cui sia stato
riconosciuto lo status di rifugiato.
Nel caso di cui al primo punto, l’attribuzione della cittadinanza è subordinata
(art. 5), oltre che al soggiorno regolare e continuativo, anche all’accertamento
della concreta integrazione linguistica e sociale dello straniero, che preveda
una conoscenza della lingua italiana parlata, corrispondente a quella del
diploma di scuola elementare, dei princìpi fondamentali della storia e della cultura
italiana, dell’educazione civica e della Costituzione.
Le modalità di esecuzione di tali disposizioni (titoli idonei, documentazione da
allegare all’istanza, modalità del colloquio volto ad accertare il reale grado di
conoscenza della lingua, della cultura e delle istituzioni italiane, ecc.) sono
definite con successivo D.P.R..
Il requisito dell’integrazione linguistica e sociale dello straniero è stato adottato con
varie definizioni (“indicatore di socializzazione”, “sufficiente integrazione personale e
professionale”) e con diverse modalità (test di integrazione, attestazione di conoscenza
della lingua, frequenza di appositi corsi, eccetera), in alcuni Paesi europei, con lo scopo
di verificare la serietà dell’intento dello straniero di acquisire la cittadinanza e la possibilità
di un suo reale inserimento nel tessuto sociale del Paese in vista del rapporto perdurante
e stabile che con il conferimento della cittadinanza verrà a determinarsi con la società e
le sue istituzioni, anche attraverso la conseguente acquisizione dei diritti civili e politici
che lo Stato riserva ai suoi cittadini.
Nell’ambito della Consulta per l’islam un comitato di esperti nominato dal Ministro
dell’interno destinata ha elaborato la Carta dei valori, della cittadinanza e
dell’integrazione, destinata non solo all’adesione degli islamici ma di tutti coloro che
vogliono diventare cittadini e adottata con decreto dello stesso Ministro300.
Si prevede lo svolgimento, anche in collaborazione con le Regioni e gli enti
locali, di attività finalizzate a promuovere l’effettiva integrazione linguistica e
sociale dello straniero (tra le quali, corsi di lingua e cultura italiana per
stranieri).
I potenziali nuovi cittadini italiani: una stima del numero
La Fondazione ISMU (Studi e ricerche sulla multietnicità) ha svolto nel 2006
un’indagine per conto del Ministero del lavoro. Come si rileva da un’elaborazione dei dati
emersi nel corso di tale indagine eseguita dal medesimo Istituto, sarebbero circa un
1.037.000 gli stranieri che, a seguito della riduzione dei termini da 10 a 5 anni,
potrebbero presentare istanza per l’ottenimento della cittadinanza italiana. Come
300
Ministro dell’interno, decreto 23 aprile 2007, Carta dei valori della cittadinanza e
dell’integrazione, pubblicato nella G.U. 15 giugno 2007, n. 137.
255
SCHEDE DI APPROFONDIMENTO
sottolinea l’ISMU, si tratta di valori del tutto teorici sia perché non tutti coloro che sono nel
nostro Paese da lungo tempo sono in possesso dei necessari requisiti di continuità
rispetto alla residenza, sia perché, pur avendo i titoli richiesti, potrebbero non avere
interesse ad acquisire la cittadinanza italiana.
Se dunque, con maggior realismo, ci si limita a considerare quel 9,8% di immigrati
stranieri che sono già in possesso della carta di soggiorno e che vivono altresì con il
coniuge e gli eventuali figli – associando pertanto un’anzianità di residenza in Italia
almeno quinquennale con un progetto migratorio verosimilmente stabile - lo stock dei
potenziali “aspiranti alla cittadinanza” a seguito della nuova normativa scenderebbe a
331.000 unità.
Le concessioni della cittadinanza dal 1992 ad oggi
Concessioni
Anno
Per
Per
matrimonio
residenza
2007
31.609
6.857
2006
30.151
2005
Reiezioni
Per
Per
matrimonio
residenza
38.466
84
63
147
5.615
35.766
279
243
522
11.854
7.412
19.266
337
829
1.166
2004
9.997
1.948
11.945
261
1.056
1.317
2003
11.271
2.111
13.382
199
1.763
1.962
2002
9.728
917
10.645
143
762
905
2001
9.266
1.203
10.469
99
582
681
2000
8.027
1.518
9.545
121
524
645
1999
9.538
1.753
11.291
141
860
1.001
1998
10.930
1.106
12.036
131
558
689
1997
7.404
813
8.217
101
255
356
1996
6.053
899
6.952
112
325
437
1995
6.396
1.046
7.442
66
817
883
1994
5.498
495
5.993
62
880
942
1993
5.897
579
6.476
37
1.193
1.230
1992
3.844
601
4.445
72
488
560
Totale
Totale
Fonte: Ministero dell’interno. Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione. Direzione
301
centrale per i diritti civili, la cittadinanza e le minoranze .
Il considerevole aumento dei casi di concessione della cittadinanza che si registra a
partire dal 2006 è dovuto in larga parte all’adozione di un sistema di gestione informatica
delle pratiche, che ne ha ridotto notevolmente i tempi di esame. Come ha rilevato il
301
Il termine per la conclusione del procedimento amministrativo per la concessione della
cittadinanza è fissato in 730 giorni (due anni). Pertanto, il numero complessivo annuo degli esiti
(concessioni più reiezioni) delle richieste di acquisto della cittadinanza di ciascun anno non
corrisponde al numero delle istanze presentate nello stesso anno. Tenendo conto di ciò, non è
stato riportato quest’ultimo dato.
256
CITTADINANZA: IL TESTO ELABORATO DALLA CAMERA
Sottosegretario all’interno, Lucidi302, nel 2006, per la prima volta, il numero delle
domande definite è stato superiore a quello delle domande presentate, il che ha
significato una riduzione delle domande pregresse e pendenti.
Motivi preclusivi dell’attribuzione della cittadinanza
L’art. 6 estende alcune cause ostative, che attualmente precludono il
riconoscimento della cittadinanza per matrimonio, alle ipotesi di attribuzione della
cittadinanza illustrate nel precedente paragrafo e a quella jure domicilii, e amplia
il novero delle cause escludendo la possibilità di divenire cittadini italiani anche
per coloro che hanno riportato una condanna per uno dei crimini contro
l’umanità puniti ai sensi della legge penale internazionale.
Costituisce ostacolo per la concessione della cittadinanza anche la
dichiarazione di delinquenza abituale. Si stabilisce infine che l’irrogazione di
una misura cautelare personale, l’apertura di un procedimento penale per i reati
previsti dall’art. 6 della L. 91/1992 o del procedimento di riconoscimento della
sentenza straniera determinano la sospensione del procedimento per
l’attribuzione della cittadinanza, fino alla comunicazione della sentenza definitiva
di assoluzione, o del decreto di archiviazione o della revoca della misura
cautelare. Il Ministro dell’interno respinge l’istanza di attribuzione della
cittadinanza con decreto motivato ove sussistano le cause ostative prima
ricordate (art. 8).
Viene collocata in un articolo autonomo la disposizione che già prevede,
qualora sussistano motivi tali da far ritenere il richiedente pericoloso per la
sicurezza della Repubblica, la reiezione con decreto motivato da parte del
Ministro dell’interno dell’istanza per l’acquisto della cittadinanza: del rigetto viene
data comunicazione al Presidente del Consiglio (in quest’ultima previsione è la
differenza rispetto alla disciplina attuale); l’istanza può essere riproposta dopo
due anni (invece dei cinque ora previsti). Qualora risulti necessario acquisire
ulteriori informazioni in ordine alla pericolosità per la sicurezza della Repubblica,
il Ministro dell’interno può sospendere il procedimento di attribuzione della
cittadinanza per un periodo massimo di tre anni, informandone il Presidente del
Consiglio.
Concessione della cittadinanza
L’art. 10 incide sull’art. 9 della L. 91/1992 stabilendo che la cittadinanza può
essere concessa al minore straniero o apolide che abbia frequentato
integralmente un ciclo scolastico in Italia, al raggiungimento della maggiore età, e
302
Camera dei deputati, Commissione Affari costituzionali, seduta dell’8 marzo 2007.
257
SCHEDE DI APPROFONDIMENTO
riducendo da cinque a tre anni il termine per la concessione all’apolide che
risieda legalmente in Italia.
Viene mantenuta la possibilità di concessione della cittadinanza per
naturalizzazione allo straniero: al requisito del periodo minimo di dieci anni di
presenza regolare e continuativa in Italia attualmente richiesto si aggiunge
quello ulteriore del possesso di un reddito sufficiente al proprio
sostentamento, che sia comunque non inferiore a quello richiesto per il rilascio
del permesso di soggiorno CE per i soggiornanti di lungo periodo. Il reddito di
riferimento del soggetto richiedente la cittadinanza è quello dell’anno precedente
rispetto al momento di presentazione della domanda.
La modalità di acquisto della cittadinanza per concessione disciplinata dall’art.
della L. 91/1992 è stata ritenuta dal relatore residuale303 rispetto a quella dettata
dagli artt. 4 e 5 del provvedimento, che ne costituiscono il nucleo centrale. In
considerazione della sua residualità sono previsti requisiti, come si è visto,
diversi. Oltre al maggior tempo di permanenza richiesto per la concessione della
cittadinanza, un’ulteriore differenza risiede nel fatto che, secondo quanto emerge
anche dalla giurisprudenza, il regime procedimentale della concessione della
cittadinanza è improntato a valutazioni discrezionali dell’autorità competente,
volte a considerare sia la situazione privatistica particolare dell’istante, sia quella
generale dell’interesse pubblicistico della collettività.
Secondo il Consiglio di Stato, l’amministrazione chiamata a decidere sulla domanda di
concessione di cittadinanza italiana è tenuta a verificare la serietà sia dell’intento ad
ottenere la cittadinanza italiana, sia delle ragioni che inducono ad abbandonare la
comunità di origine. È inoltre necessario accertare il grado di conoscenza della lingua
italiana, l’idoneità professionale, l’ottemperanza agli obblighi tributari e contributivi. Non
può essere trascurata l’esigenza di ricomposizione di gruppi familiari, parte dei quali già
residenti nel territorio italiano. L’amministrazione deve verificare eventuali cause ostative
all’acquisto di cittadinanza, collegate a ragioni di sicurezza della Repubblica ed all’ordine
pubblico (Consiglio di Stato, sez. I, parere n. 1423 del 26 ottobre 1988).
Per quanto riguarda il diniego della concessione della cittadinanza italiana, è indubbio
che l’amministrazione competente, anche laddove disponga di un’ampia discrezionalità,
debba indicare sia pure sinteticamente le ragioni poste a base delle proprie
determinazioni (Consiglio di Stato, sez. IV, sent. n. 366 del 24 maggio 1995).
Come ricordato durante l’esame in Commissione, la disciplina approvata nel 1992,
tenendo conto dell’intensificarsi del fenomeno dell’immigrazione, modificò il requisito del
periodo minimo di permanenza in Italia elevandolo da cinque a dieci anni;
contestualmente fu agevolato l’acquisto della cittadinanza per matrimonio, circostanza
che ha prodotto la conseguenza di numerosi “matrimoni di comodo”, finalizzati al solo
conseguimento della cittadinanza.
303
Commissione Affari costituzionali, seduta del 21 marzo 2007.
258
CITTADINANZA: IL TESTO ELABORATO DALLA CAMERA
Doppia cittadinanza, computo della residenza legale, disposizioni
transitorie, copertura finanziaria
Il decreto di attribuzione o di concessione della cittadinanza acquista efficacia
con la prestazione del giuramento, che avviene davanti al sindaco del comune
di residenza dell’istante, ovvero, in caso di residenza all’estero, dinanzi
all’autorità consolare del luogo di residenza. Al giuramento viene attribuita
maggiore solennità mediante una nuova formula che, evidenziando in maniera
più precisa ed efficace i doveri del nuovo cittadino, costituisce un importante
corollario del processo di integrazione (artt. 11 e 14).
Viene sancito (art. 12) il principio secondo cui è possibile conservare la
cittadinanza di origine al momento dell’acquisizione di quella italiana,
ammettendo in sostanza la doppia cittadinanza.
In Italia vige attualmente il regime della doppia cittadinanza, accettato esplicitamente
con la legge 91 del 1992 (art. 11). La precedente legge del 1912 rifiutava formalmente il
principio, ma casi di doppia cittadinanza erano comunque ampiamente tollerati o
disciplinati attraverso trattati bilaterali al fine di non perdere i vantaggi derivanti da una
forte comunità di cittadini residenti all’estero. L’istituzione del certificato di svincolo,
ossia di rinuncia alla cittadinanza di origine, trova fondamento non nella legge n. 91 del
1992, e nemmeno nel relativo regolamento di attuazione, ma piuttosto nell’art. 1 del
D.P.R. 18 aprile 1994, n. 362, recante il regolamento sulla disciplina del procedimento di
concessione, il quale autorizzava il Ministero dell’interno a richiedere ulteriori documenti,
oltre a quelli espressamente indicati dalle norme regolamentari. Il Ministero aveva quindi
stabilito, con il decreto ministeriale 22 novembre 1994, che, ai fini della concessione
della cittadinanza italiana, ai sensi dell’articolo 9 della legge n. 91 del 1992, i
naturalizzandi dovessero produrre un certificato di svincolo dalla cittadinanza posseduta,
a meno che quest’ultima non venisse persa automaticamente con l’acquisto di uno status
civitatis straniero. La produzione, da parte dell’interessato, del certificato di svincolo
costituiva quindi condizione indispensabile per procedere alla predisposizione del decreto
da sottoporre alla firma del Presidente della Repubblica. L’applicazione di detta norma
regolamentare aveva peraltro evidenziato, nel tempo, vari profili di problematicità. Spesso
gli aspiranti alla cittadinanza, per la normativa disciplinante la materia nei diversi Paesi,
incontravano difficoltà per l’ottenimento del predetto certificato presso le autorità del
proprio Stato di origine, con conseguente notevole allungamento dei tempi del
procedimento di concessione. Peraltro, una volta ottenuto tale documento, l’interessato
risultava privo della titolarità della cittadinanza di origine e non ancora in possesso di
quella italiana: versava quindi in una condizione di apolidia di fatto, seppur temporanea,
fino al momento del giuramento. Sulla base di tali considerazioni, con il decreto
ministeriale 7 ottobre 2004, è stata definitivamente eliminata la richiesta di
svincolo, anche al fine di adeguare la procedura di concessione dello status civitatis a
criteri di razionalizzazione e semplificazione, nonché di favorire una migliore integrazione
sociale dei nuovi cittadini304.
304
Si veda l’intervento presso la Commissione affari costituzionali del Sottosegretario all’interno
Lucidi nella seduta dell’8 marzo 2007, cit..
259
SCHEDE DI APPROFONDIMENTO
Per quanto riguarda le modalità di computo del periodo di residenza legale
(art. 15), il testo, premesso che tale periodo inizia dalla data di presentazione
della dichiarazione anagrafica all’ufficio comunale, specifica che si considera che
abbia soggiornato o risieduto in Italia senza interruzioni: per almeno un anno, chi
in tale periodo abbia trascorso all’estero periodi complessivamente non superiori
a novanta giorni; per almeno cinque anni, chi in tale periodo abbia trascorso
all’estero periodi complessivamente non superiori a novanta giorni nell’ultimo
anno e a quattrocentocinquanta giorni nel quinquennio.
Per quanto riguarda la questione circa il significato da attribuire alla locuzione “senza
interruzioni” utilizzata nel provvedimento, con circolare del 5 gennaio 2007, il Ministro
dell’interno è intervenuto sull’argomento. Nel passato, infatti, l’interruzione della
permanenza in Italia è stata motivo di preclusione alla concessione della cittadinanza per
residenza ai sensi dell’articolo 9 della legge n. 91 del 1992, in quanto si riteneva non
maturato il presupposto normativo. Ma, in un mondo in costante evoluzione non si è
potuto non tener conto delle mutate condizioni di vita, le quali possono determinare brevi
periodi di allontanamento dal territorio nazionale per motivate ragioni, quali, ad esempio,
esigenze lavorative, di studio o di semplice arricchimento e scambio culturale. Sulla base
di tali considerazioni - supportate peraltro da recenti pronunce giurisprudenziali - le
eventuali assenze temporanee sono oggi considerate non più pregiudizievoli ai fini della
concessione dello status civitatis a condizione che l’aspirante cittadino, recandosi
all’estero, abbia comunque mantenuto in Italia la propria residenza legale, vale a dire
l’iscrizione anagrafica presso il comune di residenza e il titolo di soggiorno valido per
l’intero arco temporale, nonché il centro delle proprie relazioni familiari e sociali. Le
ragioni dell’assenza - dovute comunque per lo più a necessità di studio, di lavoro, di
assistenza alla famiglia di origine e di cure mediche - devono essere comprovate da
idonea documentazione che lo straniero è tenuto a produrre ad integrazione
dell’istanza305.
L’art. 17 autorizza il Governo a riordinare e accorpare la disciplina di
attuazione in materia di cittadinanza in un unico regolamento, in cui si stabilisce,
per la conclusione dei procedimenti amministrativi per la concessione e per
l’attribuzione della cittadinanza, un termine certo improrogabile, non superiore
a ventiquattro mesi dalla data di presentazione dell’istanza.
L’articolo 18 reca alcune disposizioni transitorie che intendono definire la
posizione degli stranieri maggiorenni, figli di genitori stranieri, che siano nati in
Italia o vi risiedano da lungo tempo e abbiano già maturato i requisiti introdotti
rispettivamente dagli artt. 1 e 2 del provvedimento: questi soggetti acquistano la
cittadinanza italiana se effettuano una dichiarazione in tal senso entro tre anni
dalla data di entrata in vigore del regolamento di attuazione.
L’art. 19 provvede alla copertura finanziaria del provvedimento.
305
Sul punto si veda il medesimo intervento del Sottosegretario all’interno Lucidi nella seduta dell’8
marzo 2007.
260
IL MINISTRO E IL DIPARTIMENTO PER LE PARI OPPORTUNITÀ
PARI OPPORTUNITÀ E NON DISCRIMINAZIONE
IL MINISTRO E IL DIPARTIMENTO PER LE PARI OPPORTUNITÀ
Il Ministro per i diritti e le pari opportunità
Il D.L. 181/2006306 convertito con modificazioni dalla L. 233/2006307, all’art. 1,
comma 19, lettere f) e g), attribuisce al Presidente del Consiglio dei ministri le
funzioni di competenza statale in materia di pari opportunità nei rapporti di
lavoro e di azioni positive, precedentemente in capo al ministro del lavoro e
delle politiche sociali, nonché le funzioni di competenza statale in materia di
imprenditoria femminile in precedenza attribuite al ministro delle attività
produttive dalla L. 215/1992308.
Tali nuove competenze sono state successivamente trasferite, con il D.P.C.M.
15 giugno 2006309 di conferimento deleghe, al Ministro per i diritti e le pari
opportunità, prevedendo che il ministro possa esercitare le funzioni di
programmazione, indirizzo e coordinamento di tutte le iniziative, anche
normative, nonché ogni altra funzione attribuita dalle vigenti disposizioni al
Presidente del Consiglio dei ministri nelle materie concernenti la promozione dei
diritti della persona e delle pari opportunità nonché la prevenzione e rimozione di
ogni forma e causa di discriminazione tra gli individui.
In particolare, il ministro è delegato a promuovere e coordinare le azioni del
Governo:
ƒ volte ad assicurare l’attuazione delle politiche in materia di diritti e di pari
opportunità tra uomo e donna con riferimento ai temi della salute, della
ricerca, della scuola, dell’ambiente, della famiglia, delle cariche elettive e nelle
nomine di competenza statale, nonché del lavoro e dell’imprenditoria (d’intesa
con il ministro del lavoro e della previdenza sociale), ed a promuovere la
cultura dei diritti e delle pari opportunità nel settore dell’informazione e della
comunicazione;
ƒ in tema di diritti umani delle donne e di diritti delle persone, e le azioni
dirette a prevenire e rimuovere le discriminazioni per cause fondate, in
particolare, sulla razza, il colore della pelle o l’origine etnica o sociale, le
306
307
308
309
Decreto-legge 18 maggio 2006, n. 181, Disposizioni urgenti in materia di riordino delle
attribuzioni della Presidenza del Consiglio dei Ministri e dei Ministeri.
Legge 17 luglio 2006, n. 233, Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 18
maggio 2006, n. 181, recante disposizioni urgenti in materia di riordino delle attribuzioni della
Presidenza del Consiglio dei Ministri e dei Ministeri. Delega al Governo per il coordinamento
delle disposizioni in materia di funzioni e organizzazione della Presidenza del Consiglio dei
Ministri e dei Ministeri.
Legge 25 febbraio 1992, n. 215, Azioni positive per l’imprenditoria femminile.
D.P.C.M. 15 giugno 2006, Delega di funzioni del Presidente del Consiglio dei Ministri in materia
di diritti e pari opportunità al Ministro senza portafoglio, On. dott.ssa Barbara Pollastrini.
261
SCHEDE DI APPROFONDIMENTO
caratteristiche genetiche, la lingua, la religione o le convinzioni personali, le
opinioni politiche o di qualsiasi altra natura, l’appartenenza ad una minoranza
nazionale, il patrimonio, la nascita, gli handicap, l’età e gli orientamenti
sessuali;
ƒ in tema di diritti, prerogative e facoltà delle persone che prendono parte ad
unioni di fatto (d’intesa col Ministro delle politiche per la famiglia).
Spetta inoltre al ministro indirizzare e coordinare l’attività di Governo esplicata
per il tramite del Comitato interministeriale dei diritti umani, esercitando le
funzioni del Presidente del Consiglio nell’ambito di tale Comitato. Si ricorda che il
Comitato in oggetto è stato istituito presso il Ministero degli affari esteri con
D.M. 15 febbraio 1978, n. 519.
Il Comitato, coadiuvando il ministro degli affari esteri e assicurando il collegamento tra
i dicasteri e gli enti nazionali competenti in materia di diritti umani, rappresenta la sede
istituzionale nella quale vengono predisposti i rapporti periodici che l’Italia è tenuta a
presentare alle Organizzazioni internazionali di cui è membro, in merito all’attuazione
degli impegni assunti con la ratifica di convenzioni internazionali sui diritti umani.
Il Comitato interministeriale ha la funzione di vigilare sull’attuazione delle norme
internazionali recepite nell’ordinamento italiano, svolgendo così anche un’azione
propositiva presso le istituzioni nazionali e mantenendo rapporti costruttivi con le
organizzazioni non governative che operano nel settore dei diritti umani.
Con la L. 80/1999310 si è provveduto a dotare il Comitato di un fondo annuale
destinato a coprire gli oneri per l’ufficio di segreteria, per eventuali consulenze di esperti
estranei all’amministrazione, nonché per il rimborso delle spese sostenute dai
componenti.
La stessa legge ha disposto la presentazione di una relazione annuale alle Camere in
merito all’attività del Comitato.
Le competenze del ministro si estendono alle iniziative ed attività svolte dal
Governo, nei settori indicati, in ambito comunitario ed internazionale.
Sono espressamente inclusi in quest’ambito di competenza:
la programmazione, l’indirizzo, il coordinamento ed il monitoraggio dei fondi strutturali
europei in materia di pari opportunità;
ƒ il coordinamento delle politiche di Governo relative alla tutela dei diritti umani delle
donne (d’intesa con il Ministro degli affari esteri), con particolare riferimento agli
obiettivi indicati nella piattaforma di azione adottata dalla IV Conferenza mondiale
delle Nazioni Unite sulle donne, svoltasi a Pechino nel settembre del 1995;
ƒ l’adeguamento dell’ordinamento nazionale all’ordinamento comunitario e la
realizzazione dei programmi comunitari in materia di parità di trattamento tra uomo e
donna, di pari opportunità e di promozione di azioni positive, previsto dall’art. 18 della
L. 6 febbraio 1996, n. 52 (legge comunitaria 1994);
ƒ
310
L. 19 marzo 1999, n. 80, Finanziamento delle attività del Comitato interministeriale dei diritti
dell’uomo.
262
IL MINISTRO E IL DIPARTIMENTO PER LE PARI OPPORTUNITÀ
ƒ
la rappresentanza del Governo italiano in tutti gli organismi internazionali e
comunitari aventi competenza in materia di diritti e pari opportunità, anche ai fini della
formazione e dell’attuazione della normativa comunitaria.
In relazione a quanto detto, spetta al ministro la verifica dell’impatto di
genere in tutte le iniziative di Governo.
Il ministro per i diritti e le pari opportunità è infine delegato a presiedere, in
coordinamento con il ministro della solidarietà sociale, la Consulta per i
problemi degli stranieri immigrati e delle loro famiglie prevista dall’art. 42, co.
4, del testo unico sull’immigrazione approvato con D.Lgs. 286/1998311, in
raccordo con la Commissione per le politiche di integrazione312 di cui all’art. 46
del medesimo testo unico.
Il Dipartimento
Nel 1997 è stato istituito, nell’ambito della Presidenza del Consiglio, il
Dipartimento per le pari opportunità, come struttura di supporto per l’attività
del ministro. Ai sensi dell’art. 19 del decreto del Presidente del Consiglio del 23
luglio 2002, recante l’ordinamento delle strutture generali della Presidenza del
Consiglio, il Dipartimento per le pari opportunità opera nell’area funzionale
concernente la promozione e il coordinamento delle politiche di pari opportunità
e delle azioni di Governo volte a prevenire e rimuovere le discriminazioni.
Il Dipartimento si articola in tre Uffici competenti rispettivamente: per gli interventi in
campo economico e sociale; per gli interventi in materia di parità e di pari opportunità; in
materia di antidiscriminazione. Nell’articolazione organizzativa del Dipartimento è inserito
anche un Nucleo di valutazione che ha il compito di vagliare, al fine di assicurare il
rispetto del principio di pari opportunità, gli investimenti pubblici, promossi e attuati a
livello nazionale e regionale, finanziati con risorse nazionali e comunitarie.
Il decreto del Presidente del Consiglio dell’11 dicembre 2003 ha provveduto alla
costituzione e all’organizzazione interna, nell’ambito del Dipartimento, dell’Ufficio per la
promozione della parità di trattamento e la rimozione delle discriminazioni fondate
sulla razza o sull’origine etnica. L’Ufficio è stato istituito dal D.Lgs. 9 luglio 2003, n.
216, di attuazione della direttiva 2000/78/CE per la parità di trattamento in materia di
occupazione e di condizioni di lavoro, contenuta nella legge comunitaria 2001 (legge n.
39/2002). L’Ufficio ha la funzione di garantire, in piena autonomia di giudizio ed in
condizioni di imparzialità, l’effettività del principio di parità di trattamento fra le persone, di
vigilare sull’operatività degli strumenti di tutela vigenti contro le discriminazioni nonché di
311
312
D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina
dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero.
La Commissione per le politiche di integrazione è istituita presso il Dipartimento per gli affari
sociali della Presidenza del Consiglio. La Commissione predispone per il Governo, anche ai fini
dell’obbligo di riferire al Parlamento, il rapporto annuale sullo stato di attuazione delle politiche
per l’integrazione degli immigrati, formula proposte di interventi di adeguamento di tali politiche
e fornisce risposta a quesiti posti dal Governo concernenti le politiche per l’immigrazione,
interculturali, e gli interventi contro il razzismo.
263
SCHEDE DI APPROFONDIMENTO
contribuire a rimuovere le discriminazioni fondate sulla razza e l’origine etnica
analizzando il diverso impatto che le stesse hanno sul genere ed il loro rapporto con le
altre forme di razzismo di carattere culturale e religioso.
Organismi collegiali operanti presso il Dipartimento
Le nuove funzioni esercitate dal ministro hanno comportato una
riorganizzazione del Dipartimento per i diritti e le pari opportunità con la
costituzione di nuovi organismi collegiali e il riordino di quelli già esistenti. Tale
azione di riordino, prevista fra l’altro dall’art. 29 del D.L. 223/2006313 convertito
dalla L. 248/2006314 Contenimento spesa per commissioni comitati ed altri
organismi, è stata finalizzata alla eliminazione delle duplicazioni organizzative e
funzionali, nonché a una riduzione della spesa complessiva funzionale per
organismi collegiali315.
Il D.P.R. 14 maggio 2007, n. 115316, reca il regolamento di riordino della
Commissione per le pari opportunità fra uomo e donna. La Commissione,
operante fin dal 1984, è stata già recentemente oggetto di una riforma
complessiva ad opera del D.Lgs. 226/2003317, che ne ha mutato tra l’altro la
denominazione.
La Commissione, la cui durata è fissata in tre anni decorrenti dalla data di
entrata in vigore del regolamento, è composta da venticinque membri:
313
314
315
316
317
Decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223, Disposizioni urgenti per il rilancio economico e sociale, per
il contenimento e la razionalizzazione della spesa pubblica, nonché interventi in materia di
entrate e di contrasto all’evasione fiscale.
Legge 4 agosto 2006, n. 248, Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 4
luglio 2006, n. 223, recante disposizioni urgenti per il rilancio economico e sociale, per il
contenimento e la razionalizzazione della spesa pubblica, nonché interventi in materia di entrate
e di contrasto all’evasione fiscale.
In materia di accesso agli uffici pubblici, l’azione di sostegno alla promozione e al rispetto del
principio delle pari opportunità ha trovato spazio fra l’altro nella Circolare della Presidenza del
Consiglio dei ministri - Dipartimento per l’attuazione del programma di governo Linee di indirizzo
per la redazione degli schemi di provvedimento attuativi dell’articolo 29 del decreto-legge 4
luglio 2006, n. 223, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006, n. 248 (G.U. 8
gennaio 2007, n. 5). Il documento sollecita l’introduzione del principio dell’equilibrata
rappresentanza di genere in relazione alla rimodulazione di composizione e funzionamento di
Comitati e Commissioni di cui all’art. 29 “ricordando alle amministrazioni vigilanti che la norma
trova applicazione anche nei confronti delle amministrazioni non statali. Infine, s’invitano le
amministrazioni a inserire nell’ambito dei provvedimenti di riordino una disposizione che
preveda che, nella composizione degli organismi riorganizzati, si tenga conto del principio di
pari opportunità tra uomini e donne”.
Decreto del Presidente della Repubblica 14 maggio 2007, n. 115, Regolamento per il riordino
della Commissione per le pari opportunità tra uomo e donna, a norma dell’art. 29 del decretolegge 4 luglio 2006, n. 223, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006, n. 248.
Decreto Legislativo 31 luglio 2003, n.226, Trasformazione della Commissione nazionale per la
parità in Commissione per le pari opportunità tra uomo e donna, a norma dell’articolo 13 della
legge 6 luglio 2002, n. 137.
264
IL MINISTRO E IL DIPARTIMENTO PER LE PARI OPPORTUNITÀ
ƒ
dal Ministro per i diritti e le pari opportunità, che la presiede e che può
nominare con proprio decreto fino a quattro esperti e consulenti competenti in
materia di politiche di genere determinandone il compenso;
ƒ da undici componenti scelti nell’ambito delle associazioni e dei movimenti
delle donne maggiormente rappresentativi sul piano nazionale;
ƒ da tre donne che si siano particolarmente distinte, per riconoscimenti e titoli,
in attività scientifiche, letterarie e sociali;
ƒ da tre rappresentanti regionali designati dalla Conferenza permanente per i
rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano;
ƒ da quattro personalità espressive degli organismi sindacali con peculiare
esperienza in materia di politiche di genere;
ƒ da tre componenti scelti nell’ambito delle organizzazioni imprenditoriali e
della cooperazione femminile maggiormente rappresentative sul piano
nazionale.
La Commissione si riunisce almeno nove volte l’anno, di cui almeno due volte
a composizione allargata con la partecipazione di un rappresentante di pari
opportunità per ogni regione e provincia autonoma, anche al fine di acquisire
osservazioni, richieste e segnalazioni in merito a questioni che rientrano
nell’ambito delle competenze del sistema delle regioni e delle autonomie locali.
La Commissione:
ƒ fornisce consulenza e supporto tecnico-scientifico nell’elaborazione e
nell’attuazione delle politiche di genere, sui provvedimenti di competenza dello
Stato e in particolare propone il programma annuale di lavoro, indicando le
conseguenti esigenze finanziarie;
ƒ controlla sistematicamente gli sviluppi delle politiche delle pari opportunità tra
uomini e donne in ambito sopranazionale e comunitario e a tal fine redige un
rapporto annuale per il Ministro sullo stato di attuazione delle politiche di pari
opportunità, rilevando altresì l’eventuale mancato rispetto degli impegni
comunitari;
ƒ segnala al Ministro le iniziative necessarie per conformare l’organizzazione
delle pubbliche amministrazioni alla parità dei sessi e, in generale, per
realizzare l’effettiva parità nell’amministrazione.
Il D.P.R. 14 maggio 2007, n. 101318, reca il regolamento di riordino del
Comitato per l’imprenditoria femminile, stabilendo fra l’altro che il Comitato
duri in carica tre anni decorrenti dalla data di entrata in vigore del regolamento.
Il Comitato è presieduto dal Ministro per i diritti e le pari opportunità, o da un suo
delegato, ed è composto dai Ministri del lavoro e della previdenza sociale, dello
sviluppo economico, delle politiche agricole alimentari e forestali, dell’economia e
318
Decreto Presidente della Repubblica 14 maggio 2007, n. 101 Regolamento per il riordino della
Commissione per l’imprenditoria femminile, operante presso il Dipartimento per i diritti e le pari
opportunità, a norma dell’art. 29 del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223, convertito, con
modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006, n. 248.
265
SCHEDE DI APPROFONDIMENTO
delle finanze, delle politiche per la famiglia o da loro delegati, da due
rappresentanti della Presidenza del Consiglio - Dipartimento per i diritti e le pari
opportunità, tra i quali il Ministro designa un Vice Presidente, da un
rappresentante del settore bancario designato dalle associazioni bancarie
italiane di intesa fra loro nonché da un rappresentante per ciascuna delle
organizzazioni operanti a livello nazionale nella cooperazione, nella piccola
industria, nel commercio, nell’artigianato, nell’agricoltura, nel turismo e nei
servizi. I membri del Comitato operano a titolo gratuito.
Il Comitato ha compiti di indirizzo, di coordinamento, di concertazione, di
programmazione generale in ordine agli interventi previsti in materia di azioni
positive per l’imprenditoria femminile, e promuove altresì lo studio, la ricerca e
l’informazione sull’imprenditorialità’ femminile. Il Comitato può procedere ad
audizioni di rappresentanti di associazioni, di esperti e tecnici.
Ulteriori organismi sono stati istituiti con decreti ministeriali rispondendo ai
compiti di coordinamento, indirizzo e monitoraggio in capo al Dipartimento. Un
decreto ministeriale del 3 maggio 2007 ha istituito la Commissione per i diritti e
le pari opportunità per lesbiche, gay, bisessuali e transgender. La
Commissione, a carattere consultivo, nell’esercizio delle sue competenze, dovrà
elaborare proposte di provvedimenti da adottare al fine di rimuovere cause di
discriminazione, nonché analizzare le questioni di carattere istituzionale e
normativo e suggerire e avanzare proposte, di cui il Ministero per i diritti e le pari
opportunità si farà portatore in sede di Consiglio dei ministri.
Presso il Dipartimento è stata altresì istituita con decreto ministeriale 11
gennaio 2008, la Commissione di valutazione per la legittimazione ad agire
per la tutela delle persone con disabilità, prevista dal decreto ministeriale 21
giugno 2007 dei ministri per i diritti e le pari opportunità e della solidarietà sociale.
il provvedimento è finalizzato a dare attuazione alla L. 67/2006319 grazie alla
quale il soggetto disabile ha la possibilità di ricorrere in sede giurisdizionale,
avvalendosi di una processo semplificato e di immediata efficacia, allo scopo di
far cessare un comportamento discriminatorio, eliminare i suoi effetti e ottenere il
risarcimento dell’eventuale danno. La Commissione di valutazione è incaricata
dell’istruttoria delle domande di riconoscimento della legittimazione ad agire
inoltrate da parte delle associazioni e degli enti a tal fine individuati con decreto
del ministro per i diritti e le pari opportunità, di concerto con il ministro della
solidarietà sociale.
Con decreto il 13 dicembre 2007 è stato istituito il Forum permanente contro
le molestie gravi e la violenza alle donne, per orientamento sessuale e
319
Legge 1 marzo 2006, n. 67, Misure per la tutela giudiziaria delle persone con disabilità vittime di
discriminazioni.
266
IL MINISTRO E IL DIPARTIMENTO PER LE PARI OPPORTUNITÀ
identità di genere, quale sede di dialogo e confronto fra istituzioni e società,
nonché di sostegno e inclusione delle vittime. Di ancor più recente istituzione
l’Osservatorio nazionale contro la violenza sessuale e di genere, previsto dal
comma 1261, art. 1, della L. 296/2006 (Legge finanziaria 2007), avente compiti di
analisi e ricerca scientifica e di supporto alla progettazione ed implementazione
delle politiche di prevenzione, sensibilizzazione e contrasto alla violenza di
genere, contro le donne e contro le persone di diverso orientamento sessuale320.
Presso il Dipartimento è altresì operante la Commissione per la
prevenzione e il contrasto delle pratiche di mutilazione genitale femminile,
istituita il 16 novembre 2006, con compiti informativi e di promozione di iniziative
di sensibilizzazione. Sono infine presenti organismi collegiali di varia natura
finalizzati alla lotta contro il traffico di esseri umani, quali la Commissione
interministeriale per il sostegno alle vittime di tratta, violenza e grave
sfruttamento, il Comitato di coordinamento delle azioni di governo contro la tratta
di esseri umani nonché l’Osservatorio sul fenomeno della tratta degli esseri
umani.
320
È stato pubblicato, sulla Gazzetta Ufficiale n. 284 del 6 dicembre 2007, l’avviso relativo al
finanziamento di progetti finalizzati a rafforzare la prevenzione e il contrasto della violenza di
genere, che si avvalgono delle risorse stanziate dal citato articolo 1, comma 1261, della legge
finanziaria per il 2007. Il decreto del Ministro per i diritti e le pari opportunità del 16 maggio 2007
ha destinato al Fondo nazionale contro la violenza sessuale e di genere per l’anno 2007 una
quota di euro 3.000.000. Con successivo decreto del Ministro per i Diritti e le Pari opportunità
emanato il 3 agosto 2007 di concerto con il Ministro della Salute, il Ministro della Solidarietà
sociale, il Ministro del Lavoro e il Ministro per la Famiglia sono stati stabiliti i criteri di ripartizione
del citato “Fondo” destinando una quota di 2.200.000 euro per l’anno 2007 al Piano nazionale
d’azione.
267
SCHEDE DI APPROFONDIMENTO
PARI OPPORTUNITÀ E NON DISCRIMINAZIONE
INTERVENTI IN MATERIA DI PARI OPPORTUNITÀ
Nel corso della legislatura sono mancati interventi organici in materia di pari
opportunità; molteplici sono stati invece gli interventi settoriali per sostenere e
incentivare l’occupazione femminile o per favorirla tramite il rafforzamento dei
servizi di cura. Tali interventi sono rintracciabili soprattutto nelle leggi finanziarie
sotto forma di incentivi o di misure di sostegno indiretto o come misure
direttamente finalizzate al rispetto delle pari opportunità nell’accesso agli uffici
pubblici e alle cariche elettive.
Dalla modifica costituzionale dell’articolo 51 discendono le norme inserite
nella L. 244/2007321 (Legge finanziaria 2008) ai commi 376 e 377 dell’art. 1 (v.
scheda La composizione dei successivi Governi, pag. 321) i quali, disponendo in
tema di organizzazione del Governo, ribadiscono che la sua composizione
deve essere coerente con il principio costituzionale delle pari opportunità
nell’accesso agli uffici pubblici e alle cariche elettive.
La nuova disciplina, che innova (senza novellarla) quella recata dal D.Lgs.
300/1999322 , avrà efficacia “a partire dal Governo successivo a quello in carica” alla
data di entrata in vigore della legge finanziaria. Ai sensi del comma 376, il contingente
governativo dovrà essere configurato “in coerenza” con il principio costituzionale delle
pari opportunità tra donne e uomini ai fini dell’accesso agli uffici pubblici e alle cariche
elettive. Dalla formulazione dell’art. 51 Cost. non sembra peraltro discendere un puntuale
vincolo giuridico (misurabile in termini di “quote”) in ordine alla rappresentanza dei due
generi nella futura compagine governativa, quanto piuttosto l’obbligo di promuovere le
“pari opportunità nell’accesso”; il modo in cui a tale principio si darà applicazione all’atto
della formazione del nuovo Governo parrebbe dunque sostanzialmente rimesso alle
sensibilità e alle dinamiche dei diversi attori politico-istituzionali (principalmente, il
Presidente del Consiglio incaricato e il Capo dello Stato).
Ugualmente, i commi da 481 a 484 dell’art. 2 prevedono un’attività di
sperimentazione volta ad introdurre, per le amministrazioni statali, il “Bilancio di
genere”. La sperimentazione è prevista, limitatamente all’anno 2008, presso i
Ministeri della salute, della pubblica istruzione, del lavoro e previdenza
sociale e dell’università e della ricerca323. I criteri e le metodologie utili per la
321
322
323
Legge 24 dicembre 2007, n. 244, Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e
pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2008).
D. Lgs. 30 luglio 1999, n. 300, Riforma dell’organizzazione del Governo, a norma dell’articolo 11
della legge 15 marzo 1997, n. 59.
Si ricorda che il bilancio di genere è un criterio di rendicontazione volto a integrare una
prospettiva di genere nella lettura dei documenti di programmazione economica che declinano
le politiche pubbliche, tenendo conto della differenza di genere in tutte le fasi della
programmazione, dalla fissazione degli obiettivi politici e finanziari, al monitoraggio e
valutazione di risultato e di impatto delle azioni. L’integrazione della prospettiva di genere nella
programmazione di bilancio pone dunque l’accento sull’analisi dell’impatto delle politiche
pubbliche sulle donne e sugli uomini, nel presupposto implicito che esse non siano neutre. In tal
268
INTERVENTI IN MATERIA DI PARI OPPORTUNITÀ
realizzazione della sperimentazione sono stabiliti con decreto del ministro dei
diritti e delle pari opportunità, da adottare di concerto con il ministro
dell’economia e delle finanze. Ai fini della stesura sperimentale del bilancio di
genere, il ministro per i diritti e le pari opportunità predispone corsi di formazione
e di aggiornamento per i dirigenti dei suddetti Ministeri, per i quali viene
autorizzata la spesa di 2 milioni di euro. Entro il 31 marzo 2009, il ministro per le
pari opportunità presenta al Parlamento una apposita relazione recante
l’indicazione dei risultati della sperimentazione.
I successivi commi da 485 a 487 istituiscono, per l’anno 2008, un Fondo con
una dotazione di 1 milione di euro destinato all’inserimento nel programma
statistico nazionale di rilevazioni statistiche di genere, da realizzarsi attraverso
una disaggregazione dei dati raccolti nonché grazie all’utilizzo di indicatori
“sensibili al genere”. Non sono oggetto di specifica disciplina le modalità di
costituzione del Fondo e di attribuzione o ripartizione delle risorse stanziate;
viene affidato all’ISTAT il compito di assicurare l’attuazione di tale obiettivo
nell’ambito del Sistema statistico nazionale.
Obiettivo del provvedimento è la migliore lettura dei fenomeni sociali e culturali
al femminile per permettere politiche adeguate e differenziate.
