Atti del Convegno del 7 giugno 2004 PROGRAMMA Introduce e coordina Laura Cima Consigliera di Parità della Provincia di Torino Rosanna Rabezzana – O.n.d.a. – Organizzazione No Profit Donne Associate “Virginia: percorsi dell’arte delle Donne” Manuela Mondino – Fondazione Fitzcarraldo “Presentazione del progetto Fum.net e risultati della ricerca” Alessandra Teatini – Agenzia Millennia “Le pluriattive: dalla percezione della precarietà al riconoscimento del valore di sé” Monica Lanfranco – Giornalista “Marea” “L’informazione delle Donne – Un bilancio critico” Sara Tagliacozzo – Antropologa Università degli Studi di Siena “Al femminile: reti virtuali, reti vitali dell’Arte” Eleonora Artesio – Presidente VI Circoscrizione Città di Torino “Le pratiche di relazione nei progetti di sviluppo locale” Gianna Rolle – Animatrice Pari Opportunità, Misura 1 FSE – Regione Piemonte “Gli interventi del FSE per la diffusione della Cultura di Parità” Laura Cima Consigliera di parità della Provincia di Torino Quali sono i criteri che regolano il mercato dell’arte e della cultura, e chi sono i decisori? Quando è possibile per una donna che produce opere d’arte, film o scrive libri trovare un situazione dove la sua produzione viene vagliata e le vengono offerte possibilità all’interno del mercato? Anche se è sempre maggiore il numero delle donne che hanno sfondato e si sono imposte all’attenzione dei fruitori e del mercato, è sempre meno chiaro quali siano le logiche usate dai decisori, pubblici o privati. E’ per questo che un numero sempre crescente di donne rifiuta di confrontarsi con regole dure e incomprensibili e preferisce tenersene fuori anche al prezzo di non poter comunicare la propria creatività. Virginia è nata con l’obiettivo di valorizzare l’arte e la cultura prodotta dalle donne, di rafforzare le donne che lavorano nei circuiti della promozione e della distribuzione e anche con lo scopo di attirare l’attenzione della critica. Su questi temi vogliamo confrontarci per capire quali proposte si possono avanzare per aprire più spazi alle realizzazioni delle donne Laura Cima Rosanna Rabezzana O.n.d.a. Organizzazione No profit Donne Associate Virginia: percorsi de ll’arte delle Donne Fin dalle sue origini il Progetto Rete Culturale Virginia, si è posto l’intento di “fotografare” in termini di numeri, caratteristiche e percorsi, le donne artiste del territorio di Torino e provincia. Infatti l’assenza di una rilevazione ufficiale in tal senso ha reso difficile e aleatorio molti ragionamenti sull’arte delle donne, sulla sua incidenza e consistenza sulla scena politica e culturale. Da qui l’idea di realizzare un Catalogo on line per esporre la realtà artistica torinese e per capire chi sono - quante sono - cosa fanno le donne artiste che risiedono o lavorano su questo territorio; presentando le loro produzioni, raccontando il proprio essere donna-artista, i percorsi di vita e ricerca, le difficoltà rispetto al mercato, alla conciliazione dei tempi di vita e di lavoro artistico. La ricerca descrittiva è stata realizzata attraverso un questionario semi-strutturato on line cui hanno risposto le artiste che intendevano iscriversi ed usufruire dei servizi. Il questionario semi-strutturato ha costituito sia uno strumento di mappatura quantitativa (capire chi sono le donne artiste operanti sul territorio e cosa fanno) che qualitativa, per scoprire e stabilire le caratteristiche e gli orientamenti del “mercato” dell’arte femminile. Finora sono 194 le artiste che vi hanno aderito, tra cui 133 residenti o operanti su Torino e Provincia. Di queste ultime 98 sono visibili al pubblico sul Catalogo, attraverso i loro minisiti, mentre 15 hanno preferito essere presenti in sezioni riservate alla rete. Il 41 % delle artiste iscritte ha tra i 30 e i 45 anni, mentre il 34 % ha un’età compresa tra i 45 e i 60 anni; le giovani artiste sotto i 30 sono invece il 16 %. Dall’organizzazione della rete famigliare risulta che il 49 % vive con il proprio marito o compagno, il 12% con genitori o suoceri e il 7% è sola con figli minorenni. Nonostante il 48% delle artiste del Catalogo abbia iniziato a lavorare nel mondo dell’arte prima del 1990 (di cui il 25% addirittura prima del 1980), partecipato a concorsi nazionali o internazionali (97%), o venduto le proprie opere a enti pubblici (22%), enti privati (28%) o comunque sul mercato privato (69%) ben il 92 % dichiara di non riuscire a sostenersi economicamente con le proprie produzioni artistiche. Il progetto Rete Culturale Virginia e il progetto Fum- net sono gli unici progetti in questi ultimi anni nel nostro territorio che si sono posti l’obiettivo di rendere visibile , fotografare la realtà delle donne artiste, individuare le criticità e i punti di forza. Perché? Sembra quasi che essere, sentirsi artiste, sia una fortuna, una dote più che un lavoro “Vero”. Il bisogno, la necessità, le forti motivazioni che spingono alla pratica dei linguaggi artistici vengono barattate con la precarietà del reddito, con una grande atipicità nei contratti di lavoro e con la scarsità dei diritti. C’è come un parallelo tra il lavoro di cura delle donne per la riproduzione della vita e il lavoro artistico. Entrambi non riconosciuti o quasi, il lavoro di cura perché definito naturale al genere femminile, il lavoro artistico perché scelto e dettato da un bisogno forte e che necessita a sua volta di un grande lavoro di cura per venire alla luce. Un progetto se non è curato non si realizza, non si sviluppa. E poi succede che nelle realtà culturali miste,strutturate, riconosciute molto spesso chi dirige l’idea, il progetto è un uomo, chi cura la sua venuta alla luce è una donna. In questo senso riteniamo che la giornata di oggi sia estremamente importante perc hé pone al centro delle nostre riflessioni il rapporto tra la creatività delle donne, il mercato e le sue logiche, l’invisibilità e i costi della visibilità per le donne e le politiche culturali delle istituzioni. Il cuore del progetto Virginia è costituito dal portale, dalla possibilità per le donne che lo scelgono di rendere visibile le proprie produzioni attraverso la costruzione di un mini sito autogestito. Il portale è attivo da febbraio, quindi molto giovane Ma non solo, il percorso che le donne hanno seguito per iscriversi ci ha permesso di rilevare sia dati quantitativi che qualitativi relativi alla ricerca artistica. Il tentativo cioè di far emergere i processi che stanno sotto ai prodotti artistici, la consapevolezza, la ricerca di senso, la sensibilità di genere, il come si lavora. Dalle risposte emerge che l’80% delle artiste ritiene che la sensibilità e il pensiero delle donne si riflettano nei contenuti, nello stile, nelle scelte o nei metodi di lavoro della propria produzione artistica. Il 74% invece vorrebbe che la propria arte contribuisse a modificare la cultura dominante sviluppando nella comunità sistemi di valore alternativi e pensiero femminile. Anche le Maestre, di vita, di ricerca e formazione rivestono un ruolo centrale per i percorsi artistici delle donne almeno nel 65% dei casi e quando si parla di “Maestre” si riconoscono le “Grandi”, ma anche la madre, l’insegnante di scuola, l’insegnante di teatro o musica della propria città. Si da importanza alla relazione, alla cura , alla vicinanza, ai processi… Le parole delle donne ci raccontano molte cose, nella maggioranza dei casi c’è la consapevolezza che il proprio lavoro artistico riflette, discende da una appartenenza di genere. La certezza di una specificità e complessità femminile. Emerge una forte resistenza ai modelli culturali dominanti, la coscienza di una diversa visione della realtà e il trarre forza, autostima da tutto ciò. Viene fuori chiaramente il bisogno, il desiderio che la propria arte e il come la si pratica incida nella comunità, che sia veicolo di valori altri: si parla di essere e non di apparire … di relazioni e non di rapporti di potere … di pace e non di violenza … di riconoscimento delle differenze e non di omologazione … di responsabilita’ dell’arte rispetto ai tempi bui in cui viviamo… Ma se incrociamo il senso delle parole delle donne con i dati quantitativi rimaniamo sbalordite: non c’è corrispondenza tra la forza e la determinazione con cui si fa il proprio lavoro e i risultati di questo lavoro. Sono 194 le artiste iscritte di cui 133 di Torino e provincia. Delle 94 in catalogo il 41% ha tra i 30 e 45 anni, mentre il 34% tra i 45 e 60 anni. Sono: 43 tra pittrici, scultrici, fotografe, grafiche 21 tra scrittrici, poetese e drammaturghe 19 tra registe e attrici 6 tra cantanti e musiciste 5 impegnate nel cinema etc… Il 92% dichiara di non riuscire a sostenersi economicamente con il lavoro artistico nonostante il 48% abbia iniziato a lavorare come artista prima del 90 e nel 97% dei casi abbia partecipato a concorsi nazionali, internazionali, eventi, festival etc… Nel 53% dei casi le artiste hanno un’altra occupazione che garantisce un reddito Nel 72% dei casi la produzione artistica è stata autofinanziata e solo qualche volta acquistata da Enti privati , pubblici… Alla domanda cosa ha favorito il tuo percorso artistico, rispondono in maggioranza la motivazione, il talento e la costanza mentre gli ostacoli maggiori al percorso artistico risultano fanno invece riferimento alle capacità di “management” di sé e del proprio lavoro: l’incapacità di auto promuoversi, l’assenza di una rete di riferimento e la difficolta’ a reperire fondi ad organizzarsi. Ne risulta una visione del mercato come di un mondo molto poco chiaro, dove le regole sono incomprensibili, dove non si sa come muoversi. “Mi so promuovere se so come si fa, cosa significa, dove devo andare, da chi…Se ho punti di riferimento, luoghi, spazi dove condividere, conoscere, fare alleanze , confrontarmi, scambiare. Se riesco a sapere dell’esistenza dei bandi, se so muovermi nella burocrazia , nel linguaggio dei progetti etc.. Se è chiara la politica culturale delle istituzioni….” Viene fuori una grande solitudine, un lavoro solitario e non retribuito sostenuto da una forte passione. Viene fuori una politica culturale che talvolta organizza momenti di visibilità, eventi ma non adotta strumenti che valorizzino le risorse artistiche del territorio. Un dato che ci deve ulteriormente far riflettere è la scarsa presenza delle giovani artiste, solo il 13% hanno meno di 30 anni; ma il portale è sicuramente molto giovane e le esperte del settore dicono che ci vogliono almeno due anni per fare un bilancio serio. Forse le nuove generazioni operano in luoghi misti, non sentono la necessità di appartenere ad una rete culturale di donne artiste o forse non le abbiamo ancora raggiunte… Il progetto Virginia è accompagnato da un comitato artistico composto da esperte, giornaliste, critiche d’arte, scrittrici, registe teatrali e di cinema che hanno lavorato