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Chiuso in redazione il 31 gennaio 2014
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n. 78– 31 gennaio 2014
Sommario
Pagina
NEWS
Ambiente, antincendio, appalti, economia e finanza,
finanza, edilizia e urbanistica, energ
energia, lavoro e
previdenza, Pubblica Amministrazione, Pubblico Impiego, rifiuti, sicurezza
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RASSEGNA DI NORMATIVA
Leggi, decreti, circolari: sintesi e classificazione
RASSEGNA DI GIURISPRUDENZA
Appalti, beni culturali, edilizia e urbanistica, energia,
Amministrazione,
mministrazione, rifiuti, sicurezza ed igiene del lavoro
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inquinamento,
Pubblica
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APPROFONDIMENTI
Economia, fisco, agevolazioni e incentivi
IUC - NUOVA IMPOSTA UNICA COMUNALE
OMUNALE COMPONENTI IMU, TARI E TASI - NOVITÀ DELLA L.
147/2013
La L. 27.12.2013 n. 147 (Legge di stabilità 2014) istituisce la nuova imposta unica
comunale (Iuc), costituita
stituita da tre distinti tributi: l'Imu sugli immobili non esenti, la Tari per
il servizio rifi uti e la Tasi per i servizi comunali indivisibili.
In realtà, l'imposta è solo apparentemente "unica", poiché si basa su due presupposti
impositivi completamente
e diversi (valore degli immobili e fruizione dei servizi comunali) e
tre componenti di natura giuridica non omogenea: l'Imu (imposta), la Tari (tassa) e la Tasi
(imposta). Si riscontrano, inoltre, diverse criticità nella disciplina applicativa, con
particolare riferimento alla Tasi.
Siamo quindi ben lontani da una seria disciplina sull'imposizione immobiliare.
Giuseppe Debenedetto,, Il Sole 24 ORE – LA Settimana Fiscale, 22 gennaio 2014, n. 3
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Economia, fisco, agevolazioni e incentivi
IMPIANTI FOTOVOLTAICI - ACCATASTAMENTO E DISCIPLINA
DISC
FISCALE CHIARIMENTI
IMENTI DELLA C.M.
36/E/2013
Con la C.M. 19.12.2013 n. 36/E l'Agenzia delle Entrate fornisce alcuni chiarimenti
riguardanti le problematiche del fotovoltaico, partendo dalla questione legata
all'accatastamento degli
gli impianti che, nel corso degli ultimi anni, ha creato moltissime
incertezze.
Al fine di giungere ad un inquadramento uniforme della questione, l'Agenzia delle Entrate,
traccia le indicazioni dell'Agenzia del Territorio in materia di classificazione cata
catastale,
richiamando a tal proposito le disposizioni di cui all'art. 40, D.P.R. 1.12.1949, n. 1142 ed
all'art. 2 D.M. 2.1.1998, n. 28, con i quali il Legislatore nazionale ha definito e precisato il
concetto di unità immobiliare.
L'Agenzia analizza inoltre gli
li effetti della qualifica di un impianto fotovoltaico tra i beni
immobili, sia per quanto riguarda gli aspetti legati alla cessione e locazione, andando a
vedere il corretto trattamento ai fini Iva, in applicazione dell'art. 10, n. 8, 8
8-bis e 8-ter,
D.P.R.. 633/1972, sia per quanto riguarda la disciplina dell'ammortamento, di cui
all'art. 102, D.P.R. 917/1986.
Leonardo Pietrobon, Il Sole 24 ORE – La Settimana Fiscale, 29 gennaio 2014, n. 4
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Economia, fisco, agevolazioni e incentivi
PROROGATI I BONUS PER LE RISTRUTTURAZIONI E IL RISPARMIO ENERGETICO
Con la legge di Stabilità 2014, il legislatore ha prorogato per più anni le detrazioni per gli
interventi di recupero del patrimonio edilizio, nonché di risparmio energetico, anche se con
aliquote variabili nel corso del tempo.
Alessandro Borgoglio, Il Sole 24 Ore – Consulente Immobiliare, gennaio 2014, n. 945
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Edilizia e urbanistica
RIVALUTAZIONE DEI TERRENI: RIAPERTI I TERMINI
Il comma 156 della legge di Stabilità per il 2014 ha riaperto, ancora una volta, i termini per
effettuare la rideterminazione facoltativa, ma a pagamento, del valore dei terreni agricoli o
edificabili, inclusi quelli lottizzati, di cui all’art. 67, comma 1, lett. a ) e b ), del D.P.R.
917/1986
Stefano Baruzzi, Il Sole 24 Ore – Consulente immobiliare, gennaio 2014, n. 945
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Pubblica amministrazione
COME ELABORARE IL CODICE DI COMPORTAMENTO ALLA LUCE DELLE LINEE GUIDA DELL'AUTORITÀ
La novità, introdotta dal novellato comma 3 dell’art. 2 del Dlgs n. 165/2001, impone alle
amministrazioni pubbliche di estendere gli obblighi del Codice anche a tutti i collaboratori o
consulenti esterni legati alla pubblica amministrazione con qualsiasi tipologia di contratto o
incarico e a qualsiasi titolo.
Lorenzo Camarda, Il Sole 24 Ore – Diritto e Pratica Amministrativa, gennaio 2014, n.1
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Pubblico impiego
LEGGE DI STABILITÀ 2014 - PANORAMA DELLE NOVITÀ PER IL PUBBLICO IMPIEGO
La legge di stabilità 2014 agisce, sostanzialmente, su più fronti, accomunati dall'obiettivo di
contenere i costi dell'elefantiaco apparato pubblico italiano: proroga del blocco della
contrattazione e riduzioni del turn-over. Vediamo nel dettaglio le varie disposizioni che
riguardano il pubblico impiego
Fabrizio Bonalda, Il Sole 24 ORE – Guida al Lavoro, 17 gennaio 2014, n. 3
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Pubblico impiego
STABILIZZAZIONI NEL PUBBLICO IMPIEGO: LE OPPORTUNITÀ PER GLI ENTI LOCALI
Con il Dl 101/2013 si è chiusa una stagione, introdotta dalla Finanziaria 2007 per superare
la fase precedente caratterizzata dal blocco delle assunzioni e dalla flessibilità. Quello della
stabilizzazione è un istituto assolutamente singolare, che ha diviso gli studiosi, in parte
favorevoli e in parte fortemente critici
Pasquale Monea, Il Sole 24 Ore - Guida al Pubblico Impiego, gennaio 2014, n. 1
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Rifiuti
LA COMBUSTIONE ILLECITA DEI RIFIUTI DIVENTA UN REATO FATTISPECIE AGGRAVATA SE SI
TRATTA DI SCARTI PERICOLOSI
Il provvedimento d'urgenza "Terra dei fuochi" approda finalmente in "Gazzetta" ed è in
vigore già dall'11 dicembre scorso. È stato, infatti, pubblicato sulla "Gazzetta Ufficiale" del
10 dicembre scorso n. 289 il decreto legge 10 dicembre 2013 n. 136, recante "Disposizioni
urgenti dirette a fronteggiare emergenze ambientali e industriali ed a favorire lo sviluppo
delle aree interessate".
Xavier Santiapichi, Il Sole 24 ORE – Guida al Diritto, 11 gennaio 2014, n. 3
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L’ESPERTO RISPONDE
Appalti, edilizia e urbanistica, fisco, rifiuti, sicurezza ed igiene del lavoro
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Appalti
Specialistiche, norma-tampone poco chiara: rischio contenzioso
Nella Gazzetta Ufficiale n. 304 del 30 dicembre 2013, è stato pubblicato il decreto-legge 30
dicembre 2013, n. 151 (clicca qui per scaricare il testo), che, al comma 9 dell'articolo 3, detta la
disciplina transitoria, destinata a colmare il vuoto normativo creatosi a seguito del parere della
Commissione speciale del Consiglio di Stato, recepito dal Dpr 30 ottobre 2013, il quale ha annullato
il comma 2 dell'articolo 107 e il comma 2 dell'articolo 109 del Regolamento n. 207/2010.
L'articolo 107, comma 2, conteneva l'elenco delle categorie superspecialistiche che, ai sensi
dell'articolo 37, comma 11, del Codice non possono essere subappaltate per più del 30%, se la loro
incidenza sull'importo contrattuale supera il 15%, e che impongono all'impresa priva della relativa
qualificazione di servirsi o del raggruppamento temporaneo verticale oppure dell'avvalimento, ai
fini di coprire l'altro 70%. L'annullamento è stato motivato sul rilievo, che molte di tali categorie
non apparivano «di notevole contenuto tecnologico o di rilevante complessità tecnica», ragion per
cui sarà necessario effettuare una revisione dell'elenco.
A sua volta, il comma 2 dell'articolo 109 è stato annullato, apparendo incongruo che, mentre il
comma 1 affermava il principio in base al quale l'affidatario qualificato nella sola prevalente
potesse eseguire anche le opere scorporabili, il comma 2 rovesciasse invece tale principio
imponendo il subappalto delle categorie scorporabili non coperte da attestazione Soa.
Il decreto-legge n. 151/2013 ha tuttavia impegnato il Governo a emanare, entro sei mesi dal 30
dicembre 2013, le disposizioni sostitutive di quelle annullate, precisando che, nel frattempo, e in
ogni caso non oltre il 30 settembre 2014, continuano ad applicarsi le regole previgenti, senza però
indicare quali siano queste regole.
Si apre così un problema interpretativo di non poco momento, dovendosi stabilire se tali regole
siano quelle contenute negli annullati articoli 107, comma 2 e 109, comma 2, o le disposizioni
vigenti ancor prima, vale a dire gli articoli 72 e 74 del Dpr n. 554/1999.
A favore della prima opzione interpretativa, milita non solo l'espressione «continuano a trovare
applicazione», che appare più appropriato riferire agli articoli 107 e 109, anziché a norme
abrogate.
Mentre, contro la reviviscenza degli articoli 107 e 109, gioca una considerazione di natura
istituzionale, essendo a dir poco improprio che il potere legislativo ponga nel nulla una decisione
del potere giudiziario, avente per giunta un valore di carattere generale.
Di certo, sul versante dell'interpretazione letterale, sostenere che le norme che vigevano prima
dell'annullamento sono quelle annullate significa salvarsi in angolo, perché sarebbe stato più
conforme al «clare loqui» scrivere, anziché «regole previgenti», «norme annullate».
Infine, non si comprende il motivo per cui il Governo viene impegnato a sostituire tali disposizioni
entro sei mesi, mentre quelle «previgenti» potrebbero restare in vigore per nove mesi. Sembra
quasi un preannuncio di sconfitta che, peraltro, non lascia intravedere cosa succederebbe se
entrambe le date dovessero spirare senza risultati.
In ogni caso, l'adesione all'una o all'altra opzione interpretativa non sposta i termini del problema,
atteso che le due coppie di disposizione si distinguono soltanto per il fatto che l'elenco delle
superspecialistiche di cui all'articolo 72 è meno numeroso di quello contenuto nell'articolo 107, e
questo potrebbe costituire un ulteriore argomento a favore della riviviscenza delle norme del Dpr n.
554/1999, rappresentando un'adesione del legislatore alle censure del Consiglio di Stato, il quale
aveva contestato proprio l'eccessiva ampiezza dell'articolo 107.
Nella prassi, l'incertezza generata da tale norma transitoria rischia di innescare una nuova
occasione di contenzioso, e questo non per una sorta di caccia all'errore, ma per una fuga del
legislatore dal parlar chiaro. A meno di non ritenere che abbia volutamente inteso riferirsi alle
«regole», anziché agli articoli, per sottolineare che le norme restano annullate, ma le regole che
esse contenevano continuano ad applicarsi.
Il che non accadeva nemmeno a Bisanzio.
(Federico Titomanlio, Il Sole 24 ORE – Edilizia e Territorio, 13 gennaio 2014)
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Ok alla riforma degli appalti, per le Pmi sarà meno costoso partecipare alle gare
Il via libera del Parlamento Europeo alla riforma degli appalti pubblici conclude un iter durato più di
due anni e attribuisce agli Stati membri ampi margini di manovra nel decidere se rendere
vincolanti, in sede di recepimento, le principali prescrizioni contenute nelle tre direttive (appalti
pubblici, appalti per servizi nei settori acqua, energia, trasporti e servizi postali e concessioni
pubbliche).
Le scelte dei governi nazionali faranno la differenza rispetto alle due priorità fondamentali della
riforma: favorire l'accesso delle piccole e medie imprese alle gare e potenziare l'uso "strategico"
degli appalti pubblici attraverso regole e criteri di aggiudicazione capaci di contrastare le diverse
forme di dumping sociale e di premiare prodotti e processi produttivi innovativi e rispettosi
dell'ambiente.
Sul fronte PMI, si punta sulla riduzione dei costi amministrativi di partecipazione alle gare
attraverso l'autocertificazione e un uso progressivamente sempre più ampio e vincolante dell'eprocurement. L'idea iniziale di un passaporto europeo per gli appalti rilasciato da un'autorità
competente è stata sostituita dal riconoscimento della possibilità di utilizzare un Documento di
Gara Unico Europeo (DGUE), che raccoglierà le informazioni sull'azienda e l'autocertificazione dei
requisiti necessari alla partecipazione alle gare. Il formato sarà definito nei prossimi mesi dalla
Commissione e adottato in tutti i Paesi. Nel pacchetto di misure per le PMI rientra anche
l'introduzione di un tetto ai requisiti di fatturato, che non dovrebbero superare il doppio del valore
dell'appalto. Soglie più elevate restano tuttavia possibili ma andranno motivate. Per la suddivisione
in lotti dei grandi appalti (oltre i 500 mila Euro), obbligatoria nella proposta della Commissione, il
Consiglio ha ottenuto la cancellazione di soglie e vincoli mantenendo in capo ai governi nazionali
ogni decisione. Stesso discorso per la possibilità di pagare direttamente le imprese subappaltatrici.
Per quanto riguarda l'aumento dell'efficienza della spesa pubblica e l'uso strategico degli appalti, la
riforma insiste sulla diversificazione delle procedure d'appalto in base alle specifiche esigenze delle
amministrazioni, presentando e chiarendo le modalità e i vantaggi del ricorso a procedure non
tradizionali come dialogo competitivo e i partenariati per l'innovazione. Una forte attenzione è
dedicata al concetto di offerta economicamente più vantaggiosa e al contrasto della prevalenza del
massimo ribasso per l'aggiudicazione delle gare. La riforma incoraggia l'utilizzo di criteri orientati
agli aspetti qualitativi delle offerte, che includono, ad esempio, la valutazione del costo del ciclo di
vita dei prodotti, dell'impatto ambientale delle tecnologie e dei processi produttivi, e, soprattutto
dopo l'intervento del Parlamento Europeo, la piena conformità alla legislazione in materia di lavoro
e di ambiente. Nel caso di ribassi anomali, l'ente appaltante è tenuto a richiedere spiegazioni
(respinta, invece, la proposta di esclusione automatica in caso di risposta insoddisfacente).
Quanto alla digitalizzazione integrale delle procedure d'appalto, l'obbligo scatterà al termine di 30
mesi concessi come periodo transitorio. Ma tale periodo transitorio si conteggia a partire dalla
scadenza dei due anni concessi per il recepimento della direttiva da parte dell'Italia. Riassumendo,
la transitorietà prevista per l'e-procurement si apre a partire dal febbraio-marzo 2016 (in base alla
data della prossima pubblicazione della direttiva). L'obbligo scatterà invece al termine dei due anni
e mezzo, a partire da questa data, cioè presumibilmente da agosto-settembre 2018.
Dopo i pareri di nove commissioni parlamentari, la discussione di 2.500 emendamenti e otto mesi
di braccio di ferro tra Parlamento e Consiglio, la riforma si è spostata principalmente sul piano del
chiarimento normativo, degli orientamenti strategici e della proposta di soluzioni e buone pratiche
che gli Stati membri sono incoraggiati ad adottare. Molte delle prescrizioni più significative sono
state trasformate in opzioni a disposizione dei governi nazionali, chiamati comunque a intervenire
per aggiornare la normativa attuale secondo i principi sanciti nel testo. Come ricordato, dall'entrata
in vigore delle direttive (20 giorni dopo la loro pubblicazione nella Gazzetta ufficiale) gli Stati
membri avranno 24 mesi per il recepimento nel diritto nazionale.
(Pierluigi Boda e Mauro Salerno, Il Sole 24 ORE – Edilizia e Territorio, 15 gennaio 2014)
Avcpass, fino al 30 giugno basta l'email ordinaria per le comunicazioni con la Pa
Slitta di altri sei mesi l'obbligo di dotare i funzionari delle amministrazioni di una casella di posta
elettronica certificata per garantire lo scambio di comunicazioni con la banca dati appalti gestita
dall'Autorità di vigilanza. La proroga è stata decisa oggi dal Consiglio dell'Authority di Via Ripetta.
«Viste le difficoltà segnalate dalle stazioni appaltanti», si legge nel comunicato diramato
dall'Authority, il Consiglio «ha disposto la proroga di sei mesi del regime transitorio relativo
all'obbligatorietà della Pec personale di cui all'art.9, co.4 della Deliberazione n. 111 del
20/12/2012». Il riferimento è alla delibera che ha reso operativo dal primo gennaio 2014 l'obbligo
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di verificare i requisiti delle imprese partecipanti alle gare di appalto pubbliche superiori a 40mila
euro tramite il servizio «Avcpass» dell'Autorità.
Nonostante fosse annunciato da tempo - e già rinviato dal primo gennaio 2013 al primo giorno di
quest'anno - il passaggio dalla verifica tradizionale e cartacea alla modalità telematica ha gettato
nel panico le stazioni appaltanti creando difficoltà operative anche tra le imprese. Non a caso
Comuni (Anci) e costruttori (Ance) la settimana scorsa hanno scritto al ministro delle Infrastrutture
Maurizio Lupi chiedendo di intervenire con una proroga.
Ora di fronte alle difficoltà (anche economiche) sollevate dalle amministrazioni in merito all'obbligo
di dotare di Pec certificata responsabili del procedimento e funzionari coinvolti nello scambio di
informazioni sulle gare gestite attraverso il portale arriva la proroga del regime transitorio già
deciso dall'Autorità. Un'apertura alle stazioni appaltanti che d'altro canto fa emergere un ulteriore
scricchiolio sulla tenuta del sistema.
Nel consentire il ricorso alla mail ordinaria l'Autorità ricorda peraltro che la stazione appaltante è
tenuta «a garantire che le caselle di posta elettronica ordinaria utilizzate siano esclusivamente
individuali, rilasciate nell'ambito del dominio istituzionale dell'Amministrazione e ad accesso
esclusivo del soggetto intestatario». E precisa inoltre che è necessario «fornire al personale
operante in qualità di incaricato del trattamento dei dati le necessarie istruzioni circa il corretto
utilizzo delle credenziali di accesso».
(Mauro Salerno, Il Sole 24 ORE - Edilizia e Territorio, 22 gennaio 2014)
Appalti. Il recepimento delle direttive - Ance: servono paletti all'in house
Rafforzare l'attenzione alle Pmi, limitare il ricorso all'in house, imporre alle concessionarie di
affidare con gara il 100% dei lavori oggetto di concessione. Sono le richieste avanzate dai
costruttori dell'Ance in occasione del ciclo di audizioni aperto oggi dall'Autorità di vigilanza sui
contratti pubblici, in vista del recepimento delle direttive europee su appalti e concessioni
approvate dal Parlamento di Strasburgo, lo scorso 15 gennaio.
Per i costruttori i punti di maggiore innovazione delle nuove regole europee riguardano le misure
destinare a favorire la partecipazione delle piccole e medie imprese al mercato degli appalti
pubblici. Tra questi l'obbligo di motivare la mancata suddivisione degli appalti in lotti («punto di
partenza irrinunciabile nella fase di recepimento») e l'abbassamento della soglia di fatturato per la
partecipazione alle gare («un miglioramento che rischia di risultare ancora insufficiente»). Fin qui le
«luci» della nuova direttiva. Per bocca del presidente Paolo Buzzetti i costruttori non hanno
mancato però di sottolineare alcune criticità.
La più importante, dal punto di vista dei costruttori riguarda la nuova disciplina dell'in house «che
rischia di allargare notevolmente le maglie di tale modalità esecutiva», che invece dovrebbe restare
«quale assoluta eccezione nel panorama degli affidamenti pubblici». Perplessità anche sulla
riduzione dei tempi previsti per la presentazione delle offerte (35 giorni rispetto agli attuali 52) e
sul rischio che la scelta di limitare il ricorso al massimo ribasso «si tramuti in una generalizzazione
dell'offerta economicamente più vantaggiosa», che richiede un elevato livello di esperienza delle Pa
e comporta un costo di partecipazione più alto per le Pmi. Una richiesta precisa arriva rispetto alle
misure dirette a tutelare il subappalto con il pagamento diretto dei subaffidatari. In questo caso, ha
precisato Buzzetti, dovrà essere la Pa (e non più l'impresa principale) a controllare l'adempimento
degli obblighi verso i lavoratori «con conseguente interruzione della responsabilità solidale
dell'appaltatore per tali somme». Importante anche la presa di posizione sulle concessioni
autostradali. I costruttori auspicano la revisione di un sistema «contraddistinto dall'assenza di una
effettiva apertura al mercato concorrenziale» chiedendo che in caso di accorpamenti e proroghe
delle concessioni in essere si imponga alle società di affidare con gara il 100% dei lavori «agendo a
tutti gli effetti come un'amministrazione aggiudicatrice».
Da parte sua l'Autorità di vigilanza punta a raccogliere l'occasione delle direttive per riordinare
tutto il sistema degli appalti, bersagliato da una gragnola di correzioni che negli ultimi due anni ha
reso difficile inseguire le novità anche agli addetti ai lavori. Tra le prime proposte, avanzate dal
vicepresidente Sergio Gallo, coordinatore delle attività dell'Authority sul recepimento, «la creazione
di un codice ad hoc per il partenariato pubblico-privato».
(Mauro Salerno, Il Sole 24 Ore- Impresa e Territori, 29 gennaio 2014)
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Autorità: l'impresa non indica i costi di sicurezza aziendale? Esclusione legittima
È pienamente legittima l'esclusione da una gara di un'impresa per omessa indicazione nell'offerta
economica dei costi per la sicurezza da rischio specifico o aziendale. Anche se il bando di gara non
li richiedeva esplicitamente. È quanto ha stabilito l'Autorità di vigilanza sui contratti pubblici nel
parere di precontenzioso n. 147 del 2013, appena pubblicato.
I ricorrenti, nel caso in questione, sostengono l'illegittimità della loro esclusione, dal momento che
il bando «non faceva riferimento alcuno all'obbligo di indicare, tanto meno a pena di esclusione, i
costi della sicurezza da rischio specifico o aziendale». Inoltre, viene sottolineato che, in base al
codice appalti, le cause di esclusione sono tassative e non includono i costi per la sicurezza. Infine,
si lamenta anche «la omessa predisposizione da parte della stazione appaltante di un modello per
la presentazione dell'offerta economica che avrebbe potuto agevolare la formulazione dell'offerta
stessa da parte dei concorrenti».
Per inquadrare la questione l'Autorità parte dagli articoli 86 comma 3-bis e 87 comma 4 del Codice
appalti.Questi stabiliscono, rispettivamente, che: «Nella predisposizione delle gare di appalto e
nella valutazione dell'anomalia delle offerte nelle procedure di affidamento di appalti di lavori
pubblici, di servizi e di forniture, gli enti aggiudicatori sono tenuti a valutare che il valore
economico sia adeguato e sufficiente rispetto al costo del lavoro e al costo relativo alla sicurezza, il
quale deve essere specificamente indicato e risultare congruo rispetto all'entità e alle
caratteristiche dei lavori, dei servizi o delle forniture». E che: «Nella valutazione dell'anomalia la
stazione appaltante tiene conto dei costi relativi alla sicurezza, che devono essere specificamente
indicati nell'offerta e risultare congrui rispetto all'entità e alle caratteristiche dei servizi o delle
forniture». A questo si aggiungono diverse pronunce del Consiglio di Stato, secondo cui «nelle gare
d'appalto l'indicazione degli oneri aziendali per la sicurezza costituisce un adempimento imposto
dalla legge».
Quindi, il combinato disposto degli articoli 86, comma 3-bis e 87, comma 4 «impone ai concorrenti
di segnalare gli oneri economici che intendono sopportare per l'adempimento degli obblighi di
sicurezza sul lavoro». La mancata indicazione di questo elemento comporta l'incompletezza
dell'offerta, anche nel caso in cui non ci sia esplicita indicazione nel bando. A tale proposito il
parere ricorda il principio di tassatività delle clausole di esclusione, enunciato dall'articolo 46,
comma 1-bis del Codice appalti: «La stazione appaltante esclude i candidati o i concorrenti in caso
di mancato adempimento alle prescrizioni previste dal presente codice e dal regolamento e da altre
disposizioni di legge vigenti». Le esclusioni dei concorrenti per omessa indicazione nell'offerta
economica dei costi per la sicurezza da rischio specifico o aziendale sono «legittimamente disposte
in quanto, anche in assenza di un'espressa disposizione della lex specialis di gara, la clausola
escludente deriva direttamente dalla legge».
(Giuseppe Latour, Il Sole 24 ORE - Edilizia e Territorio, 31 gennaio 2014)
Economia, fisco, agevolazioni e incentivi
Modulistica fiscale 2014: i primi modelli definitivi
Sono online i modelli e le relative istruzioni di Cud, 730, 770 Semplificato e Ordinario, Iva e Iva
base. I modelli dichiarativi 2014, che dovranno essere utilizzati in occasione delle prossime
dichiarazioni relative al periodo d’imposta 2013, sono stati approvati con i provvedimenti del
direttore dell’Agenzia delle Entrate del 15 gennaio scorso. Un altro provvedimento della stessa data
dà il via libera anche alle istruzioni aggiornate per la compilazione della comunicazione annuale dei
dati Iva. I modelli confermano la veste grafica e i contenuti già presentati nelle bozze pubblicate a
dicembre 2013, con poche variazioni; diverse, invece, e rilevanti le novità rispetto ai modelli
utilizzati nel 2013, a seguito delle modifiche normative intervenute nel frattempo.
(Agenzia delle Entrate)
Ristrutturazioni, ancora un anno per il bonus 50%, «super-tetto» di 96mila euro
anche nel 2015
Viviamo in un Paese dove il 55,4% delle abitazioni ha più di 40 anni (il 76,2% nelle città
metropolitane): percentuale che secondo elaborazioni e stime del Cresme è destinata a salire nei
prossimi anni, in particolare nelle aree urbane. In questo quadro diventano sempre più strategici gli
interventi di rinnovo e manutenzione degli edifici, che sono comunque cresciuti negli ultimi tempi,
complice l'impatto delle detrazioni fiscali. A dare una spinta agli investimenti è stato in particolare il
maxi-sconto del 50% sugli interventi di recupero del patrimonio edilizio, arrivato a metà 2012 e
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ora ulteriormente prorogato dalla legge di stabilità per tutto il 2014.
C'è allora un altro anno per dar corso a quel progetto di ristrutturazione rimasto nel cassetto e non
perdere il treno della detrazione "maggiorata": la proroga ha confermato d'altra parte
l'eccezionalità di un premio così alto, che infatti nel 2015 scenderà al 40% per poi tornare al 36%,
a regime, dal 1° gennaio 2016. Lo sconto sarà quindi a scalare, e per regolarsi bisogna tener
presente che la detrazione si determina secondo il principio di cassa per le spese sostenute in
ciascun anno: non è perciò importante la data in cui vengono eseguiti i lavori o rilasciata la fattura,
ma solo quella in cui si effettua il pagamento attraverso il bonifico bancario o postale dedicato.
La proroga ha inciso anche sul limite massimo di spesa agevolabile per ogni singola unità
immobiliare, che rimarrà di 96mila euro fino alla fine del 2015 e passerà agli ordinari 48mila euro
dal 2016. Di fatto, significa che l'importo massimo da poter detrarre è di 48mila euro per le spese
sostenute entro il 2014 (50% di 96mila), di 38.400 euro per quelle nel 2015 (40% di 96mila) e di
17.280 euro dal 2016 (36% di 48mila). Un tetto massimo "ideale", beninteso, perché ognuno deve
fare i conti con il proprio reddito e la capienza fiscale, per poter accogliere tutta la detrazione. Il
50% di quanto speso, nel limite consentito, deve essere ripartito in dieci quote annuali di pari
importo ma l'incentivo non può superare l'Ipref dovuta: il calcolo è dunque ancor più opportuno
quando si portano in detrazione altre somme, dalle spese sanitarie agli interessi mutuo, che
abbassano l'imposta. Se nel corso dei dieci anni in cui si spalma l'agevolazione, in un determinato
esercizio, il decimo di quota da detrarre supera l'Irpef da pagare, la parte in eccesso non può
essere rimborsata né rinviata, e va persa.
Manutenzione, ristrutturazione, restauro e risanamento conservativo, ma anche interventi per
prevenire furti e aggressioni, eliminare barriere architettoniche, evitare infortuni domestici,
contenere l'inquinamento acustico, cablare gli edifici, ottenere un risparmio energetico, adottare
misure di sicurezza statica e antisismica, o ripristinare un immobile danneggiato dalle calamità e
dove sia stato dichiarato lo stato di emergenza. La casistica dei lavori agevolati è ampia e in questa
guida, oltre alle novità, sono illustrate anche tutte le informazioni per approfittare del bonus.
Tra l'altro, proprio ieri, l'agenzia delle Entrate, citata dall'Economia nella risposta a un question
time alla commissione Finanze della Camera, ha precisato che, nel caso di demolizione con
ricostruzione di un edificio di uguale sagoma, il bonus spetta anche se la ricostruzione avviene su
un'area di sedime diversa da quella iniziale, purché lo spostamento sia «di lieve entità».
L'iter è stato molto semplificato negli ultimi anni, e il passo fondamentale resta quello del bonifico
"parlante", che dev'essere eseguito dalla stessa persona alla quale sono intestate le fatture:
beneficiario del maxi-sconto è chi sostiene la spesa, sia proprietario o meno (inquilino,
comodatario, usufruttuario) dell'abitazione oggetto dell'intervento (sono incluse anche le spese per
opere su parti comuni dell'edificio).
Oltre al bonus-casa in versione maxi, anche quest'anno rimane viva la detrazione del 50%
sull'acquisto di mobili e grandi elettrodomestici di classe non inferiore alla A+ (A per i forni)
"finalizzati all'arredo dell'immobile oggetto di ristrutturazione". Il limite di spesa agevolabile, da
pagare con bonifico "parlante", carta di credito o bancomat, resta di 10mila euro
(indipendentemente da quanto costa la ristrutturazione), così come la detrazione è ripartita sempre
in dieci anni. Ma ci sono alcune modifiche da tener presente rispetto al bonus-mobili introdotto
l'anno scorso. Si può infatti detrarre il 50% della spesa, se spetta l'agevolazione per uno dei lavori
di recupero del patrimonio edilizio pagati dal 26 giugno 2012 al 31 dicembre 2015: mobili ed
elettrodomestici possono essere cioè comprati prima di pagare i lavori (che però dovranno essere
iniziati).
(Dario Aquaro, Il Sole 24 ORE - Casa24 Plus, 23 gennaio 2014)
Sugli immobili di imprese e professionisti Imu deducibile dal 2013
La deducibilità di una quota dell'Imu dal reddito di impresa e di arti e professioni compete in base
al criterio di cassa ma decorre dall'imposta dovuta per il 2013. Questa precisazione è stata fornita
ieri dall'agenzia delle Entrate a Telefisco 2014.
Il comma 715, articolo 1, della legge 147/2013 ha disposto la deducibilità dell'imposta municipale,
relativa ai fabbricati strumentali, dal reddito di impresa e di arti e professioni nella misura del 20%,
(30% per il periodo di imposta in corso al 31 dicembre 2013). È un'imposta la cui deducibilità
avviene in base al «critico di cassa» (articolo 99 del Tuir). Peraltro l'Imu viene versata a giugno e
dicembre dell'anno per il quale l'imposta è dovuta; quindi, generalmente, il periodo di imposta di
competenza coincide con quello di cassa. Tuttavia può accadere che il contribuente versi nell'anno
successivo l'imposta municipale per errore o dimenticanza, magari regolarizzandola con il
ravvedimento operoso. Potrebbe così accadere che nel 2013 il contribuente abbia versato l'Imu
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relativa al 2012. Secondo l'agenzia delle Entrate il legislatore ha voluto consentire la deducibilità
dell'Imu dal reddito di impresa e di lavoro autonomo a partire dal 2013; pertanto l'Imu relativa agli
anni 2012 e precedenti non è deducibile dal reddito anche se pagata nel 2013. Invece in futuro
sarà possibile dedurre l'Imu dovuta per un certo anno e versata negli anni successivi. Per esempio,
entro il 16 giugno 2014 è consentito versare il conguaglio dell'Imu per il secondo semestre 2013
senza sanzioni e interessi (comma 728, articolo 1, legge 147/2014). Quindi tale imposta, anche se
relativa al 2013, sarà deducibile dal reddito d'impresa e professionale prodotto nel 2014. Il
principio di cassa che guida la deducibilità della quota Imu, dovuta dal 2013, è comune a imprese e
professionisti. L'Agenzia, nelle risposte, ricorda che, essendo l'Imu deducibile nell'anno in cui
avviene il pagamento, anche se tardivo, non è comunque consentita la deduzione di sanzioni e
interessi.
Una seconda risposta riguarda la natura di fabbricato strumentale per i professionisti la cui imposta
municipale è deducibile in quota dal reddito professionale. L'Agenzia ricorda che per i professionisti
(ma anche per le imprese) si considera strumentale l'immobile utilizzato esclusivamente per
l'esercizio dell'arte e professione in base all'articolo 43, comma 2, del Tuir. L'immobile utilizzato
promiscuamente per l'attività professionale e abitativa non consente quindi alcuna deducibilità
dell'Imu dal reddito professionale.
Attenzione: anche un immobile personale del professionista che può essere stato ricevuto, per
esempio, in eredità, consente la deducibilità parziale dell'Imu, alla stessa stregua per la quale non
si dichiara la rendita catastale nel quadro RB.
(Gian Paolo Tosoni, Il Sole 24 ORE, 31 gennaio 2014)
Edilizia e urbanistica
Piano 6.000 Campanili, i Comuni esclusi del click day ora preparano i ricorsi
Il sistema del "click day" con il quale sono stati assegnati i primi 100 milioni a 115 Comuni
esclusivamente sull'orario di arrivo della richiesta fatta attraverso posta elettronica certificata ha
seminato scontento e delusione fra gli esclusi, che sono tanti. A fronte infatti dei 115 vincitori
hanno partecipato 3.600 comuni. L'iniziativa ora rischia di innescare un contenzioso. Anzi per
l'Associazione nazionale piccoli comuni d'Italia (Anpci, sigla diversa dalla ben più nota Anci,
Associazione nazione comuni italiani) non si tratta di una eventualità ma di una certezza.
«È matematico che ci sarà una sarà un ricorso», dice Demetra Setaro, consigliere di Asmel
(organismo di Anpci) ed esperta in informatica. I motivi sono proprio legati alla tecnologia scelta
per ripartire le risorse. «Sui ricorsi abbiamo avuto tanti segnali - prosegue Setaro - e dopo il click
day abbiamo ricevuto moltissime segnalazioni di malfunzionamento tecnico».
Il ritardo anche di una frazione di secondo è stata determinante. Basta leggere la lista dei 115
assegnatari comunicata dal ministero delle Infrastrutture ( link ) per notare che le prime 100
istanze sono arrivate entro i primi 21 secondi. Nelle successive cinque posizioni si trovano Comuni
che sono rientrati nella graduatoria solo grazie a meccanismo previsto dal bando per assicurare un
minimo di equilibrio territoriale nelle richieste.
Che tipi di malfunzionamento ci sono stati? «I Comuni che hanno utilizzato per l'inivio una casella
di posta elettronica certificata fornita direttamente dal governo si sono visti rifiutare la mail»,
riferisce Setaro. «E questo perché nessuno a pensato a inserire la casella destinataria dell'Ancitel
nell'indirizzario della pubblica amministrazione». Infatti, spiega il tecnico, la comunicazione fra le
caselle di posta elettronica pubbliche è possibile solo tra indirizzi mail inclusi nell'Indirizzario.
Diversamente il destinatario rifiuta la ricezione. «Nessun Comune avrebbe lontanamente
immaginato che utilizzando una casella mail del governo sarebbe stato escluso dall'opportunità»,
sottolinea Setaro.
Nel mirino anche i gestori di servizi di provider. «Ci sono stati malfunzionamenti dell'ultim'ora che
hanno impedito l'invio della mail», racconta ancora Setaro. «In questi casi i Comuni stanno
valutando di procedere contro il gestore. Secondo Arturo Manera, presidente dell'Anpci «si sono
registrati notevoli ritardi per quei Comuni che avevano scelto Ancitel (la struttura tecnica dell'Anci,
ndr) come provider di posta certificata: il server Anci si è trovato in sovraccarico penalizzando
proprio i comuni clienti».
Tra i piccoli Comuni che non ce l'hanno fatta l'amarezza è tanta. «Con il progetto "6000 campanili"
non servono competenze, non ci sono libri da studiare, norme da approfondire, strategie da
mettere in campo - ha scritto sconfortata il sindaco del Comune di Appignano del Trento,
Nazzarena Agostini, in una lettera inviata, tra gli altri, al ministro delle Infrastrutture, Maurizio
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Lupi, e al presidente del Consiglio, Enrico Letta -. Questa volta è richiesto un requisito che sfugge
totalmente a qualsiasi logica meritocratica: questa volta conta solo la fortuna, per non usare un
sostantivo sicuramente più efficace ma meno elegante». «Noi quel click lo abbiamo fatto - scrive
ancora il sindaco del comune marchigiano - e davanti alla clessidra di un caricamento infinito siamo
rimasti tramortiti, alla mercé di una tecnologia che restava indifferente alla nostra impotente
disperazione».
Richieste di modifica al meccanismo
Il malcontento trova sponde presso le forze politiche. «La pubblicazione da parte del ministro Lupi
della prima graduatoria del programma 6000 Campanili ha portato in evidenza tutti i limiti dello
strumento, che in commissione il Pd aveva evidenziato senza ricevere riscontri dal ministro», ha
detto Enrico Borghi, capogruppo Pd in commissione Ambiente della Camera. Anche in
considerazione del fatto che sul programma convergeranno ulteriori fondi destinati al programma
nei comuni delle regioni del Sud (grazie alla riprogrammazione di risorse comunitarie) l'esponente
Pd chiede «urgenti correttivi, ad esempio espungendo i comuni delle aree convergenza dalla quota
di finanziamento nazionale, e l'impegno formale del ministro Lupi a porre in atto correttivi e nuovi
stanziamenti al fine di non penalizzare i tanti Comuni esclusi per motivazioni di carattere
indipendenti dalla loro volontà». «Si consideri, inoltre - aggiunge Borghi - che i comuni montani
sono stati penalizzati nella circostanza dalla inadeguatezza delle linee informatiche, condizione che
ha premiato comuni di pianura dotati di banda larga».
I Comuni vincitori e il caso Piemonte
Il realtà, la penalizzazione tecnologica dei comuni montani non trova immediata conferma, se si
guarda alla lista dei comuni vincitori. Infatti, tra i 34 comuni piemontesi che si sono piazzati tra i
primi 115 vincitori ci sono anche piccoli e piccolissimi enti locali in zone montane che hanno
strappato consistenti risorse, se si guarda al rapporto tra fondi assegnati e popolazione di residenti.
I comuni di Fobello e Cervatto (entrambi in provincia di Vercelli), per esempio, che si trovano,
rispettivamente 873 e 1004 metri sul livello del mare hanno ottenuto 995mila euro (Fodello) e
910mila euro (Cervatto). I due comuni risultano avere rispettivamente 219 e 48 residenti. Il
Comune di Frassinetto (Torino) si trova a oltre mille metri, ha 272 residenti e ha ottenuto 996.639
euro. Tutti i tre comuni piemontesi appena citati hanno fatto pervenire la loro lettera elettronica
nello stesso istante: 6 secondi dopo le ore nove. Ma l'elenco dei piccoli comuni montani non è
finito. Ci sono anche Useaux (Torino) e Casteldelfino (Cn). Il primo ente si trova a oltre 1.400 metri
di altezza, ha 185 residenti e ha ottenuto 998.287 euro. Il seconto Comune si trova quasi a 1.300
metri, ha 179 residenti e ha ottenuto 985mila euro.
Salvo diversa spiegazione tecnica, i comuni piemontesi sono risultati semplicemente più veloci a
cliccare. «L'efficienza del nostro sistema è stato superiore», azzarda Claudio Corradino,
vicepresidente dell'Anci Piemonte e sindaco del Comune biellese di Cossato.
Dopo la nutrita pattuglia dei comuni piemontesi si trovano gli enti di Marche e Lombardia (13
Comuni vincitori per ciascuna regione). Seguono Veneto (8), Basilicata e Campania (6), Abruzzo e
Sicilia (5), Calabria, Emilia Romagna e Lazio (3), Trentino, Friuli, Liguria, Molise, Sardegna e
Umbria (2). Con un solo Comune vincitore per le regioni Puglia, Toscana, Valle d'Aosta e la
provincia di Bolzano, che chiude la classifica con il Comune di Marebbe (un altro comune montano).
L'ente locale più veloce in assoluto è stato Pietralunga, che però ha giocato d'anticipo, inviando la
sua mail un secondo prima delle 9. Gli è andata bene perché la tolleranza è stata ammessa in
quanto compatibile con le regole tecniche sulla Pec (contenute nel Dm 2 novembre 2005 del
dipartimento per l'Innovazione della presidenza del Consiglio dei ministri).
La parte prevalente delle richieste accolte (66) ha riguardato il finanziamento di interventi di
manutenzione di opere pubbliche (strade e infrastrutture telematiche), seguite dalle ristrutturazioni
e rifunzionalizzazione di edifici (23 domande), nuove costruzioni di edifici (12), adeguamenti
strutturali (8). Sono infine state finanziate solo sei richieste di interventi di messa in sicurezza del
territorio.
Il nuovi finanziamenti in arrivo
«A fronte del successo di questa iniziativa - riferito il ministro delle Infrastrutture Maurizio Lupi - è
intenzione del Ministero e del Governo destinare nuove risorse al Programma 6000 campanili
durante il 2014 e per il 2015». «A breve - ha annunciato - firmerò un secondo decreto con la
graduatoria dei circa 60 Comuni finanziati con gli ulteriori 50 milioni di euro assegnati al
Programma 6000 Campanili dalla legge di Stabilità. Ci sarà spazio per «circa 60 altri Comuni»
informa il ministero delle Infrastrutture.
(Il Sole 24 ORE - Edilizia e Territorio, 10 gennaio 2014)
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Le ultime proroghe riscrivono la mappa dei piani casa regionali
Con le ultime cinque proroghe dei piani casa regionali, decise con le leggi Finanziarie regionali
approvate negli ultimi giorni dello scorso anno, in tutte le regioni anche per il 2014 sarà possibile
usufruire di aumenti di superfici o volumi per gli interventi di ampliamento o di demolizione con
ricostruzione di abitazioni (e, quasi sempre, anche di edifici non residenziali). Uniche eccezioni:
l'Emilia Romagna, che non rinnovò la propria legge già alla sua prima scadenza nel 2010 e la
Lombardia, dove il piano continuerà a essere operativo per tutto quest'anno limitatamente agli
interventi sul patrimonio di edilizia residenziale sociale, mentre la Regione rinvia alla riforma della
sua normativa urbanistica e di governo del territorio (la legge 12/2005) ogni decisione relativa agli
immobili, residenziali e non, di proprietà dei privati.
Sono stati rinnovati in zona Cesarini, qualche giorno prima della loro scadenza, i piani casa di
Liguria, Campania, Toscana e Molise: tutte regioni precedute di poco dal Veneto. Nel complesso
sono dieci le Regioni che nel 2013 hanno allungato il periodo di vigenza dei loro strumenti di
incentivazione degli interventi edilizi di ampliamento e rigenerazione edilizia; per nessuno di essi si
è trattato della prima proroga.
La mappa del tempo a disposizione per cittadini e imprese segnala che in quasi tutte le regioni la
deadline è fissata al 31 dicembre di quest'anno, ma in Campania la scadenza è fissata ai primi
giorni del 2016 e in Veneto la vita è stata allungata di tre anni e mezzo, fino al 10 maggio 2017.
Quest'ultima, inoltre, è una delle Regioni che oltre a spostare in avanti la scadenza per
l'applicazione del suo piano casa, ha modificato più in profondità anche i suoi contenuti (vedi altro
articolo).
Anche se tutte le Regioni per la determinazione delle percentuali di cui incrementare superfici e
volumi hanno preso a riferimento i contenuti dell'accordo tra Stato, Regioni e Autonomie locali
(intesa del 1° aprile 2009), da cui sono scaturiti gli iniziali piani regionali, la mappa dei bonus
offerti in ognuna di esse risulta molto variegata, sia per gli interventi di ampliamento sia per quelli
di demolizione e ricostruzione.
Il denominatore comune a molte Regioni nella concessione dei premi di ampliamento è che gli
edifici sui quali vengono realizzati gli interventi non devono aumentare più del 20% la loro
superficie o volumetria di partenza. Nei casi in cui rientrano negli ambiti di applicazione dei piani,
questa stessa percentuale è applicata anche agli immobili non residenziali. L'incentivo agli
ampliamenti è particolarmente appetibile in Friuli Venezia Giulia: il premio è del 35% del volume
esistente, senza, tuttavia, superare i 200 metri cubi nel caso di abitazioni e i 1.000 metri cubi per i
capannoni. Anche in Liguria la percentuale massima (+30%) dell'incremento di superficie concessa
è superiore al livello più diffuso nelle altre Regioni, ma si riduce al crescere del volume
dell'immobile oggetto dell'intervento di ampliamento.
Nel caso degli edifici da demolire e ricostruire la quasi totalità delle Regioni si è attestata su un
premio del 35% della superficie o del volume esistente dell'edificio, che è la percentuale sulla
quale, per questo tipo di interventi, fu siglata l'intesa Stato-Regioni. Per questi interventi la
normativa dell'Umbria è una delle più restrittive: gli incrementi di superficie nel caso di edifici
residenziali (interamente o per almeno il 65%) sono ammessi solo nella misura del 25%; inoltre,
se vengono realizzate nuove unità abitative, un terzo dell'incremento di superficie deve essere
destinato ad alloggi di almeno 60 mq., da affittare a canone concordato. Nel complesso una
previsione non molto incentivante.
Tutte le Regioni hanno prestato particolare attenzione alla qualità degli interventi, vincolando la
concessione dei bonus – o il loro incremento – al raggiungimento di standard di prestazioni
energetiche superiori ai livelli di base previsti dalle norme in materia e al ricorso alle tecniche
costruttive della bioedilizia. Per il resto, ogni Regione fa storia a sé, per l'introduzione di vincoli e
criteri ai quali è condizionato il via libera agli interventi, per i titoli costruttivi richiesti, per
l'introduzione di deroghe alle previsioni dei piani regolatori e alle norme di tutela ambientale e
paesaggistica. Differenti sono anche le scelte fatte dalle singole Regioni nel l'individuazione delle
tipologie di immobili che rientrano negli ambiti di applicazione dei piani (residenziali/non
residenziali, data entro la quale dovevano essere già stati realizzati, condonati/non condonati),
delle aree nelle quali non sono possibili né ampliamenti né interventi di rigenerazione edilizia.