Un quadro generale per la parità di trattamento tra uomini e donne per quanto
attiene all’accesso ai beni e servizio ed alla loro fornitura è stato stabilito dal
D.Lgs. 196/2007324, che ha novellato il Codice delle pari opportunità
introducendo, nell’ambito del Libro III, il nuovo Titolo III Parità di trattamento tra
uomini e donne nell’accesso a beni e servizi e loro fornitura recante nove articoli
(da 55-bis a 55-decies). Il decreto, in attuazione della direttiva 2004/113/CE, reca
la disciplina specifica relativa alla parità di trattamento tra donne e uomini per
quanto riguarda l’accesso ai beni e servizi assicurativi e finanziari e alla
loro fornitura, sia per il settore pubblico che per quello privato. Una
particolare ed importante applicazione del principio contenuto nel provvedimento
riguarda il settore delle assicurazioni: il riferimento al sesso come criterio nel
calcolo dei premi e delle prestazioni per fini assicurativi e per altri servizi
finanziari viene vietato; differenze proporzionate nei premi o nelle prestazioni
individuali sono consentite soltanto ove il fattore sesso sia determinante nella
valutazione dei rischi, in base a dati attuariali e statistici pertinenti e accurati. In
ogni caso i costi inerenti alla gravidanza e alla maternità non possono
determinare differenze nei premi o nelle prestazioni individuali. Il decreto prevede
altresì una specifica procedura giurisdizionale a tutela di queste forme di
324
senso il bilancio di genere è comunemente considerato come uno degli strumenti che
consentono di allocare le risorse pubbliche secondo criteri di promozione delle pari opportunità
uomo-donna.
Decreto Legislativo 6 novembre 2007, n. 196, Attuazione della direttiva 2004/113/CE che attua
il principio della parità di trattamento tra uomini e donne per quanto riguarda l’accesso a beni e
servizi e la loro fornitura.
269
SCHEDE DI APPROFONDIMENTO
discriminazione, nonché l’attribuzione al Dipartimento per i diritti e le pari
opportunità di funzioni di assistenza alle vittime e di promozione della parità di
trattamento negli ambiti presi in considerazione.
270
PROGETTI IN MATERIA DI LIBERTÀ RELIGIOSA
DIRITTI E LIBERTÀ: ALTRE INIZIATIVE
PROGETTI IN MATERIA DI LIBERTÀ RELIGIOSA
Nel corso della XV legislatura la I Commissione (Affari costituzionali) della
Camera ha esaminato due progetti di legge recanti norme sulla libertà religiosa,
entrambi di iniziativa parlamentare (A.C. 36, Norme sulla libertà religiosa e
abrogazione della legislazione sui culti ammessi, presentato dall’on. Boato, e
A.C. 134, con identico titolo, presentato dagli onn. Spini ed altri).
I due progetti di legge, pressoché identici, riproducono il disegno di legge
governativo esaminato nella XIII legislatura (A.C. 3947), nel testo approvato
dalla I Commissione affari costituzionali della Camera, sul quale il relatore aveva
ricevuto mandato a riferire in Assemblea. Detto testo era successivamente stato
riproposto, con varie modifiche, dal governo Berlusconi II nel corso della XIV
legislatura (A.C. 2531).
Il capo I detta norme a tutela della libertà di coscienza e di religione. richiamando
quali fonti i princìpi della Costituzione, le convenzioni sui diritti inviolabili dell'uomo,
nonché i principi del diritto internazionale, e superando la dizione di “culti ammessi nello
Stato”, rappresentativa della concezione, fatta propria dalla normativa del 1929, basata
non sul principio della libertà religiosa, ma su quello della tolleranza dello Stato rispetto
alla presenza di culti diversi dalla “religione di Stato”.
Gli altri principi individuati dai progetti di legge sono:
ƒ il diritto di manifestazione della libertà di religione, intesa come diritto a professare la
propria fede religiosa, a diffonderla, ad osservarne i riti, ad esercitare il culto, nonché a
mutare religione oppure a non averne alcuna;
ƒ il divieto di discriminazioni connesse a motivi religiosi, il diritto di riunione e di
associazione per finalità di culto, e il diritto alla obiezione di coscienza;
ƒ il diritto dei genitori di istruire i figli secondo le proprie convinzioni religiose, e il
principio della libera determinazione dei minori, nell'ambito delle scelte religiose, a
partire dai quattordici anni di età;
ƒ la tutela dell'esercizio della libertà religiosa a soggetti che si trovano in particolari
condizioni (appartenenti alle forze armate e di polizia, degenti in ospedale, detenuti),
sui luoghi di lavoro e nell’ambito dell’insegnamento scolastico;
ƒ il riconoscimento della libertà di esercitare le proprie funzioni spirituali anche ai ministri
dei culti per i quali non è stata ancora stipulata intesa con lo Stato, con l'unico onere di
depositare la certificazione rilasciata dalla confessione di appartenenza, quando
pongano in essere atti aventi rilevanza giuridica per lo Stato italiano;
ƒ la definizione delle procedure per la celebrazione del matrimonio con effetti civili,
relativamente a culti religiosi per i quali non sia intervenuta l'intesa, ma le cui
confessioni siano dotate di personalità giuridica;
ƒ la libertà di attività connesse alla vita religiosa, quali la pubblicazione e affissione di
stampati e le collette, e la tutela degli edifici di culto.
Il capo II è dedicato alla disciplina delle confessioni e associazioni religiose. Esso
prevede, innanzitutto, una tutela generale comune a tutte le confessioni, secondo il
principio di cui all'articolo 8 della Costituzione, nell'ambito della quale sono compresi il
diritto di celebrare i propri riti, di aprire edifici di culto, di diffondere la propria fede, di
271
SCHEDE DI APPROFONDIMENTO
nominare i ministri di culto. Inoltre, si definiscono e disciplinano le forme di tutela e i
benefici (anche di natura fiscale) cui possono accedere le confessioni che chiedono ed
ottengono il riconoscimento della personalità giuridica, nonché i requisiti e la procedura
del riconoscimento.
il capo III definisce le procedure per la stipulazione delle intese, ai sensi dell’articolo 8
della Costituzione, fra lo Stato e le confessioni religiose. Il procedimento previsto ricalca
sostanzialmente quello utilizzato nella prassi, con la notevole differenza che a tale
procedimento possono avere accesso anche le confessioni che non abbiano previamente
conseguito la personalità giuridica. Inoltre, il Presidente del Consiglio, già al momento in
cui sottopone il progetto di intesa al Consiglio dei ministri, deve informare il Parlamento
sui contenuti dello stesso.
Il capo IV reca disposizioni finali e transitorie.
L’esame delle due proposte è stato avviato dalla I Commissione nella seduta
del 7 novembre 2006 e nella riunione del 27 novembre 2006 l'Ufficio di
presidenza della Commissione, integrato dai rappresentanti di gruppo, ha
convenuto sull'opportunità di procedere – nell’ambito dell’istruttoria legislativa allo svolgimento di una indagine conoscitiva da articolarsi nell'audizione di
rappresentanti della Conferenza episcopale italiana, di rappresentanti delle
confessioni religiose diverse dalla cattolica che hanno concluso un'intesa con lo
Stato o che ne hanno fatto richiesta, della Consulta islamica e, infine, di esperti
della materia.
Nella seduta del 19 giugno 2007 il relatore ha quindi presentato una prima
proposta di testo unificato. Un nuovo testo unificato, che si differenzia dal
precedente per alcune limitate modifiche introdotte dal relatore alla luce del
dibattito svolto sulla iniziale proposta, è stato quindi presentato dal relatore ed
adottato come testo base per il seguito dell’esame nella seduta del 4 luglio
2007.
La nuova serie di audizioni nell’ambito dell’indagine conoscitiva è stata
quindi svolta al fine di acquisire osservazioni e valutazioni sul testo base adottato
dalla Commissione.
Successivamente allo svolgimento del nuovo ciclo di audizioni e alla
presentazione degli emendamenti325, l’esame da parte della I Commissione è
ripreso nella seduta del 24 luglio 2007 e non è successivamente proseguito.
Il contenuto del progetto di riforma
Il testo unificato adottato come testo base dalla I Commissione, pur
rifacendosi ai contenuti delle proposte A.C. 36 e A.C. 134, presenta rispetto ad
esse una diversa articolazione ed alcune significative innovazioni.
325
Nella seduta del 24 luglio 2007 il relatore evidenziava come al testo base fossero stato
presentati circa settecentonovanta emendamenti ed articoli aggiuntivi, dei quali oltre
quattrocento meramente soppressivi di articoli, commi o lettere.
272
PROGETTI IN MATERIA DI LIBERTÀ RELIGIOSA
Al riguardo, il relatore ha chiarito di aver tenuto conto, nella sua elaborazione, sia delle
due proposte di legge iniziali, le quali a loro volta riproducevano il testo dei due disegni di
legge in materia di libertà religiosa presentati dal Governo nella XIII e nella XIV
legislatura, sia di quanto emerso nel corso dell’indagine conoscitiva svolta sulla materia
dalla I Commissione. Trattandosi di un testo che intende costituire il punto di partenza per
una legge quadro in materia di libertà religiosa, esso tiene altresì conto della complessiva
disciplina vigente in materia nell'ordinamento italiano, dei trattati internazionali sottoscritti
dall'Italia, nonché delle riflessioni della dottrina e della giurisprudenza.
ƒ
ƒ
ƒ
ƒ
ƒ
ƒ
Il testo base si compone di 6 Capi:
il capo I (artt. 1-15), reca le disposizioni in materia di libertà di religione;
il capo II (artt. 16-21) prevede l’istituzione di un registro delle confessioni
religiose e disciplina le procedure per l’iscrizione nel registro;
il capo III (art. 22-29) disciplina lo status delle confessioni religiose iscritte nel
registro;
il capo IV (artt. 30-33) detta disposizioni in ordine al riconoscimento degli
effetti civili del matrimonio religioso celebrato dai ministri di culto delle
confessioni iscritte nel registro delle confessioni religiose;
il capo V (artt. 34-43) regola la stipulazione delle intese tra lo Stato e le
confessioni religiose, previste dall’articolo 8 della Costituzione;
il capo VI (artt. 44-47) reca disposizioni finali e transitorie.
Libertà di religione (Capo I)
Il Capo I del testo unificato adottato come testo base (artt. 1-15) reca
disposizioni in materia di libertà di religione, individuando una serie di diritti che
trovano applicazione a prescindere dal riconoscimento della personalità della
confessione religiosa o del suo ente esponenziale e dalla eventuale stipulazione
di una intesa.
Rispetto all’impostazione iniziale delle proposte di legge all’esame della I
Commissione, il testo elaborato dal relatore presenta una maggiore ampiezza,
nonché alcune significative innovazioni, che riguardano in particolare la disciplina
dei ministri di culto.
Più in particolare, l’articolo 1 enuncia espressamente la garanzia,
riconosciuta a tutti, del diritto fondamentale, proprio della persona, della libertà
di religione, sulla base delle disposizioni costituzionali, del diritto dell’Unione
europea, delle convenzioni internazionali sui diritti inviolabili dell’uomo e dei
princìpi del diritto internazionale in materia.
L’espressione “libertà di coscienza e di religione” presente nei testi delle proposte di
legge all’esame della I Commissione è sostituita da quella di “libertà di religione”. Al
riguardo, il successivo articolo 2 precisa che “la libertà di religione comprende e
presuppone la libertà di coscienza e la libertà di pensiero in materia religiosa”.
273
SCHEDE DI APPROFONDIMENTO
Il testo adottato dalla Commissione reca inoltre una disposizione (art. 1, co. 2),
che non era contenuta nel testo dell’A.C. 36 e dell’A.C. 134, volta ad evidenziare
che il provvedimento “si fonda sul principio della laicità dello Stato al quale è
data attuazione nelle leggi della Repubblica”.
L’articolo 2 garantisce invece le manifestazioni proprie della libertà religiosa,
enumerando (co. 1 e 2) i diritti:
ƒ di mutare religione o di non averne alcuna;
ƒ di discutere liberamente di temi religiosi;
ƒ di professare liberamente la propria fede religiosa, in forma individuale o
associata, pubblica e privata;
ƒ di diffonderla e di farne propaganda;
ƒ di osservarne i riti e di esercitare il culto.
Si prevede altresì che a tutti sia garantito un diritto alla riservatezza in ordine
alla propria appartenenza religiosa ed alle opinioni in tale materia, stabilendo
che nessuno possa essere obbligato a manifestare i propri orientamenti, salvi i
casi necessari a tutelare la stessa libertà ed altri diritti costituzionalmente
garantiti, e prevedendo un rinvio alla disciplina vigente in materia di protezione
dei dati personali326.
Si precisa inoltre (co. 4) che non possono essere disposte limitazioni alla
libertà di religione diverse da quelle previste dall’art. 19 Cost., il quale pone come
unico limite quello della contrarietà dei riti al buon costume.
Il testo unificato introduce infine una disposizione di principio non contenuta
nei precedenti testi, in base alla quale l’abbigliamento indossato in ragione
dell’adesione ad un precetto religioso deve comunque garantire la possibilità di
identificare della persona che lo indossa (art. 2, co. 5).
L’articolo 3 pone un generale divieto di adozione di comportamenti
discriminatori fondati su ragioni di carattere religioso sia nei rapporti tra privati,
sia in quelli tra cittadini e pubblica amministrazione.
326
L’art. 4 del Codice in materia di protezione dei dati personali (D.Lgs. 196/2003) ricomprende tra
i dati sensibili, che possono essere trattati soltanto con il consenso scritto dell’interessato e
previa autorizzazione del Garante, i dati personali idonei a rivelare le convinzioni religiose e
l'adesione ad associazioni od organizzazioni a carattere religioso.
L’art. 26 del Codice stabilisce che possono essere oggetto di trattamento anche senza
consenso e senza autorizzazione del Garante i dati sensibili relativi agli aderenti alle
confessioni religiose e ai soggetti che, con riferimento a finalità di natura esclusivamente
religiosa, hanno contatti regolari con le medesime confessioni, effettuato dai relativi organi,
ovvero da enti civilmente riconosciuti, sempre che i dati non siano diffusi o comunicati fuori delle
medesime confessioni. Queste ultime devono determinare idonee garanzie per i trattamenti
effettuati, nel rispetto dei princìpi indicati al riguardo con autorizzazione del Garante.
Ai sensi dell’art. 72 del Codice, si considerano di rilevante interesse pubblico le finalità relative
allo svolgimento dei rapporti istituzionali con enti di culto, confessioni religiose e comunità
religiose. Ciò ai fini degli articoli 20 e 21 del Codice stesso, che consentono il trattamento dei
dati sensibili e di quelli giudiziari esclusivamente per le finalità di rilevante interesse pubblico.
274
PROGETTI IN MATERIA DI LIBERTÀ RELIGIOSA
I commi 2 e 3 della disposizione, introdotti nel testo unificato adottato dalla
Commissione come testo base, fanno uno specifico rinvio alle principali
disposizioni vigenti nel nostro ordinamento in materia di discriminazioni per motivi
religiosi e razziali, ed in particolare:
ƒ all’art. 3 della L. 654/1975327, da ultimo modificata dalla L. 85/2006328, che
punisce l’istigazione e la commissione di atti di discriminazione e di violenza
per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi nonché la partecipazione ad
associazioni dirette a tali fini;
ƒ al D.L. 122/1993329, che - oltre a modificare l’articolo 3 della L. 654 – ha, tra
l’altro, introdotto una specifica circostanza aggravante per i reati commessi
per finalità di discriminazione o di odio etnico, nazionale, razziale o religioso,
ovvero al fine di agevolare l'attività di associazioni aventi tali finalità;
ƒ agli articoli 43 e 44 del Testo unico in materia di immigrazione330, che – con
disposizioni applicabili anche a cittadini italiani, comunitari ed apolidi - recano
rispettivamente l’individuazione puntuale degli atti di discriminazione e la
disciplina dell’azione in sede civile contro gli atti di discriminazione.
Il successivo articolo 4 estende espressamente alle finalità di religione o culto
i diritti di riunione ed associazione che gli articoli 17 e 18 Cost. sanciscono (e, al
tempo stesso, delimitano) in via generale.
Con riferimento ai principi in materia di esercizio della libertà religiosa in
forma associata, l’articolo 5 – con una disposizione che non trova precisa
corrispondenza nei testi delle proposte esaminate dalla I Commissione –
riconosce alle confessioni religiose il diritto di:
ƒ celebrare i propri riti, purché questi non siano contrari al buon costume, in
conformità all'art. 19 Cost.;
ƒ costruire luoghi di culto o destinare edifici già esistenti a tale funzione, nel
rispetto della disciplina urbanistica;
ƒ produrre, pubblicare e diffondere atti e documenti sulla propria attività;
ƒ esercitare la libertà di propaganda e di proselitismo;
ƒ formare e nominare i propri ministri di culto;
ƒ assistere spiritualmente i propri fedeli;
ƒ comunicare e corrispondere liberamente al proprio interno e con altre
confessioni in Italia e all'estero;
ƒ promuovere e valorizzare il proprio patrimonio culturale ed artistico.
327
328
329
330
L. 13 ottobre 1975, n. 654, Ratifica ed esecuzione della convenzione internazionale
sull'eliminazione di tutte le forme di discriminazione razziale, aperta alla firma a New York il 7
marzo 1966.
L. 24 febbraio 2006, n. 85, Modifiche al codice penale in materia di reati di opinione.
D.L. 26 aprile 1993, n. 122, Misure urgenti in materia di discriminazione razziale, etnica e
religiosa, convertito, con modificazioni, dalla L. 25 giugno 1993, n. 205.
D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina
dell’immigrazione norme sulla condizione dello straniero.
275
SCHEDE DI APPROFONDIMENTO
Il successivo comma precisa, tuttavia, che l'esercizio di tali diritti da parte delle
confessione religiosa non può pregiudicare i diritti inviolabili spettanti agli
aderenti alla confessione stessa.
Le facoltà in cui si estrinseca la libertà religiosa dei singoli in ambito
associativo sono elencate nell’articolo 6, comma 1. Sotto questo profilo, la
libertà religiosa comprende quindi:
ƒ il diritto di aderire liberamente ad una confessione o associazione religiosa e
di recedere da essa in modo parimenti libero ed incondizionato;
ƒ il diritto di partecipare, senza ingerenza da parte dello Stato, alla vita ed
all’organizzazione della confessione religiosa di appartenenza in conformità
alle sue regole.
Con una disposizione volta a garantire la libertà degli aderenti alle confessioni
religiose all’interno delle confessioni stesse331, il comma 2 dell’articolo 6 prevede
che le confessioni ed associazioni religione debbano garantire il rispetto delle
libertà costituzionali e dei diritti della persona dei propri fedeli, assicurando
loro in particolare il rispetto dei principi del giusto processo nei procedimenti
che eventualmente si svolgano all’interno delle comunità religiose.
Il successivo comma 3 ribadisce, a tutela dei diritti connessi alla libertà
religiosa, che non possono essere posti in essere atti aventi lo scopo di
discriminare, nuocere o recare molestia a coloro che abbiano esercitato tali diritti.
L’articolo 7 stabilisce (comma 1) che i cittadini hanno diritto di agire secondo i
dettami imprescindibili della propria coscienza, nel rispetto delle leggi nonché dei
diritti e dei doveri sanciti dalla Costituzione, mentre viene demandata (comma 2)
alla legge la disciplina delle modalità per l’esercizio dell’obiezione di coscienza
nei vari settori.
L’articolo 8, disponendo in materia di educazione religiosa, riconosce a
quanti esercitano la potestà genitoriale il diritto di istruire ed educare i minori,
anche se nati fuori dal matrimonio, in coerenza con la propria fede religiosa, nel
rispetto della loro personalità e senza pregiudizio della salute dei medesimi.
Rispetto al testo dei progetti di legge all’esame della Commissione, il testo unificato
richiama quanto disposto al riguardo dalla Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti
del fanciullo, ratificata dall’Italia con la L. 176/1991332.
In particolare, ai sensi dell’articolo 14 della Convenzione, “1. Gli Stati parti rispettano il
diritto del fanciullo alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione. 2. Gli Stati parti
rispettano il diritto ed il dovere dei genitori oppure, se del caso, dei rappresentanti legali
del bambino, di guidare quest'ultimo nello esercizio del summenzionato diritto in maniera
che corrisponda allo sviluppo delle sue capacità. 3. La libertà di manifestare la propria
331
332
La disposizione è stata introdotta dal relatore nel testo unificato da lui elaborato.
L. 27 maggio 1991, n. 176, Ratifica ed esecuzione della convenzione sui diritti del fanciullo,
fatta a New York il 20 novembre 1989.
276
PROGETTI IN MATERIA DI LIBERTÀ RELIGIOSA
religione o convinzioni può essere soggetta unicamente alle limitazioni prescritte dalla
legge, necessarie ai fini del mantenimento della sicurezza pubblica, dell'ordine pubblico,
della sanità e della moralità pubbliche, oppure delle libertà e diritti fondamentali
dell'uomo”.
Il comma 3 della disposizione in esame riconosce peraltro al minore al di
sopra dei quattordici anni la possibilità di compiere autonomamente le scelte
pertinenti all’esercizio del diritto di libertà religiosa. In base all’art. 316 c.c.,
esplicitamente fatto salvo dalla norma, tuttavia, entrambi i coniugi possono
paritariamente influire sull’educazione religiosa dei figli ed in caso di disaccordo
che non sia composto nell’ambito familiare, potrà adirsi il Tribunale per i minori.
Tale facoltà è ribadita nel comma 2 della disposizione, ove si precisa che il
giudice decide “tenendo conto dell’interesse del minore”.
L’articolo 9 reca, al comma 1 una disposizione di ordine generale inerente
all’insegnamento scolastico nel suo complesso333, che deve svolgersi “nel
rispetto della libertà di coscienza e di religione e della pari dignità […] senza
distinzione di religione”. Il successivo comma stabilisce che, nell’ambito delle
attività di promozione culturale, sociale e civile previste dall’ordinamento
scolastico vigente, gli alunni e i genitori possano chiedere agli organi competenti
di svolgere “libere attività complementari” attinenti al fenomeno religioso, con
l’esclusione di oneri aggiuntivi a carico delle amministrazioni interessate.
Con una disposizione introdotta nel testo unificato, il comma 3 rinvia, per la
disciplina dei requisiti per il riconoscimento della parità alle scuole non statali di
ispirazione religiosa, alla normativa vigente in materia, e, in particolare, alla L.
62/2000334.
Il libero svolgimento di altre attività ricollegabili all’esercizio della libertà
religiosa, quali le affissioni e la distribuzione di pubblicazioni, o le collette
effettuate all’interno ed all’ingresso dei luoghi di culto, è garantito dall’articolo 10,
che riprende in sostanza i contenuti di disposizioni attualmente contenute nella
legislazione sui “culti ammessi”. In particolare, l’art. 3 del R.D. 289/1930335
consente ai ministri dei culti ammessi (attualmente, delle confessioni che non
hanno stipulato intese) di pubblicare ed affiggere nell’interno ed alle porte
esterne degli edifici destinati al proprio culto gli atti riguardanti il governo
spirituale dei fedeli, senza particolare licenza dell’autorità di pubblica sicurezza e
con esenzione dalle tasse. L’art. 4 del R.D. 289 consente poi che siano
333
334
335
Nel testo dell’A.C. 36 e dell’A.C. 134 la disposizione – contenuta nell’art. 12 - si riferiva alle sole
scuole pubbliche. Il campo di applicazione della disposizione è inoltre stato esteso anche ai
docenti e al personale amministrativo ausiliario.
L. 10 marzo 2000, n. 62, Norme per la parità scolastica e disposizioni sul diritto allo studio e
all'istruzione.
R.D. 28 febbraio 1930 n. 289, Norme per l'attuazione della L. 24 giugno 1929, n. 1159, sui culti
ammessi nello Stato e per coordinamento di essa con le altre leggi dello Stato.
277
SCHEDE DI APPROFONDIMENTO
effettuate, senza alcuna ingerenza delle autorità civili, collette all’interno ed
all’ingresso degli edifici di culto.
L'articolo 11, introdotto dal testo unificato, prevede che il servizio pubblico
radiotelevisivo debba realizzare un effettivo pluralismo in materia religiosa ed
assicurare adeguato spazio alle diverse confessioni religiose, demandando al
contratto di servizio l'individuazione delle specifiche modalità per la realizzazione
di dette finalità.
L’articolo 12 è volto ad attuare il principio della libertà di organizzazione
confessionale, sancendo in via generale la libertà per i ministri di culto di
svolgere il loro ministero spirituale senza ingerenze da parte dello Stato (comma
1).
Con una rilevante innovazione rispetto ai testi dell'A.C. 36 e dell'A.C. 134 (i
quali affrontavano la materia nell'articolo 10), il testo unificato adottato dalla I
Commissione introduce (co. 2-3) una disciplina del riconoscimento della
qualifica di ministro di culto applicabile alle confessioni religiose ed ai loro
enti esponenziali che non siano iscritti nel registro delle confessioni religiose
istituito dall'articolo 16 del provvedimento (sul quale v. infra).
Per poter godere dello status di ministri di culto, i religiosi delle confessioni
non iscritte nel registro devono, infatti, essere iscritti un apposito elenco tenuto
dal Ministro dell'interno. Ai fini dell'iscrizione, il testo unificato richiede che il
ministro di culto sia in possesso della cittadinanza italiana e che lo statuto
della sua confessione religiosa non sia in contrasto con i principi
dell'ordinamento italiano. La disciplina dell'iscrizione nel registro è rimessa ad
un regolamento ministeriale, da adottare entro un anno, previo parere delle
competenti Commissioni parlamentari.
Per i ministri di culto delle confessioni iscritte nel registro delle
confessioni religiose e, pertanto, in possesso della personalità giuridica, si
prevede invece (co. 4) che essi possano compiere atti destinati ad avere
rilevanza giuridica nello Stato (ad esempio, la celebrazione di matrimoni)
purché abbiano cittadinanza italiana e abbiano depositato presso la Prefettura
una certificazione, rilasciata dalla confessione di appartenenza, che attesti la
qualifica rivestita.
Il testo unificato presenta due ulteriori innovazioni rispetto a quanto previsto
nelle proposte di legge esaminate dalla I Commissione, prevedendo che:
ƒ la condanna ad una pena detentiva con una sentenza passata in
giudicato comporta la perdita dei benefici connessi allo stato di ministro di
culto, salvi i diritti previdenziali già maturati (co. 5);
ƒ la disciplina prevista per i ministri di culto si applichi anche ai soggetti ad
essi equiparabili in base agli statuti delle rispettive confessioni religiose (co.
6).
278
PROGETTI IN MATERIA DI LIBERTÀ RELIGIOSA
L'inserimento di tale disposizione di chiusura pare doversi porre in relazione
alla problematiche, più volte ricordate nel corso dell'attività conoscitiva e del
dibattito parlamentare, emerse con riferimento all'identificazione dei soggetti ai
quali può essere riconosciuta la qualifica di “ministro di culto”336 in alcune
confessioni religiose (in molti interventi si è, ad esempio, sottolineato come detta
qualifica non potrebbe essere riconosciuta nella religione islamica agli imam)337.
L'articolo 13 reca una disposizione di principio in materia di cimiteri e
crematori che non trova corrispondenza nei testi dell'A.C. 36 e dell'A.C. 134,
prevedendo che tali strutture siano dotate di sale che consentano di rispettare i
diversi riti di commemorazione dei defunti.
Con riferimento all'esercizio della libertà religiosa e delle pratiche di culto in
particolari condizioni, l’articolo 14, al comma 1, afferma il principio secondo cui
l’appartenenza alle Forze armate, alle Forze di polizia o ad altri servizi
assimilati, la degenza in ospedali, case di cura e di assistenza o la permanenza
in istituti di prevenzione e pena nonché in altre strutture nelle quali sia limitata
la libertà personale338.
I successivi commi – i quali nel testo adottato dalla I Commissione presentano
una articolazione più ampia che nei testi delle originarie proposte di legge prevedono quindi che siano garantiti:
ƒ la periodica assistenza spirituale in locali idonei anche sotto il profilo della
riservatezza (co. 2);
ƒ l’adempimento delle prescrizioni religiose in materia alimentare e di
astensione dal lavoro nella misura in cui ciò sia compatibile con il
funzionamento delle strutture e comunque senza maggiori oneri per la finanzia
pubblica (co. 3);
ƒ la possibilità di esporre simboli o immagini della propria religione nella stanza
o nello spazio a ciascuno spettante (co. 4);
336
337
338
In dottrina si rileva come la qualifica di “ministro di culto” sia propria dell'ordinamento statuale e
rappresenti in sostanza una norma “in bianco” con la quale si fa riferimento a quanti nell'ambito
delle diverse confessioni rivestano una posizione differenziata rispetto a quella del semplice
fedele.
Sul punto v. ad esempio l’intervento di Mario Scialoja, componente della Consulta per l’Islam
italiano, nell’audizione di mercoledì 10 gennaio 2007, il quale evidenziava come “nell'Islam,
come d'altra parte nell'ebraismo, la figura del ministro di culto non esiste. Nell'Islam non
esistono riti religiosi o liturgie, come nel cristianesimo e anche in altre religioni; il ministro del
culto, da noi, è l'imam, che è un laico qualsiasi. Spesso, nelle varie comunità sparse per l'Italia,
è il proprietario del piccolo ristorante, il titolare della piccola impresa, il proprietario di un
negozio che organizza una sala di preghiera nel proprio retrobottega o in un sottosuolo affittato
o da qualche altra parte. Quindi, parlare solamente di ministri di culto e dei diritti e dei doveri
che questi hanno potrebbe, nel caso dell'Islam, creare delle difficoltà, da parte non certamente
dell'autorità governativa o della magistratura, ma delle autorità locali”.
Tale ultima precisazione è stata inserita nel testo unificato del relatore.
279
SCHEDE DI APPROFONDIMENTO
ƒ
in caso di decesso, la celebrazione di esequie in locali idonei ad opera di
ministro di culto della religione indicata dal coniuge, dal convivente o, in
mancanza, da un parente del defunto (co. 5).
Il comma 6 demanda le specifiche modalità di attuazione della norma, a
regolamenti ministeriali da emanare ai sensi dell’art. 17, co. 3, della legge 23
agosto 1988, n. 400, previo parere delle competenti Commissioni parlamentari,
prevedendo che essi debbano assicurare un ragionevole bilanciamento tra le
esigenze organizzative delle strutture e la salvaguardia dei diritti inviolabili degli
interessati.
L'articolo 15 dispone in ordine all’esercizio della libertà religiosa in ambito
lavorativo, riprendendo e ampliando le norme recate dall’articolo 9 dell’A.C. 36 e
dell’A.C. 134.
Il comma 1, introdotto nel testo unificato, prevede un generale divieto di
discriminazione per motivi religiosi in tutti i rapporti di lavoro, facendo salve le
differenze di trattamento ammesse dalla legislazione che ha recepito la
normativa comunitaria in materia339. Il successivo comma 3, anche esso non
presente nei testi delle proposte di legge, sanziona con la nullità gli atti compiuti
in violazione del divieto di discriminazione, con conseguente responsabilità per i
danni patrimoniali e non patrimoniali causati340.
Il comma 2, dopo aver previsto la garanzia dell’adempimento dei doveri
essenziali del culto nel lavoro domestico341, opera un generale rinvio alla
legislazione vigente con riguardo a vari aspetti della tutela della libertà
religiosa nei luoghi di lavoro. Il rinvio si riferisce, in particolare, ai seguenti
aspetti:
ƒ il divieto di discriminazioni per motivi religiosi all’atto dell’assunzione342;
ƒ il divieto di licenziamento determinato da ragioni di fede religiosa nei luoghi di
lavoro e la nullità di patti o atti diretti a fini di discriminazione religiosa343;
ƒ il divieto di indagine sulle opinioni religiose344.
339
340
341
342
343
344
D.Lgs. 9 luglio 2003, n. 216, Attuazione della direttiva 2000/78/CE per la parità di trattamento in
materia di occupazione e di condizioni di lavoro.
Al riguardo, si ricorda che l’art. 15 del c.d. “statuto dei lavoratori” (L. 300/1970), come modificato
da ultimo con il D.Lgs. 216/2003 prevede la nullità patti o atti diretti a fini di discriminazione
politica, religiosa, razziale, di lingua o di sesso, di handicap, di età o basata sull'orientamento
sessuale o sulle convinzioni persona. Per la previsione del risarcimento del danno, anche non
patrimoniale v. l’art. 4 dello stesso D.Lgs. 216/2003.
In materia, la norma fondamentale è l’art. 6 della L. 2 aprile 1958 n. 339, Per la tutela del
rapporto di lavoro domestico, che impone al datore di lavoro di “lasciare al lavoratore il tempo
necessario per adempiere agli obblighi civili ed ai doveri essenziali del suo culto”.
Sul punto v. l’art. 3 del D.Lgs. 216/2003.
Al riguardo si ricorda, in particolare, che l’art. 3 della L. 11 maggio 1990 n. 108, Disciplina dei
licenziamenti individuali, dispone la nullità del licenziamento determinato da ragioni
discriminatorie, indipendentemente dalla motivazione addotta. Per la nullità dei patti e degli atti
discriminatori v. le norme richiamate supra.
Un divieto di indagini è previsto all’art. 8 dello statuto dei lavoratori (L. 300/1970). Come già
ricordato, le convinzioni religiose rientrano tra i dati sensibili di cui all’art. 4 del Codice in materia
di protezione dei dati personali, che possono essere oggetto di trattamento solo con il consenso
280
PROGETTI IN MATERIA DI LIBERTÀ RELIGIOSA
Il comma 4 rimette, invece, ai contratti collettivi e individuali di lavoro il
compito di garantire l’esercizio della libertà religiosa nelle sue varie espressioni.
Il comma 5 menziona specificamente la macellazione rituale in conformità a
prescrizioni religiose, rinviando alla legislazione nazionale e comunitaria vigente
in materia. Con una precisazione introdotta dal testo unificato, si prevede che
l'eventuale certificazione richiesta a fini religiosi non possa determinare
limitazioni non ragionevoli e sproporzionate alla concorrenza e alla libertà di
circolazione delle merci.
Riconoscimento della personalità giuridica (Capo II)
Gli articoli da 16 a 20 disciplinano l’iter procedurale finalizzato al
riconoscimento della personalità giuridica delle confessioni religiose: ai sensi di
tale disciplina normativa, le confessioni “prive di intesa” possono dunque
richiedere, direttamente o per il tramite di un proprio ente esponenziale, il
riconoscimento della personalità giuridica.
Quanto ai modi di acquisto della personalità giuridica, la disciplina prevista
dall’articolo 16 innova rispetto al contenuto delle proposte che sono alla base
del testo unificato e alla procedura finora adottata per il riconoscimento di tutti i
nuovi enti, cattolici e non cattolici, a carattere unitario e su base nazionale: si
stabilisce al riguardo che l’acquisto della personalità giuridica consegua
all’iscrizione in uno specifico registro delle confessioni religiose, istituito dal
provvedimento in esame.
La disciplina generale del riconoscimento di persone giuridiche private,
essenzialmente contenuta nel codice civile e nelle relative disposizioni di attuazione, è
stata delegificata ad opera del D.P.R. 361/2000345, ai sensi del quale “le associazioni, le
fondazioni e le altre istituzioni di carattere privato acquistano la personalità giuridica
mediante il riconoscimento determinato dall'iscrizione nel registro delle persone
giuridiche, istituito presso le prefetture” (art. 1, co. 1). È peraltro fatta salva (art. 9) la
disciplina degli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti in base alla legge 20 maggio
1985, n. 222, e degli enti civilmente riconosciuti in base alle leggi di approvazione di
intese con le confessioni religiose ai sensi dell'art. 8, terzo comma, Cost. (per i quali è
comunque prevista l’iscrizione nel registro delle persone giuridiche), nonché le altre
norme speciali derogatorie rispetto alla disciplina generale delle persone giuridiche.
La legislazione vigente sui c.d. culti ammessi, recata dalla citata L. 1159/1929 (art. 2)
stabilisce che: “Gli istituti di culti diversi dalla religione dello Stato possono essere eretti in
345
scritto dell’interessato e previa autorizzazione del Garante. Come già osservato, tale
disposizione non si applica ai dati relativi agli aderenti alle confessioni religiose e ai soggetti che
con riferimento a finalità di natura esclusivamente religiosa hanno contatti regolari con le
medesime confessioni, che siano trattati dai relativi organi o enti civilmente riconosciuti, sempre
che i dati non siano diffusi o comunicati fuori delle medesime confessioni (art. 26, D.Lgs.
196/2003).
D.P.R. 10 febbraio 2000, n. 361, Regolamento recante norme per la semplificazione dei
procedimenti di riconoscimento di persone giuridiche private e di approvazione delle modifiche
dell'atto costitutivo e dello statuto (n. 17 dell'allegato 1 della L. 15 marzo 1997, n. 59).
281
SCHEDE DI APPROFONDIMENTO
ente morale, con regio decreto su proposta del Ministro per la giustizia e gli affari di culto,
di concerto col Ministro per l'interno, uditi il Consiglio di Stato e il Consiglio dei ministri”.
Per quanto riguarda gli enti cattolici, l’art. 1 della L. 20 maggio 1985, n. 222, prevede che:
“Gli enti costituiti o approvati dall'autorità ecclesiastica, aventi sede in Italia, i quali
abbiano fine di religione o di culto, possono essere riconosciuti come persone giuridiche
agli effetti civili con decreto del Presidente della Repubblica, udito il parere del Consiglio
di Stato”.
Analogamente, l’A.C. 36 e l’A.C. 134 prevedevano invece una procedura di acquisto
della personalità giuridica attraverso un decreto del Presidente della Repubblica, su
proposta del Ministro dell’interno, previo parere obbligatorio del Consiglio di Stato.
L’iscrizione nel registro è disposta con decreto del Ministro dell’interno, il
quale può richiedere in casi dubbi un parere al Consiglio di Stato, che si
esprime entro 60 giorni dalla richiesta.
L’articolo 17 dispone che l’istanza di riconoscimento sia corredata dello
statuto e di una documentazione (i cui contenuti sono definiti dall’articolo 18) e
prevede – con una disposizione innovativa rispetto alla normativa vigente e alle
proposte iniziali – specifici termini per la conclusione del procedimento: (il
decreto deve infatti intervenire entro 120 giorni dal ricevimento dell’istanza, salva
una proroga di 60 giorni nel caso sia richiesto il parere del Consiglio di Stato) e
introducendo una ipotesi di silenzio-accoglimento nel caso di infruttuoso
decorso del termine. In linea con i principi generali in materia di procedimento
amministrativo, si prevede che la decisione di rigetto debba essere
adeguatamente motivata.
Quanto ai requisiti per l’iscrizione nel registro, l’articolo 18 – nel rinviare per
quanto non previsto alla disciplina civilistica - prevede che:
ƒ la confessione o l’ente esponenziale abbia sede in Italia e sia rappresentata
da un cittadino italiano residente nel nostro Paese;
ƒ lo statuto e i documenti allegati rechino le indicazioni necessarie
all’identificazione della confessione (denominazione e sede); le norme relative
all’organizzazione, all’amministrazione o al funzionamento e agli elementi
essenziali della confessione; elementi per valutare la stabilità anche
economica della confessione o dell’ente in relazione alle finalità perseguite;
ƒ lo statuto e gli elementi essenziali della confessione non debbano essere in
contrasto con i diritti fondamentali previsti dalla Costituzione e con i principi
dell’ordinamento giuridico italiano.
L’articolo 19 disciplina invece gli effetti della trascrizione nel registro,
precisando in particolare le indicazioni che debbono essere fornite in ordine ai
poteri di rappresentanza ed alle norme essenziali di funzionamento.
Quanto alla capacità giuridica riconosciuta alle confessioni iscritte nel registro
si prevede che essa sia disciplinata dalle disposizioni del codice civile in materia
di associazioni e fondazioni ove non espressamente oggetto di deroga.
282
PROGETTI IN MATERIA DI LIBERTÀ RELIGIOSA
L’articolo 20 prevede che le modificazioni dello statuto della confessione o
dell’ente esponenziale riconosciuti siano comunicate al Ministro dell’interno per la
pubblicazione nel registro ai fini della loro opponibilità a terzi.
Qualora intervenga un mutamento che implichi la perdita di uno dei requisiti
prescritti per il riconoscimento, quest’ultimo è revocato con le stesse modalità
procedurali precedentemente richiamate. Il parere del Consiglio di Stato in
questo caso ha tuttavia carattere obbligatorio.
L’articolo 21 introduce inoltre – con una disposizione che ha carattere
innovativo rispetto al contenuto delle proposte che sono alla base del testo
unificato e alla disciplina vigente – una nuova categoria di enti a carattere
religioso, quella degli enti confessionali civilmente riconosciuti.
Possono acquisire la personalità giuridica, con le modalità che saranno
previste per tale nuova categoria di enti da un regolamento ministeriale da
emanare entro un anno, le associazioni e le fondazioni che abbiano finalità
prevalenti e costitutive di religione o di culto e siano collegate a una confessione
iscritta nel registro delle confessioni che ne abbia approvato lo statuto.
In attuazione dell’art. 20 Cost. (che vieta trattamenti speciali restrittivi nei
confronti di associazioni ed istituzioni aventi “carattere ecclesiastico” e “fine di
religione o di culto”), il comma 2 dell’articolo 21 prevede invece che le altre
associazioni e fondazioni con finalità di religione e di culto possano ottenere
il riconoscimento della personalità giuridica secondo le norme del diritto comune
e ad esse si applichi la disciplina prevista per le persone giuridiche private; tale
ultimo rinvio non opera peraltro, secondo quanto specificato dall’articolo in
esame, per quanti attiene alle attività di religione o di culto.
Diritti delle confessioni religiose iscritte nel registro delle confessioni
(Capo III)
Gli articoli 22-29 del testo unificato adottato dalla Commissione disciplinano
lo status delle confessioni religiose che, in base alla nuova disciplina introdotta,
siano iscritte nel registro delle confessioni religiose, riprendendo e ampliando le
disposizioni previste nei testi dell’A.C. 36 e dell’A.C. 134 riferite alle confessioni
che avessero conseguito la personalità giuridica in base al procedimento ivi
previsto.
Più in particolare, l’articolo 22 costituisce una norma di mero rinvio,
specificando che le norme relative alla capacità delle confessioni religiose iscritte
nel registro di effettuare acquisisti, vendite e di perfezionare negozi giuridici sono
contenute nelle successive disposizioni del Capo III, mentre nel Capo IV è
regolata la materia matrimoniale.
Con riferimento agli edifici di culto, il comma 1 dell’articolo 23 innova
rispetto ai testi delle proposte all’esame della Commissione, prevedendo che le
283
SCHEDE DI APPROFONDIMENTO
confessioni religiose iscritte nel registro che abbiano una presenza organizzata in
un comune possano adibire al culto edifici esistenti di cui sia cessata la
precedente destinazione ovvero costruire nuovi edifici a tale scopo anche
derogando alle norme urbanistiche ove queste siano “irragionevolmente
limitative”, purché sia rispettata la disciplina vigente in materia di parametri
urbanistici, di sicurezza e di accessibilità per gli edifici aperti al pubblico.
Al comma 2 è invece previsto - come già nei testi delle proposte originarie –
che alle confessioni religiose iscritte nel registro si applichino le norme sulla
concessione e locazione degli immobili demaniali e patrimoniali dello Stato e
degli enti locali vigenti per gli enti ecclesiastici, nonché di quelle che regolano la
disciplina urbanistica dei servizi religiosi e l’utilizzo di fondi per gli interventi di
costruzione, restauro e conservazione di edifici aperti al culto.