per costruire il portale e stanno riflettendo sulle parole e sull’arte delle donne che si sono iscritte. A settembre ci sarà un evento artistico pubblico che darà visibilità alle artiste, ma questo momento acquista senso per noi se accompagnato da mome nti di incontro, di conoscenza reale, concreta con e tra le donne del portale. Se è vero che non si osa mai abbastanza nel dare strumenti alla promozione e alla visibilità delle donne, la rete di virginia è un appello in tal senso e fa pensare che le artiste siano, numerose, interessanti e appassionate. Vorremmo iniziare a costruire una rete che dia forza, basata sulla relazione e lo scambio tra queste artiste e tra queste e alcune maestre riconosciute, che per la loro storia, qualità, risultati raggiunti e metodologie di lavoro possono essere di stimolo e indicare sentieri da percorrere. Un luogo amico dove si comincino a porre i problemi che il fare arte, e il farlo da donne, comporta e dove chi vuole possa trovare ascolto e consiglio sul proprio lavoro artistico. Un progetto è innovativo, per noi, e genera qualità nella vita degli abitanti di un territorio se guarda alle risorse, se anticipa i bisogni, se mette in moto, in circolo il saper fare che esiste. Manuela Mondino Fondazione Fitzcarraldo Presentazione del progetto Fum.net e risultati della ricerca FUM.NET – Imprenditorialità femminile nelle performing arts: fondamenti per un sistema di eccellenza (www.fitzcarraldo.net/fumnet) FUM.NET, che ha avuto origine grazie ad un finanziame nto F.S.E. sulle pari opportunità, nasce dalla volontà del Comune di Torino – Settore Lavoro, Fondazione Fitzcarraldo, AdfarmandChicas, Associazione Didee, Xenia Ensemble, Alma Teatro, di favorire l’interazione di ambiti appartenenti alle performing arts (musica, teatro, danza, con un’incursione nella dimensione trasversale della comunicazione). Oggetto specifico di indagine sono professioniste del settore, attive sul territorio piemontese, che, laddove possibile, sono anche imprenditrici di se stesse o della propria organizzazione di riferimento (che nella maggior parte dei casi ha la forma di una associazione o, in seconda istanza, di una cooperativa. In tutti i casi il personale è estremamente ridotto, spesso a cavallo tra la prestazione retribuita ed il lavoro volontario). Il progetto, ed in particolare l’indagine esplorativa, si inserisce nel filone di ricerca che in tempi recenti sta riservando crescente attenzione al mondo del lavoro cosiddetto “atipico” nel settore cultura. Se l’obiettivo a breve termine di FUM.NET è favorire meccanismi di scambio tra le associazioni partner, un obiettivo a medio termine è individuare esigenze concrete e trend comuni, per fornire indicazioni per la creazione di strumenti di supporto allo svolgimento della professione di performing artist al femminile. Ultimo obiettivo è rendere più consapevoli le professioniste del settore di una grande varietà di iniziative presenti sul territorio (non limitato al Fondo Sociale) rivolte alla promozione delle pari opportunità, e quindi anche a loro (ad oggi, solo la metà delle intervistate dichiara di conoscere esperienze di P.O sul territorio). In altre parole FUM.NET non vuole essere un’analisi a tappeto dell’esistente, la costruzione di biografie (professionali e culturali) individuali, quanto uno strumento operativo in grado di offrire indicazioni di sviluppo. Ad oggi il gruppo di ricerca ha a disposizione interviste in profondità condotte su un campione di 40 professioniste (di cui 6 provenienti da realtà non piemontesi), selezionate con criteri fortemente qualitativi. Il campione è destinato ancora a crescere, anche se di poche unità (anche perché il progetto si conclude nel mese di settembre 2004). Passando ad una rapida analisi del campione, nei limite del possibile è stato ma ntenuto un equilibrio tra le aree inizialmente previste dall’indagine, cioè musica, teatro, danza e comunicazione. Chiaramente una suddivisione per generi può rivelarsi poco esaustiva e eccessivamente semplicistica, per l’estrema varietà e le sfumature che caratterizzano i vari progetti produttivi: tra le attività delle varie organizzazioni indagate predomina l’organizzazione di eventi, seguita dalla produzione e dall’organizzazione di tournée e dall’organizzazione di festival/rassegne. Forte rilievo hanno anche lo svolgimento di attività didattiche e attività di promozione/ comunicazione. Prima di analizzare i risultati, vediamo ancora brevemente chi sono queste donne: Le fasce d’età considerate sono 5: < 30 ( 17,5%), 31-15 (22,5%), 36-40 (17,5% ), 41-50 (22,5%), > 51 (20%) Tipologia di famiglia: poco più della metà del campione dichiara di vivere in un rapporto di coppia, il 30% del campione dichiara di vivere da sola. In 3 casi il nucleo famigliare è composto da una madre con figlio a carico. In generale, solo il 37% del campione ha figli. Livello scolarizzazione: di fascia medio-alta, equamente distribuito tra chi possiede una laurea e chi un diploma di scuola superiore. Anni nel mestiere: tutte le fasce d’età coperte, con maggiore concentrazione tra i 5 e i 10 anni e i 10 e i 15 anni di attività. Questa è stata anche una scelta del gruppo di ricerca, in quanto il tentativo è stato quello di focalizzarsi su chi non è all’inizio od alla fine della propria carriera professionale. Per passare all’illustrazione dei risultati, una premessa importante è che molti dei punti emersi nel corso dell’analisi delle attività delle professioniste delle performing arts non sono riconducibili a tematiche strettamente ed esclusivamente di genere. Questa prevalenza di temi comuni all’intero settore (quali, la sua generale debolezza e difficoltà di riconoscimento delle competenze/professionalità, una diffusa precarietà professionale ed economica, la pluralità di funzioni/mansioni del singolo, la non abitudine/ reticenza alla collaborazione/lavoro in rete) potrebbe portare a concludere che le donne attive nelle performing arts non debbano confrontarsi con tematiche molto diverse da quelli dell’universo maschile e che dunque non esista una reale questione di genere. Naturalmente si tratta di una questione di percezione, di sensibilità sia a livello di settore che del singolo: una funzione importante di Fum.net è stata proprio quella di porre in evidenza alcuni nodi critici. Infatti fin dall’inizio FUM.NET si è dovuto confrontare con un limite, cioè la non piena condivisione e comprensione del tema delle pari opportunità all’interno delle arti performative: se la letteratura sulle pari opportunità oggi costituisce una bagaglio culturale e sociale consolidato, mancano invece studi sistematici e – soprattutto – un approccio ed una visione condivisi in grado di creare una fattiva sinergia tra il mondo delle “performing arts” e l’applicazione delle pari opportunità. Naturalmente anche all’interno del settore culturale esistono importanti differenze percettive ed operative tra chi si muove in realtà strutturate e chi ha scelto la libera professione e/o opera all’interno di ambienti piccoli, dinamici, fluidi. Questo orientamento spiega quindi un dato dell’analisi: delle intervistate, solo il 37,5%, sia pur con sfumature individuali diverse, ritiene che le donne soffrano di una doppia marginalità, in quanto donne e in quanto lavoratrici di un settore, quello culturale, da sempre sottovalutato. Un altro 32,5% ritiene invece questa percezione assolutamente non veritiera, mentre un altro 22,5% ritiene che questa affermazione sia valida solo per il settore culturale in generale. Ci sono anche sporadiche non prese di posizione (“non so”). Per passare all’analisi delle attività e dei ruoli svolti dalle professioniste, alle naturali funzioni di produzione, coordinamento e realizzazione artistica queste sommano mansioni di carattere organizzativo, amministrativo e finanziario, così come compiti di carattere istituzionale, quali relazioni esterne, fund raising ed in particolare la mediazione con l’ente pubblico. In altre parole, nel 95% dei casi le professioniste riconoscono che la propria professione artistica comprende componenti di gestione/ amministrazione. Non solo. Si registra anche la tendenza (dichiarata dal 60% del campione) ad affiancare al lavoro nell’organizzazione una o più occupazioni esterne, sia di carattere regolare che occasionale, solitamente attinenti alla propria vocazione artistica (insegnamento, prestazioni professionali, etc). Queste con funzioni di integrazione del reddito e/o di diversificazione delle proprie competenze professionali. Questa serie di responsabilità implicano l’utilizzo di competenze per lo più acquisite non grazie a un percorso formativo specifico (che invece nella maggior parte dei casi è stato seguito per la propria preparazione artistica), ma attraverso esperienze e tentativi sul campo. Talvolta la dimensione di gestione sembra prevalere sul lavoro artistico vero e proprio, di fatto conducendo ad una “divaricazione”, ad uno sdoppiamento della carriera: è forte la percezione che tali mansioni, inevitabili ma non sentite come proprie e spesso svolte a titolo gratuito, siano svolte a spese della realizzazione artistica vera e propria, con una graduale alienazio ne dalla propria vocazione e allo stesso tempo senza riuscire a dominare perfettamente le tecniche del project management. Un’altra costante che emerge, legata più all’universo femminile che al settore delle performing arts in generale, è quello per cui anche le donne nelle arti vivono il fenomeno della “doppia presenza” per cui, sommando il lavoro in casa con quello extradomestico, lavorano nell’arco di una giornata un numero imprecisato di ore in più rispetto ai loro compagni/colleghi. Le vere alternative, per quanto riguarda sia eventuali figli, sia altri lavori di cura, è tra una competenza esclusivamente femminile (questo soprattutto per quanto riguarda fare la spesa o le pulizie) o, laddove esistono rapporti di coppia, di condivisione paritaria tra i partner (cucinare, contabilità familiare). Solo in pochissimi casi le attività di routine quotidiana sono di gestione esclusiva del partner maschile. Anche se questa tendenza ad un multitasking privato e non solo professionale è in linea con i trend nazionali, poiché si tratta di interlocutrici appartenenti a categorie professionali cosiddette “atipiche” il fenomeno viene a pesare su una serie di fragilità strutturali: la già citata pluralità/frammentazione degli impegni lavorativi (spesso difficilmente quantificabili in termini di ore e non sempre monetarizzabili), i tempi totalizzanti dello spettacolo, un reddito basso che rende poco praticabile il ricorso a risorse esterne (baby sitter, aiuti domestici, asili privati). In breve, i tempi della produzione e della riproduzione spesso sono in contrasto con gli orari e i tempi dello spettacolo: emerge la difficoltà