Alcune di esse, infine, permettono i cambi di destinazione d'uso urbanistico degli immobili
successivamente alla realizzazione degli interventi.
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Il quadro generale - La mappa delle norme sui piani casa dopo le finanziarie regionali
BASILICATA
L'ultima proroga del piano casa è contenuta nella legge 8 agosto 2013, n. 18. Non sono cambiate
le regole: per ampliamenti bonus del 20% per edifici residenziali e del 35 per demolizione e
ricostruzione.
Scadenza: 31 dicembre 2014
CAMPANIA
Termine per la presentazione delle istanze prorogato da una legge approvata il 30 dicembre 2013,
e non ancora promulgata. Regole invariate: ampliamenti +20% per residenziale e +35% per
demolizione e ricostruzione.
Scadenza: 10 gennaio 2016
LIGURIA
Prorogato dalla legge 23 dicembre 2013, n. 40 il termine per il deposito delle domande. Invariate
le regole: bonus sul residenziale fino a 1.500 mc per gli ampliamenti e aumento del 35% per la
sostituzione edilizia.
Scadenza: 30 giugno 2015
MARCHE
Ultima proroga del termine
per la presentazione delle istanze con la legge 2 agosto 2013, n. 24. Per gli ampliamenti premi del
20% per residenziali e non e del 30% per la sostituzione edilizia.
Scadenza: 31 dicembre 2014
MOLISE
Termine per la presentazione delle istanze prorogato
dalla legge 11 dicembre 2013, n. 24. Identiche le norme: bonus fino al 30% per gli ampliamenti e
50% per la sostituzione edilizia.
Scadenza: 31 dicembre 2015
PIEMONTE
Proroga con la legge 12 agosto 2013, n. 17, senza modifiche. Per gli ampliamenti +20% e per la
demolizione e ricostruzione tra 25% e 35% in base ai livelli energetici. Possibile riposizionare il
fabbricato.
Scadenza: 31 dicembre 2014
PUGLIA
Proroga, senza modifiche, con la legge regionale 7 agosto 2013, n. 26. Il piano non si applica agli
immobili non residenziali e non condonati. Per gli ampliamenti +20% e +35% per la sostituzione
edilizia.
Scadenza: 31 dicembre 2014
SARDEGNA
Termine prorogato con legge regionale 7 ottobre 2013, n.28. Bonus variabili in base alla distanza
dell'intervento dalla battigia. Per gli ampliamenti premi del 20% elevato a 50% per prima casa.
Scadenza: 29 novembre 2014
TOSCANA
Con la legge regionale 24 dicembre 2013, n. 77 proroga di un anno. Bonus del 20% per gli
ampliamenti (residenziali e non); 35% per la sostituzione edilizia. Vietati interventi in deroga ai
Prg.
Scadenza: 31 dicembre 2014
TRENTINO ALTO ADIGE
Provincia di Trento: proroga con delibera n. 2712 del 20 dicembre 2013. Ampliamenti 15%
Scadenza: 31 dicembre 2014
Provincia di Bolzano: Lp 2 gennaio 2010, n. 2. Ampliamenti fino a 200 mc.
Scadenza: mai
VENETO
Proroga lunga e grandi modifiche con la legge 30 novembre 2013, n. 32. Premio di superficie per
ampliamenti tra il 20 e il 50%, con possibilità di corpi separati; per la sostituzione edilizia tra il
70% e l'80%.
Scadenza: 10 maggio 2017
ABRUZZO
Termine per la presentazione delle istanze prorogato dalla legge 15 ottobre 2012, n. 49. Bonus fino
al 20% per gli ampliamenti (max 200 mc) e 35% per la sostituzione edilizia.
Scadenza: 31 dicembre 2014
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CALABRIA
Prorogata con modifiche dalla legge 10 febbraio 2012, n. 7. Bonus fino al 20% per gli ampliamenti
(max 70 mq) e 35% per la sostituzione edilizia. Premi estesi anche agli edifici non residenziali.
Scadenza: 31 dicembre 2014
FRIULI VENEZIA GIULIA
La legge 11 novembre 2009, n. 19 ha disciplinato il piano e stabilito la sua scadenza. Bonus fino al
35% per gli ampliamenti (max 200 mc) e 35% per la sostituzione. Escluse deroghe alle norme sui
beni culturali.
Scadenza: 19 novembre 2014
LAZIO
Slittamento della validità del piano con la legge 6 agosto 2012, n. 12. Bonus fino al 20% per gli
ampliamenti (max 70 mq) e 35% per la sostituzione. Derogabili anche le norme delle convenzioni
urbanistiche.
Scadenza: 31 gennaio 2015
SICILIA
Proroga di due anni con la legge 9 maggio 2012, n. 26. Bonus fino al 20% per gli ampliamenti
(max 200 mc) e 25% (elevabile a 35%) per la sostituzione edilizia con obbligo di ricorrere alla
bioedilizia.
Scadenza: 8 agosto 2014
UMBRIA
Ultima proroga con la legge 14 dicembre 2012, n. 23. Restano inalterati al 25% i bonus per tutti i
tipi di intervento sugli immobili residenziali. Premi maggiori per ampliamenti, demolizioni e
ricostruzioni degli immobili non residenziali.
Scadenza: 31 dicembre 2014
VALLE D'AOSTA
La legge regionale 1° agosto 2011, n. 18 ha reso permanente il piano casa. Bonus fino al 20% per
gli ampliamenti e 35% per la sostituzione edilizia. Premiati gli interventi in programmi integrati.
Scadenza: mai
EMILIA ROMAGNA
La legge regionale 6 luglio 2009, n. 6, per la parte che disciplinava il piano casa, ha cessato la sua
efficacia il 31 dicembre 2010 e non è stata prorogata. Al momento non c'è una disciplina regionale
per ampliamenti e sostituzioni edilizie in deroga.
LOMBARDIA
La proroga stabilita con la legge regionale 13 marzo 2012, n. 4, è scaduta lo scorso 31 dicembre
per gli immobili "privati", intesi come quelli che non siano di edilizia residenziale sociale (per i quali,
invece, il piano scade alla fine del 2014).
(Raffaele Lungarella, Il Sole 24 ORE – Norme e Tributi, 13 gennaio 2014)
Permessi e Dia, la tagliola-decadenza
Il permesso di costruire decade allo scadere dei tre anni dall'inizio dei lavori e ogni lavoro
successivo è realizzato senza titolo. La giurisprudenza su questo è uniforme: da ultimo il Consiglio
di Stato e i giudici di primo grado (sezione IV, sentenze n. 6151/2013 e n. 974/2012 e Tar SiciliaPalermo, n. 1481/2013 Tar Abruzzo-Pescara, n. 61/2013) hanno ribadito che la pronuncia di
decadenza del permesso di costruire per inosservanza del termine annuale di inizio dei lavori e di
quello triennale per il loro completamento, costituisce espressione di un potere strettamente
vincolato e ha natura meramente ricognitiva dei presupposti previsti dalla legge, al verificarsi dei
quali la decadenza opera di diritto.
La finalità della decadenza è sia quella di garantire l'effettiva realizzazione dell'intervento
edificatorio in tempi prestabiliti, sia quella di non vincolare per un periodo indefinito le successive
scelte pianificatorie dei Comuni, che potrebbero mutare le originarie previsioni urbanistiche. Infatti,
il quarto comma dell'articolo 15 del Tu edilizia (Dpr 380/2001), stabilisce che il permesso di
costruire decada con l'entrata in vigore di contrastanti previsioni urbanistiche, a meno che le opere
siano già state avviate e vengano completate entro il termine di tre anni dalla data di inizio.
L'arco temporale di validità del titolo abilitativo è indicato dagli articoli 15, comma 2 e 23, comma 2
del Testo unico, rispettivamente, per il permesso di costruire e per la Dia/Scia.
Nel primo caso le opere vanno iniziate entro un anno dall'effettivo rilascio del titolo - che secondo
la giurisprudenza coincide con la sua materiale consegna all'interessato e non con la semplice
emanazione dell'atto (Tar Sicilia-Palermo, 181/2011; Tar Liguria, 322/2011; Tar Sicilia-Catania
678/2009) - e devono essere completate entro il successivo triennio. Il termine finale di tre anni è
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previsto anche per gli interventi eseguibili con denuncia o segnalazione certificata di inizio attività.
Per gli interventi con permesso di costruire i termini, iniziale e finale, devono essere espressamente
indicati nell'atto, costituiscono condizione di efficacia e validità della concessione ed operano
automaticamente, indipendentemente da un'apposita dichiarazione amministrativa (Tar SiciliaPalermo, 1481/2013).
Da ciò consegue che, salva una loro eventuale proroga, dopo la scadenza dei termini le opere
eventualmente eseguite saranno considerate prive di titolo abilitativo anche in assenza di un
espresso provvedimento di decadenza, con conseguente configurabilità del reato previsto
dall'articolo 44, lett. b) del testo unico (Cassazione penale, sezione III, 17971/2010).
Per favorire il rilancio economico collegato all'edilizia, l'articolo 30, comma 3 del cosiddetto
"decreto del fare" (Dl 69/2012, modificato dalla legge di conversione 98/2013 e poi dal successivo
decreto 91/2013, convertito in legge 112/2013) ha disposto una proroga biennale dei termini di
inizio e di ultimazione dei lavori di cui all'articolo 15 del testo unico, così come indicati nei titoli
rilasciati o comunque formatisi prima dell'entrata in vigore del decreto.
La previsione, in forza del successivo comma 4, trova applicazione anche alle denunce di inizio
attività ed alle segnalazioni certificate di inizio attività presentate entro lo stesso termine.
In entrambi i casi la proroga non opera automaticamente, sia perché l'interessato deve comunicare
all'amministrazione la volontà di avvalersene, sia perché, al momento della comunicazione, deve
sussistere una duplice condizione:
- i titoli abilitativi non devono essere in contrasto con nuovi strumenti urbanistici approvati o
adottati;
- i termini devono essere già trascorsi, non essendo certo possibile prorogare un termine già
scaduto.
A questo fine la «comunicazione dell'interessato», poiché atto recettizio ex articolo 1334 del Codice
civile, spiegherà effetti solo con la ricezione da parte dell'ente destinatario.
La norma proroga di tre anni anche il termine delle autorizzazioni paesaggistiche in corso di
efficacia alla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto; e ciò al fine di
consentire che il maggiore arco temporale concesso per l'esecuzione degli interventi renda gli
stessi compatibili anche con la disciplina in tema di tutela del paesaggio, oltreché con quella
urbanistico-edilizia.
Il comma 3-bis del "decreto del fare" dispone una proroga triennale anche del termine di validità
delle convenzioni di lottizzazione disciplinate dall'articolo28 della legge urbanistica n. 1150/1942,
ovvero degli accordi similari comunque denominati dalla legislazione regionale, nonché dei termini
di inizio e fine lavori delle opere eseguite in attuazione dei medesimi accordi, purché stipulati entro
il 31 dicembre 2012.
Proroga su richiesta per opere complesse
Tra eccezioni e proroghe, la decadenza dei titoli abilitativi può, in realtà, anche essere fermata.
L'articolo 15, comma 2 del testo unico dell'edilizia (Dpr 380/2001) ammette, ad esempio, la
possibilità che i termini di inizio e fine lavori per interventi realizzati da privati possano essere
prorogati con provvedimento motivato dell'amministrazione; ma ciò esclusivamente in
considerazione della mole dell'opera da realizzare o di sue particolari caratteristiche costruttive. In
assenza di proroga - perché non richiesta oppure non concessa - il titolo abilitativo decade
automaticamente per effetto di previsione legislativa, perdendo efficacia per la parte di opere non
eseguite.
Casi particolari
La previsione di carattere generale è però suscettibile di eccezioni, come statuito in due recenti
pronunce, riferite una al termine iniziale e l'altra a quello finale, laddove il ritardo nell'avvio o nella
conclusione degli interventi assentiti, sia dipeso da fattori preesistenti o sopravvenuti e non
conosciuti dal titolare del permesso di costruire e quindi estranei alla sua volontà.
Il Tar Lazio-Roma (sentenza n. 7256/2013), confermando precedenti orientamenti giurisprudenziali
(Consiglio di Stato, sezione III, n. 1870/2013, Sez. V, n. 4498/2008), ha sancito che la semplice
scadenza del termine apposto per l'avvio dei lavori non determina automaticamente la cessazione
di effetti del provvedimento, ma costituisce soltanto il presupposto per l'accertamento della
eventuale decadenza. Quindi è stato ritenuto illegittimo il provvedimento di decadenza del titolo
abilitativo per mancato inizio dei lavori nel termine annuale poiché, dopo appositi accertamenti, era
risultato che il ritardo era stato determinato da una causa di forza maggiore preesistente al rilascio
dell'atto di assenso edificatorio, sconosciuta al titolare del permesso di costruire. Nella fattispecie si
era verificato che, durante l'esecuzione delle opere di sbancamento, era stata riscontrata dagli
operai del cantiere la presenza di condutture interrate per il passaggio del metano e di una
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conduttura elettrica, che andavano necessariamente spostate prima di eseguire l'intervento
edilizio.
Con riferimento al termine finale, il Tar Calabria-Catanzaro (sentenza n. 1008/2013) ha affermato
che l'amministrazione non può adottare un provvedimento di decadenza del permesso di costruire
ogni qualvolta essa sia a conoscenza di eventi che hanno impedito al titolare di eseguire i lavori. In
questa eventualità dovrà trovare applicazione, anche senza richiesta dell'interessato, la proroga del
termine per fatti estranei alla volontà del concessionario, sopravvenuti a rallentare i lavori.
Nel caso di specie, il ritardo era dovuto all'adozione del provvedimento con cui lo stesso Comune
aveva negato l'autorizzazione alla vendita di prodotti non alimentari relativa al chiosco per cui era
stato chiesto il permesso di costruire; diniego poi annullato in sede giurisdizionale. È stata quindi
ritenuta illegittima anche la dichiarazione di decadenza del titolo abilitativo, in quanto la proroga
del termine per la ultimazione dei lavori era stata richiesta per un evento sopravvenuto, estraneo
alla volontà del concessionario, e ben conosciuto dalla amministrazione.
Pur essendo atto a contenuto vincolato, la dichiarazione di decadenza dovrà comunque essere
preceduta dall'avviso di avvio del relativo procedimento, la cui mancanza determina l'illegittimità
del provvedimento finale, come recentemente affermato dal Tar Toscana con la sentenza n. 1714
del 12 dicembre 2013, pur segnalandosi pronunce di segno opposto (Tar Campania-Salerno,
sentenza n. 1690/2013).
(Donato Antonucci, Ilò Sole 24 ORE – Norme e Tributi, 20 gennaio 2014)
Immobili
Silenzio-assenso,
Cil, Scia: più complicata la trascrizione nelle compravendite di
immobili
Il Consiglio nazionale del notariato ha predisposto una guida operativa sulla disciplina nazionale
edilizia che tiene conto delle normative emanate negli ultimi 18 mesi, aggiornando uno studio del
2011.
La scenario dei titoli abilitativi può essere così riassunto relativamente all'attività edilizia:
totalmente libera; libera previa comunicazione inizio lavori (CIL); soggetta a segnalazione
certificata inizio attività (SCIA); soggetta a permesso di costruire e super-DIA.
È appena il caso di ricordare che prima di questo sforzo di "semplificazione", il Testo Unico Edilizia
(TUE) D.P.R. N.380/2001 aveva ridotto a due i titoli abilitativi: permesso di costruire e DIA.
La guida analizza nel dettaglio l'intero procedimento urbanistico-edilizio e le differenze tra i diversi
titoli abilitativi , offrendo anche utili tabelle di sintesi. Conviene, però, soffermarsi su alcuni aspetti
specifici , anche controversi, e in particolare sugli adempimenti che devono essere svolti dai notai
nella predisposizione degli atti relativi alla commercializzazione degli immobili.
LO SPORTELLO UNICO EDILIZIA
Al centro del nuovo processo istruttorio e decisionale vi è lo sportello unico edilizia (SUE) ,
codificato dal D.L. n.83/2012 come unico interlocutore tra la pubblica amministrazione e cittadini,
che costituisce, perciò, l'unico punto di accesso per tutte le vicende amministrative riguardanti il
titolo abilitativo, dalla richiesta al rilascio; ne discende che l'interessato non potrà più rivolgersi
direttamente, ad esempio, alla sovrintendenza per ottenere il parere ,ne' la stessa potrà contattare
direttamente il privato (limitando così la partecipazione al procedimento, che in alcuni casi può
risolvere alcune problematiche progettuali attraverso un'interlocuzione diretta). Nel caso invece di
CIL , l'interessato può richiedere al SUE di provvedere all'acquisizione degli atti di assenso o
richiederli direttamente.
CITARE LA CIL NEGLI ATTI DI VENDITA
All'atto della stipula di un atto avente ad oggetto un immobile sul quale siano stati eseguiti
interventi soggetti a CIL, il notaio dovrà valutare se le opere hanno inciso sul classamento
dell'immobile e se sia necessaria una denuncia di variazione catastale in modo da assicurare la
conformità tra i dati catastali e planimetrici depositati in catasto e lo stato di fatto, a pena di nullità
dell'atto di trasferimento. Si specifica che non vi è l'obbligo di citare gli estremi della CIL negli atti
traslativi, ma ciò è opportuno per avere un quadro completo della storia urbanistico-edilizia
dell'immobile ed al fine di garantire l'acquisto di un immobile conforme alla disciplina urbanisticoedilizia e quindi la qualità del bene oggetto di vendita.
TRASFERIRE IL PERMESSO
Si ricorda, poi,che il permesso di costruire è trasferibile insieme all'immobile ai successori e aventi
causa e non incide sulla titolarità della proprietà o di altri diritti reali relativi agli immobili realizzati
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per effetto del suo rilascio. Pertanto il permesso può essere trasferito insieme all'area, ma
necessita di un atto di voltura che non da luogo ad un nuovo permesso, ma solo ad un cambio di
intestazione.
IL CASO CDEL SILENZIO-ASSENSO
Viene ribadito che il rilascio del permesso di costruire deve avvenire tramite un atto scritto, ma si
forniscono anche indicazioni nel caso si sia formato il silenzio assenso, per cui non esiste un
provvedimento formale da citare nell'atto. Il notaio dovrà indicare i presupposti e gli elementi
costitutivi del silenzio assenso che si è formato, quali: presentazione SUE; pagamento contributo di
costruzione; avvenuto decorso dei termini senza provvedimenti espressi di diniego; mancata
richiesta di integrazione documentale; assenza di vincoli. Questi elementi possono essere fatti
risultare dall'atto nella forma della dichiarazione di parte, non essendo prevista una specifica
attestazione da parte del notaio rogante il quale non è tenuto ad effettuare controlli sulla regolarità
urbanistico-edilizia del procedimento conclusosi con il silenzio assenso, ma solo ad una verifica
puramente formale circa l'esistenza dei presupposti del silenzio assenso ed a ricevere, per
riprodurla in atto, la dichiarazione di parte.
IL CASO DELLA SUPER-DIA
Un'attenzione particolare è dedicata alla c.d. super-DIA per la quale si ribadisce l'obbligo di
menzione nell'atto essendo sostitutiva del permesso di costruire, ma si evidenzia il contrasto
interpretativo circa gli estremi da dichiarare, ossia se sia sufficiente la menzione della denuncia,
ovvero se sia necessaria l'indicazione di tutti gli elementi del procedimento. Lo studio ritiene che
sia sufficiente per la validità dell'atto indicare i soli estremi della denuncia presentata al SUE ( data
di presentazione e numero di protocollo attribuito ovvero estremi della raccomandata e della data
di ricezione o della ricevuta informatica in caso di utilizzazione della procedura informatica). Sarà
invece opportuno, ma non necessario, indicare gli estremi del piano attuativo se previsto e la
dichiarazione che ricorrono le condizioni di legge per avvalersi della super-DIA.
COSA FARE CON LA SCIA
Per gli interventi non più soggetti a DIA semplice, ma a SCIA non è prescritta alcuna menzione a
pena di nullità, anche se la stessa è opportuna, anche in questo caso, per ricostruire la storia
urbanistico-edilizia del fabbricato.
Si sottolinea, altresì, che la violazione della disciplina in materia di SCIA comporta l'applicazione
delle sanzioni amministrative, ma non coinvolge mai la validità dell'atto. In proposito viene
evidenziata l'introduzione di una sanatoria per legge da parte del D.L. n.70/2011 degli abusi
rientranti nel 2% delle misure progettuali.
IL CERTIFICATO DI AGIBILITA'
Si prende anche posizione sul fatto che il rilascio del certificato di agibilità attesta l'idoneità
dell'edificio ad essere utilizzato, ma ciò non toglie che la conformità della costruzione al progetto
edilizio ed agli strumenti urbanistici sia condizione per il rilascio dell'agibilità, in quanto il comune
anche in presenza di agibilità può ordinare il ripristino per violazioni urbanistico-edilizie. Degna di
nota è anche l'affermazione che, per la commerciabilità degli edifici, negli atti comportanti il
trasferimento degli stessi non è necessario che il certificato di agibilità sia stato rilasciato e non è di
conseguenza neppure necessaria la menzione in atto degli estremi dell'agibilità. La mancanza
dell'agibilità , se da un lato non impedisce il trasferimento dell'edificio, dall'altro incide, però, sui
rapporti tra le parti stante le conseguenze che ne possono derivare anche sul piano della risolubilità
del contratto.
(Massimo Ghiloni, Il Sole 24 Ore - Edilizia e Territorio, 27 gennaio 2014)
Pubblica amministrazione
L'ufficio paga sempre il ritardo - Non
conta se il comportamento è dovuto a forza
maggiore o a fattori scusabili
I titolari d'impresa e soprattutto i loro consulenti che sono in attesa della chiusura di un
procedimento amministrativo di cui sono già scaduti i termini possono finalmente presentare
istanza per chiedere un indennizzo economico. Attenzione, però: entro 20 giorni dalla scadenza del
termine dovranno rivolgersi al dirigente dell'amministrazione titolare di potere sostitutivo per
concordare un nuovo termine (pari alla metà del vecchio) per la chiusura della pratica. Se anche
questo termine non viene centrato scatta il pagamento: 30 euro per ogni giorno di ritardo fino a un
massimo di 2mila euro da versare in via forfettaria e automatica.
Sia pure a qualche mese di distanza dal decreto del "fare" (n. 69 del giugno 2013), la firma del
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ministro Gianpiero D'Alia alla direttiva con le linee guida per l'indennizzo da ritardo dà il via alla
piena applicazione una delle misure forse più simboliche dell'ultimo pacchetto di semplificazioni.
La misura, teoricamente già efficace dal 21 agosto scorso, rimarrà in vigore per un periodo di 18
mesi e in fase di prima applicazione varrà solo per i procedimenti amministrativi iniziati su istanza
di parte relativi all'avvio e all'esercizio dell'attività d'impresa. Non si potrà fare richiesta di
indennizzo in caso di scadenza termini per una Dia (denuncia di inizio attività) o una Scia
(segnalazione certificata inizio attività). Questo primo periodo di sperimentazione verrà monitorato
dalla Funzione pubblica con la collaborazione di Regioni, Anci e associazioni di categoria, dopodiché
un successivo regolamento dovrebbe estenderne l'applicazione anche ai cittadini. La direttiva del
ministro, che «Il Sole 24 Ore» è in grado di anticipare, arriva al termine di una campagna
informativa sull'indennizzo da ritardo condotta su radio e tv e dopo che, nei mesi scorsi, tramite la
rete delle Camere di Commercio, sono stati diffusi quattro milioni di opuscoli informativi alle
imprese sulle modalità di attuazione di questa e altre semplificazioni.
Con l'indennizzo si cerca di fare un passo in più nella direzione della deterrenza nei confronti di una
Pa cronicamente incapace di rispettare i tempi per l'adozione delle procedure amministrative
previste, visto che l'introduzione della figura del dirigente titolare del potere sostitutivo, che risale
a due anni fa, da sola non ha determinato una vera riduzione dei tempi di produzione di atti. Nelle
linee guida si chiarisce che l'indennizzo dovrà essere riconosciuto anche in casi di ritardi dovuti a
«comportamenti scusabili» o dovuti a «casi fortuiti» o di «forza maggiore» per le amministrazioni.
In caso di procedimenti complessi a pagare sarà la sola amministrazione responsabile del mancato
rispetto dei termini, e non tutte le altre coinvolte. Altro contenuto importante: il pagamento
dell'indennizzo non farà venir meno l'obbligo delle amministrazioni di concludere il provvedimento
contestato.
Un capitolo a sé è riservato agli obblighi che le amministrazioni dovranno osservare per garantire il
massimo di trasparenza e conoscibilità dei termini e delle modalità con cui esercitare il diritto
all'indennizzo e dell'avvio del procedimento richiesto: informazioni che dovranno essere garantire
sui siti web delle amministrazioni, come previsto dai regolamenti della primavera scorsa sulla Pa
trasparente. L'obbligo di indennizzo per ritardo si applica a tutte le amministrazioni e le società
controllate che producono certificazioni o autorizzazioni e, nel caso non siano previsti termini di
chiusura di un procedimento, per le Pa statali e gli enti nazionale varrà il termine perentorio di 30
giorni. Per procedure particolari potranno essere fissati termini di chiusura anche superiori ai 90
giorni ma mai oltre il limite massimo di 180 giorni.
Infine i rimedi giudiziari nei casi in cui i responsabili delle amministrazioni non rispettino l'obbligo di
fissazione di nuovi termini da rispettare o non procedano al pagamento dell'indennizzo: le imprese
potranno fare ricorso al giudice amministrativo o chiedere un'ingiunzione di pagamento. Ma se il
ricorso venisse giudicato inammissibili o manifestamente infondato allora a pagare saranno i
privati. La somma da riconoscere sarà da due a quattro volte il contributo unificato.
(Davide Colombo, Il Sole 24 ORE – Norme e Tributi, 11 gennaio 2014)
Pagamenti Pa, il 62% è in ritardo
Nel 62% dei contratti pubblici i tempi di pagamento sforano i termini di legge e vanno oltre i 60
giorni, mentre, in un appalto su due l'amministrazione pubblica "suggerisce" all'impresa di
rallentare l'emissione delle fatture, in modo da diluire anche i saldi.
A un anno di distanza dall'arrivo delle nuove regole che impongono pagamenti a 30 giorni (e, solo
in casi eccezionali, fino a un massimo di 60), sono ancora poche le amministrazioni che si sono
allineate e riescono a pagare nei tempi stringenti richiesti dalla direttiva europea e dal decreto
italiano di recepimento (Dlgs 192/2012), in vigore, appunto, per i contratti firmati dal primo
gennaio 2013.
I primi numeri arrivano dal monitoraggio dei costruttori dell'Ance sui lavori pubblici, ma basta
ascoltare anche le altre categorie di fornitori della Pa per capire che il problema è identico e in
alcuni casi anche più diffuso.
La maglia nera resta alla Sanità (225 giorni di ritardo, si veda l'articolo a fianco), mentre in edilizia
i tempi medi di attesa si attestano a 146 giorni (con una prima diminuzione proprio nel 2013). Ben
oltre i due mesi consentiti.
In realtà, a leggere i bandi di gara di questo primo anno, le amministrazioni sembrano essersi
allineate alle nuove regole. Ma, spesso, l'adeguamento si ferma all'avviso pubblico, mentre nel
rapporto diretto con il fornitore si moltiplicano i tentativi di aggiramento dei tempi. Come ha
fotografato l'Ance, si va, appunto, dalla richiesta di dilazione inserita apertamente nel contratto, al
consiglio di scaglionare le fatture (48%) fino al più temibile esito negativo: la rinuncia alla
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commessa, una volta che l'amministrazione ha capito di non riuscire a stare nei tempi (9% dei
casi).
Spesso l'impresa non ha mezzi per difendersi: «Il pagamento degli interessi, per esempio, non è
mai automatico - spiega il presidente Ance, Paolo Buzzetti - e bisogna sobbarcarsi gli oneri di una
richiesta a parte».
Anche nei servizi si registrano prassi elusive. Mentre prima la fatturazione dei servizi aveva spesso
cadenza mensile, molte amministrazioni ora - denuncia la Federazione delle imprese di servizi
(Fise) – tendono a introdurre nei capitolati di appalto clausole che vincolano l'appaltatore ad
emettere le fatture con sistematico differimento rispetto al periodo di esecuzione delle prestazioni:
si parla di tre o quattro mesi. «Con l'effetto paradossale - spiega il segretario Lorenzo Gradi - di
rallentare potenzialmente i tempi anche a chi prima era virtuoso e pagava davvero a 30 o 60
giorni».
Già perché qualche ente in grado di rispettare i patti esiste. Per l'Aniasa, ad esempio (l'associazione
degli autonoleggiatori) «il 50-60% delle amministrazioni è corretto». Ma i ritardi (solo il Comune di
Napoli deve alla categoria 2 milioni e ne ha sbloccati 1,5) hanno spinto l'associazione a dialogare
con Consip e ottenere la possibilità di interrompere il servizio ai morosi (si veda il Sole 24 Ore del
16 dicembre 2013).
Per le aziende di recapito privato, il mercato è diviso in due. Precisa Luca Palermo, alla guida della
Are (associazione recapito espressi): «Al Nord dall'anno scorso i pagamenti a 30, 60 giorni sono
diventati la prassi mentre al Sud purtroppo i ritardi sono ancora la regola». Solo dalle società
partecipate dalla Regione Sicilia i concorrenti di Poste attendono da 18 mesi «diverse decine di
milioni».
A novembre erano stati sanati 16,9 miliardi di debiti arretrati. «In effetti i pagamenti ci sono stati e
anche in tempi brevi» riconosce Buzzetti. «Ma ora ci siamo di nuovo fermati e se non si interviene
a breve rischiamo di trovarci di nuovo con un anno di ritardo».
A distanza di quattro mesi dalla scadenza (5 settembre) non si è ancora concluso il censimento
degli arretrati. Le amministrazioni stanno ancora caricando i debiti pregressi sulla piattaforma di
certificazione dei crediti. Questo ritardo rischia di vanificare anche la nuova possibilità di
compensare i crediti fiscali con i debiti Pa (si veda il Sole 24 Ore del 7 gennaio): senza
registrazione, infatti, il credito è come se non esistesse.
(Valerio Uva, Il Sole 24 ORE, 13 gennaio 2014)
Enti locali, sul taglio ai costi «libertà» di scelta
I tagli ai costi di funzionamento delle istituzioni pubbliche vanno valutati con elasticità. Dunque,
non è tassativo il limite imposto dall'articolo 1, comma 141 della legge 228/2012, secondo cui
questi costi non possono superare il 20% della spesa media sostenuta negli anni 2010 e 2011. Lo
ha deciso la sezione Autonomie della Corte dei conti il 20 dicembre 2013, nella delibera n. 26.
La questione era stata sollevata dal presidente della Provincia di Sondrio, anche per conto delle
altre Province lombarde, alla sezione di controllo regionale competente. Poi è stata decisa dalla
Sezione Autonomie, che ha deciso riconoscendo una ratio comune alla legislazione statale di
coordinamento della finanza pubblica prodotta negli ultimi anni, che ha sancito un obiettivo
irrinunciabile di risparmio da far valere sugli esiti del bilancio della Repubblica.
Ciò, ovviamente, anche in relazione alle autonomie locali, quanto al loro obbligo di ridurre
consistenti percentuali di spesa, intendendo per tali tutte quelle destinate a funzionamento
ordinario degli enti medesimi. Il tutto senza imporre previsioni e/o indicazioni rigide, seppure
ritenendo di dovere incidere maggiormente sulle spese afferenti alle consulenze e collaborazioni,
partecipazioni a convegni, sponsorizzazioni, auto di servizio, mobili e carta.
Di conseguenza, la sezione ha chiarito che ogni disposizione in tal senso è da ritenersi indicativa,
quanto a categorie di costi, fermo restando l'obbligo di riduzione della spesa nel suo complesso. Il
tutto, condividendo la decisione, adottata in sede consultiva, delle Sezioni riunite della Regione
Sicilia (94/2012/Ss.Rr./Par), le quali hanno fatto esplicito rinvio in materia alle sentenze della
Corte Costituzionale numeri 139 del 2012 e 182 del 2011.
Dunque, un tale genere di normativa va letta nel senso di ritenere gli enti territoriali obbligati al
rispetto del tetto complessivo di spesa (il budget) risultante dai coefficienti di riduzione della spesa
per consumi c.d. intermedi, a condizione che lo stanziamento in bilancio sia tale da soddisfare le
necessità derivanti dal corretto esercizio dell'attività strettamente istituzionale.
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Resta, tuttavia, un dubbio sulla effettività e controllabilità delle riduzioni concepite per budget
complessivi e sulle concrete modalità dei tagli selettivi e non lineari, come invece eseguiti sino ad
oggi, da effettuare sulla spesa pubblica. A cominciare da quella, inarrestabile, delle Regioni.
(Ettore Jorio, Il Sole 24 ORE – Quotidiano del Diritto, 14 gennaio 2014)
Rifiuti
Possibili correzioni in corsa sull'imposta unica comunale
Molte le novità in materia di fiscalità locale. In ordine di importanza, dal 2014 debutta la Iuc,
composta dalla vecchia Imu e dai nuovi tributi Tasi sui servizi indivisibili e Tari sui rifiuti, segue lo
slittamento al 24 gennaio 2014 della minirata Imu 2013 sulle prime case e la non applicazione
delle sanzioni per chi ha commesso errori nel calcolo ovvero ritardi nel versamento dell’imposta,
nonché la disciplina dei versamenti errati o in eccedenza a favore dello Stato o di un Comune non
competente. Alla stessa data del 24 gennaio 2014, dovrà essere effettuato il versamento della
maggiorazione standard Tares.
La Iuc. L’imposta unica comunale si basa su due presupposti impositivi: uno costituito dal
possesso di immobili e collegato alla loro natura e valore. Si tratta dell’imposta municipale propria
(Imu), di natura patrimoniale dovuta dal possessore di immobili, escluse le abitazioni principali, di
quelle a essa assimilate, delle relative pertinenze, nonché dei fabbricati rurali non strumentali e
l’altro collegato all’erogazione e alla fruizione di servizi comunali. Tale ultima componente riferita ai
servizi, a sua volta si articola in un tributo per i servizi indivisibili (Tasi) a carico sia del possessore
che dell’utilizzatore dell’immobile e nella tassa sui rifiuti (Tari), destinata a finanziare i costi del
servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti, a carico dell’utilizzatore. In definitiva, la Iuc si
compone di tre tributi: l’Imu, imposta di natura patrimoniale; la Tasi, tributo sui servizi indivisibili
che assorbirà la maggiorazione statale sulla Tares; la Tasi, tassa sui rifiuti che sostituirà i
precedenti prelievi in materia. I soggetti passivi dei tributi sono tenuti a presentare la dichiarazione
relativa alla Iuc entro il termine del 30 giugno dell’anno successivo alla data di inizio del possesso o
della detenzione dei locali e delle aree assoggettabili al tributo. Nel caso di occupazione in comune
di un’unità immobiliare, la dichiarazione può essere presentata anche da uno solo degli occupanti.
La dichiarazione, redatta su modello messo a disposizione dal Comune, ha effetto anche per gli
anni successivi sempreché non si verifichino modificazioni dei dati dichiarati da cui consegua un
diverso ammontare del tributo; in tal caso, la dichiarazione va presentata entro il 30 giugno
dell’anno successivo a quello in cui sono intervenute le predette modificazioni. Al fine di acquisire le
informazioni riguardanti la toponomastica e la numerazione civica interna ed esterna di ciascun
Comune nella dichiarazione delle unità immobiliari a destinazione ordinaria devono essere
obbligatoriamente indicati i dati catastali. Il Comune è tenuto a determinare la disciplina per
l’applicazione della Iuc con regolamento, da adottarsi ai sensi dell’articolo 52 del Dlgs 446/1997,
concernente tra l’altro:
a. per quanto riguarda la Tari, i criteri di determinazione delle tariffe, la classificazione delle
categorie di attività con omogenea potenzialità di produzione di rifiuti, la disciplina delle riduzioni
tariffarie, la disciplina delle eventuali riduzioni ed esenzioni, che tengano conto, altresì, della
capacità contributiva della famiglia, anche attraverso l’applicazione dell’Isee, l’individuazione di
categorie di attività produttive di rifiuti speciali alle quali applicare, nell’obiettiva difficoltà di
delimitare le superfici ove tali rifiuti si formano, percentuali di riduzione rispetto all’intera superficie
su cui l’attività viene svolta;
b. per quanto riguarda la Tasi, la disciplina delle riduzioni, che tengano conto, altresì, della
capacità contributiva della famiglia, anche attraverso l’applicazione dell’Isee e l’individuazione dei
servizi indivisibili e l’indicazione analitica, per ciascuno di tali servizi, dei relativi costi alla cui
copertura la Tasi è diretta.
Il consiglio comunale deve, altresì, approvare, entro il termine fissato da norme statali per
l’approvazione del bilancio di previsione, le tariffe della Tari e le aliquote della Tasi. La Iuc è
applicata e riscossa dal Comune, fatta eccezione per la tariffa corrispettiva che è applicata e
riscossa dal soggetto affidatario del servizio di gestione dei rifiuti urbani. Ai fini della gestione e
controllo del tributo, il Comune designa il funzionario responsabile a cui sono attribuiti tutti i poteri
per l’esercizio di ogni attività organizzativa, compreso quello di sottoscrivere i provvedimenti
afferenti a tali attività, nonché la rappresentanza in giudizio per le controversie relative al tributo
stesso. Ai fini della verifica del corretto assolvimento degli obblighi tributari, il funzionario
responsabile può inviare questionari al contribuente, richiedere dati e notizie a uffici pubblici ovvero
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a enti di gestione di servizi pubblici, in esenzione da spese e diritti e disporre l’accesso ai locali ed
aree assoggettabili a tributo, mediante personale debitamente autorizzato e con preavviso di
almeno sette giorni. In caso di mancata collaborazione del contribuente o altro impedimento alla di
retta rilevazione, l’accertamento può essere effettuato in base a presunzioni semplici di cui
all’articolo 2729 del Codice civile. In caso di omesso o insufficiente versamento della Iuc risultante
dalla dichiarazione, si applica l’articolo 13 del Dlgs 471/1997, mentre in caso di omessa
presentazione della dichiarazione, si applica la sanzione dal 100 al 200% del tributo non versato,
con un minimo di 50 euro. In caso di infedele dichiarazione, infine, si applica la sanzione dal 50 al
100% del tributo non versato, con un minimo di 50 euro, mentre in caso di mancata, incompleta o
infedele risposta al questionario diretto a richiedere dai e notizie, entro il termine di 60 giorni dalla
notifica dello stesso, si applica la sanzione da 100 a 500 euro. Tranne che per l’omesso o parziale
versamento, tutte le sanzioni sopra descritte sono ridotte a un terzo se, entro il termine per la
proposizione del ricorso, interviene acquiescenza del contribuente, con pagamento del tributo, se
dovuto, della sanzione e degli interessi. Resta salva la facoltà del Comune di deliberare con il
regolamento circostanze attenuanti o esimenti nel rispetto dei principi stabiliti dalla normativa
statale. Per tutto quanto non previsto dalle disposizioni dei precedenti commi concernenti la Iuc, si
applicano le disposizioni di cui all’articolo 1, commi da 161 a 170, della legge 296/2005. Resta
ferma, altresì, l’applicazione dell’articolo 52 del Dlgs 446/1997. L’istituzione della Iuc, infine, lascia
salva la disciplina per l’applicazione dell’Imu.
La determinazione del corrispettivo delle aree cedute in proprietà dal Comune. Il comma
392 modifica la disciplina della determinazione del corrispettivo delle aree cedute in proprietà da
parte del Comune, al fine di prevedere che l’ente, su parere del proprio ufficio tecnico, fissi tale
corrispettivo in misura pari al 60% (percentuale già prevista dalla normativa vigente) di quello
determinato attraverso il valore venale del bene, con facoltà per il Comune di abbattere tale valore
fino al 50 per cento. La disposizione novella il comma 48, dell’articolo 31, della legge 448/1998,
nella parte in cui fa riferimento all’articolo 5-bis, comma 1, del Dl 333/1992 (dichiarato illegittimo
con la sentenza della Corte costituzionale 348/07 e illegittimi, in via consequenziale, anche i commi
1 e 2 dell’articolo 37 del Dpr 327/2001 relativamente alle modalità di calcolo dell’indennità di
espropriazione). Resta, comunque, non modificata la restante parte della disposizione che fa
riferimento alla determinazione del corrispettivo al netto degli oneri di concessione del diritto di
superficie.
La destinazione dei proventi dei servizi di parcheggio. Il comma 451 consente la
destinazione dei proventi dei parcheggi a pagamento spettanti agli enti proprietari delle strade
anche a interventi per il finanziamento del trasporto pubblico locale, attraverso una modifica
dell’articolo 7 del Codice della strada. Si tratta, in particolare, dei proventi eccedenti la quota già
finalizzata alla costruzione di nuovi parcheggi, destinati, in base alla norma vigente, a interventi
per la mobilità urbana.
Sospensione degli adempimenti e dei versamenti per l’isola di Lampedusa. I commi da 612
a 615 contengono le disposizioni che prorogano al 31 dicembre 2013 la sospensione, per i residenti
nell’isola di Lampedusa, degli adempimenti e versamenti dei tributi, nonché dei contributi
previdenziali e assistenziali e dei premi per l’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni e le
malattie professionali, in relazione all’eccezionale afflusso di cittadini appartenenti ai Paesi del Nord
Africa. I versamenti dei tributi sospesi devono essere effettuati entro la prima scadenza utile
successiva al 31 dicembre 2013, in unica soluzione, maggiorati degli interessi computati dal 31
dicembre 2013 e fino alla data di versamento. È possibile presentare istanza di dilazione all’Agenzia
delle entrate, secondo le regole generali, senza applicazione di sanzioni, a cui si aggiungono gli
interessi di dilazione nella misura vigente alla data di presentazione della domanda.
(Claudio Carbone, Il Sole 24 ORE – Guida Normativa, 13 gennaio 2014, n.6)
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Legge e prassi
(G.U. 31 gennaio 2014, n. 25)
Economia, fisco, agevolazioni e incentivi
DECRETO DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI 5 dicembre 2013, n. 159
Regolamento concernente la revisione delle modalita' di determinazione e i campi di applicazione
dell'Indicatore della situazione economica equivalente (ISEE).
(G.U. 24 gennaio 2013, n. 19)
Contenuto
La pubblicazione in Gazzetta mette in pista il nuovo Isee
Con il Dpcm 5 dicembre 2013, ma pubblicato soltanto sulla "Gazzetta Ufficiale" del 24 gennaio
2014 n. 19, è stato adottato il nuovo regolamento con il quale sono state revisionate le modalità di
determinazione e i campi di applicazione dell’Indicatore della situazione economica equivalente
(Isee). Tale revisione si è resa necessaria per dare attuazione alle previsioni contenute nell’articolo
5 del Dl 201/2011 convertito dalla legge 214/2011 e del Dl 95/2012 convertito dalla legge
135/2012. In particolare tale ultima disposizione da un lato (articolo 23, comma 12-bis) dispone
l’abrogazione del previgente regolamento Isee (Dpcm 221/1999) entro 30 giorni dall’approvazione
del nuovo modello di dichiarazione sostitutiva e dall’altro (articolo 23, comma 12-ter) prevede che
le informazioni comunicate ai sensi dell’articolo 7, comma 6, del Dpr 605/1973 (Anagrafe rapporti)
e del comma 2 dell’articolo 11 del Dl 201/2011 (comunicazioni integrative all’Anagrafe dei rapporti
utili ai fini della formazione delle liste selettive dei soggetti da sottoporre ad accertamenti fiscali)
siano utilizzate dai cittadini ai fini della semplificazione degli adempimenti ai fini della compilazione
della dichiarazione sostitutiva unica e in sede di controllo sulla veridicità dei dati dichiarati nella
stessa dichiarazione sostitutiva unica.
L’articolo 2 del Dpcm chiarisce che l’Isee è lo strumento di valutazione, attraverso criteri unificati,
della situazione economica di coloro che richiedono prestazioni sociali agevolate, anche ai fini di
stabilire se e in che misura il cittadino deve partecipare alle prestazioni sociali agevolate. In
aggiunta all’Isee, gli enti erogatori possono prevedere ulteriori criteri di selezione volti a identificare
specifiche platee di beneficiari in relazione a tipologie di prestazioni che per la loro natura lo
rendano necessario e se non diversamente disciplinato in sede di definizione dei livelli essenziali
relativi alle medesime tipologie di prestazioni.
Le caratteristiche del nuovo strumento. La situazione economica viene misurata in funzione di
tre fattori: 1) il reddito di tutti i componenti del nucleo familiare; 2) il loro patrimonio (valorizzato
al 20%); 3) una scale di equivalenza che tiene conto della composizione del nucleo familiare della
sua composizione.
Come chiarito dallo stesso ministro del Lavoro e delle Politiche sociali, iI nuovo Isee:
– considera tutte le forme di reddito, comprese quelle fiscalmente esenti;
– migliora la capacità selettiva dando un peso più adeguato alla componente patrimoniale;
– considera le caratteristiche dei nuclei con carichi gravosi, come le famiglie con 3 o più figli e
quelle con persone con disabilità;
– consente una differenziazione dell’indicatore in riferimento al tipo di prestazione richiesta;
– riduce l’area dell’autodichiarazione, consentendo di rafforzare i controlli per ridurre le situazioni di
accesso indebito alle prestazioni agevolate.
L’Isee deve essere obbligatoriamente utilizzato dagli enti erogatori (Comuni, università) in sede di
erogazione delle prestazioni. Tale strumento non va però esteso a prestazioni nazionali che non lo
utilizzavano in precedenza.
Sono previsti Isee differenziati con riguardo alle prestazioni agevolate di natura socio sanitaria, alle
prestazioni agevolate rivolte a minorenni, in presenza di genitori non conviventi ed alle prestazioni
di diritto allo studio.
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Il cittadino può richiedere l’applicazione di un “Isee corrente” calcolato con riferimento a un periodo
di tempo più ravvicinato al momento della richiesta della prestazione al ricorrere di determinate
condizioni (articolo 9 del regolamento), quali la risoluzione del rapporto di lavoro dipendente.
Per le prestazioni sociali a livello locale, l’individuazione delle nuove soglie avverrà con regolamento
degli enti erogatori, mentre per quelle nazionali che già utilizzano l’Isee (assegno di maternità per
le madri non lavoratrici e assegno ai nuclei familiari con almeno tre figli minori) le nuove soglie
vengono fissate già nel regolamento.