La disciplina relativa alla concessione dei beni demaniali e patrimoniali dello Stato agli
enti ecclesiastici è recata dal D.P.R. 296/2005346 (artt. 23-28). Le norme ivi previste sono
applicabili agli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti, della Chiesa cattolica e delle altre
confessioni religiose, i cui rapporti con lo Stato siano regolati in base ad intese, ai sensi
dell’art. 8 Cost..
A tutela della destinazione degli edifici aperti al culto di confessioni religiose
iscritte nel registro si prevedono inoltre limitazioni a una serie di interventi
pubblici (occupazione, requisizione, espropriazione, demolizione), che sono
possibili solo per gravi motivi e sentite le confessioni stesse. Si precisa poi – con
una disposizione introdotta nel testo unificato – che detti edifici non possono
essere sottratti alla loro destinazione al culto neppure attraverso alienazioni
fino a che la destinazione non sia cessata con il consenso della confessione
stessa (art. 23, co. 4).
Con una ulteriore disposizione di garanzia introdotta nel testo unificato, si
prevede inoltre che la forza pubblica non possa accedere negli edifici aperti al
culto pubblico delle confessioni iscritte nel registro senza un preavviso ed un
accordo con l’autorità religiosa competente (art. 23, co. 5).
Il comma 6 dispone infine che gli edifici di culto costruiti con contributi
regionali o comunali non possano essere sottratti alla propria destinazione
prima che siano trascorsi 20 anni dalla erogazione del contributo, pena la nullità
degli atti e dei negozi in violazione del vincolo di destinazione.
L’articolo 24 reca disposizioni sul trattamento delle salme e sulla sepoltura
dei defunti, i quali possono essere effettuati secondo il rito della confessione
iscritta nel registro, compatibilmente con le norme di polizia mortuaria. È
esplicitamente fatto salvo l’art. 100 del regolamento di polizia mortuaria347, ai
346
347
D.P.R. 13 settembre 2005 n. 296, Regolamento concernente i criteri e le modalità di
concessione in uso e in locazione dei beni immobili appartenenti allo Stato.
D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285.
284
PROGETTI IN MATERIA DI LIBERTÀ RELIGIOSA
sensi del quale i piani regolatori cimiteriali possono prevedere reparti speciali e
separati per la sepoltura di cadaveri di persone professanti un culto diverso da
quello cattolico.
Quanto al regime previdenziale, l’articolo 25 prevede – a decorrere dal 1°
gennaio dell’anno successivo all’entrata in vigore della legge - l’obbligo di
iscrizione al “Fondo di previdenza per il clero secolare e per i ministri di culto
delle confessioni religiose diverse dalla cattolica di cui all’art. 42, co. 6, della L.
488/1999348 per i ministri di culto delle confessioni religiose iscritte nel registro, a
condizione che essi risiedano in Italia e siano cittadini italiani.
Attualmente tale disposizione prevede che siano iscritti al Fondo i sacerdoti e
ministri di culto non aventi cittadinanza italiana e presenti in Italia al servizio di
diocesi italiane e delle Chiese o enti acattolici riconosciuti, nonché i sacerdoti e
ministri di culto aventi cittadinanza italiana, operanti all'estero al servizio di
diocesi italiane e delle Chiese o enti acattolici riconosciuti
In precedenza, l’art. 5 della L. 903/1973349 aveva peraltro già stabilito che sono
soggetti all’obbligo dell’iscrizione al Fondo tutti i sacerdoti secolari, nonché tutti i ministri
di culto delle confessioni religiose diverse dalla cattolica aventi cittadinanza italiana,
residenti in Italia, dal momento della loro ordinazione sacerdotale o dall’inizio del
ministero di culto in Italia fino alla data di decorrenza della pensione di vecchiaia ovvero
della pensione di invalidità; disposizioni particolari sono dettate per i funzionari di culto
delle comunità ebraiche.
L’articolo 26 rinvia per l’amministrazione ordinaria e straordinaria del
patrimonio delle confessioni religiose iscritte nel registro o dei loro enti
esponenziali alle rispettive norme statutarie, purché ci si muova nell’ambito dei
leggi civili concernenti le persone giuridiche, in ossequio all’articolo 20 Cost. che
vieta speciali limitazioni in ragione del carattere ecclesiastico o del fine di
religione o di culto di associazioni e fondazioni.
L’articolo 27 opera una distinzione tra le attività di religione e le altre
attività: riprendendo una ripartizione già invalsa nella legislazione ecclesiastica
(art. 16 della L. 222/1985350), agli effetti civili, sono ricomprese nella prima
categoria le attività “dirette all’esercizio del culto e alla celebrazione dei riti, alla
formazione dei ministri di culto, a scopi missionari e di diffusione della fede e alla
educazione religiosa”. Rientrano nella sfera delle altre attività, quelle di
348
349
350
L. 23 dicembre 1999 n. 488, Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale
dello Stato. (Legge finanziaria 2000).
L. 22 dicembre 1973, n. 903, Istituzione del Fondo di previdenza del clero e dei ministri di culto
delle confessioni religiose diverse dalla cattolica e nuova disciplina dei relativi trattamenti
pensionistici.
L. 20 maggio 1985, n. 222, Disposizioni sugli enti e beni ecclesiastici in Italia e per il
sostentamento del clero cattolico in servizio nelle diocesi.
285
SCHEDE DI APPROFONDIMENTO
“assistenza e beneficenza, istruzione, educazione e cultura, e, in ogni caso, le
attività commerciali o a scopo di lucro”.
Quanto agli aspetti tributari, l’articolo 28 dispone direttamente
l’equiparazione delle confessioni religiose iscritte nel registro e dei loro enti
esponenziali aventi fine di religione, o di culto, nonché delle attività dirette a tali
scopi, agli enti ed alle attività aventi finalità di beneficenza o di istruzione.
Per le altre attività svolte, si stabilisce che resta valido il regime vigente, ivi
compreso quello tributario.
All’articolo 29 il testo unificato introduce due disposizioni che recano
agevolazioni fiscali in favore delle confessioni iscritte nel registro non previste
nelle originarie proposte di legge. In particolare si prevede:
ƒ l’equiparazione alle ONLUS delle confessioni iscritte nel registro, nonché
delle associazioni con finalità di religione e di culto, ai fini della destinazione
del 5 per mille dell’imposta sul reddito delle persone fisiche351;
ƒ la deducibilità, fino all’importo di 1.000 euro, delle erogazioni liberali in
favore delle confessioni iscritte nel registro352.
Matrimonio religioso con effetti civili (Capo IV)
II IV Capo del testo adottato dalla I Commissione (articoli 30-33) contiene la
disciplina del riconoscimento degli effetti civili al matrimonio religioso
celebrato dai ministri di culto delle confessioni iscritte nel registro delle
351
352
Al riguardo, si ricorda che l’art. 3, commi 5-8, della legge finanziaria 2008 (L. 244/2007) hanno
previsto che anche per l’esercizio finanziario 2008, trovi applicazione la misura relativa alla
destinazione del cinque per mille dell’imposta sul reddito, innovandone parzialmente la
disciplina rispetto a quanto già disposto per l’esercizio 2007 dai commi 1234-1237 della legge
finanziaria 2007 (L.. 296/2006). In particolare, anche a seguito delle modifiche introdotte dal
D.L. 248/2007, si prevede che le risorse siano destinante a:
ƒ sostegno:
- delle organizzazioni non lucrative di utilità sociale (ONLUS);
- delle associazioni di promozione sociale iscritte nei registri nazionale, regionale e
provinciale;
- delle associazioni riconosciute che senza scopo di lucro operano in via esclusiva o
prevalente nei settori indicati dall'articolo 10, comma 1, lettera a), del decreto legislativo 4
dicembre 1997, n. 460;
- delle fondazioni nazionali di carattere culturale;
- delle associazioni sportive dilettantistiche riconosciute ai fini sportivi dal CONI a norma di
legge.
ƒ finanziamento agli enti della ricerca scientifica e dell’università e agli enti della ricerca sanitaria.
Attualmente l’art. 10, co. 1, lett. i) ed l), del T.U.I.R. (Testo unico sull’imposta dei redditi,
approvato con il D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917) prevede la deducibilità delle erogazioni
liberali in denaro – fino ad un massimo di 1.032,91 euro – a favore dell’Istituto centrale per il
sostentamento del clero della Chiesa cattolica italiana, nonché delle erogazioni liberali a favore
di alcune confessioni religiose che hanno stipulato intese con lo Stato italiano (Avventisti,
Assemblee di Dio, Tavola valdese).
286
PROGETTI IN MATERIA DI LIBERTÀ RELIGIOSA
confessioni religiose, cui nel testo degli A.C. 36 e 134 era dedicato un solo
articolo353.
Una prima innovazione è rappresentata dalla stessa definizione adottata: il
testo qualifica, infatti, in modo espresso anche il matrimonio celebrato da un
ministro di una confessione che non abbia stipulato una intesa come matrimonio
religioso con effetti civili.
Attualmente, infatti, la dottrina non è concorde sulla natura da attribuire al matrimonio
celebrato, in base alla legislazione vigente, davanti ai ministri delle confessioni religiose
che non abbiano stipulato una intesa. Mentre per taluni si tratterebbe di un matrimonio
religioso rilevante agli effetti civili, per altri si configurerebbe un matrimonio civile
celebrato in forma a speciale e per altri ancora si tratterebbe di un tertium genus di
matrimonio.
Le intese stipulate prevedono invece espressamente il riconoscimento degli effetti
civili ai matrimoni celebrati davanti ai ministri di culto delle religioni che hanno stipulato
l’intesa, secondo formule che riprendono quelle contenute nell’Accordo del 18 febbraio
1984 tra lo Stato e la Santa Sede.
Intervenendo su un profilo che è stato al centro di particolare attenzione anche
nel corso dell’attività conoscitiva l’articolo 32, co. 2, del testo base adottato
prevede che la lettura degli articoli del codice civile relativi ai diritti e ai doveri
dei coniugi debba essere effettuata in modo solenne dal ministro di culto all’atto
della celebrazione del matrimonio prima della raccolta del consenso dei
nubendi.
I testi delle proposte di legge da cui trae origine il testo unificato davano invece alla
confessione religiosa interessata la possibilità di scegliere se la lettura delle disposizioni
civilistiche dovesse avvenire nel corso della cerimonia ovvero essere effettuata
dall’ufficiale dello stato civile al momento della richiesta delle pubblicazioni.
Si precisa inoltre, con una disposizione che non era contenuta nel testi delle
proposte originarie, che l’omissione della lettura delle disposizioni del codice
civile costituisce causa di intrascrivibilità del matrimonio e di nullità della
trascrizione eventualmente effettuata (art. 32, co. 3).
Si stabilisce altresì (art. 32, co. 4) che il ministro di culto possa raccogliere le
dichiarazioni che la legge consente siano incluse nell’atto di matrimonio, e cioè le
dichiarazioni in ordine alla scelta del regime patrimoniale della famiglia e alla
legittimazione di figli naturali354.
Quanto agli altri profili procedurali, rimane sostanzialmente confermata la
disciplina prevista nelle proposte di legge da cui trae origine il testo unificato.
353
354
Si tratta, in particolare, dell’art. 11 di entrambe le proposte di legge.
Si tratta di una disposizione già contenuta in alcune intese. (v. ad esempio, nell’intesa con
l’Unione delle Comunità ebraiche (art. 14, co. 4, L. 8 marzo 1989, n. 101, Norme per la
regolazione dei rapporti tra lo Stato e l'Unione delle Comunità ebraiche italiane). in ogni caso,
già a legislazione vigente si ritiene che l’atto di matrimonio possa contenere tali dichiarazioni.
287
SCHEDE DI APPROFONDIMENTO
Ai sensi dell’art. 31, dopo aver provveduto alle pubblicazioni da parte dei nubendi,
l’ufficiale di stato civile rilascia loro un nulla osta (in duplice originale) dal quale risulti tra
l’altro l’inesistenza d’impedimenti al matrimonio.
Ai sensi dell’art. 33 il ministro di culto, dopo aver celebrato il matrimonio, trasmette il
relativo certificato – cui è allegato il nulla osta – all’ufficiale di stato civile (entro e non
oltre cinque giorni dalla celebrazione); la trascrizione del matrimonio deve essere
effettuata entro il giorno successivo alla ricezione di detta documentazione.
Indipendentemente dalla tempestività della trascrizione, gli effetti civili del matrimonio
decorrono in ogni caso dalla celebrazione.
Stipulazione di intese (capo V)
Il Capo V (articoli 34-43) del testo adottato dalla I Commissione (Affari
costituzionali) della Camera riprendendo con limitate innovazioni i contenuti delle
disposizioni che nei progetti di legge originari erano recate negli articoli 27-36,
introduce una puntuale disciplina della procedura per la stipulazione delle intese
previste dall’articolo 8 Cost.
Il procedimento proposto per la stipulazione delle intese, che si applica anche
a eventuali modifiche delle intese stesse (art. 43) ricalca sostanzialmente quello
che si è andato affermando nella prassi (vedi la scheda Le intese con le
confessioni religiose, pag. 292) e si può suddividere in tre fasi:
ƒ la fase preliminare, relativa alle modalità di presentazione della istanza da
parte della confessione religiosa (artt. 34-35);
ƒ la fase di formazione dell’intesa, fino alla firma della stessa (artt. 36-40);
ƒ la fase finale, di perfezionamento dell’intesa con la ratifica parlamentare (artt.
41).
Per quanto riguarda la fase preliminare, il testo in esame - rifacendosi al
procedimento finora utilizzato nella prassi e differenziandosi dalle proposte
iniziali355 - consente la presentazione dell’istanza per la stipulazione dell’intesa
solo alle confessioni religiose aventi personalità giuridica ed iscritte nel
registro delle confessioni. L’istanza deve comunque essere accompagnata anche
dai documenti ed elementi richiesti ai fini dell’iscrizione nel registro delle
confessioni e deve indicare in linea di massima le materie per le quali si richiede
l’adozione dell’intesa (art. 34).
Infine, prima di procedere all’inizio delle trattative per la definizione dell’intesa,
il Presidente del Consiglio – che rappresenta lo Stato nelle trattative - procede ad
una sorta di preistruttoria (“acquisite le necessarie valutazioni”), ed invita
355
Tali proposte prevedevano quale unico requisito per la presentazione dell’istanza che la
confessione fosse dotata di un proprio statuto e che questo non fosse in contrasto con
l’ordinamento giuridico. La richiesta, da presentare al Presidente del Consiglio, doveva peraltro
essere accompagnata della stessa documentazione richiesta per il riconoscimento della
personalità giuridica alle confessioni prive di intesa.
288
PROGETTI IN MATERIA DI LIBERTÀ RELIGIOSA
formalmente la confessione interessata a indicare i propri rappresentanti,
responsabili delle trattative (art. 35-36).
Diversamente da quanto prevedevano le proposte iniziali, si dispone che in
questa fase esprimano altresì le loro propose i due organismi che attualmente
concorrono alla preparazione delle intese:
ƒ la Commissione consultiva per la libertà religiosa, che ha tra l’altro il
compito di procedere alla ricognizione e all’esame dei problemi relativi alla
preparazione di intese con le Confessioni religiose, elaborando orientamenti di
massima in vista della loro stipulazione;
ƒ la Commissione interministeriale per le intese con le confessioni
religiose, che allo stato ha il compito di predisporre le bozze di intesa.
Prende quindi avvio il procedimento vero e proprio di formazione dell’intesa.
Le trattative sono condotte, da parte della confessione religiosa, dai
rappresentanti indicati ai sensi dell’art. 35, e da parte del Governo, da un
sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri, delegato dal
Presidente del Consiglio. La base della trattativa è costituita dalle proposte
formulate da una Commissione paritetica costituita ad hoc (art. 37).
Si tratta di una commissione che rientra tra i gruppi di studio o di lavoro misti, ossia
formati da rappresentanti della pubblica amministrazione e da esperti esterni, che il
Presidente del Consiglio può istituire ai sensi dell’art. 5, co. 2, lett. i) della L. 400/1988356.
La commissione, istituita con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri senza
oneri per il bilancio statale, è composta da:
ƒ un Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio (si tratta di una innovazione
rispetto al testo delle proposte A.C. 36 e A.C. 134);
ƒ il direttore della Direzione centrale degli affari dei culti del Dipartimento per le libertà
civili e l’immigrazione del ministero dell’interno;
ƒ rappresentanti delle amministrazioni interessate con incarico di dirigente generale o
equiparato;
ƒ esperti designati, tra cittadini italiani, dalla confessione religiosa interessata in
numero pari a quello dei funzionari pubblici.
Innovando rispetto ai testi originari, si prevede che il presidente della commissione sia
eletto a maggioranza assoluta dai componenti della commissione stessa.
Al termine delle trattative si giunge ad un progetto di intesa che il
sottosegretario di Stato trasmette al Presidente del Consiglio accompagnato da
una propria relazione (art. 37).
Il progetto di intesa concordato tra il Presidente del Consiglio e la confessione
religiosa viene sottoposto, prima della firma definitiva, ad un duplice controllo: del
Consiglio dei ministri e del Parlamento (art. 38).
Nel primo caso, il Presidente del Consiglio sottopone il progetto di intesa al
Consiglio che è chiamato a deliberare in proposito. Nel secondo caso, il
356
L. 23 agosto 1988, n. 400, Disciplina dell'attività di Governo e ordinamento della Presidenza del
Consiglio dei Ministri.
289
SCHEDE DI APPROFONDIMENTO
Parlamento è informato dal Presidente del Consiglio sui princìpi e contenuti
dell’intesa. Al riguardo, il testo adottato specifica che l’informazione deve
avvenire attraverso “una relazione dettagliata”.
Qualora nell’(eventuale) esame parlamentare o in seno al Consiglio dei
ministri emergano osservazioni ed indirizzi di portata tale da rendere necessaria
la modifica dell’intesa, il testo viene rimesso al sottosegretario di Stato che
riprende le trattative con le stesse procedure sopra viste (art. 39).
Infine, il procedimento si conclude con la firma dell’intesa da parte del
Presidente del consiglio e del rappresentante della confessione religiosa (art.
40).
L’ultima fase consiste nella presentazione al Parlamento da parte del Governo
del disegno di legge di approvazione dell’intesa (art. 41).
L’articolo 42 reca invece una disposizione relativa ad una materia estranea
alla stipulazione delle intese.
Si tratta, infatti, della questione della applicazione di disposizioni di legge
relative a specifiche materie che riguardino i rapporti tra lo Stato e singole
confessioni religiose che hanno personalità giuridica357. In questi casi il progetto
dispone si provveda con decreto del Presidente della Repubblica su richiesta
della confessione e previa intesa (da intendersi nel senso di “concertazione”) con
essa.
Si tratta di una procedura già utilizzata soprattutto nella normativa in vigore in materia
di previdenza.
Disposizioni finali e transitorie (Capo VI)
L’articolo 44 prevede che le confessioni religiose e gli istituti di culto
riconosciuti ai sensi della normativa del 1929 conservino la personalità giuridica;
essi sono tenuti, tuttavia, a richiedere l’iscrizione al registro delle confessioni
religiose entro due anni dalla data di entrata in vigore della legge.
Una analoga conservazione degli effetti di atti adottati in base alla disciplina
previgente è prevista per l’approvazione delle nomine dei ministri di culto, che sino a quando i soggetti interessati mantengano la qualifica loro riconosciuta resta efficace agli effetti giuridici e previdenziali. A questi ministri di culto si
consente – inoltre - con una disposizione introdotta nel testo unificato del relatore
la celebrazione di matrimoni religiosi con effetti civili in base alle disposizioni
introdotte dal provvedimento in esame (art. 44, co. 5).
La norma transitoria, in relazione alle nuove modalità di riconoscimento dei
ministri di culto, salvaguarda il regime giuridico e previdenziale spettante ai
357
La norma, dunque, è diretta sia alle confessioni che hanno stipulato intese, sia a quelle che non
lo hanno fatto.
290
PROGETTI IN MATERIA DI LIBERTÀ RELIGIOSA
ministri di culto la cui nomina sia stata approvata ai sensi della disciplina
previgente.
L’articolo 45 precisa che alle confessioni religiose che siano persone
giuridiche straniere si applicano le norme di cui all’art. 16 delle disposizioni sulla
legge in generale: le persone giuridiche straniere godono pertanto degli stessi
diritti delle persone giuridiche italiane a condizione che abbiano soggettività
giuridica riconosciuta all’estero e che sussista un regime di reciprocità nello Stato
di appartenenza.
E’ comunque prevista la facoltà, per le confessioni che abbiano una “presenza
sociale organizzata”, di presentare domanda di iscrizione nel registro delle
confessioni religiose abbandonando, pertanto, la qualificazione di persone
giuridiche straniere di “diritto comune”.
Gli articoli 46 e 47 dispongono l’abrogazione della L. 1159/1929 e del relativo
regolamento di attuazione (R.D. 289/1930), nonché – con una formula abrogativa
esplicita innominata – di ogni altra disposizione di rango primario o secondario
incompatibile con il provvedimento, delimitando l’applicazione della normativa
contenuta nel testo in esame e mantenendo in vigore le disposizioni di origine
negoziale emanate in attuazione di accordi e Intese già stipulate ai sensi degli
artt. 7 e 8 Cost. e quelle di attuazione di disposizioni di diritto internazionale,
come il già ricordato D.L. 122/1993.
Scompaiono infine dall’ordinamento le espressioni “culti ammessi”,
“confessioni acattoliche” e analoghe definizioni, che vengono sostituite dalla
dizione “confessioni religiose diverse dalla cattolica”.
291
SCHEDE DI APPROFONDIMENTO
DIRITTI E LIBERTÀ: ALTRE INIZIATIVE
LE INTESE CON LE CONFESSIONI RELIGIOSE
La Costituzione sancisce il diritto di professare le proprie convinzioni, anche
religiose. In via generale, l’articolo 3 vieta ogni discriminazione in base a ragioni
legate al sesso alla razza, alla lingua, alle opinioni politiche, alle condizioni
personali e, appunto, alla religione, e l’articolo 21 riconosce a tutti il diritto di
manifestare liberamente il proprio pensiero.
Più in particolare, la libertà religiosa è garantita dall’articolo 19, che stabilisce il
diritto per tutti di professare liberamente la propria fede religiosa, e dall’articolo
20, che vieta l’introduzione di speciali limitazioni legislative o fiscali per le
associazioni religiose.
I rapporti tra lo Stato e le confessioni religiose sono disciplinati dagli articoli 7
e 8 della Costituzione, relativi ai rapporti tra Stato e, rispettivamente, Chiesa
cattolica e confessioni non cattoliche.
I rapporti tra Stato e Chiesa cattolica
L’articolo 7 della Costituzione stabilisce quale sia la reciproca posizione
istituzionale dello Stato e della Chiesa cattolica, affermando che “sono
ciascuno, nel proprio ordine, indipendenti e sovrani”.
Sulla base di quanto disposto dal secondo comma di tale articolo, i rapporti
istituzionali tra lo Stato e la Chiesa cattolica sono disciplinati dai Patti
Lateranensi, stipulati l’11 febbraio 1929 e resi esecutivi con la L. 810/1929358,
nonché dall’Accordo di modificazione del Concordato e dal “Protocollo
addizionale” del 18 febbraio 1984359.
I Patti Lateranensi constavano, nella versione stipulata nel 1929 e parzialmente in
vigore, di:
ƒ un Trattato, che ha restituito in forma simbolica la sovranità della Santa Sede su un
territorio ed ha lo scopo di garantire alla stessa Santa Sede l’assoluta indipendenza
per l’adempimento della sua missione nel mondo. A tal fine il Trattato riconosce alla
Santa Sede sovranità internazionale, creando lo Stato della Città del Vaticano;
ƒ una Convenzione finanziaria, che ha regolato i rapporti finanziari collegati con la
“questione romana” (sorta nel 1870 con l’annessione dello Stato Pontificio e di Roma
358
359
L. 27 maggio 1929, n. 810, Esecuzione del Trattato, dei quattro allegati annessi e del
Concordato, sottoscritti in Roma, fra la Santa Sede e l’Italia, l’11 febbraio 1929.
Entrambi ratificati dalla L. 25 marzo 1985, n. 121, Ratifica ed esecuzione dell’Accordo, con
protocollo addizionale, firmato a Roma il 18 febbraio 1984, che apporta modificazioni al
Concordato lateranense dell’11 febbraio 1929, tra la Repubblica italiana e la Santa Sede.
In proposito, giova ricordare che il secondo comma dell’art. 7 Cost., nell’affidare la
regolamentazione dei rapporti tra Stato e Chiesa cattolica ai Patti lateranensi, stabiliva che per
apportare modificazioni a tali Patti non era necessario il procedimento di revisione
costituzionale, qualora esse fossero accettate da entrambe le parti interessate.
292
LE INTESE CON LE CONFESSIONI RELIGIOSE
all’Italia), liquidando l’indennizzo alla Santa Sede sia per la perdita degli Stati pontifici
che dei beni degli enti ecclesiastici incamerati dallo Stato;
ƒ un Concordato, proposto come necessario completamento del Trattato, riguardante
le condizioni della religione e della Chiesa cattolica in Italia.
La disciplina contenuta nell’Accordo di modificazione è racchiusa in 14 articoli che
riguardano, fra gli altri temi: la libertà della missione della Chiesa, la libertà di
comunicazione e corrispondenza dell’autorità ecclesiastica e quella dei cattolici in materia
di associazione, riunione e manifestazione del pensiero, la libertà per l’autorità
ecclesiastica di nominare i titolari degli uffici ecclesiastici (salvo comunicare all’autorità
statale la nomina degli ufficiali che ricoprano uffici rilevanti per lo Stato, quali vescovi,
parroci, etc.), la regolamentazione degli enti ecclesiastici e la gestione del patrimonio di
questi, il nuovo regime del riconoscimento civile del matrimonio canonico e delle
sentenze ecclesiastiche di nullità del vincolo, la disciplina delle scuole cattoliche parificate
e delle Università cattoliche, nonché dell’insegnamento della religione cattolica nelle
scuole pubbliche.
Il Protocollo addizionale ha lo scopo di assicurare la migliore interpretazione dei
Patti lateranensi ed evitare ogni difficoltà di interpretazione: viene eliminato il riferimento
alla religione cattolica come religione di Stato (contenuta nel Concordato del 1929) e si
disciplina ulteriormente il regime del matrimonio canonico e l’insegnamento della
religione nelle scuole pubbliche.
I rapporti tra Stato e confessioni non cattoliche
I rapporti tra lo Stato e le confessioni religiose non cattoliche (o
acattoliche) sono regolati dall’articolo 8 della Costituzione, che sancisce il
principio di eguale libertà di tutte le confessioni religiose. Viene riconosciuta alle
confessioni non cattoliche l’autonomia organizzativa sulla base di propri statuti, a
condizione che questi non contrastino con l’ordinamento giuridico italiano, ed è
posto il principio secondo il quale i rapporti delle confessioni con lo Stato sono
regolati per legge sulla base di intese con le relative rappresentanze.
Per quanto riguarda l’autonomia organizzativa delle confessioni diverse
dalla cattolica, la Corte costituzionale, con la sentenza 43/1988, ha chiarito che
“al riconoscimento da parte dell’art. 8, secondo comma, Cost., della capacità
delle confessioni religiose, diverse dalla cattolica, di dotarsi di propri statuti,
corrisponde l’abbandono da parte dello Stato della pretesa di fissarne
direttamente per legge i contenuti”. Questa autonomia istituzionale esclude ogni
possibilità di ingerenza dello Stato nell’emanazione delle disposizioni statutarie
delle confessioni religiose che non sia riconducibile ai limiti espressamente
previsti dalla Costituzione. A questo riguardo, tuttavia, la Corte precisa che il
limite al diritto riconosciuto alle confessioni religiose dall’art. 8 Cost. di darsi i
propri statuti, purché ‘non contrastino con l’ordinamento giuridico italiano’ si può
intendere riferito “solo ai principi fondamentali dell’ordinamento stesso e non
anche a specifiche limitazioni poste da particolari disposizioni normative”360.
360
Sulla base di questi principi la Corte ha quindi dichiarato incostituzionali le norme che
disciplinavano i requisiti per l'eleggibilità alla carica di consigliere di una Comunità israelitica.
293
SCHEDE DI APPROFONDIMENTO
Il principio della regolazione con intesa, che, come si è visto, avrebbe dovuto
costituire la forma principale di rapporto con le confessioni non cattoliche, in
realtà è stato attuato solamente a partire dalla metà degli anni ‘80 e riguarda
alcune delle varie confessioni presenti in Italia (vedi oltre).
Attualmente, la disciplina riguardante le confessioni non cattoliche presenti in
Italia è diversa a seconda che queste abbiano o meno proceduto alla
stipulazione di una intesa con lo Stato.
I rapporti tra lo Stato e le confessioni non cattoliche prive di intesa
Per le confessioni prive di intesa trovano tuttora applicazione la legge sui
“culti ammessi” (L. 1159/1929361) e il relativo regolamento di attuazione362.
La legge del 1929 si fonda sul principio della libera ammissione dei culti
diversi dalla religione cattolica “purché non professino princìpi e non seguano riti
contrari all’ordine pubblico o al buon costume”. Entro questi limiti, viene affermata
la libertà di coscienza e di culto in tutte le sue forme e dell’eguaglianza dei
cittadini, qualunque sia la religione da essi professata.
Gli istituti dei culti non cattolici possono essere eretti in ente morale dallo
Stato italiano. Il riconoscimento comporta una serie di vantaggi tra cui la
possibilità dell’ente di culto di acquistare e possedere beni in nome proprio e di
avvalersi di agevolazioni tributarie.
D’altra parte, lo Stato, attraverso il Ministero dell’interno, esercita penetranti
poteri di controllo nei confronti degli enti riconosciuti. In particolare, sono
previste le seguenti misure:
ƒ l’approvazione governativa delle nomine dei ministri di culto, con la
precisazione che “nessun effetto civile può essere riconosciuto agli atti
compiuti da tali ministri se la loro nomina non abbia ottenuto l’approvazione
governativa”;
ƒ l’autorizzazione dell’ufficiale dello stato civile alla celebrazione del matrimonio
con effetti civili davanti ad un ministro di culto non cattolico;
ƒ la vigilanza sull’attività dell’ente, al fine di accertare che tale attività non sia
contraria all’ordinamento giuridico e alle finalità dell’ente medesimo. La
vigilanza include la facoltà di ordinare ispezioni e, in caso di gravi irregolarità,
di sciogliere l’ente e di nominare un commissario governativo per la gestione
temporanea.
Il R.D. 289/1930 non si è limitato a dettare norme per l’attuazione della legge,
ma ha stabilito princìpi nuovi ed in parte più restrittivi. Ad esempio:
361
362
L. 24 giugno 1929, n. 1159, Disposizioni sull’esercizio dei culti ammessi nello Stato e sul
matrimonio celebrato davanti ai ministri dei culti medesimi.
R.D. 28 febbraio 1930, n. 289, Norme per l’attuazione della legge n. 1159/1929, sui culti
ammessi nello Stato e per coordinamento di essa con le altre leggi dello Stato.
294
LE INTESE CON LE CONFESSIONI RELIGIOSE
ƒ è prevista la necessaria autorizzazione con decreto per l’apertura di templi o
oratori,
subordinatamente
all’accertamento,
da
parte
dell’autorità
amministrativa, della necessità di essi “per soddisfare effettivi bisogni religiosi
di importanti nuclei di fedeli” e della sussistenza di “mezzi sufficienti per
sostenere le spese di manutenzione”;
ƒ i fedeli di un culto ammesso possono tenere riunioni pubbliche, senza
autorizzazione preventiva, solo negli edifici aperti al culto ed a condizione che
la riunione sia “presieduta o autorizzata da un ministro di culto” nominato con
la prevista autorizzazione.
Il R.D. 289/1930 prevede anche disposizioni di favore, quali:
ƒ la facoltà di prestare assistenza religiosa nei luoghi di cura e di ritiro, presso le
Forze armate, gli istituti penitenziari;
ƒ le esenzioni dal servizio militare;
ƒ la possibilità, per i genitori di famiglia professante un culto non cattolico, di
chiedere la dispensa per i propri figli dal frequentare i corsi di istruzione
religiosa nelle scuole pubbliche e di ottenere che sia messo a loro
disposizione un locale scolastico per l’insegnamento religioso dei loro figli.
La Corte costituzionale, con la sentenza n. 346 del 2002, ha giudicato
costituzionalmente illegittima una disposizione di una legge della Regione
Lombardia che prevede benefici per la realizzazione di edifici di culto e di
attrezzature destinate a servizi religiosi, nella parte in cui introduceva come
elemento di discriminazione fra le confessioni religiose che aspirano ad usufruire
dei benefici, avendone gli altri requisiti, l’esistenza di un’intesa per la regolazione
dei rapporti della confessione con lo Stato.
La Corte ha affermato che le intese previste dall’art. 8, terzo comma, Cost. non sono e
non possono essere una condizione imposta dai poteri pubblici alle confessioni per
usufruire della libertà di organizzazione e di azione loro garantita dal primo e dal secondo
comma dello stesso art. 8 né per usufruire di benefici a loro riservati, quali, nella specie,
l’erogazione di contributi; risulterebbero altrimenti violati il divieto di discriminazione (art.
3 e art. 8, primo comma, Cost.), nonché l’eguaglianza dei singoli nel godimento effettivo
della libertà di culto (art. 19, Cost.), di cui l’eguale libertà delle confessioni di organizzarsi
e di operare rappresenta la proiezione necessaria sul piano comunitario e sulla quale
esercita una evidente, ancorché indiretta influenza, la possibilità per le medesime di
accedere a benefici economici come quelli previsti dalla legge oggetto del giudizio di
costituzionalità.
Il riconoscimento della personalità giuridica degli enti, associazioni o
fondazioni di confessioni religiose presuppone come condizione ineludibile che si
tratti di religioni i cui princìpi e le cui manifestazioni esteriori (riti) non siano in
contrasto con l’ordinamento giuridico dello Stato.
La richiesta per il riconoscimento della personalità giuridica è presentata dal
soggetto interessato al prefetto. Alla domanda deve essere allegato lo statuto
295
SCHEDE DI APPROFONDIMENTO
dell’ente. Il riconoscimento viene concesso, su proposta del Ministro dell’interno,
con decreto del Presidente della Repubblica, uditi il Consiglio di Stato (che
esprime un parere di legittimità) ed il Consiglio dei ministri (il quale si pronuncia in
merito alla opportunità politica).
Pur essendo venuta meno l’obbligatorietà del parere del Consiglio di Stato con
l’approvazione della L. 127/1997 (art. 17, commi 25-27), che ha dettato una disciplina
generale dei pareri di tale organo, stabilendo tassativamente i casi in cui i pareri sono
obbligatori e non ricomprendendo tra questi il riconoscimento della personalità
giuridica363, rimane tuttavia in capo all’Amministrazione la facoltà di richiedere il parere
dell’organo consultivo qualora ne ravvisi la necessità.
A seguire, si elencano gli enti di culto (diversi dal cattolico) che hanno ottenuto
il riconoscimento della personalità giuridica e i relativi provvedimenti di
riconoscimento.
Enti di culto diversi dal cattolico dotati di personalità giuridica
ASSOCIAZIONE DEI CRISTIANI ORTODOSSI IN ITALIA - GIURISDIZIONI TRADIZIONALI –
D.P.R. ric. giur.14/1/1998 – mut. denom. D.P.R. 28/7/2004
ASSOCIAZIONE CHIESA DEL REGNO DI DIO – TORINO D.P.R. 16/12/1988
ASSOCIAZIONE SANTACITTARAMA – D.P.R. 10/7/1995
CENTRO ISLAMICO CULTURALE D´ITALIA – D.P.R. 21/12/1974
CHIESA CRISTIANA EVANGELICA MISSIONARIA PENTECOSTALE DI OLIVARELLA DI
MILAZZO - D.P.R. 16/12/1988
CHIESA CRISTIANA EVANGELICA INDIPENDENTE BEREA – D.P.R. 25/10/1999
CHIESA CRISTIANA MILLENARISTA – D.P.R. 17/5/1979
CHIESA DI CRISTO DI MILANO – D.P.R. 13/6/1977
CHIESA E CONFRATERNITA DEI SS. PIETRO E PAOLO DEI NAZIONALI GRECI – Regio
Exequatur 20/2/1764
CHIESA ORTODOSSA RUSSA IN ROMA – R.D. 14/11/1929. Approvazione nuovo statuto
15/2/2006
CHIESA ORTODOSSA RUSSA IN SANREMO – D.P.R. 3/7/1966
COMUNITA´ ARMENA DEI FEDELI DI RITO ARMENO GREGORIANO – D.P.R. 24/2/1956
COMUNITA´ DEI GRECI ORTODOSSI IN VENEZIA – SOVRANE CONCESSIONI REPUBBLICA
VENETA 28/11/1498, 4/10/1511 E 11/7/1526 – Statuto approvato 30/7/1940
COMUNITA´ EVANGELICA DI CONFESSIONE ELVETICA O CHIESA EVANGELICA
RIFORMATA SVIZZERA DI TRIESTE – R.D. 4/4/1938
COMUNITA´ EVANGELICA DI CONFESSIONE ELVETICA O CHIESA EVANGELICA
363
L. 15 maggio 1997, n. 127, Misure urgenti per lo snellimento dell’attività amministrativa e dei
procedimenti di decisione e di controllo. Gli atti per i quali rimane obbligatorio il parere del
Consiglio di Stato sono:
ƒ gli atti normativi del Governo e dei singoli ministri, ai sensi dell’articolo 17 della L. 400/1988;
ƒ i testi unici ;
ƒ i ricorsi straordinari al Presidente della Repubblica;
ƒ gli schemi generali di contratti-tipo, accordi e convenzioni predisposti da uno o più ministri.
296
LE INTESE CON LE CONFESSIONI RELIGIOSE
RIFORMATA SVIZZERA DI FIRENZE – Provvedimento Governo austriaco 7/1/1782
COMUNITA´ EVANGELICA DI MERANO DI CONFESSIONE AUGUSTANA – PROVVEDIMENTI
GOVERNO AUSTRIACO 28/12/1875 E 5/1/1876
COMUNITA´ GRECO-ORIENTALE IN TRIESTE – PROVVEDIMENTI IMPERIALI 9/8/1782 E
7/3/1784 – statuto approvato con decreto imperiale 7/4/1786
COMUNITA´ RELIGIOSA SERBO-ORTODOSSA DI TRIESTE – prima approvazione statuto
rescritto imperiale 28/2/1773 – ultimo statuto approvato D.P.R. 29/3/1989
CONGREGAZIONE CRISTIANA DEI TESTIMONI DI GEOVA – D.P.R. 31/10/ 1986
CONGREGAZIONE CRISTIANA EVANGELICA ITALIANA IN GENOVA-SAMPIERDA-RENA –
D.P.R. 26/10/1976
CONSULTA EVANGELICA – D.P.R. 13/9/1999
ENTE CRISTIANO EVANGELICO DEI FRATELLI IN NOVI LIGURE – D.P.R. 13/11/1997
ENTE PATRIMONIALE DELLA CHIESA DI GESU’ CRISTO DEI SANTI DEGLI ULTIMI GIORNI
(MORMONI) – D.P.R. 23/2/1993
F.P.M.T. ITALIA – FONDAZIONE PER LA PRESERVAZIONE DELLA TRADIZIONE MAHAYANA
– D.P.R. 20/ 7/1999
FONDAZIONE APOSTOLICA – ENTE PATRIMONIALE DELLA CHIESA APOSTOLICA IN ITALIA
– D.P.R. 21/2/ 1989
FONDAZIONE DELL´ASSEMBLEA SPIRITUALE NAZIONALE DEI BAHA´I D´ITALIA – D.P.R.
21/11/1966
ISTITUTO BUDDISTA ITALIANO SOKA GAKKAI – D.P.R. 20/11/2000
ISTITUTO ITALIANO ZEN SOTO SHOBOZAN FUDENJI – D.P.R. 5/7/1999
MOVIMENTO EVANGELICO INTERNAZIONALE “FIUMI DI POTENZA” – D.P.R. 10/9/1971
OPERA DELLA CHIESA CRISTIANA DEI FRATELLI – R.D. 22/2/1891
SACRA ARCIDIOCESI ORTODOSSA D´ITALIA ED ESARCATO PER L´EUROPA MERIDIONALE
(PATRIARCATO DI COSTANTINOPOLI) – D.P.R. 16/7/1998
SELF REALIZATION FELLOWSHIP CHURCH – ENTE DELLA CHIESA DELLA FRATELLANZA
NELLA REALIZZAZIONE DEL SE´ – D.P.R. 3/7/1998
UNIONE BUDDHISTA ITALIANA (U.B.I.) – D.P.R. 3/1/1991
UNIONE INDUISTA ITALIANA (U.I.I.) SANATANA DHARMA SAMGHA – D.P.R. 29/12/2000
CHIESA CRISTIANA BIBLICA – D.P.R. 28/1/2004
MISSIONI CRISTIANE INTERNAZIONALI – AVVENTISTI DEL SETTIMO GIORNO MOVIMENTO DI RIFORMA – D.P.R. 28/1/2004
PRIMA CHIESA DEL CRISTO SCIENTISTA – D.P.R. 28/1/2004
CONGREGAZIONI CRISTIANE PENTECOSTALI - D.P.R. 20/6/2005
Fonte: Ministero dell’interno, Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione, Direzione
centrale degli affari dei culti (www.interno.it)
Le intese tra lo Stato e le confessioni non cattoliche
Per le confessioni che hanno stipulato un’intesa con lo Stato italiano cessano
di avere efficacia le norme sopra indicate, che sono sostituite dalle disposizioni
contenute nelle singole intese.
297
SCHEDE DI APPROFONDIMENTO
A partire dal 1984, lo Stato italiano, in attuazione dell’articolo 8, terzo comma,
della Costituzione, ha proceduto a stipulare intese con alcune confessioni
religiose (vedi tabella 1).
Tab. 1. Le intese approvate con legge
Confessioni religiose
Intese
Chiese rappresentate dalla Tavola valdese L. 11 agosto 1984, n. 449, integrata con la
L. 5 ottobre 1993, n. 409
Unione italiana delle Chiese cristiane
avventiste del 7° giorno
L. 22 novembre 1988, n. 516, modificata
dalla L. 20 dicembre 1996, n. 637
Assemblee di Dio in Italia
L. 22 novembre 1988, n. 517
Unione delle Comunità ebraiche italiane
L. 8 marzo 1989, 101, modificata dalla L.
20 dicembre 1996, n. 638
Unione cristiana evangelica battista d’Italia L. 12 aprile 1995, n. 116
Chiesa evangelica luterana in Italia
L. 29 novembre 1995, n. 520
Le intese finora intervenute danno atto della autonomia e della indipendenza
degli ordinamenti religiosi diversi da quello cattolico. Ciascuna intesa contiene
disposizioni dirette a disciplinare i rapporti tra lo Stato e la confessione religiosa
che ha stipulato l’intesa. Si tratta, pertanto, di norme specifiche, spesso
finalizzate a tutelare aspetti particolari, peculiari della confessione interessata. Si
possono tuttavia individuare alcuni elementi ricorrenti: quasi tutte le intese recano
disposizioni per l’assistenza individuale nelle caserme, negli ospedali, nelle case
di cura e di riposo e nei penitenziari, per l’insegnamento della religione nelle
scuole, per il matrimonio, per il riconoscimento di enti con fini di culto, istruzione e
beneficenza, per il regime degli edifici di culto e per i rapporti finanziari con lo
Stato nella ripartizione dell’8 per mille del gettito IRPEF e, infine, per le festività.