di conciliare i tempi di una vita famigliare con quelli di una vita dai ritmi non pianificabili, soprattutto laddove mancano reti famigliari solide. Questa serie di difficoltà può condurre a scelte drastiche quali l’allontanamento dal mondo artistico, creando dei vuoti generazionali. Si tratta di rinunce che il singolo come l’ambiente per lo più non riconducono all’ostilità del contesto lavorativo (non sempre percepita), preferendo invece risolverle con spiegazioni personali (quali una motivazione, passione/dedizione individuale insufficiente). Un’altra scelta altrettanto radicale, ma diametralmente opposta, è la rinuncia alla creazione di una famiglia, per privilegiare invece gli aspetti di gratificazione professionale. Partendo quindi dalla necessità di trovare soluzioni concrete, rivolte in primo luogo a professioniste di livelli medi che – è utile ribadirlo - all’interno della propria struttura di riferimento ricoprono sia funzioni gestionali che artistiche, esistono diverse possibilità. Queste dovrebbero essere accomunate dall’obiettivo di snellire e rendere più immediate una serie di incombenze che le professioniste sono chiamate a svolgere per il proprio ente di appartenenza. Oggi il gruppo di lavoro di FUM.NET sta valutando una serie di ipotesi (naturalmente non realizzabili in prima persona dai partner di progetto ma che potrebbero rientrare in una progettualità di medio periodo degli ent i competenti). Queste ipotesi sono accomunate dall’obiettivo di liberare risorse per permettere alle professioniste di dedicarsi al proprio lavoro principale (produzione artistica) o di sviluppare nuovi progetti. Tra le possibilità analizzate se ne citano 4, assolutamente indicative e non definite (ed anzi il dibattito di oggi potrebbe aiutarci a capire se ci stiamo muovendo nella giusta direzione): realizzazione di un centro servizi strutturato tenendo conto di esigenze di orari e di accessibilità non convenzionali. Si tratta di un luogo amico, in grado di fornire servizi di consulenza a basso costo su questioni relative a contratti, contributi, fisco, enpals, credito agevolato, promozione, etc. In questo modo, oltre a liberare una quota del tempo della professionista, verrebbe favorita la messa in rete di competenze, un’ottimizzazione delle risorse economiche, una graduale specializzazione degli esperti, la creazione di una forza collettiva trasversale. E risponderebbe ad un’esigenza esplicita delle professioniste, che, in base all’analisi fatta, si sentono carenti nelle competenze sul piano economico/ budgeting e sui necessari adempimenti legali ed amministrativi. Seguono le competenze per la redazione/gestione di un piano operativo affidabile e per la gestione delle relazioni esterne, esigenza che va letta anche come capacità di sapere cogliere le opportunità di finanziamento e promozione del settore. Offerta formativa mirata, di durata temporale limitata e molto operativa, sui temi chiave del budgeting, della normativa, della legislazione. Obiettivo non è creare nuove figure di esperti ma sistematizzare le competenze già in possesso delle professioniste in modo che queste acquisiscano chiarezza su opportunità e criticità, sappiano relazionarsi al meglio con i soggetti competenti (istituzioni come consulenti) ed allo stesso tempo riescano a ridurre il tempo dedicato a tali attività. Una conseguenza di secondo livello di entrambi i modelli sarebbe la creazione di nuove occasioni di incontro e di scambio tra professioniste, superando su piano operativo la difficoltà di creare reti tra artiste, oggi spesso ridotte a meri meccanismi di baratto. Se già sono note le difficoltà di creare durature sinergie per quanto riguarda la produzione artistica (riconducibili all’individualismo del singolo, alla desiderio di difendere la propria identità artistica, alla difficoltà di coordinare le attività e le priorità, dando il giusto spazio a tutti gli attori in gioco), prassi di coordinamento ed alleanze risultano ancora me no comuni per quanto riguarda le strategie gestionali. Per quanto riguarda i servizi di welfare due sono le aree che si potrebbe pensare di approfondire: Creare sinergie con le esigenze di altre categorie di professioniste appartenenti a settori comunemente definiti “atipici” e partire dall’esempio di alcune prime sperimentazioni in atto sul territorio (asilo per figli di badanti stranieri) per pensare alla realizzazione di un asilo nido/scuola materna, con costi agevolati, tarato su orari ed esigenze assolutamente non standard (apertura serale, notturna, festiva). Congedi parentali: al di là della legge, si tratta di capire e favorire la reale possibilità di utilizzo, soprattutto nel momento in cui la coppia è composta da una lavoratrice autonoma e da un lavoratore dipendente: infatti i permessi e i congedi spettano al genitore lavoratore anche quando l’altro genitore non ne ha diritto, perché non lavora o perché svolge lavoro autonomo. Oggi, al di là delle dichiarazioni politiche, sono pochi gli uomini che ne usufruiscono liberamente, per questioni di mentalità, ma anche di opportunità economica e di carriera. Senza ambire a risolvere il problema alla radice, si potrebbe pensare di compiere azioni di sensibilizzazione per un utilizzo più sistematico per questo tipo di coppia (ricorrente non solo nelle performing arts). Per maggiori informazioni sul progetto contattare: Maddalena Rusconi (coordinatore del progetto) - Fondazione Fitzcarraldo Tel. 0115099317 Fax: 011503361 - E- mail: [email protected] Alessandra Teatini - Agenzia Millennia Le pluriattive: dalla percezione della precarietà al riconoscimento del valore di sé E.L.I.C.A. - Una stabile precarietà: donne, lavoro ‘atipico’ e mestieri nella cultura Soggetti partner: Sfera, Sinform, Millennia – Regione Emilia-Romagna Nel 2002 Millennia, con il progetto di ricerca La Nuova Boheme, 1 coordinato dalla sociologa Antonia Trasforini, su un campione di 147 “atipiche” in ambito culturale (classi di età prevalentemente dai 25 anni ai 45 anni, con il gruppo più cospicuo, il 30,6 %, di 31-35 anni) ha potuto delineare una generazione allargata di giovani donne adulte metropolitane, per lo più single, iperattive, vulcaniche, appassionate, con scolarità elevata e famiglie d’origine in cui, nel 52,5% dei casi, era presente un genitore che svolgeva una attività autonoma. La laurea conseguita è di tipo letterario, molto frequente il Dams, seguita da un patchwork di pratiche formative acquisite negli spazi autogestiti della città. Nei loro percorsi di vita il progetto lavorativo è prioritario e fortemente commisto alla propria identità. Lavoro e privato sono quindi strettamente connessi, la realizzazione del sé si concentra principalmente nella professione, che spesso si presenta innovativa (contaminazione di linguaggi come le videoartiste o le vj e new media come le webdesigner) e composita, costituita da due o più attività, tra cui anche una tradizionale per mantenersi (regolarmente il 33,1%, saltuariamente il 26,9%); gli stili di vita sono piuttosto frenetici con una qualità della vita culturale elevata, mentre il progetto lavorativo identitario presenta una forte tenuta, infatti 7 su 10 dichiarano di non averlo cambiato . Successivamente, nel 2003-2004, Millennia ha condotto, sempre con la sociologa Antonia Trasforini, una nuova indagine, Una stabile precarietà: donne, lavoro ‘atipico’ e mestieri nella cultura,2 su un campione di donne che in parte è lo stesso della Nuo va Bohème (il 36,6%) facendo un confronto tra la situazione attuale e quella di due anni fa: in tale modo si hanno diversi tipi di dati, quelli riferiti alla condizione attuale delle 123 intervistate, quelli riferiti a due anni fa, e quelli riferiti al confronto con il campione precedente della nuova Bohème. Il nuovo campione nel complesso si presenta più adulto rispetto alla nuova Bohème e con un profilo professionale più strutturato, consapevole e stabilizzato rispetto a due anni fa e rispetto alla nuova Bohème. Il lavoro “atipico” non è più caratteristico di una certa fascia di età ma interessa anche generazioni di donne adulte che lavorano in ambiti della cultura più tradizionali come quello della Conservazione e della Ricerca. Aumenta la percezione di occupazione e questo dato sembra indicare una forma di aggiustamento che porta a sentirsi occupate anche nelle forme di lavoro precario. La formula professionale prevede ancora più di una attività, ma cala quella tradizionale per mantenersi. 1 La Nuova Bohème, donne e nuove professioni nella cultura, ente promotore Efeso, ente partner Millennia, Regione Emilia Romagna (reperibile sul sito www.atipici.it) 2 Una stabile precarietà: donne, lavoro ‘atipico’ e mestieri nella cultura, quaderni di E.L.I.C.A./4, Sfera, Sinform, Regione Emilia Romagna, Gallo et Calzati Editori, Bologna 2004 Le donne sono meno frenetiche e iperattive, governando con maggiore consapevolezza e determinazione le molte attività che svolgono: pluriattive, energiche, mettono tutte lo stress come spia del proprio disagio. La performatività individuale infatti deve essere sempre più elevata in un mercato che si va strutturando in termini di flessibilità, in cui il rischio di disoccupazione aumenta e statisticamente colpisce più le donne. Il prezzo più alto pagato, in termini di vita affettiva, si conferma essere la rinuncia o la no n scelta della maternità, sebbene i valori siano più alti ma questo dato è da collegare alla fascia di età più adulta: il 22% ha figli a fronte del precedente 13% della nuova Bohème. La maternità rappresenta sicuramente un legame forte poco compatibile e troppo costoso in un contesto di stabile precarietà diffusa. Non è un caso quindi che la maggior parte delle 123 intervistate in questa ricerca siano single. A tale riguardo Antonia Trasforini ha scritto: “lo stato civile riflette una situazione di persistente singleness, con una maggioranza assoluta di nubili (quasi 7 su 10) che si distribuiscono senza grandi differenza fra le varie classi di età (tab. 1.3).”3 La permanenza e l’aumento di questo dato nelle due ricerche, anche come formula abitativa, è significativa, soprattutto alla luce di una transizione che si evidenzia tra le due ricerche: la solitudine è forse uno dei modi più sicuri, accessibili e immediati per garantirsi spazio e tempo di azione per la costruzione del proprio percorso lavorativo identitario, senza dover subire troppo interferenze dalla sfera del privato. Il privato, contraddistinto da legami amicali, non formalizzati, da relazioni fortemente interconnesse con le proprie professioni, viene in qualche modo colonizzato dal progetto identitario lavorativo, sostenuto da una forte passione e motivazione , ma anche da un alto profilo formativo e da una stretta coerenza tra competenze acquisite e competenze impiegate. La solitudine, associata alla