I controlli. Al fine di evitare abusi da parte dei cittadini è prevista una intensificazione dei
controlli. Sul patrimonio mobiliare (danaro) è previsto un controllo preventivo per scovare
l’esistenza dei conti non dichiarati e un controllo successivo mediante controlli sostanziali della
Guardia di finanza su cittadini inclusi in specifiche liste selettive.
A fronte della suddetta intensificazione dei controlli è previsto un snellimento della burocrazia.
Infatti, solo una parte dei dati dovrà essere autocertificata dal richiedente. I dati fiscali più
importanti e quelli relativi alle prestazioni erogate dall’Inps saranno integrati a cura
dell’amministrazione.
La dichiarazione sostitutiva unica. Per richiedere le prestazioni per le quali è previsto l’Isee i
cittadini devono presentare la dichiarazione sostitutiva unica (Dsu). Tale dichiarazione ha validità
dal momento della presentazione al 15 gennaio dell’anno successivo, salvo la facoltà di presentare
una nuova dichiarazione per far rilevare i mutamenti delle condizioni familiari ed economiche del
proprio nucleo familiare. La Dsu ha carattere modulare e si compone di un modello base relativo al
nucleo familiare e a fogli relativi ai singoli componenti. Sono altresì previsti dei moduli aggiuntivi
(nei casi previsti), dei moduli sostitutivi per l’Isee corrente e dei moduli integrativi nel caso in cui
siano mutate le condizioni. La dichiarazione deve essere presentata ai comuni ovvero ai Caf
dipendenti o direttamente all’amministrazione pubblica in qualità di ente erogatore al quale è
richiesta la prima prestazione o alla sede dell’Inps competente per territorio. All’Inps la richiesta
potrà essere presentata anche telematicamente appena saranno rese disponibili le modalità.
(Giovanni Rennella, Il Sole 24 ORE – guida Normativa, 30 gennaio 2014)
DECRETO-LEGGE 28 gennaio 2014, n. 4
Disposizioni urgenti in materia di emersione e rientro di capitali detenuti all'estero, nonche' altre
disposizioni urgenti in materia tributaria e contributiva e di rinvio di termini relativi ad adempimenti
tributari e contributivi.
(G.U. 29 gennaio 2013, n. 23)
Contenuto
Pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 29 gennaio 2014 n. 23 il Dl 29 gennaio 2014 n. 4 contenente
disposizioni in materia di rinvio di termini relativi ad adempimenti tributari e contributivi. Non è
previsto l’anonimato e dunque ciò consente l’emersione di capitali detenuti all’estero e l’eventuale
rientro. Le disposizioni prevedono che le imposte vengano pagate per intero con un meccanismo di
diversificate riduzioni delle relative sanzioni. Per quanto riguarda le norme penali, il provvedimento
prevede che vengano meno i reati di infedele dichiarazione mentre per altre ipotesi di reato è
prevista una attenuazione del carico penale.
L’approvazione delle norme sulla “voluntary disclosure”, inoltre, non avrà effetti sul fronte delle
sanzioni e dei presidi previsti in materia di contrasto del riciclaggio e di finanziamento al
terrorismo.
Regolarizzazioni dei capitali detenuti all’estero: la norma sulla cosiddetta “voluntary
disclosure” riguarda la regolarizzazione di capitali non dichiarati detenuti all’estero e avviene
attraverso una richiesta spontanea del contribuente. Non è un condono.
Soggetti interessati: sono le persone fisiche e i soci di società di persone che non hanno dichiarato
redditi di capitale percepiti all’estero.
Presentazione della domanda: la richiesta di ammissione deve essere presentata entro il 30
settembre 2015.
Procedura di collaborazione volontaria: Al momento della richiesta il contribuente è tenuto ad
esibire la documentazione completa su investimenti e attività finanziarie costituiti o detenuti
all’estero, anche indirettamente o per interposta persona, su come si sono costituiti e sui guadagni
realizzati negli ultimi 10 anni in termini di interessi, dividendi, plusvalenze. Sono regolarizzabili le
posizioni fino al 31/12/2013. La collaborazione volontaria deve riguardare tutti i periodi di imposta
per i quali non siano scaduti i termini per l’accertamento alla data della presentazione della
richiesta. La disclosure non è ammessa se la richiesta viene presentata dopo che il contribuente è
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già stato interessato da una verifica o una ispezione fiscale. È previsto un contraddittorio
individuale con l’Agenzia delle Entrate per individuare, caso per caso, le imposte dovute per intero.
Sanzioni: è prevista una riduzione delle sanzioni amministrative. Per la semplice regolarizzazione la
sanzione è ridotta di un quarto. La sanzione si riduce fino alla metà se il contribuente trasferisce i
capitali in Italia o in un altro Paese dell’Unione europea o in Stati aderenti all’accordo sullo spazio
economico europeo che consentono un effettivo scambio di informazioni, oppure se si rilascia
all’intermediario estero l’autorizzazione a trasmettere le informazioni al fisco italiano. Inoltre, chi
partecipa alla regolarizzazione spontanea non sarà perseguibile per omessa o infedele
dichiarazione. Per i comportamenti fraudolenti (fatture o dichiarazioni false o altri artifici) la pena è
ridotta fino alla metà.
Versamento: è previsto in un’unica soluzione. La procedura di collaborazione volontaria si chiude
con l’avvenuto versamento.
Il decreto inoltre interviene su altre tre materie:
Detrazioni Irpef: vengono abrogati i commi 575 e 576 dell'articolo 1 della legge di stabilità per il
2014 che prevedevano l’aumento del gettito IRPEF in virtù di un taglio delle detrazioni. Le
coperture per il mancato gettito verranno dall'incremento degli obiettivi minimi della revisione della
spesa già contemplati nella legge di stabilità.
Sgravi fiscali per le imprese: per consentire a tutte le imprese di beneficiare nel corso dell'anno
2014 della riduzione dei contributi INAIL previsti nella legge di stabilità per il 2014, per un valore
complessivo di un miliardo di euro, viene differito dal 16 febbraio 2014 al16 maggio 2014 il termine
per il pagamento e l'invio telematico delle denunce nonché dei premi speciali. Il differimento si
applica anche ai premi speciali, diversi dai premi speciali unitari artigiani, di cui all'articolo 42 del
DPR 1124/1965.
Zone terremotate colpite da alluvione Modena: nei Comuni nella provincia di Modena colpiti
dall’alluvione di 17 gennaio 2014 e già colpiti dal sisma del 2012, sono sospesi i termini dei
versamenti e adempimenti tributari nel periodo compreso tra il 17 gennaio e il 31 luglio 2014.
Concessioni governative dovuta la tassa di concessioni governative sui telefoni cellulari.
(Il Sole 24 ORE – Guida Normativa, 31 gennaio 2014)
LEGGE 29 gennaio 2014, n. 5
Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 30 novembre 2013, n. 133, recante
disposizioni urgenti concernenti l'IMU, l'alienazione di immobili pubblici e la Banca d'Italia. (G.U. 29
gennaio 2013, n. 23, Suppl. Ordinario n. 9)
Contenuto
Le principali misure contenute nel provvedimento sono l'abolizione della seconda rata Imu,
sostituita dalla mini-Imu, l'aumento di capitale della Banca d'Italia, l'incremento degli acconti Ires e
Irap e gli interventi per agevolare la dismissione degli immobili.
Imu: Viene abolita la seconda rata Imu del 2013, sulle abitazioni principali. I proprietari dovranno
pagare una mini-rata, pari al 40% degli incrementi di imposta stabiliti nell'anno dagli enti locali,
con scadenza al 24
gennaio. Per il 2013 vengono stanziate risorse pari a 2,2 mld per i comuni, per compensare il
minor gettito Imu. Con il provvedimento vengono erogati 1,8 mld mentre la quota restante sara'
autorizzata con un decreto del Mef. Non sono applicati sanzioni e interessi nel caso di insufficiente
versamento della seconda rata, dovuta per il 2013, qualora la differenza sia stata versata entro il
termine del 24 gennaio 2014.
Bankitalia: Viene autorizzato l'aumento di capitale, mediante utilizzo delle riserve statuarie,
all'importo di 7,5 mld di euro. Le quote nominativa, fissate a 20.000 euro dal decreto legge uscito
da palazzo Chigi, nel passaggio a palazzo madama sono state aumentate a 25.000 euro. Ciascun
partecipante non puo' possedere una quota di capitale superiore al 3% (nel provvedimento uscito
da palazzo Chigi la quota era fissata al 5%). Le categorie di investitori che possono acquistare le
quote sono: banche e imprese di assicurazione che hanno sede all'interno dell'Ue, fondazioni
bancarie, enti ed istituti di previdenza e assicurazione con sede in Italia e fondi pensione.
Immobili: Per rendere piu' appetibile la dismissione degli immobili pubblici concesso agli
acquirenti di sanare le irregolarita', successivamente al trasferimento dello stabile. Con un
emendamento approvato da palazzo Madama viene stabilito che siano i ministeri dei Beni culturali
e dell'Ambiente a individuare gli immobili che dovranno essere esclusi dalle dismissioni.
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Acconti ires e irap: L'acconto Ires e Irap vengono portati al 128,5% (dal 101%), nell'anno
d'imposta 2013, per gli enti creditizi, finanziari, assicurativi e per Bankitalia. Un decreto del
ministero dell'Economia ha incrementato gli acconti di un altro 1,5% portando il totale dell'acconto
al 130%. Nel 2014 tutti i soggetti Ires calcolano l'acconto Ires in misura pari al 101,5%. Ma i
soggetti interessati dal maxi-acconto dello scorso anno, dovranno aggiungere 8,5 punti percentuali.
Con un provvedimento dell'Agenzia delle dogane e dei Monopoli, da adottare entro il 31 dicembre
di quest'anno, sara' disposto un ulteriore aumento delle accise sui carburanti, che scattera' nel
2015.
(Il Sole 24 ORE – Guida Normativa, 31 gennaio 2014)
Immobili
MINISTERO DELL'ECONOMIA E DELLE FINANZE
DECRETO 20 dicembre 2013
Dismissione di immobili di enti territoriali ai sensi dell'art. 11-quinquies del decreto-legge 30
settembre 2005, n. 203, convertito con modificazioni dalla legge 2 dicembre 2005, n. 248, come
modificato dall'art. 3 del decreto-legge 30 novembre 2013, n. 133
(G.U. 3 gennaio 2014, n. 2)
MINISTERO DELL'ECONOMIA E DELLE FINANZE
DECRETO 23 dicembre 2013
Dismissione di immobili del Demanio ai sensi dell'articolo 11-quinquies del decreto-legge 30
settembre 2005, n. 203, convertito, con modificazioni, dalla legge 2 dicembre 2005, n. 248, e
successive modifiche ed integrazioni
(G.U. 3 gennaio 2014, n. 2)
AGENZIA DELLE ENTRATE
PROVVEDIMENTO DELL'AGENZIA DELLE ENTRATE 3 GENNAIO 2014
Estensione delle modalità di versamento di cui all’articolo 17, del decreto legislativo 9 luglio 1997,
n. 241, alle somme dovute in relazione alla registrazione dei contratti di locazione e affitto di beni
immobili
Contenuto
Dal 1° febbraio F24 Elide per i contratti di locazione
Dal prossimo 1° febbraio potrà essere utilizzato il modello “F24 Versamenti con elementi
identificativi”, cosiddetto “F24 Elide”, per pagare le imposte dovute per la registrazione dei
contratti di locazione e di affitto di beni immobili. È quanto stabilisce il provvedimento del direttore
dell’Agenzia delle entrate 3 gennaio 2014.
Percorso di unificazione dei pagamenti iniziato nel 1997. L’articolo 17 del Dlgs 241/1997
stabilisce che i contribuenti eseguono versamenti unitari delle imposte, dei contributi dovuti all'Inps
e delle altre somme a favore dello Stato, delle Regioni e degli enti previdenziali, con eventuale
compensazione dei crediti, dello stesso periodo, nei confronti dei medesimi soggetti.
Il comma 2 individua quali sono i crediti e i debiti per i quali può essere utilizzato il modello di
versamento unitario e la compensazione. L’articolo 83, comma 1, della legge 342/2000,
sostituendo la lettera h-ter) di tale comma 2, ha previsto che versamenti unitari e compensazioni
possono riguardare anche altre entrate individuate con decreto del ministro delle Finanze, di
concerto con il ministro del Tesoro, del bilancio e della programmazione economica, e con i ministri
competenti per settore. Così, con il decreto Mef 8 novembre 2011 sono state estese le modalità di
versamento unitario, tra l’altro, all’imposta di registro e all’imposta di bollo. Peraltro, tale decreto
ha stabilito che le modalità e i termini di versamento per tali nuove imposte sarebbero state
determinate, anche progressivamente, con appositi provvedimenti del direttore dell’Agenzia delle
entrate.
Registro, bollo e tributi speciali nel nuovo modello. Al fine di razionalizzare le modalità dei
versamenti delle imposte e di garantire una maggiore efficienza del sistema, con il provvedimento
direttoriale in esame, quindi, è stato esteso l’utilizzo del modello F24 Elide al versamento
dell’imposta di registro, tributi speciali e compensi, imposta di bollo, nonché relative sanzioni e
interessi, connesse alla registrazione di contratti di locazione e affitto di beni immobili. Il modello,
approvato con provvedimento direttoriale 7 agosto 2009, è “scaricabile” dal sito internet
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dell’Agenzia delle entrate e potrà essere reperito, a partire dal 1° aprile 2014, anche presso gli
sportelli bancari, postali e degli agenti della riscossione.
F24 Elide obbligatorio dal 1° gennaio 2015. Per quanto concerne il timing dell’operazione,
l’F24 Elide potrà essere già utilizzato dal prossimo 1° febbraio, ma sino alla fine di quest’anno
convivrà con il modello F23 attualmente utilizzato per tale tipologia di versamenti e che, quindi,
continuerà a essere accettato e utilizzabile sino al 31 dicembre 2014. A partire dal 1° gennaio
2015, invece, tali versamenti potranno essere effettuati soltanto mediante modello F24 Elide. In
ogni caso, i pagamenti dovuti a seguito di atto emesso dall’ufficio dell’Agenzia delle entrate
dovranno sempre essere effettuati con il modello allegato all’atto o in esso indicato.
Pagamento allo sportello solo per i non titolari di partita Iva. Il versamento mediante
modello F24 Elide, ai sensi dell’articolo 37, comma 49, del Dl 223/2006, dovrà essere effettuato
esclusivamente mediante modalità telematiche per i titolari di partita Iva: a tal fine, potranno
essere utilizzati i canali telematici dell’Agenzia delle entrate, Entratel ovvero Fisconline, oppure i
servizi online degli istituti di credito e delle Poste. I soggetti non titolari di partita Iva, invece,
potranno presentare il modello in versione cartacea a uno sportello bancario o postale o dell’agente
della riscossione, per il pagamento in contanti, con addebito in conto corrente, con bancomat,
postamat eccetera.
Codici tributo ancora da definire. La caratteristica del modello F24 Elide è che, oltre a
presentare gli abituali campi recanti il codice ufficio e il codice atto, reca anche una serie di spazi
riservati all’indicazione della tipologia di versamento per la quale è richiesta la specificazione di
particolari elementi identificativi, nonché, appunto, i campi in cui inserire detti elementi
identificativi. Al momento non è ancora dato sapere come verrà utilizzato il modello per il
versamento di imposta di registro, bollo, tributi speciali ed eventuali sanzioni e interessi relativi alla
registrazione di contratti di locazione, atteso che i codici tributo e le istruzioni per la compilazione
del modello verranno approvati con un futuro provvedimento direttoriale. Si ricorda, infine, che
attualmente il modello F24 Elide è già utilizzato per il versamento dell’Iva ai fini
dell’immatricolazione o successiva voltura di veicoli oggetto di acquisto intracomunitario ex articolo
1, comma 9, del Dl 262/2006.
(Alessandro Borgoglio, Il Sole 24 ORE – Guida Normativa, 15 gennaio 2014, n. 8)
AGENZIA DELLE ENTRATE
PROVVEDIMENTO DELL'AGENZIA DELLE ENTRATE 10 GENNAIO 2014
Approvazione del modello per la «Richiesta di registrazione e adempimenti successivi - contratti di
locazione e affitto di immobili» (modello RLI), delle relative istruzioni e delle specifiche tecniche per
la trasmissione telematica. Modalità di revoca del regime della cedolare secca per i contratti di
locazione di immobili ad uso abitativo
Contenuto
Debutta il 3 febbraio il Rli per registrare le locazioni
Con il provvedimento dell’Agenzia delle entrate 10 gennaio 2014 è intervenuta in materia di
contratti di locazione approvando un nuovo modello "Richiesta di registrazione e adempimenti
successivi - Contratti di locazione e affitto di immobili”, denominato "RLI", che i contribuenti
potranno utilizzare, dal prossimo 3 febbraio 2014, «per richiedere la registrazione dei contratti di
locazione e affitto di beni immobili ed eventuali proroghe, cessioni e risoluzioni, nonché per
l’esercizio dell’opzione o della revoca della cedolare secca».
Il nuovo modello “Rli”, reso disponibile gratuitamente in formato elettronico sul sito dell’Agenzia
delle entrate, sostituisce il modello 69, approvato con il provvedimento dell’Agenzia delle entrate 7
aprile 2011, esclusivamente per l’esecuzione dei seguenti adempimenti:
– richiesta di registrazione dei contratti di locazione e affitto di beni immobili;
– proroghe, cessioni e risoluzioni dei contratti di locazione e affitto di beni immobili;
– comunicazione dei dati catastali ai sensi dell’articolo 19, comma 15, del decreto legge 31 maggio
2010 n. 78;
– esercizio e revoca dell’opzione per la cedolare secca;
– denunce relative ai contratti di locazione non registrati, ai contratti di locazione con canone
superiore a quello registrato o ai comodati fittizi
Il modello 69 resta operativo, quindi, per le registrazioni di atti e contratti diversi da quelli di
locazione e affitto.
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Fase transitoria. È prevista una fase transitoria, fino al 31 marzo, durante la quale potranno
essere presentati all'Agenzia delle entrate, indifferentemente, sia il “vecchio” sia il nuovo modello:
dopo questa data, il modello 69 sarà definitivamente sostituito dal modello Rli per tutti gli
adempimenti connessi ai contratti di locazione e affitto immobiliare espressamente indicati dal
provvedimento.
La presentazione può avvenire in modalità telematica, direttamente o tramite gli intermediari
abilitati. I soggetti non obbligati alla registrazione telematica dei contratti di locazione possono
presentare il modello telematicamente anche presso gli uffici dell’Agenzia. Per la presentazione in
via telematica del nuovo modello va utilizzato il software “Contratti di locazione e affitto di immobili
(RLI)”, “scaricabile” gratuitamente sul sito della stessa Agenzia. È comunque resa disponibile anche
la versione web del software per consentire la registrazione dei contratti di locazione senza la
necessità dell’installazione del software. In ogni caso, fino al prossimo 31 marzo sarà ancora
concesso l’utilizzo dei “vecchi” software, quali “Contratti di locazione”, “Iris” e “Siria”.
Presentazione telematica “in forma semplificata”. È altresì consentita una presentazione
telematica «in forma semplificata» del modello RLI, cioè senza l’allegazione della copia del testo
contrattuale, nei casi, specificatamente indicati, in cui:
– il numero di locatori e di conduttori, rispettivamente, non sia superiore a tre;
– vi sia una sola unità abitativa e un numero di pertinenze non superiore a tre;
– tutti gli immobili siano censiti con attribuzione di rendita;
– il contratto contenga esclusivamente la disciplina del rapporto di locazione e, pertanto, non
comprenda patti aggiuntivi;
– il contratto venga stipulato tra persone fisiche che non agiscono nell’esercizio di un’impresa, arte
o professione.
L'invio telematico dei dati relativi alla richiesta di registrazione dei contratti di locazione e affitto di
beni immobili e dei dati relativi al versamento delle imposte di registro e di bollo deve essere
effettuato «secondo le specifiche tecniche contenute nell’Allegato A» al provvedimento. «Ciascun
file può contenere i dati relativi alla richiesta di registrazione di un solo contratto ovvero alla
comunicazione di uno o più adempimenti successivi che si riferiscono ad un solo richiedente».
Il provvedimento del direttore dell’Agenzia delle entrate 7 aprile 2011 ha chiarito che il locatore ha
facoltà di revocare l’opzione in ciascuna annualità contrattuale successiva a quella in cui questa è
stata esercitata, secondo modalità da stabilirsi con altro provvedimento dello stesso direttore
dell’Agenzia delle entrate.
Il nuovo modello si aggancia a quella “previsione” e consente l'esercizio o la revoca dell’opzione per
la cedolare secca: «il locatore può revocare l’opzione in ciascuna annualità contrattuale successiva
a quella in cui è stata esercitata l’opzione entro il termine previsto per il pagamento dell’imposta di
registro relativa all’annualità di riferimento». Con la revoca torna l'obbligo di pagare l’imposta di
registro dovuta per l'annualità di riferimento e per quelle successive.
(Vincenzo Morrone, Il Sole 24 ORE – Guida Normativa)
Lavoro, previdenza e professione
GARANTE PER LA PROTEZIONE DEI DATI PERSONALI
COMUNICATO
Avviso pubblico di avvio della consultazione su «Schema di provvedimento generale in materia di
trattamento di dati personali nell'ambito dei servizi di mobile remote payment»
(G.U. 3 gennaio 2014, n. 2)
MINISTERO DELLO SVILUPPO ECONOMICO
DECRETO 24 gennaio 2014
Definizioni e ambito di applicazione dei pagamenti mediante carte di debito
(G.U. 27 gennaio 2014, n. 21)
Contenuto
Professionisti: obbligo di Pos rinviato a giugno prossimo
Slitterà di sei mesi, a giugno prossimo, l’obbligo, entrato in vigore il 1° gennaio scorso, per i
commercianti e i professionisti, di dotarsi di Pos per ricevere i pagamenti dei clienti superiori a 30
euro mediante carta bancomat, come disciplinato dal Dm 24 gennaio 2014. Lo prevede la versione
definitiva dell'emendamento approvato dalla commissione Affari costituzionali del Senato
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nell’ambito dei lavori di conversione del Dl Milleproroghe. In un primo momento, si era diffusa la
notizia di due emendamenti approvati che avrebbero rinviato l’obbligo dal 1°gennaio 2014 al 1°
giugno 2015.
Adempimento previsto fin dal 2012. Il nuovo obbligo nasce dall’articolo 15, comma 4, del Dl
179/2012, in base al quale, a decorrere dal 1° gennaio 2014, i soggetti che effettuano l'attività di
vendita di prodotti e di prestazione di servizi, anche professionali, sono tenuti ad accettare anche
pagamenti effettuati attraverso carte di debito, fatte salve, in ogni caso, le disposizioni
antiriciclaggio di cui al Dlgs 231/2007. Il successivo comma 5 dispone, inoltre, che con uno o più
decreti del ministro dello Sviluppo economico, di concerto con il ministro dell'Economia e delle
Finanze, sentita la Banca d'Italia, sarebbero stati disciplinati gli eventuali importi minimi, le
modalità e i termini, anche in relazione ai soggetti interessati, di attuazione della disposizione di cui
al comma precedente.
Rilevanti i pagamenti superiori a 30 euro. Con il Dm 24 gennaio 2014 del ministero dello
Sviluppo economico, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 27 gennaio 2014 n. 21, è stata data
attuazione alle norme menzionate, prevedendo, in particolare, l’obbligo di accettare i pagamenti
superiori a 30 euro mediante carta di debito. Tale obbligo si applica ai soggetti che il decreto
definisce esercenti, ovvero i beneficiari, imprese o professionisti, dei pagamenti stessi. In sede di
prima applicazione, peraltro, ai sensi dell’articolo 2 del decreto, l’adempimento sarebbe applicabile
soltanto nei confronti dei contribuenti che nell’anno precedente hanno realizzato un fatturato
superiore a 200.000 euro. Infine, il decreto fa salva l’emanazione di un ulteriore provvedimento per
la definizione di nuove soglie minime dei pagamenti e nuovi limiti di fatturato. Tutte le disposizioni
recate dal decreto, infine, avrebbero dovuto entrare in vigore il 28 marzo 2014, ovvero decorsi 60
gironi dalla pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale.
Dubbi sull’utilizzo delle carte di credito. Il nuovo obbligo e le relative disposizioni attuative
hanno provocato una certa preoccupazione tra gli operatori, atteso che l’ambito applicativo definito
è così esteso che non rende agevole l’individuazione dei soggetti coinvolti: ad esempio, anche sotto
il profilo della ragionevolezza, non si comprende la necessità di sottoporre a tale obbligo i
professionisti monocommittenti, per i quali, in effetti, si nutrono dubbi circa l’applicabilità del nuovo
adempimento. Inoltre, l’articolo 1, comma 1, lettera a), del Dm 24 gennaio 2014 definisce carta di
debito lo strumento di pagamento che consente al titolare di effettuare le transazioni presso un
esercente abilitato all’accettazione della carta medesima, emessa da un istituto di credito, previo
deposito di fondi in via anticipata da parte dell’utilizzatore: si tratta, quindi, della classica carta di
debito, ovvero del bancomat. Resta da chiarire, allora, se anche le carte di credito, che sono uno
strumento di pagamento diverso, atteso che non richiedono la previa disponibilità di fondi da parte
dell’utilizzatore, sono ammesse ai fini del nuovo obbligo.
(Alessandro Borgoglio, Il Sole 24 ORE – Guida Normativa, 31 gennaio 2014)
INPS
CIRCOLARE 30 Gennaio 2014, N. 16
Decreto del Ministro dell’Economia e delle Finanze di concerto con il Ministro del Lavoro e delle
Politiche Sociali 13 marzo 2013. Rilascio del documento unico di regolarità contributiva in presenza
di certificazione dei crediti ai sensi dell’art. 13 bis, comma 5, del decreto legge 7 maggio 2012, n.
52 convertito, con modificazioni, dalla legge 6 luglio 2012, n. 94.
Contenuto
Certificazione di crediti P.A. e rilascio del DURC
A seguito di quanto stabilito con il decreto ministeriale 13 marzo 2013, l’Inps ha fornito i propri
chiarimenti in merito alla possibilità di rilasciare il documento unico di regolarità contributiva in
presenza di certificazione dei crediti certi, liquidi ed esigibili, vantati nei confronti delle pubbliche
amministrazioni, emessa tramite la “Piattaforma per la Certificazione dei Crediti”.
Con decreto ministeriale 13 marzo 2013 sono state definite le modalità, per dare attuazione a
quanto disposto dalla vigente normativa in materia di rilascio del Documento Unico di Regolarità
Contributiva, in deroga ai consueti criteri di rilascio dello stesso.
Il DM citato, prevede infatti la possibilità di emettere comunque un Durc "regolare" anche in
presenza di scoperture contributive, purché sia prodotta l'attestazione di sussistenza di crediti certi,
liquidi ed esigibili nei confronti della Pubblica Amministrazione, per un importo almeno pari agli
oneri contributivi accertati e non ancora versati.
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La ratio del legislatore è dunque quella di consentire alle imprese che vantano crediti verso la P.A.,
di ottenere un Durc, ancorché la loro posizione contributiva presenti delle scoperture che
potrebbero però essere sanate, se il credito maturato fosse stato riscosso.
Le condizioni per il rilascio del DURC
Come si è detto, il Durc viene rilasciato anche in presenza di irregolarità presso INPS, INAIL o
Casse edili, se è prodotta una certificazione attestante l'ammontare di crediti vantati dall'azienda
richiedente, aventi le caratteristiche sopra individuate.
Questa attestazione può essere resa da:
- amministrazioni statali,
- enti pubblici nazionali,
- Regioni,
- enti locali
- enti del Servizio Sanitario Nazionale.
Attenzione: l'importo delle somme a credito, deve essere almeno pari alla scopertura contributiva
accertata.
Soggetti richiedenti
La richiesta di attestazione del credito, deve essere presentata dal titolare del credito - quindi
dall'azienda - attraverso il sistema telematico in gestione al MEF, nella "Piattaforma per la
certificazione dei crediti (PCC)" e nella nuova funzione "Gestione richiesta DURC".
Qui il titolare del credito, o un suo intermediario, genererà la richiesta di rilascio del DURC ai sensi
dell'art. 13 bis, comma 5, D.L. n. 52/2012 convertito in L. 94/2012.
Dopo la generazione del documento, sarà possibile accedere alla funzione di richiesta del DURC,
attraverso lo Sportello Unico Previdenziale.
In presenza di richiesta di DURC per rapporti tra privati, la consegna del documento avverrà
attraverso PEC o consegna cartacea presso gli istituti coinvolti dal rilascio del DURC. In fase di
richiesta di DURC però, il soggetto avrà cura di specificare che il rilascio dovrà avvenire ai sensi
dell’art. 13 bis, comma 5, d.l. n. 52/2012.
La PPC
È opportuno ricordare che la Piattaforma per la Certificazione dei crediti, è una funzionalità che
permette ai soggetti che vantano crediti verso la pubblica amministrazione di chiedere che
l'ammontare di tali crediti sia certificato.
I crediti possono essere legati a somme dovute per somministrazioni, forniture, appalti e
prestazioni professionali. Attraverso il sistema è possibile individuare tutte le eventuali successive
operazioni di anticipazione, compensazione, cessione e pagamento, effettuate in relazione al
credito certificato.
Permette infine, come precisa lo stesso Ministero dell'Economia e delle Finanze che ne gestisce il
funzionamento, di svolgere tutte le attività del processo di comunicazione dei debiti previste dalle
norme sulla ricognizione dei debiti contratti dalla P.A.
Note operative
Attenzione: in attesa dell’adeguamento dello Sportello Unico Previdenziale, la specifica indicazione
che il DURC deve essere rilasciato ai sensi dell’art. 13 bis, comma 5, d.l. n. 52/2012, è inserita
- in caso di “appalto pubblico”, nel campo “oggetto dell’appalto”,
- in caso di "altra tipologia”, nel campo “Specifica uso”.
Rilascio di DURC e capienza
Nella PCC (Piattaforma per la Certificazione dei Crediti) è presente la nuova funzione “Verifica la
capienza per l’emissione del DURC” e qui è possibile individuare la sussistenza e l’importo dei
crediti vantati. Tale verifica dà esito positivo quando l’importo della scopertura contributiva
accertata, risulta pari o inferiore a quello evidenziato dal sistema della Piattaforma come saldo
disponibile alla data della verifica.
In questa prima fase di attuazione operativa, le strutture territoriali di Inail, Inps e Casse Edili
devono acquisire vicendevolmente le informazioni legate alle scoperture accertate ed ai crediti
vantati, per poter correttamente valutare la capienza con riferimento al debito totale.
Validità del Durc ex comma 5 art. 13 bis
Anche il Durc rilasciato con queste modalità rimane valido per la durata di 120 giorni dalla data del
rilascio e può essere utilizzato per tutte le finalità prevista dalla normativa in vigore.
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Modalità di utilizzo della Certificazione
La certificazione del credito emessa dalla Piattaforma sopra citata, può essere utilizzata
- per la compensazione di somme iscritte a ruolo,
- per la cessione o anticipazione del credito alle banche o agli intermediari finanziari.
(Paolo Sanna, Il Sole 24 ORE – lavoro24.ilsole24ore.com)
Pubblica amministrazione
DECRETO DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI 21 ottobre 2013
Modifiche al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 1º ottobre 2012, recante:
«Ordinamento delle strutture generali della Presidenza del Consiglio dei ministri»
(G.U. 13 gennaio 2014, n. 9)
COMITATO INTERMINISTERIALE PER LA PROGRAMMAZIONE ECONOMICA
DELIBERA 2 agosto 2013
Contratto di programma Anas 2013. (Delibera n. 55/2013)
(G.U. 14 gennaio 2014, n. 10)
MINISTERO DELL'ECONOMIA E DELLE FINANZE
DECRETO 30 ottobre 2013
Riduzione degli obiettivi programmatici del patto di stabilita' interno per l'anno 2013 delle province
e dei comuni con popolazione superiore a 1.000 abitanti, in attuazione dell'articolo 1, comma 122,
della legge 13 dicembre 2010, n. 220
(G.U. 18 gennaio 2014, n. 14)
DECRETO DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI 13 novembre 2013
Fondo di solidarieta' comunale in attuazione dell'articolo 1, comma 380, della legge 24 dicembre
2012, n. 228.
(G.U. 21 gennaio 2014, n. 16, Supplemento ordinario n. 7)
PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI DIPARTIMENTO
PUBBLICA
DECRETO 27 novembre 2013
Modalita' di pagamento dei contributi versati all'ARAN dagli Enti locali.
(G.U. 24 gennaio 2014, n. 19)
DELLA
FUNZIONE
AGENZIA PER L'ITALIA DIGITALE
COMUNICATO
Linee guida per la valutazione comparativa prevista dall'art. 68 del decreto legislativo 7 marzo
2005, n. 82 «Codice dell'Amministrazione digitale».
(G.U. 27 gennaio 2014, n. 21)
PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI - DIPARTIMENTO PER LA PUBBLICA
AMMINISTRAZIONE E LA SEMPLIFICAZIONE
COMUNICATO
Costituzione della Commissione per la garanzia della qualita' dell'informazione statistica
(G.U. 27 gennaio 2014, n. 21)
Rifiuti
LEGGE 7 gennaio 2014, n. 1 (Raccolta 2014)
Istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sulle attivita' illecite connesse al ciclo dei
rifiuti e su illeciti ambientali ad esse correlati.
(G.U. 15 gennaio 2014, n. 11)
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Giurisprudenza
Appalti
CONSIGLIO DI STATO, Sez. 5^ - 17 gennaio 2014, n. 174
APPALTI – Elementi essenziali dell’offerta – Art. 46 d.lgs. n. 163/2006 – Sottoscrizione –
Mancanza – Legittimità dell’esclusione.
L’art. 46 del d. lgs. 12 aprile 2006, n. 163 espressamente include la sottoscrizione fra gli elementi
essenziali dell’offerta, ed altrettanto espressamente dispone che la sua mancanza determina
l’esclusione del concorrente dalla gara. L’univoco enunciato della norma impone di ritenere che il
legislatore, nel risolvere il bilanciamento tra “favor partecipationis” ed esigenza di chiarezza
nell’espressione della volontà delle parti, abbia dato la prevalenza a tale ultima esigenza,
disponendo – appunto – l’esclusione delle offerte prive di sottoscrizione. Il legislatore, in altri
termini, ha ritenuto la sottoscrizione elemento necessario dell’offerta, la cui mancanza rende
dubbia la sua riferibilità al partecipante alla gara; di conseguenza ha sancito la nullità dell’offerta
che, in quanto non sottoscritta, pone un elemento di incertezza circa la possibilità di concludere il
contratto. La sottoscrizione dell’offerta si configura infatti come lo strumento mediante il quale
l’autore fa propria la dichiarazione contenuta nel documento, serve a renderne nota la paternità ed
a vincolare l’autore alla manifestazione di volontà in esso contenuta. Essa assolve la funzione di
assicurare provenienza, serietà, affidabilità e insostituibilità dell’offerta e costituisce elemento
essenziale per la sua ammissibilità, sia sotto il profilo formale che sotto quello sostanziale,
potendosi solo ad essa riconnettere gli effetti dell’offerta come dichiarazione di volontà volta alla
costituzione di un rapporto giuridico.
(Massima a cura della Rivista Giuridica Ambiente & Diritto)
CONSIGLIO DI STATO, Sezione 5, Sentenza del 22-01-2014, n. 313
COMPUTO METRICO - APPALTO A CORPO - PROGETTO - Indicazione dei lavori e delle
misure e quantità di materiali e opere necessarie per realizzare il progetto – Necessità
NOTA
Appalti: la tempestività del ricorso va verificata sull'aggiudicazione definitiva
L'aggiudicazione provvisoria di una gara d'appalto, avendo natura di atto endoprocedimentale a
effetti ancora instabili e del tutto interinali, è inidonea a produrre la definitiva lesione della
concorrente non risultata aggiudicataria, che si verifica solo con l'aggiudicazione definitiva, che non
costituisce atto meramente confermativo della prima e in riferimento esclusivamente alla quale,
quindi, va verificata la tempestività del ricorso. Questo il principio espresso dal Consiglio di Stato
con la decisione del 22 gennaio 2014 n. 313.
Il fatto - Dopo essere stata disposta l'aggiudicazione definitiva di un appalto avente a oggetto la
progettazione definitiva, esecutiva e l’esecuzione di opere di risanamento conservativo per la
realizzazione di alcuni alloggi la seconda classificata ha impugnato detta aggiudicazione davanti al
Tar per la Lombardia che ha respinto il ricorso incidentale della aggiudicataria e ha accolto la
domanda di annullamento formulata con il ricorso principale.Con il ricorso in appello la società
aggiudicataria ha chiesto la riforma di detta sentenza, da un lato, riproponendo i motivi posti a
sostegno del ricorso incidentale di primo grado e, dall’altro, contestando la statuizione di
accoglimento del ricorso principale.
La decisione del Consiglio di Stato - La questione posta all’attenzione dell’adito Collegio di
Palazzo Spada, per come innanzi sintetizzata, attiene al rapporto tra ricorso principale e ricorso
incidentale al Ga in tema di tutela giurisdizionale negli appalti pubblici.Sul punto, si afferma in
sentenza che è inammissibile il ricorso incidentale dell’aggiudicatario di una gara, che intenda
contestare la mancata esclusione della parte che ha contrastato l’esito finale della gara, in assenza
di impugnazione della delibera di approvazione delle operazioni di gara, la quale, nella parte
considerata, conferisce rilevanza esterna all'operato della Commissione.
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Infatti l'aggiudicazione provvisoria ha natura di atto endoprocedimentale, a effetti instabili e
interinali, soggetta, ai sensi dell'articolo 12 del Dlgs 163/2006 all'approvazione dell'organo
competente, sicché l'atto finale della procedura di gara è l'aggiudicazione definitiva, che non
costituisce atto meramente confermativo della prima e in riferimento esclusivamente alla quale,
quindi, va verificata la tempestività del ricorso.
È decisivo quanto statuito dal massimo consesso della Giustizia amministrativa (Consiglio di Stato,
Adunanza Plenaria, n. 31 del 16 ottobre 2012), circa la relazione giuridica che lega l'aggiudicazione
provvisoria a quella definitiva sul piano sostanziale e processuale, nel senso che l'aggiudicazione
provvisoria di una gara d'appalto, avendo natura di atto endoprocedimentale a effetti ancora
instabili e del tutto interinali, è inidonea a produrre la definitiva lesione della concorrente non
risultata aggiudicataria, che si verifica solo con l'aggiudicazione definitiva, che non costituisce atto
meramente confermativo della prima e in riferimento esclusivamente alla quale, quindi, va
verificata la tempestività del ricorso.
Si tratta di due atti connotati da autonome valutazioni dell'amministrazione in merito all'esito della
gara, tali che la rimozione della prima non caduca automaticamente la seconda, poiché
quest'ultima non ne è l'esito ineluttabile, ma il frutto di ulteriore esercizio del potere discrezionale
dell'amministrazione.
Tali argomentazioni, in punto di diritto, escludono che l’aggiudicatario che propone il ricorso
incidentale escludente non abbia l’onere di impugnare il provvedimento conclusivo del
procedimento di gara pur se a esso favorevole, atteso che, nella parte in cui non ha escluso la ditta
concorrente, tale atto è comunque lesivo della propria posizione giuridica. Avuto riguardo al caso
concreto sottoposto al suo giudizio il Consiglio di Stato ha così ritenuto che, in riforma della
impugnata sentenza (che ha riconosciuto l’ammissibilità del ricorso incidentale di primo grado,
respingendo nel merito entrambi i motivi posti a fondamento dello stesso), vada dichiarato
inammissibile il ricorso incidentale di primo grado. A tanto consegue logicamente la declaratoria di
improcedibilità dell’appello principale da essa proposto nella parte in cui ha censurato la reiezione
di detti motivi da parte del Tar.
A questo punto il Consiglio di Stato passa a esaminare l’appello principale che pone la questione
della conformità del computo metrico estimativo della aggiudicataria, in primo grado ritenuto non
conforme agli articoli 34 e seguenti del regolamento approvato con Dpr n. 554 del 1999 (essendo
la incompletezza del computo metrico motivo di esclusione e incidendo la mancata indicazione di
alcune voci di spesa sul profilo economico dell’offerta, sostanziante soluzioni progettuali
peggiorative, in violazione della legge di gara che prevedeva soluzioni migliorative).Si osserva così
in sentenza che il disciplinare di gara prevedeva, a pena di esclusione, che l’offerta doveva
contenere «il computo metrico estimativo suddiviso per singola opera, contenente l’elenco di tutti i
prezzi, completo della descrizione e del valore economico del singolo prezzo, redatto ai sensi
dell’art. 34 del d.P.R. 554/1999 e s.m.i».Il Tar, con la impugnata sentenza, premesso che il
computo metrico estimativo è funzionale sia alla determinazione dei fattori occorrenti per
determinare il prezzo che alla definizione dell’oggetto dei lavori da eseguire, ha ritenuto che le
lacune del computo metrico estimativo presentato dalla aggiudicataria non fossero irrilevanti,
anche se il contratto doveva essere stipulato a corpo, essendo necessario anche in tale caso che il
progetto presenti le caratteristiche della immediata realizzabilità e che sia corredato anche dal
computo metrico completo.Ritiene, da parte sua, il Collegio di Palazzo Spada che con l'appalto a
corpo non è incompatibile l'esistenza di un progetto esecutivo (che è quello, immediatamente
cantierabile, che contiene non solo le linee essenziali dell'opera, ma tutti i suoi elementi), che anzi
resta necessario ai fini dell'imprescindibile determinazione dell'oggetto del contratto, elemento
comunque essenziale per la sua validità.
Anche per l'appalto a corpo è necessario che il progetto presenti tutte le caratteristiche
dell'immediata realizzabilità e dunque che sia corredato anche dal computo metrico, consistente
nell'indicazione dei lavori e delle misure e quantità di materiali e opere per ciascuna categoria
necessarie per realizzare il progetto, e la cui utilità non è solo in funzione della misurazione dei
fattori occorrenti rispetto al prezzo, ma prima ancora è in funzione della definizione dell'oggetto dei
lavori da eseguire. Da qui il rigetto della relativa censura.
(Giuseppe Cassano, Il Sole 24 Ore- Guida al Diritto, 27 gennaio 2014)
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CONSIGLIO DI STATO, Sez. 4^ - 27 gennaio 2014, n. 355
APPALTI – Scelta del criterio più idoneo per l’aggiudicazione – Discrezionalità della
stazione appaltante – Art. 57, c. 5 lett. b) d.lgs. n. 163/2006 – Limite al principio –
Inconfigurabilità – Ragioni.
La scelta del criterio più idoneo per l’aggiudicazione di un appalto tra quello dell’offerta
economicamente più vantaggiosa e quello del prezzo più basso costituisce espressione tipica della
discrezionalità della stazione appaltante, incidente sul merito dell’azione amministrativa e
sindacabile dal giudice amministrativo nei soli limiti della manifesta illogicità, arbitrarietà,
irragionevolezza o macroscopico travisamento del fatto (Cons. St. Sez. V, 19.11.2009, n. 7259;
Sez. III, 15.4.2013, n. 2032). Non costituisce un limite a tale principio di massima la disposizione
di cui all’art. 57, comma 5 lett. b) del codice dei contratti, che, nel prevedere la possibilità di
aggiudicazione con procedura negoziata senza pubblicazione di bando di gara per nuovi servizi,
analoghi a quelli già aggiudicati in favore della medesima impresa, presuppone l’esistenza di un
progetto di massima, oggetto di un precedente contratto aggiudicato secondo una procedura
aperta o ristretta, al solo scopo di delineare e rendere trasparenti le caratteristiche dei servizi che
possano definirsi analoghi a quelli già affidati all’operatore economico aggiudicatario del contratto
iniziale dalla medesima stazione appaltante. La disposizione, da interpretarsi in senso restrittivo,
ha il solo scopo di evitare che il ricorso alla ripetizione di servizi analoghi possa risolversi in uno
strumento per aggirare il pacifico divieto di rinnovo, configurandola alla stregua di nuova
aggiudicazione in forma negoziata di servizi conformi ad un progetto base oggetto di precedente
appalto (cfr. Cons St. Sez. V, 11.5.2009, n. 2882, Sez. VI, 28.1.2011, n. 642).
Edilizia e urbanistica
CONSIGLIO DI STATO, Sez. 4^ – 23 dicembre 2013, n. 6211
DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Pagamento degli oneri di urbanizzazione –
Monetizzazione sostitutiva della cessione degli standard – Diversità.
Mentre il pagamento degli oneri di urbanizzazione si risolve in un contributo per la realizzazione
delle opere stesse, senza che insorga un vincolo di scopo in relazione alla zona in cui è inserita
l’area interessata alla imminente trasformazione edilizia , la monetizzazione sostitutiva della
cessione degli standard afferisce al reperimento delle aree necessarie per la realizzazione delle
opere di urbanizzazione secondaria all’interno della specifica zona di intervento. Tale decisiva
circostanza di fatto e di diritto vale ad evidenziare la diversità ontologica della monetizzazione
rispetto al contributo di concessione , di talché sotto il versante processuale non si può utilizzare lo
strumento dell’azione di accertamento per contestare la insussistenza di una obbligazione
pecuniaria diversa da quella, già assolta , prevista dall’art.3 della legge n.10/77.
(Massima a cura della Rivista Giuridica Ambiente & Diritto)
CONSIGLIODI STATO, Sez. 5^ – 27 dicembre 2013, n. 6283
DIRITTO URBANISTICO – Piano attuativo – Prescrizioni – Vincolatività.
Le prescrizioni di un piano urbanistico attuativo (tale è il piano di lottizzazione) finalizzato alla
disciplina in maniera dettagliata di una porzione del territorio sono vincolanti e devono essere
rispettate da tutti i lottizzanti e loro aventi causa, rilevando a tempo indeterminato, fino
all’intervento di un nuovo piano urbanistico (in tal senso da ultimo Cons. Stato, Adunanza plenaria
20 luglio 2012, n. 28; conforme Cons. Stato, V, 20 marzo 2008, n. 1216; IV 27 ottobre 2009, n.
6572).
(Massima a cura della Rivista Giuridica Ambiente & Diritto)
TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE LIGURIA - Genova, Sezione 1, Sentenza del
21-11-2013, n. 1406
D.I.A. - Autorizzazione paesaggistica - Sopraelevazione e ampliamento - Ristrutturazione
edilizia con ampliamento volumetrico, in termini di rialzo del tetto e conseguente
recupero a fini abitativi - Art. 3, L.R. 49\2009 (c.d. piano casa) - Tipologia dell’immobile
e numero di piani risultante dall’intervento conforme al contesto paesaggistico e
costruttivo limitrofo - Compatibilità rispetto alla vegetazione circostante
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NOTA
Tar Liguria contro la Dia obbligatoria: sempre possibile chiedere il permesso di costruire
La richiesta del permesso di costruire può essere avanzata anche nel caso in cui la normativa
regionale assoggetti le opere a Dia (o Scia) obbligatoria. È quanto ha affermato, in via incidentale,
la sentenza n. 1406/2013 del Tar Liguria, che ha accolto il ricorso di un soggetto che aveva
impugnato - per violazione della disciplina in materia di distanze minime fra le costruzioni ex
decreto ministeriale 2 aprile 1968, n. 1444 - gli atti relativi alla realizzazione di una
sopraelevazione (silenziosamente) assentita in base alle disposizioni introdotte dal "Piano casa" di
cui alla legge della Regione Liguria 3 novembre 2009, n. 49 «Misure urgenti per il rilancio
dell'attività edilizia e per la riqualificazione del patrimonio urbanistico-edilizio».