In generale, tali disposizioni concorrono a definire un regime di maggior favore
e di più ampia autonomia rispetto a quello valido per le confessioni prive di intesa
sopra illustrato.
In questo senso particolarmente significative sono le disposizioni relative ai
ministri del culto: per le confessioni che hanno stipulato le intese cessano di
avere efficacia le norme sui “culti ammessi”, che, come si è detto, prevedono
l’approvazione governativa delle nomine dei ministri; le confessioni nominano
pertanto i propri ministri senza condizioni, salvo l’obbligo di registrazione in
appositi elenchi.
Inoltre, diversa è la procedura relativa al riconoscimento della personalità
giuridica degli istituti di culto: per quelli afferenti alle confessioni religiose che per
prime hanno stipulato l’intesa, il procedimento ricalca quella per i “culti ammessi”,
mentre per gli istituti di culto delle Chiese battista e luterana è prevista una
procedura semplificata di emanazione con decreto ministeriale e non con decreto
del Presidente della Repubblica.
298
LE INTESE CON LE CONFESSIONI RELIGIOSE
Nella tabella seguente si riporta un quadro delle intese concluse e non ancora
ratificate dal Parlamento:
Tab. 2. Le intese firmate e non approvate con legge
Confessione religiosa
Data firma intesa
Tavola Valdese (modifica)
4 aprile 2007364
Unione italiana delle Chiese Cristiane Avventiste
del 7° giorno (modifica)
4 aprile 2007365
Chiesa apostolica in Italia
4 aprile 2007
Chiesa di Gesù Cristo dei Santi degli ultimi giorni
4 aprile 2007
Congregazione cristiana dei testimoni di Geova
Sacra Arcidiocesi d’Italia ed Esarcato per l’Europa
meridionale
4 aprile 2007366
4 aprile 2007
4 aprile 2007367
Unione buddista italiana (UBI)
Unione induista italiana
4 aprile 2007
Fonte: Presidenza del Consiglio368 (www.governo.it)
Nel corso della XV legislatura il Governo non ha peraltro presentato alle Camere i
relativi disegni di legge di approvazione
La procedura per la stipulazione delle intese non è disciplinata in via
legislativa. Si è formata peraltro, a partire dal 1984 (data della prima attuazione
del dettato costituzionale in tale materia), una prassi consolidata che si può
riassumere come segue.
Le trattative vengono avviate soltanto con le confessioni che abbiano
ottenuto il riconoscimento della personalità giuridica nel nostro Paese ai sensi
364
365
366
367
368
Una precedente intesa contenente modifiche all’Intesa a suo tempo approvata era stata firmata
il 27 maggio 2005. Nella XIV legislatura l'iter parlamentare del disegno di legge governativo
presentato conseguentemente all'approvazione dell'intesa (XIV legislatura, A.C. 5983) è stato
avviato, ma non ha avuto conclusione. Nella XV legislatura il testo di tale disegno di legge è
stato riproposto in una proposta di legge di iniziativa parlamentare (XV legislatura, A.C. 2308,
on. Boato).
Una precedente intesa contenente modifiche all’Intesa a suo tempo approvata era stata firmata
il 23 aprile 2004. Nella XIV legislatura l'iter parlamentare del disegno di legge governativo
presentato conseguentemente all'approvazione dell'intesa (XIV legislatura, A.C. 5085) è stato
avviato, ma non ha avuto conclusione. Nella XV legislatura il testo di tale disegno di legge è
stato riproposto in una proposta di legge di iniziativa parlamentare (XV legislatura, A.C. 2307,
on. Boato).
Una precedente intesa era stata firmata il 20 marzo 2000. Il Governo ha quindi presentato alla
Camera il relativo disegno di legge di approvazione (XIII legislatura, A.C. 7024), ma l’iter si è
interrotto con la conclusione della XIII legislatura.
Una precedente intesa era stata firmata il 20 marzo 2000. Il Governo ha quindi presentato alla
Camera il relativo disegno di legge di approvazione (XIII legislatura, A.C. 7023), ma l’iter si è
interrotto con la conclusione della XIII legislatura.
Presidenza del Consiglio, Servizio per i rapporti con le confessioni religiose e per le relazioni
istituzionali. Nel sito istituzionale è possibile consultare anche il testo delle intese sottoscritte.
299
SCHEDE DI APPROFONDIMENTO
della L. 1159/1929. Tale riconoscimento presuppone che sia stata già effettuata
una verifica della compatibilità dello statuto dell’ente rappresentativo della
confessione con l’ordinamento giuridico italiano, così come richiesto dallo
stesso articolo 8, comma 2, della Costituzione.
L’esame di compatibilità viene condotto sia dal Ministero dell’interno,
competente per l’istruttoria volta al riconoscimento, sia dal Consiglio di Stato, il
quale è chiamato ad esprimere il proprio parere in merito369, concernente anche il
carattere confessionale dell’organizzazione richiedente.
La competenza ad avviare le trattative, in vista della stipulazione di tali intese,
spetta al Governo: a tal fine, le confessioni interessate che hanno conseguito il
riconoscimento della personalità giuridica si devono rivolgere, tramite istanza, al
Presidente del Consiglio.
L’incarico di condurre le trattative con le rappresentanze delle confessioni
religiose è affidato dal Presidente del Consiglio al Sottosegretario di Stato alla
Presidenza del Consiglio, con funzioni di Segretario del Consiglio dei Ministri, il
quale si avvale di una apposita Commissione interministeriale per le intese con le
confessioni religiose, istituita presso la stessa Presidenza per la prima volta nel
1985.
La Commissione per le intese con le confessioni religiose è stata istituita con decreto
del Presidente del Consiglio dei Ministri del 14 marzo 1997 ed è composta da
rappresentanti della Presidenza del Consiglio e dei Ministeri interessati: interno, giustizia,
economia e finanze, difesa, pubblica istruzione, università e ricerca, beni e attività
culturali, salute. La commissione attualmente in carica è presieduta dal prof. Franco
Pizzetti e verrà a scadenza il 4 maggio 2010.
La Commissione, su indicazione del Sottosegretario, predispone le bozze di
intesa unitamente alle delegazioni delle confessioni religiose che ne hanno fatto
richiesta. Sulle bozze di intesa esprime il proprio parere preliminare la
Commissione consultiva per la libertà religiosa, operante presso la Presidenza
del Consiglio a partire dal 1997.
La Commissione consultiva per la libertà religiosa è stata istituita presso la Presidenza
del Consiglio con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri il 14 marzo 1997,ed è
stata da ultimo riordinata con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri il 10
settembre 2007. Alla Commissione sono attribuite, in via generale, funzioni di studio,
informazione e proposta per tutte le questioni attinenti all’attuazione dei principi della
Costituzione e delle leggi in materia di libertà di coscienza, di religione o credenza. La
Commissione procede alla ricognizione e all’esame dei problemi relativi alla preparazione
di intese con le Confessioni religiose, elaborando orientamenti di massima in vista della
loro stipulazione e formulando un parere preliminare sulle bozze di intesa. Essa si
esprime, altresì, su questioni attinenti alle relazioni tra Stato e confessioni religiose in
Italia e nell’Unione europea che le vengono sottoposte dal Presidente del Consiglio dei
369
Come in precedenza ricordato, il parere del Consiglio di Stato in materia non è obbligatorio, pur
essendo sempre riservata all’Amministrazione la facoltà di richiederlo.
300
LE INTESE CON LE CONFESSIONI RELIGIOSE
ministri e segnala, a sua volta, problemi che emergono in sede di applicazione della
normativa vigente in materia, anche di derivazione internazionale.
La Commissione si compone di sei componenti ed è attualmente presieduta dal prof.
Francesco Margotta Broglio.
Dopo la conclusione delle trattative, le intese sono sottoposte all’esame del
Consiglio dei ministri ai fini dell’autorizzazione alla firma da parte del Presidente
del Consiglio.
Una volta che siano state firmate dal Presidente del Consiglio e dal Presidente
della confessione religiosa, le intese sono trasmesse al Parlamento per
l’approvazione con legge (vedi infra).
Successivamente alla firma delle otto intese il 4 aprile 2007, risultano
attualmente in corso trattative esclusivamente con l’Istituto buddista italiano
Soka Gakkai.
Tab. 3. Le intese in corso di stipulazione
Istituto buddista
italiano Soka Gakkai
Confessione riconosciuta come ente di culto con D.P.R. del
20 novembre 2000
Parere favorevole del Ministero interno all’avvio delle
trattative in data 11 aprile 2001.
Le trattative sono iniziate il 18 aprile 2001
Fonte: Presidenza del Consiglio370 (www.governo.it)
Dal punto di vista tecnico-giuridico, non sono state avviate, fino ad oggi
trattative per la conclusione di intese, ai sensi dell’articolo 8 della Costituzione,
con associazioni islamiche.
Fin dagli anni ‘90 sono state avanzate da parte di alcune comunità islamiche, quali la
Comunità religiosa islamica, l’Unione delle comunità ed organizzazioni islamiche in Italia,
l’Associazione musulmani italiani e il Centro islamico culturale d’Italia, istanze per arrivare
a stipulare intese con lo Stato italiano, basate su proposte unilaterali, dal momento che le
predette organizzazioni non avevano raggiunto un accordo preventivo tra loro.
Nel 2000, per superare tale situazione, le organizzazioni citate sono pervenute alla
costituzione dell’associazione del Consiglio islamico d’Italia, quale organismo di
rappresentanza dell’Islam, sull’esempio di quanto già verificatosi in Spagna, ove nel 1992
la locale comunità islamica ha siglato con lo Stato l’accordo di cooperazione concernente
la regolamentazione di alcune tematiche di rilievo, quali il matrimonio, l’assistenza
religiosa nei centri pubblici, l’insegnamento della religione islamica, le festività religiose
ed altro. Dissidi interni sopravvenuti hanno, tuttavia, impedito che in Spagna tali
disposizioni avessero effettiva applicazione. Analogamente in Italia, il Consiglio islamico,
costituito nel 2000, non è mai divenuto operativo e l’incapacità di raggiungere
370
Presidenza del Consiglio, Servizio per i rapporti con le confessioni religiose e per le relazioni
istituzionali.
301
SCHEDE DI APPROFONDIMENTO
un’unitarietà dei richiedenti che fosse rappresentativa dell’universo islamico in Italia ha
determinato l’impossibilità di stipulare un’intesa con lo Stato, mancando l’interlocutore
riconosciuto. Le richieste di intesa con lo Stato italiano non sono state prese in esame
dalla Presidenza del Consiglio dal momento che nessuna delle associazioni è dotata del
riconoscimento giuridico come ente di culto, indispensabile per avviare i negoziati da
parte della Commissione per le intese con le confessioni religiose371.
La legge di approvazione delle intese
L’art. 8 della Costituzione stabilisce che i rapporti tra lo Stato e le confessioni
religiose diverse dalla cattolica sono regolati per legge, sulla base di intese con le
relative rappresentanze: si tratta, quindi, di una riserva di legge rinforzata,
essendo caratterizzata da aggravamenti procedurali, che non consente la
modifica, abrogazione o deroga di tali leggi se non mediante leggi ordinarie che
abbiano seguito la stessa procedura bilaterale di formazione.
Sulla natura delle intese, e di conseguenza delle leggi approvate sulla base
delle intese, la dottrina si divide tra i sostenitori della tesi dell’intesa quale atto
esterno, e quindi paragonabile al trattato internazionale che è recepito
dall’ordinamento con legge di esecuzione, e quelli che ne sostengono la natura di
atto interno. In base alla seconda teoria le intese costituiscono sì dei tipici atti
bilaterali, ma essi non sono stipulati tra due ordinamenti indipendenti e sovrani,
come è il caso degli accordi tra Stati o tra Stato e Chiesa cattolica, bensì
intervengono tra lo Stato (ordinamento primario) ed una società intermedia
sottoposta alla sovranità dello Stato (la confessione religiosa non cattolica).
Nella prassi prevalente dal 1984, le leggi sulla base di intese sono state
definite leggi di approvazione. A differenza delle leggi di esecuzione dei trattati
internazionali, costituite solitamente da un articolo unico recante la formula di
esecuzione del trattato che è allegato alla legge, le leggi di approvazione delle
intese sono costituite da un articolato che riproduce sostanzialmente, con poche
modifiche formali, il testo dell’intesa, anch’essa allegata alla legge.
Per quanto riguarda i riflessi sulla procedura parlamentare, si è posto, in primo
luogo, il problema dell’ammissibilità dell’iniziativa parlamentare per i progetti
di legge volti a regolare i rapporti con le confessioni religiose.
L’art. 8 della Costituzione pone una riserva di legge in materia, ma non specifica se
l’iniziativa legislativa al riguardo sia attribuita in via esclusiva al Governo, in quanto
titolare del potere di condurre le trattative e stipulare le intese, e individua nella stipula
delle intese un presupposto costituzionalmente necessario per l’inserimento
nell’ordinamento di una legge che regoli i rapporti fra lo Stato e le confessioni religiose.
Ciò analogamente a quanto avviene per i disegni di legge di ratifica dei trattati
internazionali, in merito ai quali l’avvenuta stipula del trattato costituisce un presupposto
necessario dell’iniziativa legislativa.
371
Cfr. Camera dei deputati, Assemblea, seduta del 1 dicembre 2004, Svolgimento
dell’interrogazione a risposta immediata n. 3-03938 (Iniziative volte alla stipula di intese con le
comunità islamiche), intervento del Ministro per i rapporti con il Parlamento, on. Giovanardi.
302
LE INTESE CON LE CONFESSIONI RELIGIOSE
Come per la ratifica dei trattati, anche in relazione alle intese, non vi sono norme che
espressamente attribuiscono l’iniziativa legislativa in materia esclusivamente al Governo
(a differenza di quanto avviene per altri procedimenti legislativi, quale la legge di bilancio,
di cui all’art. 81 Cost.); parimenti, l’art. 117 Cost., secondo comma, lettera c), rimette la
materia dei rapporti fra la Repubblica e le confessioni religiose, alla competenza
esclusiva dello Stato, senza individuare limiti all’iniziativa parlamentare.
La Giunta del Regolamento della Camera dei deputati, dopo aver affrontato la
questione della titolarità dell’iniziativa legislativa per la presentazione di progetti
di legge volti ad autorizzare la ratifica di trattati internazionali, nella seduta del 5
maggio 1999 – adeguandosi ad una prassi invalsa presso l’altro ramo del
Parlamento – si è pronunciata per l’ammissibilità dell’iniziativa parlamentare in
tale materia, ove ricorrano i necessari presupposti di fatto.
Come sopra ricordato, secondo la dottrina prevalente, le intese differirebbero
dall’autorizzazione alla ratifica in quanto tipici atti bilaterali. Pertanto se si ritengono
ammissibili proposte di legge di iniziativa parlamentare per l’autorizzazione alla ratifica di
trattati internazionali che sono atti tra ordinamenti indipendenti e sovrani, non sembrano a
fortiori sussistere elementi ostativi all’ammissibilità di proposte di legge di iniziativa
parlamentare per l’approvazione delle intese che sono atti interni.
A favore dell’inammissibilità sembrano invece far propendere due considerazioni:
ƒ per le intese – a differenza di quanto previsto per l’autorizzazione alla ratifica372 – non
è prevista alcuna forma di comunicazione in merito all’avvenuta stipulazione e al
contenuto delle stesse, per cui risulterebbe difficile per i singoli parlamentari
presentare una proposta di legge che recepisca le intese stipulate. Tale difficoltà
appare, peraltro, superabile qualora l’intesa risulti oggetto di un disegno di legge di
iniziativa governativa già presentato: in tal caso la conoscenza della stessa ai fini della
trasfusione in una proposta di legge di iniziativa parlamentare risulterebbe possibile;
ƒ l’iniziativa legislativa parlamentare in materia di rapporti con le confessioni religiose
potrebbe determinare, una volta approvata la legge, un vincolo per il Governo, il quale
potrebbe trovarsi obbligato ad assumere decisioni o ad esplicitare la propria posizione
nei confronti di confessioni religiose (con le quali pure abbia già stipulato un’intesa) in
tempi da esso ritenuti inopportuni.
Non risultano comunque, a differenza di quanto avviene per i progetti di legge di
ratifica di trattati internazionali, precedenti di proposte di legge di iniziativa parlamentare
volte a recepire intese con confessioni religiose.
La forma dell’articolato e la procedura di approvazione parlamentare del
disegno di legge di approvazione con votazioni articolo per articolo, alla stregua
di qualsiasi progetto di legge, pone la questione dell’emendabilità o meno del
testo. Nel corso dei lavori parlamentari, si è affermata una prassi che pur non
372
L’art. 4 della legge 11 dicembre 1984, n. 839, Norme sulla Raccolta ufficiale degli atti normativi
della Repubblica italiana e sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana, ha fatto obbligo al
Servizio del contenzioso diplomatico presso il Ministero degli affari esteri anche di provvedere
alla comunicazione alle Presidenze delle Camere di “tutti gli atti internazionali ai quali la
Repubblica si obbliga nella relazioni estere, trattati, convenzioni, scambi di note, accordi ed altri
atti comunque denominati”.
303
SCHEDE DI APPROFONDIMENTO
escludendo in assoluto la emendabilità, restringe l’ambito di intervento del
Parlamento a modifiche di carattere non sostanziale, quali quelle dirette ad
integrare o chiarire il disegno di legge o ad emendarne le parti che non
rispecchiano fedelmente l’intesa.
304
L’AUTORITÀ SUI DIRITTI UMANI E PER I DETENUTI
DIRITTI E LIBERTÀ: ALTRE INIZIATIVE
L’AUTORITÀ SUI DIRITTI UMANI E PER I DETENUTI
L’iter delle proposte di legge
Nella seduta del 4 aprile 2007 l’Assemblea della Camera ha approvato un
testo unificato di quattro proposte di legge relativo all’Istituzione della
Commissione nazionale per la promozione e la protezione dei diritti umani e la
tutela dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale, il cui
esame nell’altro ramo del Parlamento non è stato avviato prima dello
scioglimento delle Camere.
L’iter parlamentare del provvedimento ha preso l’avvio il 1° agosto del 2006
con l’esame, da parte della I Commissione della Camera, di tre proposte di
legge abbinate, A.C. 626 (on. Mazzoni), A.C. 1090 (on. Mascia ed altri), ed A.C.
1441 (on. Boato), finalizzate esclusivamente all’istituzione di un organismo di
tutela dei diritti delle persone private della libertà personale, denominato, nella
prima proposta, Difensore civico delle persone private della libertà personale e
nelle altre due, Garante dei diritti delle persone detenute o private della libertà
personale.
La proposta A.C. 626 riproduce testualmente il progetto di legge A.C. 3229,
presentato dall’on. Mazzoni nella XIV legislatura, esaminato insieme ad altre due
proposte, dalla I Commissione della Camera e approvato il 20 ottobre 2005. Le
proposte A.C. 1090 e A.C. 1441 coincidono in linea di massima con il testo
approvato dalla Commissione nella scorsa legislatura (A.C. 411-3229-3344-A).
Il testo unificato licenziato dalla Commissione (A.C. 411 e abb.-A) nella XIV legislatura
istituiva un’autorità indipendente, denominata Garante dei diritti delle persone
detenute o private della libertà personale e configurata quale organo collegiale,
composto dal presidente, nominato d’intesa dai Presidenti delle due Camere, e da
quattro membri eletti, a maggioranza assoluta dei componenti e con voto limitato, in
numero di due dal Senato e in numero di due dalla Camera. Al Garante dei diritti erano
attribuiti (in concorso con il magistrato di sorveglianza) compiti di vigilanza sul rispetto
delle norme concernenti l’esecuzione della custodia poste a tutela dei detenuti, degli
internati e dei soggetti sottoposti a custodia cautelare in carcere, e di verifica sull’idoneità
delle relative strutture edilizie pubbliche per salvaguardarne la dignità.
A tal fine erano attribuiti al Garante pregnanti poteri di indagine e di impulso:
visitare, senza necessità di autorizzazione, gli istituti di pena e le strutture assimilate
(nonché i centri di permanenza temporanea e assistenza per immigrati); prendere visione
del fascicolo della persona privata della libertà (col consenso di questa); richiedere
informazioni e documentazione alle amministrazioni responsabili; formulare specifiche
raccomandazioni alle amministrazioni medesime le quali, se disattendono la richiesta,
devono comunicare il loro dissenso motivato nel termine di 30 giorni.
305
SCHEDE DI APPROFONDIMENTO
Il Garante poteva rivolgersi al magistrato di sorveglianza nei casi e modi previsti dal
progetto di legge ed aveva l’obbligo di riferire all’autorità giudiziaria i fatti costituenti reato
dei quali fosse venuto a conoscenza.
Nella seduta del 26 settembre 2006 la I Commissione ha quindi adottato come
testo base per il seguito dell’esame delle proposte di legge, il testo unificato
predisposto dal relatore, che riprendeva gran parte dei contenuti presenti nelle
proposte A.C. 1090 e A.C. 1441. Il testo unificato è stato quindi oggetto di limitate
modifiche nel corso dell’esame da parte della Commissione, che il 6 dicembre
2006 ha conferito al relatore il mandato a riferire in senso favorevole
all'Assemblea sul testo risultante dall’esame in Commissione (A.C. 626-10901441-A).
Il relatore, tuttavia, nello svolgimento della propria relazione nell’ambito della
discussione generale sul provvedimento ha segnalato come alla Commissione
fosse stata sottoposta la questione relativa alla necessità di istituire un
organismo nazionale indipendente per i diritti umani, in conformità a quanto
previsto dalla risoluzione A/RES/48/134 votata dall’O.N.U. nel dicembre 1993373,
votata dall’Italia ma rimasta inattuata. Pertanto, in considerazione del prossimo
ingresso dell’Italia nel Consiglio di Sicurezza dell'ONU e dell’intenzione del nostro
Paese di candidarsi al nuovo Consiglio dei diritti umani dell'ONU, sottoponeva
all’Assemblea la valutazione sull’opportunità di prevedere nell’ambito del
provvedimento in esame – anche attraverso un suo rinvio in Commissione l’istituzione di tale organismo indipendente, anche alla luce del fatto che già era
stata presentata alla Camera una proposta di legge in materia (si tratta dell’A.C.
2018, sul quale v. subito infra). Su proposta dell’on. Violante, Presidente della I
Commissione, il 12 dicembre 2006 è stato quindi deliberato il rinvio in
Commissione del provvedimento.
Il relatore ha quindi elaborato un nuovo testo unificato che prevedeva
l’istituzione di un organismo indipendente in materia di tutela dei diritti umani,
denominato Commissione nazionale per la promozione e la protezione dei diritti
umani, composto dal Presidente e da otto componenti, che aveva al proprio
interno una sezione specializzata, denominata Garante dei diritti delle persone
detenute o private della libertà personale, composta dal Presidente e da quattro
componenti scelti dal Presidente stesso.
Tale testo, dopo ulteriori modifiche finalizzate principalmente a definire
rigorosamente le funzioni attribuite alla Commissione nazionale per la
promozione e la tutela dei diritti umani, è stato adottato come testo base dalla I
Commissione, la quale, successivamente all’abbinamento della proposta A.C.
2018 (on. De Zulueta), il 17 gennaio 2007 ha conferito al relatore il mandato a
riferire in senso favorevole all'Assemblea su un nuovo testo (A.C 626-1090-1441-
373
La risoluzione è pubblicata nel sito dell’O.N.U.: v. http://www.un.org/Depts/dhl/res/resa48.htm
306
L’AUTORITÀ SUI DIRITTI UMANI E PER I DETENUTI
2018-A/R), che presentava limitate innovazioni rispetto al testo da ultimo
proposto dal relatore.
Nel corso dell’esame da parte dell’Assemblea il testo è stato oggetto di
modifiche che hanno riguardato in misura prevalente gli aspetti strutturali della
Commissione (riduzione del numero dei componenti della Commissione e
fissazione di limiti alle loro indennità; istituzione di un ruolo del personale
dell’ufficio della Commissione; affidamento delle funzioni di garanzia delle
persone detenute alla Commissione e non ad una sua articolazione interna).
Il testo approvato dalla Camera dei deputati
A seguito delle modifiche apportate dall’Assemblea, il testo approvato dalla
Camera (A.S. 1463) si compone di tre capi:
ƒ il primo (artt. 1-8) reca l’istituzione della Commissione nazionale e dispone in
ordine alle sue competenze ed ai suoi poteri nel campo della promozione e
della protezione dei diritti umani,
ƒ il secondo (artt. 9-13) disciplina le funzioni esercitate dalla Commissione nella
veste di garante dei diritti delle persone detenute o private della libertà
personale;
ƒ il terzo (art. 14-17) contiene le disposizioni relative agli obblighi e agli
adempimenti cui la Commissione è tenuta, nonché la copertura finanziaria del
provvedimento.
La composizione e il funzionamento della Commissione
Più in dettaglio, la proposta – ricalcando parzialmente la disciplina vigente per
le autorità indipendenti - prevede la costituzione di un organo collegiale, la
Commissione, formato da un presidente nominato d'intesa tra i presidenti di
Camera e Senato e da altri quattro componenti eletti in numero di due da
ciascuna Camera, con voto limitato, in modo da favorire il concorso
dell’opposizione alla composizione dell’organismo (art. 1, co. 3). I componenti
della Commissione devono essere scelti tra persone che assicurino
indipendenza e idoneità alla funzione e devono essere in possesso di esperienza
pluriennale e riconosciuta competenza nel campo della tutela dei diritti umani
(art. 4). Della Commissione non possono far parte i magistrati in servizio (art. 1,
co. 6; ultimo periodo).
Con una particolarità che non trova riscontro nella disciplina delle altre autorità
indipendenti, si prevede inoltre che debba realizzarsi un equilibrio di genere tra
i componenti della commissione, poiché in ogni Camera risultano eletti “l’uomo e
la donna che riportano rispettivamente il maggior numero di voti” (art. 1, co. 4).
I componenti della Commissione, che restano in carica quattro anni e
possono essere riconfermati per una sola volta, hanno diritto ad un’indennità il
307
SCHEDE DI APPROFONDIMENTO
cui importo è rimesso all’autonomia della Commissione stessa, ma non può
superare al trattamento complessivo massimo annuo lordo dei magistrati con
funzione di presidente di sezione della Corte di cassazione ed equiparati (art. 1,
co. 7) . Per tutta la durata dell’incarico, non possono ricoprire cariche elettive o
governative o altri uffici pubblici di qualsiasi natura né svolgere attività lavorativa,
subordinata o autonoma, imprenditoriale o libero-professionale, né ricoprire
incarichi per conto di un’associazione o di un partito o movimento politico (art. 5).
La disciplina dell’organizzazione interna della Commissione e delle sue
modalità di funzionamento è demandata ad un apposito regolamento, che la
Commissione adotta entro due mesi dalla sua costituzione (art. 2, co. 5). In
particolare, si prevede che la Commissione possa svolgere le proprie attività
attraverso apposite sezioni dedicate a particolari materie o a specifici ambiti di
competenza (art. 2, co. 4).
Per quanto attiene alle garanzie dell’autonomia e dell’indipendenza dell’organismo, la
Commissione è dotata di autonomia contabile e gestionale.
Le norme concernenti l’organizzazione dell’ufficio della Commissione nonché quelle
dirette a disciplinare la gestione delle spese, anche in deroga alle disposizioni sulla
contabilità generale dello Stato, sono adottate con regolamento (art. 7, co. 7), su
proposta del Presidente del Consiglio dei ministri, di concerto con il Ministro
dell’economia e delle finanze e con il Ministro per le riforme e le innovazioni nella
pubblica amministrazione.
Sul versante più propriamente finanziario, la Commissione provvede all’autonoma
gestione delle proprie spese nell’ambito di un fondo all’uopo iscritto in una apposita unità
previsionale di base dello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze
(art. 7, co. 5). Il rendiconto della gestione finanziaria è soggetto al controllo della Corte
dei conti.
Quanto alle strutture di supporto della Commissione, l’art. 7 prevede l’istituzione di un
ruolo, composto da non più di 100 unità, del personale dipendente dall’ufficio della
Commissione. All’istituzione si provvede con un decreto del Presidente del Consiglio dei
ministri, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze e con il Ministro per le
riforme e le innovazioni nella pubblica amministrazione, su proposta della Commissione.
Il decreto definisce altresì il trattamento giuridico ed economico del personale dipendente
dalla Commissione, nell’ambito di uno specifico tetto di spesa. Nel rispetto del medesimo
limite di spesa, la Commissione può avvalersi, per motivate esigenze, di dipendenti
pubblici, collocati in posizione di fuori ruolo o equiparati, ovvero in aspettativa, in numero
non superiore, complessivamente, a 20 unità e per non oltre il 20 per cento delle
qualifiche dirigenziali.
Al regolamento di organizzazione della Commissione è altresì rimesso il compito di
prevedere la destinazione di una quota del personale, non inferiore al 50 per cento, al
supporto delle attività della Commissione nel campo della tutela dei diritti delle persone
detenute o private della libertà personale.
Il reclutamento del personale avviene in via ordinaria per pubblico concorso374, ma in
sede di prima applicazione si prevede che la Commissione provvede nella misura
374
Fanno eccezione le assunzioni relative a lavoratori da inquadrare nei livelli retributivo-funzionali
per i quali non è richiesto il titolo di studio superiore a quello della scuola dell'obbligo.
308
L’AUTORITÀ SUI DIRITTI UMANI E PER I DETENUTI
massima del 50 per cento dei posti previsti nel ruolo mediante apposita selezione
nell’ambito del personale dipendente da pubbliche amministrazioni in possesso delle
competenze e dei requisiti di professionalità ed esperienza necessari in relazione alle
funzioni e alle caratteristiche di indipendenza e imparzialità della Commissione.
La Commissione può inoltre fare ricorso, qualora la natura tecnica o la delicatezza
delle questioni lo richiedano, all’opera di esperti, che dovranno essere remunerati in
base alle vigenti tariffe professionali, nonché avvalersi della collaborazione di università,
centri di studio e di ricerca, organizzazioni non governative, organizzazioni sociali e
professionali ed associazioni che operano nel campo della promozione e della tutela dei
diritti umani (art. 8).
Quanto agli adempimenti attribuiti alla Commissione, essa è tenuta a
presentare rapporto all’autorità giudiziaria nei casi in cui venga a conoscenza
di fatti che possano integrare fattispecie di reato (art. 14) e a mantenere il
segreto d’ufficio su quanto appreso nell’esercizio delle proprie funzioni (art. 15).
La Commissione deve inoltre presentare almeno annualmente una relazione
al Parlamento sul complesso delle proprie attività, nella quale deve dare
specificamente conto dell’attività svolta a tutela dei diritti dei detenuti e dei
soggetti privati della libertà personale e promuovere la pubblicazione di un
bollettino che dia pubblicità a atti, documenti e attività particolarmente significativi
(art. 16).
Le funzioni di promozione e di protezione dei diritti umani
Per quanto riguarda le funzioni svolte dalla Commissione nel campo della
promozione e della protezione dei diritti umani (art. 2), esse attengono in
particolare a:
ƒ promuovere la cultura dei diritti umani e la diffusione della conoscenza delle
norme che regolano la materia e delle relative finalità, attraverso la
realizzazione di progetti didattici e di ricerca e di percorsi informativi da
realizzare in ambito scolastico;
ƒ effettuare un monitoraggio del rispetto dei diritti umani in Italia e contribuire a
verificare l’attuazione delle convenzioni e degli accordi internazionali in
materia di diritti umani ratificati dall’Italia;
ƒ formulare pareri, raccomandazioni e proposte al Governo e al Parlamento
nelle materie connesse con la tutela dei diritti umani, eventualmente
suggerendo al Governo l’adozione di specifiche misure normative ovvero
sollecitando la firma o la ratifica delle convenzioni e degli accordi
internazionali in materia di diritti umani;
ƒ formulare raccomandazioni e suggerimenti al Governo ai fini della definizione
della posizione italiana nel corso di negoziati multilaterali o bilaterali che
possono incidere sul livello di tutela dei diritti umani;
ƒ promuovere, nell’ambito delle categorie interessate, la sottoscrizione di codici
di deontologia e di buona condotta per determinati settori, nonché verificarne
309
SCHEDE DI APPROFONDIMENTO
la conformità alle leggi e ai regolamenti, anche attraverso l’esame di
osservazioni di soggetti interessati a contribuire a garantirne la diffusione e il
rispetto;
ƒ promuovere gli opportuni contatti con le autorità, le istituzioni e gli organismi
pubblici, quali i difensori civici, cui la legge attribuisce, a livello centrale o
locale, specifiche competenze in relazione alla tutela dei diritti umani.
L’innovazione più rilevante è peraltro rappresentata dalla possibilità per la
Commissione di ricevere dai singoli interessati o dalle associazioni che li
rappresentano segnalazioni relative a specifiche violazioni o limitazioni dei
diritti umani e, qualora non sia già stata adita l’autorità giudiziaria, attivare uno
specifico procedimento di accertamento, sanzione e denuncia (art. 2 lett. g)
e art. 3).
La Commissione, una volta ricevuta la segnalazione e verificata la sussistenza
delle condizioni per la sua procedibilità ed informate le parti interessate, può
richiedere loro di fornire informazioni e di esibire documenti.
La risposta alle richieste costituisce un comportamento doveroso. Se, infatti, le
parti rifiutano od omettono, senza giustificato motivo, di fornire le informazioni o
di esibire i documenti richiesti dalla Commissione, esse sono punite con la
sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 4.000 a euro
24.000, incrementata fino al doppio del massimo nel caso le informazioni o i
documenti non risultino veritieri. Qualora gli inottemperanti siano soggetti
pubblici, la Commissione può rivolgersi agli uffici sovraordinati ai quali è rimessa
la valutazione in ordine alla responsabilità disciplinare del dipendente
inadempiente.
In esito ad un procedimento nel quale le parti interessate hanno la possibilità
di essere sentite, personalmente o per mezzo di procuratore speciale, e possono
presentare memorie e documenti, la Commissione, quando verifica l’esistenza di
comportamenti non conformi alle norme interne e internazionali in materia di
diritti umani, richiede al soggetto interessato di agire in conformità, promovendo
prioritariamente un tentativo di conciliazione o, in via subordinata, formulando
specifiche raccomandazioni.
Qualora il soggetto interessato intenda disattendere la richiesta, deve
comunicare il suo dissenso motivato nel termine di trenta giorni.
Nei casi in cui non sia comunicato il dissenso motivato o la Commissione
ritenga insufficiente la motivazione del dissenso fornita dall’interessato:
ƒ quando si tratti di soggetti privati, la Commissione può rivolgersi, ove ne
ricorrano i presupposti, all’autorità giudiziaria;
ƒ quando si tratti di pubbliche amministrazioni, la Commissione si rivolge agli
uffici sovraordinati a quelli originariamente interessati. Se questi ultimi
decidono di provvedere in conformità alla richiesta della Commissione,
l’attivazione del procedimento disciplinare a carico del dipendente al quale
risulta attribuibile l’inerzia è obbligatoria. Se, invece, gli uffici sovraordinati
310
L’AUTORITÀ SUI DIRITTI UMANI E PER I DETENUTI
decidono di non accogliere la richiesta, la Commissione può richiedere
all’autorità giudiziaria di annullare l’atto che reputa illegittimo ovvero di
ordinare all’autorità interessata di tenere il comportamento dovuto.
Le funzioni di tutela dei diritti dei detenuti e delle persone private della
libertà personale
Per quanto attiene alle funzioni relative alla tutela dei diritti delle persone
detenute o private della libertà personale375, esse sono esercitate dalla
Commissione sotto il coordinamento di un componente della Commissione
all’uopo nominato dal Presidente (art. 9) e comportano l’attribuzione di poteri e
l’adozione di procedimenti parzialmente diversi da quelli previsti in via generale
per la tutela dei diritti umani.
In questo ambito, la Commissione, cooperando con gli analoghi organismi
istituiti a livello territoriale, è quindi chiamata a esercitare una vigilanza diretta ad
assicurare che la custodia dei detenuti, degli internati, dei soggetti sottoposti a
custodia cautelare in carcere o ad altre forme di limitazione della libertà
personale sia attuata in conformità alla Costituzione e alle Convenzioni
internazionali, alle leggi e ai regolamenti. In particolare, l’attività di verifica ha ad
oggetto l’adeguatezza delle strutture edilizie a salvaguardare la dignità dei
soggetti privati della libertà personale.
Per l’esercizio di tali funzioni alla Commissione è riconosciuto, in particolare, il
potere di:
ƒ visitare, senza necessità di autorizzazione o di preavviso e senza
limitazioni, le strutture destinate all’esecuzione di misure privative della
libertà personale e di incontrare liberamente chiunque vi sia privato della
libertà;
ƒ prendere visione, nel rispetto della normativa applicabile ai soggetti pubblici
in materia di protezione dei dati personali, degli atti e dei documenti
contenuti nel fascicolo della persona privata della libertà, ad eccezione di
quelli coperti da segreto relativi alle indagini e al procedimento penale;
ƒ richiedere alle amministrazioni responsabili delle strutture informazioni
e documenti. Nel caso in cui l’amministrazione responsabile non fornisca
risposta nel termine di 30 giorni, la Commissione informa il magistrato di
sorveglianza e può richiedergli di emettere ordine di esibizione dei documenti
375
Come chiarito dall’articolo 11 dell’A.S. 1463 la competenza della Commissione si estende
tra l’altro alle camere di sicurezza eventualmente esistenti presso le caserme dell’Arma dei
carabinieri e del Corpo della guardia di finanza e presso i commissariati di pubblica sicurezza;
agli ospedali psichiatrici giudiziari; alle comunità per minori; agli enti convenzionati con il
Ministero della giustizia per l’esecuzione di misure privative della libertà personale che ospitano
condannati che usufruiscono di misure alternative alla detenzione; ai Centri di permanenza
temporanea e assistenza previsti dall’art. 14 del Testo unico delle disposizioni concernenti la
disciplina sull’immigrazione (D.Lgs. 286/1998).
311
SCHEDE DI APPROFONDIMENTO
richiesti; nel caso in cui venga opposto il segreto di Stato, informa il magistrato
di sorveglianza territorialmente competente, che valuta se richiedere
l’intervento del Presidente del Consiglio dei ministri per la conferma
dell’esistenza del segreto.
La Commissione, che può agire anche sulla base di istanze o reclami fatti
pervenire, senza vincoli di forma, dai soggetti comunque privati della libertà
personale (art. 12), qualora verifichi l’esistenza di comportamenti non conformi
alle norme costituzionali, legislative o regolamentari vigenti in materia, ovvero la
fondatezza delle istanze e reclami ricevuti, richiede all’amministrazione
interessata di agire in conformità, promovendo un tentativo di conciliazione
e, in via subordinata, formulando specifiche raccomandazioni (art. 13).
Nel caso l’amministrazione intenda disattendere la richiesta, il procedimento è
simile a quello seguito nel caso delle raccomandazioni formulate alle pubbliche
amministrazioni per la tutela dei diritti umani. La peculiarità del procedimento
speciale risiede nel fatto che, qualora anche gli uffici sovraordinati decidano di
non accogliere la richiesta, la Commissione trasmette il reclamo:
ƒ al magistrato di sorveglianza, che decide come nei casi di reclami di
detenuti ed internati, qualora si tratti di istituti penitenziari, ospedali psichiatrici
giudiziari, istituti penali e comunità per minori e gli enti convenzionati con il
Ministero della giustizia per l’esecuzione di misure privative della libertà
personale che ospitano condannati che usufruiscono di misure alternative alla
detenzione,
ƒ al prefetto, qualora si tratti di camere di sicurezza eventualmente esistenti
presso le caserme dell’Arma dei carabinieri e del Corpo della guardia di
finanza e presso i commissariati di pubblica sicurezza;
ƒ all’autorità giudiziaria competente, ai fini dell’annullamento dell’atto o
dell’ordine all’amministrazione di tenere il comportamento dovuto, qualora si
tratti di centri di permanenza temporanea.
312
PUBBLICA AMMINISTRAZIONE
313
IL PROCESSO DI RIORGANIZZAZIONE INTERNA
ASSETTO DEI MINISTERI
IL PROCESSO DI RIORGANIZZAZIONE INTERNA
I commi da 404 a 416 della legge finanziaria per il 2007376 hanno delineato un
ampio programma di riorganizzazione dei ministeri, espressamente finalizzato
al contenimento delle spese di funzionamento, da attuare attraverso l’adozione
di regolamenti di delegificazione, emanati ai sensi dell’art. 17, co. 4-bis, della
L. 400/1988377.
Il comma 404 individua sette linee di intervento del programma da attuare
con i regolamenti di delegificazione.
Innanzitutto (lettera a), si dovrà procedere ad una riorganizzazione delle
articolazioni interne di ciascuna amministrazione volta alla riduzione del numero
degli uffici di livello dirigenziale generale di almeno il 10 per cento, e degli uffici
di livello dirigenziale non generale del 5 per cento; inoltre, si dovranno eliminare
le duplicazioni organizzative eventualmente esistenti.
L’organizzazione interna dei ministeri è disciplinata da una pluralità di fonti normative.
Le strutture di primo livello (dipartimenti o direzioni generali) sono stabilite direttamente
dal D.Lgs. 300/1999378, che fissa per ciascun ministero il numero massimo di dipartimenti
o di direzioni generali, a seconda del modello organizzativo prescelto. Nell’ambito di tale
struttura primaria, si provvede a definire il numero (nonché l’organizzazione, la dotazione
organica e le funzioni) degli uffici di livello dirigenziale generale in cui sono articolati i
dipartimenti o le direzioni generali, mediante regolamenti di delegificazione adottati con
D.P.R. ex art. 17, co. 4-bis, L. 400/1988 (così dispone l’art. 4, co. 1, del D.Lgs. 300/1999).
L’articolazione interna degli uffici di livello dirigenziale generale è demandata al ministro
che provvede, con proprio decreto di natura non regolamentare, alla individuazione degli
376
377
378
L. 27 dicembre 2006, n. 296.
L. 23 agosto 1988 n. 400, Disciplina dell'attività di Governo e ordinamento della Presidenza del
Consiglio dei Ministri. L’art. 17, co. 4-bis, così recita: “L'organizzazione e la disciplina degli uffici
dei Ministeri sono determinate, con regolamenti emanati ai sensi del comma 2 [regolamenti di
delegificazione], su proposta del Ministro competente d'intesa con il Presidente del Consiglio
dei ministri e con il Ministro del tesoro, nel rispetto dei princìpi posti dal decreto legislativo 3
febbraio 1993, n. 29, e successive modificazioni, con i contenuti e con l'osservanza dei criteri
che seguono:
a) riordino degli uffici di diretta collaborazione con i Ministri ed i Sottosegretari di Stato,
stabilendo che tali uffici hanno esclusive competenze di supporto dell'organo di direzione
politica e di raccordo tra questo e l'amministrazione;
b) individuazione degli uffici di livello dirigenziale generale, centrali e periferici, mediante
diversificazione tra strutture con funzioni finali e con funzioni strumentali e loro
organizzazione per funzioni omogenee e secondo criteri di flessibilità eliminando le
duplicazioni funzionali;
c) previsione di strumenti di verifica periodica dell'organizzazione e dei risultati;
d) indicazione e revisione periodica della consistenza delle piante organiche;
e) previsione di decreti ministeriali di natura non regolamentare per la definizione dei compiti
delle unità dirigenziali nell'ambito degli uffici dirigenziali generali”.