difficoltà di stabilire sistemi di rete e relazioni efficaci e durature, è un dato che emerge spesso nell’esperienza quotidiana delle donne che abbiamo intervistato in queste ricerche e rappresenta forse il prezzo più alto pagato per l’affermazione del sé, delle proprie capacità, del proprio talento. Marina Piazza ha evidenziato questo aspetto nel suo bel libro Le trentenni: è “come se sentissero che la loro forza è più esteriore che interiore e che il cammino da fare è ancora lungo e difficile, soprattutto perché ciascuna è sola”4 e ha riportato le parole illuminanti di Nina che spiegano come questo aumento di libertà, rispetto alle madri, è ancora però tutto in negativo, in quanto sottrazione di doveri, per esempio si può scegliere di “non” fare i figli, di “non” stare in casa. D’altro canto, poi, si devono fare i conti con i modelli proposti dal contesto sociale e mediatico: quelli rispetto al corpo, quelli rispetto al proprio ruolo, quelli rispetto al successo, ecc. E Nina sottolinea: “Il che significa ripercorrere i condizionamenti cui siamo sottoposte e capire come muoversi al loro interno. E ognuna di solito è costretta a farlo da sola, in privato.” E’ proprio questa dimensione privata, da intendersi anche come spoliazione e privazione, come diceva Hannah Arendt, il rischio maggiore. Rispetto a questa diffusa condizione di solitudine è lecito chiedersi fino a che punto è cercata, voluta, desiderata. Proprio di fronte a questa singleness la costituzione di network e di forme di sostegno reciproco e di cooperazione ci sembra essere l’unica strada percorribile per contrastare quel senso di isolamento e di stress emotivo che caratteriza oggi i percorsi biografici di queste donne “atipiche”. Se dobbiamo tutte e tutti venire a patti, convivere e adattarci alla precarietà, è quantomeno opportuno farlo con dei buoni cuscinetti per ammortizzare i contraccolpi prodotti da questa crescente incertezza sempre più onerosa nei confronti del soggetto individuale e separato. L’aumento delle forme associative registrato in questa ultima ricerca e lo sviluppo di uno sportello per il sostegno del lavoro atipico come PopLab, alla cui nascita e costituzione Millennia collaborò, 3 Si intravede insomma, in queste costellazioni abitative e di status civile, la prevalenza di una rete di ‘legami deboli’, come forme mobili e flessibili per stare in comunità senza essere da questa troppo condizionate, per mobilitare non solo risorse ma anche prospettive per se stesse, ed essere disponibili a nuove idee, e nuove relazioni (Florida, cit., 356); 4 M. Piazza, Le trentenni, Mondadori, Milano, p. 35-36. sono la spia di un bisogno di connettere e mettere in rete esperienze, competenze e progetti al fine di rafforzare la propria professionalità e visibilità. La costruzione di reti non solo implica risorse da investire nell’opera di cooperazione, ma richiede al soggetto artista, a forte vocazione individuale e narcisistica, di confrontarsi con gli altri su un piano condiviso e comune: in questo dissidio, che è strutturale di ogni forma sociale, come ha messo bene in evidenza Bauman, si nasconde sì una criticità, ma anche un principio vitale positivo che è la ricerca e l’aspirazione, mai pienamente appagabile, di una dimensione collettiva e politica della nostra esperienza. A questa pulsione si associa anche un’istanza gender fondamentale: dare visibilità all’opera delle donne in tutti i campi valorizzando allo stesso tempo le loro capacità individuali. La strategia è quella della circolarità, della reciprocità, della condivisione, della partecipazione attiva allargando gli orizzonti della ricerca personale in un contesto più ampio e articolato. Due sono i poli entro cui ci si deve muovere: da un lato la valorizzazzione dell’identità, come lavoro costante sulla costruzione del soggetto, sul rafforzamento della performance individuale (empowerment), dall’altro, il desiderio di una comunità calda, relazionale, comunicante, una collettività che sia rete, trasversale, salvagente, ammortizzatrice, incubatrice, moltiplicatrice, amplificatrice, amica, cordone ombelicale ma anche politico (mainstreaming). Rispetto al dissidio tra sicurezza e libertà, tra condivisione sociale e identità del soggetto, le donne, vieppiù nelle vesti di intellettuali e artiste precarie, si sono dovute attrezzate per affrontare una difficile sfida: conciliare due pulsioni opposte e contrarie, quella verso la stabilizzazione e quella verso il libero riconoscimento del valore di sé, in quanto soggetto libero, autonomo, svincolato. Il pensiero creativo femminile, attento alle coloriture emozionali e alle scale tonali, obliquo e dialogico, ha saputo sviluppare una “vocazione di genere” nella perigliosa e affaticante gestione degli opposti, facendo incontrare le istanze della produzione con quelle della fecondazione e riproduzione, quelle dei tempi di vita con quelle dei tempi di lavoro, mediante un’opera sottile di raccordo e di mediazione spazio-temporale. Però, questa grande opera di conciliazione delle donne resta sempre dietro le quinte: invisibile, opaca, mai riconosciuta e mai retribuita. Le donne hanno imparato a lavorare sul tempo e sullo spazio, ai loro confini, lungo il crinale, nella fascia residuale, limando tempo e spazio per costruire i propri campi di azione e di intervento. Le donne “figlie, serve, puttane, sorelle, muse, madri”, oggi “rubano per sé” ciò che storicamente era destinato al bilancio della cura e della riproduzione, perché devono assicurarsi risorse spaziotemporali per essere finalmente loro al centro della scena. Alla luce della transizione verso una “stabile precarietà” e di fronte a una precarizzazione sempre più massiccia del mercato del lavoro, normalizzata dalla legge 30/2003, la cosiddetta “legge Biagi”, la permanenza del dato sulla singleness induce a pensare che forme di rete, di cooperazione e di sostegno per la conciliazione siano vieppiù necessarie laddove una stabilizzazione della precarietà può rischiare di tradursi in un’aumento di libertà e di autonomia sempre per sottrazione , per eliminazione di vincoli forti, per negazione. Ciò che dovremmo costruire è un mondo capace di accogliere le donne nella duplice veste di produttrici di capitale culturale ma anche riproduttrici di vita, altrimenti questa prerogativa di genere può trasformarsi non solo in una rinuncia forzata, ma anche in un boomerang sociale, dove anche la genitorialità diventa un fattore di status sociale, prefigurando un mondo in cui solo i ceti alti potranno concedersi “il lusso” di crescere e accudire i propri figli. Monica Lanfranco Giornalista Marea L’informazione delle donne – un bilancio critico Ragnatele di rapporti “Le reti sono dentro di noi. I nostri corpi, alimentati da ciò che scegliamo di mangiare, mantenuti sani - o danneggiati - dai prodotti farmaceutici ed alterati dalle procedure mediche non sono ‘naturali’ come si vorrebbe credere. La verità è che noi umani costruiamo gli insiemi del circuito integrato, o i sistemi politici, o tutto quello che ci circonda, e ne siamo responsabili. La rete è ciò che ci determina, e noi la determiniamo, nel bene e nel male”. Parola di Donna Haraway, autrice di quel Manifesto Cyborg che ha rappresentato uno dei punti teorici più stimolanti nella ricerca del pensiero femminista sulla tecnologia. Ma, al di là delle teorie, parlare oggi dei legami tra il mondo delle donne e Internet significa render conto di un processo che, in poco più di dieci ani, ha visto crescere in modo esponenziale l’accesso femminile alle nuove forme di comunicazione digitale. Le cifre da sole possono dire poco, e comunque si parla di un livello di alfabetizzazione e uso di Internet da parte delle donne in misura di una a sei rispetto all’altro sesso, guardando all’intero pianeta. Una cifra ancora poco soddisfacente, si direbbe, ed è vero. Ma se guardiamo alle potenzialità della rete da un’altra angolazione, scopriamo che in luoghi dove non c’è libertà per le donne, come per esempio in Afganistan, è stato l’uso di Internet da parte dell’associazione Rawa a far conoscere la realtà della burka, e a far scattare il tam tam di centinaia di gruppi di donne nel mondo che si sono mobilitate in loro aiuto. E lo stesso vale per le campagne dei popoli indigeni, in larghissima maggioranza animate dalle donne: è stato il fitto invio di email allarmanti alle organizzazioni ambientaliste a far scattare una rete di ribellione organizzata contro le multinazionali che deforestano gli ultimi polmoni terrestri, mettendo in pericolo le basi stesse della vita per le generazioni future. Quando la mia rivista MAREA, quattro anni fa, ebbe l’idea di progettare, tra gli altri prodotti che affiancano il trimestrale, il manuale Il web delle donne , il progetto ebbe origine da una constatazione: gli opuscoli e i libri tecnici sull’uso della rete sono ormai decine: più o me no dettagliati, più o meno economici, più o meno accurati. Le pubblicazioni destinate a chi vive e lavora usando un computer sono molte, arricchite spesso di gadget multimediali che, mese dopo mese, vanno ad ingrossare il già nutrito mucchio di floppy e cd-rom che aspettano nei cassetti delle postazioni. Occasionalmente, nelle segnalazioni fatte nelle pagine delle riviste, sono citati alcuni siti di donne, o le presunte percentuali di surfiste della rete, ma le informazioni su cosa facciano, e sul perchè molte donne scelgano di usare la rete sono davvero un’eccezione. E’ più facile che siano indicati, con regolarità e dovizia di particolari, i siti dedicati alle automobili, alla musica, allo scambio tra collezionisti, al sesso più o meno spinto, piuttosto che gli indirizzi dei siti dedicati alla produzione culturale, ludica, politica delle donne. Uno strumento per fare un po’ di luce su un mondo fertile e intelligente: quello delle donne che scrivono, leggono, informano, discutono, si riuniscono, si conoscono e si ri- conoscono attraverso la rete. Nel mio mestiere di giornalista, ma più ancora come donna che crede nella relazione e nella forza della comunicazione con altre per dare corpo a progetti e desideri comuni, ritengo che accedere a quanti più strumenti di informazione, formazione e banche dati sia vitale e indispensabile. Per questo una delle caratteristiche centrali della mia ricerca è quella di privilegiare le fonti connesse con le donne. E Internet è una fonte straordinaria, se usata bene e con le giuste ‘dritte’, come ha testimoniato anche l’esperienza della rivista Marea, che curo da anni con altre donne, che deve molto nella storia dei suoi ultimi tre anni all’avvento della rete e al sito www.mareaonline.it che ha contribuito alla sua diffusione e crescita. La frequentazione e l’uso di Internet negli anni dovrebbe fare di me un’osservatrice ormai priva di esaltazione. Ma se è vero che l’emozione stupefatta