Disposizioni in forza delle quali è possibile ampliare e ristrutturare gli edifici esistenti, anche
mediante mutamento d'uso dei locali accessori ubicati all'interno delle costruzioni, a mezzo della
cosiddetta «Dia obbligatoria», di cui all'articolo 23 della legge regionale 6 agosto 2008, n.16
«Disciplina dell'attività edilizia».
Sospetta incostituzionalità. La questione sollevata dal giudice amministrativo - secondo cui il
predetto articolo 23 intacca il principio fondamentale dettato dal testo unico dell'edilizia che
consente all'interessato di scegliere l'iter "rassicurante" del permesso di costruire - non è nuova. In
concreto, il dubbio formulato dal Tar Liguria recepisce, seppur tacitamente, le motivazioni a
corredo delle sentenze nn. 164 e 203 del 2012 della Consulta, che ha dichiarato infondate, con
riferimento all'articolo 49, comma 4-ter, del decreto-legge n. 78 del 2010 «Misure urgenti in
materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica» (convertito, con modificazioni,
dalla legge 30 luglio 2010, n. 122) la questione di legittimità costituzionale sollevata dalla Provincia
di Trento e dalle Regioni Valle d'Aosta, Toscana, Liguria, Emilia-Romagna e Puglia, a seguito dell'
introduzione della Scia.
Le due sentenze muovono, infatti, dal presupposto che la Dia (ora la Scia), come disciplinata dal
Testo unico edilizio rientra tout court nel parametro di cui all'articolo 117, secondo comma, lettera
m), della Costituzione, che permette una restrizione dell'autonomia legislativa delle Regioni,
giustificata dallo scopo di attribuire allo Stato la potestà di determinare livelli essenziali di
prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio
nazionale, compreso quello ricadente nelle Regioni a statuto speciale.
In altri termini - osserva la Corte costituzionale - i principi stabiliti dal suddetto testo unico mirano,
per un verso, ad alleggerire sic et simpliciter il carico degli adempimenti che gravano sul cittadino,
con la conseguenza che nessuno di essi sostituisce il permesso di costruire e - per altro verso - ad
agevolare l'inizio dell'attività edilizia, senza far venir meno la valenza del permesso di costruire.
Titolo che permane in capo alla civica amministrazione, insieme alla facoltà di adottare
provvedimenti inibitori o di assumere determinazioni in via di autotutela, ai sensi degli articoli 21quinquies e 21-nonies della legge sul procedimento amministrativo n. 241 del 1990.
Ambito di applicazione della «Dia obbligatoria». In attesa degli sviluppi del contenzioso,
cresce l'attesa della pronuncia del Consiglio di Stato, tenuto conto che la disciplina regionale in
questione assoggetta alla «Dia obbligatoria» una copiosa tipologia di interventi, tra cui quelli in
materia di:
- restauro e risanamento conservativo;
- ristrutturazioni edilizie comportanti modifiche all'esterno degli edifici, compresi la demolizione e
successiva ricostruzione nonché gli ampliamenti della volumetria esistente entro soglie percentuali
massime determinate dalla vigente strumentazione urbanistica comunale o da altre leggi speciali;
- opere di natura pertinenziale comportanti creazione di volumetria, a condizione che siano
specificamente disciplinate dagli strumenti urbanistici comunali;
- realizzazione di impianti di produzione di energia alimentati da fonti rinnovabili (ad esempio:
impianti fotovoltaici, eolici o idroelettrici di potenza limitata nonché gli impianti alimentati da
biomasse operanti in assetto cogenerativo con capacità di generazione sotto la soglia di 1.000 kWe
ovvero a 3.000 kWt);
- la realizzazione di impianti tecnologici, anche comportanti la realizzazione di volumi tecnici,
diversi da quelli al servizio di edifici o di attrezzature esistenti;
- l'esecuzione di opere di urbanizzazione primaria o secondaria realizzate da privati se
specificamente disciplinate dalla strumentazione urbanistica comunale ovvero, in assenza di detta
disciplina, se localizzate in aree destinate a servizi pubblici o di interesse pubblico compatibili con la
relativa normativa.
(Pietro Verna, Il Sole 24 ORE – Edilizia e Territorio, 23 gennaio 2014)
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CONSIGLIO DI STATO, Sez. 5^ - 17 gennaio 2014, n. 163
DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – DIRITTO DELL’ENERGIA – Distanza dei fabbricati
dagl elettrodotti – d.P.C.M. 23 aprile 1992 – Distanza di rispetto generale per tutte le
costruzioni – Costruzioni preesistenti.
La distanza dei fabbricati dagli elettrodotti, imposta dal d.P.C.M. 23 aprile 1992, è una di quelle
distanze di rispetto generale per tutte le costruzioni al pari, ad esempio, delle fasce di rispetto
autostradali e dunque non vi è assolutamente la possibilità di una sua applicazione discrezionale da
parte degli uffici comunali; rispetto alle costruzioni preesistenti al d.P.C.M. in parola, la
realizzazione di protezioni, sul tipo di schermature, null’altro è che un modo per ovviare alle
preesistenze, non potendosi certo procedere ad un generale demolizione dell’esistente e dovendosi
in questo caso forzosamente scegliere un bilanciamento tra le esigenze costituzionalmente
garantite del diritto alla salute e della fornitura di corrente elettrica, oggigiorno dato fondamentale
per l’abitabilità di un fabbricato.
(Massima a cura della Rivista Giuridica Ambiente & Diritto)
TRIBUNALE
2605/2013
AMMINISTRATIVO
REGIONALE
–
LOMBARDIA,
Milano,
Sentenza n.
NOTA
Tar Lombardia: l'annullamento del titolo edilizio non può essere parziale
Non è possibile l' annullamento "parziale" dei titoli edilizi, in quanto il provvedimento adottato in
sede di autotutela esclude qualsivoglia valutazione di carattere discrezionale sulle possibilità
tecniche di modificare e/o rielaborare il progetto di costruzione; ammettendo il contrario, sarebbe
consentito all'amministrazione o al giudice amministrativo di modificare il progetto presentato dal
privato e, quindi, di sostituirsi alla volontà dello stesso.
È il principio formulato dalla sentenza n. 2605/2013 del Tar Lombardia (Milano), che ha respinto il
ricorso presentato da una società di costruzioni contro l' annullamento del titolo edilizio formatosi
in seguito alla denuncia di inizio di attività finalizzata alla demolizione di un fabbricato e successiva
realizzazione di un nuovo edificio. Provvedimento che il Comune di Milano aveva adottato con la
motivazione che l'intero manufatto - sottotetto incluso - avrebbe superato l' altezza massima
consentita dal piano regolatore (metri 13,50).
ll ricorso
Nel ricorso presentato al giudice amministrativo la società di costruzioni destinataria
dell'annullamento del titolo edilizio aveva evidenziato che:
- in luogo del suddetto provvedimento, l'amministrazione meneghina avrebbe potuto disporre l'
annullamento parziale del titolo, con esclusivo riferimento al sottotetto. Soluzione, questa, che non
avrebbe compromesso la funzionalità del fabbricato;
- il sottotetto, contrariamente a quanto sostenuto dagli uffici tecnici, non poteva essere considerato
alla stregua di un «piano abitabile» e che, pertanto, non sarebbe rientrato nel computo del calcolo
dell'altezza massima complessiva dell'immobile, in quanto quest'ultima (in base alla normativa
comunale) deve essere misurata all'intradosso dell'ultimo piano abitabile.
La sentenza
La sentenza del Tar Lombardia - espressa nei termini della non frazionabilità del titolo edilizio - è
conforme all'orientamento della giurisprudenza prevalente, secondo cui l'annullamento del titolo
non può che essere "totale", in quanto non sussiste alcuna ragione che l'autorità amministrativa
possa arrogarsi la potestà di procedere ad una rielaborazione del progetto, espungendo di propria
iniziativa alcune previsioni progettuali, trattandosi di valutazioni devono restare nella sfera
esclusiva dell'interessato (Consiglio di Stato, Sezione IV, 31 luglio 2007, n. 4256; Tar Lazio- RomaSezione II, 30 marzo 2012 n. 3065);
Parimenti in linea con l'indirizzo del massimo organo di giustizia amministrativo è la seconda parte
della sentenza, relativa alla qualifica di "piano abitabile" del sottotetto (vedasi, in particolare,
Consiglio di Stato- Sezione VI- sentenza 7 febbraio 2011 n. 812).
I giudici lombardi, infatti, respingendo la tesi sostenuta dalla società ricorrente, sono pervenuti alla
conclusione che, in presenza di elementi univoci che denotano l'intenzione di rendere abitabile il
locale, non ha alcuna rilevanza il fatto che siano stati adottati accorgimenti surrettizi (ad esempio,
la tamponatura di alcune finestre) finalizzati a rendere i rapporti spazio/luce inferiori, rispetto ai
parametri previsti dalla normativa edilizia vigente.
Anzi, ciò «aggrava la posizione di colui che chiede l'assenso per la sua realizzazione, giacché non è
possibile autorizzare la costruzione di locali in sostanza destinati alla presenza di persone quando
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questi non rispettino i rapporti di aero-illuminazione».
Peraltro - ha osservato il Collegio - la circostanza che il locale sia dotato di impianto di
riscaldamento ed impianto elettrico, di servizio igienico avente dimensioni ben maggiori rispetto a
quelle minime previste dal regolamento edilizio e sia destinato ad essere intonacato e rifinito a
civile abitazione induce «a suffragare la convinzione che la reale intenzione del ricorrente sia quella
di destinare, in futuro, tali locali, alla funzione abitativa già virtualmente impressa».
Né milita, in senso contrario, il fatto che il regolamento edilizio ammetta che anche i locali privi dei
requisiti dell'abitabilità possano essere dotati di impianto di riscaldamento ed elettrico, di bagno o
possano essere intonacati, in quanto la valutazione compiuta dall'amministrazione deve essere
complessiva.
In altri termini, non è escluso che locali oggettivamente inidonei ad assolvere alla funzione
abitativa (ad esempio, scarsamente illuminati oppure particolarmente bassi ) possiedano una o più
delle suindicate caratteristiche. Conta, invece, verificare se il locale possa o meno essere
considerato ambiente idoneo allo svolgimento della vita domestica, fermo restando che, quando
per le caratteristiche complessive lo stesso locale si appalesi idoneo ad assolvere a tale funzione, si
deve giungere alla conclusione che non possa essere considerato alla stregua di un vano tecnico
non abitabile.
(Pietro Verna, Il sole 24 Ore - Edilizia e Territorio, 28 gennaio 2014)
Immobili
CORTE COSTITUZIONALE, Sentenza 23 gennaio 2014, n. 6
NOTA
Case acquistate all'asta, si applica il «prezzo valore»
Anche per l'acquisto di case all'asta (sia in sede di procedura espropriativa, sia per pubblico
incanto) si deve applicare la regola del "prezzo valore", vale a dire la determinazione della base
imponibile dell'imposta di registro mediante la moltiplicazione della rendita catastale per i noti
coefficienti di aggiornamento.
È quanto risulta a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 6/2014, depositata il 23
gennaio 2014, che ha dichiarato costituzionalmente illegittima la norma del "prezzo valore"
(articolo 1, comma 497, legge 266/2005) nella parte in cui non prevede la sua applicazione agli
acquisti effettuati in sede di espropriazione forzata o a seguito di pubblico incanto.
Il prezzo-valore
Il "prezzo-valore" è stato introdotto dall'articolo 1, comma 497, legge 23 dicembre 2005, n. 266:
secondo tale norma, in caso di contratto a titolo oneroso avente a oggetto il trasferimento di una
abitazione a una persona fisica che non agisca nell'esercizio di impresa, arte o professione, la parte
acquirente può richiedere che la base imponibile, ai fini dell'imposta di registro, sia costituita (non
dal valore del bene trasferito, ma) dal prodotto che si ottiene (da qui la denominazione di questa
regola come "principio del prezzo-valore") moltiplicando la rendita catastale per gli applicabili
coefficienti di aggiornamento, e quindi indipendentemente dal corrispettivo dichiarato nel contratto.
Più tecnicamente, detto articolo 1, comma 497, legge 266/2005 consente di operare «in deroga
alla disciplina di cui all'articolo 43 del testo unico» dell'imposta di registro (Dpr 26 aprile 1986, n.
131); tale articolo 43 è appunto la norma della legge di registro che impone, di regola, di
considerare il valore (o se superiore, il prezzo pattuito) come base imponibile dei beni immobili fatti
oggetto di un trasferimento a titolo oneroso.
Trasferimenti coattivi
Ora, si tratta di coordinare questo panorama normativo con il disposto dell'articolo 44 del
medesimo Dpr 131/1986, il quale, disciplinando la materia dei trasferimenti "coattivi" (si pensi a
una procedura esecutiva), sancisce che per la vendita "fatta in sede di espropriazione forzata
ovvero all'asta pubblica e per i contratti stipulati o aggiudicati in seguito a pubblico incanto la base
imponibile è costituita dal prezzo di aggiudicazione".
Il criterio del "prezzo-valore", di cui alla legge 266/2005, è dunque norma "speciale", che, come
tale, si impone sia all'articolo 43 (espressamente da essa derogato) e pure all'articolo 44 del Testo
unico del registro (pur non espressamente da esso derogato) oppure è "speciale" l'articolo 44 del
Testo unico, dettando la disciplina applicabile alla specifica materia dei trasferimenti "forzosi", di
modo che, in questi casi, si deve necessariamente procedere determinando la base imponibile
secondo il prezzo di aggiudicazione?
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L'illegittimità
Secondo la Consulta, la norma in questione ha anche lo scopo di consentire al contribuente di
scegliere la soluzione più conveniente in relazione all'andamento del mercato immobiliare: e cioè di
determinare la base imponibile facendo riferimento al valore catastale o al valore di mercato.
Perciò essa è illegittima perché questa facoltà di scelta compete solo alla persona fisica che
acquista mediante un contratto ma non a chi acquista in esito a procedure esecutive o per asta
pubblica.
L'Agenzia delle Entrate era già giunta a un risultato interpretativo parzialmente analogo: nella
risposta a un interpello datata 15 luglio 2013 (si veda Il Sole 24 Ore del 30 ottobre 2013) il "prezzo
valore" era stato ritenuto applicabile all'acquisto mediante asta pubblica, qualora fosse bandita da
un soggetto privato.
(Angelo Busani, Il Sole 24 ORE – Norme e Tributi, 24 gennaio 2014)
Lavoro, previdenza e professione
CORTE DI CASSAZIONE, Sezione Lavoro, Sentenza 27 gennaio 2014, n. 1659
NOTA
La Cassa sbaglia i conti? La pensione va pagata
La Cassa di previdenza privata che comunica all'iscritto il raggiungimento dei requisiti della
pensione deve pagarla anche se ha sbagliato il calcolo e il diritto non è maturato: il diritto spetta
anche se l'errore è stato indotto da una comunicazione del professionista. Con la sentenza 1659,
depositata ieri, la sezione lavoro della Cassazione chiarisce che le casse di previdenza private, nel
caso specifico quella degli ingegneri, hanno nei confronti dei loro iscritti il dovere di essere diligenti
nelle loro comunicazioni, mentre la stessa accortezza non è richiesta al professionista. Gli
organismi degli enti, in virtù dell'attività di gestione del patrimonio altrui hanno, infatti, conoscenze
anche giuridiche quasi sempre superiori a quelle dei loro assicurati. Malgrado, dunque, la legge
(88/1989) «si riferisca espressamente solo all'Inps e all'Inail nell'affermare l'obbligo di comunicare,
con valore certificativo, all'assicurato i dati richiesti relativi alla propria situazione previdenziale e
pensionistica» lo stesso dovere non può essere escluso per le casse di previdenza private.
Per questo va tutelata l'aspettativa dell'iscritto creata da una comunicazione errata. Un principio di
cui beneficia la vedova di un ingegnere a cui la Cassa aveva annunciato il raggiungimento dei
requisiti per la pensione di anzianità. Salvo poi accorgersi, vent'anni dopo, che all'agognato
traguardo mancavano 16 giorni. Per i giudici è ininfluente che il primo a sbagliare fosse stato
proprio l'ingegnere spostando in avanti, di circa un mese, la data della sua iscrizione alla Cassa.
L'ente di previdenza aveva avuto vent'anni di tempo per accorgersi della svista: dal 1979 al 1999.
Ma che i conti non tornassero la Cassa se ne era accorta solo nel corso dell'istruttoria relativa alla
pensione di reversibilità. Decisamente troppo tardi, «quando l'assicurato era già deceduto e non
era più in condizioni di porci rimedio». In quell'occasione alla vedova era stato comunicato che, sia
pure per 16 giorni, suo marito non aveva maturato i vent'anni di iscrizione e a lei di conseguenza
non spettava la pensione. Per la Cassazione è evidente il danno cagionato da Inarcassa, che ha
«ingenerato con il descritto comportamento un incolpevole affidamento in merito alla regolarità
della situazione contributiva». Nè il comportamento dell'ente può essere considerato una concausa
dell'evento, ma una causa esclusiva del danno subito. Il rimedio è il pagamento della pensione di
reversibilità in misura pari a quella perduta, più gli interessi.
Il controllo della situazione contributiva dell'interessato è compito istituzionale dell'ente
previdenziale, anche privato, tanto più «perché è diretto anche a prevenire comportamenti scorretti
e dolosi che possono incidere sul suo equilibrio finanziario». Il fatto che questo avvenga sulla base
della documentazione richiesta al professionista, che non è un'autocertificazione, non esclude la
colpa nè la esclude il mancato controllo da parte dell'iscritto, nel quale si genera un legittimo
affidamento sull'esattezza dei dati.
(Patrizia Maciocchi, Il Sole 24 Ore – Norme e Tributi, 28 gennaio 2014)
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Rifiuti
CONSIGLIODI STATO, Sez. 5^ – 27 dicembre 2013, n. 6275
RIFIUTI - Localizzazione di impianti di recupero e smaltimento – Art. 197 d.lgs. n.
152/2006 – Provincia – Individuazione delle zone non idonee – Compromissione della
libera circolazione dei rifiuti – Esclusione.
L’art. 197 del D.Lgs n. 152/1006 e l’art. 3 della l.r. Marche n. 24/2009 prevedono la competenza
della Provincia in sede di individuazione delle zone non idonee alla localizzazione di impianti di
recupero e smaltimento dei rifiuti. L’esercizio di tale competenza dà la stura ad una zonizzazione
del territorio provinciale che non compromette che libera circolazione dei rifiuti speciali nella misura
in cui, senza investire a tempo indeterminato l’intero territorio provinciale, si limita a porre in
divieto di localizzazione limitato nel tempo e nello spazio.
RIFIUTI –Progetti di realizzazione e ampliamento discariche - Atti di approvazione –
Valenza di variante urbanistica - Art. 208 d.lgs. n. 152/2006 – Interpretazione.
L’art. 208, comma 6, del D.Lgs. n. 152/2006, che attribuisce valenza di variante urbanistica agli
atti di approvazione dei progetti di realizzazione/ampliamento di discariche, viene in rilievo solo
quando l’ente competente approva il progetto ma non può essere interpretato nel senso che un
progetto va approvato necessariamente. La norma, peraltro, si riferisce alla variante allo strumento
urbanistico e non anche alle varanti agli atti di pianificazione di settore.
(Massima a cura della Rivista Giuridica Ambiente & Diritto)
CONSIGLIO DI STATO, Sez. 5^ – 27 dicembre 2013, n. 6259
RIFIUTI – Procedura semplificata – Sussistenza delle condizioni per l’applicazione del
regime di favore – Onere probatorio – Soggetto beneficiario.
Spetta al soggetto che voglia agire il regime di favore rispetto a quello ordinario del rifiuto, fornire
la prova della sussistenza di tutte le condizioni per l’applicazione di un regime di favore e
differenziato (cfr. Corte di Cassazione, sez. III pen., 1° ottobre 2008, n. 37280), in presenza,
ovviamente di una contestazione seria e dettagliata da parte dell’Amministrazione. Dal complesso
ordito normativo costituito dal D.M. 5.2.1998, dal DM 5 aprile 2006, n. 186, dal d.lgs. n. 152/2006
e dal d.lgs. n. 36/2006 appare infatti evidente che consentire tempi e quantità superiori per la
messa in riserva di un rifiuto in regime di procedura semplificata comporta il rischio di creazione di
una discarica, facendo insorgere il sospetto di una probabile perdita di controllo del flusso del
rifiuto. E’ evidente, dunque, che impostare un onere probatorio in capo al soggetto che beneficia
della procedura semplificata, come nella specie, è coerente con i rischi ambientali e di
inquinamento che tale procedura potrebbe implicare (creazione di fatto di una discarica) che si
vogliono senz’altro prevenire.
RIFIUTI – Rifiuti abbandonati o deposito incontrollato - Avvio a recupero o smaltimento
– Art. 239 d.lgs. n. 152/2006 – Attività di caratterizzazione – Avvenuta rimozione del
rifiuti – Concetto di rifiuto tal quale – Campionamento – Test di cessione.
L’art. 239, comma 2, del d.lgs. n. 152-2006, in caso di avvio a recupero, smaltimento rifiuti
abbandonati o deposito in modo incontrollato, subordina l’attività di caratterizzazione dell’area ai
fini degli eventuali interventi di bonifica e ripristino ambientale all’avvenuta rimozione del rifiuto.
Ciò implica che il legislatore abbia riconosciuto l’impossibilità giuridica di una trasformazione del
rifiuto abbancato in “terreno”, non più soggetto a smaltimento. Il concetto di rifiuto “tal quale”,
d’altra parte, è rilevante soltanto ai sensi dell’art. 8 del DM 5.2.1998, che disciplina le modalità di
campionamento al fine della caratterizzazione chimico fisica del rifiuto stesso, mentre non compare
nel successivo art. 9 ai fini dell'effettuazione del test di cessione di cui all’Allegato 3 dello stesso
DM 5.2.1998.
(Massima a cura della Rivista Giuridica Ambiente & Diritto)
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Sicurezza sul lavoro
CORTE DI CASSAZIONE, Sentenza 13 gennaio 2014, n. 974
NOTA
Cassazione: anche tecnico e capocantiere responsabili della sicurezza
Non c'è solo il coordinatore della sicurezza. In caso di infortunio in cantiere gli obblighi di garanzia
si estendono anche ad altri soggetti. È questo il senso della sentenza n. 974 del 13 gennaio 2014,
nella quale la Corte di Cassazione ha esaminato il caso di un capocantiere e di un tecnico di
cantiere coinvolti in un incidente mortale sul proprio luogo di lavoro. Ad entrambi, nella pronuncia,
i giudici hanno ricordato la loro specifica funzione di vigilanza sugli operai.
La causa prende le mosse da una sentenza con la quale ad aprile del 2012 la Corte di appello di
Napoli confermava la condanna della sezione distaccata di Afragola per un capocantiere e un
tecnico di cantiere, «per non avere assicurato tramite opportune azioni di coordinamento
l'applicazione delle disposizioni contenute nei piani di sicurezza e delle relative procedure di
lavoro». Questi non avevano dotato un'apertura di parapetti o coperture di nessun tipo e non
avevano adottato nessun tipo di precauzione (come segnali di pericolo) per evitare cadute degli
operai: a causa di questa negligenza un operaio aveva perso la vita, cadendo da un'altezza di tre
metri. Il giudizio della Corte di Cassazione verte sul ricorso dei due imputati che, in sostanza,
contestano di non avere avuto una posizione di garanzia perché non svolgevano il ruolo di
coordinatore della sicurezza.
Secondo i giudici, però, «il capocantiere, anche in presenza di una pluralità di posizioni di garanzia,
è destinatario diretto dell'obbligo di verificare che le concrete modalità di esecuzione delle
prestazioni lavorative all'interno del cantiere rispettino le normative antinfortunistiche». Mentre «il
direttore tecnico di cantiere è direttamente portatore di un proprio livello di gestione e
responsabilità che riguarda anche l'organizzazione generale della sicurezza del cantiere. Tale livello
di responsabilità è stato in concreto, seppure malamente, gestito». A entrambi, quindi, la legge
«richiedeva una particolare vigilanza che invece mancò».
(Giuseppe Latour, Il sole 24 ORE – Edilizia e Territorio, 15 gennaio 2014)
CORTE DI CASSAZIONE, Sezione Terza Penale, Sentenza 14 gennaio 2014, n. 1471
INFORTUNI SUL LAVORO E MALATTIE PROFESSIONALI - RESPONSABILITA' PENALE
NOTA
Sicurezza in cantiere, il direttore dei lavori non è responsabile se non interferisce
nell'organizzazione
Il direttore dei lavori non è responsabile per la morte dell'operaio se manca la prova che
competeva a lui far rispettare le regole di cautela. La corte di Cassazione, con la sentenza 1471,
esclude che il ruolo di direttore dei lavori comporti in automatico il dovere di far ossevare le norme
di sicurezza, con la conseguente colpa se questo non avviene. I giudici della terza sezione penale
hanno annullato la condanna nei confronti di un direttore dei lavori, inserito in un'organizzazione
piramidale, per aver concorso nella morte di operaio precipitato da un cornicione sul quale era
salito, imprudentemente privo di imbracatura e caschetto, per porgere a un collega gli attrezzi utili
a costruire un ponteggio. Alla base delle condanna per il direttore dei lavori i giudici di merito
avevano posto la sola circostanza di aver dato l'ordine, attraverso un passa parola lungo la catena
gerarchica, di costruire l'impalcatura. Un ordine, specifica la Corte, che di per sé è né più né meno
una lecita disposizione di lavoro tale da non far presupporre una respaonsabilità se manca una
relazione con l'evento-caduta. La Cassazione ricorda che il ruolo del direttore dei lavori può essere
limitato alla sorveglianza tecnica sull'esecuzione del progetto nell'interesse del committente,
mentre i destinatari delle norme anti-infortunistiche sono i datori di lavoro, i dirigenti e i preposti.
Per estendere i suoi compiti addossandogli anche gli obblighi di prevenzione degli infortuni è
necessario provare la sua ingerenza nell'organizzazione del cantiere. La Cassazione annulla la
condanna e rinvia alla Corte d'Appello per una nuova valutazione
(Patrizia Maciocchi, Il Sole 24 ORE, 16 gennaio 2013)
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Economia, fisco, agevolazioni e incentivi
Iuc - Nuova imposta unica comunale componenti Imu, Tari e Tasi - Novità
della L. 147/2013
La L. 27.12.2013 n. 147 (Legge di stabilità 2014) istituisce la nuova imposta unica comunale (Iuc),
costituita da tre distinti tributi: l'Imu sugli immobili non esenti, la Tari per il servizio rifi uti e la Tasi
per i servizi comunali indivisibili.
In realtà, l'imposta è solo apparentemente "unica", poiché si basa su due presupposti impositivi
completamente diversi (valore degli immobili e fruizione dei servizi comunali) e tre componenti di
natura giuridica non omogenea: l'Imu (imposta), la Tari (tassa) e la Tasi (imposta). Si riscontrano,
inoltre, diverse criticità nella disciplina applicativa, con particolare riferimento alla Tasi.
Siamo quindi ben lontani da una seria disciplina sull'imposizione immobiliare.
Giuseppe Debenedetto, Il Sole 24 ORE – LA Settimana Fiscale, 22 gennaio 2014, n. 3
IUC ISTITUZIONE dal 2014: con la Legge di stabilità 2014 (L. 147/2013) viene approvata la
riforma dell'imposizione fiscale sul patrimonio immobiliare, prevista dal D.L. 54/2013 che aveva
sospeso il pagamento della prima rata dell'Imu 2013 per l'abitazione principale ed altre fattispecie.
Sul riordino della fiscalità locale sono state avanzate nel corso del 2013 diverse proposte: dalla
possibile istituzione di un'imposta comunale sui servizi (Ics) si passa ad una service tax
(annunciata il 28.8.2013 nella conferenza stampa del Governo), poi il disegno di legge di stabilità
2014 presentato al Senato il 21.10.2013 prevede l'istituzione del nuovo tributo sui servizi
comunali, denominato Trise, articolato in due componenti: Tari e Tasi.
Durante i lavori parlamentari viene avanzata la proposta di istituire un nuovo tributo unico
comunale (Tuc), con una disciplina invero piuttosto pasticciata.
Infine con il maxi-emendamento del 26.11.2013 il Parlamento decide di istituire la nuova imposta
unica comunale (Iuc), costituita da tre distinti tributi: l'Imu sugli immobili non esenti, la Tari per il
servizio rifiuti e la Tasi per i servizi comunali indivisibili.
Tale impostazione è rimasta invariata fino all'approvazione definitiva della Legge di stabilità, con
qualche correttivo alla disciplina applicativa.
IMU: la prima componente della nuova imposta unica comunale è l'Imu, la cui disciplina resta
tuttora contenuta nell'art. 13, D.L. 201/2011, conv. con modif. dalla L. 214/2011 disposizione che
subisce tuttavia diverse modifiche finalizzate principalmente ad escludere dal 2014 l'applicazione
dell'imposta sull'abitazione principale.
Il 2013 è stato invece l'anno delle grandi indecisioni sull'imposizione della prima casa.
Il pagamento dell'acconto è stato prima sospeso (D.L. 54/2013) e poi soppresso (D.L. 102/2013),
mentre la decisione sul saldo è stata presa con il D.L. 133/2013 ad appena due settimane dalla
scadenza.
Tuttavia l'abolizione non riguarda tutti i contribuenti, perché se l'aliquota per l'abitazione principale
è più alta di quella base (0,4%), si dovrà comunque pagare il 40% della differenza entro il
24.1.2014.
La "mini-Imu" riguarda anche tutti quei Comuni che nel 2013 non hanno effettuato alcun aumento
ed hanno comunque l'aliquota più alta di quella base (4 per mille), perché l'hanno variata l'anno
scorso.
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Si tratterebbe quindi di circa 2.500 Comuni, con l'effetto paradossale che per versare un importo
irrisorio (Euro 30-40) si rischia di spendere una cifra maggiore solo per capire quanto pagare, non
essendo peraltro del tutto chiaro se la differenza da versare sia riferita solo al secondo semestre
2013 oppure all'intera annualità.
Sul punto il Ministero dell'Economia e delle Finanze ha chiarito che "il contribuente deve calcolare
l'imposta totale per il 2013 sulla base dell'aliquota e della detrazione fissate dai Comuni (e
pubblicate sul loro sito entro il 9 dicembre 2013), quindi sottrarre l'imposta annuale calcolata
applicando l'aliquota di base e la detrazione di base. Di questo importo differenziale il contribuente
deve versare il 40% utilizzando il modello F24 o il bollettino di conto corrente postale Imu"
(Comunicato 12.12.2013).
In disparte il pasticcio della "mini-Imu" 2013, le novità previste dalla Legge di stabilità 2014
riguardano in primo luogo la conferma dell'esonero dall'Imu per le fattispecie contemplate dal D.L.
102/2013:
abitazioni principali ad eccezione delle A/1, A/8 e A/9: continuano quindi a pagare l'imposta
le abitazioni in fabbricati di particolare pregio e valore, maggiormente sintomatici di una più
elevata capacità contributiva (tuttavia il numero di tali immobili, pari a 74.430, è piuttosto
esiguo e con un gettito Imu stimato di appena Euro 60 milioni); l'esonero riguarda anche le
pertinenze, limitatamente però ad un'unità immobiliare per categoria (C/2, magazzini; C/6,
rimesse e garage; C/7, tettoie).
• unità immobiliari delle cooperative edilizie a proprietà indivisa: diversamente dalle
cooperative a proprietà divisa, dove ciascun socio diviene soggetto passivo con
l'assegnazione dell'alloggio, nelle cooperative edilizie a proprietà indivisa i soci aderiscono
alla cooperativa con l'intento di ottenere l'assegnazione in godimento a tempo
indeterminato di un alloggio (è, praticamente, un contratto di locazione a tempo
indeterminato).
• fabbricati abitativi destinati ad alloggi sociali: si tratta fabbricati di civile abitazione, definiti
dal Decreto del Ministro delle Infrastrutture 22.4.2008, realizzati da operatori pubblici e
privati e destinati alle fasce di popolazione svantaggiate che non hanno la possibilità di
pagare l'affitto con i prezzi del libero mercato.
• casa coniugale assegnata a seguito di separazione: unità immobiliare assimilata
all'abitazione principale, per la quale la disciplina sull'Imu ha introdotto uno speciale diritto
di abitazione, che si aggiunge a quello già previsto dal Codice civile (tra cui l'art. 540 c.c.,
per il coniuge superstite, sulla casa familiare del defunto o in comunione).
• abitazioni principali del personale del comparto sicurezza: per le case degli appartenenti alle
Forze armate e di Polizia, ai Vigili del fuoco ed ai funzionari di Prefettura non è più richiesto
il requisito di dimora e residenza perché siano considerate abitazioni principali.
I Comuni possono inoltre assimilare all'abitazione principale :
• le unità immobiliari possedute da anziani o disabili residenti in istituto di ricovero o degli
italiani residenti all'estero (cittadini Aire);
• le unità immobiliari concesse in comodato a parenti in linea retta entro il primo grado
(genitori e figli) che le utilizzano come abitazione principale: è prevista la possibilità di
limitare l'agevolazione alla quota di rendita catastale non eccedente il valore di Euro 500
oppure nel caso in cui il comodatario appartenga ad un nucleo familiare con Isee non
superiore a Euro 15.000 annui.
Resta la detrazione di Euro 200 per le abitazioni principali di pregio (A/1, A/8 e A/9) e per gli
alloggi assegnati dagli Iacp o dagli altri enti di edilizia residenziale pubblica (Ater, Aler, ecc.).
Scompare invece la detrazione integrativa di Euro 50 per ogni figlio di età fino a 26 anni, che il D.L.
201/2011 limitava alle annualità 2012 e 2013.
Tra le altre novità sull'Imu si segnalano le seguenti:
• viene abbassata da 110 a 75 la misura del moltiplicatore applicabile, per la determinazione
della base imponibile Imu, ai terreni agricoli, nonché a quelli non coltivati, posseduti e
condotti dai coltivatori diretti e dagli imprenditori agricoli professionali (Iap) iscritti nella
previdenza agricola: dal 2014 si ripristina quindi l'imponibilità dei terreni agricoli, che nel
2013 era stata esclusa ma con un regime non omogeneo tra acconto e saldo (quest'ultimo
limitato ai terreni condotti dai coltivatori diretti e dagli Iap);
•
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vengono esonerati i fabbricati rurali ad uso strumentale : si conferma così il regime di
esonero previsto per il 2013 (con qualche dubbio sulla possibile estensione ai fabbricati
abitativi), rispetto al regime agevolato della disciplina originaria (aliquota 0,2% riducibile
allo 0,1%);
• si prevede che l'Imu relativa agli immobili strumentali delle imprese e dei professionisti sia
deducibile ai fini delle imposte sui redditi a decorrere dal periodo d'imposta in corso al
31.12.2013. L'anno 2013 era invece iniziato con un forte aumento dell'imposizione
immobiliare per i fabbricati di categoria D, aumento dovuto ad almeno tre fattori: 1) la
riserva statale con aliquota dello 0,76%; 2) l'aumento dei moltiplicatori da 60 a 65; 3)
l'impossibilità di applicare le agevolazioni già previste dai Comuni. Al fine di allentare la
morsa, la Legge di stabilità 2014 ha previsto la deducibilità parziale dal reddito d'impresa
dell'Imu sui fabbricati strumentali (per destinazione e per natura), con effetto retroattivo, a
valere già dal 2013, nella misura del 30%. A partire dal 2014 e quindi a regime la
deducibilità scende invece al 20%, ma le aspettative sono rimaste in parte deluse rispetto al
disegno originario che prevedeva una deducibilità al 50% su capannoni e fabbricati
industriali.
• Viene sottoposto a Irpef nella misura del 50% il reddito degli immobili ad uso abitativo non
locati situati nello stesso Comune nel quale si trova l'immobile adibito ad abitazione
principale, assoggettati all'imposta municipale propria. Tali modifiche hanno effetto a
decorrere dal periodo d'imposta in corso al 31.12.2013. In sostanza, dopo appena un anno
di mancata applicazione, torna l'Irpef sulle case sfitte.
• Viene precisata la disciplina delle dichiarazioni e del versamento dell'Imu, in particolare per
gli enti non commerciali : questi dovranno effettuare il pagamento dell'imposta in 3 rate, le
prime due (giugno e dicembre) pari al 50% dell'Imu corrisposta nell'anno precedente e
l'ultima, a conguaglio dell'imposta complessivamente dovuta, deve essere versata entro il
16 giugno dell'anno successivo a quello cui si riferisce il versamento.
• Viene infine ritoccata la disciplina del nuovo fondo di solidarietà comunale (Fsc), prevedendo
tra l'altro che il 10% venga attribuito sulla base dei fabbisogni standard approvati dalla
Commissione tecnica paritetica per l'attuazione del federalismo fiscale, da effettuarsi con
apposito D.P.C.M. entro il 31 dicembre dell'anno precedente a quello di riferimento.
TARI - NUOVA TASSA sui RIFIUTI: la seconda componente della Iuc è la Tari, che sostituisce la
Tares-rifiuti e può essere determinata anche con criteri tariffari alternativi al D.P.R. 158/1999
(metodo normalizzato), cioè in base alle quantità e qualità medie di rifiuti prodotti o ai coefficienti
di produttività, fermo restando il rispetto del principio comunitario "chi inquina paga". Si tratta
degli stessi criteri previsti dall'art. 5, D.L. 102/2013, solo che in questo caso il Legislatore ha
opportunamente chiarito che sono "alternativi" al D.P.R. 158/1999.
Il Comune può prevedere riduzioni tariffarie per alcune fattispecie (abitazioni con unico occupante
o ad uso limitato, abitazioni rurali, eccetera), sino al totale esonero, diversamente dalla disciplina
Tares che prevedeva il limite del 30%.
L'ente può peraltro introdurre ulteriori agevolazioni e decidere come coprirle finanziariamente, se
spalmare l'importo sugli altri contribuenti oppure facendo ricorso alla fiscalità generale.
Nel complesso l'occupante dell'immobile pagherà la Tari sulla base di tariffe determinate con criteri
più flessibili e con un maggiore ventaglio di agevolazioni, nella logica del pareggio costi-ricavi.
Si dovrebbe così stabilizzare la disciplina relativa al prelievo sui rifiuti, che nel 2013 è stata
piuttosto travagliata, con la partenza a singhiozzo della Tares che nel suo primo e ultimo anno di
vita è stata modificata almeno sei volte rendendo alla fine possibile il ritorno alla Tarsu o alla Tia.
•
TASI - NUOVO TRIBUTO sui SERVIZI COMUNALI INDIVISIBILI: la terza componente della
Iuc è la Tasi, che sostituisce la maggiorazione sulla Tares, pari a 30 centesimi a metro quadro.
Solo che rispetto a quest'ultima la base imponibile della Tasi non è più legata alla superficie degli
immobili ma coincide con quella prevista per l'Imu, cioè la rendita catastale moltiplicata per
appositi coefficienti.
L'aliquota base è pari all'1 per mille ma i Comuni possono ridurla fino ad azzerarla ovvero
aumentarla, ma in tal caso rispettando il vincolo in base al quale la somma delle aliquote della Tasi
e dell'Imu non sia superiore a quella massima prevista dall'Imu, fissata al 10,6 per mille e ad altri
minori aliquote in relazione alle diverse tipologie di immobile.
La disciplina della Tasi contiene sostanzialmente le stesse agevolazioni previste per la Tari (unico
occupante, abitazioni a disposizione, ecc.), rimesse alla discrezionalità dei Comuni.
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Tuttavia il peso fiscale individuale della Tasi si rivela piuttosto incerto poiché, più che dalle aliquote,
molto dipenderà da come gli enti decideranno di ripartirla tra inquilini e proprietari: i primi nella
misura compresa tra il 10 e il 30%, la restante parte a carico dei proprietari.
Nel 2014 la partenza sarà comunque attenuata dall'aliquota massima del 2,5 per mille ma si sta
già pensando ad un correttivo che consenta ai Comuni di aumentare le aliquote dallo 0,1 fino allo
0,8 per mille complessivo (si veda il comunicato 8.1.2014 apparso sul sito del Governo).
Nel complesso si tratta della componente più critica all'interno della Iuc.
In primo luogo, la Tasi si basa sul valore catastale degli immobili e, quindi, assume i connotati di
un'addizionale Imu, anche se applicabile fino ad un tetto massimo.
In secondo luogo, permangono diverse incertezze sul perimetro di applicazione della Tasi, cioè sulla
fattispecie imponibile.
Invero, a fronte della stessa base imponibile dell'Imu, il Legislatore avrebbe dovuto delimitare
l'ambito di imposizione della Tasi ai fabbricati, aree fabbricabili e terreni agricoli. E invece no.
Nella Legge di stabilità c'è un riferimento ai "fabbricati, ivi compresa l'abitazione principale come
definita ai fini dell'imposta municipale propria" ed alle "aree scoperte nonché di quelle edificabili".
Manca invece un espresso riferimento ai terreni agricoli; quindi si pone il problema circa la loro
effettiva imponibilità ai fini della Tasi.
Possiamo pervenire ad una conclusione positiva solo attraverso un ragionamento logico deduttivo,
cioè facendo rientrare nelle aree scoperte (diverse da quelle edificabili) anche i terreni agricoli,
altrimenti la norma non avrebbe senso.
Ma la fattispecie imponibile di un tributo deve essere individuata con precisione dal Legislatore e
non può essere demandata all'interprete.
E'pertanto necessario un intervento da parte del Legislatore sulle diverse disposizioni della Tasi che
sembrano ispirate ad un prelievo sui metri quadri degli immobili (Tari) e non sul valore catastale
degli stessi (Imu).
Infatti, oltre all'improprio riferimento alle "aree scoperte", per delimitare il perimetro di imponibilità
del tributo vengono utilizzati concetti ("aree scoperte pertinenziali o accessorie a locali", "aree
comuni condominiali") al di fuori dagli schemi dell'Imu e più vicini alla Tari, come se la Tasi fosse
un'addizionale della Tari.
Inoltre, non si comprende perché nel regolamento Tasi il Comune deve tenere conto delle "superfici
eccedenti il normale rapporto tra produzione di rifiuti e superficie stessa".
C'è un'altra questione che andrebbe chiarita: le fattispecie di esonero dal pagamento della Tasi.
Sul punto va innanzitutto evidenziato che le esenzioni concorrono a delimitare l'ambito di
applicazione di un tributo e vanno interpretate in senso restrittivo, senza alcuna possibilità di
operare estensioni per analogia.
Si deve pertanto escludere l'applicabilità alla Tasi delle fattispecie di esonero previste per l'Imu.
Peraltro, il presupposto della Tasi è il possesso o la detenzione a qualsiasi titolo di fabbricati o aree
"a qualsiasi uso adibiti", quindi la legge non prevede alcuna esenzione.
Conseguentemente, tutti gli immobili esonerati dall'Imu (fabbricati posseduti da enti pubblici,
ospedali, enti non commerciali, enti religiosi, fabbricati rurali strumentali, ecc.) rientrano invece nel
campo di applicazione della Tasi.
Andrebbero comunque esclusi dall'imposizione solo i fabbricati di categoria E (immobili a
destinazione particolare: stazioni, cimiteri, chiese, ecc.), dal momento che la disciplina Imu non
detta alcun criterio per la quantificazione della base imponibile.
TARI e TASI - DISCIPLINA GENERALE: la Legge di stabilità 2014 individua poi la disciplina
generale della Iuc in materia di Tari e Tasi.
In particolare, è previsto che il Comune determini la disciplina per l'applicazione della Iuc con
apposito regolamento (da adottarsi ai sensi dell'art. 52, D.Lgs. 446/1997) attribuendo al Consiglio
comunale la competenza per approvare le tariffe della Tari e le aliquote della Tasi.
La dichiarazione della Iuc deve essere presentata entro il 30 giugno dell'anno successivo, deve
essere redatta su modello messo a disposizione dal Comune, deve obbligatoriamente indicare i dati
catastali, il numero civico di ubicazione dell'immobile ed il numero dell'interno, ove esistente
(limitatamente alle unità immobiliari a destinazione ordinaria) ed ha effetto anche per gli anni
successivi, a meno che non si verifichino modificazioni dei dati dichiarati da cui consegua un
diverso ammontare del tributo.
Restano ferme - ai fini della dichiarazione relativa alla Tari - le superfici dichiarate o accertate ai
fini della Tarsu, o della Tia1 - Tia2 o della Tares.
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Si applicano invece le disposizioni concernenti la presentazione della dichiarazione dell'Imu ai fini
della dichiarazione relativa alla Tasi.
Il versamento della Tari e della Tasi va effettuato mediante il Mod. F24, tramite apposito bollettino
di conto corrente postale, ovvero tramite le altre modalità di pagamento offerte dai servizi
elettronici di incasso e di pagamento interbancari.
Si affida direttamente ai Comuni la determinazione del numero e delle scadenze di pagamento del
tributo, che dovrà prevedere, di norma, almeno due rate a scadenza semestrale ed in modo anche
differenziato con riferimento alla Tari ed alla Tasi.
E'consentito il pagamento in unica soluzione entro il 16 giugno di ciascun anno.
Un decreto del Direttore generale del Dipartimento delle Finanze stabilirà le modalità per la
rendicontazione e la trasmissione dei dati di riscossione, distintamente per ogni contribuente, da
parte dei soggetti che provvedono alla riscossione, ai Comuni ed al sistema informativo del Mef.
L'applicazione e la riscossione della Iuc sono attribuite al Comune, fatta eccezione per la tariffa
corrispettiva applicata in luogo della Tari che viene applicata e riscossa dal soggetto affidatario del
servizio di gestione dei rifiuti urbani.
E'possibile esternalizzare la gestione della Tari solamente alle aziende che si occupano del servizio
rifiuti.
Sparisce invece il riferimento ai soggetti affidatari dell'accertamento e riscossione della Tares,
nonostante la specializzazione ad effettuare tale attività, diversamente dalle aziende di igiene
ambientale che gestiscono l'entrata solo in via sussidiaria.
In compenso i Comuni potranno affidare la riscossione della Tasi ai soggetti esterni che nel 2013
accertavano e riscuotevano l'Imu.
Nel complesso la disposizione non ha molto senso perché l'affidamento della Tari riguarda di fatto
una parte minoritaria di Comuni, cioè quelli a Tia, lasciando però allo sbando tutti gli altri Comuni
che dovranno decidere se internalizzare il servizio oppure espletare una nuova gara, con tutti i
problemi conseguenti anche sui tempi di attuazione.