D.Lgs. 30 luglio 1999, n. 300, Riforma dell'organizzazione del Governo, a norma dell'articolo 11
della L. 15 marzo 1997, n. 59.
315
SCHEDE DI APPROFONDIMENTO
uffici di livello dirigenziale non generale e alla definizione dei relativi compiti (art. 4, co. 4,
D.Lgs. 300/1999).
Detta riorganizzazione volta alla riduzione degli uffici dirigenziali, peraltro,
dovrà essere coniugata con la possibilità di immissione, nel quinquennio 20072011, di nuovi dirigenti assunti tramite concorso per esami o mediante corsoconcorso379 nell’ambito di procedure autorizzative, in misura non inferiore al 10
per cento degli uffici dirigenziali.
Una seconda linea di intervento consiste (lettera c)) nella revisione delle
strutture periferiche prevedendone, anche in questo caso, la loro riduzione. A
questo proposito la disposizione indica due possibili percorsi: o l’accorpamento di
tutti gli uffici periferici facenti capo ad una amministrazione in un unico ufficio
regionale, oppure il trasferimento delle funzioni svolte da tali uffici all’interno
delle prefetture – uffici territoriali del Governo.
Gli uffici territoriali del Governo, istituiti dall’art 11 del D.Lgs. 300/1999 in sostituzione
delle prefetture, avrebbero dovuto assumere la titolarità di tutte le attribuzioni
dell’amministrazione periferica dello Stato, ad eccezione di alcune espressamente
indicate (affari esteri, giustizia, difesa, tesoro, finanze, pubblica istruzione, beni culturali,
agenzie e, successivamente, anche comunicazioni). In seguito, tali uffici (con la nuova
denominazione di prefetture – uffici territoriali del Governo) hanno mutato le loro funzioni,
assumendo un ruolo di coordinamento degli uffici periferici dello Stato (D.Lgs. 29/2004).
Anche il D.P.R. 287/2001, che individuava quali amministrazioni avrebbero dovuto
trasferire agli UTG i compiti svolti dalle proprie strutture locali, è stato abrogato (D.P.R.
180/2006).
Le linee guida adottate con D.P.C.M. 13 aprile 2007 in attuazione delle disposizioni in
commento precisano che la scelta tra le due prospettate soluzioni deve avvenire, per
ciascun ministero, avendo come dato di partenza la garanzia della qualità dei servizi
assicurati all'utenza ed analizzando le opportunità di razionalizzazione e integrazione
delle attività di autoamministrazione, nell’ottica di una possibile riduzione del numero
degli uffici addetti ad attività strumentali, anche con l'istituzione di servizi comuni o di
centri interservizi; va inoltre considerata la prospettiva del trasferimento di funzioni statali
verso Regioni ed enti locali ex art. 118 Cost., e rafforzate le capacità di raccordo con le
autonomie territoriali in attuazione del principio di leale collaborazione.
L’accorpamento delle strutture periferiche dovrà avvenire secondo una serie di
criteri e modalità indicati dai commi in esame. Innanzitutto, deve risultare
sostenibile e maggiormente funzionale sulla base dei princìpi di efficienza ed
economicità. La valutazione della sostenibilità e della funzionalità
dell’accorpamento dovrà essere operata congiuntamente dal ministro
competente e dai ministri per le riforme e le innovazioni nella pubblica
amministrazione, dell’interno, dell’economia e delle finanze e per i rapporti con il
Parlamento e le riforme istituzionali.
379
Ai sensi dei co. 2, 3 e 4 dell’art. 28 del D.Lgs. 165/2001.
316
IL PROCESSO DI RIORGANIZZAZIONE INTERNA
La legge finanziaria individua altresì alcuni settori specifici che devono formare
oggetto di riorganizzazione. In particolare:
ƒ il Ministero degli affari esteri (lettera g) del comma in esame) che dovrà:
- avviare la ristrutturazione della rete diplomatica, consolare e degli istituti di cultura
in considerazione del mutato contesto geopolitica, soprattutto in Europa
- unificare i servizi contabili degli uffici della rete diplomatica aventi sede nella
stessa città estera;
ƒ le sedi periferiche del Ministero dell’interno (prefetture, questure, comandi dei vigili
del fuoco: art. 1, co. 425 della legge finanziaria);
ƒ l’articolazione periferica del Ministero dell'economia e delle finanze e la ridefinizione
delle competenze e delle strutture dei Dipartimenti centrali del medesimo Ministero
(art. 1, co. 427 e 428).
La terza direttrice di intervento (lettera f)) prevede una generale riduzione
degli organici delle amministrazioni ministeriali. A questa misura si accompagna
un intervento di contenimento del personale con funzioni di supporto entro il
15% del totale delle risorse utilizzate da ciascuna amministrazione.
Si tratta di quei settori di personale (c.d. di back office) impegnati in attività di gestione
“interna” dell’amministrazione, con una basso grado di differenziazione tra le diverse
amministrazioni. In particolare, la lettera in esame ne individua cinque:
ƒ gestione delle risorse umane;
ƒ informatica;
ƒ manutenzione e logistica;
ƒ affari generali;
ƒ provveditorati e contabilità.
Gli altri criteri-guida per i regolamenti da emanare, indicati dal comma in
esame, riguardano la riduzione e la riorganizzazione di particolari attività o
strutture delle amministrazioni statali: la gestione del personale da realizzare in
modo unitario anche attraverso lo sfruttamento degli strumenti di innovazione
tecnologica e amministrativa (lettera b)); gli uffici con funzioni ispettive e di
controllo (lettera d) e gli organismi di analisi, consulenza e di studio (lettera
e)) (che hanno peraltro formato oggetto di interventi di riordino e soppressione
anche ai sensi dell'art. 29 del D.L. 223/2006380).
Le sopra citate linee guida, sempre ai fini di una maggiore efficienza e
razionalizzazione della spesa, menzionano quali criteri aggiuntivi, ove applicabili, quelli
dettati dall'art. 20 della L. 59/1997381 e in particolare:
380
381
D.L. 4 luglio 2006, n. 223, Disposizioni urgenti per il rilancio economico e sociale, per il
contenimento e la razionalizzazione della spesa pubblica, nonché interventi in materia di entrate
e di contrasto all'evasione fiscale, convertito, con modificazioni, dalla L. 4 agosto 2006, n. 248.
L. 15 marzo 1997, n. 59. L’art. 20 definisce i contenuti dell’annuale disegno di legge per la
semplificazione e il riassetto normativo, tra l’altro individuando i princìpi e criteri direttivi di
ordine generale per l’esercizio delle deleghe legislative e per l’adozione dei regolamenti di
delegificazione da esso di volta in volta recati.
317
SCHEDE DI APPROFONDIMENTO
ƒ
l'accorpamento delle funzioni per settori omogenei, la soppressione degli organi che
risultino superflui, la costituzione di centri interservizi dove ricollocare il personale
degli organi soppressi e raggruppare le competenze diverse ma confluenti in un'unica
procedura (art. 20, co. 4, lett. a));
ƒ l'ottimale utilizzazione delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione (art.
20, co. 4, lett. f));
ƒ l'avvalimento di uffici e strutture tecniche e amministrative pubbliche da parte di altre
pubbliche amministrazioni, sulla base di accordi conclusi ai sensi dell'art. 15 della L.
241/1990, e successive modificazioni (art. 20, co. 4, lett. f-quinquies);
ƒ il trasferimento ad organi monocratici o ai dirigenti di funzioni anche decisionali, che
non richiedano, in ragione della loro specificità, l'esercizio in forma collegiale, nonché
la sostituzione degli organi collegiali con conferenze di servizi ((art. 20, co. 8, lett. a)).
I commi da 405 a 416 delineano il procedimento di adozione dei
regolamenti di revisione degli assetti delle amministrazioni dello Stato secondo
criteri individuati dal comma 404. Esso può essere sintetizzato come segue:
ƒ le direttive generali per l’attività amministrativa e per la gestione (emanate
annualmente dai ministri entro dieci giorni dalla pubblicazione della legge di
bilancio, ai sensi dell’art. 14 del D.Lgs. 165/2001) provvedono a programmare
la riallocazione del personale di supporto in vista della sua riduzione entro il
15% (comma 413);
ƒ il Presidente del Consiglio, previo parere del Ministro per le riforme e le
innovazioni nella pubblica amministrazione, del Ministro dell’economia e delle
finanze e del Ministro dell’interno, emana le linee guida per l’attuazione del
riassetto delle amministrazioni (comma 412; le linee guida sono state adottate
con D.P.C.M. 13 aprile 2007);
ƒ entro due mesi dalla data di entrata in vigore del provvedimento in esame
(entro il 28 febbraio 2007) ciascuna amministrazione trasmette al Dipartimento
della funzione pubblica della Presidenza del Consiglio dei ministri e al
Ministero dell'economia e delle finanze gli schemi di regolamento
accompagnati da una dettagliata relazione tecnica, che specifichi le riduzioni
di spesa previste nel triennio e da un analitico piano operativo (comma 407);
ƒ l’esame degli schemi di regolamento da parte del Governo deve concludersi
entro un mese dalla loro ricezione (quindi al massimo entro il 31 marzo 2007)
(comma 407);
ƒ sempre entro il 31 marzo 2007 dovranno essere predisposti i piani di
riallocazione del personale di supporto di cui si è detto sopra (comma 408);
ƒ i regolamenti prevedono la completa attuazione dei processi di
riorganizzazione entro diciotto mesi dalla loro emanazione (comma 405);
ƒ dalla data di emanazione dei regolamenti sono abrogate le disposizioni
regolatrici delle materie ivi disciplinate, la cui puntuale ricognizione è affidata
ai medesimi regolamenti (comma 406).
È inoltre previsto un sistema di controllo e di sanzioni:
318
IL PROCESSO DI RIORGANIZZAZIONE INTERNA
ƒ
i ministri dell'economia e delle finanze e per le riforme e le innovazioni nella
pubblica amministrazione verificano ogni sei mesi lo stato di attuazione delle
disposizioni del presente articolo e ne trasmettono i risultati alle Camere
con una relazione specifica (comma 409);
ƒ anche gli organi di controllo delle singole amministrazioni effettuano
semestralmente un monitoraggio del quale trasmettono i risultati ai ministeri
vigilanti e alla Corte dei conti. Inoltre, dopo due anni, verificano il rispetto delle
disposizioni relative al personale utilizzato per lo svolgimento delle funzioni di
supporto (comma 411);
ƒ le amministrazioni che non abbiano provveduto nei tempi previsti alla
predisposizione degli schemi di regolamento non possono, per gli anni 2007 e
2008, procedere ad assunzioni di personale a qualsiasi titolo e con qualsiasi
tipo di contratto (comma 410);
ƒ il mancato raggiungimento degli obiettivi previsti nel piano operativo e nei
programmi innanzi citati sono valutati ai fini della corresponsione ai dirigenti
della retribuzione di risultato e della responsabilità dirigenziale (comma 414).
Il comma 415 istituisce una “Unità per la riorganizzazione”, composta dai
ministri per le riforme e le innovazioni nella pubblica amministrazione,
dell'economia e delle finanze e dell'interno, con il duplice compito di coordinare le
attività delle singole amministrazioni e di monitorare tali attività, al fine espresso
di conseguire i risultati finanziari di cui al comma 416. Nell'esercizio delle relative
funzioni l’Unità si avvale, nell'ambito delle attività istituzionali, senza nuovi o
maggiori oneri per il bilancio dello Stato, delle strutture già esistenti presso le
competenti amministrazioni.
Il comma 416 pone gli obiettivi di contenimento della spesa da conseguire
attraverso le riorganizzazioni amministrative prefigurate dal provvedimento in
esame: si prospettano risparmi di spesa non inferiori a 7 milioni di euro per
l'anno 2007, a 14 milioni di euro per l'anno 2008 ed a 20 milioni di euro per
l'anno 2009.
In attuazione delle disposizioni sin qui illustrate, sono stati emanati sinora
dieci regolamenti di riorganizzazione.
Si tratta dei seguenti:
ƒ
ƒ
ƒ
ƒ
ƒ
ƒ
ƒ
ƒ
ƒ
D.P.R. 14 novembre 2007, n. 225 (Ministero dello sviluppo economico);
D.P.R. 14 novembre 2007, n. 253 (Ministero del commercio internazionale);
D.P.R. 19 novembre 2007, n. 254 (Ministero delle infrastrutture);
D.P.R. 19 novembre 2007, n. 264 (Ministero dell’università e della ricerca);
D.P.R. 26 novembre 2007, n. 233 (Ministero per i beni e le attività culturali);
D.P.R. 8 dicembre 2007, n. 271 (Ministero dei trasporti);
D.P.R. 19 dicembre 2007, n. 258 (Ministero degli affari esteri);
D.P.R. 21 dicembre 2007, n. 260 (Ministero della pubblica istruzione);
D.P.R. 9 gennaio 2008, n. 18 (Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali);
319
SCHEDE DI APPROFONDIMENTO
ƒ
D.P.R. 30 gennaio 2008, n. 43 (Ministero dell’economia e delle finanze).
Sono in corso di adozione i regolamenti di riorganizzazione del Ministeri dell’ambiente
e della difesa.
320
LA COMPOSIZIONE DEI SUCCESSIVI GOVERNI
ASSETTO DEI MINISTERI
LA COMPOSIZIONE DEI SUCCESSIVI GOVERNI
Numero dei ministeri (dal D.Lgs. 300/1999 alla legge finanziaria 2008)
I commi 376 e 377 dell’articolo 1 della legge finanziaria per il 2008382 hanno
modificato la composizione del Governo, riducendo il numero dei ministeri e
fissando un tetto al numero complessivo dei componenti (inclusi ministri senza
portafoglio, vice ministri e sottosegretari)383.
La nuova disciplina, che innova (senza tuttavia novellarla) quella recata dal
D.Lgs. 300/1999384, ha efficacia “a partire dal Governo successivo a quello in
carica” alla data di entrata in vigore della legge finanziaria: essa dunque è
destinata a trovare applicazione in occasione della formazione del primo
Governo della XVI legislatura.
I commi in esame, peraltro, non individuano esplicitamente il numero, né la
denominazione, né le competenze dei ministeri risultanti dalla loro applicazione,
per cui risulta necessario ricavare tali elementi in via interpretativa.
Il primo periodo del comma 376 ridefinisce indirettamente il numero dei
ministeri, mediante un richiamo alle relative disposizioni del D.Lgs. 300/1999
nella sua formulazione originaria, cioè in quella pubblicata nel supplemento
ordinario alla Gazzetta ufficiale n. 203 del 30 agosto 1999, antecedente alle
modifiche apportate dal D.L. 217/2001 e dal successivo D.L. 181/2006.
In altre parole, la disposizione in esame fa sostanzialmente rivivere –
limitatamente a questo solo aspetto (numero dei ministeri) – la disciplina
382
383
384
L. 24 dicembre 2007, n. 244.
Il testo dei due commi è il seguente:
“376. A partire dal Governo successivo a quello in carica alla data di entrata in vigore della
presente legge, il numero dei Ministeri è stabilito dalle disposizioni di cui al decreto legislativo
30 luglio 1999, n. 300, nel testo pubblicato nel supplemento ordinario alla Gazzetta Ufficiale n.
203 del 30 agosto 1999. Il numero totale dei componenti del Governo a qualsiasi titolo, ivi
compresi ministri senza portafoglio, vice ministri e sottosegretari, non può essere superiore a
sessanta e la composizione del Governo deve essere coerente con il principio stabilito dal
secondo periodo del primo comma dell’articolo 51 della Costituzione.
377. A far data dall’applicazione, ai sensi del comma 376, del decreto legislativo n. 300 del
1999 sono abrogate le disposizioni non compatibili con la riduzione dei Ministeri di cui al citato
comma 376, ivi comprese quelle di cui al decreto-legge 12 giugno 2001, n. 217, convertito, con
modificazioni, dalla legge 3 agosto 2001, n. 317, e successive modificazioni, e al decreto-legge
18 maggio 2006, n. 181, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 luglio 2006, n. 233, e
successive modificazioni, fatte comunque salve le disposizioni di cui all’articolo 1, commi 2, 2bis, 2-ter, 2-quater, 2-quinquies, 10-bis, 10-ter, 12, 13-bis, 19, lettera a), 19-bis, 19-quater, 22,
lettera a), 22-bis, 22-ter e 25-bis, del medesimo decreto-legge n. 181 del 2006, convertito, con
modificazioni, dalla legge n. 233 del 2006, e successive modificazioni”.
D.Lgs. 30 luglio 1999, n. 300, Riforma dell'organizzazione del Governo, a norma dell'articolo 11
della legge 15 marzo 1997, n. 59.
321
SCHEDE DI APPROFONDIMENTO
dell’organizzazione del Governo di cui al testo originario del D.Lgs. 300/1999,
ove si istituivano e disciplinavano dodici ministeri.
Si ricorda al riguardo che la delega conferita dalla L. 59/1997385 per la riforma
dell’organizzazione dei Ministeri – che diede origine al D.Lgs. 300/1999 – era
espressamente intesa a razionalizzare l’ordinamento della Presidenza del
Consiglio dei ministri e dei Ministeri, anche attraverso il riordino, la soppressione
e la fusione di Ministeri, nonché di amministrazioni centrali anche ad ordinamento
autonomo.
Tra i princìpi e criteri direttivi della delega vi erano i seguenti: procedere alla
razionalizzazione e redistribuzione delle competenze tra i Ministeri, in ogni caso
riducendone il numero, anche con decorrenza differita all’inizio della nuova legislatura;
eliminare le duplicazioni organizzative e funzionali, sia all’interno di ciascuna
amministrazione, sia fra di esse, sia tra organi amministrativi e organi tecnici, con
eventuale trasferimento, riallocazione o unificazione delle funzioni e degli uffici esistenti,
e ridisegnare le strutture di primo livello, anche mediante istituzione di dipartimenti o di
amministrazioni ad ordinamento autonomo o di agenzie e aziende, anche risultanti dalla
aggregazione di uffici di diverse amministrazioni, sulla base di criteri di omogeneità, di
complementarietà e di organicità (cfr art. 12, co. 1, lett. f) e g), della L. 59/1997).
Il D.Lgs. 300/1999, che prevedeva come si è detto dodici ministeri, non ha
peraltro mai avuto applicazione nella sua formulazione originaria. Esso infatti
avrebbe dovuto essere applicato a partire dalla XIV legislatura, allorché però fu
emanato il D.L. 217/2001386. Tale decreto-legge, modificando il testo originario
del D.Lgs. 300/1999, portò a quattordici il numero dei Ministeri.
Una ulteriore riforma è stata posta in essere all’inizio della XV legislatura,
attraverso il D.L. 181/2006387: tale provvedimento ha portato a diciotto il
numero dei Ministeri.
La tabella che segue pone a confronto le diverse composizioni del Governo
secondo le formulazioni del D.Lgs. 300/1999 succedutesi nel tempo.
Testo originario
Art. 2, co. 1, del D.Lgs. 300/1999
Testo modificato
dal D.L. 217/2001
1. A decorrere dalla prossima legislatura, i ministeri
sono i seguenti:
385
386
387
1. I ministeri sono i seguenti:
Testo ulteriormente
modificato dal D.L.
181/2006
1. I ministeri sono i seguenti:
Legge 15 marzo 1997, n. 59, Delega al Governo per il conferimento di funzioni e compiti alle
regioni ed enti locali, per la riforma della Pubblica Amministrazione e per la semplificazione
amministrativa (c.d. Bassanini 1), art. 11, co. 1, lett. a).
D.L. 12 giugno 2001, n. 217, Modificazioni al decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300, nonché
alla legge 23 agosto 1988, n. 400, in materia di organizzazione del Governo, convertito con
modificazioni dalla legge 3 agosto 2001, n. 317.
D.L. 18 maggio 2006, n. 181, Disposizioni urgenti in materia di riordino delle attribuzioni della
Presidenza del Consiglio dei Ministri e dei Ministeri, convertito con modificazioni dalla legge 17
luglio 2006, n. 233.
322
LA COMPOSIZIONE DEI SUCCESSIVI GOVERNI
Testo originario
Art. 2, co. 1, del D.Lgs. 300/1999
Testo modificato
dal D.L. 217/2001
1) Ministero degli affari esteri
2) Ministero dell’interno
3) Ministero della giustizia
4) Ministero della difesa
5) Ministero dell’economia e
delle finanze
6) Ministero delle attività
produttive
1) Ministero degli affari esteri;
2) Ministero dell’interno;
3) Ministero della giustizia;
4) Ministero della difesa;
5) Ministero dell’economia e
delle finanze;
6) Ministero delle attività
produttive;
7) Ministero delle politiche
agricole e forestali
7) Ministero delle comunicazioni;
8) Ministero delle politiche
agricole e forestali;
8) Ministero dell’ambiente e
della tutela del territorio
9) Ministero dell’ambiente e
della tutela del territorio;
9) Ministero delle infrastrutture e dei trasporti
10) Ministero delle infrastrutture e dei trasporti;
10) Ministero del lavoro, della
salute e delle politiche sociali
11) Ministero dell’istruzione,
dell’università e della ricerca
11) Ministero del lavoro e
delle politiche sociali;
12) Ministero della salute;
13) Ministero dell’istruzione,
dell’università e della ricerca;
12) Ministero per i beni e le
attività culturali.
14) Ministero per i beni e le
attività culturali.
Testo ulteriormente
modificato dal D.L.
181/2006
1) Ministero degli affari esteri;
2) Ministero dell’interno;
3) Ministero della giustizia;
4) Ministero della difesa;
5) Ministero dell’economia e
delle finanze;
6)
Ministero
dello
sviluppo economico;
7)
Ministero
del
commercio
internazionale;
8) Ministero delle comunicazioni;
9) Ministero delle politiche
agricole,
alimentari
e
forestali;
10)
Ministero
dell’ambiente
e
della
tutela del territorio e del
mare;
11) Ministero delle infrastrutture;
12)
Ministero
dei
trasporti;
13) Ministero del lavoro e
della previdenza sociale;
14) Ministero della salute;
15)
Ministero
della
pubblica istruzione;
16)
Ministero
dell’università e della
ricerca;
17) Ministero per i beni e le
attività culturali;
18) Ministero della solidarietà sociale.
Il testo in commento riduce pertanto il numero dei ministeri a dodici: sei in
meno rispetto al precedente esecutivo.
Il numero dei ministri, includendovi quelli senza portafoglio, potrà
naturalmente essere superiore, fermo restando il limite massimo posto dal
secondo periodo del comma 376, del quale si dirà nel prossimo paragrafo.
323
SCHEDE DI APPROFONDIMENTO
Numero massimo dei componenti del Governo
Il secondo periodo del comma 376 pone un limite (questa volta esplicito)
anche al numero complessivo dei componenti del Governo “a qualsiasi
titolo”, comprendendo in tale nozione allargata di componente del Governo i
ministri senza portafoglio, i viceministri e i sottosegretari. Tale numero non potrà
essere superiore a sessanta.
Considerando la carica di Presidente del Consiglio dei ministri e quella dei
titolari dei dodici ministeri, se ne desume che il Governo non potrebbe contare
più di quarantasette tra vicepresidenti del Consiglio (che non siano al contempo
titolari di ministero), ministri senza portafoglio, viceministri ed altri sottosegretari
di Stato.
Pari opportunità di accesso
Ai sensi del medesimo comma 376, il contingente governativo dovrà inoltre
essere configurato “in coerenza” con il principio di cui all’articolo 51, primo
comma, secondo periodo, della Costituzione, a mente del quale la Repubblica
promuove con appositi provvedimenti le pari opportunità tra donne e uomini ai
fini dell’accesso agli uffici pubblici e alle cariche elettive.
Dalla formulazione dell’art. 51 Cost. non sembra peraltro discendere un
puntuale vincolo giuridico (misurabile in termini di “quote”) in ordine alla
rappresentanza dei due generi nella futura compagine governativa, quanto
piuttosto l’obbligo di promuovere le “pari opportunità nell’accesso”; il modo in cui
a tale principio si può dare applicazione all’atto della formazione del nuovo
Governo parrebbe dunque sostanzialmente rimesso alle sensibilità e alle
dinamiche dei diversi attori politico-istituzionali (principalmente, il Presidente del
Consiglio incaricato e il Capo dello Stato ai quali spettano, rispettivamente, la
proposta e l’atto di nomina dei membri del Governo).
Denominazione e competenze dei ministeri
Come si ricava da quanto sin qui detto, il testo in esame ripristina solo il
numero, ma non anche la denominazione e la ripartizione delle attribuzioni
fra i ministeri di cui all’originario D.Lgs. 300/1999.
Il comma 376, primo periodo, nulla dispone, infatti, quanto alla denominazione
e alle attribuzioni dei ministeri risultanti dalla riduzione: in altre parole, non indica
espressamente quali degli esistenti ministeri devono intendersi soppressi e quali
altri dovranno esercitarne le competenze.
Soccorre a tale riguardo il successivo comma 377, ove si prevede che, a
decorrere dalla reviviscenza (ai sensi e nei limiti di cui al comma precedente) del
324
LA COMPOSIZIONE DEI SUCCESSIVI GOVERNI
testo originario del D.Lgs. 300/1999388, sono abrogate tutte le disposizioni non
compatibili con la riduzione del numero dei ministeri, ivi comprese quelle recate
dal D.L. 217/2001 e dal D.L. 181/2006 (i quali, come si è innanzi ricordato, hanno
modificato il decreto legislativo istituendo nuovi ministeri e modificando l’assetto
delle competenze).
Sembra dover intendersi che l’abrogazione avrà ad oggetto le disposizioni,
introdotte successivamente al D.Lgs. 300/1999, che hanno disposto l’istituzione
di nuovi ministeri, ma non necessariamente quelle che ne hanno modificato la
denominazione o le competenze, salvo che tali modifiche risultino incompatibili
con la prevista riduzione numerica.
Si ricorda, al riguardo, che il D.L. 217/2001 ha istituito:
ƒ
ƒ
ƒ
ƒ
ƒ
ƒ
ƒ
ƒ
ƒ
ƒ
il Ministero delle comunicazioni389;
in luogo del Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali, il Ministero del
lavoro e delle politiche sociali e il Ministero della salute,
e che il successivo D.L. 181/2006 ha istituito:
il Ministero del commercio internazionale;
il Ministero della solidarietà sociale;
in luogo del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, il Ministero delle
infrastrutture e il Ministero dei trasporti;
in luogo del Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca, il Ministero della
pubblica istruzione e il Ministero dell’università e della ricerca.
In virtù dello stesso D.L. 181/2006,
la denominazione del Ministero delle politiche agricole e forestali muta in: Ministero
delle politiche agricole, alimentari e forestali”;
la denominazione del Ministero delle attività produttive muta in: Ministero dello
sviluppo economico;
la denominazione del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio muta in:
Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare;
la denominazione del Ministero del lavoro e delle politiche sociali muta in Ministero
del lavoro e della previdenza sociale.
L’individuazione dell’esatta portata abrogativa del comma 377 deve altresì
tener conto dell’ultimo inciso del comma, il quale fa comunque salve svariate
disposizioni del D.L. 181/2006.
ƒ
388
389
Si tratta dei seguenti commi dell’art. 1 del decreto-legge:
commi 2, 2-bis, 2-ter, 2-quater, 2-quinquies, che attribuiscono al Ministero dello
sviluppo economico le funzioni in materia di politiche di sviluppo e di coesione già
attribuite dal D.Lgs. 300/1999 (art. 24, co. 1, lett. c)) al Ministero dell’economia e delle
Cioè (è da ritenere) a decorrere dalla data del decreto di nomina del Presidente del Consiglio
dei ministri e dei ministri.
Per la precisione, il D.L. 217/2001 ha previsto il mantenimento in vita del Ministero delle
comunicazioni, la cui soppressione era prevista dal D.Lgs. 300/1999.
325
SCHEDE DI APPROFONDIMENTO
ƒ
ƒ
ƒ
ƒ
ƒ
390
391
392
393
394
finanze e successivamente trasferite dal D.L. 63/2005390 (art. 1) alla Presidenza del
Consiglio dei ministri, con particolare riferimento alle aree depresse, incluse le funzioni
in materia di strumenti di programmazione negoziata e di programmazione dell'utilizzo
dei fondi strutturali comunitari, la gestione del Fondo per le aree sottoutilizzate e i
relativi interventi391;
commi 10-bis e 10-ter, che hanno disposto, in sede di prima applicazione del D.L.
181/2006 e al fine di garantire il funzionamento delle strutture trasferite, il
mantenimento presso le singole amministrazioni, nell’ambito delle strutture trasferite,
degli incarichi dirigenziali conferiti ad esterni, anche in deroga ai limiti numerici
fissati dall’art. 19 del D.Lgs. 165/2001 (co. 5-bis e 6);
commi 12 e 13-bis, che mutano rispettivamente in “Ministero dello sviluppo
economico” la denominazione del Ministero delle attività produttive e in “Ministero
dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare” la denominazione del
Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio;
comma 19, lettera a), e 22, lettera a), che attribuiscono al Presidente del
Consiglio dei ministri le funzioni di competenza statale in materia di sport già
attribuite al Ministero per i beni e le attività culturali dagli artt. 52, co. 1, e 53 del D.Lgs.
300/1999392; e trasferiscono alla Presidenza del Consiglio le inerenti strutture
organizzative del Ministero per i beni e le attività culturali, con le relative risorse
finanziarie, umane e strumentali;
commi 19-bis e 19-quater, che attribuiscono alla Presidenza del Consiglio dei
ministri le funzioni di competenza statale in materia di turismo (in precedenza
attribuite al Ministero delle attività produttive dagli artt. 27 e 28 del D.Lgs. 300/1999),
istituiscono presso la Presidenza del Consiglio il Dipartimento per lo sviluppo e la
competitività del turismo, e dispongono il trasferimento delle inerenti risorse;
comma 22-bis (più volte modificato da successivi interventi normativi) che tra l’altro
sopprime la Commissione di supporto al ministro per la funzione pubblica istituita
presso il relativo Dipartimento dall’art. 3, co. 6-duodecies-6-quaterdecies, del D.L.
35/2005393, prevedendo in suo luogo la costituzione con D.P.C.M., presso la
Presidenza del Consiglio, di una Unità per la semplificazione e la qualità della
regolazione394, e dispone che, con D.P.C.M., si provveda a riordinare le funzioni e le
strutture della Presidenza del Consiglio in materia di semplificazione e qualità della
regolazione;
D.L. 26 aprile 2005, n. 63, Disposizioni urgenti per lo sviluppo e la coesione territoriale, nonché
per la tutela del diritto d'autore, e altre misure urgenti, convertito in legge, con modificazioni,
dalla L. 25 giugno 2005, n. 109.
Il comma 2 citato trasferisce inoltre alla Presidenza del Consiglio la segreteria del Comitato
interministeriale per la programmazione economica (CIPE), il Nucleo di consulenza per
l’attuazione delle linee guida per la regolazione dei servizi di pubblica utilità (NARS) e l’Unità
tecnica - finanza di progetto (UTPF) di cui all’art. 7 della L. 17 maggio 1999, n. 144, già operanti
presso il Dipartimento per le politiche di sviluppo e coesione del Ministero dell’economia e delle
finanze.
Il combinato disposto degli articoli richiamati attribuiva al Ministero per i beni e le attività culturali
le competenze spettanti allo Stato in materia di sport, fatta eccezione per quelle spettanti ad
altre amministrazioni statali ai sensi dello stesso D.Lgs. 300/1999 e per quelle spettanti alle
regioni e agli enti locali.
D.L. 14 marzo 2005, n. 35, Disposizioni urgenti nell’àmbito del Piano di azione per lo sviluppo
economico, sociale e territoriale, conv. con mod. dalla L. 14 maggio 2005, n. 80.
L’Unità è stata costituita con D.P.C.M. 12 settembre 2006.
326
LA COMPOSIZIONE DEI SUCCESSIVI GOVERNI
comma 22-ter, che novella l’art. 9, co. 2, della L. 400/1988395 in materia di
attribuzione di compiti specifici a ministri senza portafoglio;
ƒ comma 25-bis, ove si precisa che il riordino operato non comporta alcuna revisione
dei trattamenti economici dei dipendenti, che si rifletta in maggiori oneri per il bilancio
dello Stato.
ƒ
La formula abrogativa innominata alla quale ricorre il comma 377 rimette
pressoché interamente all’interprete l’individuazione delle disposizioni recate dai
due decreti-legge (e di quelle contenute in altre, non precisate, disposizioni
legislative) che debbano intendersi abrogate: si tratta di un’operazione
inevitabilmente caratterizzata da un margine di incertezza, oltre che da grande
delicatezza in ragione della materia trattata, di diretta attuazione costituzionale
(l’art. 95, co. 3°, Cost. rimette infatti alla legge la determinazione del numero,
delle attribuzioni e dell’organizzazione dei ministeri).
Nei medesimi D.L. 217/2001 e 181/2006 l’istituzione di nuovi ministeri si è inoltre
necessariamente accompagnata a una riassegnazione delle competenze tra ciascun
ministero di nuova istituzione ed altri ministeri, nonché tra questi e la Presidenza del
Consiglio dei ministri; la concreta determinazione dell’efficacia abrogativa del comma in
esame dovrebbe pertanto implicare anche una ricostruzione “a ritroso” dell’assetto
delle competenze, operazione interpretativa anch’essa, almeno a prima vista, non
agevole.
Ciò premesso, sembra plausibile osservare che dovrebbero potersi
annoverare, tra i dodici ministeri previsti, quelli elencati dall’originario D.Lgs.
300/1999 e non interessati dal riassetto operato dal D.L. 217/2001 e dal D.L.
181/2006, e quelli dei quali il D.L. 181/2006 ha modificato esclusivamente la
denominazione o talune competenze.
ƒ
ƒ
ƒ
ƒ
ƒ
ƒ
ƒ
ƒ
Si tratta dei seguenti otto ministeri:
Ministero degli affari esteri;
Ministero dell’interno;
Ministero della giustizia;
Ministero della difesa;
Ministero dell’economia e delle finanze;
Ministero per i beni e le attività culturali;
Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali;
Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare.
Gli altri quattro ministeri dovrebbero risultare dal “riaccorpamento” dei residui
ministeri in essere, consequenziale all’abrogazione innominata di cui al citato
comma 377.
Dovrebbero risultarne coinvolti:
395
Legge 23 agosto 1988, n. 400, Disciplina dell'attività di Governo e ordinamento della
Presidenza del Consiglio dei Ministri.
327
SCHEDE DI APPROFONDIMENTO
ƒ
ƒ
ƒ
il Ministero della pubblica istruzione e il Ministero dell’università e della ricerca;
il Ministero delle infrastrutture e il Ministero dei trasporti;
il Ministero del lavoro e della previdenza sociale, il Ministero della salute e il Ministero
della solidarietà sociale;
ƒ il Ministero dello sviluppo economico, il Ministero del commercio internazionale ed il
Ministero delle comunicazioni.
Non sembra possibile, in quest’ultimo caso, il ripristino della precedente
denominazione del ministero risultante (Ministero delle attività produttive), poiché il
comma 377 in commento (come si è innanzi accennato) mantiene espressamente in
vigore l’art. 1, co. 12, del D.L. 181/2006, che ha introdotto la nuova denominazione di
“Ministero dello sviluppo economico”.
Va comunque ricordato che le disposizioni di cui ai commi 376 e 377 (in
specie, la riduzione del numero dei ministeri e l’abrogazione delle disposizioni
incompatibili) appaiono immediatamente efficaci, fermo restando il termine
iniziale consistente nell’atto di formazione del nuovo governo (decreto
presidenziale di nomina), indipendentemente dall’eventuale adozione di ulteriori
disposizioni.
Si ricorda in proposito che pende tuttora il termine per l’esercizio della delega
legislativa per il coordinamento delle disposizioni in materia di funzioni e organizzazione
della Presidenza del Consiglio e dei ministeri, introdotta dall’art. 1 della L. 223/2006 (di
conversione del D.L. 181/2006). Il termine scadrà il 18 luglio 2008.
In conseguenza dell’intervento previsto dai commi in esame, è da ritenere si renda
altresì necessario un ulteriore riassetto dell’organizzazione interna dei ministeri
coinvolti dal riordino (e, forse, della Presidenza del Consiglio), dopo quello già intervenuto
in applicazione dell’art. 1, co. 404 ss., della legge finanziaria 2007 (sul quale si veda la
scheda Il processo di riorganizzazione interna, pag. 315). Nel silenzio del testo, sembra
anche in questo caso applicabile lo strumento regolamentare previsto in via generale
dall’art. 17, co. 4-bis, della L. 400/1988.
Risulterà presumibilmente necessaria, infine, l’adozione di disposizioni volte a
regolare la ricognizione delle strutture amministrative trasferite in esito alla ridefinizione
del numero e delle attribuzioni dei ministeri, e il conseguente trasferimento delle risorse
strumentali e finanziarie e del personale.
328
DISCIPLINA DELL’ATTIVITÀ AMMINISTRATIVA
EFFICIENZA DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE
DISCIPLINA DELL’ATTIVITÀ AMMINISTRATIVA
Il regolamento sull’accesso ai documenti amministrativi
Il 2 giugno 2006 è entrato in vigore il regolamento recante disciplina in
materia di accesso ai documenti amministrativi, approvato con D.P.R. 12
aprile 2006, n. 184.
Il regolamento, previsto dall’art. 23, co. 2, della L. 15/2005, disciplina le modalità di
esercizio del diritto di accesso in conformità alla L. 241/1990396 (recante norme generali
in materia di azione amministrativa) nel testo modificato dalla citata L. 15/2005. Esso
sostituisce la disciplina in materia già recata dal D.P.R. 27 giugno 1992, n. 352.
Ai sensi dell’art. 14, co. 1, del regolamento medesimo, le amministrazioni interessate
hanno un anno di tempo per adottare i provvedimenti generali organizzatori necessari al
corretto esercizio di tale diritto.
Tra le disposizioni introdotte dal provvedimento si segnalano:
ƒ la disciplina della Commissione per l'accesso ai documenti
amministrativi, istituita presso la Presidenza del Consiglio dall’art. 27 della L.
241/1990 e competente a vigilare sul principio di piena conoscibilità dell'attività
della pubblica amministrazione nel rispetto dei limiti stabiliti dalla legge,
nonché a pronunciarsi sui ricorsi avverso il diniego dell’accesso opposto da
parte di amministrazioni statali (art. 25, L. 241/2005);
ƒ l’applicazione delle disposizioni sulle modalità del diritto di accesso anche ai
soggetti portatori di interessi diffusi o collettivi;
ƒ la possibilità di consultazione per via telematica;
ƒ la possibilità di esercizio del diritto in via informale, mediante richiesta anche
verbale, ed anche per il tramite degli Uffici relazioni con il pubblico.
Successivamente, l’art. 1, co. 1346, della legge finanziaria per il 2007 (L.
296/2006) ha previsto l’emanazione di un regolamento di delegificazione con il
quale provvedere al riordino della Commissione per l’accesso, al fine di
assicurare un contenimento dei costi non inferiore al 20% delle spese sostenute
nell’esercizio 2006, e una razionalizzazione delle funzioni svolte dalla
Commissione, anche mediante soppressione di quelle che possono essere
svolte da altri organi.
In attuazione di quanto disposto dal comma citato è stato emanato il D.P.R. 2
agosto 2007, n. 157, che ha abrogato alcune disposizioni della L. 241/1990 e
396
L. 7 agosto 1990, n. 241, Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di
accesso ai documenti amministrativi.
329
SCHEDE DI APPROFONDIMENTO
ridefinito la disciplina dei compensi spettanti ai componenti della Commissione
ed agli esperti operanti presso l’organo.
La prima Relazione della Commissione per l’accesso ai documenti amministrativi sulla
trasparenza dell’attività della pubblica amministrazione, relativa all’anno 2006, è stata
trasmessa alle Camere, ai sensi dell’art. 27, co. 5, della L. 241/1990, il 3 aprile 2007
(doc. LXXVIII, n. 1).
L’indennizzo in caso di revoca del provvedimento amministrativo
Un’ulteriore novella alla L. 241/1990 ha avuto luogo ad opera dell’art. 13, co.
8-duodevicies, del D.L. 7/2007397, mediante l’aggiunta di un nuovo comma (1-bis)
all’art. 21-quinquies della legge, che disciplina in via generale l’istituto della
revoca del provvedimento amministrativo e i suoi effetti.
La disposizione prevede la possibilità di revocare un provvedimento amministrativo ad
efficacia durevole, da parte dell’organo che lo ha emanato o di altro organo previsto dalla
legge, per sopravvenuti motivi di interesse pubblico, mutamento della situazione di fatto o
nuova valutazione dell’interesse pubblico originario.
La revoca determina l’inidoneità del provvedimento revocato a produrre ulteriori effetti:
ha pertanto efficacia ex nunc. Qualora da essa derivi pregiudizio in danno dei soggetti
direttamente interessati, la pubblica amministrazione ha l’obbligo di provvedere a un
indennizzo. Le controversie in materia di determinazione e corresponsione
dell’indennizzo sono attribuite alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo.
Il nuovo comma 1-bis fissa i criteri per la determinazione dell’indennizzo
nell’ipotesi in cui la revoca dell’atto amministrativo incida su preesistenti rapporti
negoziali con privati. In tale ipotesi, l’indennizzo:
ƒ è parametrato al solo danno emergente (e non al “lucro cessante”);
ƒ tiene conto dell’eventuale conoscenza o conoscibilità da parte dei
contraenti della contrarietà all’interesse pubblico dell’atto amministrativo;
ƒ tiene conto altresì dell’eventuale concorso dei contraenti o di altri soggetti
all’erronea valutazione della compatibilità di tale atto con l’interesse pubblico.
Il disegno di legge del Governo in materia di modernizzazione ed
efficienza delle amministrazioni pubbliche
Interventi assai più ampi sulla disciplina generale dell’azione amministrativa
erano previsti da un disegno di legge governativo finalizzato alla
modernizzazione e all’efficienza delle amministrazioni pubbliche, che non ha
peraltro concluso il suo iter parlamentare.
397
D.L. 31 gennaio 2007, n. 7, Misure urgenti per la tutela dei consumatori, la promozione della
concorrenza, lo sviluppo di attività economiche e la nascita di nuove imprese, conv. con mod.
dalla L. 2 aprile 2007, n. 40.
330
DISCIPLINA DELL’ATTIVITÀ AMMINISTRATIVA
L’iter parlamentare
Il 24 gennaio 2007 il Governo, su iniziativa del ministro per le riforme e le
innovazioni nella pubblica amministrazione, di concerto con il ministro
dell'economia e delle finanze, presentava alla Camera un disegno di legge in
materia di Modernizzazione, efficienza delle Amministrazioni pubbliche e
riduzione degli oneri burocratici per i cittadini e per le imprese (A.C. 2161).
Il disegno di legge reca misure di varia natura, finalizzate nel complesso:
ƒ alla riorganizzazione dell'azione amministrativa e alla riduzione e alla
certezza dei tempi dei procedimenti e delle relative forme di tutela;
ƒ alla riduzione degli oneri burocratici per i cittadini e per l'insieme degli
operatori economici.
A queste due finalità sono dedicati i due capi nei quali sono raccolti i 18 articoli
dell’originario testo governativo.
Intendimento del Governo – precisa la relazione illustrativa – è quello di “creare un
ambiente di infrastrutture burocratiche più favorevole allo svolgimento delle attività
economiche e, al tempo stesso, […] garantire ai cittadini la qualità dei servizi resi, sia
dalla pubblica amministrazione, sia dai soggetti che ad essa si sono sostituiti in settori di
rilevante importanza per la vita quotidiana, come i gestori di servizi pubblici”.