delle primissime volte è stata superata dall’abitudine nel compiere quei gesti automatici che consentono il collegamento on line, è anche reale la sensazione di stare vivendo in prima persona, e fuori dal set cinematografico, una porzione di un film di fantascienza . Ogni qualvolta mi collego, cercando e scoprendo luoghi nuovi frequentati da donne che quasi certamente non conoscerò mai di persona mi sembra di compiere un azzardo. Molto più che con il telefono, che già sconvolse i parametri di spazio e di tempo al suo apparire nella quotidianità di milioni di persone, oggi la rete informa, fa parlare, discutere, amare, qualche volta salva la vita e qualche volta la rovina a milioni di persone, permettendo quello che il telefono non poteva consentire: l’uso, accanto alla parola, anche dell’immagine e della interconnettività, dell’immediatezza dello scambio Non è questa la sede nella quale entrare nel fecondo e stimolantissimo dibattito circa il problema dell’identità di genere in rapporto con la rete, al quale rimando fornendo una piccola bibliografia che consiglio vivamente di consultare, viste le pagine di straordinaria ricchezza e lucidità che molte studiose femministe hanno scritto sull’argomento. Mi vorrei soffermare brevemente su un aspetto che, al di là della pratica, mi fa sentire di continuo una novellina, ogni qualvolta mi spingo più avanti nella ricerca di siti nuovi: la meravigliosa sensazione che, altrove, altre donne stanno lasciando una traccia ben visibile e accessibile. Può trattarsi di una traccia più o meno adeguata alle mie esigenze del momento, ma è comunque un tassello di quel puzzle ideale con il quale mi piace raffigurare il movimento delle donne nel mondo. In rete ho trovato siti di donne indios che lanciano campagne contro la deforestazione; siti di madri canadesi che si organizzano in gruppi di ascolto e auto - aiuto per risolvere i piccoli e grandi problemi posti dall’essere lavoratrici e madri in luoghi molto disagiati e sperduti, spesso per molti mesi resi impraticabili dalla neve; siti di attiviste animaliste appassionate contro la vivisezione, siti di studiose e di accademiche che hanno messo a disposizione migliaia di bibliografia e testi sugli argomenti più diversi che riguardano il femminismo; siti sulla menopausa e sul cancro al seno; siti ludici e coltissimi gestiti dalle organizzazione lesbiche, e ancora pagine personali di donne che desiderano scrivere e ‘chattare’ ( come si definisce l’attività di chiacchiera interattiva in rete) con altre per il puro piacere di farlo. Ho conosciuto, ( anche se non di persona) donne intelligenti e generose che si spendono, trascorrendo gratuitamente parte del loro tempo, nella gestione e amministrazione delle liste di discussione o il mantenimento di siti utili a creare condivisione. Il loro lavoro ha reso possibile la costruzione di ragnatele di rapporti altrimenti difficili o impossibili. Non voglio con questo dare l’idea che Internet sia la risposta alla solitudine, né tantomeno un sostitutivo dell’impegno politico e sociale, o del quotidiano confronto e incontro con il resto del mondo, né, ribadisco, credo che possa sostituire l’appassionante ruolo della lettura e dello strumento cartaceo( Marea di carta è indispensabile, per me). Ma credo che valga davvero la pena di considerare, nel proprio percorso verso la conoscenza, anche solo per curiosità, l’esistenza e la potenzialità di questa immensa risorsa, che per le donne, giovani e non, può costituire una possibilità in più di migliorare la propria esistenza. Internet ( e MAREA e al sito www.mareaonline.it ) sta diventando una risorsa importante per le donne che fanno ricerca, scuola, informazione, cultura. E' un luogo di scambio che, se usato con intelligenza e creativita', puo' diventare un ulteriore ponte tra distanze, differenze, linguaggi. E molte tra le piu' rappresentative riviste delle donne sono presenti anche in Internet . Se riteniamo di essere una fonte autorevole allora e' il caso di dirlo a gran voce, diventando pienamente titolari presso gli altri enti di formazione per fare cultura e informazione di genere. Anche per questo come trimestrale che resta un appuntamento cartaceo abbiamo intrapreso l'avventura di Internet. Perchè il grande mondo delle parole e dei segni delle donne arrivi sempre più, e al maggior numero di donne possibile. www.mareaonline.it/lanfranco/ Monica Lanfranco Giornalista Marea L’informazione delle donne – un bilancio critico Ragnatele di rapporti “Le reti sono dentro di noi. I nostri corpi, alimentati da ciò che scegliamo di mangiare, mantenuti sani - o danneggiati - dai prodotti farmaceutici ed alterati dalle procedure mediche non sono ‘naturali’ come si vorrebbe credere. La verità è che noi umani costruiamo gli insiemi del circuito integrato, o i sistemi politici, o tutto quello che ci circonda, e ne siamo responsabili. La rete è ciò che ci determina, e noi la determiniamo, nel bene e nel male”. Parola di Donna Haraway, autrice di quel Manifesto Cyborg che ha rappresentato uno dei punti teorici più stimolanti nella ricerca del pensiero femminista sulla tecnologia. Ma, al di là delle teorie, parlare oggi dei legami tra il mondo delle donne e Internet significa render conto di un processo che, in poco più di dieci ani, ha visto crescere in modo esponenziale l’accesso femminile alle nuove forme di comunicazione digitale. Le cifre da sole possono dire poco, e comunque si parla di un livello di alfabetizzazione e uso di Internet da parte delle donne in misura di una a sei rispetto all’altro sesso, guardando all’intero pianeta. Una cifra ancora poco soddisfacente, si direbbe, ed è vero. Ma se guardiamo alle potenzialità della rete da un’altra angolazione, scopriamo che in luoghi dove non c’è libertà per le donne, come per esempio in Afganistan, è stato l’uso di Internet da parte dell’associazione Rawa a far conoscere la realtà della burka, e a far scattare il tam tam di centinaia di gruppi di donne nel mondo che si sono mobilitate in loro aiuto. E lo stesso vale per le campagne dei popoli indigeni, in larghissima maggioranza animate dalle donne: è stato il fitto invio di email allarmanti alle organizzazioni ambientaliste a far scattare una rete di ribellione organizzata contro le multinazionali che deforestano gli ultimi polmoni terrestri, mettendo in pericolo le basi stesse della vita per le generazioni future. Quando la mia rivista MAREA, quattro anni fa, ebbe l’idea di progettare, tra gli altri prodotti che affiancano il trimestrale, il manuale Il web delle donne , il progetto ebbe origine da una constatazione: gli opuscoli e i libri tecnici sull’uso della rete sono ormai decine: più o meno dettagliati, più o meno economici, più o meno accurati. Le pubblicazioni destinate a chi vive e lavora usando un computer sono molte, arricchite spesso di gadget multimediali che, mese dopo mese, vanno ad ingrossare il già nutrito mucchio di floppy e cd-rom che aspettano nei cassetti delle postazioni. Occasionalmente, nelle segnalazioni fatte nelle pagine delle riviste, sono citati alcuni siti di donne, o le presunte percentuali di surfiste della rete, ma le informazioni su cosa facciano, e sul perchè molte donne scelgano di usare la rete sono davvero un’eccezione. E’ più facile che siano indicati, con regolarità e dovizia di particolari, i siti dedicati alle automobili, alla musica, allo scambio tra collezionisti, al sesso più o meno spinto, piuttosto che gli indirizzi dei siti dedicati alla produzione culturale, ludica, politica delle donne. Uno strumento per fare un po’ di luce su un mondo fertile e intelligente: quello delle donne che scrivono, leggono, informano, discutono, si riuniscono, si conoscono e si ri- conoscono attraverso la rete. Nel mio mestiere di giornalista, ma più ancora come donna che crede nella relazione e nella forza della comunicazione con altre per dare corpo a progetti e desideri comuni, ritengo che accedere a quanti più strumenti di informazione, formazione e banche dati sia vitale e indispensabile. Per questo una delle caratteristic he centrali della mia ricerca è quella di privilegiare le fonti connesse con le donne. E Internet è una fonte straordinaria, se usata bene e con le giuste ‘dritte’, come ha testimoniato anche l’esperienza della rivista Marea, che curo da anni con altre donne, che deve molto nella storia dei suoi ultimi tre anni all’avvento della rete e al sito www.mareaonline.it che ha contribuito alla sua diffusione e crescita. La frequentazione e l’uso di Internet negli anni dovrebbe fare di me un’osservatrice ormai priva di esaltazione. Ma se è vero che l’emozione stupefatta delle primissime volte è stata superata dall’abitudine nel compiere quei gesti automatici che consentono il collegamento on line, è anche reale la sensazione di stare vivendo in prima persona, e fuori dal set cinematografico, una porzione di un film di fantascienza . Ogni qualvolta mi collego, cercando e scoprendo luoghi nuovi frequentati da donne che quasi certamente non conoscerò mai di persona mi sembra di compiere un azzardo. Molto più che con il telefono, che già sconvolse i parametri di spazio e di tempo al suo apparire nella quotidianità di milioni di persone, oggi la rete informa, fa parlare, discutere, amare, qualche volta salva la vita e qualche volta la rovina a milioni di persone, permettendo quello che il telefono non poteva consentire: l’uso, accanto alla parola, anche dell’immagine e della interconnettività, dell’immediatezza dello scambio Non è questa la sede nella quale entrare nel fecondo e stimolantissimo dibattito circa il problema dell’identità di genere in rapporto con la rete, al quale rimando fornendo una piccola bibliografia che consiglio vivamente di consultare, viste le pagine di straordinaria ricchezza e lucidità che molte studiose femministe hanno scritto sull’argomento. Mi vorrei soffermare brevemente su un aspetto che, al di là della pratica, mi fa sentire di continuo una novellina, ogni qualvolta mi spingo più avanti nella ricerca di siti nuovi: la meravigliosa sensazione che, altrove, altre donne stanno lasciando una traccia ben visibile e accessibile. Può trattarsi di una traccia più o meno adeguata alle mie esigenze del momento, ma è comunque un tassello di quel puzzle ideale con il quale mi piace raffigurare il movimento delle donne nel mondo. In rete ho trovato siti di donne indios che lanciano campagne contro la deforestazione; siti di madri canadesi che si organizzano in gruppi di ascolto e auto - aiuto per risolvere i piccoli e grandi problemi posti dall’essere lavoratrici e madri in luoghi molto disagiati e sperduti, spesso per molti mesi resi impraticabili dalla neve; siti di attiviste animaliste appassionate contro la vivisezione, siti di studiose e di accademiche che hanno messo a disposizione migliaia di bibliografia