Non si comprende poi perché al concessionario Imu è possibile affidare anche la Tasi, tributo
peraltro diverso, mentre lo stesso criterio non vale per la Tari con i concessionari Tares, senza
considerare il contenzioso che potrebbe scaturire dai contratti in corso che consentono ai
concessionari di proseguire il servizio anche in caso di nuovi tributi sostitutivi di quelli oggetto di
affidamento.
Seguono poi una serie di disposizioni procedimentali sul funzionario responsabile del tributo, sui
poteri di accesso ai locali ed aree assoggettabili a tributo, sulle ipotesi di mancata collaborazione
del contribuente, sulla disciplina sanzionatoria, sulla possibilità di introdurre circostanze attenuanti
o esimenti e sul rinvio al "mini testo unico sui tributi locali" contenuto nella Legge finanziaria 2007.
Viene fatta comunque salva l'applicazione del già citato art. 52, D.Lgs. 446/1997 (potestà
regolamentare degli enti locali), e della disciplina sull'Imu.
Viene invece abrogato l'art. 14, D.L. 201/2011, con cui è stata istituita la Tares.
Conseguentemente, si prevede che le attività di accertamento e riscossione della maggiorazione
della Tares di cui al co. 13 del predetto art. 14 che si applicherà solo per il 2013 e sarà destinata
allo Stato sono svolte dai Comuni, cui spettano le maggiori somme derivanti dallo svolgimento
dell'attività a titolo di maggiorazione, interessi e sanzioni.
Per l'accertamento, la riscossione ed il contenzioso si applicano quindi le disposizioni vigenti in
materia di tributo comunale sui rifiuti e sui servizi.
Infine, si ribadisce la facoltà per i Comuni di istituire l'imposta di scopo di cui all'art. 1, co. 145, L.
296/2006 (Legge finanziaria 2007), per finanziare la realizzazione di opere pubbliche.
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Economia, fisco,agevolazioni e incentivi
Impianti fotovoltaici - Accatastamento e disciplina fiscale chiarimenti
della C.M. 36/E/2013
Con la C.M. 19.12.2013 n. 36/E l'Agenzia delle Entrate fornisce alcuni chiarimenti riguardanti le
problematiche del fotovoltaico, partendo dalla questione legata all'accatastamento degli impianti
che, nel corso degli ultimi anni, ha creato moltissime incertezze.
Al fine di giungere ad un inquadramento uniforme della questione, l'Agenzia delle Entrate, traccia
le indicazioni dell'Agenzia del Territorio in materia di classificazione catastale, richiamando a tal
proposito le disposizioni di cui all'art. 40, D.P.R. 1.12.1949, n. 1142 ed all'art. 2 D.M. 2.1.1998, n.
28, con i quali il Legislatore nazionale ha definito e precisato il concetto di unità immobiliare.
L'Agenzia analizza inoltre gli effetti della qualifica di un impianto fotovoltaico tra i beni immobili, sia
per quanto riguarda gli aspetti legati alla cessione e locazione, andando a vedere il corretto
trattamento ai fini Iva, in applicazione dell'art. 10, n. 8, 8-bis e 8-ter, D.P.R. 633/1972, sia per
quanto riguarda la disciplina dell'ammortamento, di cui all'art. 102, D.P.R. 917/1986.
Leonardo Pietrobon, Il Sole 24 ORE – La Settimana Fiscale, 29 gennaio 2014, n. 4
IMPIANTI FOTOVOLTAICI - "QUESTIONE" CATASTALE: l'Agenzia delle Entrate, con la C.M.
36/E/2013, ripercorre, anche dal punto di vista cronologico, la propria opinione in merito alla
qualifica mobiliare degli impianti fotovoltaici che la vedeva contrapposta alla posizione espressa
dall'Agenzia del Territorio che, invece, basando la propria posizione sui concetti di autonomia
funzionale e reddituale, è sempre stata favorevole per attribuire generalmente la qualifica
"immobiliare" agli impianti fotovoltaici.
Rispetto alle indicazioni fornite nel corso degli ultimi anni con le CC.MM. 46/E/2007, 38/E/2008 e
38/E/2010, con le quali le Entrate hanno sostenuto la qualifica "mobiliare" degli impianti
fotovoltaici, la stessa Agenzia si "adegua" alle ultime indicazioni fornite dall'Agenzia del Territorio
con la Nota 22.6.2012, n. 31892. A tal proposito, l'Agenzia delle Entrate richiamando quanto
stabilito dal Territorio afferma che:
• gli immobili ospitanti le centrali elettriche a pannelli fotovoltaici devono essere accatastati
nella categoria "D/1 - opifici" e che nella determinazione della relativa rendita catastale
devono essere inclusi i pannelli fotovoltaici, in quanto ne determinano il carattere
sostanziale di centrale elettrica e, quindi, di opificio;
• le installazioni fotovoltaiche poste su edifici e quelle realizzate su aree di pertinenza, comuni
o esclusive, di fabbricati o unità immobiliari censiti al Catasto edilizio urbano, non devono
essere accatastate autonomamente, in quanto possono assimilarsi agli impianti di
pertinenza degli immobili. Sussiste, comunque la necessità di procedere, con dichiarazione
di variazione da parte del soggetto interessato, alla rideterminazione della rendita dell'unità
immobiliare nella misura del 15% o superiore, in base alle disposizioni catastali
dell'Amministrazione competente;
• gli impianti di modesta entità (ad esempio quelli domestici), invece, non devono essere
accatastati e non comportano l'insorgenza di alcun obbligo in capo al soggetto interessato.
A sostegno della necessità di accatastamento, come sopra riportata, l'Agenzia ora afferma
l'irrilevanza del fatto che i componenti degli impianti fotovoltaici, quali possono essere i
moduli/pannelli fotovoltaici, siano facilmente amovibili.
Rispetto a tale ultima categoria di impianti fotovoltaici, l'Agenzia, mutuando i concetti espressi
dall'Agenzia del Territorio nella citata nota del 2012, afferma che devono essere considerati
impianti di modesta entità quegli impianti che soddisfano almeno uno dei seguenti requisiti:
• la potenza nominale dell'impianto fotovoltaico non è superiore a 3 kilowatt per ogni unità
immobiliare servita dall'impianto stesso;
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la potenza nominale complessiva, espressa in kilowatt, non è superiore a tre volte il numero
delle unità immobiliari le cui parti comuni sono servite dall'impianto, indipendentemente
dalla circostanza che sia installato al suolo oppure sia architettonicamente o parzialmente
integrato ad immobili già censiti al Catasto edilizio urbano;
• per le installazioni ubicate al suolo, il volume individuato dall'intera area destinata
all'intervento (comprensiva, quindi, degli spazi liberi che dividono i pannelli fotovoltaici) e
dall'altezza relativa all'asse orizzontale mediano dei pannelli stessi è inferiore a 150 m.
Fortunatamente l'Agenzia, conscia dell'enorme confusione esistente sulla questione fino alla data di
pubblicazione del documento di prassi in commento, ha stabilito che i comportamenti tenuti dai
contribuenti ai fini delle imposte dirette ed indirette, sulla base delle diverse indicazioni rese con
precedenti documenti di prassi, devono essere considerati corretti, in pieno rispetto dell'art. 10, L.
27.7.2000, n. 212 (Statuto del contribuente).
•
IMPIANTI con e SENZA OBBLIGHI CATASTALI
Impianto
con
obblighi
(classificazione immobiliare)
catastali Impianto
senza
obblighi
(classificazione mobiliare)
Sono considerati beni immobili i seguenti
impianti fotovoltaici:
- gli immobili ospitanti le centrali elettriche a
pannelli fotovoltaici devono essere accatastati
nella categoria catastale D/1, includendo nella
rendita catastale anche i pannelli fotovoltaici;
- le installazioni fotovoltaiche poste su edifici e
quelle realizzate su aree di pertinenza, comuni o
esclusive, di fabbricati o unità immobiliari censiti
al Catasto edilizio urbano, non devono essere
accatastate autonomamente, ma è necessario
procedere con una richiesta di variazione della
rendita dell'unità immobiliare nella misura del
15% o superiore, in base alle disposizioni
catastali dell'Amministrazione competente.
catastali
Impianti di modesta entità, quali:
- gli impianti di potenza nominale non superiore
a 3 kw per ogni unità immobiliare servita
dall'impianto;
- impianti la cui potenza nominale non è
superiore a 3 volte il numero delle unità
immobiliari servite le cui parti comuni sono
servite dall'impianto;
- gli impianti ubicati al suolo: il volume
individuato
dall'intera
area
destinata
all'intervento (comprensiva, quindi, degli spazi
liberi che dividono i pannelli fotovoltaici) e
dall'altezza relativa all'asse orizzontale mediano
dei pannelli stessi è inferiore a m. 150.
ATTIVITA' AGRICOLA e RURALITA' degli IMMOBILI OSPITANTI gli IMPIANTI: con la C.M.
36/E/2013 l'Agenzia richiama i concetti esposti nella C.M. 6.7.2009, n. 32/E, rendendo i requisiti
per l'accesso al concetto di attività agricola connessa meno stringenti.
In particolare, rispetto alle precedenti indicazioni, l'Agenzia non ritiene più necessaria la condizione
che i terreni di proprietà o nella disponibilità dell'imprenditore agricolo, per la produzione di energia
elettrica, siano ubicati nello stesso Comune o in Comuni limitrofi a quelli in cui svolge l'attività
agricola "tradizionale".
Di conseguenza, le condizioni che permettono di qualificare la produzione di energia elettrica da
fonte fotovoltaica come un'attività agricola connessa, ex co. 3 dell'art. 2135 c.c., sono i seguenti:
Per quanto concerne, invece, gli immobili ospitanti le installazioni fotovoltaiche, censiti
autonomamente e strumentali alle attività agricole per connessione alle stesse secondo l'Agenzia
delle Entrate è attribuita la categoria D/10 "fabbricati per funzioni produttive connesse alle attività
agricole".
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PRODUZIONE di ENERGIA ELETTRICA da FONTE FOTOVOLTAICA ATTIVITA' AGRICOLA
Requisiti generali
I terreni di proprietà o nella disponibilità dell'imprenditore agricolo devono
essere condotti dal medesimo imprenditore.
Requisiti oggettivi
- l'energia elettrica da fonte fotovoltaica derivante dai primi 200 Kw si
considera sempre connessa all'attività agricola;
- l'energia elettrica eccedente i primi 200 Kw per essere considerata
connessa all'attività agricola deve rispettare uno dei seguenti requisiti:
-- la produzione di energia deriva da impianti con integrazione
architettonica o parziale;
-- il volume d'affari dell'attività agricola (attività tradizionale esclusa la
produzione di energia elettrica) deve essere superiore al volume d'affari
della produzione di energia elettrica eccedente i 200 Kw;
-- entro il limite di 1 Mw per azienda, per ogni 10 Kw di potenza nominale
eccedente i primi 200 Kw, l'imprenditore deve dimostrare di detenere
almeno un ettaro di terreno per l'attività agricola.
AMMORTAMENTO degli IMPIANTI FOTOVOLTAICI: le indicazioni fornite in merito alla qualifica
immobiliare o mobiliare di un impianto fotovoltaico devono essere lette ed interpretate anche per
risolvere la questione legata all'ammortamento degli stessi impianti.
Con la C.M. 36/E/2013, infatti, l'Agenzia conferma che nel caso in cui l'impianto assuma la qualifica
di bene mobile la corretta aliquota di ammortamento è pari al 9%, mentre nel caso in cui l'impianto
fotovoltaico sia qualificato come bene immobile, lo stesso deve essere sottoposto al processo di
ammortamento in base all'aliquota del 4%, così come previsto per gli immobili del settore energia
termoelettrica ed, in particolare, per i "fabbricati destinati all'industria". In tale ultima ipotesi,
ricorda l'Agenzia si rende inoltre necessario procedere con lo scorporo del valore del terreno, così
come previsto dall'art. 36, D.L. 223/2006.
Nel caso in cui, invece, l'immobile sul quale vengono integrati i pannelli fotovoltaici, totalmente o
parzialmente, sia di proprietà di terzi, a parere dell'Agenzia, nel rispetto dell'Oic 24, il relativo costo
si configura come una spesa di manutenzione straordinaria non capitalizzabile e, quindi, ascrivibile
tra i costi per migliorie e spese incrementative su beni di terzi se non è separabile dai beni
immobili.
In tal caso il costo è fiscalmente deducibile secondo le disposizioni di cui all'art. 108, D.P.R.
917/1986.
ASPETTI IVA: in merito alle problematiche legate all'Iva, l'Agenzia delle Entrate fa presente che la
classificazione mobiliare o immobiliare determina anche la corretta applicazione del D.P.R.
633/1972.
In particolare, l'Agenzia fa presente che:
• nell'ipotesi in cui l'impianto assuma la qualifica di bene immobile trovano applicazione da un
lato le disposizioni di cui all'art. 10, co. 8-bis (per i lastrici solari F/5) e 8-ter (per gli opifici D/1) e dall'altro lato le regole di cui all'art. 7-quater lett. a), D.P.R. 633/1972, al fine di
stabilire la territorialità delle prestazioni di servizi;
• nell'ipotesi in cui, invece, l'impianto fotovoltaico sia qualificabile come bene mobile, trovano
applicazione, ai fini della territorialità, le regole di cui all'art. 7-bis e 7-ter, D.P.R. 633/1972,
in riferimento alle prestazioni di servizi.
In merito alla corretta aliquota Iva applicabile alle cessioni ed alle locazioni di impianti fotovoltaici,
l'Agenzia delle Entrate ricorda che già con la C.M. 46/E/2007 ha richiamato le disposizioni di cui al
n. 127-quinques, Tabella A, Parte Terza, D.P.R. 633/1972, secondo cui è applicabile l'aliquota del
10% per "impianti di produzione e reti di distribuzione calore-energia e di energia elettrica da fonte
solare-fotovoltaica ed eolica".
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Nell'ipotesi in cui, invece, l'impianto fotovoltaico sia installato sul lastrico solare ma lo stesso non
goda di una propria autonomia catastale, la relativa cessione o locazione segue lo stesso
trattamento Iva previsto per l'immobile sul quale è installato. Di conseguenza, è necessario
verificare la classificazione catastale dell'immobile ospitante, al fine di trattare la cessione o
locazione in modo corretto ai fini Iva.
Alla stessa conclusione si giunge anche con riferimento ad un impianto fotovoltaico che assume il
vincolo pertinenziale di un immobile, ex art. 817 c.c.
In tale caso, l'Agenzia ricorda che alla cessione degli impianti fotovoltaici, qualificati come immobili
pertinenziali, è applicabile, ai fini Iva, la stessa disciplina dettata per le cessioni dei fabbricati cui
accedono.
Nel caso in cui oggetto della locazione sia il terreno, su cui è installato l'impianto fotovoltaico, è
necessario distinguere a seconda che:
• il terreno non sia suscettibile di utilizzazione edificatoria, in tal caso la locazione rientra nel
regime naturale di esenzione ai fini Iva, in applicazione dell'art. 10, n. 8, D.P.R. 633/1972;
• il terreno ove è ubicato l'impianto sia, invece, suscettibile di utilizzazione edificatoria, la
relativa locazione risulta essere imponibile ai fini Iva.
Sempre con riferimento alle problematiche Iva, l'Agenzia affronta la questione legata all'eventuale
richiesta di rimborso dell'Iva assolta al momento dell'acquisto o costruzione di un impianto
fotovoltaico.
In particolare, l'Agenzia afferma che nel caso in cui l'impianto sia installato su un immobile di terzi,
l'Iva assolta a monte non può essere chiesta a rimborso, ex art. 30, D.P.R. 633/1972, in quanto lo
stesso impianto - sempre a detta dell'Agenzia - non costituisce bene ammortizzabile, bensì come
un costo per migliorie e spese incrementative su beni di terzi.
COSTO DEDUCIBILE
Tipologia di impianto
Deducibilità del costo
Impianto fotovoltaico qualificabile come bene Ammortamento nella misura del 4%
immobile
Impianto fotovoltaico qualificabile come bene Ammortamento nella misura del 9%
mobile
Se non è separabile dall'immobile il costo è
deducibile, ex art. 108, D.P.R. 917/1986.
Impianto fotovoltaico installato su immobile di Se è separabile dall'immobile, è iscrivibile tra le
terzi
immobilizzazioni materiali e ammortizzato in
base all'art. 102, D.P.R. 917/1986, secondo le
sopra riportate aliquote di ammortamento.
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IMPIANTI - REGIME IVA
Tipologia di impianto
Regime Iva di cessione
Regime naturale di esenzione,
salvo il regime di imponibilità
applicato:
- nel caso di cessione dalle
imprese
di
costruzione
ristrutturazione entro 5 anni
Impianto
fotovoltaico dall'ultimazione;
catastalmente classificato nelle - nel caso in cui il cedente
categorie D/1 o D/10
abbia
manifestato
in
atto
l'opzione
per
l'applicazione
dell'Iva.
Regime Iva applicabile alle
prestazioni di servizi
Nel caso in cui sussistano le
condizioni:
- presenza di un appaltatore e
subappaltatore;
- entrambi svolgano un'attività
edile riconducibile ad una delle
attività elencate nella sezione
"Costruzioni" della tabella Ateco
2007;
- oggetto del contratto sia una
prestazione di servizi, ossia
l'installazione presso il cliente
dell'impianto
fotovoltaico
richiesto trova applicazione il
regime del reverse charge.
SOCIETA' di COMODO: in merito alla problematica legata alla normativa sulle società di comodo,
il documento di prassi in commento presenta un'importante apertura per una sorta di
disapplicazione oggettiva della citata disciplina.
In particolare, l'Agenzia, prendendo atto che il mercato relativo alla produzione e vendita
dell'energia elettrica derivante da fonte fotovoltaica si configura in genere come un mercato
vincolato, afferma che in caso di mancato superamento del test di operativita` da parte di un
contribuente che ha scelto la vendita indiretta, ai fini dell'accoglimento dell'istanza di
disapplicazione lo stesso può addurre come giustificazione la circostanza che la vendita dell'energia
avviene sulla base di specifici contratti stipulati con il Gse che impone al produttore i prezzi di
vendita.
Nel caso, in cui, invece, il contribuente scelga la vendita diretta il mancato superamento del test di
operatività impone al contribuente di dimostrare, di volta in volta, l'esistenza di quelle situazioni
oggettive che non hanno permesso il conseguimento di ricavi utili al superamento del citato test.
ASPETTI FISCALI del CONTO ENERGIA: con riferimento al corretto trattamento tributario delle
somme percepite in base al Conto energia (il V per gli ultimi impianti fotovoltaici entrati in
funzione), l'Agenzia delle Entrare ritiene ancora attuali le indicazioni fornite con la C.M. 46/E/2007,
relative alla previgente tariffa incentivante.
In particolare, per l'Agenzia delle Entrate la tariffa premio, ai fini fiscali, è assimilabile alla già citata
e conosciuta tariffa incentivante, ricondotta in tutto e per tutto ad un contributo a fondo perduto e
sottoposta al seguente trattamento fiscale:
• ai fini Iva risulta esclusa dal campo di applicazione;
• ai fini delle imposte dirette e dell'Irap, rappresenta una componente imponibile se percepita
nell'ambito di un'attivita` commerciale;
• ai fini delle ritenute, è assoggettata alla ritenuta alla fonte a titolo di acconto del 4%, ai
sensi del co. 2 dell'art. 28, D.P.R. 600/1973, qualora sia corrisposta ad imprese o ad enti
non commerciali per gli impianti che attengono all'attivita` commerciale.
Per quanto concerne, invece, la tariffa omnicomprensiva, ossia l'incentivo che viene erogato dal
Gse al responsabile dell'impianto fotovoltaico in relazione all'energia immessa in rete, a parere
dell'Agenzia la stessa assume rilevanza fiscale (sia ai fini delle imposte dirette, Iva ed Irap) nel
caso in cui sia percepita da un soggetto che svolge attività commerciale o agricola ai sensi degli
artt. 2195 e 2135 c.c.
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IMPIANTI - AMMORTAMENTO e REGIME IVA
Qualifica
impianti
immobiliare
Sono considerati beni immobili i seguenti impianti fotovoltaici:
- gli immobili ospitanti le centrali elettriche a pannelli
fotovoltaici;
degli
- le installazioni fotovoltaiche poste su edifici e quelle realizzate
su aree di pertinenza, comuni o esclusive, di fabbricati o unità
immobiliari censiti al Catasto edilizio urbano è prevista una
rivalutazione della rendita dell'immobile ospitante del 15%.
Qualifica mobiliare degli impianti
Sono considerati beni mobili gli impianti di modesta entità.
Ammortamento
Ai fini del processo di ammortamento le aliquote applicabili
sono:
- quella del 4%, nel caso in cui l'impianto sia qualificabile come
immobile;
- del 9% nel caso in cui l'impianto sia qualificabile come bene
mobile.
Regime
Iva
applicabile
impianti fotovoltaici
A secondo della qualifica immobiliare o mobiliare degli impianti
trova applicazione un distinto regime Iva:
- per gli impianti/immobili, trovano applicazione per la cessione
e la locazione le disposizioni di cui all'art. 10, co. 8, 8-bis e 8ter, D.P.R. 633/1972;
agli - per gli impianti/mobili, trovano applicazione, ai fini della
territorialità, le regole di cui all'art. 7-bis e 7-ter, D.P.R.
633/1972, in riferimento alle prestazioni di servizi.
Per quanto concerne l'aliquota Iva applicabile trovano
applicazione le disposizioni di cui al n. 127-quinques, Tabella A,
Parte Terza, D.P.R. 633/1972, secondo cui è applicabile
l'aliquota del 10%.
In particolare, l'Agenzia, prendendo atto che il mercato relativo alla produzione e vendita
dell'energia elettrica derivante da fonte fotovoltaica si configura in genere come un mercato
vincolato, afferma che in caso di mancato superamento del test di operativita` da parte di un
contribuente che ha scelto la vendita indiretta, ai fini dell'accoglimento dell'istanza di
disapplicazione lo stesso può addurre come giustificazione la circostanza che la vendita dell'energia
avviene sulla base di specifici contratti stipulati con il Gse che impone al produttore i prezzi di
vendita.
Nel caso, in cui, invece, il contribuente scelga la vendita diretta il mancato superamento del test di
operatività impone al contribuente di dimostrare, di volta in volta, l'esistenza di quelle situazioni
oggettive che non hanno permesso il conseguimento di ricavi utili al superamento del citato test.
ASPETTI FISCALI del CONTO ENERGIA: con riferimento al corretto trattamento tributario delle
somme percepite in base al Conto energia (il V per gli ultimi impianti fotovoltaici entrati in
funzione), l'Agenzia delle Entrare ritiene ancora attuali le indicazioni fornite con la C.M. 46/E/2007,
relative alla previgente tariffa incentivante.
In particolare, per l'Agenzia delle Entrate la tariffa premio, ai fini fiscali, è assimilabile alla già citata
e conosciuta tariffa incentivante, ricondotta in tutto e per tutto ad un contributo a fondo perduto e
sottoposta al seguente trattamento fiscale:
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ai fini Iva risulta esclusa dal campo di applicazione;
ai fini delle imposte dirette e dell'Irap, rappresenta una componente imponibile se percepita
nell'ambito di un'attività commerciale;
• ai fini delle ritenute, è assoggettata alla ritenuta alla fonte a titolo di acconto del 4%, ai
sensi del co. 2 dell'art. 28, D.P.R. 600/1973, qualora sia corrisposta ad imprese o ad enti
non commerciali per gli impianti che attengono all'attività commerciale.
Per quanto concerne, invece, la tariffa omnicomprensiva, ossia l'incentivo che viene erogato dal
Gse al responsabile dell'impianto fotovoltaico in relazione all'energia immessa in rete, a parere
dell'Agenzia la stessa assume rilevanza fiscale (sia ai fini delle imposte dirette, Iva ed Irap) nel
caso in cui sia percepita da un soggetto che svolge attività commerciale o agricola ai sensi degli
artt. 2195 e 2135 c.c.
•
•
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Economia, fisco,agevolazioni e incentivi
Prorogati i bonus per le ristrutturazioni e il risparmio energetico
Con la legge di Stabilità 2014, il legislatore ha prorogato per più anni le detrazioni per gli interventi
di recupero del patrimonio edilizio, nonché di risparmio energetico, anche se con aliquote variabili
nel corso del tempo.
Alessandro Borgoglio, Il Sole 24 Ore – Consulente Immobiliare, gennaio 2014, n. 945
L’art. 15 del cosiddetto “decreto Ecobonus” dell’anno scorso (D.L. 63/2013) aveva tradotto in
norma quell’esigenza avvertita da più parti di una riforma strutturale dei sistemi di incentivazione
fiscale per l’efficientamento e il risparmio energetico degli edifici, sino ad allora attuata mediante
detrazioni d’imposta “a tempo”. La disposizione, quindi, poneva al legislatore il limite del 31
dicembre 2013 per definire tali «misure e incentivi selettivi di carattere strutturale», estendendo,
peraltro, l’ambito operativo a interventi di adeguamento antisismico, di messa in sicurezza degli
edifici e anche di incremento dell’efficienza idrica. Nelle more di tale riforma, tuttavia, era stata
confermata la detrazione delle spese per gli interventi di risparmio energetico fino al 31 dicembre
2013 (scadente il 30 giugno precedente), ma nella misura del 65% (anziché il 55%), nonché la
detrazione “potenziata” delle spese per gli interventi di recupero del patrimonio edilizio nella
misura del 50% sino al 31 dicembre 2013 (anch’essa scadente il 30 giugno precedente).
Con la legge di Stabilità 2014, che avrebbe potuto rappresentare la sede naturale dell’attuazione
della riforma dei sistemi incentivanti in oggetto, il legislatore, più attento alle esigenze del
quotidiano che ai piani strutturali di ampio respiro, ha nuovamente previsto una proroga di quelle
stesse misure “temporanee”, che continuano a rimanere tali e, anzi, così resteranno ancora per
molto tempo, atteso che la scadenza per la riforma prevista dal “decreto Ecobonus” è stata rinviata
dalla legge di Stabilità addirittura al 31 dicembre 2015.
Non resta, allora, che esaminare le nuove proroghe stabilite dal legislatore, evidenziando da subito
che si tratta di misure valevoli almeno fino alla fine del 2015, anche se modulate diversamente nel
corso del tempo.
Le proroghe della legge di Stabilità 2014
Art. 1, comma 139, lett. b ), della legge 147 del 27.12.2013, che modifica l’art. 14, commi 1 e 2,
del D.L. 63/2013.
Art. 1, comma 139, lett. d ), della legge 147 del 27.12.2013, che modifica l’art. 16, commi 1 e 1bis , del D.L. 63/2013.
Prosegue la detrazione del 65%
Con l’art. 1, comma 48, della legge 220/2010, la detrazione del 55% delle spese per gli interventi
di risparmio energetico di cui all’art. 1, commi da 344 a 347, della legge 296 del 27 dicembre
2006, era stata prorogata fino al 31 dicembre 2011; inoltre, per le spese sostenute nel 2011 la
detrazione sarebbe stata rateizzabile in 10 anni, e non più cinque, come era previsto sino al 2010.
L’art. 4, comma 4, del decreto “salva Italia” (D.L. 201/2011) aveva prorogato ulteriormente le
stesse disposizioni agevolative sino al 31 dicembre 2012, senza nulla modificare nella disciplina di
riferimento. Con il comma 2 dell’art. 11 del D.L. 83/2012, come risultante a seguito della
conversione in legge (legge 134 del 7 agosto 2012), era stata ulteriormente prorogata
l’agevolazione sino al 30 giugno 2013. Infine, l’art. 14, comma 1, del D.L. 63/2013 stabiliva che le
disposizioni di cui al sopra richiamato art. 1, comma 48, della legge 220/2010 si sarebbero
applicate nella misura del 65% anche alle spese sostenute dalla data di entrata in vigore del
decreto, 6 giugno 2013, sino al 31 dicembre 2013. In sostanza, la detrazione del 55% per gli
interventi di risparmio energetico era stata prorogata fino alla fine del 2013 e contestualmente la
misura era stata aumentata al 65%. Peraltro, il comma 2 del sopra indicato art. 14, prevedeva una
proroga maggiore dell’agevolazione per gli interventi sulle parti comuni condominiali di cui agli artt.
1117 e 1117- bis cod. civ. ( riquadro 1 ), nonché per gli interventi che interessavano tutte le unità
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immobiliari di cui si componeva il singolo condominio: in questi casi era stato previsto che la
detrazione del 65% si sarebbe applicata a tutte le spese sostenute dal 6 giugno 2013 sino al 30
giugno
2014.
La legge di Stabilità 2014, intervenendo con l’art. 1, comma 139, lett. b ), sull’art. 14 del D.L.
63/2013 stabilisce ora che la detrazione delle spese per gli interventi di risparmio energetico di cui
all’art. 1, commi da 344 a 347, della legge 296 del 27 dicembre 2006, si applica nella misura del:
65% delle spese sostenute dal 6 giugno 2013 al 31 dicembre 2014;
50% delle spese sostenute dal 1° gennaio 2015 al 31 dicembre 2015.
Per quanto concerne gli interventi sulle parti comuni condominiali, ovvero su tutte le unità
immobiliari di cui si compone il condominio, l’ambito operativo della misura fiscale risulta
temporalmente più esteso, atteso che la legge di Stabilità ne prevede l’applicazione nella misura
del:
65% delle spese sostenute dal 6 giugno 2013 al 30 giugno 2015;
50% delle spese sostenute dal 1° luglio 2015 al 30 giugno 2016.
RIQUADRO 1
Parti comuni condominiali (ai sensi degli artt. 1117 e 1117- bis cod. civ).
Sono oggetto di proprietà comune dei proprietari delle singole unità immobiliari dell’edificio, anche
se aventi diritto a godimento periodico e se non risulta il contrario dal titolo:
tutte le parti dell’edificio necessarie all’uso comune, come il suolo su cui sorge l’edificio, le
fondazioni, i muri maestri, i pilastri e le travi portanti, i tetti e i lastrici solari, le scale, i portoni di
ingresso,
i
vestiboli,
gli
anditi,
i
portici,
i
cortili
e
le
facciate;
le aree destinate a parcheggio nonché i locali per i servizi in comune, come la portineria, incluso
l’alloggio del portiere, la lavanderia, gli stenditoi e i sottotetti destinati, per le caratteristiche
strutturali
e
funzionali,
all’uso
comune;
le opere, le installazioni, i manufatti di qualunque genere destinati all’uso comune, come gli
ascensori, i pozzi, le cisterne, gli impianti idrici e fognari, i sistemi centralizzati di distribuzione e di
trasmissione per il gas, per l’energia elettrica, per il riscaldamento e il condizionamento dell’aria,
per la ricezione radiotelevisiva e per l’accesso a qualunque altro genere di flusso informativo, anche
da satellite o via cavo, e i relativi collegamenti fino al punto di diramazione ai locali di proprietà
individuale dei singoli condomini, ovvero, in caso di impianti unitari, fino al punto di utenza, salvo
quanto disposto dalle normative di settore in materia di reti pubbliche.
Alla scadenza del bonus del 65%-50%, i contribuenti potranno avvalersi della detrazione di cui alla
lett. h ) dell’art. 16- bis del TUIR per gli interventi di risparmio energetico. Ovviamente, però,
trattandosi di una detrazione IRPEF non potrà essere fruita dalle società di capitali e da tutti gli altri
soggetti IRES, che, invece, potranno ancora beneficiare, nell’ambito del reddito d’impresa, della
detrazione in oggetto del 65% fino al 31 dicembre 2014 e poi del 50% fino al 31 dicembre 2015.
Si ricorda che la detrazione deve essere ripartita in dieci quote annue di pari importo e che il limite
massimo di risparmio ottenibile con la detrazione va riferito all’unità immobiliare oggetto
dell’intervento stesso e, pertanto, va suddiviso tra i soggetti detentori o possessori dell’immobile
che partecipano alla spesa, in ragione dell’onere effettivamente sostenuto da ciascuno.
Quando gli interventi realizzati consistono nella prosecuzione di lavori appartenenti alla stessa
categoria effettuati in precedenza sullo stesso immobile, per il calcolo del limite massimo di
detrazione bisogna tener conto anche delle detrazioni fruite negli anni precedenti. Inoltre, per gli
interventi in corso di realizzazione, la detrazione spetta comunque nel periodo d’imposta in cui la
spesa è sostenuta, a condizione che il contribuente attesti che i lavori non sono ancora ultimati.
Si precisa, poi, che, anche se la misura della detrazione è variata e cambierà ancora nel tempo, i
limiti massimi della stessa sono rimasti quelli previsti sin dall’origine, cioè dall’art. 1, commi da 344
a 347, della legge 296 del 27 dicembre 2006, e pertanto a mutare contestualmente all’aliquota è la
spesa massima su cui calcolare la detrazione, come meglio illustrato nell’apposita tabella 1 .
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TABELLA 1
Dall’1.1.2016
Dal 6.6.2013 Dall’1.1.2015 DETRAZIONE
al 31.12.2014 al 31.12.2015 DEL 36% ex
DETRAZIONE DETRAZIONE
art.16- bis
DEL 50%
del TUIR
Tipologia di interventi su unità immobiliari DEL 65%
Riqualificazione energetica di edifici esistenti,
ovvero riqualificazione energetica “globale” che
permettono di seguire un indice di prestazione
energetica per la climatizzazione invernale non
superiore ai valori definiti dall’allegato A del
D.M. sviluppo economico 11.3.2008. Rientrano
in tale tipo di intervento la sostituzione o
l’installazione
impianti
di
climatizzazione
invernale anche con generatori di calore non a
condensazione, con pompe di calore, con
scambiatori per teleriscaldamento, con caldaie
a biomasse gli impianti di cogenerazione,
rigenerazione, gli impianti geotermici e gli
interventi di coibentazione non aventi le
caratteristiche richieste per la loro inclusione
Detrazione
negli interventi descritti ai punti successivi, il Detrazione
Detrazione
riscaldamento, la produzione di acqua calda, massima
di massima
di massima
di
interventi su strutture opache orizzontali € 100.000
€ 100.000
€ 17.280
(coperture e pavimenti), ai sensi dell’art. 1, Limite di spesa Limite di spesa di Limite di spesa
comma 344, della legge 296/2006
di € 153.846,15 € 200.000
di € 48.000
Interventi sull’involucro di edifici esistenti, sue
parti o unità immobiliari, riguardanti strutture
opache orizzontali, verticali (pareti isolanti o
cappotti), finestre comprensive di infissi,
delimitanti il volume riscaldato, verso l’esterno
e verso vani non riscaldati, a condizione che
siano rispettati i requisiti di trasmittanza Detrazione
Detrazione
Detrazione
termica U indicati nell’allegato B del D.M. massima
di massima
di massima
di
sviluppo economico 11.3.2008 come modificato € 60.000
€ 60.000
€ 17.280
dal decreto 26.1.2010, ex art. 1, comma 345, Limite di spesa Limite di spesa di Limite di spesa
della legge 296/2006
di € 92.307,69 € 120.000
di € 48.000
Installazione di pannelli solari per la produzione
di acqua calda per usi domestici o industriali e Detrazione
Detrazione
Detrazione
per la copertura del fabbisogno di acqua calda massima
di massima
di massima
di
in piscine, strutture sportive, case di ricovero e € 60.000
€ 60.000
€ 17.280
cura, istituti scolastici e università, ai sensi Limite di spesa Limite di spesa di Limite di spesa
dell’art. 1, comma 346, della legge 296/2006 di € 92.307,69 € 120.000
di € 48.000
Sostituzione di impianti di climatizzazione Detrazione
Detrazione
Detrazione
invernale, integrale o parziale, con impianti massima
di massima
di massima
di
dotati di caldaie a condensazione e contestuale € 30.000
€ 30.000
€ 17.280
messa a punto del sistema di distribuzione ex Limite di spesa Limite di spesa di Limite di spesa
art. 1, comma 347, della legge 296/2006
di € 46.153,84 € 60.000
di € 48.000
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Dal
6.6.2013 Dal 17.7.2015
Tipologia di interventi su parti comuni condominiali o su al
30.6.2015 al
30.6.2016
tutte le unità immobiliari che compongono il singolo DETRAZIONE
DETRAZIONE
condominio
DEL 65%
DEL 50%
Riqualificazione
energetica
di
edifici
esistenti,
ovvero
riqualificazione energetica “globale” che permettono di
conseguire un indice di prestazione energetica per la
climatizzazione invernale non superiore ai valori definiti
dall’allegato A del D.M. sviluppo economico 11.3.2008.
Rientrano in tale tipo di intervento la sostituzione o
l’installazione impianti di climatizzazione invernale anche con
generatori di calore non a condensazione, con pompe di calore,
con scambiatori per teleriscaldamento, con caldaie a biomasse
gli impianti di cogenerazione, rigenerazione, gli impianti
geotermici e gli interventi di coibentazione non aventi le
caratteristiche richieste per la loro inclusione negli interventi Detrazione
Detrazione
descritti ai punti successivi, il riscaldamento, la produzione di massima
di massima
di
acqua calda, interventi su strutture opache orizzontali € 100.000
€ 100.000
(coperture e pavimenti), ai sensi dell’art. 1, comma 344, della Limite di spesa di Limite di spesa di
legge 296/2006
€ 153.846,15
€ 200.000
Interventi sull’involucro di edifici esistenti, sue parti o unità
immobiliari, riguardanti strutture opache orizzontali, verticali
(pareti isolanti o cappotti), finestre comprensive di infissi,
delimitanti il volume riscaldato, verso l’esterno e verso vani non Detrazione
Detrazione
riscaldati, a condizione che siano rispettati i requisiti di massima
di massima
di
trasmittanza termica U indicati nell’allegato B del D.M. sviluppo € 60.000
€ 60.000
economico 11.3.2008 come modificato dal decreto 26.1.2010, Limite di spesa di Limite di spesa di
ex art. 1, comma 345, della legge 296/2006
€ 92.307,69
€ 120.000
Detrazione
Installazione di pannelli solari per la produzione di acqua calda Detrazione
per usi domestici o industriali e per la copertura del fabbisogno massima
di massima
di
€ 60.000
di acqua calda in piscine, strutture sportive, case di ricovero e € 60.000
cura, istituti scolastici e università, ai sensi dell’art. 1, comma Limite di spesa di Limite di spesa di
346, della legge 296/2006
€ 92.307,69
€ 120.00
Detrazione
Detrazione
Sostituzione di impianti di climatizzazione invernale, integrale o massima
massima
di
parziale, con impianti dotati di caldaie a condensazione e di
€ 30.000 € 30.000
contestuale messa a punto del sistema di distribuzione ex art. Limite di spesa di Limite di spesa di
1, comma 347, della legge 296/2006
€ 46.153,84
€ 60.000
Da ultimo, mette conto di evidenziare che per poter usufruire della detrazione del 65%-50% sono
richiesti tutti i vecchi adempimenti già previsti per il bonus del 55%, a cui il contribuente è tenuto a
pena di nullità. In particolare, per taluni interventi devono essere ottenute certificazioni e attestati
per dimostrare la conformità dei lavori alle specifiche previste dalla legge; inoltre, devono anche
essere trasmesse apposite comunicazione telematiche all’Agenzia delle entrate. Nel riquadro 2 sono
indicati tutti gli adempimenti a oggi richiesti, tenendo conto anche delle semplificazioni introdotte
di recente dal legislatore.
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56
RIQUADRO 2
Adempimenti per usufruire del bonus del 65%-50% per gli interventi di risparmio
energetico.
Le fatture relative agli interventi agevolati devono essere state pagate, per i non titolati di reddito
d’impresa, tramite bonifico bancario o postale da cui risulti, tra l’altro, il codice fiscale del soggetto
erogante il pagamento, nonché il codice fiscale o la partita IVA del beneficiario, oltre che la causale
con l’indicazione della norma agevolativa.
È richiesta l’asseverazione di un tecnico abilitato che attesti la corrispondenza degli interventi alle
specifiche norme previste in materia (nel caso di interventi di sostituzione di finestre e infissi,
nonché di caldaie a condensazione con potenza inferiore a 100 kW, tale asseverazione può essere
sostituita da una certificazione dei produttori).
È necessario l’attestato di certificazione o qualificazione energetica, rilasciato da un tecnico
abilitato, contenente i dati relativi all’efficienza energetica dell’edificio (dall’1.1.2008 non è più
obbligatorio tale documento per gli interventi di sostituzione di infissi e finestre, nonché di
installazione di pannelli solari; la legge 99/2009 ha abolito l’obbligo di dotarsi di tale documento
anche per gli interventi di sostituzione degli impianti di climatizzazione invernale).
Deve essere predisposta la scheda informativa sugli interventi realizzati, redatta da un tecnico
abilitato (per i soli interventi di installazione di pannelli solari e di sostituzione di finestre
comprensive di infissi in singole unità immobiliari, la scheda informativa deve essere redatta dal
soggetto beneficiario della detrazione, in base allo schema di cui all’allegato F del D.M.
19.2.2007).
È richiesto l’invio all’Enea, entro 90 giorni dalla conclusione dei lavori, dei dati contenuti
nell’attestato di certificazione/qualificazione energetica, nonché della scheda informativa relativa
agli interventi realizzati.
Nel caso in cui i lavori di riqualificazione energetica siano proseguiti oltre il periodo d’imposta, è
necessario inviare entro il 31.3 dell’anno seguente un’apposita comunicazione telematica
all’Agenzia
delle
entrate
(adempimento
previsto
a
partire
dal
2009).
Non è invece richiesta alcuna comunicazione preventiva all’inizio dei lavori all’Amministrazione
finanziaria né alla ASL (salvo che non sia richiesto dalle norme in materia di tutela della salute e di
sicurezza sul luogo di lavoro e nei cantieri).
L’obbligo di indicare in fattura il costo della manodopera è stato soppresso dal D.L. 70 del
13.5.2011.
Prorogata la detrazione “potenziata” per le ristrutturazioni
Il decreto “salva Italia” del 2011 ha reso strutturale, a decorrere dal 1° gennaio 2012, la
detrazione delle spese per gli interventi di recupero del patrimonio edilizio, inserendola
nel corpus normativo del TUIR. In particolare, l’art. 4, comma 1, lett. c ), del D.L. 201/2011 ha
aggiunto al predetto Testo unico il nuovo art. 16- bis , recante, appunto, “Detrazioni per interventi
di ristrutturazione, di efficientamento energetico e per spese conseguenti a calamità naturali”.
Il nuovo art. 16- bis reca, in sé, tutta la disciplina del beneficio fiscale de quo , originariamente
introdotto dall’art. 1 della legge 449 del 27 dicembre 1997, e poi modificato e prorogato con le
successive leggi. Tuttavia, per quanto concerne le disposizioni attuative, ai sensi del comma 9 del
nuovo art. 16- bis , rimane ancora applicabile, in quanto compatibile, il regolamento di cui al D.M.
41 del 18 febbraio 1998.
Il comma 1 del predetto art. 16- bis dispone che dall’IRPEF lorda si detrae un importo pari al 36%
delle spese documentate, fino a un ammontare complessivo delle stesse non superiore a € 48.000
per unità immobiliare, sostenute ed effettivamente rimaste a carico dei contribuenti che possiedono
o detengono, sulla base di un titolo idoneo, l’immobile sul quale sono effettuati gli interventi
sostanzialmente già previsti dalla precedente normativa. Il comma elenca dettagliatamente tutti gli
interventi agevolabili, come illustrati nella tabella 2 .
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TABELLA 2
Detrazione delle spese per interventi di recupero del patrimonio edilizio e di
lett. riqualificazione energetica degli edifici di cui all’art. 16- bis del TUIR
Sulle parti comuni dell’edificio residenziale:
a. «interventi di manutenzione ordinaria»: gli interventi edilizi che riguardano le opere di
riparazione, rinnovamento e sostituzione delle finiture degli edifici e quelle necessarie a
integrare o mantenere in efficienza gli impianti tecnologici esistenti;
b. «interventi di manutenzione straordinaria»: le opere e le modifiche necessarie per
rinnovare e sostituire parti anche strutturali degli edifici, nonché per realizzare e integrare i
servizi igienico-sanitari e tecnologici, sempre che non alterino i volumi e le superfici delle
singole unità immobiliari e non comportino modifiche delle destinazioni di uso;
c. «interventi di restauro e di risanamento conservativo»: gli interventi edilizi rivolti a
conservare l’organismo edilizio e ad assicurarne la funzionalità mediante un insieme
sistematico di opere che, nel rispetto degli elementi tipologici, formali e strutturali
dell’organismo stesso, ne consentano destinazioni d’uso con essi compatibili. Tali interventi
comprendono il consolidamento, il ripristino e il rinnovo degli elementi costitutivi dell’edificio,
l’inserimento degli elementi accessori e degli impianti richiesti dalle esigenze dell’uso,
l’eliminazione degli elementi estranei all’organismo edilizio;
d. «interventi di ristrutturazione edilizia»: gli interventi rivolti a trasformare gli organismi
edilizi mediante un insieme sistematico di opere che possono portare a un organismo edilizio
in tutto o in parte diverso dal precedente. Tali interventi comprendono il ripristino o la
sostituzione di alcuni elementi costitutivi dell’edificio, l’eliminazione, la modifica e l’inserimento
di nuovi elementi e impianti. Nell’ambito degli interventi di ristrutturazione edilizia sono
ricompresi anche quelli consistenti nella demolizione e ricostruzione con la stessa volumetria e
sagoma di quello preesistente, fatte salve le sole innovazioni necessarie per l’adeguamento
A) alla normativa antisismica.
Sulle singole unit à immobiliari residenziali di qualsiasi categoria catastale e relative
pertinenze:
b. «interventi di manutenzione straordinaria»;
c. «interventi di restauro e di risanamento conservativo»;
B) d. «interventi di ristrutturazione edilizia».
Interventi necessari alla ricostruzione o al ripristino dell’immobile danneggiato a seguito di
eventi calamitosi, ancorché non rientranti nelle precedenti lett. a ) e b ) del comma 1 dell’art.
16- bis , sempreché sia stato dichiarato lo stato di emergenza, anche anteriormente alla data
C) di entrata in vigore della presente disposizione.
Interventi relativi alla realizzazione di autorimesse o posti auto pertinenziali anche a proprietà
D) comune.
Interventi finalizzati alla eliminazione delle barriere architettoniche, aventi a oggetto ascensori
e montacarichi, alla realizzazione di ogni strumento che, attraverso la comunicazione, la
robotica e ogni altro mezzo di tecnologia più avanzata, sia adatto a favorire la mobilità interna
ed esterna all’abitazione per le persone portatrici di handicap in situazione di gravità, ai sensi
E) dell’art. 3, comma 3, della legge 104 del 5.2.1992.
Interventi relativi all’adozione di misure finalizzate a prevenire il rischio del compimento di atti
F) illeciti da parte di terzi (per esempio, installazione di un portoncino blindato d’ingresso).
Interventi relativi alla realizzazione di opere finalizzate alla cablatura degli edifici, al
G) contenimento dell’inquinamento acustico.