L’esame in sede referente presso la I Commissione (Affari costituzionali) della
Camera, è iniziato nella seduta dell’8 marzo 2007, e si è svolto, congiuntamente
con quello di alcune proposte di legge di iniziativa parlamentare398, nel corso di
dieci sedute. Nella seduta del 3 aprile la Commissione adottava il disegno di
legge del Governo come testo base; nella seduta del 14 giugno la Commissione
ha deliberato di conferire il mandato al relatore a riferire in senso favorevole
all'Assemblea sul testo modificato dagli emendamenti approvati.
L’esame in Assemblea ha inizio il 18 giugno 2007 con la discussione sulle
linee generali. Ripreso dopo la pausa estiva, il 10 ottobre, con l’esame degli
articoli, si concludeva il 24 ottobre con l’approvazione di un testo ulteriormente
modificato e integrato.
La 1ª Commissione del Senato, alla quale il testo era stato assegnato in sede
referente, dedicava al provvedimento (A.S. 1859) alcune sedute tra il dicembre
2007 e il gennaio 2008; la fine della legislatura non ha consentito l’ulteriore
prosecuzione dell’iter.
Il testo approvato dalla Camera
Varie disposizioni, tra quelle contenute nel capo I, mirano ad un ulteriore
intervento di revisione della citata L. 241/1990 (più volte in precedenza
modificata), disciplinante l’azione amministrativa, in particolare in tema di
398
A.C. 590 (on. Lucchese), A.C. 1505 (on. Pedica ed altri), A.C. 1588 (on. Nicola Rossi ed altri),
A.C. 1688 (on. La Loggia e Ferrigno), A.C. 2080 (on. Turci ed altri).
331
SCHEDE DI APPROFONDIMENTO
conclusione del procedimento e di responsabilità della pubblica
amministrazione. Sono altresì oggetto di intervento le disposizioni di tutela dei
cittadini nei confronti della pubblica amministrazione, in materia di silenzio
assenso e di ricorso straordinario al Presidente della Repubblica; nonché
quelle relative alla dichiarazione d'inizio attività e al diritto d'accesso ai
documenti amministrativi.
ƒ
ƒ
ƒ
ƒ
ƒ
ƒ
ƒ
ƒ
In particolare, l’articolo 1:
inserisce espressamente il principio di imparzialità tra i princìpi elencati nella
L. 241/1990 sull’azione amministrativa;
sostituisce interamente l’art. 2 della L. 241/1990, che disciplina la
conclusione del procedimento amministrativo, ridefinendo le modalità di
determinazione dei termini per l’adozione dei provvedimenti e
abbreviando la durata massima di tali termini; il termine ordinario è fissato in
trenta giorni, salvi i diversi termini fissati da leggi o da appositi regolamenti
(questi ultimi non potranno comunque prevedere termini superiori a 180
giorni);
inserisce un nuovo art. 2-bis che disciplina le conseguenze del ritardo
dell’amministrazione nella conclusione del procedimento, ponendo a carico
delle amministrazioni pubbliche l’obbligo di risarcire il danno ingiusto
causato dall’inosservanza dei termini procedimentali e disponendo comunque,
in caso di ritardo, la corresponsione di una somma di denaro a beneficio
dell’istante (le controversie relative all’applicazione dell’articolo sono attribuite
alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo);
estende la disciplina di cui ai testé illustrati artt. 2 e 2-bis, nonché all’art. 3
della L. 241/1990 (sull’obbligo di motivazione dei provvedimenti) anche ai
soggetti privati preposti all'esercizio di attività amministrative;
attribuisce alla comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza
(di cui all’art. 10-bis della L. 241/1990) efficacia sospensiva (non interruttiva)
dei termini per la conclusione del procedimento;
modifica la disciplina generale relativa all’acquisizione di pareri e
valutazioni tecniche
nell’ambito
dell’istruttoria
del
procedimento
amministrativo, contenuta negli artt. 16 e 17 della L. 241/1990, prevedendo in
particolare che l’amministrazione richiedente debba procedere anche in
assenza dei pareri facoltativi e delle valutazioni tecniche richieste quando
siano decorsi infruttuosamente i termini per la loro emissione;
modifica in termini estensivi la disciplina della dichiarazione di inizio
attività e quella del silenzio-assenso, di cui rispettivamente agli artt. 19 e 20
della L. 241/1990;
interviene sulla alla disciplina generale del diritto di accesso ai documenti
amministrativi (recata dall'art. 25 della L. 241/1990), tra l’altro ribaltando il
valore assegnato dalla normativa vigente all’inerzia dell’amministrazione di
332
DISCIPLINA DELL’ATTIVITÀ AMMINISTRATIVA
fronte a una richiesta di accesso: decorsi inutilmente trenta giorni dalla
richiesta, questa infatti si intenderebbe accolta (e non più respinta).
Il successivo articolo 8 ridefinisce l'ambito di applicazione della L.
241/1990, quale disciplinato dall'art. 29 di questa, individuando le disposizioni
applicabili anche
ƒ alle società a totale o prevalente capitale pubblico, limitatamente
all’esercizio di funzioni amministrative;
ƒ ai gestori pubblici o privati dei servizi di pubblica utilità;
ƒ alle amministrazioni regionali (partecipazione al procedimento,
responsabile del procedimento, conclusione del procedimento, accesso,
dichiarazione di inizio attività, silenzio assenso) in virtù dell’art. 117, co. 2°,
lett. m), della Costituzione, in quanto volte a determinare i “livelli essenziali
delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti
su tutto il territorio nazionale”.
Gli articoli 2, 3 e 7 modificano il codice dell’amministrazione digitale399:
ƒ estendendone l’applicazione ai soggetti privati preposti all’esercizio di
attività amministrative;
ƒ facendo obbligo alle pubbliche amministrazioni di rendere disponibili gli
elenchi della documentazione richiesta a corredo di ciascuna istanza,
nonché (anche nei siti istituzionali) i casi in cui operano il silenzio-assenso e la
dichiarazione di inizio di attività, e di predisporre i relativi moduli e formulari, e
vietando ad esse (salvo eccezioni motivate) di richiedere ulteriori informazioni
o documenti oltre a quelli così indicati.
L’articolo 4 mira a ridurre i tempi del procedimento di adozione del
Programma statistico nazionale; l’articolo 5 reca disposizioni finalizzate
all’attuazione dei sistemi di gestione del protocollo informatico da parte delle
pubbliche amministrazioni. Il successivo articolo 11 reca misure per la
digitalizzazione degli atti e dei documenti nei processi amministrativo, contabile e
tributario, conferisce deleghe al Governo per adeguare al processo telematico
la normativa in tema di comunicazioni e notificazioni e le modalità di
conferimento della procura alle liti, e reca ulteriori misure in materia di
notificazioni.
L’articolo 6 dà facoltà alle pubbliche amministrazioni, anche regionali e locali,
di avviare, anche in deroga a disposizioni vigenti e sotto il controllo della
Presidenza del Consiglio, programmi biennali di sperimentazione finalizzati alla
riprogettazione e alla riorganizzazione dei processi di servizio.
399
D.Lgs. 7 marzo 2005, n. 82.
333
SCHEDE DI APPROFONDIMENTO
L’articolo 9 prevede la non corresponsione del trattamento economico
accessorio dei dirigenti pubblici in casi di inosservanze delle disposizioni della
L. 241/1990 nel corso di procedimenti amministrativi.
L’articolo 10 reca disposizioni di varia natura, principalmente in materia di
tutela amministrativa; tra queste si segnalano le modifiche alla disciplina del
D.P.R. 1199/1971 in materia di ricorso straordinario al Presidente della
Repubblica, volte a snellire il procedimento e ad avvicinarlo ai principi di tutela
giurisdizionale attinenti alla garanzia del contraddittorio.
L’articolo 12, introdotto nel corso dell’esame alla Camera, reca “Disposizioni
in materia di valutazione delle amministrazioni pubbliche”. Novellando la L.
936/1986400, attuativa dell’articolo 99 della Costituzione che istituisce il Consiglio
nazionale dell’economia e del lavoro, vi introduce un nuovo articolo 16-bis,
istitutivo di una Commissione indipendente per la valutazione dei risultati e
della qualità dell’azione delle amministrazioni pubbliche.
Benché incardinata nel CNEL, la Commissione costituisce una struttura dotata
di autonomia, e presenta caratteristiche analoghe a quelle delle Autorità
indipendenti.
Il nuovo organismo si compone di cinque membri, nominati con D.P.R. per cinque
anni, individuati tra persone di notoria indipendenza esperte in materia di qualità e
organizzazione delle amministrazioni pubbliche o del settore privato, nonché di
riconosciuta professionalità nelle discipline giuridico-economiche e gestionali. Dei cinque
componenti uno, con funzioni di Presidente, è designato dai Presidenti delle due Camere,
d’intesa fra loro, entro due elenchi di tre nomi designati, a maggioranza di due terzi, da
ciascuna delle Commissioni competenti delle due Camere; uno, dalla Conferenza dei
Presidenti delle Assemblee legislative delle Regioni e delle Province autonome; uno dalla
delegazione degli enti locali nella Conferenza Stato-città ed autonomie locali; uno dal
CNEL a maggioranza dei suoi componenti; uno dal Consiglio nazionale dei consumatori
e degli utenti401.
La Commissione svolge compiti di monitoraggio, valutazione e verifica
della qualità dei servizi offerti dalle pubbliche amministrazioni, prestando anche
il proprio apporto all’omogeneizzazione dei sistemi di controllo interno delle
diverse amministrazioni, in particolare attraverso l’individuazione dei requisiti dei
componenti dei servizi di controllo e valutazione e l’elaborazione di linee guida e
modelli per la valutazione del personale e dell’efficacia ed efficienza dell’azione
amministrativa. Svolge altresì attività di ricerca e di analisi. Può condurre, anche
400
401
L. 30 dicembre 1986 n. 936, Norme sul Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro.
Il Consiglio nazionale dei consumatori e degli utenti è stato istituito con la L. 30 luglio 1998, n.
281, confluita nel Codice del consumo (D. Lgs. n. 206/2005) ed è composto dai rappresentanti
delle associazioni dei consumatori maggiormente rappresentative sul territorio nazionale e
riconosciute secondo i criteri stabiliti dall’art. 137 del Codice del consumo, nonché da un
rappresentante delle Regioni designato dalla Conferenza unificata. Esso ha sede presso il
Ministero dello sviluppo economico ed è presieduto dal ministro o da un suo delegato.
334
DISCIPLINA DELL’ATTIVITÀ AMMINISTRATIVA
su segnalazione di soggetti pubblici e privati, indagini su casi di scarsa efficacia
ed efficienza amministrativa, formulando segnalazioni e raccomandazioni alle
amministrazioni interessate.
La Commissione può avvalersi delle attività degli organismi pubblici
competenti nel settore (ISTAT, Ragioneria generale dello Stato, ARAN etc.),
nonché dei risultati delle attività di valutazione effettuate da altri organismi
pubblici (INVALSI; ANVUR, etc.). I risultati dell’attività di monitoraggio sono
pubblici ed è previsto che la Commissione presenti annualmente una relazione
al Parlamento, al Presidente del Consiglio e al CNEL.
Lo stesso articolo 12 reca una delega al Governo per il riordino del sistema
dei controlli interni delle pubbliche amministrazioni, così come delineato dal
D.Lgs. 286/1999, e modifica la disciplina dell’Ispettorato per la funzione
pubblica, contenuta nell’art. 60 del D.Lgs. 165/2001402, escludendo la diretta
dipendenza dell’Ispettorato dal Ministro per la funzione pubblica e inserendo tra i
compiti dell’organismo la vigilanza sul raggiungimento degli obiettivi strategici
stabiliti negli atti di indirizzo e sull’attuazione dei processi di miglioramento della
qualità dell’azione amministrativa.
Al fine di rendere più efficace l’attività della Commissione per la valutazione, il
successivo articolo 22 pone a carico di tutte le amministrazioni pubbliche
l’obbligo di promuovere conferenze annuali sul tema della valutazione del
pubblico impiego, coordinandosi a tal fine con la Commissione. I dati e gli
interventi delle conferenze sono resi disponibili sul sito internet della
Commissione.
Gli articoli 13 e seguenti, compresi nel capo II del disegno di legge, recano
misure di semplificazione riferite a specifici settori.
ƒ
ƒ
ƒ
ƒ
ƒ
ƒ
ƒ
ƒ
402
Si tratta in particolare dei seguenti:
l’edilizia privata (articolo 13, co. 1), con particolare riguardo al certificato di agibilità;
il sistema dei controlli amministrativi in materia ambientale (articolo 13, co. 2-6);
i libri fondiari (articolo 13, co. 7);
gli accertamenti medici per il conseguimento della patente di guida e del certificato
di idoneità alla guida di ciclomotori (articolo 14);
l’applicazione del testo unico in materia di documentazione amministrativa (di cui
al D.P.R. 445/2000) ai gestori di servizi bancari o assicurativi (articolo 15);
i procedimenti di riconoscimento di persone giuridiche private e di approvazione
delle modifiche dell'atto costitutivo e dello statuto (articolo 16);
la validità della carta d’identità (portata a 10 anni) e la semplificazione e il riassetto
delle disposizioni in materia anagrafica, rimessi a una delega legislativa (articolo 17);
il procedimento per le adozioni internazionali (articolo 18);
D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, Norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle
amministrazioni pubbliche.
335
SCHEDE DI APPROFONDIMENTO
ƒ
la disciplina delle sanzioni amministrative pecuniarie per gli operatori del settore del
trasporto aereo (gestori aeroportuali, operatori aerei, manutentori aeronautici,
prestatori di servizi), oggetto di una specifica delega al Governo (articolo 19);
ƒ i i contrassegni per la circolazione e la sosta dei veicoli di persone invalide (articolo
20);
ƒ la gestione delle reti ed erogazione dei servizi pubblici locali di rilevanza
economica (articolo 21);
336
IL DIBATTITO SUI “COSTI DELLA POLITICA”
EFFICIENZA DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE
IL DIBATTITO SUI “COSTI DELLA POLITICA”
Nel corso dell’intero arco della XV legislatura si sono succeduti interventi ed
iniziative di carattere normativo volti alla razionalizzazione e al contenimento
delle spese per il funzionamento delle istituzioni pubbliche, e in special modo
degli organi di rappresentanza, al potenziamento del sistema dei controlli, in
particolare di quelli aventi ad oggetto l’attività degli enti territoriali e delle società
a partecipazione pubblica (per specifici aspetti su questi temi v. in particolare le
schede Interventi di razionalizzazione della spesa, nel dossier relativo alla
Commissione Bilancio, Trattamento economico dei parlamentari, pag. 62,
Ordinamento degli enti locali - Interventi sui costi della politica negli enti locali,
pag. 91.
Gli interventi e le iniziative adottati si sono peraltro inseriti all’interno di un più
ampio dibattito, che nel corso della legislatura ha avuto particolare rilievo e
ampiezza nell’opinione pubblica, relativo all’esigenza di individuare misure a
carattere sistematico volte al contenimento di quelli che sono stati definiti, con
espressione giornalistica, “costi della politica”403.
Tale espressione non ha tuttavia un contenuto univoco, come dimostrato
anche dall’eterogeneità dei contenuti delle proposte di legge e delle ricostruzioni
operate in materia404, costituendo piuttosto una formula riassuntiva con la quale
si fa in sostanza riferimento ad una pluralità di questioni nelle quali si individuano
forme di utilizzo non efficiente delle risorse pubbliche.
Nell’ambito del dibattito sui “costi della politica” si è quindi, in primo luogo,
fatto riferimento al complesso delle spese riferibili, nei diversi livelli territoriali, al
funzionamento delle istituzioni rappresentative nonché agli organi di
direzione politica ed al personale che operi alle loro dirette dipendenze in
funzioni di diretta collaborazione. In questo contesto, particolare rilievo ha
assunto il dibattito circa la misura delle indennità, dei rimborsi e delle prestazioni
di altro genere riconosciute ai componenti delle assemblee elettivi in ragione
della carica e delle funzioni da questi ricoperte.
In un’altra accezione, l’espressione “costi della politica” è invece utilizzata per
richiamare nel loro complesso le forme di finanziamento pubblico della politica,
con particolare riferimento alla disciplina dei rimborsi delle spese elettorali
sostenute dai partiti e movimenti politici e, più in generale, alle altre forme di
403
404
L’espressione “costi della politica” è peraltro divenuta di uso comune anche nelle sedi tecniche
(una sezione della memoria del Procuratore generale presso la Corte dei conti in sede di
giudizio sul rendiconto generale dello Stato per il 2006 è per l’appunto intitolata “costi della
politica”) e istituzionali (due delle proposte di legge esaminate dalla I Commissione della
Camera nel corso della legislatura – per le quali v. infra - richiamano nel titolo rispettivamente i
“costi della politica” e i “costi impropri della politica”).
Si vedano, ad esempio, le misure indicate dal Rapporto conclusivo sull’attuazione del
programma di Governo nella sezione relativa a ”Riduzione della spesa pubblica/Costi della
politica” (pagg. 57-59 del documento).
337
SCHEDE DI APPROFONDIMENTO
finanziamento e di agevolazione delle quali beneficiano direttamente o
indirettamente le forze politiche (contributi ai giornali e alle imprese radiofoniche
di partito…).
Da ultimo, il dibattito sull’esigenza di contenimento dei “costi della politica” si è
esteso, più in generale, all’individuazione di misure volte a perseguire un utilizzo
efficiente delle risorse pubbliche da parte delle pubbliche amministrazioni,
ai diversi livelli territoriali, nonché agli interventi di razionalizzazione delle spese
sostenute da enti, agenzie e società costituiti o partecipati dalle pubbliche
amministrazioni o dagli enti territoriali. La tematica dei “costi della politica”, intesi
in questa ultima accezione, si intreccia peraltro con numerose altre
problematiche oggetto di interventi e proposte nel corso della legislatura, riferibili,
da un lato, alla disciplina dell’attività amministrativa e degli apparati burocratici
pubblici e al rafforzamento del sistema dei controlli (v. scheda Responsabilità e
controlli, pag. 346) e, dall’altro, all’eliminazione di sovrapposizioni tra gli ambiti di
competenza dello Stato e degli enti territoriali e, più in generale, all’attuazione del
federalismo fiscale (v. scheda Il federalismo fiscale, nel dossier relativo alla
Commissione Bilancio).
L’indagine conoscitiva sui “costi della politica”
In questo quadro, nella seduta del 17 maggio 2007 la Commissione Affari
Costituzionali della Camera avviava l’esame di quattro proposte di legge di
iniziativa parlamentare in materia.
Due delle proposte (in particolare, l’A.C. 2104, presentato dagli onn. Caruso e
Acerbo e l’A.C. 2179, presentato dagli onn. Donadi ed altri) disponevano
esclusivamente in ordine alla misura dell’indennità spettante ai membri del
Parlamento, mentre le altre due (l’A.C. 1942, presentato dall’on. Spini, e l’A.C.
2250, presentato dagli onn. D'Elia ed altri) recavano diverse misure riferite al
contenimento dei costi delle istituzioni e delle pubbliche amministrazioni,
intervenendo in ambiti disciplinari che in molte circostanze sono stati
successivamente oggetto di modifiche normative (le proposte recavano, in
particolare, norme in materia di società partecipate, di responsabilità
amministrativa e contabile, nonché misure volte al contenimento delle spese per
gli enti locali e alla soppressione e razionalizzazione di enti ed organismi
pubblici).
Nell'ambito dell'esame in sede referente di queste proposte, la I Commissione
ha deliberato lo svolgimento di una indagine conoscitiva finalizzata “ad
acquisire elementi istruttori necessari alla elaborazione di un testo unificato volto
a contenere, razionalizzare e rendere trasparente la spesa nel settore e al tempo
338
IL DIBATTITO SUI “COSTI DELLA POLITICA”
stesso a tutelare la fondamentale esigenza del migliore e più efficiente
funzionamento delle istituzioni democratiche”405.
Più in particolare, l’intento dell’indagine era quello di individuare principi di trasparenza
e criteri condivisi dall'insieme delle istituzioni rappresentative dei diversi livelli territoriali
che costituiscono la Repubblica, da trasfondere in una legge quadro che avesse come
contenuto essenziale regole e procedure di coordinamento, nel rispetto delle sfere di
autonomia riconosciute agli enti territoriali. I principi e criteri avrebbero dovuto in special
modo riguardare la migliore regolazione e la massima trasparenza dei costi connessi
all'esercizio delle funzioni istituzionali degli organi rappresentativi ed esecutivi e di taluni
organismi amministrativi di particolare rilevanza, ivi compresi i vertici dei ministeri e delle
società a partecipazione pubblica.
L’esigenza di salvaguardare gli ambiti di autonomia spettanti agli enti territoriali, oltre a
quelli propri degli organi costituzionali, comporta sul piano della metodologia dell’indagine
la necessità che all’individuazione dei contenuti del provvedimento da adottare si giunga
a seguito di una fase di dialogo e di consultazione di tutte le istituzioni interessate.
Quanto al programma dell'indagine conoscitiva, si prevedeva una prima fase di
impostazione della raccolta delle informazioni con l'audizione dei ministri competenti nelle
materie oggetto dell’indagine, di rappresentanti degli organismi esponenziali degli enti
territoriali406, nonché della Corte dei Conti, del CNEL e dell'ISTAT.
Una volta conclusa questa fase e sulla base delle sue risultanze, che avrebbero
dovuto riguardare anche aspetti di comparazione internazionale, si prevedeva lo
svolgimento di alcune “grandi audizioni collettive” nelle quali, in diverse tornate,
avrebbero potuto essere auditi rappresentanti degli organismi interessati, giuristi,
economisti, sociologi, addetti al sistema della comunicazione ed altri esperti della
materia.
In questo quadro, l'Ufficio di presidenza della I Commissione, integrato dai
rappresentanti dei gruppi, ha in via preliminare incontrato il 30 maggio 2007 in
una sede informale il Ministro per l'attuazione del programma di Governo, nonché
rappresentanti istituzionali delle regioni e delle autonomie locali al fine di avviare
un confronto sui temi di maggior rilievo oggetto dell'indagine conoscitiva407.
Successivamente, nella prima audizione nell’ambito dell’indagine
conoscitiva, il Ministro per l’attuazione del programma di Governo, Giulio
Santagata, nel richiamare i provvedimenti fino ad allora adottati in materia dal
Governo, manifestava l’intenzione dell’Esecutivo di muoversi lungo due direttrici
di lavoro parallele, provvedendo, da un lato, alla stesura di un “libro bianco” che
costituisse una base informativa completa e condivisa relativa ai diversi territoriali
e, dall’altro, predisponendo un disegno di legge che affrontasse in modo
complessivo il tema dei “costi della politica” nei suoi aspetti istituzionali ed
amministrativi.
405
406
407
V. il Programma dell’indagine conoscitiva, deliberata dalla I Commissione nella seduta del 29
maggio 2007.
Conferenza delle regioni e delle province autonome, Conferenza dei Presidenti delle
Assemblee legislative delle Regioni e delle Province autonome, A.N.C.I., U.P.I., U.N.C.E.M.
Al riguardo v. il resoconto della seduta della I Commissione del 29 maggio 2007.
339
SCHEDE DI APPROFONDIMENTO
Più in particolare, si indicavano tre direttrici di intervento, riferite specificamente a:
ƒ contenimento dei costi e riorganizzazione della rappresentanza, con particolare
riferimento agli enti territoriali;
ƒ razionalizzazione della pubblica amministrazione, in particolare, a livello centrale,
anche al fine di eliminare diseconomie e sovrapposizioni di competenze;
ƒ rafforzamento della trasparenza delle pubbliche amministrazioni e della responsabilità
degli amministratori.
Alla seconda seduta dell’indagine, che si è tenuta l’11 luglio 2007, sono stati
invitati a partecipare i questori della Camera e sono quindi stati affrontati i temi
connessi alle spese per il funzionamento della Camera e, più in generale, della
rappresentanza parlamentare.
Nell’intervento svolto dal deputato questore, on. Albonetti, e nella relazione
elaborata in materia dal Collegio dei questori e depositata agli atti dell’indagine408
è stato fornito un ampio quadro di informazioni e di elementi di valutazione,
anche a carattere comparato, inerenti alle spese per il funzionamento della
Camera, la loro dinamica nel tempo e gli interventi di contenimento adottati nelle
ultime legislature (per ulteriori approfondimenti v. anche il capitolo Parlamento e
sistema dei partiti, nel dossier 1/1, Parte seconda.
Successivamente alla proroga al 30 aprile 2008 del termine per la conclusione
dell'indagine, nella terza seduta dell’indagine conoscitiva ha avuto, infine, luogo
l’audizione del Presidente della Corte dei conti, che si è concentrata sugli
aspetti relativi all’efficienza della spesa pubblica ai diversi livelli istituzionali,
tratteggiando – attraverso il richiamo di alcune delle analisi svolte nel tempo dalla
Corte nei diversi ambiti istituzionali – un articolato quadro dei principali profili
problematici emersi negli ultimi anni con riferimento alla spesa delle
amministrazioni centrali e di quelle territoriali.
In estrema sintesi, il presidente della Corte dei conti ha evidenziato come a fronte dei
processi istituzionali ed economici realizzatisi negli ultimi anni nel nostro Paese non si
siano realizzati coerenti meccanismi di governo della spesa pubblica, ponendo le basi per
una sua evoluzione sempre meno sostenibile. Per il Presidente della Corte, in sostanza,
“il costo della politica […] sta quindi nel mancato riadeguamento delle strutture alle nuove
esigenze, nel ritardo con cui si sono aggredite le cause strutturali degli squilibri, nelle
scelte di governance, che, specie nelle realtà territoriali, sono state spesso condizionate
da esigenze occupazionali e di spesa di breve periodo più che da necessità effettive,
nelle scelte di gestione del debito, volte, troppo di frequente, a massimizzare il beneficio
economico di breve periodo e scaricare sulle gestioni future oneri crescenti”409.
408
409
La relazione è pubblicata in allegato al resoconto stenografico della seduta.
Camera dei deputati – I Commissione. Resoconto stenografico della seduta di martedì 20
novembre 2007, pag. 3-4.
340
IL DIBATTITO SUI “COSTI DELLA POLITICA”
Le iniziative del Governo
Come si è ricordato, nella sua audizione nell’ambito dell’indagine conoscitiva
svolta dalla Commissione Affari costituzionali della Camera, il Ministro per
l’attuazione del programma di Governo aveva annunciato l’intenzione
dell’esecutivo di affrontare la questione dei “costi della politica” non solo
attraverso provvedimenti puntuali, riferiti a specifici aspetti della questione, ma
anche con un provvedimento di carattere sistematico, da presentare alle Camere
entro il mese di giugno 2007.
L’iniziativa normativa si inseriva peraltro nel quadro di un più ampio disegno di
iniziative intraprese, ai diversi livelli territoriali, in ordine alla razionalizzazione
delle spese sostenute, da realizzarsi anche attraverso l’eliminazione di possibili
sovrapposizioni o duplicazioni di attività tra pubbliche amministrazioni centrali,
Regioni ed enti locali e l’adozione di opportune procedure di coordinamento
interistituzionale.
Già sul finire di maggio, infatti, in distinte riunioni le associazioni
rappresentative delle Regioni410, dei Consigli regionali411 e degli enti locali412
avevano assunto l’impegno di avviare un lavoro comune da parte di tutte le
istituzioni presenti sul territorio nazionale per una razionalizzazione delle spese
destinate al rispettivo funzionamento e alla pubblica amministrazione.
In questo quadro, dopo che una sessione straordinaria della Conferenza
Unificata era stata dedicata all’esame delle iniziative da intraprendere in ordine al
contenimento dei costi della politica413, il 12 luglio 2007 rappresentanti del
Governo414 e delle autonomie territoriali415 sottoscrivevano un Patto per il
contenimento dei costi delle Istituzioni, nel quale i soggetti stipulanti si
impegnavano ad intraprendere, secondo le rispettive competenze costituzionali,
azioni di carattere normativo o amministrativo volte a rendere più efficace ed
efficiente il funzionamento delle istituzioni e della pubblica amministrazione, ai fini
del contenimento dei relativi costi.
410
411
412
413
414
415
Un ordine del giorno che contiene alcune prime proposte sul miglioramento della Pubblica
Amministrazione e per la riduzione di costi e sovrapposizioni è stato approvato il 31 maggio
2007 dalla Conferenza delle Regioni e delle Province autonome.
Un ordine del giorno sui “costi della politica è stato approvato il 30 maggio 2007 dall’Assemblea
plenaria della Conferenza dei Presidenti delle Assemblee regionali (il testo dell’ordine del giorno
è pubblicato nei comunicati stampa disponibili nel sito www.parlamentiregionali.it).
Il 30 maggio A.N.C.I. ed U.P.I. avevano espresso la propria disponibilità a fornire il proprio
contributo, evidenziando la necessità di pervenire ad un patto tra tutte le istituzioni interessate.
V. il comunicato stampa della riunione del 31 maggio 2007.
Il Ministro per i rapporti con il Parlamento e le riforme Istituzionali, il Ministro per gli affari
regionali e le autonomie locali e il Ministro per l’attuazione del programma di Governo,
Santagata, e il Sottosegretario di Stato all'interno, Pajno.
Rappresentanti della Conferenza delle regioni e delle province autonome, della Conferenza dei
Presidenti delle Assemblee legislative delle Regioni e delle Province autonome, dell'U.P.I. (che
nell'occasione era delegata a rappresentare anche l'A.N.C.I. assente a seguito della
sospensione con i rapporti con il Governo), e dell'U.N.C.E.M.
341
SCHEDE DI APPROFONDIMENTO
Alcuni degli interventi indicati nel Patto avevano un carattere trasversale ed erano
pertanto applicabili a tutti i livelli di governo (eliminazione delle duplicazioni di funzioni e
soppressione degli enti che svolgono funzioni che possono essere esercitate da altri
livelli istituzionali; misure volte ad incentivare la trasparenza nelle pubbliche
amministrazioni e nelle società pubbliche; riordino e soppressione di enti pubblici e
società controllate; immediata attivazione presso la Conferenza unificata di una Cabina di
regia con il compito di monitorare le iniziative dei diversi livelli di governo), mentre altre
misure erano specificamente indirizzate ai diversi livelli territoriali e si riferivano, in
particolare, al contenimento delle spese della rappresentanza politica.
Anche in attuazione degli impegni contenuti nel Patto, il Consiglio dei
ministri nella riunione del 13 luglio 2007, approvava in via preliminare uno
schema di disegno di legge sul contenimento dei costi della politica e degli
apparati amministrativi, trasmettendolo alla Conferenza unificata ai fini
dell’acquisizione del suo parere.
Lo schema di disegno di legge, il cui testo è stato reso disponibile in rete, recava
disposizioni in materia di:
ƒ razionalizzazione di enti ed organismi pubblici nonché delle società partecipate dalle
pubbliche amministrazioni;
ƒ razionalizzazione delle spese delle pubbliche amministrazioni (con riferimento, in
particolare, alla disciplina degli acquisti; alle spese per dotazioni strumentali, per
telefonia mobile, per autovetture di servizio, per beni immobili e alle spese telefoniche;
all’utilizzo della posta elettronica; alla limitazione del ricorso a contratti a tempo
determinato);
ƒ riduzione dei costi degli enti locali (con interventi riferiti in particolare alla riduzione dei
consigli circoscrizionali; all’esercizio associato di funzioni comunali; al numero dei
consiglieri e dei componenti delle giunte degli enti locali ed alle indennità ad essi
spettanti);
ƒ trasparenza e all’accountability delle pubbliche amministrazioni.
Il disegno di legge non è successivamente stato presentato alle Camere, ma
i suoi contenuti sono in parte stati ripresi da specifiche disposizioni inserite
nell’ambito del disegno di legge finanziaria 2008 e in parte sono confluiti – in
forma più ampia e articolata - in un autonomo disegno di legge.
In questo quadro deve quindi leggersi l’affermazione, contenuta nella Nota di
aggiornamento al Documento di programmazione economico-finanziaria
per gli anni 2008-2011 (Doc. LVII, n. 2-bis), con la quale il Governo dichiarava
di considerare collegato alla decisione di bilancio, in conformità alle risoluzioni
parlamentari, anche un disegno di legge, in corso di preparazione, che
interveniva sulla materia dei costi della politica e sulla razionalizzazione della
Pubblica Amministrazione, per la parte non inclusa nel disegno di legge
finanziaria.
Con riferimento alle disposizioni contenute nella legge finanziaria 2008 (L.
244/2007), facendo rinvio per i molteplici aspetti degli interventi alle specifiche schede di
342
IL DIBATTITO SUI “COSTI DELLA POLITICA”
approfondimento (v. in particolare le schede Interventi di razionalizzazione della spesa e
Il sistema degli acquisti della P.A. nel dossier relativo alla Commissione Bilancio,
Trattamento economico dei parlamentari, pag. 62, Ordinamento degli enti locali Interventi sui costi della politica, pag. 91), in questa sede si segnalano – per il loro
carattere sistematico ed interistituzionale – i commi 33 e 34 dell’articolo 2, che
contengono una disposizione di indirizzo diretta alla razionalizzazione dell’organizzazione
amministrativa degli enti territoriali, e, più in particolare, alla soppressione o
accorpamento di enti, agenzie, organismi che svolgano le medesime funzioni – o parte di
esse – esercitate dagli enti territoriali.
Il comma 33 è indirizzato alle regioni che, in coordinamento con lo Stato, dovrebbero
provvedere alla revisione dell’allocazione delle funzioni al fine, come detto, di eliminarne
le duplicazioni, mentre il comma 34 è diretto agli enti locali, per quanto concerne enti ed
organismi da essi istituiti. La norma di indirizzo, che richiama il principio di coordinamento
della finanza pubblica e l’attuazione dell’articolo 118 della Costituzione416, non è
accompagnata da disposizioni sulla rilevazione di adempimenti specifici o comunque sul
monitoraggio del comportamento delle regioni e degli enti locali a riguardo. Sono altresì
assenti disposizioni su conseguenti sanzioni in caso di non osservanza.
In modo speculare, l’articolo 2, comma 634, lettera c) della medesima legge
finanziaria 2008 dispone – nell’ambito di un più generale procedimento di soppressione o
razionalizzazione degli enti pubblici statali (per il quale v. il capitolo Efficienza della
Pubblica amministrazione, nel dossier 1/1, Parte seconda) - che lo Stato provveda
sopprimere od accorpare enti, agenzie, organismi che svolgano le medesime funzioni, in
tutto o in parte, esercitate da regioni ed enti locali su conferimento o delega dello Stato.
Disposizioni analoghe erano peraltro contenute già nella legge finanziaria 2007 (L.
296/2006)417.
I commi 721-723 dell’art. 1 recavano, infatti, una disposizione di principio finalizzata
al contenimento della spesa pubblica regionale riferita, in particolare, ai costi degli
organismi politici e degli apparati amministrativi.
La norma fissava un termine di sei mesi entro affinché le regioni provvedessero ad
adottare disposizioni, normative o amministrative, allo scopo di:
ƒ ridurre la spesa per gli organi rappresentativi attraverso la riduzione del numero dei
loro componenti e la diminuzione dei compensi e delle indennità loro spettanti;
ƒ sopprimere gli enti inutili;
ƒ procedere alla fusione delle società partecipate;
ƒ ridimensionare le strutture organizzative.
Il comma 722 specificava che le norme dettate dal comma 721 costituiscono
principio fondamentale di coordinamento della finanza pubblica, e pertanto si
applicano nei confronti di tutte le regioni, comprese quelle ad autonomia speciale, ai
sensi degli artt. 117, terzo comma, e 119 Cost.
Il comma 723 collega alla disposizione un obiettivo di risparmio quantificato in un
miglioramento dei saldi finanziari dei bilanci regionali del 10% rispetto ai saldi dell'anno
precedente.
Anche in questo caso, peraltro, le disposizioni non prevedevano espressamente
controlli o verifiche successive in ordine al rispetto dell’obiettivo del risparmio del 10%.
416
417
L’articolo 118 della Costituzione statuisce il principio secondo cui le funzioni amministrative
sono attribuite ai comuni e ogni diversa allocazione – anche per assicurarne l’esercizio unitario deve ispirarsi ai principi di sussidiarietà, differenziazione, adeguatezza.
L. 27 dicembre 2006, n. 296, Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale
dello Stato (legge finanziaria 2007).
343
SCHEDE DI APPROFONDIMENTO
Il disegno di legge sui “costi della politica” è stato presentato alla Camera dei
deputati il 15 novembre 2007 (A.C. 3254, Misure per la promozione della
trasparenza), ma l’esame nel merito non è stato avviato prima dello scioglimento
delle Camere.
Quanto alle specifiche misure recate dal provvedimento, che si compone di 6
articoli, esse mirano in particolare ad introdurre maggiori oneri di trasparenza
per le amministrazioni pubbliche e le società da esse partecipate, intervenendo
altresì in altre settori prevalentemente riconducibili al dibattito in materia di “costi
della politica” (in particolare, sulla disciplina delle incompatibilità con le cariche
elettive e di governo a livello europeo, nazionale, regionale e locale e sulla
materia del finanziamento ai partiti e movimenti politici ed ai loro esponenti).
Più in particolare, l'articolo 1 introduce limiti al cumulo degli incarichi. Per gli
amministratori di enti locali, nonché per chi detenga cariche negli organi di direzione o
controllo e per i direttori generali o centrali di associazioni o enti partecipati o
finanziati dallo Stato, dagli enti locali o da altre amministrazioni pubbliche ovvero
che gestiscono servizi per loro conto si prevede l’incompatibilità della carica con
l’esercizio di attività professionali o di lavoro autonomo e con lo svolgimento di funzioni di
gestione in società o in attività imprenditoriali in settori connessi con la carica ricoperta.
Analogamente, si introduce per i parlamentari nazionali, i membri italiani del
Parlamento europeo e gli amministratori di enti locali il divieto di svolgere funzioni o
incarichi negli organi di direzione o controllo ovvero di assumere incarichi di consulenza
in enti di diritto pubblico, anche economici, nonché in imprese o società partecipate da
amministrazioni pubbliche o infine in enti sottoposti a vigilanza da parte delle medesime
amministrazioni pubbliche. Per tali ultimi soggetti, l’incompatibilità si estenda anche
all’anno successivo alla cessazione dalla carica pubblica. La disposizione costituisce
altresì, ai sensi dell’art. 122 Cost., un principio fondamentale in materia di incompatibilità
per i componenti delle giunte e dei consigli regionali e si applica anche nelle regioni a
statuto speciale, compatibilmente con le forme di autonomia previste dai rispettivi statuti.
L'articolo 2 interviene sulla disciplina del reclutamento del personale delle società
controllate dalle pubbliche amministrazioni, prevedendo che le relative assunzioni
siano effettuate attraverso meccanismi che assicurino la trasparenza delle procedure e
l'appropriata selezione dei candidati. In particolare, si stabilisce che le procedure
debbano garantire:
ƒ la puntuale individuazione dei fabbisogni di personale e dei profili di competenza;
ƒ la sollecitazione pubblica delle candidature;
ƒ la pubblicità sul sito internet della società delle procedure di selezione.
Le assunzioni dovranno inoltre essere effettuate nel rispetto del principio delle pari
opportunità tra uomini e donne, nonché tra i cittadini dell'Unione europea.
L'articolo 3 introduce un principio generale di pubblicità dei bilanci delle
amministrazioni pubbliche, disponendo che i bilanci preventivi e consuntivi debbano
essere pubblicati sul sito istituzionale di ciascuna amministrazione e trasmessi in
via telematica al CNEL. Quanto ai contenuti, si richiede che nei documenti di bilancio
siano evidenziate le spese per il funzionamento degli organi, quelle per il personale e
quelle per i servizi.
344
IL DIBATTITO SUI “COSTI DELLA POLITICA”
L'articolo 4, novellando la disciplina contenuta nel codice dell'amministrazione
digitale418, estende l'obbligo di pubblicazione sui siti internet delle amministrazioni
pubbliche anche ad una serie di informazioni di cui non è richiesta la pubblicità ai sensi
dalla legislazione vigente (si tratta, in particolare delle informazioni su: negoziazioni
svolte e sugli esiti delle procedure nell'ambito dei bandi di gara e di concorso; bilanci
preventivi e consuntivi; bandi di concorso per le assunzioni e stato delle procedure di
reclutamento; graduatorie e criteri di selezione per gli incarichi; criteri per l'assegnazione
di benefici e contributi; trattamento economico degli organi di indirizzo politicoamministrativo, dei dirigenti, dei consulenti e dei membri delle commissioni e dei collegi).
Tali obblighi vengono estesi anche alle regioni e agli enti locali, nei limiti delle ordinarie
dotazioni umane, strumentali e finanziarie, nonché alle società controllate dalla pubblica
amministrazione, ai gestori e agli incaricati di pubblici servizi. Per l'adeguamento alle
nuove disposizioni è previsto un termine di sei mesi dall'entrata in vigore della legge.
L'articolo 5 estende i divieti di finanziamento dei partiti politici, dei gruppi
parlamentari e dei singoli esponenti politici previsti dalla legislazione vigente419 anche
alle società concessionarie di servizi pubblici, nonché ai soggetti da queste controllati
ovvero ai soggetti che controllano le medesime società concessionarie.
L'articolo 6 prevede che le autorità di vigilanza, di regolazione e di garanzia dei
mercati (ISVAP, CONSOB, Commissione di garanzia del diritto di sciopero, Autorità
garante della concorrenza e del mercato, Garante per la protezione dei dati personali,
COVIP, Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture)
provvedano, nei limiti delle ordinarie dotazioni di risorse umane, strumentali e finanziarie,
a adeguare entro sei mesi il proprio ordinamento alle disposizioni in materia di
trasparenza introdotte dagli articoli 3 e 4 del provvedimento.
418
419
D.Lgs. 7 marzo 2005, n. 82, Codice dell'amministrazione digitale.
Ai sensi dell’art. 7, co. 1, della L. 2 maggio 1974, n. 195, Contributo dello Stato al finanziamento
dei partiti politici, sono vietati finanziamenti e contributi da parte di organi della pubblica
amministrazione, di enti pubblici, di società con partecipazione di capitale pubblico superiore al
20 per cento o di società controllate da queste ultime.
345
SCHEDE DI APPROFONDIMENTO
EFFICIENZA DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE
RESPONSABILITÀ E CONTROLLI
La responsabilità amministrativa nella XV legislatura
Nel corso della XV legislatura disposizioni legislative e pronunce
giurisprudenziali sono intervenute sulla materia della responsabilità erariale,
precisando i contorni delle fattispecie di responsabilità previste nel nostro
ordinamento e modificandone parzialmente la disciplina.
La responsabilità amministrativa tutela le pubbliche amministrazioni, anche ad
ordinamento autonomo, nei confronti dei danni ad esse arrecati dal funzionario o
dall’impiegato all’interno del rapporto d’ufficio, obbligando il responsabile a risarcire il
danno causato della sua condotta. A tale riguardo l’art. 82, primo comma, della legge di
contabilità dello Stato del 1923420 prevede che “l’impiegato che per azione od omissione,
anche solo colposa, nell’esercizio delle sue funzioni, cagioni danno allo Stato, è tenuto a
risarcirlo”. Analogamente, ai sensi dell’art. 18 dello Statuto degli impiegati civili dello
Stato421 “l’impiegato delle amministrazioni dello Stato anche ad ordinamento autonomo, è
tenuto a risarcire alle amministrazioni stesse i danni derivanti da violazioni di obblighi di
servizio”, salvi i casi in cui abbia agito per un ordine che era obbligato ad eseguire. In tal
caso, è tuttavia responsabile il superiore che ha impartito l’ordine.