e testi sugli argomenti più diversi che riguardano il femminismo; siti sulla menopausa e sul cancro al seno; siti ludici e coltissimi gestiti dalle organizzazione lesbiche, e ancora pagine personali di donne che desiderano scrivere e ‘chattare’ ( come si definisce l’attività di chiacchiera interattiva in rete) con altre per il puro piacere di farlo. Ho conosciuto, ( anche se non di persona) donne intelligenti e generose che si spendono, trascorrendo gratuitamente parte del loro tempo, nella gestione e amministrazione delle liste di discussione o il mantenimento di siti utili a creare condivisione. Il loro lavoro ha reso possibile la costruzione di ragnatele di rapporti altrimenti difficili o impossibili. Non voglio con questo dare l’idea che Internet sia la risposta alla solitudine, né tantomeno un sostitutivo dell’impegno politico e sociale, o del quotidiano confronto e incontro con il resto del mondo, né, ribadisco, credo che possa sostituire l’appassionante ruolo della lettura e dello strumento cartaceo( Marea di carta è indispensabile, per me). Ma credo che valga davvero la pena di considerare, nel proprio percorso verso la conoscenza, anche solo per curiosità, l’esistenza e la potenzialità di questa immensa risorsa, che per le donne, giovani e non, può costituire una possibilità in più di migliorare la propria esistenza. Internet ( e MAREA e al sito www.mareaonline.it ) sta diventando una risorsa importante per le donne che fanno ricerca, scuola, informazione, cultura. E' un luogo di scambio che, se usato con intelligenza e creativita', puo' diventare un ulteriore ponte tra distanze, differenze, linguaggi. E molte tra le piu' rappresentative riviste delle donne sono presenti anche in Internet . Se riteniamo di essere una fonte autorevole allora e' il caso di dirlo a gran voce, diventando pienamente titolari presso gli altri enti di formazione per fare cultura e informazione di genere. Anche per questo come trimestrale che resta un appuntamento cartaceo abbiamo intrapreso l'avventura di Internet. Perchè il grande mondo delle parole e dei segni delle donne arrivi sempre più, e al maggior numero di donne possibile. www.mareaonline.it/lanfranco/ Sara Tagliacozzo Università degli Studi di Siena – Université Paris VIII Al femminile: reti virtuali, reti vitali dell’arte. L’occasione di questa giornata organizzata dalla rete culturale Virginia richiede in primo luogo un mio posizionamento rispetto all’ordine del giorno: donne, creatività e mercato. Vorrei esplicitare il filo che lega le questioni sollevate dalle organizzatrici della rete culturale Virginia con il mio percorso di antropologa culturale che si occupa di artiste e intellettuali postcoloniali. In contesti come quello africano occidentale, la recente esperienza della colonizzazione, e delle successive cosiddette indipendenze, ha modificato radicalmente le realtà sociali ed economiche di quei paesi, facendo emergere da un lato una classe dirigente che era tutt’uno con l’élite intellettuale ed artistica, dall’altro emarginando le donne dai processi di cambiamento sociale, attraverso l’invenzione ed il consolidamento di una tradizione patriarcale importata dall’Occidente e che molti storici africanisti hanno definito estranea alle tradizioni africane i. In un contesto così mobile, in continuo divenire, come quello africano postcoloniale, l’accesso al sapere, ed al campo delle arti e delle scienze umane, ha significato da sempre una possibilità di accesso a quella «lotta delle identificazioni»ii che è il motore del divenire storico e politico di ogni società. Ha significato poter comunicare e condividere una propria visione del mondo (si badi bene: un mondo tutto da fare, da ricreare, migliorare). In questa realtà dove i poteri economici e militari continuano ad essere in mano a rappresentanti del mercato globale e neocoloniale, l’arte, la letteratura, le scienze umane sono rimaste un campo di resistenza, nel quale è possibile contrastare con discorsi critici e alternativi, i modelli di sviluppo dominanti. Quello a cui voglio arrivare è che in un contesto del genere, le donne africane che sono diventate artiste, intellettuali, scrittrici, hanno avuto ed hanno tuttora un ruolo fondame ntale all’interno della società: con le loro opere, con la loro ricerca ed il loro pensiero, si sono battute per partecipare alla ricostruzione di una società diversa, migliore, in cui i rapporti fra i sessi, ed i valori di equità sociale, di solidarietà, di bene-essere sociale, sono stati interrogati e proposti al pubblico come esempi di modelli di identificazione alternativi a quelli esistenti. Essere artiste in quei contesti ha significato e significa tuttora prendere voce da una posizione di marginalità, una posizione che pur nella sua connotazione di luogo di privazione, si è rivelata come spazio di resistenza, luogo di radicale possibilità. Infatti, la marginalità in cui le donne vivono le porta a mettere quotidianamente in atto pratiche di resistenza, di difesa, nella loro esistenza, di una dimensione di piacere, bellezza, creatività, attraverso quella che bell hooks ha definito “l’estetica dell’esistenza” delle donne iii. L’estetica dell’esistenza di cui parla hooks ha a che vedere con una resistenza ne i confronti della marginalizzazione sociale, politica ed economica vissuta dalle comunità nere americane, con una resistenza nei confronti di un impoverimento dello spirito, e con la capacità di continuare a vivere il piacere e la bellezza. Come hooks ha osservato, l’estetica dell’esistenza – creare bellezza e armonia nelle proprie case, fare sì che la comunità in cui si vive si nutra di piacere, di bellezza, di armonia - è un'occasione di rafforzamento e di potenziamento, attraverso l’esperienza del piacere e del bello, che permette l’elaborazione, la crescita e l’affinamento di un senso critico, di un discorso alternativo che apre a pratiche di resistenza. Le artiste africane di cui mi sono occupata sono portatrici di questa evidenza: la loro arte è strettamente intrecciata, o meglio è alimentata da un’estetica dell’esistenza, portatrice di vita, di relazioni di solidarietà e di cura, di un universo di valori che resiste ad un potere coloniale e maschile di oppressione e marginalizzazione. Queste artiste, ma vorrei parlare più specificamente di Werewere Liking, un’artista camerunese iv con cui lavoro e studio da molti anni, si fanno mediatrici, interpreti dell’estetica dell’esistenza delle loro madri, sorelle, amiche, insomma di tutte quelle donne che lottano nel quotidiano per garantire un margine di bene-essere alla comunità, alla famiglia di cui fanno parte. Mi sembra che questo sia un nesso da tenere presente in una riflessione come quella proposta dalla rete culturale Virginia: c’è un forte legame che unisce molte artiste postcoloniali ad una comunità in cui le donne sono protagoniste – nell’ombra – di una resistenza all’impoverimento dello spirito, del senso critico, attraverso da un lato quella che bell hooks ha definito come estetica dell’esistenza, e dall’altro attraverso quello che economiste come Rabeha Abdelkrim, Antonella Picchio ed altrev hanno definito “economia della vita”, un’economia che produce profitto ma non cerca il profitto fine a sé stesso, che ha incorporato nei suoi prodotti un valore non solo economico, ma anche e soprattutto simbolico, un’economia portatrice di valori altri da quelli del mercato capitalista maschile. In cui essere in rete può significare far circolare prodotti simbolicamente densi, portatori di un valore politico, espressione di un’economia della vita. Cito dall’intervento che Rabeha Abdelkrim ha fatto lo scorso autunno a Siena all’interno di un convegno organizzato da DonnaProduce2003 e dedicato proprio al concetto di economia della vita: «Per tornare all’Africa e alle donne africane, quest’economia alternativa che esiste, che è un lavoro invisibile, informale, una piccola economia, un’economia di bricolage, è l’economia delle donne ed è un’attività che le donne fanno per mantenere e nutrire le loro famiglie, ma, in particolare, è un’attività attraverso al quale le donne producono delle relazioni sociali, relazioni che sono fondate sul concetto di solidarietà organica. Al di là di questo, non solo le donne sono all’interno di istituzioni sociali, ma fondamentalmente realizzano relazioni di solidarietà, in contrasto a quella che è l’idea di un’atomizzazione dell’individuo, tipica della società capitalistica occidentale. Il fondamento dell’economia della vita è questa capacità di produrre relazioni, di mantenerle pagando anche dei prezzi molto alti, come la limitazione dei diritti, la rinuncia ad uno sviluppo dei propri interessi. Allo stesso tempo questo permette che dei valori - è questo il concetto fondamentale dell’idea dell’economia della vita – siano dei simboli e sia no incorporati nell’economia che viene prodotta (…). Voglio insistere sul fatto che non è un’economia delle donne nel senso limitativo del termine, ma è una vera economia che permette la sopravvivenza di intere popolazioni e che permette la circolazione di valori di solidarietà. Voi avete presentato l’importanza delle reti, dei saperi e delle conoscenze, bene, l’Africa è il luogo dove questo sapere e queste conoscenze sono prodotte attraverso l’economia della vita». Il compito di traduzione, reinterpretazione in chiave artistica di quella che è un'estetica dell’esistenza, un’estetica che è un complemento di quella che numerose economiste femministe hanno chiamato economia della vita, è qualcosa che è molto chiaro nella mente di artiste come Liking. Afferma Liking : «La maggior parte delle donne che mi hanno guidata nel mio percorso sono donne tradizionali, donne che appartengono ad un'Africa antica: sacerdotesse, guaritrici, donne della strada, donne che si battono tutti i giorni affinché le cose vadano avanti ; donne dei mercati africani, donne che si svegliano alle quattro del mattino e che vanno a dormire alle due del mattino per far continuare la vita, e tutto ciò nell’anonimato più completo; queste donne mi hanno dato molte lezioni sul potere della donna»vi. L’esperienza artistica di Werewere Liking è strettamente legata all’economia ed all’estetica della vita delle donne africane. La stessa carriera artistica di Werewere Liking si è costruita a partire da un’esperienza comunitaria – il Villaggio Ki- Yi, una comunità urbana di artisti, fondata da Liking nel 1984 ad Abidjan, in Costa d’Avorio – che ha reinterpretato e sperimentato la pratica di rete propria delle economie della vita. Fare arte al femminile in Africa è una sfida che riesce soltanto grazie all’esistenza, alla creazione di reti di sostegno. Allo stesso tempo l’estetica dell’esistenza delle donne africane diventa un materiale, una risorsa per una creazione artistica che contribuisce ad una pratica