Interventi relativi alla realizzazione di opere finalizzate al conseguimento di risparmi energetici
con particolare riguardo all’installazione di impianti basati sull’impiego delle fonti rinnovabili di
energia. Le predette opere possono essere realizzate anche in assenza di opere edilizie
propriamente dette, acquisendo idonea documentazione attestante il conseguimento di
H) risparmi energetici in applicazione della normativa vigente in materia.
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Interventi relativi all’adozione di misure antisismiche con particolare riguardo all’esecuzione di
opere per la messa in sicurezza statica, in particolare sulle parti strutturali, per la redazione della
documentazione obbligatoria atta a comprovare la sicurezza statica del patrimonio edilizio,
nonché per la realizzazione degli interventi necessari al rilascio della suddetta documentazione.
Gli interventi relativi all’adozione di misure antisismiche e all’esecuzione di opere per la messa in
sicurezza statica devono essere realizzati sulle parti strutturali degli edifici o complessi di edifici
collegati strutturalmente e comprendere interi edifici e, ove riguardino i centri storici, devono
I) essere eseguiti sulla base di progetti unitari e non su singole unità immobiliari.
L) Interventi di bonifica dall’amianto e di esecuzione di opere volte a evitare gli infortuni domestici.
Il “decreto Crescita” di due anni fa (D.L. 83/2012) aveva previsto, al comma 1 dell’art. 11,
l’innalzamento dal 36% al 50% della detrazione delle spese per tutti gli interventi elencati nel
predetto art. 16- bis , ancorché limitatamente alle spese sostenute dal 26 giugno 2012 (data di
entrata in vigore del decreto) sino al 30 giugno 2013. Inoltre, il comma 1 dell’art. 11 già
menzionato aveva altresì stabilito che nello stesso periodo, ovvero dal 26 giugno 2012 al 30 giugno
2013, era aumentato il limite di spesa su cui calcolare la nuova detrazione del 50%, che passava
dai precedenti € 48.000 ai nuovi € 96.000, ovvero il doppio di quello di prima.
L’art. 16 del D.L. 63/2013, al comma 1, si era limitato a sostituire le parole «30 giugno 2013»
dell’art. 11, comma 1, del D.L. 83/2012 con «31 dicembre 2013». In tal modo, la detrazione
«potenziata» al 50% e con limite di spesa aumentato a € 96.000 era stata prorogata sino alla fine
del 2013.
La legge di Stabilità 2014 dispone ora una nuova proroga della detrazione potenziata. In
particolare, l’articolo 1, comma 139, lett. d ), della legge 147/2013, intervenendo sull’art. 16 del
D.L. 63/2013, dispone che la detrazione per gli interventi di cui all’art. 16- bis , comma 1, del
TUIR, spetta, su una spesa massima di € 96.000 per unità immobiliare, nella misura del:
50% delle spese sostenute dal 26 giugno 2012 al 31 dicembre 2014;
40% delle spese sostenute dal 1° gennaio 2015 al 31 dicembre 2015.
La norma fa salve le ulteriori disposizioni recate dai successivi commi dell’articolo 16- bis citato e,
quindi, al momento non è ancora chiaro se la medesima detrazione possa trovare applicazione, così
come rimodulata dalla legge di Stabilità 2014, anche in riferimento all’acquisto di immobili già
ristrutturati da imprese di costruzione o ristrutturazione immobiliare, per cui il comma 3 stabilisce
che la detrazione spetta al successivo acquirente o assegnatario delle singole unità immobiliari, in
ragione di un’aliquota del 36% del valore degli interventi eseguiti, che si assume in misura pari al
25% del prezzo dell’unità immobiliare risultante nell’atto pubblico di compravendita o di
assegnazione e, comunque, entro l’importo massimo di € 48.000. In proposito, occorrerà
attendere conferme dal Fisco, anche se nell’analoga situazione precedente dell’art. 11, comma 1,
del D.L. 83/2012, l’Agenzia delle entrate aveva stabilito (circ. n. 29/E/2013, par. 2.1) che la
detrazione potenziata del 50% si applica anche per l’acquisto degli immobili già ristrutturati di cui
al comma 3 dell’art. 16- bis del TUIR.
Si evidenzia, poi, che, in sede di conversione in legge del D.L. 63/2013, era stata introdotta
un’importante novità: l’art. 16, comma 1- bis , del decreto, infatti, stabiliva che, per le spese
sostenute per gli interventi antisismici di cui all’art. 16- bis , comma 1, lett. i ), del TUIR, le cui
procedure autorizzatorie fossero state attivate dopo il 4 agosto 2013 (data di entrata in vigore
della legge di conversione del decreto) su edifici ricadenti nelle zone sismiche ad alta pericolosità,
riferite a costruzioni adibite ad abitazione principale o ad attività produttive, spettava, fino al 31
dicembre 2013, una detrazione dall’imposta lorda pari al 65%, fino a un ammontare complessivo
delle stesse non superiore a € 96.000 per unità immobiliare.
La legge di Stabilità 2014, modificando con il suo art. 1, comma 139, lett. d ), n. 2), il sopra citato
art. 16, comma 1- bis , del D.L. 63/2013, estende ulteriormente l’ambito temporale della
detrazione “rafforzata” per gli interventi antisismici (da ripartire in 10 anni, cfr. circ. n. 29/E/2013),
stabilendone la spettanza, sempre entro i limiti della spesa massima di € 96.000 per unità
immobiliare, nella misura del:
65% delle spese sostenute fino al 31 dicembre 2014;
50% delle spese sostenute dal 1° gennaio 2015 sino al 31 dicembre 2015.
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Detrazione d’imposta per gli interventi di cui all’art. 16- bis del TUIR
Dal
Fino
al 26.6.2012
Dall’1.1.2015
25.6.2012
al 31.12.2014 al 31.12.2015 Dall’1.1.2016
Detrazione IRPEF
36%
50%
40%
36%
Limite di spesa per unità
immobiliare
€ 48.000
€ 96.000
€ 96.000
€ 48.000
Detrazione massima
€ 17.280
€ 48.280
€ 38.400
€ 17.280
Da ultimo, si ricorda che per la fruizione della detrazione in oggetto sono previsti specifici
adempimenti, quali, per esempio, il pagamento delle fatture mediante bonifico speciale, nonché
l’indicazione in dichiarazione di determinate informazioni, come più dettagliatamente rappresentato
nel riquadro 3 .
RIQUADRO 3 Adempimenti per fruire della detrazione di cui all’art. 16- bis del TUIR.
1. Prima dell’inizio dei lavori deve essere inviata all’ASL competente per territorio, mediante
raccomanda A/R, la comunicazione di inizio lavori, salvo i casi in cui ciò non sia previsto dall’art.
99, comma 1, del D.Lgs. 81/2008.
2. Il pagamento delle fatture relative ai lavori deve essere effettuato tramite bonifico bancario o
postale da cui risulti la causale del versamento con l’indicazione della norma agevolativa, il codice
fiscale del soggetto che effettua il pagamento, nonché il numero di partita IVA o il codice fiscale del
soggetto a favore del quale è effettuato il bonifico (quando vi sono più soggetti che sostengono la
spesa, e tutti intendono fruire della detrazione, il bonifico deve riportare il numero di codice fiscale
delle persone interessate al beneficio fiscale; se il bonifico contiene l’indicazione del codice fiscale
del solo soggetto che fino al 13.5.2011 era obbligato a presentare il modulo di comunicazione al
Centro operativo di Pescara, gli altri aventi diritto, per ottenere la detrazione, devono riportare in
un apposito spazio della dichiarazione dei redditi il codice fiscale indicato sul bonifico).
3. Fino al 13.5.2011, occorreva inviare, con raccomandata, al Centro operativo di Pescara
dell’Agenzia delle entrate, l’apposita comunicazione preventiva di inizio dei lavori, contenente, tra
l’altro, l’indicazione dei dati catastali identificativi dell’immobile oggetto di intervento. Dal
14.5.2011, invece, in forza dell’art. 7, comma 2, lett. q ), del D.L. 70/2011, tale adempimento è
stato
soppresso
e
in
sua
sostituzione
è
stato
previsto
che
il
contribuente:
indichi nella dichiarazione dei redditi:
i
dati
catastali
identificativi
dell’immobile
oggetto
di
interventi
agevolati;
gli estremi di registrazione dell’atto che ne costituisce titolo, come, per esempio, il contratto
d’affitto, se i lavori sono effettuati dal detentore (per esempio, il conduttore);
gli altri dati richiesti ai fini del controllo da detrazione;
conservi ed esibisca, a richiesta dell’Agenzia delle entrate, i documenti previsti dal provv. Agenzia
delle entrate n. 149646 del 2.11.2011, ovvero:
abilitazioni amministrative in relazione alla tipologia di lavori da realizzare (concessione,
autorizzazione o comunicazione di inizio lavori). Se queste abilitazioni non sono previste è
sufficiente una dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà in cui deve essere indicata la data di
inizio dei lavori e attestare che gli interventi di ristrutturazione edilizia posti in essere rientrano tra
quelli agevolabili (cfr. ris. n. 325/E/2007);
domanda di accatastamento per gli immobili non ancora censiti;
ricevute di pagamento dell’ICI/IMU, se dovuta;
delibera assembleare di approvazione dell’esecuzione dei lavori e tabella millesimale di ripartizione
delle spese per gli interventi riguardanti parti comuni di edifici residenziali;
in caso di lavori effettuati dal detentore dell’immobile, se diverso dai familiari conviventi,
dichiarazione di consenso del possessore all’esecuzione dei lavori;
comunicazione preventiva contenente la data di inizio dei lavori da inviare all’Azienda sanitaria
locale, se obbligatoria secondo le disposizioni in materia di sicurezza dei cantieri;
fatture e ricevute fiscali relative alle spese effettivamente sostenute;
ricevute dei bonifici di pagamento.
4. Fino al 13.5.2011, le fatture relative agli interventi agevolati dovevano recare, a pena di
decadenza, la separata indicazione del costo della manodopera. Dal 14.5.2011, l’art. 7, comma 2,
lett. r ), del D.L. 70/2011 ha abolito tale obbligo di indicazione in fattura e non ha introdotto, in sua
sostituzione, alcun nuovo adempimento.
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Cass., sent. n. 100, 8.1.2010
«Secondo consolidati canoni ermeneutici di questa Corte (che non vi è motivo di disattendere), in
tema di agevolazioni tributarie e con riguardo ai benefici per l’acquisto della “prima casa”, l’art. 1,
comma 4, e nota 2abis , della tariffa, parte prima, allegata al D.P.R. 131, 26.4.1986 nel prevedere,
tra le altre condizioni per l’applicazione dell’aliquota ridotta dell’imposta di registro, la non
possidenza di altra abitazione si riferisce, anche alla luce della ratio della disciplina, a una
disponibilità non meramente oggettiva, bensì soggettiva, nel senso che ricorre il requisito
dell’applicazione del beneficio, anche all’ipotesi di disponibilità di un alloggio che non sia
concretamente idoneo, per dimensioni e caratteristiche complessive, a sopperire ai bisogni abitativi
suoi e della famiglia».
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Edilizia e urbanistica
Rivalutazione dei terreni: riaperti i termini
Il comma 156 della legge di Stabilità per il 2014 ha riaperto, ancora una volta, i termini per
effettuare la rideterminazione facoltativa, ma a pagamento, del valore dei terreni agricoli o
edificabili, inclusi quelli lottizzati, di cui all’art. 67, comma 1, lett. a ) e b ), del D.P.R. 917/1986
Stefano Baruzzi, Il Sole 24 Ore – Consulente immobiliare, gennaio 2014, n. 945
La legge di Stabilità per il 2014 ha riproposto, ancora una volta, la riapertura dei termini per
operare la rivalutazione dei terreni agricoli e di quelli edificabili, inclusi quelli lottizzati .
Si tratta di una facoltà per il contribuente non di un obbligo che in molti casi può risultare
interessante, ma che non è gratuita : occorre versare un’imposta sostitutiva da determinarsi
applicando l’aliquota del 4% al valore del terreno risultante da perizia giurata.
Il pagamento di tale imposta può essere rateizzato in due o in tre quote annue di pari importo,
maggiorando le due rate differite degli interessi del 3% annuo.
I soggetti ammessi sono solo le persone fisiche, le società semplici, gli enti non commerciali .
Quadro normativo di riferimento
La legge di Stabilità per il 2014 si limita ad aggiornare i riferimenti temporali della precedente
rideterminazione dei valori fissati un anno fa dalla legge di Stabilità per il 2013 (comma 473 della
legge 228/2012) contenuti nell’art. 2, comma 2, del D.L. 282/2002.
Questo articolo, come ora aggiornato, stabilisce che:
le disposizioni dell’art. 7 della legge 448/2001 si applicano anche per la rideterminazione dei valori
di acquisto dei terreni edificabili e con destinazione agricola posseduti alla data del 1° gennaio
2014 ;
la redazione e il giuramento della perizia devono essere effettuati entro il 30 giugno 2014 .
Il 30 giugno 2014 cade di lunedì, per cui gli adempimenti prescritti a tale data non slittano.
La disciplina di dettaglio della rivalutazione dei terreni è contenuta nell’art. 7 della legge 448/2001
(Finanziaria per il 2002), nei termini coordinati e aggiornati di seguito precisati:
1. agli effetti della determinazione delle plusvalenze di cui all’art. 67, comma 1, lett. a ) e b ), del
TUIR (…), per i terreni edificabili e con destinazione agricola posseduti al 1° gennaio 2014, può
essere assunto, in luogo del costo o valore di acquisto, il valore a tale data determinato sulla base
di una perizia giurata di stima, cui si applica l’art. 64 cod. proc. civ., redatta da soggetti iscritti agli
albi degli ingegneri, architetti, geometri, dottori agronomi, agrotecnici, periti agrari e periti
industriali edili, a condizione che detto valore sia assoggettato a una imposta sostitutiva delle
imposte sui redditi, secondo quanto disposto nei commi da 2 a 6;
2. l’imposta sostitutiva è pari al 4% del valore determinato a norma del comma 1;
3. l’imposta sostitutiva può essere rateizzata fino a un massimo di tre rate annuali di pari importo
(…). Sull’importo delle rate successive alla prima sono dovuti gli interessi nella misura del 3%
annuo, da versarsi contestualmente a ciascuna rata;
4. la perizia, unitamente ai dati identificativi dell’estensore della perizia e al codice fiscale del
titolare del bene periziato, nonché alle ricevute di versamento dell’imposta sostitutiva, è
conservata dal contribuente ed esibita o trasmessa a richiesta dell’Amministrazione finanziaria;
5. il costo per la relazione giurata di stima è portato in aumento del valore di acquisto del terreno
nella misura in cui è stato effettivamente sostenuto ed è rimasto a carico;
6. la rideterminazione del valore di acquisto dei terreni edificabili e con destinazione agricola di cui
ai commi da 1 a 5 costituisce valore normale minimo di riferimento ai fini delle imposte sui redditi,
dell’imposta di registro e dell’imposta ipotecaria e catastale.
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Per la sua importanza, rileva la disposizione di cui alla lett. ee ) dell’art. 7, comma 2, del D.L.
70/2011, che ha ammesso una possibilità non consentita, fino a quel momento, dalle Entrate.
Detta norma prevede che i soggetti che si avvalgono della rideterminazione dei valori di acquisto
dei terreni, qualora abbiano già effettuato una precedente rideterminazione del valore dei
medesimi beni , possono detrarre dall’imposta sostitutiva dovuta per la nuova rivalutazione
l’importo relativo all’imposta sostitutiva già versata .
Grazie a ciò, il contribuente non è più obbligato a pagare per intero l’imposta sostitutiva sul nuovo
valore periziato e a richiedere il rimborso dell’imposta già pagata in passato, presentando
un’apposita istanza di rimborso entro i 48 mesi dal relativo versamento stabilit i dall’art. 38 del
D.P.R. 602/1973, ma può direttamente scomputare l’importo dell’imposta sostitutiva in precedenza
versata, corrispondendo la sola differenza .
Esempio
Ipotizziamo che un contribuente abbia effettuato una precedente rivalutazione del terreno per
un valore periziato di € 100.000 versando un’imposta sostitutiva di € 4.000.
Se il medesimo contribuente intende avvalersi della riapertura dei termini per aggiornare il
valore fiscale dello stesso terreno, dovrà munirsi di una perizia giurata che ne attesti il valore
alla data dell’1.1.2014, per esempio di € 130.000.
L’imposta sostitutiva sarà di € 5.200 (4% di € 130.000), ma potrà essere versata la sola
differenza di € 1.200 (5.200 meno 4.000).
Qualora fosse in corso una rateazione dell’imposta sostitutiva del 4%, la disposizione consente di
scomputare dalla nuova imposta dovuta i soli importi già materialmente versati e di non versare le
ulteriori rate relative alla precedente rateazione.
Esempio
Si pensi a un contribuente che abbia rivalutato un terreno al valore di € 100.000, con
un’imposta sostitutiva di € 4.000 rateizzata in tre quote annue di € 1.333, la prima delle quali
già versata.
Qualora il contribuente intenda avvalersi della nuova opportunità di rivalutare il medesimo
terreno, dovrà periziarlo con riferimento alla data dell’1.1.2014, ottenendo, per esempio, un
valore di € 120.000, cui corrisponde un’imposta sostitutiva di € 4.800.
Il contribuente potrà scomputare da tale importo la rata di € 1.333 già versata, ottenendo
un residuo di € 3.467, che potrà, a sua scelta, versare per intero entro il 30.6.2014, oppure
rateizzarlo in tre (oppure in due) quote annuali di pari importo da versare entro il 30.6 degli
anni 2014, 2015 e 2016 (oppure entro il 30.6.2014 e 2015), maggiorando la seconda e la
terza rata degli interessi calcolati nella misura del 3% annuo.
I dati relativi al valore rivalutato da perizia, all’imposta sostitutiva dovuta in relazione a detto
valore, all’imposta sostitutiva eventualmente già versata per precedenti rivalutazioni del medesimo
terreno che può essere scomputata dall’imposta sostitutiva dovuta per la nuova rivalutazione, alla
differenza di imposta da versare, alla eventuale rateizzazione, alla circostanza che l’imposta da
versare sia parte di un versamento cumulativo riferito a più terreni dovranno essere riportati in
un’apposita sezione del quadro RM del mod. UNICO 2015 relativo al periodo di imposta 2014.
Per ulteriori approfondimenti può essere consultata la circolare dell’Agenzia delle entrate n.
47/E/2011, che contiene anche un utile elenco delle precedenti possibilità offerte dalla normativa
per effettuare la rivalutazione e dei documenti di prassi emanati con riguardo a ciascuna di esse.
Tra le precisazioni ribadite in tale documento di prassi meritano di essere richiamate le seguenti:
a. il versamento dell’intera imposta sostitutiva (ovvero della sua prima rata) oltre il termine
previsto dalla norma non consente l’utilizzo del valore rideterminato ai fini del calcolo della
plusvalenza realizzata. In tale ipotesi, il contribuente perde il diritto ad avvalersi della rivalutazione
e può richiedere il rimborso dell’imposta sostitutiva già versata;
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b. l’opzione per la rideterminazione dei valori e la conseguente obbligazione tributaria si
considerano perfezionate con il versamento dell’intero importo dell’imposta sostitutiva ovvero, in
caso di pagamento rateale, con il versamento già della prima rata. Infatti, il contribuente può
avvalersi immediatamente del nuovo valore di acquisto ai fini della determinazione delle
plusvalenze di cui all’art. 67 del TUIR. Pertanto, coloro che abbiano effettuato il versamento
dell’imposta dovuta ovvero di una o più rate della stessa, qualora in sede di determinazione delle
plusvalenze realizzate per effetto della cessione delle partecipazioni o dei terreni non tengano
conto del valore rideterminato, non hanno diritto al rimborso dell’imposta pagata e sono tenuti,
nell’ipotesi di pagamento rateale, a effettuare i versamenti successivi. Le norme in esame
prevedono, infatti, la facoltà di avvalersi di un’agevolazione e il contribuente non può modificare
successivamente la scelta liberamente effettuata in mancanza di un’apposita disposizione in tal
senso;
c. qualora il contribuente abbia effettuato il versamento della prima rata nei termini di legge e
abbia omesso di effettuare i successivi versamenti rateali, questi ultimi sono iscritti a ruolo ai sensi
degli artt. 10 e segg. del D.P.R. 602/1973.
Modalità di versamento e calcolo degli interessi in caso di rateazione
Per versare l’imposta sostitutiva occorre utilizzare il mod. F24 , con la possibilità di utilizzare in
compensazione eventuali crediti: esiste il codice tributo 8056, istituito per precedenti rivalutazioni.
Nel caso si opti per la rateazione in due o in tre tranche annuali, occorre versare gli interessi sulla
seconda rata o sulla seconda e terza rata, calcolati al tasso del 3% annuo.
Esempio
Ipotizzando un’imposta sostitutiva di € 3.000, da corrispondere in due rate di € 1.500
ciascuna entro il 30.6.2014 e il 30.6.2015, i versamenti da effettuare in modo unitario (rata di
imposta oltre interessi) saranno pari a € 1.500 e a € 1.545 (di cui € 45 di interessi).
Qualora si opti per tre rate di € 1.000 ciascuna gli importi rispettivamente dovuti entro il
30.6.2014, 30.6.2015 e 30.6.2016 ammonteranno a € 1.000, € 1.030 ed € 1.060.
Limitazioni relative all’esercizio della rivalutazione
Secondo la costante prassi dell’Agenzia delle entrate, è necessario che la redazione e il giuramento
della perizia relativa ai terreni siano antecedenti alla cessione del bene in quanto il valore periziato
deve essere indicato nell’atto di cessione.
Tale tesi, non riscontrabile in alcuna norma di legge, è stata confutata da alcune sentenze delle
Commissioni Tributarie e dalla stessa Corte di Cassazione (sent. n. 30729 /11), ma l’Agenzia delle
entrate non ha modificato il proprio orientamento (da ultimo, vedasi la risposta 4.1 della circ. n.
1/E/2013): cosicché, è opportuno rispettare la sequenza temporale indicata al fine di evitare il
rischio di un lungo e oneroso contenzioso e il disconoscimento della rivalutazione stessa.
La normativa consente di rideterminare il valore fiscale dei terreni posseduti alla data del 1°
gennaio 2014 sostituendo tale nuovo valore all’originario costo di acquisto e “contrapponendolo”
poi all’eventuale corrispettivo di cessione del bene ai fini della quantificazione dell’eventuale
plusvalenza. Il valore così rivalutato non può essere peraltro incrementato degli oneri inerenti
(come invece si può fare in assenza della rivalutazione) tranne che della spesa sostenuta per
redigere la perizia giurata di stima del nuovo valore (art. 7, comma 5, della legge 448/2001).
Ai sensi della legge 448/2001 (art. 7, comma 6) il valore rivalutato costituisce anche valore
normale minimo ai fini delle imposte indirette dovute per il trasferimento del terreno.
Peraltro (circ. n. 15/E/2002 e n. 1/E/2013), nel caso il venditore, dopo avere usufruito della
rivalutazione, ritenesse di discostarsi dal valore “minimo” così rideterminato, può farlo.
Ciò può concretamente verificarsi, per esempio, in dipendenza di un deprezzamento oggettivo del
bene, di modifiche intervenute negli strumenti di pianificazione urbanistica o di una crisi del
mercato come quella da tempo in atto che rende difficile o impossibile trovare acquirenti nel caso
in cui ci si trova nella necessità di vendere, se non riducendo drasticamente i prezzi rispetto a quelli
“normali” e, in molti casi, neppure in tale maniera. In tal caso, la perizia “perde valore”: ai fini delle
imposte sui trasferimenti tornano a operare le ordinarie norme che presiedono alla determinazione
della base imponibile ma, in tal caso, l’Agenzia può procedere ad accertamento, non essendo più
vincolata al valore peritale mentre ai fini delle imposte dirette la plusvalenza deve essere
determinata assumendo il costo o il valore di acquisto determinato in via ordinaria ex art. 68 del
TUIR, senza poter più considerare come effettuata la rivalutazione.
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Su questo delicato tema assume particolare rilevanza la risposta 4.1 contenuta nella circolare multi
quesiti n. 1/E/2013, nell’ambito della quale è stata anche segnalata l’ulteriore possibilità per il
contribuente di rideterminare “al ribasso” il valore del terreno detenuto, ovviamente sostenendo il
costo di una nuova perizia. Il contribuente che intenda usufruire di tale possibilità dovrà far
redigere la perizia giurata di stima, riferita al valore del terreno alla data del 1° gennaio 2014,
entro il 30 giugno 2014, oppure entro la data di stipula dell’atto se la cessione avviene prima di
tale termine.
Se l’importo pagato in occasione della precedente rideterminazione è maggiore di quello dovuto
entro il 30 giugno 2014, non deve essere effettuato alcun versamento: in tal caso, però, per
espressa previsione normativa, la parte eccedente non può essere chiesta a rimborso.
Con tale procedura si ottengono i seguenti effetti:
il nuovo valore peritale ridotto costituisce valore normale minimo ai fini delle imposte sui
trasferimenti , il che rende meno onerosa la fiscalità in capo all’acquirente che, naturalmente, non
è di regola disposto ad accollarsi maggiori oneri per fatti che interessano il solo venditore;
attraverso una nuova perizia “al ribasso” si “evita di disattendere” una precedente valutazione
peritale e il rischio che l’Agenzia delle entrate possa “liberamente” accertare al rialzo il valore di
trasferimento ai fini delle imposte indirette, facendo perno anche sulla precedente perizia ;
ai fini delle imposte sui redditi , il nuovo valore iniziale fiscalmente rilevante, con il quale
confrontare il corrispettivo di cessione, viene rideterminato in base alla nuova perizia : sarà quindi,
in genere, un valore pi ù alto di quello originario di acquisizione del terreno, ancorché inferiore a
quello in precedenza periziato.
Le regole di tassazione delle plusvalenze relative alla piena proprietà dei terreni si applicano, di
massima, anche agli atti a titolo oneroso che importano costituzione o trasferimento di diritti reali
di godimento (art. 9, comma 5, del TUIR) e ad altri casi a essi assimilati in alcuni documenti di
prassi dell’Agenzia delle entrate, quali i trasferimenti di diritti volumetrici o di rilocalizzazione.
Secondo l’Agenzia tesi non condivisa da autorevole dottrina le suddette regole non si possono
invece applicare nel caso di costituzione del diritto di superficie se l’acquisto del diritto, da parte del
soggetto che lo costituisce a favore di terzi, non è avvenuto pagando uno specifico prezzo (ris. n.
112/E/2008 e par. 8 della circ. n. 36/E/2013). In questo caso, secondo le Entrate, la tassazione del
corrispettivo ritratto dalla costituzione del diritto non rientra nelle lett. a ) e b ) dell’art. 67, bensì
sotto la lett. l ), vale a dire fra i «redditi diversi derivanti dall’assunzione di obblighi di fare, non
fare o permettere» e sarebbe tassabile (art. 71, comma 2, del TUIR) come differenza fra
l’ammontare percepito nel periodo d’imposta e le spese specificamente inerenti alla sua
produzione.
In tali casi non è ammessa dalle Entrate la rivalutazione oggetto del presente articolo.
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Pubblica amministrazione
Come elaborare il Codice di comportamento alla luce delle Linee guida
dell'Autorità
La novità, introdotta dal novellato comma 3 dell’art. 2 del Dlgs n. 165/2001, impone alle
amministrazioni pubbliche di estendere gli obblighi del Codice anche a tutti i collaboratori o
consulenti esterni legati alla pubblica amministrazione con qualsiasi tipologia di contratto o incarico
e a qualsiasi titolo.
Lorenzo Camarda, Il Sole 24 Ore – Diritto e Pratica Amministrativa, gennaio 2014, n.1
Sono sui nastri di partenza i Codici di comportamento dei dipendenti che le amministrazioni
pubbliche devono adottare in armonia con il Piano triennale della prevenzione della corruzione
(Ptpc). Ad agevolarne il varo interviene l'Autorità nazionale anticorruzione (Anac), che, in data 24
ottobre 2013, ha emanato le Linee guida in materia di codici di comportamento (delibera n.
75/2013). Vengono meno gli alibi per quelle amministrazioni che, nella discutibile convinzione di
adottare contemporaneamente tutti gli strumenti di anticorruzione, non hanno ancora provveduto
ad approvare il Ptpc, né hanno nominato il Responsabile della prevenzione della corruzione.
Il termine per l'adozione del Codice di comportamento dei dipendenti pubblici
Le Linee guida auspicavano che le amministrazioni pubbliche adottassero i singoli Codici di
comportamento entro il 31 dicembre 2013, "comunque in tempo per consentire l'idoneo
collegamento con il piano triennale per la prevenzione della corruzione". Anche se il novellato art.
54 del Dlgs n. 165/2001 (a opera dell'art. 1, comma 45, della legge n. 190/2012) prevedeva
l'approvazione dei Codici entro 180 giorni dalla data dell'entrata in vigore del "Codice generale"
approvato con Dpr n. 62 del 16 aprile 2013. In ogni caso, stante la natura sollecitatoria dei termini
di approvazione del Codice di comportamento (di seguito Codice) da parte di ciascuna
amministrazione pare plausibile sostenere che l'adempimento possa essere assolto, in sede
dell'approvazione o dell'aggiornamento del Ptpc. In ogni caso, sulla base delle intese raggiunte in
sede di Conferenza unificata Stato, regioni, enti locali, in data 24 luglio 2013, vale per tutte le
amministrazioni l'osservanza del termine del 31 gennaio 2014 per approvare il Ptpc, il Codice e il
piano della trasparenza.
Ambito di applicazione del Codice
L'applicazione del Codice è prevista per tutte le amministrazioni pubbliche definite dal comma 2,
art. 1, del Dlgs 165/2001. La novità, introdotta dal novellato comma 3 dell'art. 2 del Dlgs n.
165/2001, impone alle amministrazioni pubbliche di estendere gli obblighi del Codice anche a tutti i
collaboratori o consulenti esterni legati alla pubblica amministrazione con qualsiasi tipologia di
contratto o incarico e a qualsiasi titolo.
Stante l'esteso ambito di applicazione delle norme comportamentali "a tutti i collaboratori o
consulenti esterni", le stesse Linee d'indirizzo di Anac suggeriscono di predisporre schemi-tipo
d'incarico con l'inserimento di condizioni di risoluzione del contratto stesso, nel caso di
inadempienza dei nuovi obblighi.
Un approccio di metodo
Trattandosi di un Codice la cui materia confina con l'etica, risulta essenziale che gli Uffici preposti
all'elaborazione della "bozza" si approccino alla materia raccordando tra loro tutte le norme esterne
e interne all'ente che disciplinano il personale ponendole in relazione alla accezione di corruzione
mutuata dalla legge n. 190/2012. In quest'ottica risulta importante considerare che la violazione
delle norme previste dal Codice hanno sia una valenza etica sia una valenza economica in quanto
la loro violazione si ribalta sulle "regole di mercato" falsando la libera concorrenza con la
conseguenza di peggiorare la qualità dei servizi resi e lievitarne i costi anche per l'addizionale
dovuta alle "tangenti". (La materia è ben nota a quegli economisti che specificatamente calcolano i
costi che derivano dalla concorrenza sleale nel mercato e alle singole imprese operanti sul
mercato). Ne consegue che la stesura del Codice deve essere il più possibile aderente alle singole
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realtà locali dove, tra i consociati, si consumano "modi di fare" diversi. Pertanto la stessa
"procedura aperta" per l'elaborazione del Codice consentirà agli Uffici preposti all'elaborazione della
bozza di "fare entrare" nel corpo normativo comportamenti differenziati secondo consuetudini,
esigenze e risposte ai bisogni di ciascuna realtà istituzionale. Tutto ciò compatibilmente con il
quadro normativo di riferimento, in particolare con i principi costituzionali relativi al "diritto di
accesso civico" temperati dal diritto alla privacy. Temi di difficile "maneggio" e che richiedono una
competenza approfondita delle norme e una collaudata esperienza delle relazioni umane
(istituzionali e personali).
Criteri per l'elaborazione del Codice
Stante la complessità dei comportamenti assunti dai dipendenti pubblici nell'esercizio dei loro
poteri, funzioni e responsabilità, l'estesa normativa che li disciplina all'interno di ciascun settore di
attività e la portata della nuova disciplina sull'anticorruzione, si ritiene che l'estensore del Codice
debba attenersi ai seguenti criteri generali:
1. raccordare il Codice con il Ptpc riservando al primo le indicazioni dei mezzi di contrasto ai
rischi di corruzione individuati nelle mappature del Piano;
2. recepire all'interno del Codice il contenuto minimo indicato nel "Codice generale" riservando
al primo il compito di puntualizzare i singoli comportamenti dei dipendenti in ragione delle
specificità del servizio reso e dell'ente di appartenenza;
3. armonizzare il Codice al Piano della trasparenza nell'intesa che il primo, ai fini
dell'anticorruzione, è destinato a essere ancillare rispetto al secondo;
4. coordinare il Codice con gli strumenti di programmazione, gestione e controllo dell'ente;
5. coordinare il Codice con tutte le norme riguardanti il pubblico impiego con particolare
riguardo al Documento di valutazione dei rischi (Dvr) in materia di salute e sicurezza dei
lavoratori (che deve essere assicurata dai dirigenti).
Il procedimento di formazione del Codice
Il procedimento di formazione del Codice prevede una "procedura aperta" che si configura come
coinvolgimento partecipativo degli stakeholder (esterni e interni). A stabilirlo è il comma 5 dell'art.
54 del Dlgs n. 165/2001. Con l'utilizzo della locuzione "procedura aperta" il legislatore dispone che
il procedimento di formazione del Codice e i suoi successivi aggiornamenti avvengano attraverso
l'apporto costruttivo di tutti i portatori di interessi, la cui identificazione è riservata a ciascuna
amministrazione secondo specifiche peculiarità. Comunque già il "Codice generale" individua tali
soggetti nelle organizzazioni sindacali rappresentative presenti all'interno dell'amministrazione, le
associazioni rappresentate nel Consiglio nazionale dei consumatori e degli utenti che operano nel
settore, le associazioni o altre forme di organizzazioni rappresentative di particolari interessi, i
soggetti che operano nel settore e che fruiscono di particolari interessi, attività e servizi prestati
dalla specifica amministrazione. Accanto ai portatori di interesse esterni sono coinvolti i portatori di
interessi interni che, innanzitutto, sono rappresentati dall'organo di indirizzo politicoamministrativo dell'ente, che è l'organo deputato ad approvare il Codice (delibera Anac n.
75/2013). Altri soggetti coinvolti sono: i dirigenti, l'Organo indipendente di valutazione (Oiv),
l'Ufficio per i procedimenti disciplinari (Upd), tutti i dipendenti dell'amministrazione.
Sotto il profilo operativo, si ritiene sia compito del Responsabile per la prevenzione della corruzione
curare la pubblicazione di un avviso sul sito istituzionale dell'ente contenente la bozza del Codice
indirizzata a chiunque intenda far pervenire eventuali osservazioni entro un termine certo, fissato
dall'Ufficio proponente. Competerà a quest'ultimo provvedere a raccogliere e vagliare i
suggerimenti pervenuti e sottoporli all'approvazione dell'organo deliberante.
Prima di adottare il Codice, l'amministrazione (il Consiglio) deve acquisire un parere obbligatorio
preventivo da parte dell'Oiv e un parere dell'Anac che si esprimeranno anche sulla base della
relazione illustrativa (che accompagna la bozza del Codice).
Definitivamente approvato, il Codice deve essere pubblicato sul sito istituzionale dell'ente, a cura
del Responsabile della prevenzione della corruzione.
I principi generali
Risulta interessante osservare l'intenso richiamo del legislatore dei principi costituzionali che
devono presidiare il Codice: in particolare il principio del buon andamento (art. 97, Cost.). Accanto
a questo principio è richiamato con forza il principio della leale collaborazione tra le Istituzioni e tra
i dipendenti operanti all'interno di ciascuna di esse. Principi che devono essere praticati alla luce del
principio della trasparenza degli atti e nell'ambito di une-government diffuso.
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Obblighi del dipendente
I principali obblighi che il dipendente deve osservare sono:
1. non accettare, per sé o per altri, regali, compensi e altre utilità, salvo quelli di modico
valore (quantificato in un valore non superiore a â?¬ 150) effettuati occasionalmente
nell'ambito delle consuetudini. Tale soglia può essere abbassata nell'ambito di ciascun
Codice, fino all'esclusione della possibilità di riceverli. Sul punto giova osservare che la
norma prevista dal "Codice generale" può dare luogo a qualche difficoltà interpretativa, se
riprodotta sic et simpliciter nei Codici. Infatti nulla si dice sulla reiterazione di questi doni nel
corso dell'anno da parte di un solo soggetto nei confronti di uno o più soggetti.
Analogamente nulla si dice sulla donazione da parte di una platea di soggetti rispetto al
titolare di un unico Ufficio.
2. Sotto la medesima fattispecie rientra anche l'obbligo di non accettazione da parte del
dipendente di incarichi di collaborazione da soggetti privati che abbiano, o abbiano avuto nel
biennio precedente, un rapporto economico con l'Ufficio di appartenenza (art. 4, Dpr n.
62/2013);
3. non partecipare ad associazioni od organizzazioni che possano interferire con l'attività
dell'Ufficio. Un'eventuale partecipazione già in essere va comunque comunicata
tempestivamente al responsabile dell'Ufficio. Fanno eccezione l'appartenenza a partiti
politici o a sindacati (art. 5, Dpr n. 62/2013);
4. comunicare per iscritto al dirigente dell'Ufficio tutti i rapporti diretti o indiretti di
collaborazione di soggetti privati in qualunque modo retribuiti che lo stesso abbia, o abbia
avuto, negli ultimi tre anni. Con la stessa informazione il dipendente deve precisare se
questi rapporti sono diretti oppure indiretti (parenti, affini entro il secondo grado, il coniuge
o il convivente) (art. 6, Dpr n. 62/2013);
5. astenersi dal partecipare all'adozione di decisioni o ad attività che possano coinvolgere il
dipendente direttamente oppure indirettamente nell'ambito della parentela, dei rapporti di
frequentazione declinati dal "Codice generale" nonché in tutti i casi in cui esistano gravi
ragioni di convenienza (art. 7, Dpr n. 62/2013);
6. prestare la sua collaborazione al Responsabile della prevenzione della corruzione. Inoltre
segnala al proprio superiore gerarchico eventuali situazioni di illecito di cui sia venuto a
conoscenza, fermo restando l'obbligo di denuncia all'Autorità giudiziaria (art. 8, Dpr n.
62/2013);
7. assicurare la trasparenza dei procedimenti amministrativi, nei modi e nelle forme stabilite
dalla legge n. 241 del 7 agosto 1990 e ss.mm., con particolare riguardo al Dlgs n. 33 del 14
marzo 2013, e norme collegate (art. 9, Dpr n. 62/2013);
8. non sfruttare, nei rapporti privati, né menzionare la posizione che ricopre
nell'Amministrazione per ottenere una qualche utilità (art. 10, Dpr n. 62/2013);
9. rispettare i tempi previsti per l'adempimento delle sue funzioni; utilizzare i permessi di
astensione dal lavoro nel rispetto della normativa; utilizzare il materiale o le attrezzature di
cui dispone per ragioni di ufficio così come declinato dal "Codice generale" (art. 11, Dpr n.
62/2013);
10. farsi riconoscere attraverso l'esposizione visibile del badge o altro modo previsto
dall'amministrazione (art. 12, Dpr n. 62/2013).
Obblighi del dirigente
Il "Codice generale" prevede un complesso di disposizioni che i dirigenti devono osservare oltre a
quelle previste per tutti i dipendenti. Nel contempo estende questi obblighi a tutti i titolari
d'incarico a tempo determinato (ai sensi dell'art. 19, comma 6, del Dlgs n. 165/2001 e dell'art. 110
del Dlgs n. 267 del 18 agosto 2000) e ai soggetti che svolgono funzioni equiparate ai dirigenti
operanti negli uffici di diretta collaborazione delle autorità politiche, nonché ai funzionari
responsabili di posizione organizzativa negli enti privi di dirigenza.
I principali obblighi che il dirigente deve osservare sono:
1. comunicare all'amministrazione, prima di assumere le funzioni, le partecipazioni azionarie e
gli altri interessi finanziari che possano porlo in conflitto d'interessi con la funzione pubblica.
Dichiarare, anche se ha parenti, affini entro il secondo grado, coniuge o convivente, che
esercitano attività politiche o professionali o economiche che li pongano in contatti frequenti
con l'Ufficio che dovrà dirigere o che siano coinvolti nelle decisioni o nelle attività inerenti
all'Ufficio. Inoltre, il dirigente è obbligato a fornire le informazioni sulla propria situazione
patrimoniale e le dichiarazioni annuali dei redditi (art. 13, comma 3, Dpr n. 62/2013);
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2. perseguire gli obiettivi assegnati con criteri di efficacia, efficienza ed economicità (art. 13,
comma 2, Dpr n. 62/2013);
3. curare il benessere organizzativo della struttura cui è preposto (art. 13, comma 5, Dpr n.
62/2013);
4. vigilare sulla condotta del dipendente in ordine a tutti gli obblighi posti in capo allo stesso
(artt. 4-12, Dpr n. 62/2013);
5. svolgere la valutazione del personale assegnato alla struttura cui è preposto (art. 13,
comma 7, Dpr n. 62/2013);
6. non ricorrere, nell'occasione di stipula di contratti a favore dell'amministrazione, ad alcuna
intermediazione per facilitarne la conclusione o la sua esecuzione; non stipulare contratti di
appalto, forniture, servizi, finanziamento o assicurazione con soggetti con i quali abbia
stipulato contratti a titolo privato o ricevuto altre utilità nel biennio precedente a eccezione
di quelli conclusi ai sensi dell'art. 1342, c.c. "contratto concluso mediante moduli o
formulari" (art. 14, Dpr n. 62/2013);
7. intraprendere con tempestività le iniziative necessarie ove venga a conoscenza di un illecito
e inoltrare tempestiva denuncia all'Autorità giudiziaria (art. 13, comma 8, Dpr n. 62/2013).
Funzioni di monitoraggio e controllo
L'attività di controllo sull'applicazione del Codice è capillare e coinvolge tutti i soggetti attori della
prevenzione della corruzione. In primo luogo il cittadino utente che partecipa al procedimento di
formazione del Codice ed esercita, attraverso il processo di "customer satisfaction", il controllo
sull'operato dell'amministrazione. Partecipano all'attività di controllo i dirigenti che vigilano
costantemente, attraverso la direzione dei rispettivi Uffici, l'operato dei loro subordinati. Questi
ultimi, a loro volta, esercitano un controllo "dal basso" idoneo a rilevare in chiave collaborativa le
disfunzioni del sistema. L'Oiv è chiamato, sin dall'inizio, a formulare pareri obbligatori preventivi
idonei a indirizzare le azioni di governo, coadiuvato allo scopo dall'Ufficio di disciplina. Infine, nel
ruolo centrale agisce il Responsabile della prevenzione della corruzione (di regola, in comune, il
segretario comunale) che è chiamato ad azioni di impulso e coordinamento indispensabili per
garantire il buon andamento dell'amministrazione.
Attività formative
Il Codice deve prevedere che il Responsabile della prevenzione della corruzione deve programmare
e curare la formazione dei dirigenti affinché venga diffusa capillarmente la cultura
dell'anticorruzione in armonia con i provvedimenti legislativi. Risulta di importante rilievo che il
legislatore ai fini di diffondere la cultura dell'anticorruzione sottragga i costi per la formazione di
questa materia dai rigorosi criteri imposti dalla spending review (in tale senso Corte dei conti, sez.
controllo Emilia Romagna, deliberazione n. 276 del 20 novembre 2013). Più precisamente la Corte
dei conti riconosce che la fattispecie di formazione all'esame resta fuori dall'ambito applicativo di
cui al comma 13 dell'articolo 6 del Dl n. 78/2010. Questo orientamento viene tuttavia mitigato
dalla stessa Corte dei conti e nell'ambito della medesima deliberazione n. 276 del 20 novembre
2011 con l'avvertenza che iniziative formative in materia devono tener conto anche del possibile
contributo degli operatori interni, " inseriti come docenti nell'ambito di percorsi interni di
aggiornamento e formativi in house".
Responsabilità
Il quadro normativo di riferimento in materia definisce la corruzione in modo più ampio di quanto
disciplinato negli articoli 318, 319 e 319-ter codice penale, tale da comprendere non solo l'intera
gamma dei delitti contro la PA disciplinati dal codice penale, ma anche situazioni in cui, a
prescindere dalla rilevanza penale, venga in evidenza una mala gestio. Conseguentemente le
responsabilità si ampliano sia in capo ai dipendenti che ai dirigenti. Pertanto, la violazione del
Codice può essere oltre che disciplinare anche fonte di responsabilità penale, civile, amministrativa
e contabile. La violazione viene valutata in ogni singolo caso con riguardo alla gravità del
comportamento e all'entità del pregiudizio, anche morale, che ne deriva al decoro o al prestigio
dell'amministrazione di appartenenza. I contratti collettivi possono prevedere ulteriori criteri di
individuazione delle sanzioni applicabili in relazione alle tipologie di violazione del Codice.
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Pubblico impiego
Legge di stabilità 2014 - Panorama delle novità per il pubblico impiego
La legge di stabilità 2014 agisce, sostanzialmente, su più fronti, accomunati dall'obiettivo di
contenere i costi dell'elefantiaco apparato pubblico italiano: proroga del blocco della contrattazione
e riduzioni del turn-over. Vediamo nel dettaglio le varie disposizioni che riguardano il pubblico
impiego
Fabrizio Bonalda, Il Sole 24 ORE – Guida al Lavoro, 17 gennaio 2014, n. 3
Indennità di vacanza contrattuale(art. 1, comma 452)
Vale la pena ricordare che l'art. 47, secondo le modifiche apportate dalla riforma Brunetta, prevede
che entro 60 giorni dall'entrata in vigore della legge finanziaria che stanzia le risorse per i rinnovi
dei contratti collettivi, gli incrementi stipendiali previsti possano essere erogati in via provvisoria
con deliberazione dei comitati di settore e sentite le Oo.Ss.
In ogni caso, dal mese di aprile dell'anno successivo a quello di scadenza del contratto, di fronte ad
un mancato rinnovo, è riconosciuta ai dipendenti dei vari comparti una copertura economica, a
titolo di anticipazione dei benefici complessivi, nella misura e secondo modalità previste dai Ccnl e
nei limiti previsti dalla legge finanziaria in sede di definizione delle risorse contrattuali. Già nel
triennio contrattuale 2013-2015 non era stato previsto alcun stanziamento né per i rinnovi
contrattuali né per l'indennità di vacanza contrattuale che, dunque, è saltata.
La questione è legata al blocco delle retribuzioni dei pubblici dipendenti prevista per il triennio
2011-2013 dall'art. 9, D.L. n. 78/2010 che ha fissato, come limite massimo del trattamento
complessivo di ogni singolo dipendente nel triennio, il trattamento ordinario spettante nel 2010.
Con l'art. 16, D.L. n. 98/2011, attuato dal D.P.R. n. 122/2013, il blocco è stato poi esteso anche al
2014. L'indennità di vacanza contrattuale è perciò rimasta quella pro 2010-2012, definita ancora a
luglio 2010.