La giurisdizione in materia è storicamente attribuita alla Corte dei conti422, che nella
sua giurisprudenza ha delineato i confini di tale forma di responsabilità, cui si attribuisce
comunemente natura contrattuale423.
Quanto all’ambito soggettivo di applicazione, la Corte ha evidenziato che la
responsabilità si estende a tutti gli amministratori, dipendenti pubblici e soggetti che siano
legati alla pubblica amministrazione da un rapporto d’impiego o di ufficio: non sono quindi
responsabili i soli impiegati pubblici, ma anche i titolari di incarichi elettivi (quali i Ministri)
o onorari, e i c.d. funzionari di fatto, cioè quanti di fatto si trovino a svolgere funzioni
pubbliche.
La giurisprudenza della Corte dei conti, confortata dalla Corte di cassazione, ha
ritenuto sottoposti alla propria giurisdizione anche soggetti estranei alla pubblica
amministrazione, ma inseriti in modo stabile nel relativo apparato organizzativo, come per
esempio i direttori dei lavori. La Corte di cassazione ha inoltre riconosciuto la
giurisdizione della Corte dei conti anche nei confronti degli amministratori degli enti
pubblici economici424 e delle s.p.a. partecipate in modo totalitario o prevalente da pubblici
poteri425 (su questi temi v. tuttavia infra).
420
421
422
423
424
425
R.D. 18 novembre 1923, n. 2440, Nuove disposizioni sull’amministrazione del patrimonio e sulla
contabilità generale dello Stato.
D.P.R. 10 gennaio 1957 n. 3, Testo unico delle disposizioni concernenti lo statuto degli
impiegati civili dello Stato.
Art. 83, R.D. 2440/1923 e art. 52, R.D. 12 luglio 1934, n. 1214, Approvazione del testo unico
delle leggi sulla Corte dei conti.
In tal senso C. Cost., sentenza 12 gennaio 1993, n. 24.
Corte di cassazione, ordinanza a SS.UU., n. 19.667 del 22 dicembre 2003.
Corte di cassazione, sentenza a SS.UU., n. 3.899 del 26 febbraio 2004.
346
RESPONSABILITÀ E CONTROLLI
Per quanto concerne i presupposti della responsabilità amministrativa, affinché un
soggetto possa essere chiamato a rispondere in tale sede occorre che lo stesso, con una
condotta dolosa o gravemente colposa426 collegata o inerente al rapporto esistente con
l’amministrazione, abbia causato un danno pubblico risarcibile che si ponga come
conseguenza diretta e immediata di detta condotta. Ai sensi del co. 4 dell’art. 1 della L.
20/1994, sussiste responsabilità amministrativa anche nei casi in cui il danno sia
cagionato ad enti o amministrazioni diversi da quella di appartenenza.
La responsabilità è personale e non si trasferisce agli eredi se non in casi eccezionali
(dolo ed arricchimento illecito e conseguente indebito arricchimento degli eredi stessi)427.
Il danno pubblico risarcibile è un danno patrimoniale, nel senso che presuppone un
pregiudizio economico inteso come perdita, distruzione, sottrazione di beni o valori della
p.a., ovvero come mancato guadagno. Anche il pregiudizio di un bene immateriale (ad
esempio l’immagine e il prestigio dell’amministrazione) è considerato un danno risarcibile
in quanto, pur non comportando una diminuzione patrimoniale diretta, è tuttavia
suscettibile di una valutazione patrimoniale428. Secondo le regole generali, per essere
risarcibile il danno deve essere certo, attuale ed effettivo.
Sin dall’art. 20 della L. 1483/1853429 si prevedeva il potere della Corte dei conti di
ridurre il danno che i pubblici ufficiali stipendiati erano tenuti a risarcire (c.d. potere
riduttivo). La legge di contabilità di Stato del 1923 stabiliva, in proposito, che la Corte dei
conti “valutate le singole responsabilità può porre a carico dei responsabili tutto o parte
del danno accertato o del valore perduto” (art. 83, primo comma). L’art. 1 della L. 20/1994
ha poi precisato che, fermo restando il potere di riduzione, nel quantificare il danno il
giudice deve, comunque, tenere conto dei vantaggi conseguiti dalla collettività
amministrata in relazione al comportamento degli amministratori o dipendenti sottoposti
al giudizio di responsabilità (in altri termini, se dalla condotta illecita del funzionario è
derivata anche un’utilità, di ciò bisogna tener conto per determinare l’ammontare del
danno).
I confini della responsabilità amministrativa
Un primo intervento sulla disciplina della responsabilità amministrativa, volto a
ridefinire i termini di prescrizione della relativa azione, era stato realizzato
dall’articolo 1, comma 1343, della legge finanziaria per il 2007430, che
novellava l’art. 1, co. 2, della L. 20/1994431.
Tale disposizione, tuttavia, è stata immediatamente abrogata dal D.L.
299/2006432, pubblicato nella Gazzetta ufficiale n. 300 del 28 dicembre 2006 ed
entrato in vigore il giorno stesso della pubblicazione.
426
427
428
429
430
431
432
Art. 1, comma 1, L. 14 gennaio 1994, n. 20, Disposizioni in materia di giurisdizione e controllo
della Corte dei conti, come modificato dall’art. 3, D.L. 23 ottobre 1996, n. 543, nel testo
integrato dalla relativa legge di conversione.
Art. 1, comma 1, L. 14 gennaio 1994, n. 20.
In tal senso si veda, ad esempio, Cassazione, Sezioni Unite, sentenza 25 giugno 1997, n. 5668.
L. 23 marzo 1853, n. 1483, Riordinamento dell'amministrazione centrale e della contabilità
generale dello Stato.
L. 27 dicembre 2006, n. 296, Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale
dello Stato (legge finanziaria 2007).
L. 14 gennaio 1994, n. 20, Disposizioni in materia di giurisdizione e controllo della Corte dei
conti.
D.L. 27 dicembre 2006, n. 299, Abrogazione del comma 1343 dell'articolo 1 della L. 27
dicembre 2006, n. 296, recante disposizioni in materia di decorrenza del termine di prescrizione
347
SCHEDE DI APPROFONDIMENTO
Al momento dell’entrata in vigore del decreto-legge, ossia il 28 dicembre 2006, la
legge finanziaria 2007 – pur approvata dal Parlamento, promulgata dal Capo dello Stato
e pubblicata nella Gazzetta ufficiale433 – non era ancora efficace in quanto sarebbe
entrata in vigore a decorrere dal 1° gennaio 2007.
Il decreto-legge ha dunque inteso determinare un immediato effetto abrogativo,
facendo sì che la disposizione relativa all’anticipazione del termine finale di prescrizione,
contenuta nel comma 1343, non acquistasse efficacia nell’ordinamento giuridico.
Secondo quanto affermato dalla relazione illustrativa che accompagna il disegno di
legge di conversione del decreto-legge, l'inserimento di tale norma nell'ambito della legge
finanziaria 2007 era stato frutto di un mero errore redazionale, al quale non si era potuto
rimediare con immediatezza stante la “necessità di evitare che una doverosa correzione
incidesse sui tempi parlamentari di approvazione della manovra finanziaria”.
L’art. 1 della L. 20/1994, oggetto della modifica introdotta dal comma,
disciplina l’azione di responsabilità nei confronti dei soggetti sottoposti alla
giurisdizione della Corte dei conti in materia di contabilità pubblica.
Ai sensi del comma 2 il diritto al risarcimento del danno erariale si
prescrive in cinque anni, decorrenti dalla data in cui si è verificato il fatto
dannoso (ovvero, in caso di occultamento doloso del danno, dalla data della sua
scoperta).
La modifica introdotta dal comma 1343 in esame faceva sì che il periodo di
cinque anni decorresse non più dalla data in cui si è verificato il fatto, ma da
quella in cui è stata realizzata la condotta produttiva di danno. Essendo
quest’ultima data, nella generalità dei casi, antecedente alla prima, ne sarebbe
conseguita una corrispondente anticipazione del termine finale di
prescrizione.
Una innovazione destinata ad incidere sull’ambito di applicabilità delle regole
della responsabilità di carattere erariale è stata invece introdotta, sul finire della
XV legislatura, nel corso dell’esame parlamentare del D.L. 248/2007434 (c.d.
“decreto milleproroghe”).
L’articolo 16-bis del decreto, inserito nel corso dell’esame presso la Camera
dei deputati, prevede che – relativamente alle società quotate in mercati
regolamentati, con partecipazione anche indiretta dello Stato o di altre
amministrazioni o di enti pubblici inferiore al 50 per cento, nonché per le società
433
434
per la responsabilità amministrativa. Il decreto-legge è stato convertito in legge, senza
modificazioni, dalla L. 23 febbraio 2007, n. 16.
La legge finanziaria per il 2007 è stata pubblicata nella Gazzetta ufficiale n. 299 del 27
dicembre 2006, supplemento ordinario n. 244. Nella seduta del 21 dicembre 2006 la Camera
dei deputati aveva votato la fiducia posta dal Governo sull'approvazione in via definitiva, senza
emendamenti ed articoli aggiuntivi, dell'articolo unico del relativo disegno di legge, già
approvato dalla Camera e modificato dal Senato.
D.L. 31 dicembre 2007, n. 248, Proroga di termini previsti da disposizioni legislative e
disposizioni urgenti in materia finanziaria., convertito in legge, con modificazioni, dalla L. 28
febbraio 2008. n. 31.
348
RESPONSABILITÀ E CONTROLLI
da queste controllate – la responsabilità degli amministratori e dei dipendenti sia
regolata dalle norme del diritto civile. Parimenti, l’esame delle relative
controversie è rimessa alla giurisdizione esclusiva del giudice ordinario (con
implicita esclusione della giurisdizione della magistratura contabile per le ipotesi
di danno erariale).
In base all’ultimo periodo dell’articolo tale nuova disciplina non si applicherà
ai giudizi in corso al 1° marzo 2008, data di entrata in vigore della legge di
435
conversione del D.L. 248/2007 .
La disposizione disciplina l’attribuzione delle competenze tra magistratura ordinaria e
contabile con riferimento ad una specifica fattispecie di responsabilità di amministratori di
enti pubblici, intervenendo in un ambito materiale che negli ultimi anni è stato oggetto di
diverse pronunce giurisprudenziali, che hanno fatto segnare un evoluzione degli
orientamenti precedentemente seguiti.
Le Sezioni Unite della Corte di cassazione, intervenute a regolare il riparto delle
competenze tra le diverse giurisdizioni, avevano, infatti, precisato che “per effetto
dell'evoluzione normativa, a far data dalla L. 241 del 1990, e del conseguente mutamento
dei moduli organizzativi ed operativi della p.a., deve ritenersi superata, ai fini del riparto di
giurisdizione tra giudice ordinario e giudice contabile, la tradizionale distinzione tra enti
pubblici economici e non economici. Ne consegue che, in tema di responsabilità
contabile degli amministratori di enti pubblici economici la giurisdizione spetta alla Corte
dei conti, quand'anche l'ente operi attraverso l'impiego di strumenti privatistici”436.
Nella sua relazione scritta in occasione della cerimonia di inaugurazione dell’anno
giudiziario 2008, che non tiene conto della modifica normativa sopra descritta, il
Procuratore generale della Corte dei conti evidenziava quindi come “Il discrimine
s’impernia oggi su di un baricentro rispetto al quale sono divenute recessive ed
indifferenti, sia la qualità o veste formale (pubblica o privata) del soggetto che ha
provocato il danno, sia la natura (pubblicistica o privatistica) degli strumenti adoperati
nelle condotte causatrici del danno erariale, mentre assume rilievo unicamente la
circostanza che il nocumento sia stato causato nell’ambito di una relazione giuridica
latamente
funzionale
e
finalisticamente
intercorrente
con
una
pubblica
amministrazione”437.
La tipizzazione delle fattispecie di responsabilità amministrativa
L’esame dei più recenti interventi normativi in materia di responsabilità
amministrativa pare evidenziare come negli ultimi anni si sia realizzato un
435
436
437
Ai sensi dell’art. 1, co. 2, della L. 31/2008 detta legge entra in vigore il giorno successivo a
quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale (avvenuta nel S.O. alla Gazzetta Ufficiale
n. 51 del 29 febbraio 2008).
Cass. Sez. Un. 11 luglio 2007, n. 15.458. Con un revirement rispetto agli orientamenti
precedentemente seguiti, Cass. S.U. 22 dicembre 2003, n. 19.667, aveva chiarito che un ente
pubblico non economico svolge attività amministrativa non solo quando esercita pubbliche
funzioni e poteri autoritativi, ma anche quando, nei limiti consentiti dall'ordinamento, persegue le
proprie finalità istituzionali mediante un'attività disciplinata in tutto od in parte dal diritto privato.
La relazione è pubblicata nel sito istituzionale della Corte dei conti all’indirizzo:
http://www.corteconti.it/Ricerca-e-1/Gli-Atti-d/Procura/Documenti/Procura-Ge/Anno-2008/scrittodefinitivo_2.doc_cvt.htm.
349
SCHEDE DI APPROFONDIMENTO
processo di tipizzazione delle fattispecie di responsabilità erariale, che si è
andato consolidando nel corso della XV legislatura, ed in particolare con le
previsioni della legge finanziaria 2008.
In diverse disposizioni recentemente approvate, in particolare nell’ambito delle
leggi finanziarie, infatti, il legislatore ha stabilito a priori la condotta illecita da cui
scaturisce la responsabilità erariale, affidando in sostanza al giudice contabile
esclusivamente il compito di verificare l’integrazione della fattispecie nel caso
concreto e l’individuazione dell’effettivo responsabile della violazione. In molti
casi, inoltre, oltre alla tipizzazione della fattispecie, la norma speciale provvede
anche ad individuare misure di carattere demolitorio per gli atti dannosi
(prevedendone la nullità), nonché sanzioni pecuniarie che superano la
tradizionale ottica risarcitoria della responsabilità amministrativa, prevedendo la
predeterminazione della sanzione in un multiplo del danno arrecato o di un
parametro altrimenti rilevante.
La tendenza alla tipizzazione delle fattispecie di responsabilità amministrativa è
ricondotta dal Procuratore generale della Corte dei conti438 alla volontà del legislatore di
realizzare “un palese disegno di rafforzamento della «effettività» di tutela giudiziale che
il legislatore affida alla Corte stessa, attraverso nuove misure di contrasto approntate in
considerazione della particolare rilevanza finanziaria degli interessi pubblici da
proteggere”.
Su un piano diverso, inoltre, tipizzazione le fattispecie di responsabilità potrebbe –
come evidenziato anche dal Presidente della Corte dei conti, Lazzaro, in occasione della
cerimonia di inaugurazione dell’anno giudiziario 2008439 – rispondere all’esigenza di
individuare adeguati strumenti per sanzionare la produzione di danni di ingente entità
(come i danni alla salute, all’ambiente, alla fruizione ed all’integrità dei beni comuni e allo
stesso ordinato vivere civile), rispetto ai quali gli ordinari rimedi giurisdizionali sembrano
presentare evidenti limiti. In questa ottica, per il presidente della Corte dei conti
poterebbe essere opportuna una complessiva rimeditazione da parte del legislatore che
porti a “predeterminare congruamente l’entità massima del risarcimento da porre a carico
dell’autore dell’illecito, a fronte di violazioni patrimoniali, ed individuare ipotesi tipicizzate
di responsabilità sanzionatoria per la violazione di beni immateriali o comunque di beni
che, al di là della loro qualificazione giuridica, appaiono di difficile ed incerta
qualificazione”.
Con riferimento alle più rilevanti fattispecie di responsabilità che sono state oggetto di
tipizzazione, si ricordano, in particolare:
ƒ l’art. 52, co. 5, del D.Lgs. 165/2001440, che nello stabilire la nullità dell'assegnazione
di un lavoratore a mansioni proprie di una qualifica superiore al di fuori dei casi previsti
dalla legge, assicura tuttavia a tale lavoratore la corresponsione della differenza di
438
439
440
V. la relazione scritta in occasione della cerimonia di inaugurazione dell’anno giudiziario 2008
pubblicata nel sito istituzionale della Corte dei conti.
La relazione è pubblicata nel sito istituzionale della Corte dei conti all’indirizzo:
http://www.corteconti.it/il-Preside/Discorsi--/TESTO-PRESIDENTE4-25-gennaio--perstampa.doc_cvt.htm.
D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, Norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle
amministrazioni pubbliche.
350
RESPONSABILITÀ E CONTROLLI
ƒ
ƒ
ƒ
ƒ
trattamento economico con la qualifica superiore e prevede che di tale maggiore
onere risponda il dirigente che ha disposto l'assegnazione;
l’art. 30, co. 15, della L. 289/2002 (legge finanziaria 2003)441, il quale prevede la
nullità degli atti e dei contratti sulla base dei quali gli enti territoriali ricorrono
all'indebitamento per finanziare spese diverse da quelle di investimento, in violazione
dell'articolo 119 della Costituzione, stabilendo che gli amministratori che hanno
assunto la relativa delibera possano essere condannati ad una sanzione pecuniaria
pari ad un minimo di cinque e fino ad un massimo di venti volte l'indennità di carica
percepita al momento della violazione;
l’art. 1, commi 4, 9 e 10, del D.L. 168/2004442, che tipizza fattispecie di
responsabilità amministrativa per la violazione delle disposizioni ivi previste in tema di
acquisti di beni e servizi, limiti massimi di spesa annua per studi ed incarichi di
consulenza conferiti a soggetti estranei all'amministrazione, per missioni all'estero,
spese di rappresentanza, relazioni pubbliche e convegni;
l’art. 1, co. 11 e 42, della L. 311/2004 (legge finanziaria 2005)443, che identificano
una fattispecie di illecito disciplinare e di responsabilità erariale nell’affidamento di
incarichi di studio o di ricerca, ovvero di consulenze a soggetti estranei
all'amministrazione in assenza dei presupposti previsti dalle medesime disposizioni
rispettivamente per le pubbliche amministrazioni e per gli enti locali superiori a 5.000
abitanti;
l’art. 1, co. 187, della L. 266/2005 (legge finanziaria 2006)444, in base al quale
comporta responsabilità amministrativa e disciplinare la violazione dei limiti ivi previsti
per il ricorso a personale a tempo determinato o con convenzioni ovvero con contratti
di collaborazione coordinata e continuativa.
Numerose disposizioni di questo genere sono inoltre contenute nella legge
finanziaria 2008 (L. 244/2007445). Si tratta, in particolare:
ƒ dell’art. 3, co. 19, che prevede la nullità delle clausole compromissorie contenute nei
contratti delle pubbliche amministrazioni aventi ad oggetto lavori, forniture e servizi
ovvero dei compromessi stipulati relativamente ai medesimi contratti, introducendo
fattispecie tipizzate di illecito disciplinare e di responsabilità erariale per i responsabili
dei relativi procedimenti;
ƒ dell’art. 3, co. 23, che introduce una nuova fattispecie di responsabilità
amministrativa per di inosservanza di termini decadenziali per procedere ad accordi
bonari a seguito dell’iscrizione di riserve sui documenti contabili nei contratti di
appalto e nelle concessioni;
ƒ dell’art. 3, co. 44, che dispone che l’amministratore che abbia disposto il pagamento
di trattamenti economici superiori al “tetto” previsto da tale disposizione per le
pubbliche amministrazioni e il destinatario del pagamento siano tenuti al rimborso, a
441
442
443
444
445
L. 27 dicembre 2002, n. 289, Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale
dello Stato (legge finanziaria 2003).
D.L. 12 luglio 2004, n. 168, Interventi urgenti per il contenimento della spesa pubblica,
convertito, con modificazioni, dalla L. 30 luglio 2004, n. 191.
L. 30 dicembre 2004, n. 311, Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale
dello Stato (legge finanziaria 2005).
L. 23 dicembre 2005, n. 266, Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale
dello Stato (legge finanziaria 2006).
L. 24 dicembre 2007, n. 244, Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale
dello Stato (legge finanziaria 2008).
351
SCHEDE DI APPROFONDIMENTO
titolo di danno erariale, di una somma pari a dieci volte l’ammontare eccedente la cifra
consentita;
ƒ dell’art. 3, co. 54, che prevede una specifica causa di illecito disciplinare e di
responsabilità amministrativa per il caso in cui sia liquidato il corrispettivo per una
collaborazione o un incarico esterno alla p.a. senza la preventiva pubblicazione nel
sito web dei provvedimenti di affidamento degli incarichi, con l’indicazione dei soggetti
beneficiari dei pagamenti, degli importi erogati e della ragione dell’affidamento degli
incarichi;
ƒ dell’art. 3, co. 56, che dispone che il conferimento da parte di enti locali di incarichi
esterni in violazione delle norme del regolamento sull’ordinamento degli uffici e dei
servizi costituisce illecito disciplinare e determina responsabilità amministrativa;
ƒ dell’art. 3, co. 59, che, nel prevedere la nullità dei contratti di assicurazione stipulati
da parte di enti pubblici in favore dei rispettivi amministratori al fine di tenerli indenni
dai rischi derivanti dall’espletamento dei compiti connessi con la carica da loro
ricoperta e riferibili a casi di responsabilità amministrativa o contabile, stabilisce che gli
amministratori che pongano in essere nuovi contratti o proroghino quelli attualmente in
essere ed i beneficiari della copertura assicurata dai contratti stessi siano tenuti a
risarcire – a titolo di responsabilità amministrativa – una somma pari a 10 volte
l’ammontare dei premi complessivamente previsti dal contratto nullo (per questa
disposizione v. comunque infra) .
Disposizioni analoghe sono inoltre previste in provvedimenti che sono stati
esaminati nel corso della XV legislatura, senza tuttavia completare il proprio iter.
In particolare, si ricorda che l’art. 3 del disegno di legge governativo in materia di
rapporti tra procedimento penale e procedimento disciplinare nella pubblica
amministrazione, così come approvato dal Senato (A.C. 2629), prevedeva che
rispondessero a titolo di responsabilità amministrativa il soggetto preposto all’istruttoria
del procedimento disciplinare, il soggetto titolare del relativo ufficio ovvero, qualora si
trattasse di soggetti diversi, gli organismi competenti ad adottare o deliberare la sanzione
disciplinare qualora per decadenza dei termini o per altri motivi attinenti alla regolarità del
procedimento disciplinare si determinasse la mancata applicazione di una sanzione
disciplinare conseguente alla condanna con sentenza penale irrevocabile.
In una recentissima sentenza446 le sezioni riunite della Corte dei conti hanno
ricostruito il descritto fenomeno, evidenziando appunto come negli ultimi anni si
sia venuto delineando un sistema tipizzato di fattispecie di responsabilità
sanzionatoria. Tale sistema è il risultato della previsione, sul piano legislativo, di
fattispecie tipizzate di illeciti amministrativo-contabili, che si aggiungono
alle tradizionali fattispecie di responsabilità sanzionatoria già conosciute
dall'ordinamento e rientranti nella giurisdizione della Corte dei conti. Secondo la
Corte, le nuove fattispecie di responsabilità previste dalla legge stanno dando
luogo ad un vero e proprio sistema sanzionatorio contabile che si affianca, nella
tutela delle risorse pubbliche, al sistema tradizionale della responsabilità
amministrativa di tipo risarcitorio basato sulla clausola generale del risarcimento
dei danni cagionati.
446
Corte dei conti Sezioni Riunite, sentenza n. 12/2007/QM del 27 dicembre 2007.
352
RESPONSABILITÀ E CONTROLLI
In sostanza, per la Corte sussistono, quindi, due species di responsabilità
amministrativa:
• una responsabilità amministrativa per danno, di tipo risarcitorio, che
configura una responsabilità generica, nel senso che non è tipizzata né nei
comportamenti, né nella quantificazione del debito. Tale responsabilità
sorge ogniqualvolta vi sia un danno patrimoniale risarcibile,
economicamente
valutabile,
attuale
e
concreto,
sofferto
dall'amministrazione pubblica, purché il comportamento omissivo o
commissivo del soggetto cui il danno è ricollegabile sia connotato
dall'elemento psicologico del dolo o della colpa grave;
• una responsabilità amministrativa a carattere sanzionatorio, che
invece è tipizzata, in quanto, essendo di tipo sanzionatorio, le relative
fattispecie devono necessariamente corrispondere al principio di stretta
legalità di cui all’art. 25 Cost. Tali fattispecie sono tassative (non sono
pertanto suscettibili di interpretazione analogica), e devono essere
determinate e specifiche (nel senso che la legge deve molto puntualmente
indicare ogni elemento dell'intera fattispecie sanzionatoria).
Analogamente, i giudici contabili avevano già in precedenza evidenziato447
come le nuove forme di sanzioni previste dalla legislazione (si faceva riferimento,
in particolare, all’art. 1, comma 593, della L. 296/2006) “stanno dando luogo ad
un vero e proprio sistema sanzionatorio contabile, a carattere eminentemente
«punitivo», nel quale campeggia la ricordata funzione di «deterrenza» della
responsabilità amministrativo-contabile”. Tale scelta del legislatore sarebbe,
peraltro, il frutto dell’ampia discrezionalità di cui il legislatore stesso gode nel
disciplinare il sistema della responsabilità amministrativo contabile, né “sul piano
costituzionale si individuano principi e/o valori tali da limitare una siffatta
discrezionalità alla misura necessariamente «risarcitoria» della responsabilità
stessa”.
Quanto all’elemento soggettivo richiesto per l’integrazione della
responsabilità amministrativa di tipo sanzionatorio, le Sezioni riunite nella
sentenza del 27 dicembre 2007 ritengono – a fronte di posizioni di segno diverso
assunte, sul piano giurisprudenziale, dalle sezioni regionali, che oscillavano tra il
ritenere necessaria la “colpa grave” e il ritenere sufficiente una qualsiasi colpa,
seppur lieve o “lievissima”, secondo i principi generali in materia di sanzioni
amministrative – che si renda comunque necessario un comportamento omissivo
o commissivo caratterizzato da dolo o colpa grave, in considerazione del dato
letterale dell'art. 1, co. 1, della L. 20/1994448.
447
448
Corte dei conti Sezione Giurisdizionale Regionale dell’Umbria, sentenza n. 128/EL/2007.
Il primo periodo di tale disposizione prevede, infatti, che “la responsabilità dei soggetti sottoposti
alla giurisdizione della Corte dei conti in materia di contabilità pubblica è personale e limitata ai
fatti ed alle omissioni commessi con dolo o con colpa grave, ferma restando l'insindacabilità nel
merito delle scelte discrezionali”.
353
SCHEDE DI APPROFONDIMENTO
Assicurazione di pubblici amministratori
dall'espletamento dei compiti istituzionali
per
i
rischi
derivanti
Come anticipato, l’articolo 3, comma 59, della legge finanziaria 2008 (L.
244/2007) prevede la nullità dei contratti di assicurazione stipulati da parte
di enti pubblici in favore dei rispettivi amministratori al fine di tenerli indenni
dai rischi derivanti dall’espletamento dei compiti connessi con la carica da loro
ricoperta e riferibili alla responsabilità per danni causati allo Stato o a ad altri enti
pubblici (c.d. responsabilità amministrativa) e alla responsabilità contabile.
La norma non incide peraltro sulla possibilità per i soggetti interessati di
stipulare a proprio carico un’assicurazione per tali rischi.
Quanto alla possibilità di prevedere forme di copertura assicurativa a favore di
amministratori o dipendenti pubblici, con oneri a carico delle Amministrazioni di
appartenenza, estese non solo ai casi di responsabilità civile nei confronti di terzi, bensì
anche al rischio costituito da eventuali condanne da parte della Corte dei conti, si tratta di
questione che è stata oggetto nel tempo di grande attenzione da parte della magistratura
contabile.
A tale riguardo, deve in primo luogo richiamarsi la Deliberazione n. 1/2005/P resa
dalla Corte dei conti, Sezione centrale di controllo di legittimità su atti del Governo
e delle Amministrazioni dello Stato, nell’adunanza congiunta del I e II Collegio del 13
gennaio 2005. In detta pronuncia la Corte, richiamando i propri costanti orientamenti in
materia, ha evidenziato come “un ente pubblico può assicurare esclusivamente
rischi che rientrino nella sfera della propria responsabilità patrimoniale e che si
vogliono trasferire all’assicuratore, con la conseguenza che è illegittima, e comporta
responsabilità di chi l’ha deliberata, la stipula di una polizza per coprire gli
amministratori dai rischi conseguenti ad una eventuale responsabilità
amministrativa” (Corte dei conti, sez. Lazio, 12 febbraio 1997, n. 12)449.
Esistono comunque disposizioni legislative a livello regionale che prevedono la
stipula di polizze assicurative riferite anche a fattispecie di responsabilità
amministrativa e contabile450.
In particolare, l’art. 1 della L.R. Emilia-Romagna 24/1997451 stabilisce che la Regione
provveda alla copertura assicurativa cumulativa dei componenti del Consiglio
regionale in carica con riferimento, tra l’altro, ai rischi derivanti dall’espletamento di
compiti istituzionali connessi con la carica ricoperta e riguardanti la responsabilità
patrimoniale, amministrativa e giudiziaria, comprese la responsabilità per danni cagionati
449
450
451
In tal senso si sono pronunciate anche altre sentenze della Corte dei conti: si vedano, in
particolare, Sezione Giurisdizionale Regionale dell’Umbria n. 553/EL/2002 del 10 dicembre
2002 e Sezione Giurisdizionale Regionale del Friuli-Venezia Giulia n. 423/EL/2002 del 28
ottobre 2003.
Disposizioni riferite genericamente a forme di assicurazione per i Consiglieri regionali contro i
rischi conseguenti all’espletamento del mandato sono previste inoltre nelle regioni Piemonte
(art. 1, comma 2, L.R. 30 dicembre 1981, n. 57, come modificato da ultimo con l’art. 1 L.R. 17
giugno 1997, n. 35) e Veneto (art. 6-bis della L. R. 10 marzo 1973, n. 9, inserito dall’art. 81
della L.R. 30 gennaio 1997, n. 6). La legge regionale per il Veneto prevede in particolare che
l’onere derivante dall’assicurazione sia posto per il 30 per cento a carico dei consiglieri regionali
e per il 70 per cento a carico del bilancio del Consiglio regionale.
L.R. 26 luglio 1997, n. 24, Disposizioni integrative della legge regionale 14 aprile 1995, n. 42, e
successive modificazioni.
354
RESPONSABILITÀ E CONTROLLI
allo Stato, alla pubblica Amministrazione ed alla Regione e la responsabilità contabile. La
copertura per tali rischi e responsabilità deve estendersi anche alle contestazioni, agli
addebiti e alle richieste avanzate nei confronti dei consiglieri e degli assessori dopo la
loro cessazione dalla carica, purché riferiti ad atti o fatti avvenuti nel periodo della loro
carica. I consiglieri regionali concorrono alla spesa nella misura del cinquanta per cento
del premio, o della quota del premio riferibile a tali rischi e responsabilità.
Analoghe provvidenze, sempre con riferimento ai Consiglieri regionali, sono previste
dalla L.R. Lazio 48/1998452.
Il secondo periodo della disposizione reca invece una disciplina transitoria
riferita ai contratti di assicurazione in corso alla data di entrata in vigore della
legge finanziaria 2008, prevedendo che la loro efficacia cessa il 30 giugno
2008.
Non sembra, peraltro, che la norma transitoria escluda la responsabilità
amministrativa per la stipula dei contratti di assicurazione già individuata in base
alla ricordata giurisprudenza contabile.
È inoltre prevista una norma sanzionatoria per il caso di stipula di contratti di
assicurazione in violazione della disposizione in esame. A tale riguardo, con la
tipizzazione di una fattispecie di responsabilità erariale, si prevede che gli
amministratori che pongano in essere nuovi contratti o proroghino quelli
attualmente in essere ed i beneficiari della copertura assicurata dai contratti
stessi siano tenuti a risarcire – a titolo di responsabilità amministrativa – una
somma pari a 10 volte l’ammontare dei premi complessivamente previsti dal
contratto nullo.
La giurisprudenza costituzionale
Nel corso della legislatura anche la giurisprudenza della Corte Costituzionale
ha contribuito a precisare i contorni e la disciplina delle fattispecie di
responsabilità amministrativa previste nell’ordinamento.
In primo luogo, quanto al riparto delle competenze legislative tra lo Stato e le
Regioni, con la sentenza n. 184/2007 la Corte ha ribadito che la disciplina della
responsabilità amministrativa rientra tra le materie di competenza dello
Stato, in quanto in tale ambito i profili sostanziali sono strettamente intrecciati
con i poteri che la legge attribuisce al giudice chiamato ad accertarla (la Corte dei
conti), ovvero fanno riferimento a situazioni soggettive riconducibili alla materia
dell’ordinamento civile, che l’art. 117, secondo comma, lett. l), cost. attribuisce
alla competenza legislativa esclusiva dello Stato453.
452
453
L.R. 5 novembre 1998, n. 48, Modifiche ed integrazioni alla legge regionale 2 maggio 1995, n.
19. “Disposizioni in materia di indennità dei Consiglieri regionali”. Copertura assicurativa rischi
derivanti dall’espletamento compiti istituzionali. La legge ha al riguardo introdotto l’art. 9-bis
nella L.R. 19/1995.
In questo senso v. già la sentenza n. 345/2004, Considerato in diritto, n. 7, richiamata dalla
sentenza in esame.
355
SCHEDE DI APPROFONDIMENTO
In questo quadro, la Corte riconosce peraltro alle regioni e alle province
autonome la possibilità di prevedere per i propri dipendenti, nell’ambito della loro
competenza in materia di disciplina dell’ordinamento dei propri uffici, obblighi la
cui violazione sia fonte di responsabilità amministrativa, senza tuttavia poter
incidere sul regime di quest’ultima.
Con la sentenza n. 183/2007, la Corte costituzionale ha, invece, precisato i
termini di applicabilità della disciplina del c.d. “condono contabile”, previsto
dall’art. 1, co. 231-233, della legge finanziaria 2006454.
Le norme impugnate prevedono, in particolare, che i soggetti condannati in primo
grado con sentenze pronunciate nei giudizi di responsabilità dinanzi alla Corte dei conti
possano chiedere alla competente sezione di appello, in sede di impugnazione, che il
procedimento venga definito mediante il pagamento di una somma non inferiore al 10 per
cento e non superiore al 20 per cento del danno quantificato nella sentenza e che la
sezione di appello, con decreto in camera di consiglio, sentito il procuratore competente,
deliberi in merito alla richiesta e, in caso di accoglimento, determini la somma dovuta in
misura non superiore al 30 per cento del danno quantificato nella sentenza di primo
grado, stabilendo altresì il termine per il versamento.
La Corte dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale sollevate
con riferimento alle disposizioni della legge finanziaria 2006, evidenziando come
nel tradizionale assetto della responsabilità amministrativa non è di per sé
risarcibile l'intero danno cagionato all'Amministrazione, in quanto - come la
giurisprudenza contabile ha sempre affermato – il danno costituisce soltanto il
presupposto per il promuovimento da parte del pubblico ministero dell'azione di
responsabilità amministrativa e contabile. Per determinare la risarcibilità del
danno si richiede, invece, una valutazione discrezionale ed equitativa del giudice
contabile, il quale, sulla base dell'intensità della colpa, intesa come grado di
scostamento dalla regola che si doveva seguire nella fattispecie concreta, e di
tutte le circostanze del caso, stabilisce quanta parte del danno subito
dall'Amministrazione debba essere addossato al convenuto, e debba pertanto
essere considerato risarcibile.
Per la Corte, tale ricostruzione sarebbe, in particolare, confermata dall’analisi
delle disposizioni relative al c.d. potere riduttivo455 riconosciuto al giudice
contabile, che distinguono in modo chiaro il danno accertato secondo il principio
di causalità materiale dal danno addossato al responsabile all’esito al giudizio di
responsabilità.
La Corte inquadra quindi le norme censurate all’interno di questo contesto,
evidenziando come esse in sostanza rimettano al giudice di appello il potere di
valutare nel merito la congruità di una condanna entro il limite del trenta per
454
455
L. 23 dicembre 2005, n. 266, Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale
dello Stato (legge finanziaria 2006).
Art. 82 e 83 del R.D. 18 novembre 1923, n. 2440, Nuove disposizioni sull’amministrazione del
patrimonio e sulla contabilità generale dello Stato.
356
RESPONSABILITÀ E CONTROLLI
cento del danno addebitato al responsabile nella sentenza di primo grado,
dovendo comunque escludersi che a tale definizione agevolata si possa
accedere in presenza di dolo del condannato o di particolare gravità della
condotta456.
L’organizzazione e i controlli della Corte dei conti
Le leggi finanziarie 2007 e 2008 (L. 296/2006 e L. 244/2007) sono intervenute
ad innovare, con diverse disposizioni, molti aspetti della disciplina
dell’organizzazione della Corte dei conti e dei controlli da essa svolti “al fine di
rendere più efficace quell’attività capillare e diffusa di controllo sulla gestione
della pubblica finanza, che tutta l’opinione pubblica richiede sempre più
insistentemente e di cui il Parlamento si è fatto interprete”457.
L’organizzazione della Corte dei conti
L’art 3, comma 62, della legge finanziaria 2008 prevede una
riorganizzazione degli uffici della Corte dei conti, da attuare a livello
regolamentare, finalizzata a coordinare le nuove funzioni istituzionali attribuite in
materia di controlli dai commi 43-66458 dell’articolo 3 (per le quali v. in particolare
la scheda Interventi di razionalizzazione della spesa, nel dossier relativo alla
Commissione Bilancio) con quelle già svolte dalla stessa.
In base alla disposizione, la riorganizzazione è inoltre tesa a rafforzare le
attività della Corte riferite alla relazione annuale sul rendiconto generale dello
Stato, ai controlli sulla gestione e al perseguimento delle priorità indicate dal
Parlamento ai sensi dell’art. 3, co. 4, della L. 20/1994 (per il quale v. infra).
Ai fini della riorganizzazione degli uffici e servizi in attuazione della presente
disposizione, si prevede che i regolamenti di organizzazione siano adottati dal
Consiglio di Presidenza della Corte dei conti459, su proposta del Presidente
456
457
458
459
Nello stesso senso v. anche C. Cost. ordinanza n. 392/2007 ed ordinanza n. 123/2008.
Così il Presidente della Corte dei conti nella relazione scritta in occasione della cerimonia di
inaugurazione dell’anno giudiziario 2008.
Il rinvio dovrebbe peraltro intendersi più correttamente riferito ai commi 43-65 in quanto il
comma 66 disciplina materia del tutto estranea alle competenze della Corte dei conti.
Il Consiglio di Presidenza della Corte dei conti è stato istituito dall’art. 10 della L. 13 aprile 1988,
n. 117, Risarcimento dei danni cagionati nell'esercizio delle funzioni giudiziarie e responsabilità
civile dei magistrati. Modifiche alla sua composizione sono state apportate, dall’art. 18 della L.
205/2000 e dall’art. 1 del D.Lgs. 62/2006. Il Consiglio, cui la legge ha attribuito la competenza
per i giudizi disciplinari e per i provvedimenti attinenti e conseguenti che riguardano le funzioni
dei magistrati della Corte dei conti, è composto dal Presidente della Corte (che lo presiede), dal
procuratore generale della Corte dei conti, dal presidente aggiunto dalla Corte dei conti o, in
sua assenza, dal presidente di sezione più anziano, da 4 componenti nominati dai Presidenti
delle due Camere, di intesa tra loro, tra i professori universitari ordinari di materie giuridiche o
gli avvocati con 15 anni di esercizio professionale e da 10 magistrati. Con Deliberazione n.
8/08/2008 del 16 gennaio 2008, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale 6 febbraio 2008, n. 31, il
Consiglio di Presidenza ha approvato un nuovo regolamento interno per il proprio
funzionamento.
357
SCHEDE DI APPROFONDIMENTO
della Corte stessa, il quale a sua volta formula le proposte con il parere del
segretario generale, definendo obiettivi e programmi da adottare.
Al riguardo si segnala che la disposizione sembra avere carattere innovativo per
quanto riguarda la competenza ad adottare i regolamenti di organizzazione della Corte
dei conti. A legislazione vigente, infatti, il regolamento di organizzazione delle funzioni di
controllo e le sue successive modificazioni460, il regolamento per l’organizzazione ed il
funzionamento degli uffici della Corte461 ed il regolamento sull’autonomia finanziaria
dell’Istituto462 sono stati adottati dalle sezioni riunite della Corte, sentiti il consiglio di
presidenza ed il consiglio di amministrazione. In proposito, si è osservato463 come
l’attuale assetto competenziale in materia regolamentare si ponga in diretta connessione
alle riforme dell’ordinamento della Corte dei conti degli anni ’90 del secolo scorso464, dal
momento che fino a tale momento il potere organizzativo era attribuito al Presidente della
Corte stessa, in attuazione dell’art. 98 del T.U. sulla Corte dei conti, il quale demandava
al Presidente il compito di provvedere con regolamento “alla disciplina ed al servizio
interno degli uffici e della segreteria della Corte, al personale subalterno, alle spese
d'ufficio” e ad ogni altra disposizione esecutiva del testo unico.
Il successivo comma 63 prevede che nel triennio 2008-2010, il Presidente
della Corte dei conti trasmetta entro il 30 giugno una relazione al Parlamento
nella quale dia conto delle misure di riorganizzazione previste in attuazione del
comma 62, evidenziando in tale ambito anche gli strumenti ritenuti necessari per
assicurare la posizione di autonomia e di indipendenza della Corte nella sua
funzione di organo ausiliario del Parlamento ai sensi dell’art. 100 della
Costituzione465.
Le attività della Corte dei conti
Una serie di disposizioni contenute nelle leggi finanziarie 2007 e 2008 sono
intervenute al fine di potenziare le attività di controllo esercitate dalla Corte dei
conti anche attraverso la realizzazione di una maggiore integrazione tra i compiti
460
461
462
463
464
465
Regolamento per l’organizzazione delle funzioni di controllo della Corte dei conti. (Deliberazione
n. 14/DEL/2000), pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 156 del 6 luglio 2000, successivamente
modificato dalla Deliberazione n. 2/DEL/2003 e dalla Deliberazione n. 1/DEL/2004.
Regolamento per l’organizzazione ed il funzionamento degli uffici amministrativi e degli altri
uffici con compiti strumentali e di supporto alle attribuzioni della Corte dei conti (Deliberazione
n. 22/01/DEL).
Regolamento concernente la disciplina dell’autonomia finanziaria della Corte dei conti.
(Deliberazione n. 1/DEL/2001).
In proposito v. G. Carbone Corte dei conti in Enciclopedia del diritto, Aggiornamento IV, Milano,
2000 p. 499.
V. in particolare l’art. 4 della L. 20/1994 e l’art. 3, co. 2, del D.Lgs. 286/1999.
Ai sensi del secondo comma dell’art. 100 della Costituzione, “la Corte dei conti esercita il
controllo preventivo di legittimità sugli atti del Governo, e anche quello successivo sulla
gestione del bilancio dello Stato. Partecipa, nei casi e nelle forme stabilite dalla legge, al
controllo sulla gestione finanziaria degli enti a cui lo Stato contribuisce in via ordinaria. Riferisce
direttamente alle Camere sul risultato del riscontro eseguito”. Il successivo terzo comma rimette
alla legge il compito di assicurare l'indipendenza della Corte dei conti e del Consiglio di Stato e
dei loro componenti nei confronti del Governo.
358
RESPONSABILITÀ E CONTROLLI
svolti dalla Corte e le attività di altri organismi di controllo (in particolare, dei
servizi di controllo interno) e un più stretto rapporto con il Parlamento466.