di resistenza. Come esempio di quanto espresso fino ad ora, vorrei parlare rapidamente di una pièce teatrale che Liking sta mettendo in scena in questi giorni: si tratta di Sogolon, l’epopea panafricana, un lavoro in cui Liking ripercorre le vicende narrate nella leggenda mitica di Sundjata dedicando un’attenzione particolare alla figura di Sogolon, futura madre di Sundjata, principessa ereditiera del regno di Do, valente cacciatrice in lotta contro una società maschile che l’ha spossessata, perché donna, del suo diritto al trono. Sogolon rappresenta il momento culminante di una ricerca in cui Liking ha sempre teso a mettere in relazione critica culturale, creazione artistica e militanza politica: con questo spettacolo Liking inaugura la creazione di una genealogia panafricanista misovirevii, in affiliazione ideale ad un’antica tradizione di donne potenti e responsabili, di sacerdotesse guaritrici e regine-madri, ed in opposizione ad una tradizione politica nazionalista e maschilista. Infatti, la scelta di spostare la narrazione delle origini della mitica rinascita africana dal personaggio di Sundjata a quello di sua madre Sogolon, rivela un interessante intento di revisione e ridiscussione della tradizione mitica del panafricanismo e più in generale del suo paradigma storicopolitico. Per Liking, all’origine del movimento di rinascita africana del XIII secolo vi è una donna che, per portare a termine il proprio destino di “generatrice di rinascita”, va incontro ad un processo di temporaneo mescolamento, nel proprio corpo, di humanitas e animalitas: infatti, Sogolon è protagonista di una metamorfosi in donna-bufalo, da Liking definita come “metamorfosi originale”, che rappresenta la condizione necessaria per seguire il suo destino di generatrice di rinascita. Con l’accentuazione di Sogolon come protagonista generatrice di un movimento politico di grande rilievo, e soprattutto con la riflessione sugli elementi che definiscono Sogolon come soggetto generatore di cambiamento – la rivolta, la metamorfosi animale, ed infine la maternità – Liking fa della propria interpretazione dell’epopea di Sundjata un intervento di rottura radicale dell’antropopoiesi tramandata dalla tradizione panafricanista: infatti Liking non propone soltanto un “arretramento” nell’individuazione delle origini dell’impero Malinke dalla persona di Sundjata a quella della madre; quello che propone è soprattutto un trasferimento della funzione materna dall’ambito della natura a quello della cultura - la negoziazione tra animalitas e humanitas essendo di natura eminentemente politica viii -, ovvero una revisione dell’ideologia dominante della riproduzione in favore di una proposizione del materno come categoria politica. Di fronte al tentativo del potere coloniale maschile di racchiudere l’universo femminile dentro i confini di categorie essenzialiste e falsamente tradizionali, artiste e scrittrici come Werewere Liking, svolgono un compito molto importante: facendosi mediatrici del complesso, ricco e potente universo femminile utilizzano il campo artistico per incrinare e modificare lo specchio delle rappresentazioni naturalizzate e stereotipate del femminile come, usando le parole di Chandra Talpade Mohanty, «powerless, ignorant, poor, uneducated, tradition-bound, domestic, familyoriented, victimized»ix . Attraverso il confronto con il lavoro e le riflessioni di artiste come Liking, è diventato per me sempre più importante ribadire che occuparsi di – studiare o fare direttamente – arte al femminile significa avere a che fare con un movimento di uscita dai margini del femminile così come è imprigionato dal discorso dominante, per riconquistare uno spazio interiore e socializzato di resistenza attraverso l’esplorazione del piacere, della creatività, del desiderio; parlare di un “al femminile” significa quindi parlare di un movimento di apertura, di esposizione e di proiezione di una soggettività nella sua precarietà di rappresentazione, instabilità di definizione, richiamo a qualcosa che non ha fissa dimora nelle essenze fissate del sapere precostituito. “Al femminile” come movimento assoluto, direbbe Mireille Calle-Gruber x , verso l’aperto ed il non-conosciuto. Movimento di corpo e di mente, ed esercizio di dislocazione, di uscita dalle gabbie del predefinito e naturalizzato ordine del discorso dominante. Liberazione della creatività, esplorazione di intimità per esposizione, uscita allo scoperto, al femminile. In questo senso è possibile parlare di un’arte al femminile – di un’arte che diventa uno spazio di presenza esposta al mondo, irrequietezza di un desiderio che deborda per ridisegnare i contorni del proprio stare al mondo. Ecco allora che un’arte al femminile non può che declinarsi come un’arte del desiderio, un desiderio di abitare pienamente la condizione di marginalità, di trasformarla da condizione di privazione a condizione di potenziamento, di critica e ridiscussione del proprio stare al mondo, di evidenziazione della complessa interazione nell’estetica delle questioni di esistenza e resistenza … Dopo questo lungo giro vorrei ora arrivare a parlare della rete culturale Virginia. Le condizioni in cui Virginia nasce non sono certo quelle di un paese postcoloniale in via di assestamento. Tuttavia, mi sembra che possa esistere una comunicazione, uno scambio fra le esperienze delle artiste di Virginia, e quelle delle artiste di cui mi occupo io. Ho tralasciato di dire, presentandomi, che dieci anni fa recitavo nell’appena costituita compagnia di teatro Almateatro, una compagnia, come tutti saprete, composta da donne provenienti da diverse parti del mondo, di età, vissuti e aspirazioni diverse, ma con in comune il desiderio di raccontarsi, di interrogare le storie delle proprie compagne, ritrovarsi, confrontarsi, pensare un futuro, insieme. Almateatro è stato uno spazio in cui è avvenuto un cortocircuito fra esperienze individuali e rielaborazione collettiva attraverso l’arte. In cui è stato portato avanti un lavoro di ricognizione di quel patrimonio di forza, desiderio e resistenza dato dalle diverse estetiche dell’esistenza che ciascuna di noi si portava dentro, a volte senza grande consapevolezza. Almateatro ha funzionato, direi, da catalizzatore delle esperienze di ciascuna, e ha dato vita a spettacoli che hanno permesso alle donne che vi recitavano non solo di condividere con un pubblico le proprie elaborazioni, le proprie riflessioni su temi di grande attualità e urgenza, ma anche di sperimentare un'attività economica in cui era incorporato un valore simbolico fortissimo. Arrivando al caso della rete culturale Virginia, mi sembra di poter affermare che in essa vi sono tutte le potenzialità perché essa possa essere considerata in questo senso. Infatti, oltre a rappresentare uno spazio virtuale di relazioni fra soggettività diverse, accomunate da pratiche e desideri, la rete può diventare un luogo tutt’altro che virtuale: può diventare una pratica vitale, una forma tra le altre, di un’economia della vita, in cui le artiste danno voce, corpo, vita al femminile nella sua estrema ricchezza, forza, indefinibilità, creatività. Con questo non si vuole suggerire che l’arte al femminile debba avere a che fare con il mercato informale delle economie della vita, al contrario si vuole piuttosto suggerire che il campo artistico al femminile può essere un luogo in cui la partecipazione alla lotta delle identificazioni acquista un carattere non solo discorsivo, ma anche vitale, dato dall'incorporazione, nella professionalizzazione dell'esperienza artistica, di valori legati ad un'estetica dell'esistenza, ad un'estetica di resistenza, per cui le artiste diventano protagoniste attive del progetto o, per usare le parole di Rabeha Abdelkrim, dell’«utopia, desiderio di costruire, in scala mondiale, un’economia differente, da condividere con le altre donne». i Vedere a questo proposito Terence Ranger, L'invenzione della tradizione nell'Africa coloniale, pp. 203-251, in Hobsbawn E. J., Ranger T., L'invenzione della tradizione, Torino, Einaudi, 1987; Catherine Coquery-Vidrovitch, African Women. A Modern History, Boulder, Westview Press, 1997. ii Homi Bhabha, The Location of Culture, London and New York, Routledge, 1994 (traduzione italiana a cura di Antonio Perri, I luoghi della cultura , Roma, Meltemi, 2001). iii Scrive bell hooks: «Voglio condividere l’eredità estetica trasmessami da mia nonna e da generazioni di antenati neri, i cui modi di pensare alla questione sono stati nel loro complesso modellati nella diaspora africana e informati dall’esperienza dell’esilio e della dominazione. (…) Ricordando le case della mia infanzia, vedo quanto profondamente il mio amore per l’estetica sia stato modellato da donne nere che stavano dando forma a un’estetica dell’essere, lottando per creare una visione oppositiva del mondo per i propri figli, lavorando con lo spazio per renderlo vivibile. Baba, mia nonna, non sapeva né leggere né scrivere. La sua cura contemplativa per il bello non le era venuta dalla tradizione letteraria occidentale bianca. Fu povera tutta la vita.» (Elogio del margine, Milano, Feltrinelli, 1998, p. 59) iv Werewere Liking , autrice di diversi canti- romanzi, di numerose pièces teatrali intepretate dalla sua compagnia di teatro "Ki-Yi M'Bock", cantante e pittrice, è considerata una delle figure più interessanti del panorama artistico africano per la commistione, nella sua ricerca, di una riflessione su panafricanismo, sul femminismo e sul ruolo dell'arte nelle società africane (cfr. Michelle Mielly, "The Aesthetics of Necessity, an Interview with Werewere Liking", in World Literature Today July –September 2003: 52–6, e Sara Tagliacozzo, "Utopias of Change: Werewere Liking's ParolesActes", in European Journal of Women's Studies, Vol. 11(3), 2004: 381–396). v Mariateresa Battaglino e le altre donne facenti capo alla rete toscana protagonista delle iniziative Donna Produce e Punto di Partenza sono impegnate da anni in una riflessione sul concetto di economia della vita. vi Intervista inedita a Werewere Liking realizzata dalla sottoscritta l' 11/05/2001 a Rouen, Francia. vii Il neologismo misovire è stato coniato da Werewere Liking per dare nome all'io narrativo del suo canto-romanzo dal titolo Elle sera de jaspe et de corail, journal d'u ne misovire (Paris, L'Harmattan, 1983). Creato a partire dal termine "misogino", misovire sta ad indicare, con una deviazione dal significato letterale di "odia-uomo", "una donna che non trova un uomo da ammirare". Parlare di panafricanismo misovire significa pertanto parlare di un panafricanismo rivisitato da una riflessione critica sui rapporti di genere nelle società africane. viii Scrive Giorgio Agamben che «il conflitto politico decisivo, che governa ogni altro conflitto, [è] quello fra l'animalità e l'um anità