L'Ivc come era una volta
L'indennità di vacanza contrattuale è un elemento provvisorio della retribuzione che viene poi
riassorbito negli incrementi retributivi dei rinnovi contrattuali relativi al triennio di riferimento.
Relativamente ai criteri di calcolo dell'indennità in questione, il punto di partenza è costituito dal
tasso di inflazione programmata (Tip - era 1,5% nel 2010, ultimo anno di corresponsione Ivc)
parametro di verso rispetto all'indice dei prezzi al consumo armonizzato (Ipca -1,8% nel 2010),
indice al quale, per effetto dell'accordo quadro del 22.1.2009, sarebbe dovuta risultare agganciata
(in mancanza del blocco) la dinamica delle retribuzioni a partire dal triennio 2010-2012. La base di
calcolo è costituita dallo stipendio minimo tabellare di qualifica vigente all'inizio del triennio di
riferimento. La misura mensile dell'lvc si ottiene per il periodo da aprile a giugno e per quello da
luglio in poi, moltiplicando, rispettivamente, il 30% ed il 50% del Tip per il tabellare minimo
mensile.
Ora, la legge n. 147/2013 aggiunge un ulteriore capitolo, prevedendo che per gli anni 2015-2017,
l'Ivc sia quella in godimento al 31 dicembre 2013 (pari a quella definita per il periodo 2010-2012).
Dunque, anche le Regioni, nella formazione dei propri bilanci dovranno evitare di iscrivere gli
accantonamenti necessari alla corresponsione dell'Ivc (art. 1, comma 455).
Contrattazione (art. 1, commi 453, 454)
Le procedure contrattuali e negoziali riguardanti il 2013 e 2014 del personale delle pubbliche
amministrazioni, compreso quello convenzionato del Ssn, interesseranno la sola parte normativa
con esclusione di qualsiasi recupero economico.
Dunque, l'eventuale progressione potrà portare a nuove responsabilità non compensate a livello
retributivo.
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Accessorio (art. 1, comma 456)
Anche sul fronte della retribuzione accessoria, la legge di stabilità interviene prorogando di un
ulteriore anno, cioè fino al 31 dicembre 2014, la disposizione (art. 9, comma 2) che limita
l'ammontare complessivo delle risorse destinate al trattamento accessorio, anche del personale
dirigenziale, all'importo relativo al 2010, decurtato in proporzione alla riduzione del personale in
servizio.
Per il 2014, 2015 e 2016 scatta una riduzione del 25% anche dei compensi professionali previsti a
seguito di sentenze favorevoli alla pubblica amministrazione liquidati ai dipendenti pubblici,
compreso il personale dell'Avvocatura dello Stato, con esclusione, nella misura del 50%, dei
compensi a carico della controparte (art. 1, comma 457).
Passaggi di carriera (art. 1, commi 458, 459)
La legge di stabilità interviene anche su tale fronte, prevedendo l'eliminazione del mantenimento
dell'eventuale maggiore retribuzione in caso di cambiamento di qualifica.
Viene, infatti, abrogata la norma che riconosceva, nel caso di passaggio di carriera presso la stessa
o diversa amministrazione per gli impiegati con stipendio superiore a quello spettante nella nuova
qualifica un assegno personale riassorbibile, utile a pensione, pari alla differenza fra lo stipendio già
goduto ed il nuovo.
Inoltre, ai pubblici dipendenti che abbiano ricoperto ruoli o incarichi, dopo che siano cessati dal
servizio, non può essere corrisposto un trattamento superiore a quello attribuito al collega di pari
anzianità.
A partire dalla prima mensilità utile dopo l'entrata in vigore della legge n. 147/2013, le
amministrazioni devono adeguare in tale senso il trattamento economico e giuridico.
Turn-over (art. 1, commi 460-464)
In materia di sostituzione del personale cessato, l'art. 66, D.L. n. 112/2008, prevedeva, per il
2015, che le pubbliche amministrazioni, ad eccezione di Polizia e Vigili del fuoco, potessero
procedere, espletate le procedure di mobilità, ad assunzioni di personale a tempo indeterminato nel
limite di un contingente di personale complessivamente corrispondente ad una spesa pari al 50% di
quella relativa al personale cessato l'anno precedente.
La legge di stabilità 2014 riduce tale percentuale al 40%.
Relativamente al 2016, 2017 e 2018, mediante modifica dell'art. 9, comma 8, D.L. n. 78/2010, le
percentuali di spesa utile vengono definite, rispettivamente, nel 60 (prima era il 100%), 80 e
100%.
Le riduzioni interessano anche il personale a tempo indeterminato dell'Università ed i ricercatori a
tempo determinato: in questo caso le percentuali di spesa rimangono confermate al 50% per il
2014 e 2015, mentre il 100% originariamente previsto per il 2016 scende al 60%.
Nel 2017 e 2018 sarà possibile procedere nei limiti, rispettivamente, dell'80 e del 100%.
Per gli enti di ricerca, infine, la facoltà assunzionale viene fissata in misura pari al 50% per gli anni
2014 e 2015 e pari al 60, 80 e 100%, rispettivamente, per gli anni 2016, 2017 e 2018.
Percentuali, sempre, da applicare alle risorse liberate con la cessazione dei rapporti di lavoro a
tempo indeterminato intervenute nell'anno precedente.
Alcune eccezioni sono state previste per il Comparto sicurezza e per quello dei Vigili del fuoco e
soccorso pubblico, in relazione alla specificità dei compiti istituzionali affidati.
Buonuscite dipendenti pubblici (art. 1, commi 484-485)
Allungamento di altri 6 mesi per il pagamento delle prestazioni di fine servizio, abbassamento del
limite oltre il quale scatta la rateizzazione e riduzione degli importi delle prime rate.
Con la legge n. 147/2013, per chi matura il diritto dal 1° gennaio 2014, il pagamento di Ips, Ibu e
Tfr avverrà in base alla seguente rateizzazione:
- in un unico importo annuale se l'ammontare complessivo della prestazione, al lordo delle relative
trattenute fiscali, è complessivamente pari o inferiore a 50.000 euro (anziché 90.000);
- in due importi annuali se l'ammontare complessivo della prestazione, al lordo delle relative
trattenute fiscali, è complessivamente superiore a 50.000 euro (al posto di 90.000) ma inferiore a
100.000 euro (erano 150.000).
In tal caso il primo importo annuale è pari a 50.000 euro (invece di 90.000) e il secondo importo
annuale è pari all'ammontare residuo;
- in tre importi annuali se l'ammontare complessivo della prestazione, al lordo delle relative
trattenute fiscali, è complessivamente uguale o superiore a 100.000 euro (in luogo di 150.000), in
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tal caso il primo importo annuale è pari a 50.000 euro (al posto di 90.000), il secondo importo
annuale è pari a 50.000 euro (erano 60.000) e il terzo importo annuale è pari all'ammontare
residuo.
Viene, infine, spostato di ulteriori 6 mesi, passando, pertanto, da 6 a 12, il termine previsto
dall'art. 3, D.L. n. 79/1997, previsto per il pagamento della prestazione di fine servizio, quando la
cessazione è avvenuta per raggiungimento dei limiti di età, dell'anzianità contributiva massima ai
fini pensionistici, per estinzione del rapporto di lavoro a tempo determinato e per risoluzione
unilaterale.
Compensi pubbliche amministrazioni e cumulo
La legge di stabilità ha, inoltre, costituito il veicolo per l'approvazione di altre importanti
disposizioni riguardanti la questione dei limiti ai compensi a carico delle amministrazioni pubbliche
e del cumulo tra gli stipendi pubblici e pensioni.
Trattamenti economici a carico finanza pubblica (art. 1, comma 471)
La legge di stabilità 2014 aggiunge un altro episodio al lungo gioco a "guardia e ladri" in cui, da un
lato, i vari Governi tentano di introdurre dei limiti alla corresponsione di compensi stellari a carico
delle pubbliche amministrazioni, dall'altro le varie lobbies tentano, finora con successo, di aggirare i
vincoli introdotti.
In un periodo storico in cui i contratti dei dipendenti pubblici non vengono rinnovati dal 2009, c'è
ancora qualcuno, probabilmente più d'uno, che ha il problema di superare i 300.000 euro di
retribuzione annua.
Risale, infatti, ancora alla Finanziaria 2008 (legge n. 244/2007, art. 3, commi 44-52-bis) il primo
tentativo, miseramente fallito, di porre un limite massimo alle retribuzioni dei manager pubblici.
Infatti, dopo circa 3 anni, impiegati alla ricerca di sistemi per aggirare il limite del trattamento
economico del primo presidente della Corte di cassazione (evidentemente non considerato
sufficiente), il D.P.R. 5 ottobre 2010, n. 195, attuativo della disciplina introdotta dalla legge n. 244/
2007, approdava in Gazzetta. La regolamentazione era densa di eccezioni al punto da snaturare
totalmente lo spirito della norma.
L'art. 23 ("Salva Italia") è intervenuto nuovamente sulla materia, superando definitivamente la
precedente normativa e introducendo una nuova disciplina (definita dal D.M. 23.3.2012 e dalla
circolare della Funzione pubblica n. 8/2012) fondata su criteri senz'altro più rigorosi per quanto
concerne l'ambito soggettivo, anche se il generoso limite massimo entro il quale si trovavano
costretti a "tirare la cinghia", nel 2013, i manager pubblici (trattamento del primo presidente di
Cassazione pari, nel 2013, ad euro 302.937,12), non è stato toccato, nonostante la profonda crisi
della finanza pubblica.
Ora, con la nuova disposizione contenuta nella legge di stabilità 2014, il tiro viene ancora
aggiustato: il limite si applica a chiunque riceva a carico delle finanze pubbliche retribuzioni o
emolumenti in ragione di rapporti di lavoro subordinato o autonomo con autorità indipendenti o
pubbliche amministrazioni, compreso il personale in regime di diritto pubblico, quali magistrati e
professori universitari.
Vengono fatti rientrare pure gli emolumenti dei componenti degli organi di amministrazione,
direzione e controllo delle amministrazioni pubbliche.
Tutte le somme erogate sono considerate cumulativamente, esclusi i compensi percepiti a fronte di
prestazioni occasionali.
Un'eccezione, questa, poco comprensibile e che avrà, sicuramente, qualche nome e cognome.
Ulteriore novità sta nel fatto che le Regioni, prima non considerate, ora dovranno adeguare i propri
ordinamenti alle nuove disposizioni.
Augurandosi che la Funzione pubblica, nel regolamentare la materia, preveda che nel
raggiungimento del limite entrino anche i compensi erogati dalle Regioni e Province autonome.
Cumulo pensioni-stipendi pubblici (art. 1, comma 489)
Dal 2014 la sommatoria delle pensioni erogate da gestioni previdenziali pubbliche e dei trattamenti
economici omnicomprensivi corrisposti dalle amministrazioni pubbliche non possono superare, per i
singoli soggetti, il limite fissato dall'art. 23, ovvero il trattamento annuale complessivo spettante al
primo presidente della Corte di cassazione, importo che, per il 2013, ammonta a euro 302.937,12.
La novità sta nel fatto che, almeno dalla lettura della norma, nel cumulo sembrerebbero entrare
pure i vitalizi conseguenti a funzioni pubbliche elettive.
Dunque, chi prima andava sopra, dal 2014 dovrà rassegnarsi a vivere con questa cifra.
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Società a partecipazione pubblica (art. 1, commi 550-568)
Parecchie le novità anche sul fronte delle società pubbliche alle quali, come noto, hanno
frequentemente ricorso, in questi ultimi anni, non pochi enti pubblici attribuendo a tali soggetti,
privati solo dal punto di vista del regime giuridico, funzioni istituzionali di natura pubblicistica e
funzioni svolte a soddisfare interessi generali di carattere né industriale né commerciale, con vari
obiettivi di "cosmetica contabile", non sempre salutari, quali l'esigenza di "alleggerire" e liberare le
risorse sul bilancio dell'ente controllante, prima destinate all'espletamento diretto di tali funzioni,
ma anche ai fini di eludere i vincoli derivanti dal patto di stabilità.
Inoltre, questi soggetti hanno ricorso massicciamente al mercato finanziario contribuendo così a
creare un indebitamento sommerso, "bomba ad orologeria" con effetti e tempi difficilmente
stimabili.
Realtà che, nel panorama istituzionale, rappresentano ormai veri e propri centri di potere con
ricche poltrone e libertà di azione incontrollata, quanto a retribuzioni, incarichi e consulenze.
Un peso, quello delle partecipazioni statali, enorme: secondo il Centro Studi di Confindustria la
galassia degli enti partecipati dalle pubbliche amministrazioni costa quasi 23 miliardi di euro
all'anno.
Alcuni dati possono dare l'idea: 39.997 partecipazioni possedute da amministrazioni pubbliche in
7.712 organismi esterni, di cui oltre la metà non sembra svolgere attività di interesse generale.
La legge n. 147/2013 interviene su più fronti, all'insegna di una maggiore responsabilizzazione
degli enti proprietari, di un maggiore rigore nella gestione di questi soggetti e nella motivazione
della loro esistenza.
In primo luogo una maggiore attenzione, come detto, all'economicità delle gestioni: nel caso in cui
aziende speciali, e società partecipate dalle amministrazioni locali (individuate dall'Istat ex art. 1,
comma 3, legge n. 196/2009), presentino un risultato d'esercizio o saldo finanziario negativo gli
enti partecipanti dovranno accantonare nell'anno successivo (quindi a partire dal 2015), in apposito
fondo vincolato, un importo pari al risultato negativo non ripianato, in misura proporzionale alla
quota di partecipazione.
Gli obiettivi di finanza pubblica dovranno essere perseguiti anche da questi soggetti, finora fuori
controllo, tramite una sana gestione dei servizi secondo criteri di economicità ed efficienza (termini
che si sono spesso già letti in varie norme).
Per i servizi pubblici locali è prevista l'individuazione di costi standard, basati sui prezzi di mercato.
Le "gestioni canaglia" avranno quasi immediatamente effetto pure sui compensi degli
amministratori: qualora per tre esercizi si sia conseguito un risultato economico negativo, il
compenso dei componenti degli organi di amministrazione dovrà essere ridotto del 30%.
a negatività per due anni consecutivi costituirà, inoltre, giusta causa per la revoca degli
amministratori.
Le novità riguardano anche l'assunzione di personale, per la quale sono previsti gli stessi vincoli e
divieti previsti in capo all'amministrazione controllante.
Si applicano, pure, le disposizioni che stabiliscono, a carico delle rispettive pubbliche
amministrazioni locali, obblighi di contenimento degli oneri contrattuali e delle altre voci di natura
retributiva o indennitaria e per consulenze, attraverso misure di estensione al personale delle
società della vigente normativa in materia di vincoli alla retribuzione individuale e alla retribuzione
accessoria. Sarà l'ente locale controllante, nell'esercizio delle prerogative e dei poteri di controllo, a
stabilire le modalità e applicazione dei citati vincoli assunzionali e di contenimento delle politiche
retributive, che verranno poi adottate con propri provvedimenti, fatta salva la possibilità di
escludere, motivatamente, singoli soggetti che gestiscono servizi socio-assistenziali, educativi,
scolastici ecc.
Ulteriori disposizioni riguardano, poi, la possibilità, sulla base di specifici accordi e anche senza il
consenso del lavoratore, di attivare processi di mobilità tra le varie partecipate al fine di una più
efficiente distribuzione delle risorse umane, rimanendo, comunque, esclusa la possibilità di attivare
la mobilità tra i soggetti in questione e le pubbliche amministrazioni.
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Pubblico impiego
Stabilizzazioni nel pubblico impiego: le opportunità per gli enti locali
Con il Dl 101/2013 si è chiusa una stagione, introdotta dalla Finanziaria 2007 per superare la fase
precedente caratterizzata dal blocco delle assunzioni e dalla flessibilità. Quello della stabilizzazione
è un istituto assolutamente singolare, che ha diviso gli studiosi, in parte favorevoli e in parte
fortemente critici
Pasquale Monea, Il Sole 24 Ore - Guida al Pubblico Impiego, gennaio 2014, n. 1
Probabilmente con il Dl 101/2013 e con la successiva legge di conversione si chiude nelle linee
principali la stagione delle c.d. stabilizzazioni, introdotte dalla legge finanziaria 2007 al fine di
superare la fase storica precedente imperniata sul blocco delle assunzioni e sul mito della
flessibilità. Un istituto in vero assolutamente singolare, nel nostro ordinamento, che ha diviso in
questi anni gli studiosi, in parte favorevoli e in parte fortemente critici. Le stabilizzazioni nascono
per risolvere situazioni elusive ed in parte irregolari che si protraggono da lungo tempo, con un uso
improprio delle norme sul lavoro flessibile. Infatti, il ricorso a contratti di lavoro a tempo
determinato avrebbe, di regola, dovuto corrispondere alla necessità di far fronte ad esigenze
temporanee delle amministrazioni; diversamente, nelle situazioni in esame di fatto si sono
utilizzate tipologie di lavoro temporaneo per soddisfare spesso esigenze permanenti, creando
diffuse aspettative nelle persone selezionate.
Le stabilizzazioni, nelle intenzioni del Legislatore, rappresentano il punto d’incontro tra le
legittime aspettative del personale precario el’esigenza da parte degli enti di assumere personale
già formato. Tuttavia, non sono mancate le obiezioni di ordine giuridico, riconducibili alla discussa
trasparenza del percorso con particolare riferimento ai collaboratori coordinati e continuativi; anche
per questo motivo assistiamo oggi ad una nuova virata verso la situazione precedente, che
privilegia il ricorso alle forme flessibili e delimita le soluzioni più rigide (in particolare le assunzioni).
È in questo contesto che trova sistemazione il Dl 101/2013 nel quale sono introdotte nuove forme
e procedure di stabilizzazione che“avranno un impatto assai limitato sull’ammontare delle
autorizzazioni alle assunzioni di personale nella PA previste nel corso dei prossimi anni, considerata
la difficile situazione in cui versa la finanza pubblica”[1].
Le ‘penultime’ stabilizzazioni alla luce della legge 102/1999
Il percorso delineato con le leggi finanziarie 2007 e 2008 ed applicabile sino al 31 dicembre 2009
entra definitivamente in crisi con il recenteDl 78/2009, c.d. decreto anticrisi, convertito il 3 agosto
2009 con la legge n. 102. In prospettiva, parlare ancora di stabilizzazioni appare quanto meno
“pleonastico”, se non con riferimento come vedremo alle qualifiche più basse.
L’art. 17 del decreto legge 78/2009, ai commi 10, 11 e 12, prevede che le pubbliche
amministrazioni, tra cui i comuni, per il triennio 20102012, possano procedere all’immissione in
ruolo del personale precario con tre diverse modalità: concorsi per le assunzioni a tempo
indeterminato con una riserva di posti (comma 10); concorsi finalizzati a valorizzare con apposito
punteggio l’esperienza professionale maturata dal personale già utilizzato con contratti di
collaborazione coordinata e continuativa (comma 11); vera e propria stabilizzazionedel personale
appartenente alle qualifiche di cui all’art. 16 della legge 28 febbraio 1987, n. 56, vale a dire il
personale per il quale non è richiesto il titolo di studio superiore a quello della scuola dell’obbligo, in
possesso del requisito di anzianità di servizio pari a tre anni maturati nelle medesime qualifiche e
nella stessa amministrazione (comma 12). Le varie ipotesi sono caratterizzate da
alcuni presupposti oggettivi comuni: il primo legato alla vacanza dei posti in dotazione organica e il
secondo al rispetto dei vincoli e limiti in materia di assunzioni derivanti sia dalla legislazione
finanziaria degli anni pregressi sia dalle successive norme in materia, in particolare le norme
contenute nella legge 133/2008 e negli emanandi Dpcm di attuazione dell’art. 76 del citato
decreto.
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Un terzo presupposto è di carattere più generale e pressoché scontato, imponendo alle
amministrazioni l’obbligo di attivare prioritariamente la procedura di cui al’art. 35, comma 4, del
Dlgs 165/2001, norma tuttavia applicabile per le amministrazioni non statali soltanto nella parte in
cui impone la programmazione triennale.
Nella prima fattispecie (il comma 10) le amministrazioni in via facoltativa (l’utilizzo del “
possono” costituisce una costante della norma) hanno la possibilità di bandire concorsi a tempo
indeterminato riservando una quota non superiore al 40% per il personale in possesso dei requisiti
dall’art. 1, comma 558, in combinato con il comma 519: rispettivamente contenuti nelle leggi
finanziarie 2006 e 2007 e delineati nella prima parte del presente Speciale laddove si descrive la
stabilizzazione sino al 31 dicembre 2009. In altri termini, si passa da una vera procedura di
stabilizzazione ad una semplice riserva concorsuale; occorre ricordare, peraltro, che la definizione
di una percentuale massima di riserva è stata ritenuta incostituzionale relativamente alle regioni.
Durante l’esame da parte della commissione Bilancio e finanze è stata inoltre prevista la possibilità
di innalzare la percentuale di riserva fino al 50% dei posti messi a concorso per i comuni che, allo
scopo di assicurare un efficace esercizio delle funzioni e dei servizi, si costituiscono in un’unione ai
sensi dell’art. 32 Tuel, fino al raggiungimento di 20mila abitanti.
La seconda delle ipotesi ( comma 11) attiene ai collaboratori di cui al comma 94, lett. b), della
legge 244/2007: “Personale già utilizzato con contratti di collaborazione coordinata e
continuativa”, in essere alla data di entrata in vigore della legge finanziaria 2007 e che abbia già
espletato attività lavorativa per almeno tre anni, anche non continuativi, nel quinquennio
antecedente al 28 settembre 2007, presso la stessa amministrazione. Per costoro la legge
finanziaria prevede la possibilità di concorsi pubblici “finalizzati” a valorizzare l’esperienza
professionale maturata per l’assunzione a tempo indeterminato. Il comma 11 richiama non solo
i co.co.co., ma anche coloro i quali hanno i requisiti di cui al comma 10 (tempo determinato + tre
anni + in servizio ad una certa data).
Con riferimento ai collaboratori la legislazione introdotta con la manovra anticrisi non ha abrogato
la possibilità offerta dall’art. 3, comma 78, della Finanziaria 2008 che conferma i contenuti dell’art.
1, comma 560, della legge 27 dicembre 2006, n. 296. Il comma 560 prevedeva l’obbligo di
riservare una quota non inferiore al 60% delle assunzioni a termine ai collaboratori coordinati e
continuativi in servizio presso l’ente da almeno un anno alla data dello scorso 29 settembre 2006;
erano escluse le collaborazioni di nomina politica, come quelle negli uffici di staff.
La norma di riferimento
Dl 31 agosto 2013 n. 101 Art. 4, comma 8
Al fine di favorire l’assunzione a tempo indeterminato dei lavoratori di cui all’art. 2, comma 1, del
Dlgs 28 febbraio 2000, n. 81, e di cui all’art. 3, comma 1, del Dlgs 7 agosto 1997, n. 280, le
regioni predispongono un elenco regionale dei suddetti lavoratori secondo criteri che contemperano
l’anzianità anagrafica, l’anzianità di servizio e i carichi familiari. A decorrere dalla data di entrata in
vigore del decreto e fino al 31 dicembre 2016, gli enti territoriali che hanno vuoti in organico
relativamente alle qualifiche di cui all’art. 16 della legge 56/1987, nel rispetto del loro fabbisogno e
nell’ambito dei vincoli finanziari di cui al comma 6, procedono, in deroga a quanto disposto dall’art.
12, comma 4, del Dlgs 1° dicembre 1997, n. 468, all’assunzione a tempo indeterminato, anche con
contratti di lavoro a tempo parziale, dei soggetti collocati nell’elenco regionaleindirizzando una
specifica richiesta alla regione competente.
L’unica vera ipotesi residua di stabilizzazione è, in realtà, quella consentita dal comma 12 a
beneficio di lavoratori da inquadrare nei livelli retributivo funzionali per i quali non è richiesto il
titolo di studio superiore a quello della scuola dell’obbligo (art. 16 della legge 56/1987 richiamato
nella norma), per i quali il requisito dell’anzianità nel tempo determinato ne consente la diretta
stabilizzazione. Si tratta, anche in questo caso, di una mera facoltà riconosciuta all’ente pubblico,
che valuta discrezionalmente la possibilità di ricorrere all’istituto in esame.
Ai fini della stabilizzazione in esame ciascuna amministrazione predispone apposite graduatorie,
previa prova di idoneità ove non già svolta all’atto dell’assunzione; le predette graduatorie
hanno efficacia non oltre il 31 dicembre 2012.
Il comma 13 prevede infine che per il triennio 20102012 le amministrazioni pubbliche possono
destinare il 40% delle risorse finanziarie disponibili ai sensi della normativa vigente in materia di
assunzioni ovvero di contenimento della spesa di personale, secondo i rispettivi regimi limitativi
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fissati dai documenti di finanza pubblica, per le assunzioni dei vincitori delle procedure concorsuali
bandite ai sensi dei commi 10 e 11. La norma, a ben vedere, sembra imporre un ulteriore obbligo
in capo alle amministrazioni pubbliche relativamente alla possibilità di effettuare assunzioni dei
vincitori delle procedure concorsuali espletate ai sensi dei commi 10 e 11.
Le nuove disposizioni: l’istituzione delle liste regionali dei Lsu e dei Lpu
Per favorire le assunzioni a tempo indeterminato dei lavoratori socialmente utili e di quelli di
pubblica utilità, cioè del personale di cui all’art. 2, comma 1, del Dlgs 81/2000 e dell’art. 3, comma
1, del Dlgs 280/1997, viene prevista una importante novità mediante la quale si crea
sostanzialmente un canale privilegiato, affidato alle regioni. Queste devono predisporre “un elenco
regionale dei suddetti lavoratori secondo criteri di priorità che contemperano l’anzianità anagrafica,
l’anzianità di servizio ed i carichi familiari” (il testo originario del decreto prevedeva soltanto il
criterio dell’anzianità e non poneva il limite finale del 31 dicembre 2016). Sull’iscrizione al predetto
elenco la disposizione potrebbe creare qualche dubbio interpretativo ed applicativo: ad
un’interpretazione letterale sembrerebbe far riferimento a tutti i lavoratori di cui all’art. 2, comma
1, del Dlgs 28 febbraio 2000, n. 81, e di cui all’art. 3, comma 1, del Dlgs 7 agosto 1997, n. 280, ed
infatti nell’interpretazione fornita dal dipartimento della Funzione pubblica in tale elenco
andrebbero inseriti tutti coloro i quali risultino alla data del 1° settembre 2013 essere stati o
ancora siano Lsu o Lpu, prescindendo dal fatto che abbiano in corso un rapporto di lavoro con
un’amministrazione pubblica (si veda il punto 6 della circolare in questione, la n. 5/2013).
L’interpretazione ministeriale pare a chi scrive essere eccedente rispetto all’asciuttezza della
norma: sostenere che tutti coloro i quali siano stati Lsu o Lpu, anche se titolari nel frattempo di un
rapporto di lavoro, appare di difficile attuazione, soprattutto alla luce della giurisprudenza in
materia per la quale ( Cassazione, sez. un., 3 gennaio 2007 n. 3 e, nel merito, Tribunale di Como,
13 novembre 2003 n. 286) c’è unadiversità di causa ( funzione) tra il contratto di lavoro
subordinato e il contratto di lavoro socialmente utile.
Secondo questa impostazione, il contratto di lavoro socialmente utile si conclude non in vista dello
scambio tra prestazione lavorativa e retribuzione (come normalmente avviene nei contratti di
lavoro subordinato), ma in funzione dell’utilizzazione, per fini d’utilità pubblica, d’energie lavorative
destinate, altrimenti, all’economia sommersa oppure alla dispersione. Da qui emergerebbe
un ulteriore elemento di diversità tra il rapporto d’utilizzazione di Lsu e rapporto di lavoro
subordinato. Così come appare, in verità, poco conforme alla norma in questione l’affermazione
secondo la quale l’anzianità richiesta dal comma 6 si riferisce all’utilizzo con qualunque tipologia di
rapporto di lavoro con la PA, quando, invece, lo stesso comma in questione attiene al solo rapporto
a tempo determinato.
In tal senso appare eccessiva l’estensione delle disposizioni del comma 6 del citato art. 4 (le
procedure speciali concorsuali) anche alle categorie di lavoratori suddetti, valorizzando non il
tempo-determinato ma qualunque altro rapporto di lavoro anche di natura non subordinata,
soprattutto quando i lavoratori siano stati adibititi a mansioni relative a qualifiche superiori rispetto
a quelle di cui all’art. 16 della legge 28 febbraio 1987, n. 56 [2].
La disposizione assume particolare rilevanza per gli enti territoriali (tra i quali regioni ed enti locali,
Unioni di comuni, Comunità montane) con la quale si dispone (la disposizione non sembra
derogabile) che per le assunzioni del personale di cui all’art. 16 della legge 56/1987 (cioè quello
per il quale è richiesto il titolo di studio della scuola dell’obbligo negli enti locali categorie A e B1),
nel rispetto dei tetti alle assunzioni procedono in deroga all’art. 12, comma 4, del Dlgs 468/1997,
cioè superando la riserva del 30% per gli Lsu e gli Lpu, ad effettuare sia assunzioni a tempo
indeterminato che eventuali assunzioni a tempo parziale attingendo alla graduatoria regionale
tramite una specifica richiesta alla stessa.
In altri termini (si veda anche la citata circolare n. 5/2013, pag. 19, punto 6), fermi restando i
limiti finanziari e gli eventuali vincoli numerici, l’assunzione avviene mediante specifica richiesta
alla Regione competente: si ritiene che rientri nella potestà amministrativa della regione
competente definire non solo le modalità costitutive ma anche quelle inerenti alla gestione del
suddetto elenco, adottando meccanismi che consentano non soloadeguata trasparenza ma
anche modalità tali da garantire l’effettivo e coerente (con il piano delle assunzioni) fabbisogno
delle amministrazioni richiedenti.
Il reclutamento del personale in oggetto è da considerarsi a tutti gli effetti un’assunzione
dall’esterno e quindi soggetta ai limiti in questione, ovvero reclutamento ordinario come preferisce
definirla il dipartimento della Funzione pubblica.
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Potrebbe sollevare controverse applicazioni, infine, l’affermazione contenuta nella circolare del
dipartimento più volte citata nella parte in cui rinvia al reclutamento speciale per gli Lsu o Lpu
“prestabilizzati” nell’ambito di mansioni superiori [3]: appare “superfluo” ricordare come per essi
trovi applicazione il c.d regime speciale dell’art. 4, comma 6 con i conseguenti limiti finanziari e di
rispetto dell’adeguato accesso dall’esterno, a prescindere che gli stessi provengano dalla “platea”
dei lavoratori socialmente utili o di pubblica utilità.
Va detto che secondo un recente orientamento giurisprudenziale la predisposizione di una
graduatoria per la stabilizzazione di un dipendente è momento esterno al procedimento
concorsuale qualificandosi, in quanto privo di dinamiche comparative, come mero accertamento dei
presupposti oggettivi e dei requisiti soggettivi che danno diritto agli interessati di essere collocati
nella graduatoria stessa. Ne deriverebbe, in un eventuale contenzioso, l’obbligo di ricorrere al
giudice ordinario [4].
Le possibilità di stabilizzazione del personale a tempo determinato con almeno 3 anni di servizio
negli ultimi 5: reclutamento speciale e transitorio La disposizione introduce forme di reclutamento
speciali ed a carattere transitorio: le procedure in questione valgono a sanare quelle situazioni di
precariato nel limite massimo del 50% delle risorse assunzionali, sia in termini economico finanziari
che in termini numerici, cioè di posti “liberi” all’interno della dotazione organica [5].
Ovviamente le procedure in questione non possono cumularsi con quelle “a regime” di cui all’art.
35, comma 3bis, del Dlgs 165/2001, in tal modo assorbendo il totale delle risorse assunzionali utili,
impedendo di fatto un adeguato accesso dall’esterno.
In altri termini, le amministrazioni, nella definizione delle procedure di reclutamento, dovranno
necessariamente tener conto sia delle procedure speciali “transitorie” che di quelle a
“regime” definendo la quantità di posti da destinare: in tal senso va letta la disposizione nella parte
in cui afferma che “le procedure selettive di cui al presente comma possono essere avviate (...) in
alternativa a quelle di cui all’articolo 35, comma 3bis, del Dlgs 30 marzo 2001, n. 165”. Resta da
chiarire come la disposizione in questione si coniughi con quella inerente ai c.d. concorsi
unici mentre non sembra incidere sulla “preventiva” mobilità quale condizione necessaria all’avvio
di qualsiasi procedura assunzionale: sia quella di cui all’art. 34bis del Dlgs 165/2001 che quella di
cui all’art. 30 dello stesso decreto legislativo, ne è oramai conferma la giurisprudenza consolidata
(tra le tante Consiglio di Stato, sez. V, decisione 18 agosto 2010 n. 5830) con la quale il Consesso
ha sancito il principio secondo il quale è fatto obbligo alle PA, che devono coprire eventuali posti
vacanti del proprio organico, di avviare le procedure di mobilità prima di procedere
all’espletamento delle procedure concorsuali e, conseguentemente, dichiara l’illegittimità di una
determinazione con la quale il responsabile del servizio Personale di un ente locale indice un
concorso pubblico senza avere esperito, preventivamente, le procedure di mobilità[6].
La norma di riferimento
Dl 31 agosto 2013 n. 101 Art. 4, comma 6
A decorrere dalla data di entrata in vigore del presente decreto efino al 31 dicembre 2016, al
fine di favorire una maggiore e più ampia valorizzazione della professionalità acquisita dal
personale con contratto di lavoro a tempo determinato e, al contempo, ridurre il numero dei
contratti a termine, le amministrazioni pubbliche possono bandire, nel rispetto del limite finanziario
fissato dall’articolo 35, comma 3bis, del Dlgs 30 marzo 2001, n. 165, a garanzia dell’adeguato
accesso dall’esterno, nonché dei vincoli assunzionali previsti dalla legislazione vigente e, per le
amministrazioni interessate, previo espletamento della procedura di cui all’articolo 35, comma 4,
del Dlgs 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, procedure concorsuali, per titoli ed
esami, per assunzioni a tempo indeterminato di personale non dirigenziale riservate
esclusivamente a coloro che sono in possesso dei requisiti di cui all’articolo 1, commi 519 e 558,
della legge 27 dicembre 2006, n. 296, e all’articolo 3, comma 90, della legge 24 dicembre 2007, n.
244, nonché a favore di coloro che alla data di pubblicazione della legge di conversione del
presente decreto hanno maturato, negli ultimi cinque anni, almeno tre anni di servizio con
contratto di lavoro subordinato a tempo determinato alle dipendenze dell’amministrazione che
emana il bando, con esclusione, in ogni caso, dei servizi prestati presso uffici di diretta
collaborazione degli organi politici. Il personale non dirigenziale delle province, in possesso dei
requisiti di cui al primo periodo, può partecipare ad una procedura selettiva di cui al presente
comma indetta da un’amministrazione avente sede nel territorio provinciale, anche se non
dipendente dall’amministrazione che emana il bando. Le procedure selettive di cui al presente
comma possono essere avviate solo a valere sullerisorse assunzionali relative agli anni 2013,
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2014, 2015 e 2016, anche complessivamente considerate, in misura non superiore al 50 per
cento, in alternativa a quelle di cui all’articolo 35, comma 3bis, del Dlgs 30 marzo 2001, n. 165. Le
graduatorie definite in esito alle medesime procedure sono utilizzabili per assunzioni nel
quadriennio 20132016 a valere sulle predette risorse. Resta ferma per il comparto scuola la
disciplina specifica di settore.
Naturalmente le stabilizzazioni possono avvenire esclusivamente tramite concorsi pubblici, per cui
a differenza del passato non sono consentite trasformazioni dirette del rapporto di lavoro a tempo
indeterminato se non nei casi sotto meglio specificati ed attinenti ai soli enti locali;
la stabilizzazione, peraltro, non è un diritto, ma è una semplice possibilità a disposizione degli
enti [7].
A decorrere dalla data di entrata in vigore del decreto e fino al 31 dicembre 2016, al fine di favorire
una maggiore e più ampia valorizzazione della professionalità acquisita dal personale con contratto
di lavoro a tempo determinato e, al contempo, ridurre il numero dei contratti a termine, le
amministrazioni pubbliche, nel rispetto del limite finanziario fissato dall’art. 35, comma 3bis, del
Dlgs 165/2001 a garanzia di un adeguato accesso dall’esterno (ossia entro il limite del 50% delle
risorse complessive destinate a nuove assunzioni), possono bandire procedure concorsuali, per
titoli ed esami, per assunzioni a tempo indeterminato di personale non dirigenziale riservate
esclusivamente:
• a coloro che sono in possesso dei requisiti di cui all’art. 1, commi 519 e 558, della legge 27
dicembre 2006, n. 296, e all’art. 3, comma 90, della legge 24 dicembre 2007,n. 244[8];
• a favore di quanti che alla data di pubblicazione della legge di conversione del Dl n.
101/2013 (30 ottobre 2013) hanno maturato, negli ultimi cinque anni, almeno tre anni di
servizio con contratto di lavoro subordinato a tempo determinato alle dipendenze
dell’amministrazione che emana il bando (con esclusione, in ogni caso, dei servizi prestati
presso gli uffici di diretta collaborazione degli organi politici);
in considerazione della disciplina in programma sulle province, in maniera specifica il Dl aggiunge
il personale non dirigenziale con rapporto di lavoro a tempo determinato presso le province aventi i
requisiti di cui alle precedenti lett. a) e b).
Le procedure di cui al comma 6 possono essere realizzate entro il limite del 20% del costo delle
cessazioni delle precedenti annualità, negli enti locali sottoposti al Patto; per gli enti non sottoposti
al Patto, nel limite del 50% del costo delle cessazioni.
Sembrano “scontate”, anche se utili ad un’approfondita conoscenza, una serie di altre affermazioni
contenute nella circolare esplicativa più volte citata.
Tra esse meritano attenzione:
la facoltatività del c.d. reclutamento speciale, in conformità a quanto già sostenuto nelle
precedenti procedure di stabilizzazione, che non costituisce, quindi, un obbligo per le
amministrazioni interessate[9];
il principio dell’adeguato accesso dall’esterno[10];
i vincoli in materia di dotazioni organiche[11].
Un’ultima puntualizzazione. Il concetto di stabilizzazione non costituisce sotto il profilo giuridico
una vera e propria trasformazione del rapporto da tempo determinato a tempo indeterminato;
l’inquadramento economico avviene, come per tutte le nuove assunzioni, nella fascia retributiva
iniziale ed è privo di continuità rispetto al precedente rapporto, con la conseguenza che il periodo
non di ruolo non rileva ai fini dell’anzianità di servizio. L’autonomia del nuovo rapporto determina
infine la necessità dello svolgimento del periodo di prova (Tar Veneto, sez. II, sentenza 15
novembre 2007, n. 3646).
Nel caso in esame poiché la stabilizzazione avviene mediante procedura riservata a coloro i quali
hanno titolo all’eventuale stabilizzazione, in presenza cioè di un momento “comparativo”,
la giurisdizione è del Ga (Tar Lombardia, Milano, sez. III, sentenza 29 gennaio 2009 n. 1011).
La possibilità di indire concorsi con il 50% dei posti riservati (art. 4 del Dl 101/13)
In base all’art. 35, comma 3bis, del Dlgs 165/2001 (introdotto dal citato decreto) le
amministrazioni pubbliche, nel rispetto della programmazione triennale del fabbisogno nonché
del limite massimo complessivo del 50% delle risorse finanziarie disponibili, cioè degli spazi
assunzionali, ai sensi della normativa vigente in materia di assunzioni, possono avviare procedure
di reclutamento mediante concorso pubblico:
• con riserva dei posti, nel limite massimo del 40% di quelli banditi, a favore dei titolari di
rapporto di lavoro subordinato a tempo determinato che, alla data di pubblicazione dei
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•
bandi, hanno maturato almeno tre anni di servizio alle dipendenze dell’amministrazione che
emana il bando;
per titoli ed esami, finalizzati a valorizzare, con apposito punteggio, l’esperienza
professionale maturata dal personale di cui alla lett.a) e di coloro che hannomaturato
almeno tre anni di contratto di collaborazione coordinata e continuativa nell’amministrazione
che emana il bando.
Le procedure di avvio: gli adempimenti in sintesi
Verifica della disponibilità di posti in dotazione organica, tenuto anche conto dei posti da
riservare
alle
categorie
protette;
analisi degli effettivi fabbisogni di personale legati ad esigenze permanenti ed ordinarie che
dovrebbe risultare dall’atto di programmazione triennale approvato dagli organi di vertice, ai sensi
dell’art.
39
della
legge
n.
449/97;
verifica dell’effettiva capacità assunzionale dell’ente, tenuto conto dei vincoli di spesa e di
bilancio;
verifica che le scelte adottate siano conformi alla salvaguardia del principio dell’adeguato accesso
dall’esterno. In effetti, il limite fissato dalla predetta disciplina legislativa è del 50% delle risorse
finanziarie
che
è
possibile
utilizzare
annualmente
quale
limite
massimo;
verifica sul rispetto dei vincoli procedurali disciplinati dal regolamento generale sulle
procedure concorsuali di cui al decreto presidenziale 487/1994 ovvero al proprio regolamento
interno, con particolare riguardo ai concorsi per titoli ed esami previsti dall’articolo 8 del citato
regolamento.
La norma interessata
6quater. Per gli anni 2013, 2014, 2015 e 2016, le regioni ei comuni che hanno proceduto, ai
sensi dell’articolo 1, comma 560, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, a indireprocedure
selettive pubbliche per titoli ed esamipossono, in via prioritaria rispetto al reclutamento
speciale di cui al comma 6 del presente articolo e in relazione al proprio effettivo fabbisogno e alle
risorse finanziarie disponibili, fermo restando il rispetto delle regole del patto di stabilità interno e
nel rispetto dei vincoli normativi assunzionali e in materia di contenimento della spesa complessiva
di personale, procedere all’assunzione a tempo indeterminato, a domanda, del personale non
dirigenziale assunto con contratto di lavoro a tempo determinato, sottoscritto a conclusione delle
procedure selettive precedentemente indicate, che abbia maturato, alla data di entrata in vigore
del presente decreto, almeno tre anni di servizio alle proprie dipendenze negli ultimi cinque anni.
Nelle more delle procedure di cui al presente comma, le regioni e i comuni possono prorogare, nel
rispetto dei limiti massimi della spesa annua sostenuta per le stesse finalità, previsti dall’articolo 9,
comma 28, del decreto legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30
luglio 2010, n. 122, e successive modificazioni, i contratti di lavoro a tempo determinato di cui
al periodo precedente fino alla conclusione delle procedure stesse e comunque non oltre il 31
dicembre 2016.
Il limite del 40% si traduce nell’esigenza di mettere a concorso almeno 3 posti, con evidenti
difficoltà di copertura finanziaria.
Quindi due limiti: uno finanziario al 50% ed uno numerico con riferimento alla singola procedura
concorsuale, pari al 40% dei posti messi a concorso. Anche nella fattispecie in questione, non pare
possano esserci dubbi in ordine alla giurisdizione del Ga per eventuali conflittiche dovessero
sorgere, in presenza di una chiara procedura concorsuale.
La speciale disciplina per gli enti locali e le regioni
Una speciale disciplina è stata prevista per gli enti locali che hanno attuato le disposizioni di cui
all’art. 1, comma 560, della legge 296/2006.
Il comma 6quater prevede che per gli anni 2013, 2014, 2015 e 2016, le regioni e i comuni che
hanno proceduto a indire procedure selettive pubbliche per titoli ed esami ai sensi del citato
comma 560, possono, in via prioritaria rispetto al reclutamento speciale di cui al comma 6,
procedere all’assunzione a tempo indeterminato, a domanda, del personale non dirigenziale
assunto con contratto di lavoro a tempo determinato, che abbia maturato almeno tre anni di
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servizio alle proprie dipendenze negli ultimi cinque anni.
Come emerge dal dato testuale la disciplina è dettata, in via prioritaria rispetto al reclutamento
speciale e transitorio previsto dal precedente comma 6 della medesima norma mentre non è
prioritaria rispetto alla procedura ordinaria di assunzione di cui alle procedure selettive con riserva
di cui all’art. 35, comma 3bis, del Dlgs 165/2001.
Tali categorie di personale vanterebbero, quindi, una sorta di diritto di precedenza e una priorità
rispetto alle altre procedure speciali e transitorie disciplinate dal medesimo art. 4, anche se le
assunzioni a tempo indeterminato saranno consentite sempre nel limite del 50% delle risorse
assunzionali destinabili al reclutamento speciale transitorio nel quadriennio 20132016.
Il comma 9 prevede che le amministrazioni pubbliche che, nella programmazione triennale del
fabbisogno di personale prevedono di effettuare procedure di stabilizzazione, possono prorogare i
contratti di lavoro a tempo determinato dei soggetti che hanno maturato, alla data di pubblicazione
della legge di conversione del Dl 101/2013 (30 ottobre 2013), almeno tre anni di servizio alle
proprie dipendenze.
La proroga deve avvenire nel rispetto dei vincoli finanziari previsti dalla normativa vigente in
materia e, in particolare, nel rispetto deilimiti massimi della spesa annua per la stipula dei contratti
a tempo determinato previsti dall’art. 9, comma 28, del Dl n. 78/2010. La proroga può essere
disposta, in relazione al proprio effettivo fabbisogno, alle risorse finanziarie disponibili e ai posti in
dotazione organica vacanti indicati nella programmazione triennale, fino al completamento delle
procedure concorsuali e comunque non oltre il 31 dicembre 2016.
Il comma 10 prevede espressamente che le regioni, le province-autonome e gli enti locali possano
attuare le disposizioni dei commi 6, 7, 8 e 9 tenuto conto dei criteri definiti con il decreto del
presidente del Consiglio dei ministri di cui al comma 5.
Il quadro delle disposizioni
La normativa relativa ai limiti di spesa previsti concernenti l’utilizzo dei rapporti di lavoro a
tempo determinato, che si è succeduta nell’ultimo decennio è la seguente:
• Legge 289/2002, legge finanziaria 2003, la quale stabilisce che: “Per l’anno 2003 le
amministrazioni di cui al comma 1 (amministrazioni pubbliche di cui agli articoli 1, comma
2, e 70, comma 4, del Dlgs 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni) possono
procedere all’assunzione di personale a tempo determinato, ad eccezione di quanto previsto
all’articolo 108 del testo unico di cui al Dlgs 18 agosto 2000, n. 267, o con convenzioni
ovvero alla stipula di contratti di collaborazione coordinata e continuativa nel limite del 90
per cento della spesa media annua sostenuta per le stesse finalità nel triennio 19992001.
[Per gli enti di ricerca, per l’Istituto superiore di sanità, per l’Agenzia spaziale italiana e per
l’Ente per le nuove tecnologie, l’energia e l’ambiente, nonché per le scuole superiori ad
ordinamento speciale, sono fatte comunque salve le assunzioni a tempo determinato i cui
oneri ricadono su fondi derivanti da contratti con le istituzioni comunitarie e internazionali di
cui all’articolo 5, comma 27, della legge 24 dicembre 1993, n. 537, ovvero da contratti con
le imprese] (Periodo soppresso dall’art. 2, Dl 9 maggio 2003, n. 105)”.