In proposito, con una prima innovazione, l’articolo 1, comma 473, della legge
finanziaria 2007 ha previsto che i programmi di controllo sulla gestione del
bilancio e del patrimonio delle amministrazioni pubbliche, nonché sulle gestioni
fuori bilancio e sui fondi di provenienza comunitaria, svolti dalla Corte dei conti
ai sensi dell'art. 3, co. 4, della L. 20/1994, e definiti annualmente dalla Corte
stessa ai sensi dell'ultimo periodo del medesimo comma, siano stabiliti sulla base
delle priorità previamente deliberate dalle Commissioni parlamentari
competenti.
L’intervento del Parlamento nel procedimento di formazione del programma di
controllo di gestione della Corte dei conti, introdotto dalla disposizione in esame, è stato
accolto favorevolmente dalla magistratura contabile. Il presidente della Corte dei conti ha,
infatti, manifestato apprezzamento per la disposizione, in occasione della inaugurazione
dell’anno giudiziario per il 2007, rimarcando come l’innovazione rappresenti il segnale di
un’accresciuta attenzione per l’apporto ausiliario della Corte467.
Nel 2007, peraltro, le Commissioni non hanno indicato alla Corte priorità per lo
svolgimento dei controlli.
Successivamente, l’articolo 3, comma 65, della legge finanziaria 2008 ha
recato una ulteriore modifica testuale all’articolo 3, comma 4 della L. 20/1994,
prevedendo che, nella definizione annuale dei programmi e dei criteri di
riferimento del controllo sulla gestione, in base alle priorità previamente
deliberate dalle competenti Commissioni parlamentari, la Corte dei conti tenga
conto anche – ai fini del referto per il coordinamento del sistema di finanza
pubblica – delle relazioni degli organi che esercitano funzioni di controllo o
vigilanza su amministrazioni, enti pubblici, autorità amministrative indipendenti o
società a prevalente capitale pubblico.
Tra gli organi di controllo e vigilanza cui fa riferimento la disposizione in esame
devono presumibilmente considerarsi i servizi di controllo interno istituiti nelle singole
amministrazioni. Per quanto riguarda le autorità amministrative indipendenti si segnala a
titolo puramente esemplificativo il servizio di controllo interno istituito presso l’Autorità per
le garanzie nelle comunicazioni (art. 25 del regolamento adottato con deliberazione 9
ottobre 2002).
466
467
A tale riguardo, nella relazione scritta in occasione della cerimonia di inaugurazione dell’anno
giudiziario 2008 il Presidente della Corte ha sottolineato come “negli anni recenti, si sono
attuate innovazioni importanti che hanno rafforzato e intensificato il rapporto diretto con le
assemblee parlamentari lucidamente prescritto dai costituenti”.
Relazione del Presidente pro tempore della Corte dei conti, Francesco Staderini, sullo stato dei
controlli e della giurisdizione al 1° gennaio 2007, 1° febbraio 2007. V. http://www.corteconti.it/ilPreside/Il-Preside/Relazione-/Relazione.doc_cvt.htm.
359
SCHEDE DI APPROFONDIMENTO
L’articolo 3, comma 70, della legge finanziaria 2008, ha inoltre previsto che
la Corte dei conti, nell’ambito della relazione annuale al Parlamento sul
rendiconto generale dello Stato, esprime le valutazioni di sua competenza:
ƒ anche con riferimento alle tematiche inerenti lo stato della spesa e
l’efficienza delle pubbliche amministrazioni trattate nelle relazioni
ministeriali previste dal comma 68 del medesimo articolo nell’ambito di una
procedura volta a rafforzare il controllo parlamentare sull’efficienza e l’efficacia
della spesa delle amministrazioni statali (sul punto v. scheda Rafforzamento
del sistema dei controlli, nel dossier relativo alla Commissione Bilancio);
ƒ tenendo altresì conto della nuova classificazione del bilancio dello Stato
per missioni e programmi e delle priorità indicate dal Parlamento, ai sensi
delle disposizioni sopra richiamate, ai fini della predisposizione dei
programmi e dei criteri per l’esercizio dell’attività di controllo successivo
sulla gestione.
Su un profilo diverso interviene invece l’articolo 3, comma 64, della legge
finanziaria 2008, che reca una norma volta a dare maggiore effettività all’attività
svolta della Corte dei conti nell’esercizio del controllo su gestioni di spesa e di
entrata, al fine indicato di razionalizzazione della spesa pubblica e vigilanza sulle
entrate.
Si prevede, in particolare, che, ove un’amministrazione ritenga di non
ottemperare ai rilievi svolti dalla Corte dei conti nell’esercizio del controllo su
gestioni di spesa e di entrata, essa debba inviare un documento motivato alla
Presidenza delle Camere, alla Presidenza del Consiglio e alla Presidenza della
Corte dei conti.
Si tratta di una disposizione che si affianca a quella, attualmente vigente468, in base
alla quale le relazioni annuali della Corte sono inviate – oltre che al Parlamento e ai
Consigli regionali - anche alle amministrazioni interessate, alle quali la Corte può altresì
formulare, in qualsiasi momento, le proprie osservazioni. Entro sei mesi dalla ricezione
della relazione469, le amministrazioni comunicano alla Corte ed agli organi elettivi le
misure adottate al riguardo.
Le sezioni regionali della Corte dei conti
Ulteriori interventi hanno riguardato la disciplina delle sezioni regionali della
Corte dei conti. La legge finanziaria 2008 ha, infatti, introdotto modifiche alla
legislazione vigente che hanno riguardato, da un lato, l’ampliamento del novero
dei beneficiari delle attività di referto da esse svolte e, dall’altro, la composizione
delle sezioni stesse.
468
469
Art. 3, co. 6, della L. 20/1994.
Detto termine è stato inserito dall’art. 1, co. 172, della L. 23 dicembre 2005, n. 266, Disposizioni
per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2006).
360
RESPONSABILITÀ E CONTROLLI
La generalizzazione dell’istituzione di sezioni regionali di controllo della Corte dei
conti è avvenuta con la deliberazione del 16 giugno 2000, n. 14, della stessa Corte, in
ottemperanza alle disposizioni dell’art. 3, co. 2, del D.Lgs. 286/1999470. L’art. 2, co. 1,
della deliberazione n. 14 del 2000 ha infatti previsto che fosse istituita in ogni regione ad
autonomia ordinaria una Sezione regionale di controllo, con sede nel capoluogo. Le
sezioni, che hanno sostituito le preesistenti “delegazioni” regionali471 e i “collegi”
regionali472, si sono insediate a decorrere dal 1 gennaio 2001, ai sensi del D.M. 21
dicembre 2000 (G.U. 28 dicembre 2000, n. 301).
In precedenza esistevano già sezioni regionali di controllo nelle regioni a statuto
speciale473.
Quanto alle competenze loro attribuite, le sezioni regionali esercitano, ai sensi
dell’articolo 3, co. 4, 5 e 6 della L. 20/1994, con la quale è stato introdotto il controllo
successivo sulla gestione del bilancio e del patrimonio delle amministrazioni pubbliche, il
controllo sulla gestione delle amministrazioni regionali e dei loro enti strumentali, nonché
il controllo sulla gestione degli enti locali territoriali e i loro enti strumentali (e anche delle
università e delle istituzioni pubbliche di autonomia aventi sede nella regione). Inoltre le
sezioni regionali esercitano il controllo di legittimità sugli atti e il controllo sulla gestione
delle amministrazioni dello Stato aventi sede nella regione.
Il regolamento di auto-organizzazione della Corte prevede che il controllo comprenda
anche la verifica della gestione dei cofinanziamenti regionali per interventi sostenuti con
fondi comunitari. Il controllo sulla gestione affidato alle sezioni regionali include anche le
verifiche sul funzionamento dei controlli interni a ciascuna amministrazione, come
richiesto dal co. 4 dell’art. 3 della L. 20/1994.
Quanto al primo profilo di intervento, l’articolo 3, comma 60, della legge
finanziaria 2008, novellando la disciplina delle sezioni regionali della Corte dei
conti di cui all’articolo 7, comma 7, della L. 131/2003 (c.d. “legge La Loggia”) 474,
ha introdotto una eccezione alla regola in base alla quale le funzioni di referto
delle sezioni regionali della Corte dei conti devono essere necessariamente
indirizzate all’organo consiliare dell’ente controllato, con una modifica che
470
D.Lgs. 30 luglio 1999, n. 286, Riordino e potenziamento dei meccanismi e strumenti di
monitoraggio e valutazione dei costi, dei rendimenti e dei risultati dell'attività svolta dalle
amministrazioni pubbliche, a norma dell'articolo 11 della L. 15 marzo 1997, n. 59.
471
Articolazioni decentrate della sezione di controllo sugli atti di governo e sulle amministrazioni
dello Stato in sede regionale, avevano sede presso ogni capoluogo di regione a statuto
ordinario, ed esercitavano il controllo preventivo, successivo e sulla gestione delle
amministrazioni dello Stato avente sede nella corrispondente regione.
472
Questi ultimi erano stati istituiti con deliberazione della Corte 13 giugno 1997, n. 1/97, in forza
della quale “la Corte dei conti esercita le funzioni di controllo successivo sulla gestione delle
regioni, delle amministrazioni pubbliche non statali e degli enti pubblici regionali, nonché sulla
gestione dei comuni, delle province e delle altre istituzioni di autonomia operanti nel territorio di
ciascuna regione mediante collegi operanti in sede regionale, mediante il modello organizzativo
di sezioni”.
473
Due in Trentino Alto Adige, con sede in Trento e Bolzano; una sezione di controllo per il Friuli
Venezia Giulia con sede in Trieste; una in Sicilia con sede a Palermo; una in Sardegna con
sede a Cagliari.
474
L. 5 giugno 2003, n. 131, Disposizioni per l'adeguamento dell'ordinamento della Repubblica alla
L.Cost. 18 ottobre 2001, n. 3.
361
SCHEDE DI APPROFONDIMENTO
dovrebbe consentire una più ampia circolazione delle analisi condotte a livello
territoriale dalle sezioni regionali.
In questa ottica, il comma in esame introduce un ultimo periodo all’art. 7, co.
7, della “legge La Loggia”, prevedendo che la Corte dei conti dia conto anche
dell’attività di controllo svolta nel periodo temporale di riferimento dalle sezioni
regionali di controllo nell’ambito di due relazioni annuali al Parlamento previste
dalla legislazione vigente.
Si tratta, in particolare:
ƒ della relazione sulla gestione finanziaria delle regioni, trasmessa ai sensi
dell’art. 3, co. 6, della L. 20/1994;
Ai sensi della norma richiamata, la Corte dei conti riferisce, almeno annualmente, al
Parlamento ed ai consigli regionali sull'esito del controllo eseguito sulla gestione del
bilancio e del patrimonio delle amministrazioni pubbliche, nonché sulle gestioni fuori
bilancio e sui fondi di provenienza comunitaria, verificando la legittimità e la regolarità
delle gestioni, nonché il funzionamento dei controlli interni a ciascuna
amministrazione. Le relazioni della Corte sono altresì inviate alle amministrazioni
interessate, alle quali la Corte formula, in qualsiasi altro momento, le proprie
osservazioni. Le amministrazioni comunicano alla Corte ed agli organi elettivi, entro
sei mesi dalla data di ricevimento della relazione, le misure conseguenzialmente
adottate.
Si segnala inoltre che – a seguito delle modifiche apportate nel 2003 - l’art. 9 del
regolamento di organizzazione delle funzioni di controllo della Corte dei conti475
prevede che ai fini del coordinamento della finanza pubblica, la sezione delle
autonomie, che costituisce “espressione delle sezioni regionali di controllo”, riferisca al
Parlamento, almeno una volta l’anno, sugli andamenti complessivi della finanza
regionale e locale per la verifica del rispetto degli equilibri di bilancio da parte di
Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni, in relazione al patto di stabilità
interno e ai vincoli che derivano dall’appartenenza dell’Italia all’Unione europea, anche
sulla base dell’attività svolta dalle sezioni regionali.
In attuazione del richiamato art. 3, co. 6, della L. 20/1994, dell’art. 7, co. 7, della L. La
Loggia e della ricordata norma del regolamento di organizzazione, la Corte trasmette
al Parlamento una relazione sulla gestione finanziaria delle regioni (Doc. CI)476.
ƒ della relazione sui risultati dell’esame della gestione finanziaria e
dell’attività degli enti locali, prevista dal quinto comma dell’art. 13 del D.L.
786/1981477.
L’art. 13 del D.L. 786/1981 – disposizione espressamente fatta salva nell’ambito del
riordino delle funzioni di controllo della Corte dei conti478 - ha previsto che le province e i
475
476
477
Regolamento per l’organizzazione delle funzioni di controllo della Corte dei conti. (Deliberazione
n. 14/DEL/2000), pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 156 del 6 luglio 2000, successivamente
modificato dalla Deliberazione n. 2/DEL/2003.
La più recente relazione, riferita agli anni 2005-2006 (Doc. CI, n. 2), è stata trasmessa alla
Presidenza il 2 luglio 2007.
D.L. 22 dicembre 1981 n. 786, Disposizioni in materia di finanza locale, convertito, con
modificazioni, dalla L. 26 febbraio 1982, n. 51.
362
RESPONSABILITÀ E CONTROLLI
comuni con popolazione superiore a 8.000 abitanti debbano trasmettere alla Corte dei
conti i propri conti consuntivi, nonché le relazioni dei revisori nominati dal consiglio
comunale e ogni altro documento e informazione che questa richieda.
All’esito del controllo la Corte trasmette al Parlamento, entro il 31 luglio di ciascun
anno, una relazione sui risultati dell’esame della gestione finanziaria e dell’attività
degli enti locali (Doc. XLVI-bis)479.
In proposito, il Presidente della Corte dei conti480 ha sottolineato come, in base
a tale disposizione, “le Sezioni regionali vengono così coinvolte nell’opera della
Corte, unitariamente intesa, volta a contribuire al coordinamento della finanza
pubblica, secondo il costante insegnamento della Corte Costituzionale:
coordinamento tanto più indispensabile quanto più l’ordinamento si orienta verso
un sistema policentrico di spesa e di entrata”.
Quanto alle modifiche relative alla composizione delle sezioni, l’art. 3, comma
61, della legge finanziaria 2008 abroga il comma 9 dell’articolo 7 della L.
131/2003 (la cosiddetta “legge La Loggia”) eliminando la facoltà per le regioni,
ivi prevista, di procedere all’integrazione della composizione delle sezioni
regionali della Corte dei conti attraverso la nomina di due componenti.
La soppressione di tale disposizione comporta anche il venir meno della
possibilità per le sezioni regionali di controllo di avvalersi di personale della
Regione con oneri a carico dell’amministrazione di appartenenza, previsto nella
fase di prima applicazione della L. 131/2003.
Il comma disciplina, inoltre, le modifiche alla situazione giuridica dei consiglieri
attualmente in carica in conseguenza della soppressione della norma,
distinguendo tra coloro che risultano essere stati nominati alla data del 1° ottobre
2007 e quelli nominati successivamente. I primi rimangono in carica fino alla fine
del loro mandato, mentre i secondi decadono – dalla data di entrata in vigore del
testo in esame – e non hanno più diritto alla corresponsione degli emolumenti in
precedenza percepiti “a qualsiasi titolo”.
L’art. 7, co. 9, della L. 131/2003 prevedeva la possibilità di integrare la composizione
delle sezioni regionali della Corte dei conti con due componenti designati:
- uno, dal Consiglio regionale;
- l’altro, dal Consiglio delle autonomie locali oppure, nelle Regioni ove tale organo,
previsto dall’ultimo comma dell’art. 123 Cost., non sia stato ancora istituito, dal
Presidente del Consiglio regionale su indicazione delle associazioni
rappresentative dei comuni e delle province a livello regionale.
L’individuazione dell’organo (della regione e rappresentativo degli enti locali)
competente a designare i componenti aggiuntivi delle sezioni regionali della Corte può
478
479
480
Art. 3, co. 7, della L. 20/1994.
La più recente relazione, riferita agli anni 2005-2006 (Doc. XLVI-bis, n. 2), è stata trasmessa
alla Presidenza il 2 luglio 2007.
Nella più volte richiamata relazione scritta in occasione della cerimonia di inaugurazione
dell’anno giudiziario 2008.
363
SCHEDE DI APPROFONDIMENTO
qualificarsi come disposizione “recessiva” o “cedevole”: viene, infatti, espressamente
previsto che essa operi “salvo diversa previsione dello statuto della regione”.
La disposizione individuava le categorie di soggetti tra le quali le regioni ed i Consigli
delle autonomie locali dovevano scegliere i componenti aggiuntivi: questi dovevano
essere selezionati tra persone che, per gli studi compiuti e le esperienze professionali
acquisite, sono particolarmente esperte nelle materie aziendalistiche, economiche,
finanziarie, giuridiche e contabili.
Lo status dei componenti era equiparato a tutti gli effetti, per la durata dell’incarico, a
quello dei consiglieri della Corte dei conti, con oneri finanziari a carico della Regione. Era
tuttavia previsto che l’integrazione dovesse avvenire senza nuovi o maggiori oneri per
la finanza pubblica (che in quanto tale sembrerebbe ampiamente comprensiva anche di
quella non statale).
Per la nomina è prescritto il parere del consiglio di presidenza della Corte dei conti, su
richiesta motivata della Presidenza del Consiglio dei ministri.
L’art. 7, co. 9, della L. 131/2003 prevedeva inoltre che ciascuna sezione regionale di
controllo della Corte dei conti potesse avvalersi di personale delle regioni, previe
intese con le regioni stesse. Erano peraltro posti limiti a tale possibilità, in quanto essa:
- era data in sede di prima applicazione;
- era connessa allo svolgimento delle funzioni di verifica sugli equilibri di bilancio
degli enti territoriali e delle altre funzioni di verifica di cui all’art. 7, co. 7; alla
realizzazione di forme di collaborazione tra regioni e sezioni regionali della Corte
dei conti (art. 7, co. 8), nonché alla nomina dei componenti delle sezioni regionali
designati dalle regioni (art. 7, co. 9);
- era limitata ad un contingente massimo di dieci unità di personale per ciascuna
sezione regionale.
Ai sensi della disposizione abrogata, le sezioni regionali di controllo potevano
avvalersi anche di segretari comunali e provinciali del ruolo unico previsto dal testo
unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali, di cui al D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267
(co. 6, sesto periodo) sotto duplice condizioni, procedurale la prima e finanziaria la
seconda:
- previe intese con l’Agenzia autonoma per la gestione dell’albo dei segretari
comunali e provinciali o con le sue sezioni regionali;
- con oneri a carico della Regione.
La giurisprudenza costituzionale sui controlli della Corte dei conti
Nel corso della XV legislatura, la Corte Costituzionale ha fornito rilevanti
indicazioni circa la compatibilità con il quadro costituzionale delineatosi a seguito
della modifica del titolo V della Costituzione di disposizioni statali che introducono
forme di controllo contabile sugli enti locali.
In particolare, la Corte costituzionale, nella sentenza n. 179/2007, ha chiarito
come siano costituzionalmente ammissibili forme di controllo a carattere
collaborativo sulla gestione complessiva dell’ente locale, dichiarando non
364
RESPONSABILITÀ E CONTROLLI
fondate le questioni di legittimità sollevate con riferimento all’art. 1, commi 166169, della legge finanziaria per il 2006481.
L’art. 1, commi 166-169, della legge finanziaria per il 2006482 ha introdotto una
nuova forma di controllo della Corte dei Conti, imponendo la trasmissione alla Corte di
apposite relazioni degli organi di revisione degli enti locali sul bilancio di previsione
dell’esercizio di competenza e sul rendiconto di esercizio ai fini di un monitoraggio
finalizzato in particolare a prevenire squilibri di bilancio. A tal fine, si prevede che la Corte
dei conti definisca unitariamente criteri e linee guida cui debbono attenersi gli organi degli
enti locali di revisione economico-finanziaria nella predisposizione della relazione d
trasmettere. Qualora le sezioni regionali di controllo della Corte dei conti accertino
comportamenti difformi dalla sana gestione finanziaria o il mancato rispetto degli obiettivi
posti con il patto di stabilità interno, adottano una specifica pronuncia al riguardo,
vigilando sull’adozione da parte dell’ente locale delle necessarie misure correttive e sul
rispetto dei vincoli e limitazioni posti in caso di mancato rispetto delle regole del patto di
stabilità interno.
Al riguardo, la Consulta ha avuto modo di evidenziare come dette norme
“introducono un nuovo tipo di controllo affidato alla Corte dei conti,
dichiaratamente finalizzato ad assicurare, in vista della tutela dell’unità
economica della Repubblica e del coordinamento della finanza pubblica, la sana
gestione finanziaria degli enti locali, nonché il rispetto, da parte di questi ultimi,
del patto di stabilità interno e del vincolo in materia di indebitamento posto
dall’ultimo comma dell’art. 119 Cost.”.
In questo contesto, la Corte ha sottolineato la natura collaborativa del
controllo disciplinato dalle norme della finanziaria per il 2006, che si limita alla
segnalazione all’ente controllato delle disfunzioni rilevate e rimette all’ente stesso
l’adozione delle misure necessarie. Vi è, dunque – secondo la Corte – una netta
separazione tra la funzione di controllo attribuita alla Corte dei conti e l’attività
amministrativa degli enti, che sono sottoposti al controllo stesso, né la Corte
ritiene che la vigilanza sull’adozione delle misure necessarie da parte degli enti
interessati implichi un’invasione delle competenze amministrative di questi ultimi,
poiché l’attività di vigilanza, limitatamente ai fini suddetti, è indispensabile per
l’effettività del controllo stesso.
Pertanto, la Corte Costituzionale ritiene che, alla luce del fatto che il controllo
sulla gestione finanziaria è complementare rispetto al controllo sulla gestione
481
482
Già in precedenza, con la sentenza n. 417 del 2005, la Corte Costituzionale aveva dichiarato
non fondata la questione di legittimità costituzionale di una disposizione (art. 1, co. 5, del D.L.
12 luglio 2004, n. 168, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2004, n. 191) la quale
prevedeva che gli organismi degli enti locali competenti in materia di controlli di gestione
dovessero fornire le proprie conclusioni, oltre che agli amministratori ed ai responsabili dei
servizi, anche alla Corte dei conti. In quella sede la Corte evidenziò come tale obbligo non fosse
di per sé idoneo a pregiudicare l'autonomia delle regioni e degli enti locali, in quanto esso
doveva considerarsi «espressione di un coordinamento meramente informativo»
L. 23 dicembre 2005, n. 266, Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale
dello Stato (legge finanziaria 2006).
365
SCHEDE DI APPROFONDIMENTO
amministrativa, ed è utile per soddisfare l’esigenza degli equilibri di bilancio, la
previsione da parte di una legge dello Stato del controllo in esame rientri nella
competenza propria di quest’ultimo di dettare principi nella materia concorrente
della “armonizzazione dei bilanci pubblici e coordinamento della finanza
pubblica” (art. 117, terzo comma, Cost.).
366
ORGANISMI GOVERNATIVI PER LA SEMPLIFICAZIONE
SEMPLIFICAZIONE E QUALITÀ DELLE NORME
ORGANISMI GOVERNATIVI PER LA SEMPLIFICAZIONE
La presente scheda è dedicata agli organismi istituiti in ambito governativo al
fine di perseguire le politiche di qualità della regolazione e di semplificazione. Si
tratta del Comitato interministeriale per l’indirizzo e la guida strategica delle
politiche di semplificazione e di qualità della regolazione e del relativo organo di
supporto (l’Unità per la semplificazione e la qualità della regolazione), nonché del
Tavolo permanente per la semplificazione.
Il Comitato interministeriale
Il Comitato interministeriale per l’indirizzo e la guida strategica delle politiche
di semplificazione e di qualità della regolazione e l’Unità per la semplificazione e
la qualità della regolazione sono stati istituiti con due decreti del Presidente del
Consiglio dei ministri in data 12 settembre 2006.
L’istituzione del Comitato interministeriale è prevista dall’articolo 1 del decretolegge 10 gennaio 2006, n. 4, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 marzo
2006, n. 80.
A seguito delle modifiche apportate durante l’iter di conversione, che hanno
portato alla soppressione di numerosi commi, il decreto si limita a prevedere che:
ƒ i componenti del Comitato siano individuati con DPCM483;
ƒ alle sue riunioni possano partecipare altri componenti del Governo,
esponenti di autorità regionali e locali e delle associazioni di categoria;
ƒ dall’istituzione e dal funzionamento del Comitato non derivino nuovi o
maggiori oneri per la finanza pubblica;
il Comitato:
ƒ predisponga, entro il 31 marzo di ogni anno, un piano di azione per il
perseguimento degli obiettivi del Governo in tema di semplificazione, di
riassetto e di qualità della regolazione per l'anno successivo, il quale,
sentito il Consiglio di Stato, venga approvato dal Consiglio dei Ministri e
trasmesso alle Camere (vedi scheda Il piano d’azione per la
semplificazione, pag. 386);
ƒ verifichi, durante l'anno, lo stato di realizzazione degli obiettivi, che viene
reso pubblico ogni sei mesi;
ƒ svolga funzioni di indirizzo, di coordinamento e, ove necessario, di
impulso delle amministrazioni dello Stato nelle politiche della
semplificazione, del riassetto e della qualità della regolazione.
483
Il decreto-legge (articolo 1, comma 1) si limita a prevedere che il Comitato sia presieduto dal
Presidente del Consiglio o dal Ministro per la funzione pubblica, da lui delegato.
367
SCHEDE DI APPROFONDIMENTO
In attuazione di tali previsioni, il DPCM istitutivo stabilisce la composizione del
Comitato e ne definisce compiti e funzioni.
La composizione del Comitato
Il Comitato è presieduto dal Presidente del Consiglio, che può delegare le
relative funzioni al Ministro per le riforme e l’innovazione nella pubblica
amministrazione484; è composto, oltre che da quest’ultimo, dai Ministri per gli
affari regionali e le autonomie locali, per le politiche europee, per l’attuazione del
programma di Governo, dell’interno, dell’economia e delle finanze, dello sviluppo
economico, nonché dal Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei
ministri – Segretario del Consiglio dei ministri. Ogni componente del Comitato
può delegare la propria partecipazione ad un Vice Ministro o ad un
Sottosegretario.
E’ inoltre previsto che alle riunioni del Comitato, in base agli argomenti da
trattare, possano essere invitati altri Ministri, nonché esponenti del sistema delle
autonomie, rappresentativi degli altri livelli di governo485.
Compiti e funzioni
L’articolo 4 del DPCM indica nel dettaglio compiti e funzioni del Comitato, con
previsioni di indubbio interesse.
Riguardo al piano, è stabilito che esso individui per ciascun obiettivo il
soggetto o i soggetti responsabili e che il Comitato coordini l’attività di
realizzazione degli obiettivi ivi previsti e ne verifichi periodicamente il loro stato di
attuazione.
Particolarmente interessante appare il comma 3 dell’articolo 4, in base al
quale devono essere sottoposte al Comitato, per un esame preventivo rispetto
all’approvazione da parte del Consiglio dei ministri, le iniziative normative con
prevalente finalità di semplificazione, ed in particolare il disegno di legge di
semplificazione. Si individua inoltre nel Sottosegretario alla Presidenza del
Consiglio, designato dal Presidente del Consiglio, e nel Ministro per le riforme e
le innovazioni nella pubblica amministrazione i soggetti chiamati a rappresentare
il Governo nei lavori parlamentari relativi al disegno di legge di semplificazione.
Di analogo interesse risulta il comma 4, che specifica i compiti del Comitato in
relazione alle funzioni di indirizzo, coordinamento ed impulso delle
484
485
Il Ministro per le riforme e le innovazioni nella pubblica amministrazione coordina sia il
Dipartimento della funzione pubblica sia il Dipartimento per l’innovazione e le tecnologie.
Il decreto-legge fa invece riferimento, in modo da considerare sostanzialmente analogo, ad
esponenti di autorità regionali e locali. Manca nel DPCM il riferimento ad esponenti delle
associazioni di categoria, pure contenuto nel decreto-legge. Il DPCM rimanda però ad un
ulteriore DPCM l’istituzione di un Tavolo permanente per la semplificazione, cui prendono parte
tali ultimi esponenti (cfr. infra).
368
ORGANISMI GOVERNATIVI PER LA SEMPLIFICAZIONE
amministrazioni dello Stato nelle politiche della semplificazione, del riassetto e
della qualità della regolazione. In particolare, il Comitato:
ƒ
ƒ
ƒ
ƒ
ƒ
ƒ
può richiedere un approfondimento dell’esame delle iniziative normative
del Governo in caso di proposte che non appaiano necessarie o
giustificate relativamente al rapporto tra costi e benefici o alla coerenza
con gli obiettivi del piano di azione annuale per la semplificazione;
individua e sostiene iniziative non normative di semplificazione, tramite
progetti di innovazione tecnologica o amministrativa, di comunicazione e di
formazione;
monitora l’efficacia delle misure di semplificazione introdotte e la loro
effettiva applicazione e prospetta, ove necessario, interventi correttivi. E’
significativo che a tale monitoraggio si provveda con le opportune
procedure di verifica di impatto;
convoca periodicamente il Tavolo permanente per la semplificazione;
individua altre forme e modalità stabili di consultazione con le
organizzazioni rappresentative degli interessi della società civile e
prevede, ove possibile in via elettronica, forme di pubblicizzazione di tale
attività;
assicura il costante raccordo con gli altri soggetti istituzionali e con gli altri
livelli di governo in tema di semplificazione e di qualità della regolazione
Il Tavolo permanente per la semplificazione.
Al fine di favorire il raccordo con il sistema delle autonomie, il Tavolo è istituito
presso la Conferenza unificata. E’ composto dai rappresentanti delle categorie
produttive e delle associazioni di utenti e consumatori, nonché da rappresentanti
dei Ministeri, della Conferenza dei Presidenti delle Regioni, dell’ANCI, dell’UPI e
dell’UNCEM. Il Tavolo, previsto dall’articolo 5 del DPCM istitutivo del Comitato
interministeriale, è stato istituito con un ulteriore DPCM in data 8 marzo 2007.
Supporto tecnico al Comitato.
E’ assicurato dall’Unità per la semplificazione, la cui istituzione è stata prevista
dall’articolo 1, comma 22-bis486, del decreto-legge 18 maggio 2006, n. 181,
convertito, con modificazioni, dalla legge 17 luglio 2006, n. 233.
486
Per un refuso, nell’articolo 3 del DPCM viene richiamato l’articolo 22-bis anziché l’articolo 1,
comma 22-bis, correttamente indicato nel preambolo del decreto.
369
SCHEDE DI APPROFONDIMENTO
L’Unità per la semplificazione
Composizione
L’Unità è presieduta dal Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio –
Segretario del Consiglio dei ministri, che può delegare le relative funzioni al
Segretario generale della Presidenza del Consiglio – Vice Presidente dell’Unità in
coabitazione con il Capo del Dipartimento per gli affari giuridici e legislativi della
Presidenza del Consiglio. Oltre a questi ultimi, fanno parte dell’Unità:
ƒ
ƒ
ƒ
i Capi degli Uffici legislativi dei Ministri componenti il Comitato
interministeriale;
i consiglieri giuridici del Sottosegretario alla presidenza del Consiglio –
Segretario del Consiglio dei ministri e del Ministro per le riforme e le
innovazioni nella pubblica amministrazione, in numero non superiore a
quattro;
19 esperti, nominati con ulteriore DPCM in data 12 settembre 2006 (il citato
decreto-legge n. 181/2006 prevede la nomina di un numero di esperti non
superiore a 20).
Compiti e funzioni
All’Unità sono affidati compiti di supporto all’attività del Comitato
interministeriale. Giova sottolineare il suo ruolo di coordinamento tra le
amministrazioni dello Stato, anche con riguardo alla ricognizione delle materie in
cui sia costituzionalmente legittimo l’intervento in via regolamentare dello Stato.
L’Unità, inoltre:
ƒ
ƒ
ƒ
ƒ
formula proposte per la definizione di indirizzi e criteri generali per il riordino
normativo e la codificazione e sovrintende alle conseguenti iniziative delle
singole amministrazioni;
definisce, d’intesa con il Dipartimento della funzione pubblica, un programma
di misurazione e riduzione degli oneri amministrativi e verifica
preventivamente l’impatto sulla semplificazione e sulla qualità della
regolazione dei disegni di legge, dei decreti legislativi e dei regolamenti di
iniziativa governativa;
promuove forme di raccordo con il Parlamento e con gli altri soggetti titolari di
poteri normativi per il miglioramento del processo legislativo;
promuove forme di raccordo e partecipa alle iniziative per l’adozione di
misure di semplificazione e di miglioramento della qualità della regolazione
da parte degli organi costituzionali, delle autorità indipendenti, delle Regioni e
degli enti locali. Partecipa, altresì, ad iniziative e programmi in materia di
semplificazione e di qualità della regolazione dell’Unione europea, dell’OCSE
e di altri organismi internazionali.
370
ORGANISMI GOVERNATIVI PER LA SEMPLIFICAZIONE
Si tratta di compiti che l’Unità è chiamata a svolgere anche in attuazione di
altre disposizioni di legge.
In particolare:
ƒ
ƒ
ƒ
ƒ
il tema della codificazione e del riordino normativo è oggetto di diverse leggi
(in particolare, le leggi n. 59/1997 e n. 50/1999); la legge 28 novembre 2005,
n. 246, recante semplificazione e riassetto normativo per l’anno 2005, è
intervenuta sull’articolo 20 della citata legge n. 59/1997, completando la
disciplina in materia, ed ha delegato il Governo a provvedere al riassetto
normativo in diversi settori dell’ordinamento;
la verifica preventiva dell’impatto sulla semplificazione si inscrive, come parte
del tutto, nell’ambito dell’analisi dell’impatto della regolamentazione,
disciplinata dall’articolo 14 della legge n. 246/2005 (vedi scheda AIR:
relazione sullo stato di attuazione, pag. 394);
il raccordo con le Regioni e con l’Unione europea per il perseguimento di
comuni obiettivi di qualità della legislazione sono già disciplinati dagli articoli 1
e 2 della citata legge n. 246/2005.
Innovativo appare invece il richiamo al raccordo con il Parlamento e con
L’OCSE. Quest’ultima organizzazione svolge un importante ruolo di impulso
alla semplificazione normativa, nell’ambito di una strategia volta a facilitare la
competitività delle imprese.
Il ruolo del Parlamento
Sia la previsione del raccordo con il Parlamento, sia la trasmissione a
quest’ultimo del piano di azione per la semplificazione (vedi scheda Il piano
d’azione per la semplificazione, pag. 386) coinvolgono le istituzioni parlamentari
in un processo di importanza strategica, nel quale il Comitato per la legislazione
potrebbe svolgere, nella XVI legislatura, un ruolo di regia nell’ambito della
Camera.
Può essere utile in proposito ricordare le modalità di coinvolgimento del Parlamento
nel programma di riordino delle norme legislative e regolamentari, adottato dal Consiglio
dei ministri ai sensi dell’articolo 7 della L. 50/1999: la Camera dei deputati, chiamata a
pronunziarsi in virtù della previsione legislativa (poi abrogata) dette vita a un complesso
procedimento, che coinvolse tutte le Commissioni permanenti; queste espressero il
parere ad una Commissione speciale costituita ad hoc (Commissione speciale per
l'esame della relazione del Governo per il programma di riordino delle norme legislative e
regolamentari, costituita con deliberazione dell’Assemblea del 28 luglio 1999), la quale
riferì all’Assemblea ai fini dell’adozione di una risoluzione (che quest’ultima approvò il 19
ottobre 1999).
371
SCHEDE DI APPROFONDIMENTO
SEMPLIFICAZIONE E QUALITÀ DELLE NORME
L’ACCORDO STATO-REGIONI SULLA SEMPLIFICAZIONE
Profili generali
Il 29 marzo 2007, in sede di Conferenza unificata, è stato siglato un Accordo
tra Governo, Regioni e Autonomie locali in materia di semplificazione e
miglioramento della qualità della regolamentazione, pubblicato nella Gazzetta
Ufficiale del 13 aprile 2007.
È stata così data attuazione al disposto dell’articolo 2 della legge 28 novembre
2005, n. 246, recante semplificazione e riassetto normativo per l’anno 2005, che
ha introdotto, nell’ambito della legge 15 marzo 1997, n. 59, l’articolo 20-ter,
prevedendo, per l’appunto, “in attuazione del principio di leale collaborazione”, la
conclusione, in sede di Conferenza Stato-Regioni o di Conferenza unificata, di
accordi volti al “perseguimento delle comuni finalità di miglioramento della qualità
normativa nell'ambito dei rispettivi ordinamenti, al fine, tra l'altro, di:
a) favorire il coordinamento dell'esercizio delle rispettive competenze
normative e svolgere attività di interesse comune in tema di
semplificazione, riassetto normativo e qualità della regolazione;
b) definire princìpi, criteri, metodi e strumenti omogenei per il perseguimento
della qualità della regolazione statale e regionale, in armonia con i princìpi
generali stabiliti dalla presente legge e dalle leggi annuali di
semplificazione e riassetto normativo, con specifico riguardo ai processi di
semplificazione, di riassetto e codificazione, di analisi e verifica
dell'impatto della regolazione e di consultazione;
c) concordare, in particolare, forme e modalità omogenee di analisi e verifica
dell'impatto della regolazione e di consultazione con le organizzazioni
imprenditoriali per l'emanazione dei provvedimenti normativi statali e
regionali;
d) valutare, con l'ausilio istruttorio anche dei gruppi di lavoro già esistenti tra
regioni, la configurabilità di modelli procedimentali omogenei sul territorio
nazionale per determinate attività private e valorizzare le attività dirette
all'armonizzazione delle normative regionali”.
Le premesse dell’accordo danno conto con dovizia di particolari di tutti gli
elementi utili ad un suo inquadramento nella cornice della vigente normativa,
delle iniziative assunte in ambito OCSE e comunitario, degli obiettivi perseguiti e
dei suoi limiti, riassumendo tutte le tappe procedurali che hanno condotto alla
sua conclusione.
372
L’ACCORDO STATO-REGIONI SULLA SEMPLIFICAZIONE
Si segnalano, in particolare, due capoversi delle premesse, dedicati
rispettivamente all’analisi di impatto della regolamentazione, la cui generalizzata
applicazione è considerata uno degli obiettivi qualificanti, ed al limite di contesto
derivante dall’autonomia dei Consigli regionali.
Quest’ultimo capoverso, in particolare, afferma “che l’accordo non può in
alcun modo incidere sull’autonomia dei Consigli regionali, garantita dagli statuti,
ma che si pone come espressione dell’indirizzo politico in materia di qualità della
regolamentazione, concordato fra il Governo e le Giunte regionali”. Trova così
emersione un aspetto di sistema posto in luce dalle stesse Assemblee legislative
regionali nelle fasi tecniche di predisposizione dell’accordo, alle quali sono state
invitate a partecipare, anche in attuazione dell’impegno assunto dal Governo in
relazione ad un ordine del giorno presentato, nell’ambito della discussione sulla
legge di semplificazione 2005, dai deputati Fontanini e Siniscalchi,
rispettivamente presidente e vicepresidente pro tempore del Comitato per la
legislazione.
Il Governo, come già accennato, ha dato attuazione all’ordine del giorno citato
invitando a partecipare ai lavori preparatori dell’accordo anche gli uffici dei
Consigli regionali, contestualmente coinvolti da alcune Giunte regionali. In sede
tecnica, i Consigli regionali hanno evidenziato come l’accordo involga in realtà
spazi e funzioni delle Assemblee legislative e necessiti per la sua attuazione di
una collaborazione di queste ultime con gli Esecutivi regionali: una eco di tale
segnalazione si rintraccia nel citato capoverso delle premesse dell’accordo487.
E’ da ritenere che un’analoga clausola di salvaguardia debba valere per le
Assemblee legislative statali.
L’accordo si compone complessivamente di 17 articoli, riguardanti un insieme
di strumenti volti a perseguire una migliore qualità della regolamentazione,
elencati, dopo un richiamo dei principi di qualità della regolazione condivisi in
ambito europeo488, dall’articolo 1:
ƒ
ƒ
ƒ
ƒ
ƒ
487
488
l’analisi tecnico-normativa (articolo 2);
l’analisi di impatto della regolamentazione ex ante (AIR) e la
consultazione (articoli 3 e 4);
l’analisi di fattibilità (articolo 5);
la verifica di impatto della regolamentazione ex post (VIR) (Articolo 6);
l’impiego di clausole valutative (articolo 7);
La Conferenza dei Presidenti delle Assemblee legislative delle Regioni e delle Province
autonome, il 4 maggio 2007, ha approvato all’unanimità una delibera la quale, “considerato che
l’accordo quadro non vincola formalmente le Assemblee legislative regionali e delle Province
autonome di Trento e di Bolzano, ma contiene, altresì, rimandi ad attività proprie dei succitati
Enti”, impegna “il Segretariato della Conferenza a promuovere la redazione di Linee guida in
materia di semplificazione e miglioramento della qualità della regolamentazione da sottoporre
successivamente all’esame dei Consigli regionali e delle Province autonome, tenendo conto
dell’attività e delle posizioni fin qui elaborate dalla Conferenza, dai Consigli regionali, dai Gruppi
di lavoro all’uopo costituiti”.
Vengono richiamati i principi di necessità, proporzionalità,
sussidiarietà, trasparenza,
responsabilità, accessibilità e semplicità delle norme.
373
SCHEDE DI APPROFONDIMENTO
ƒ la semplificazione normativa (articolo 8);
ƒ la misurazione e riduzione degli oneri amministrativi (articolo 9);
ƒ il drafting normativo (articolo 14).
L'insieme di strumenti sopra ricordato è di seguito illustrato secondo la
seguente ripartizione espositiva:
ƒ
ƒ
ƒ
ƒ
esame degli effetti di una normativa;
semplificazione normativa;
riduzione degli oneri amministrativi;
drafting.
Si tratterà inoltre di ulteriori aspetti affrontati nell’accordo, attinenti ai suoi
profili attuativi, con specifico riguardo alla formazione, ed all’accesso dei cittadini
alle norme.
Si segnala che tutti questi temi costituiscono anche oggetto del piano di
azione per la semplificazione e la qualità della regolazione, elaborato dal
Governo ai sensi dell’articolo 1 del decreto-legge 10 gennaio 2006, n. 4,
convertito, con modificazioni, dalla legge 9 marzo 2006, n. 80 (vedi scheda Il
piano d’azione per la semplificazione, pag. 386).
Esame degli effetti di una normativa (articoli 2-7)
L'esame degli effetti può essere preventivo (dunque antecedente
l'approvazione di una normativa) o successivo (sullo stato di attuazione e sugli
effetti prodotti).
L'esame preventivo si articola in più momenti. Vi è un vaglio di carattere
eminentemente giuridico, affidato all'analisi tecnico-normativa. Vi è un'analisi
dell'impatto della regolamentazione proposta, in raffronto ad altre opzioni
normative ipotizzabili. Vi è una verifica della fattibilità amministrativa. Per una
maggiore conoscenza dei diversi settori da normare, vi è la consultazione dei
soggetti interessati.
L'esame successivo risiede invece nella verifica (ex post) dell'impatto prodotto
dalla regolamentazione. Possono, a tal fine, legislativamente prevedersi (con le
cosiddette “clausole valutative”) obblighi di informazione (a carico degli esecutivi
o di altri soggetti attuatori) sull'attu
Scarica

L`attività delle Commissioni nella XV legislatura