• Legge 350/2003,legge finanziaria 2004, art. 3, comma 65, il quale prevede che:
“Per l’anno 2004, le amministrazioni di cui al comma 53 possono avvalersi di personale a
tempo determinato, ad eccezione di quanto previsto dall’articolo 108 del testo unico delle
leggi sull’ordinamento degli enti locali, di cui al Dlgs 18 agosto 2000, n. 267, o con
convenzioni ovvero con contratti di collaborazione coordinata e continuativa, nei limiti di
spesa previsti dall’articolo 34, comma 13, della legge 27 dicembre 2002, n. 289 , e
successive modificazioni”.
• Legge 311/2004, legge finanziaria 2005, art. 1, comma 116, il quale prevede che:“Per
l’anno 2005, le amministrazioni di cui agli articoli 1, comma 2, e 70, comma 4, del Dlgs 30
marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, possono avvalersi di personale a tempo
determinato, ad eccezione di quanto previsto dall’articolo 108 del testo unico di cui al Dlgs
18 agosto 2000, n. 267, o con convenzioni ovvero con contratti di collaborazione coordinata
e continuativa, nel limite della spesa media annua sostenuta per le stesse finalità nel
triennio 19992001”.
• . Legge 266/2005, legge finanziaria 2006, art. 1, comma 187: “Le università possono
avvalersi di personale a tempo determinato ovvero co.co.co. nel limite del 60 per cento
della spesa sostenuta per le stesse finalità nell’anno 2003”. Art. 1, comma 188: “Per le
università sono fatte salve le assunzioni a tempo determinato e la stipula di co.co.co. per
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•
•
•
l’attuazione di progetti di ricerca e di innovazione tecnologica ovvero di progetti finalizzati al
miglioramento dei servizi anche didattici per gli studenti, i cui oneri non risultino a carico dei
bilanci di funzionamento degli enti o del Fondo di finanziamento ordinario delle università”.
Legge 296/2006, legge finanziaria 2007, art. 1, comma 538: “Con effetto dall’anno 2007,
all’articolo 1, comma 187, della legge 23 dicembre 2005, n. 266, le parole: ‘60 per cento’
sono sostituite dalle seguenti: ‘40 per cento’”.
Legge 244/2007, legge finanziaria 2008, art. 3, comma 80: “Con effetto dall’anno 2008 il
limite di cui all’art. 1, comma 187, della legge 23 dicembre 2005, n. 266, come modificato
dall’art. 1, comma 538, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, è ridotto al 35 per cento”.
Dl 78/2010, artt. 34, comma 13, e 9, comma 28: “Dal 2011 la spesa per personale a
tempo determinato, co.co.co e in convenzione, deve essere contenuta entro il limite del
50% della spesa sostenuta nell’anno 2009. Un ulteriore limite del 50% della spesa del 2009
è posto per i contratti di formazione lavoro, rapporti formativi e lavoro accessorio (...).”.
----1) La possibilità di recuperare nuove risorse finanziarie per destinarle al superamento del
precariato nella PA restano, infatti, legate ai blocchi del turn over che potrebbe essere
ulteriormente prorogato come previsto dal disegno di legge di stabilità per l’anno 2014 e a quello
della contrattazione collettiva nazionale, nonché al processo di spending review avviato da diversi
anni di contenimento e di revisione della spesa pubblica, di cui quella del personale rappresenta un
dato di grande rilevanza ed incidenza, che ha avuto recentemente un nuovo impulso con la nomina
di un nuovo commissario. Nicola Niglio, Il decreto legge n. 101/2013: le disposizioni in materia di
reclutamento di personale, organici ed utilizzo dei contratti flessibili di lavoro nella PA, in
LexItalia.it, n. 12/2013.
2) La circolare n. 5/2013 sembrerebbe sposare la tesi per la quale “la subordinazione è fondata
sull’attinenza dell’oggetto della prestazione del lavoratore socialmente utile agli scopi istituzionali
del comune. In altri termini, un Lsu svolge compiti strumentali al perseguimento dei fini del
comune (in questo caso, la prevenzione e la repressione delle violazioni al codice stradale, le quali
prevenzione e repressione sono scopi istituzionali dell’ente comunale). Non importa il risultato della
prestazione, quanto l’energia lavorativa, che la prestazione mette a disposizione dell’ente. In tal
modo, il lavoratore socialmente utile è elemento aziendale (si perdoni l’espressione, ma non esiste
altra migliore) del comune, pur non essendo inserito nella sua pianta organica”. Inoltre, il
lavoratore socialmente utile è soggetto al potere direttivo e disciplinare del comune. Infatti, gli
indirizzi della sua attività sono dettati dalla dirigenza comunale, la quale ha anche il compito
d’organizzare il procedimento disciplinare con irrogazione dell’eventuale sanzione a carico di un Lsu
colpevole di illecito. L’iscrizione alle liste di collocamento del lavoratore socialmente utile non
esclude la configurazione di un rapporto di lavoro subordinato, sia perché ciò dipende dalla natura
assistenziale dell’istituto sia perché sono previste altre forme di lavoro subordinato speciale, che
contemplano l’iscrizione in specifici albi. Ad esempio, il lavoratore a domicilio resta un lavoratore
subordinato speciale, anche se è iscritto all’albo delle imprese artigiane (cfr. Cass., 11431/1995).
Quindi, è possibile concludere che i Lsu hanno un rapporto di impiego subordinato con il comune,
sia pure speciale.
3) In linea generale dovrebbero essere i casi di quei lavoratori che a seguito delle modifiche
intervenute nel tempo nella legislazione inerente ai rapporti di lavoro flessibile sono stati
trasformati in lavoratori a tempo determinato.
4) Cassazione, sez. un., 2 ottobre 2012, n. 16735: “La l. n. 296 del 2006, art. 1, commi 519, 557
e 558, costituisce per l’anno 2007, lo stanziamento di fondi finalizzati alla stabilizzazione a
domanda del personale non dirigenziale in servizio a tempo determinato da almeno tre anni, anche
non continuativi, o che consegua tale requisito in virtù di contratti stipulati anteriormente alla data
del 29 settembre 2006 o che sia stato in servizio per almeno tre anni, anche non continuativi, nel
quinquennio anteriore all’entrata in vigore della legge. Le riferite disposizioni di legge consentono di
fissare i seguenti principi:
a) i processi di stabilizzazione (tendenzialmente rivolti ad eliminare il precariato venutosi a creare
in violazione delle prescrizioni di cui al Dlgs n. 165 del 2001, art. 36), sono effettuati nei limiti delle
disponibilità finanziarie e nel rispetto delle disposizioni in tema di dotazioni organiche e di
programmazione triennale dei fabbisogni (Dlgs n. 165 del 2001, art. 6);
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Rifiuti
La combustione illecita dei rifiuti diventa un reato fattispecie aggravata se
si tratta di scarti pericolosi
Il provvedimento d'urgenza "Terra dei fuochi" approda finalmente in "Gazzetta" ed è in vigore già
dall'11 dicembre scorso. È stato, infatti, pubblicato sulla "Gazzetta Ufficiale" del 10 dicembre scorso
n. 289 il decreto legge 10 dicembre 2013 n. 136, recante "Disposizioni urgenti dirette a
fronteggiare emergenze ambientali e industriali ed a favorire lo sviluppo delle aree interessate".
Xavier Santiapichi, Il Sole 24 ORE – Guida al Diritto, 11 gennaio 2014, n. 3
La struttura del provvedimento - Il nuovo provvedimento d'urgenza è strutturato in tre filoni
principali. Il primo filone è diretto a reprimere il comportamento incivile di bruciare rifiuti. Il
secondo, invece, attiene a una serie di misure dirette ad assicurare la salute pubblica, in relazione
alle aree della Campania interessate dal fenomeno. Terzo e ultimo filone riguarda il risanamento
ambientale dell'Ilva di Taranto.
Combustione illecita dei rifiuti (Dl 136/2013, articolo 3) - Con il nuovo reato di combustione
illecita di rifiuti il legislatore mira, tra l'altro, a reprimere l'incivile comportamento di bruciare rifiuti.
Il precedente quadro normativo - La tutela penalistica italiana dal pericolo degli incendi era
tradizionalmente ancorata, in basso, alle cautele del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza
relative all'accensione dei fuochi e, in alto, a livello di previsioni di delitti di comune pericolo, alle
incriminazioni previste dagli articoli 423, 423-bis, 424 e, quanto alle ipotesi aggravate, 425 del Cp.
Una protezione penalistica in esplicita funzione di salvaguardia dell'incolumità pubblica, limitata nel
fine.
La fattispecie era ed è applicabile solo nell'ipotesi di un incendio tale, per proporzioni e possibilità di
sviluppo, da mettere in pericolo, appunto, la pubblica incolumità.
Magari a rigore, un'interpretazione del concetto di "incolumità pubblica" tale da risentire dei pericoli
e delle lesioni ambientali avrebbe potuto condurre a un allargamento della tutela. Ma il dato di
fatto è quello della limitatezza dell'ambito di applicazione delle previsioni codicistiche.
Al di là della messa in pericolo dell'incolumità pubblica, bruciare i rifiuti violava specificamente le
disposizioni sullo smaltimento dei rifiuti, con relativa applicazione del reato contravvenzionale di
"Attività di gestione dei rifiuti non autorizzata" (articolo 256 del codice dell'ambiente) che prevede:
a) la pena dell'arresto da tre mesi a un anno o con l'ammenda da duemilaseicento euro a
ventiseimila euro se si tratta di rifiuti non pericolosi;
b) la pena dell'arresto da sei mesi a due anni e con l'ammenda da duemilaseicento euro a
ventiseimila euro se si tratta di rifiuti pericolosi.
La struttura del delitto - Oggi viene introdotto il reato ben più grave. La nuova fattispecie
criminosa, introdotta con l'articolo 256-bisenuclea lo specifico delitto di «combustione illecita di
rifiuti» e lo circoscrive, anzitutto, ai rifiuti abbandonati ovvero depositati in maniera incontrollata in
aree non autorizzate. La condotta materiale è costituita dall'appiccamento del fuoco e non rilevano
le dimensioni dell'incendio. La norma prevede una fattispecie aggravata, nel caso di rifiuti
pericolosi.
Dall'originaria finalità della previsione codicistica di tutela dell'incolumità pubblica si è andati verso
le esigenze di tutela dell'ambiente, in generale.
Si riconosce a livello normativo ciò che è già nel sentito comune; l'accensione anche di un piccolo
incendio - ancorché incapace di ledere direttamente la salute pubblica - danneggia l'ambiente nella
sua accezione più vasta, in conseguenza soprattutto delle emissioni di sostanze inquinanti in
atmosfera e delle relative ricadute. Quindi anche fenomeni minori sono sottoposti a sanzioni forti
dall'ordinamento, che ha dovuto prendere atto delle conseguenze (non meno gravi rispetto alle
sanzioni) di incendi anche modesti.
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Non è inutile rammentare che la definizione di rifiuto (ex articolo 183 del codice dell'ambiente) è
rimessa a una valutazione tendenzialmente soggettiva di chi dispone del rifiuto («rifiuto»: qualsiasi
sostanza od oggetto di cui il detentore si disfi o abbia l'intenzione o abbia l'obbligo di disfarsi).
L'effetto di quanto riportato (il richiamo ai rifiuti, in generale) fa sì che la disposizione dovrebbe
trovare applicazione anche rispetto al fuoco acceso per bruciare gli sfalci, le potature e gli avanzi
dell'attività agricola in generale. Su questo va ricordato l'articolo 185, comma 1, letteraf) del codice
dell'ambiente, nella parte in cui esclude dal novero dei rifiuti la «...paglia, sfalci e potature, nonché
altro materiale agricolo o forestale naturale non pericoloso utilizzati in agricoltura e nella
selvicoltura». Tuttavia la disposizione prevede anche che i processi di smaltimento (il fuoco, ad
esempio) non danneggino l'ambiente o mettano in pericolo la salute umana.
Si tratta quindi di un esame da compiersi caso per caso, rimesso all'apprezzamento del giudice e
legato anche alla rilevanza dell'intervento, ad esempio alla quantità di vegetazione bruciata.
Lascia qualche perplessità la specificazione, contenuta nella nuova previsione di reato, che limita il
delitto ai «rifiuti abbandonati ovvero depositati in maniera incontrollata in aree non autorizzate».
Per aree autorizzate deve intendersi qualsiasi zona destinata a deposito temporaneo, anche quindi
piccoli centri di trasferenza, ovvero gli stessi cassonetti.
L'effetto dell'applicazione di questa disposizione potrebbe essere quello di punire con la (lieve)
contravvenzione ex 256 del codice dell'ambiente l'appiccamento del fuoco di siti di stoccaggio
provvisorio (ad esempio i grandi cumuli di rifiuti a ridosso dei cassonetti che spesso abbiamo visto
- purtroppo - nell'area campana) e colpire con il delitto ex 256-bis del codice chi brucia anche solo
una busta di rifiuto nel proprio giardino.
L'aumento di pena - Per quanto concerne la previsione di cui al n. 4, la nuova legge non specifica
l'aumento di pena che, in conseguenza, deve essere calcolato secondo la previsione dell'articolo 64
del Cp (aumento della pena fino a un terzo): si tratta dell'aggravamento del delitto in dipendenza
dalla eventuale dichiarazione di stato di emergenza nel settore dei rifiuti per alcuni territori.
La misura della confisca - La confisca del mezzo di trasporto prevista dal n. 5 aggiunge un
ulteriore elemento di deterrenza ma c'è qui una inversione dell'onere della prova quanto al terzo,
eventuale proprietario del mezzo di trasporto. La buona fede non è presunta e, anzi, il terzo deve
provare che l'uso del bene è avvenuto a sua insaputa e in assenza di un proprio comportamento
negligente. La confisca dell'area è, invece, collegata alla proprietà da parte anche di un
compartecipe nel reato.
Il reato ha natura dolosa e, nei congrui casi, cede davanti a un reato più grave.
Interventi urgenti
articolo 1 ) - Prima
prevedere interventi
proseguire l'opera di
per garantire la sicurezza agroalimentare in Campania (Dl 136/2013,
ancora di introdurre il nuovo reato, il decreto legge 136/2013 si occupa di
specifici per arginare gli effetti negativi dell'inquinamento già prodottosi e per
mappatura già avviata.
La mappatura - Per la mappatura al Cra (il Consiglio per la ricerca e la sperimentazione in
agricoltura), all'Ispra (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale), all'Istituto
superiore di sanità e all'Arpa Campania (Agenzia regionale per la protezione ambientale) viene
affidato il compito - in base a una direttiva dei competenti ministeri in fase di predisposizione - di
mappare i terreni della regione Campania destinati all'agricoltura, al fine di accertare l'esistenza di
effetti contaminanti a causa di sversamenti e smaltimenti abusivi, anche mediante combustione.
In realtà la medesima attività è stata da tempo avviata dal ministero dell'Ambiente, della tutela del
territorio e del mare, attraverso il progetto "Monitoraggio delle aree potenzialmente inquinate
(Mapi)". Si tratta di indagini e mappature svolte con la Magnetometria (per la ricerca di fusti
sepolti), la spettrometria con raggi gamma e la ricerca termica (per i rifiuti radioattivi). Il Mapi è un
progetto già finanziato con risorse anche comunitarie e che oggi viene ulteriormente finanziato con
tre milioni di euro (previsti dal comma 6 dell'articolo 1).
A seguito della mappatura delle aree, l'Ispra e gli altri soggetti indicati dovranno individuare anche
una proposta sui possibili interventi di bonifica, da realizzarsi prima in alcune aree (denominate
"prioritarie", quindi con maggiori fenomeni di inquinamento) e poi estesa a tutto il territorio colpito
dai fenomeni.
A questo punto la disposizione avrebbe dovuto prevedere una cospicua dotazione finanziaria, per
far fronte alle bonifiche. Si tratta della vera misura necessaria che il Governo deve assumere per
recuperare questi territori.
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Azioni e interventi di monitoraggio e tutela nei territori della regione Campania (Dl
136/2013, articolo 2) - Si prevede, invece, (articolo 2 del Dl 136/2013) l'istituzione, presso la
presidenza del Consiglio dei ministri, di un Comitato interministeriale, presieduto dal Presidente del
consiglio dei ministri o da un ministro da lui delegato, composto dal ministro per la Coesione
territoriale, dal ministro dell'Interno, dal ministro delle Politiche agricole alimentari e forestali, dal
ministro dell'Ambiente e della tutela del territorio e del mare, dal ministro delle Infrastrutture e dei
trasporti, dal ministro della Salute, dal ministro per i Beni e le attività culturali e dal presidente
della regione Campania.
Questo Comitato, in sintesi, è chiamato a supervisionare l'attività di una neoistituita Commissione
(con i rappresentanti dei ministeri) che dovrà adottare e coordinare un programma straordinario e
urgente di interventi finalizzati alla tutela della salute, alla sicurezza, alla bonifica dei siti, nonché
alla rivitalizzazione economica dei territori mappati.
Il problema è che questo programma straordinario non è - allo stato - finanziato.
Bisognerà individuare le risorse dalla riprogrammazione delle linee di intervento del Piano di azione
coesione della regione Campania e da "eventuali" ulteriori disponibilità previste dai programmi dei
fondi strutturali europei 2014-2020.
Ancora una volta assistiamo a molti bei programmi e all'inasprimento delle pene, senza però che
contemporaneamente siano indicate disponibilità finanziarie immediatamente spendibili.
Un regime più severo
Il reato
Con l'articolo 3 del Dl n. 136 vengono introdotte sanzioni penali per
contrastare chi appicca i roghi tossici, oggi sanzionabili solo con
contravvenzioni
Reclusione da due A chiunque appicchi il fuoco a rifiuti abbandonati ovvero depositati in maniera
a cinque anni
incontrollata in aree non autorizzate
Reclusione da tre
Nel caso in cui sia appiccato il fuoco a rifiuti pericolosi
a sei anni
Aumento
della Se i delitti sono commessi nell'ambito dell'attività di un'impresa, o comunque
pena di un terzo
di un'attività organizzata
Pena aumentata
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Se i fatti sono commessi in territori che, al momento della condotta e
comunque nei cinque anni precedenti, siano o siano stati interessati da
dichiarazioni di stato di emergenza nel settore dei rifiuti (è il caso della
Campania)
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Casi pratici
Catasto
SE MANCA LA NOTIFICA DELLA RENDITA CATASTALE
D. L'agenzia del Territorio - su richiesta del Comune ai sensi dell'articolo 3, comma 58, della legge
662/1996 - ha variato nel 2006 il classamento di un immobile, con avviso di accertamento mai
notificato. Il proprietario ha continuato a pagare l'Ici sulla base della minore rendita ante-revisione;
l'ufficio Ici ha emesso avviso in rettifica per il 2007, ma, su istanza di parte, lo ha annullato, in
quanto non ha potuto dimostrare l'avvenuta notifica della maggiore rendita. Ora il proprietario
intende donare l'immobile, e il notaio applica le imposte ipotecarie/catastali sulla base della
maggiore rendita, in quanto è quella indicata negli atti catastali. Prima della donazione - che si può
rinviare - conviene chiedere all'agenzia del Territorio il ripristino in atti della vecchia rendita? A
seguito della richiesta, l'ufficio potrebbe notificare la nuova rendita? Che cosa consiglia l'esperto?
C'è un termine entro il quale notificare la rendita attribuita a seguito della revisione dei classamenti
di microzone censuarie?
---R. Dal 1° gennaio 2000, il comma 1 dell'articolo 74 della legge 21 novembre 2000, n. 342, ha
stabilito che la rendita attribuita decorre dalla data di notificazione all’interessato, e dalla
medesima data decorre anche il termine per l’impugnazione. L’interpretazione di tale norma ha
visto alternarsi due diversi orientamenti dottrinali e giurisprudenziali. I primi orientamenti
giurisprudenziali della Corte di cassazione andavano nel senso dell'applicabilità della nuova rendita
solo a decorrere dalla data di notifica; dopo il 2005, tale orientamento è mutato e porta a
considerare l’utilizzabilità della rendita per gli atti impositivi dei Comuni (Ici, Imu) solo a seguito
della sua notifica al contribuente, ma con la possibilità di chiedere l’imposta comunale per i periodi
d'imposta anche precedenti alla notifica, senza sanzioni e interessi (Corte di cassazione, n.
13077/2005, n. 20775/2005, n. 9203/2007, n. 25390/2008, n. 23627/2008 e n. 12029/2009).Nel
caso particolare segnalato, di attribuzione della rendita, l’efficacia fiscale (ai fini Ici e Imu) della
rendita catastale, essendo essa stata determinata per effetto di revisione d’ufficio in forza della
disposizione citata (articolo 3, comma 58, della legge 662/1996) o anche della legge 311/2004,
articolo 1, comma 335, è da individuare al 1° gennaio dell’anno di imposizione nel quale la rendita
risulta scritta negli atti catastali; cioè, secondo la regola generale stabilita dall’articolo 5 del Dlgs
504/1992. Di conseguenza, se gli atti catastali fossero stati aggiornati entro il 31 dicembre 2006,
dal 2007 sarebbe dovuta l’imposta sulla base della nuova rendita. Nel caso specifico posto dal
quesito, per la mancanza della notifica, il Comune ha dovuto annullare il suo atto impositivo;
tuttavia, potrà riproporlo non appena la notifica sarà stata effettuata, richiedendo la differenza di
imposta anche per gli anni pregressi, a partire dalla data di efficacia fiscale, sempre che rientri
nell’ambito del termine decadenziale (cinque anni), seppure senza applicazione di sanzioni e
interessi. Per quanto concerne la donazione, è corretta l’indicazione fornita dal notaio, nel senso
che è facoltà della parte chiedere l’applicazione dell’imposta sulla base imponibile risultante dalla
rendita catastale in atti al momento del rogito, e che non può, pertanto, essere disconosciuta dalla
parte che invoca l’agevolazione. Diversamente, non volendo fruire della suddetta facoltà, le
imposte devono essere corrisposte sulla base del valore di mercato dichiarato, salvo diverso
maggiore accertamento d'ufficio. In riferimento all’ultima parte del quesito, si evidenzia che non
esiste un termine decadenziale per la notifica della rendita rettificata dall’ufficio; semplicemente, la
notifica dovrebbe avvenire quanto più possibile in prossimità della data di aggiornamento degli atti
catastali, per non causare danno agli enti impositori, abbreviando il tempo a ritroso per il quale
potranno essere richieste le differenze di imposta. In conclusione, essendo ormai il proprietario
dell'immobile a conoscenza dell’importo della nuova rendita, anche se non formalmente notificata,
sembrerebbe più opportuno, qualora egli ritenesse la rendita non adeguata, avviare una pratica di
contenzioso catastale (eventualmente preceduta da un’istanza di autotutela), piuttosto che sfuggire
una notifica che, molto probabilmente, sarà prossima anche senza alcuna azione di parte. La
definizione della rendita sarà utile anche per la decisione sul rimandare o meno la donazione.
(Antonio Iovine, Il Sole 24 ORE – L’Esperto Risponde, 27 gennaio 2014)
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Immobili
AFFITTI VALIDI ANCHE SENZA ALLEGARE L'APE
D. Ho stipulato un contratto di locazione abitativa a canone libero, della durata di quattro anni più
quattro, in data 2 ottobre 2013. Il contratto è stato registrato all'agenzia delle Entrate il 24 ottobre
scorso. Ho scoperto solo qualche giorno fa che avrei dovuto predisporre anche una certificazione
energetica e allegarla al contratto. Peraltro, né l'inquilino né le Entrate mi hanno chiesto nulla in
proposito. Ora sento che la certificazione non è più necessaria. Vorrei avere un chiarimento sulla
situazione normativa e sapere se rischio qualcosa per non aver predisposto e allegato a suo tempo
la certificazione energetica.
---R. Le regole sulla certificazione energetica sono cambiate di nuovo qualche settimana fa: con il
decreto «destinazione Italia» (il Dl 145/2013), dal 24 dicembre scorso non è più necessario
allegare l'Ape (attestato di prestazione energetica) al nuovo contratto di locazione per singole unità
immobiliari. L'obbligo rimane solo per le locazioni di interi edifici, oltre che per i trasferimenti a
titolo oneroso.
Può stare tranquillo anche chi – come il lettore – ha stipulato un contratto dal 4 agosto 2013, data
di entrata in vigore della legge 90 (di conversione del Dl 63/2013), che disponeva l'obbligo di
allegare l'Ape a pena di nullità del contratto stesso. Il contratto viene sanato con il pagamento di
una sanzione sostitutiva di quella della nullità in precedenza stabilita. L'unico caso in cui la
sanatoria non è possibile è quello in cui la nullità sia già stata dichiarata dal giudice con sentenza
passata in giudicato (articolo 1, comma 8, del Dl 145/2013): ma si tratta con tutta evidenza di
un'ipotesi di scuola.
La sanatoria può essere chiesta da una delle parti del contratto o da un loro avente causa, così che
il pagamento della sanzione impedisce qualsiasi eventuale postuma eccezione di nullità. Peraltro,
potrebbe darsi benissimo che il contratto prosegua per mesi o anni senza che nessuno invochi la
nullità, né chieda la sanatoria.
Comunque, con l'entrata in vigore del decreto «destinazione Italia» (24 dicembre 2013) gli obblighi
non vengono azzerati. Il locatore deve informare il proprio conduttore sulla prestazione energetica
del bene immobile oggetto della locazione, così come la si deduce dal relativo attestato che, in ogni
caso, dev'essere messo a disposizione dell'inquilino ancor prima di concludere il contratto di
locazione, cioè nel momento in cui iniziano le trattative dirette a concedere il godimento del bene
(articolo 6, comma 2, del Dlgs 192/2005, così come modificato dalla legge 90/2013).
L'adempimento dell'obbligo di informativa va documentato attraverso l'inserimento nel contratto di
una clausola con cui il conduttore dà atto di avere ricevuto le informazioni e la documentazione in
ordine alla prestazione energetica del bene locato. È sufficiente riportare nel contratto la
dichiarazione dell'interessato di avere ricevuto le opportune informazioni, senza che sia necessario
specificare nel dettaglio il tipo e la qualità delle stesse. Si tratta quindi di una semplice
dichiarazione del conduttore, da recepire nel corpo del contratto, non richiedendo la norma alcuna
altra particolare formalità.
Il fatto che l'Ape debba essere messo a disposizione del conduttore sin dal momento delle
trattative, unitamente alla dichiarazione che il conduttore stesso deve rendere di avere ricevuto,
oltre che le informazioni, anche «la documentazione comprensiva dell'attestato» (nuovo articolo 6,
comma 3, del Dlgs 192/ 2005), lascia presumere che incombe sul locatore anche un più generale
obbligo di consegna dell'Ape.
Eliminato l'obbligo di allegazione dell'Ape per le locazioni di singole unità immobiliari – che in
precedenza era sanzionato con la nullità – resta ora una sanzione da 1.000 a 4mila euro (da
ridurre alla metà per i contratti di durata inferiore a tre anni) per l'ipotesi di mancata dichiarazione
all'interno del contratto. La sanzione viene posta in capo alle parti in via solidale.
Tale sanzione è applicabile anche alle ipotesi di contratti stipulati, come sopra si è visto, dopo
l'entrata in vigore della legge 90/2013 (4 agosto 2013), a cui non era stato allegato l'Ape o che
difettavano dell'informativa su di essa. Si noti che la sanzione non assume naturalmente carattere
di sanatoria, così che il pagamento di essa non esonera il proprietario dal provvedere comunque
agli obblighi impostigli dal decreto in esame.
Gli obblighi riguardano solo i contratti che si stipulano per la prima volta, restando pertanto escluse
le ipotesi delle proroghe, delle cessioni, delle successioni dei contratti e casi similari. Sono esclusi
dall'obbligo anche i nuovi contratti non soggetti a registrazione, quelli cioè con durata non
superiore complessivamente a 30 giorni all'anno.
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Al di là dell'obbligo di informazione e consegna, non viene comunque meno il dovere del
proprietario di dotare il proprio immobile dell'attestato di prestazione energetica, che continua a
essere previsto dall'articolo 6, comma 2, del Dlgs 192/2005, e la cui mancanza viene punita con
una sanzione da 300 a 1.800 euro. L'obbligo di consegna della certificazione energetica all'inquilino
è rispettato attraverso la stessa previsione dell'obbligo di dotazione.
Da non dimenticare infine che, nel caso di offerta di vendita o di locazione, gli annunci tramite tutti
i mezzi di comunicazione commerciali devono riportare l'indice di prestazione energetica
dell'involucro edilizio e globale dell'edificio o dell'unità immobiliare, e la classe energetica
corrispondente.
Attenzione, però, alla possibilità che alcune Regioni abbiamo adottato sanzioni differenti, in forza
della cosiddetta "clausola di cedevolezza" prevista dal Dlgs 192/2005 (articolo 17) che ha lasciato
facoltà alle Regioni di adottare autonomi provvedimenti per disciplinare la materia. E così, ad
esempio, per le locazioni stipulate in Piemonte, al pari di quelle in Liguria, il certificato energetico
dev'essere messo a disposizione del conduttore, per cui, se l'immobile ne è privo, il locatore incorre
nella sanzione pecuniaria da 500 a 5mila euro a seconda delle superfici utili locate.
In Lombardia (dove peraltro il certificato continua a denominarsi Ace) l'obbligo di consegna al
locatore prevede sanzioni maggiori (da 2.500 a 10mila euro) e dev'essere osservato anche in caso
di tacito rinnovo del contratto.
Nessuna sanzione invece per l'Emilia Romagna, pur persistendo l'obbligo di consegna. Per la
Toscana la mancata dotazione dell'attestato di certificazione energetica comporta il declassamento
dell'immobile alla classe più bassa. Infine, la Valle d'Aosta, dove la mancata consegna comporta
una sanzione da 300 a 1.800 euro.
Caso per caso
IL CONDUTTORE DEVE ESSERE «INFORMATO»
Il 7 gennaio ho firmato un contratto di locazione con uno studente universitario. Non ho la
certificazione energetica e non l'ho ancora registrato alle Entrate. Posso rimediare predisponendo
ora una certificazione energetica?
-----------L'immobile deve essere fornito dell'(Ape), che può essere quindi sempre predisposto. Non essendo
però il conduttore stato preventivamente informato circa la prestazione energetica dell'immobile, il
locatore resta soggetto alle sanzioni di cui all'articolo 6, comma 3, Dlgs 192/2005 (da 1.000 a
4mila euro, dimezzati se la locazione non eccede i tre anni).
«IPE» E CLASSE NELL'ANNUNCIO SUL PORTONE
Sta per scadere un contratto 4+4 nella casa di cui sono proprietario e l'inquilino se ne andrà. Devo
inserire la classe energetica dell'alloggio già nell'annuncio affisso sul portone? E cosa succede se
non lo faccio?
-----------Gli annunci di offerta di locazione tramite tutti i mezzi di comunicazione commerciali devono
riportare l'indice di prestazione energetica dell'involucro edilizio e globale dell'edificio o dell'unità
immobiliare e la classe energetica corrispondente. In caso di violazione dell'obbligo, il responsabile
dell'annuncio è punito con la sanzione amministrativa da 500 a 3.000 euro.
LA CHANCE DI INVOCARE LA NULLITÀ
Il 10 settembre ho stipulato un contratto di locazione commerciale senza Ape. Il conduttore non
paga regolarmente il canone. Posso invocare la nullità per liberarmi del contratto?
-----------Il 4 agosto 2013 è entrata in vigore la legge 90, che ha previsto la nullità del contratto di locazione
qualora a esso non sia stato allegato l'attestato di prestazione energetica del bene immobile
concesso in locazione. La nullità può essere fatta valere sino che una della parti – e quindi anche il
conduttore – non richieda di poterla sanare con il pagamento della sanzione prevista dal Dl 145/13.
UNA CLAUSOLA INDICA LA PRESA VISIONE
Devo stipulare il contratto di locazione di un ufficio. Ho già l'Ape, ma che cosa devo farne, ora che
non è più obbligatorio?
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L'obbligo primario è quello di inserire nel testo del contratto una apposita clausola con cui il
conduttore dà atto di avere ricevuto le informazioni e la documentazione in ordine all'attestazione
della prestazione energetica, di cui riceve copia. È sufficiente un richiamo di riferimento ai principali
dati emergenti dall'Ape che, in ogni caso, deve essere messo a disposizione del conduttore affinché
prenda buona nota del suo contenuto.
PATTI BREVI FUORI DALL'OBBLIGO
Sono proprietario di una casa di vacanze, che dò in locazione per 2-3 settimane in estate. Devo
necessariamente consegnare l'Ape all'inquilino all'atto del contratto?
-----------La nuova normativa dettata in tema di prestazione energetica è chiara nel prevedere l'obbligo di
osservanza di tale incombente solo per i contratti di locazione soggetti a registrazione. Inoltre, è
necessaria la registrazione solo per quei contratti di durata complessiva superiore a trenta giorni
l'anno. Cosicché deve escludersi l'obbligo di consegna dell'Ape al conduttore nei casi in cui la
locazione abbia nel suo insieme una durata inferiore.
L'ONERE SCATTA PER L'IMMOBILE CEDUTO A TERZI
Non ho alcuna intenzione di vendere o locare l'appartamento in cui abito; chiedo se devo
comunque provvedere all'Ape.
-----------Se si resta al tenore letterale della legge vigente, l'obbligo di dotare l'immobile dell'Ape sussiste
solo quando si intenda trasferirlo a titolo oneroso, oppure concederlo in locazione. L'Ape può essere
utile per fotografare i reali consumi dell'edificio e individuare eventuali interventi migliorativi. Per
alcune tipologie di interventi, è richiesto per beneficiare della detrazione fiscale del 65 per cento.
IL DEPOSITO DI MATERIALI È ESENTE
Devo affittare un locale, come deposito di materiali edili, che non accoglierà persone, essendo
anche privo di energia elettrica. Devo dotarlo di Ape?
-----------Sono esclusi dall'obbligo di dotazione dell'Ape tutti gli immobili il cui utilizzo non prevede
l'installazione o l'impiego di sistemi tecnici e, in genere, tutti quelli per i quali non sia necessario
garantire quel confort abitativo, che ricomprende tutti i casi in cui l'unità immobiliare risulti
funzionalmente collegata a una occupazione prevalente e continuativa. Rientra tra questi il locale
da adibire a mero deposito.
ATTENTI A...
L'ATTO SI ALLEGA PER L'INTERO EDIFICIO
L'obbligo di allegazione dell'Ape riguarda solo i nuovi contratti di locazione di interi edifici, con
esclusione quindi di quelli riguardanti singole unità immobiliari. Per tutte le nuove locazioni, quelle
cioè stipulate per la prima volta e fatta eccezione per quelle di durata complessiva inferiore a 30
giorni nell'arco dell'anno, permane l'obbligo di metterlo a disposizione dell'inquilino appena hanno
inizio le trattative dirette a concludere il contratto di locazione, quand'anche queste si svolgano non
già direttamente tra le parti, ma attraverso un'agenzia immobiliare. Il contratto deve in ogni caso
contenere una clausola in forza della quale il conduttore dà atto di avere ricevuto le informazioni e
la documentazione in ordine all'attestazione della prestazione energetica, di cui ne riceve copia.
LA DATA CHIAVE
LA SANATORIA PER IL PASSATO
L'obbligo di consegnare o di mettere a disposizione del conduttore la certificazione energetica,
previsto a pena di nullità dall'articolo 15, comma 9, Dlgs 192/2005, era stato abrogato dall'articolo
35 della legge n. 133/2008, restando invece in vigore solo in alcune Regioni. Il 4 agosto 2013 è
entrata in vigore la legge 90, di conversione del Dl 63/2013, che ha reso obbligatoria l'allegazione
al contratto di locazione dell'Ape, prevedendo la massima sanzione della nullità del contratto. Per
gli immobili privi di Ape, concessi in locazione dopo tale data e sino al 23 dicembre 2013, è
prevista la possibilità di evitarne la declaratoria di nullità – sempre che già non sia stata dichiarata
con sentenza passata in giudicato – con il pagamento di una sanzione amministrativa. La richiesta
deve essere avanzata da una delle parti o da un loro avente causa.
(Augusto Cirla, Il Sole 24 ORE – L’Esperto Risponde, 20 gennaio 2014)
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CANONI IN CONTANTI: RISCHIO SANZIONI FINO AL 40 PER CENTO
D. Sono proprietario di alcuni appartamenti concessi in locazione a uso abitativo, con contratto di
quattro anni più quattro.
Ho appreso che dal 1° gennaio del 2014 i miei inquilini non potranno più pagare in contanti i canoni
relativi alla locazione dell'immobile di cui sono proprietario.
Non ero a conoscenza della novità e il primo canone del mese di gennaio è stato pagato in
contanti.
Sono previste sanzioni? Da quando si applica la novità?
---R. Dal 1º gennaio 2014, i canoni di locazione delle abitazioni non possono più essere pagati in
contanti. Non è indicato un importo minimo. La novità è stata prevista dalla legge di stabilità del
2014 (legge n. 147/2013, comma 50). Indipendentemente dall'ammontare mensile del canone,
devono essere utilizzati esclusivamente mezzi di pagamento in grado di assicurare la tracciabilità
dei flussi di denaro.
Le eventuali violazioni dovrebbero dare luogo all'irrogazione delle stesse sanzioni previste in
materia di antiriciclaggio, cioè dall'1 al 40% (importo variabile) della somma trasferita in contanti.
La sanzione sarà irrogata sia nei confronti del soggetto che effettua il pagamento, sia nei confronti
di colui che lo riceve. Se si ritiene di poter applicare le sanzioni dell'antiriciclaggio dovrebbe trovare
applicazione anche la sanzione minima di 3.000 euro.
Il nuovo obbligo viene inserito nell'articolo 12 del «salva Italia» (Dl n. 201/2011), cioè nella
disposizione che ha ridotto a 1.000 euro il limite previsto dalla normativa antiriciclaggio che vieta i
trasferimenti di denaro contante per importi superiori a 999,99 euro.
Anche se non è stato modificato direttamente l'articolo 49 del decreto antiriclaggio (Dlgs
231/2007), un'interpretazione diretta a sostenere l'inapplicabilità di una sanzione pecuniaria,
sembrerebbe contraria alla ratio dell'intervento normativo. D'altra parte, se le disposizioni
antiriciclaggio hanno previsto una soglia minima (999,99 euro) che, una volta superata, fa scattare
l'irrogazione di una sanzione, sarebbe poco ragionevole non prevedere una conseguenza analoga
(l'irrogazione di una sanzione) quando una nuova legge ha introdotto lo stesso obbligo di
tracciabilità senza indicare una soglia minima. Infatti il nuovo obbligo è previsto per il pagamento
di qualsiasi importo essendo irrilevante l'ammontare del canone di locazione. Si applica il principio
di cassa, quindi l'obbligo di tracciabilità riguarda anche eventuali canoni arretrati del 2013, pagati
nell'anno 2014.
La novità riguarda solo le abitazioni, a eccezione degli alloggi di edilizia residenziale pubblica (in
ogni caso esclusi). L'esclusione dalla tracciabilità riguarda anche gli uffici, i negozi, eccetera. In
questo caso, eventuali controlli possono essere effettuati sulla base delle scritture contabili del
soggetto utilizzatore dell'unità immobiliare. Questi immobili sono destinati a essere utilizzati
nell'ambito di attività commerciali o professionali e tale circostanza spiega la scelta di escludere i
canoni relativi a queste tipologie di immobili.
Il divieto di utilizzare il denaro contante riguarda anche le pertinenze (box auto, cantine, posti auto
eccetera). Infatti, la natura di pertinenza, attribuibile ai predetti beni immobili, consente di
considerare gli stessi come se si trattasse a ogni effetto di abitazioni. La natura di pertinenza deve
desumersi dall'atto e dal contratto di locazione. Ad esempio, se lo stesso proprietario concede in
locazione l'abitazione e l'annesso box auto, il pagamento del relativo canone dovrà essere
effettuato con mezzi tracciabili. D'altra parte, in questo caso, il contratto sarà unico e
presumibilmente il canone di locazione sarà indistinto. Invece, se gli immobili oggetto di locazione
(abitazione e box auto) sono di proprietà di due soggetti diversi, l'obbligo di tracciabilità dovrebbe
riguardare solo l'immobile abitativo. L'altro proprietario, che possiede unicamente il box auto,
dovrebbe poter incassare i relativi canoni in contante, fermo restando, però, l'obbligo di rispettare
il limite di 999,99 euro previsto dalla normativa in materia di antiriciclaggio.
Il pagamento deve essere effettuato con qualsiasi strumento in grado di assicurare la tracciabilità.
La norma non fornisce un'indicazione specifica, quindi il conduttore e il proprietario hanno a
disposizione una scelta ampia. I pagamenti possono essere effettuati con bonifico bancario,
assegno bancario non trasferibile, assegno circolare non trasferibile, conto corrente postale, carta
di debito, carta di credito eccetera. Questi ultimi strumenti di pagamento saranno presumibilmente
utilizzati se il passaggio di denaro sarà effettuato con il servizio prestato da un'agenzia incaricata
della riscossione dei canoni di locazione.
Non sono previste eccezioni per ciò che riguarda i soggetti. Anche gli stranieri non residenti devono
effettuare i pagamenti dei canoni con mezzi di pagamento tracciabili. Non si applica neppure il
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maggior limite di 15mila euro previsto dalle norme in materia di antiriciclaggio (solo per gli
stranieri extra Ue) riguardante le attività commerciali.
Si precisa inoltre che «l'obbligo della tracciabilità è stato previsto anche ai fini dell'asseverazione
dei patti contrattuali per l'ottenimento delle agevolazioni e delle detrazioni fiscali da parte del
locatore e del conduttore»
(Nicola Forte, Il Sole 24 ORE – L’Esperto Risponde, 20 gennaio 2014)
Pubblico impiego
CONCORSI, TUTELE POSSIBILI PER VINCITORI E «IDONEI»
D. Sono direttamente interessato al problema dei vincitori di pubblici concorsi che restano in attesa
all'infinito della chiamata in servizio. La pubblica amministrazione si trincera ancor oggi dietro la
tesi che il vincitore non vanta un diritto perfetto all'assunzione. Pertanto, sembra inutile tentare
un'azione legale. Ma, dinanzi a una istanza-diffida del vincitore richiedente l'assunzione, la Pa non
sarebbe obbligata a rispondere motivando? E, in caso di silenzio, questo comportamento non
sarebbe contestabile innanzi al Tar? Se, nel frattempo la validità della graduatoria venisse a
scadere, si potrebbe chiedere in sede civile un risarcimento per la perdita di chance?
---R. La tematica della posizione giuridica degli idonei (nonché, almeno in parte, del vincitore) ha
trovato risposte differenti nel tempo in sede giurisprudenziale amministrativa, che, peraltro, è stata
spesso in contrasto con quella civile. Quest'ultima, infatti, si è assestata sulla posizione del
riconoscimento della posizione di piena tutela del diritto soggettivo da parte del vincitore di
concorso (Cassazione, sezione lavoro, 5 marzo 2003, n. 3252, e sezioni unite, 20 agosto 2010, n.
18812). Mentre la giurisprudenza amministrativa ha ripetutamente affermato che il vincitore di
concorso non è titolare di un diritto soggettivo, in quanto l'assunzione è rimessa a puntuali atti
formali degli organi competenti dell'amministrazione ed è, pertanto, da considerare una
manifestazione della potestà organizzatoria dell'amministrazione datrice di lavoro, la quale deve
soggiacere a eventuali e sopraggiunte circostanze preclusive sia di natura organizzativa interna che
di normativa generale e speciale (blocco delle assunzioni) o finanziaria (difetto di copertura).Anche
sul tema, più complesso, dell'utilizzazione delle graduatorie nel periodo di efficacia delle stesse(il
cosiddetto "scorrimento") si è registrata la posizione differenziata tra le due giurisprudenze. Quella
amministrativa, infatti, l'ha ripetutamente qualificata come mera facoltà, considerando il ricorso
allo scorrimento come conseguenza di una valutazione pienamente discrezionale da parte
dell'amministrazione(al riguardo, tra i numerosi pronunciamenti, Consiglio di Stato, sezione V, 25
giugno 2010, n. 4072, e sezione IV, 27 luglio 2010, n. 4911). Secondo la giurisprudenza ordinaria,
invece, tale discrezionalità si limita alla determinazione di decidere, o meno, la copertura del posto
resosi vacante, poiché, qualora l'amministrazione decida di reclutare il personale in tale posto, essa
ha l'obbligo di fare scorrere la graduatoria, in quanto in capo al candidato risultato idoneo è
riconosciuto un diritto soggettivo perfetto (tra molte, Cassazione, sezione lavoro, 6 marzo 2009, n.
5588). Anche la giurisprudenza amministrativa più recente (si veda adunanza plenaria Consiglio di
Stato, n. 14/2011) ha tuttavia ridimensionato l'ampiezza della discrezionalità allo scorrimento delle
graduatorie da parte delle amministrazioni, segnalando la necessità di una idonea e congrua
motivazione in caso di determinazione di provvedere all'indizione di un nuovo concorso in luogo
dello "scorrimento" della graduatoria, in nome dei principi di trasparenza e di imparzialità,
adducendo altresì alcune ipotesi di giustificazione alla determinazione di indire un nuovo concorso
in luogo dell'utilizzazione delle graduatorie in vigore (modifica della disciplina applicabile alla
procedura concorsuale, necessità di differenziare il profilo professionale del posto), tra cui anche
l'applicazione di regole speciali in relazione a nuove procedure concorsuali (esigenza di stabilizzare
il personale precario).In questo senso, si dovrebbe considerare come norma speciale, soggetta a
puntuale applicazione, il contenuto della disposizione di cui all'articolo 4, comma 3, della legge
125/2013, in cui si dispone la subordinazione della stabilizzazione del personale precario alla
«avvenuta immissione in servizio, nella stessa amministrazione, di tutti i vincitori collocati nelle
proprie graduatorie vigenti di concorsi pubblici per assunzioni a tempo indeterminato per qualsiasi
qualifica». Anche se il legislatore fa salve le «comprovate non temporanee necessità», da motivare
adeguatamente da parte dell'amministrazione, l'utilizzo tramite "scorrimento" delle graduatorie in
vigore sembrerebbe pertanto un'operazione quantomeno necessaria sotto il profilo metodologico,
da includere nella programmazione triennale delle assunzioni dell'amministrazione interessata.Da
questo contesto deriva, riguardo al caso esposto nel quesito, che, a fronte dell'obbligo di
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motivazione da parte dell'amministrazione riguardo al provvedimento di non utilizzo della
graduatoria in vigore, sussiste la legittimazione al ricorso da parte del candidato utilmente
collocato nella graduatoria stessa, nella prospettiva della tutela sia del diritto soggettivo che
dell'interesse legittimo, a seconda della prospettazione di tale pretesa.
(Giorgio Lovili, Il Sole 24 ORE – L’Esperto Risponde, 13 gennaio 2014)
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