dell'uomo» (L'aperto: l'uomo e l'animale, Torino, Bollati Boringhieri, 2002, p.82). ix Chandra Talpade Mohanty, Under Western Eyes. Feminist Scholarship and Colonial Discourses, in Ashcroft B., Griffiths G., Tiffin H., The PostColonial Studies Reader, London and New York, Routledge, 1995, pp. 259-263. x Calle-Gruber M., Cixous H., Au théâtre, au cinéma, au féminin , Paris, L'Harmattan, 2001. Eleonora Artesio Assessore Solidarietà sociale Politiche giovanili e Programmazione Sanitaria Provincia di Torino Le pratiche di relazione nei progetti di sviluppo locale Credo che la mia presenza a questo incontro nasca da una affinità, percepita da me e dalle organizzatrici, tra il progetto di rete culturale Virginia e le esperienze di lavoro in rete praticate nei progetti di sviluppo di comunità. Se si pensa agli obiettivi di visibilità, condivisione, coordinamento del progetto Virginia studiati per far emergere e promuovere creatività individuale (o di gruppo) e l'approccio sessuato di fare e intendere l'arte, si ha l'aspettativa di un nuovo spazio pubblico, di un luogo - virtuale - di riflessione e di risignificazione della propria esperienza. La costruzione di spazio pubblico, intesa come quel "mettere su mercati (il suk)" che Basaglia suggeriva qua le antidoto alla incomunicabilità, è lo scenario anche delle pratiche di sviluppo di comunità. Di quale comunità si parla nell'epoca della economia globale, in cui i contesti globali sono concreti, influenti e reali quanto i problemi locali? Di quale comunità si parla quando questo "indifferenziato" genera la paura profonda di perdere la propria identità e la capacità di autorappresentarsi e spinge la voglia di appartenere a una tribù, enfatizzando l'insieme di credenze, saperi e valori che si vogliono cond ivisi per differenziarci dagli altri? Il lavoro locale - dal territorio - accetta questa incertezza: di dover guardare contemporaneamente dentro e fuori , di agire per rafforzare l'interno e per ridefinire mappe globali. Il lavoro locale che privilegia i quartieri degli esclusi si propone una etica e una pratica di contrasto alla diseguaglianza o, in quei luoghi, sperimenta il tema generale della rappresentanza delle ragioni, delle visioni del mondo, dei valori dei singoli e dei gruppi sociali? Propendo per la seconda opzione. Il problema contemporaneo è la destrutturazione della sfera pubblica come luogo in cui ci si rappresenta agli altri e si producono le politiche collettive: il declino dei luoghi di socializzazione delle città (piazze, strade, quartieri) documenta questa trasformazione. L'indebolimento della sfera pubblica rende incerta anche la costituzione delle individualità giacché come ha scritto Castoriadis una vita morale (intessuta di regole e di valori) è essenzialmente una vita vissuta in pubblico, in presenza e in confronto con l'altro. Le persone sono, di conseguenza, private della possibilità di fare esperienze pubbliche e di costruire una competenza sociale a decidere. Si tratta allora di favorire la costruzione dei nuovi meccanismi di rappresentanza e di partecipazione. Le istituzioni possono svolgere un ruolo importante nell'offrire occasioni e sedi per la democrazia dell'autogoverno. I soggetti locali, pur non beneficiati da un mandato formale di rappresentanza, possono diventare consapevoli delle proprie risorse. L'approccio dello sviluppo locale sta nel presumere che le soluzioni ai problemi di una comunità esistano già al suo interno e che il compito della politica e degli operatori di comunità non sia di importare soluzioni, ma di aiutare soggetti, interessi e risorse a convergere e a scoprire queste opportunità. Per promuovere interazioni tra i soggetti locali, per motivare atteggiamenti diffusi di attenzione e cura al territorio, per tessere reti sociali occorre una propensione alla "manutenzione" dei legami sociali. La predisposizione di una rete volta alla valorizzazione della competenza artistica delle donne, qual è il progetto Virginia, si pone nel tempo e nei contenuti in continuità con questo orientamento raccomandato nel lavoro sociale. Costruire la rete e agire in rete sono modalità operative preferite nei progetti di sviluppo locale e rispondono a diverse intuizioni. Ad esempio, alla consapevolezza sull'obiettivo di coesione sociale e di ricostruzione dei legami come tensione che rende tutti indispensabili e nessuno autosufficiente e ancora all'idea che il partneriato modifica ciascun attore della rete in quanto l'incontro accoglie e insieme trasforma le vocazioni e le pratiche di ciascuno oppure alla coscienza sul fatto che al rete e il suo mantenimento pretendono cura e vivificano, quindi, progetti complessi di cui si accettano anche i tempi lunghi. Quest'ultimo apprendimento introduce una specificità comune alle politiche di genere e a quelle di sviluppo locale: la trasversalità rispetto ai programmi di settore e la pazienza strategica di tessere le relazioni, considerando appunto la rete come uno dei prodotti e non soltanto come un metodo raccomandabile. Dal titolo della mia relazione - Pratiche di relazione nei progetti di sviluppo locale - infine enfatizzo l'aspetto della interazione tra il cambiamento del ruolo politico delle città e l'emergere e il trasformarsi dei ruoli femminili. La mia ipotesi è che l'amministrazione delle città sia oggi un luogo cruciale della politica, al di là delle funzioni di governo, come possibile scena di partecipazione delle/dei cittadini. La città rappresenta il luogo materiale e simbolico in cui si definiscono i percorsi di esclusione/inclusione, quindi la prima palestra di negoziazione rispetto all'accesso ai diritti di cittadinanza : in questa accezione, le differenze potrebbero - possono cercare visibilità e praticare delle contrattazioni. Personalmente non ritengo che nessuna di noi elette nei consigli e nominate negli organi esecutivi possa accampare un titolo di rappresentanza, ma sia invece vincolata a un dovere di mantenimento costante della comunicazione. Ciò non soltanto perché la cura delle relazioni rientra nella pratica politica delle donne, quanto perché proprio il contributo delle donne alla costruzione della città (dell'idea di città e delle comunicazioni sociali nello spazio urbano) si è caratterizzato attraverso identità culturali, sedimentazioni di esperienze, produzioni di linguaggi e di modi di essere o di fare che non necessariamente possono o devono essere trasposti nelle prassi e nelle procedure delle Pubbliche Amministrazioni. Sembrerebbe, a mio avviso, essere compito dei governi della città (e particolarmente di quelle tra noi impegnate in questa funzione) costruire occasioni di ascolto, di accoglienza e di messa in rete proprio di quei modi di essere e di fare. Mi piace sottolineare questo "fare" , perché ritengo che l'innovazione delle politiche locali imponga un'immagine di cittadina/o non solo come soggetto che desidera e/o rivendica, ma anche come soggetto che agisce e, quindi, interviene modificandolo sull'ambiente fisico e sociale. Compito delle politiche pubbliche è proprio quello di favorire l'agire, rimuovendo e contrastando i condizionamenti sociali che lo inibiscono o lo limitano. Questa concezione introduce anche una idea di rappresentanza, complementare alla rappresentanza elettiva. E' un'idea che passa attraverso l'assunzione di responsabilità: ci si preoccupa e ci si occupa dei temi della comunità di riferimento non perché la si rappresenta ma perché ci si assume una responsabilità nei confronti di quel gruppo, di quella minoranza , di quel contesto. Gianna Rolle Animatrice Pari Opportunità Misura E1 FSE – Regione Piemonte Gli interventi del FSE per la diffusione della Cultura di Parità Animazione territoriale e accompagnamento ai progetti Linee 3 e 4 Il 2° bando per le Linee 3-4 emanato il 22 luglio 2002 con D.G.R. n.75 - 6737 del 22/07/2002, scaduto il 7 ottobre 2002, destinava risorse pari a 7.250.000 € (ripartite sulla Linea 3 per 3.500.000 € e sulla Linea 4 per 3.750.000) e prevedeva, oltre alla reiterazione delle azioni inesplorate nel bando precedente, l’aggiunta di nuove azioni innovative per ciascuna linea d’intervento, che hanno riscosso un particolare interesse tra gli operatori. Mentre le linee 3.1 e 3.2 sono riservate alle imprese pubbliche e private, alle parti sociali e loro emanazioni ed agli organismi bilaterali, la linea 4 - inerente ad azioni di sistema - è invece riservata agli Enti locali ed alle Istituzioni; in particolare sulle linee 4.1 e 4.2, si è voluta incoraggiare la presentazione di progetti multiattore, stimolando la costituzione di reti che dovevano necessariamente coinvolgere almeno un Ente locale territoriale ed un’Istituzione di parità, oltre ad altri soggetti pubblici e privati con esperienze sulle tematiche oggetto della proposta. La risposta al 2° bando è stata soddisfacente, sia in relazione al numero di proposte pervenute e sia in relazione all’importo della richiesta di contributi, con 216 progetti per una richiesta di contributi per 19.542.747 €, che superava nettamente l’importo del bando, ma altresì per la migliorata qualità dei progetti. Per il successo del 2° bando è stata efficace l’azione d’informazione e animazione, rivolta sia agli organi di stampa quanto agli operatori (conferenza stampa e alcuni incontri pubblici sul territorio regionale con gli operatori) nel corso dei quali furono coinvolti un gran numero di soggetti pubblici e privati: imprese, parti sociali, istituzioni di parità, Enti locali, ASL e Università, nonché un duplice supporto di assistenza tecnica fornito (anche on- line dalla struttura regionale e dall’animatrice di pari opportunità del FSE) agli operatori, garantito durante l’intero periodo di vita del bando. Va sottolineato il ruolo di sostegno ed accompagnamento sulla linea 4 svolto dalle istituzioni di parità, in particolare per la linea 3 dalla rete regionale delle Consigliere di parità e per la linea 4 dalla Commissione regionale pari opportunità, soggetti particolarmente attivi nella promozione di reti. L’attività di valutazione dei 216 progetti pervenuti, terminata a fine gennaio ’03, ha portato a considerare favorevolmente l’accresciuta capacità progettuale del territorio rispetto al bando del 20001, tant’è che sono risultati idonei ed approvati al termine della valutazione ben 180 progetti su 216, di cui: - 116 sulla linea 3 (interventi di sostegno alla riorganizzazione del lavoro e della struttura degli orari) proposti in prevalenza dalle imprese pubbliche e private, (83) e dalle parti sociali (31); purtroppo la disponibilità delle risorse previste dal bando consentiva di finanziare solo 41 dei 116 progetti approvati; - 64 sulla linea 4 (percorsi di mainstreaming e costituzione / consolidamento di reti), proposti da Enti locali e istituzioni di parità; le risorse previste dal bando consentivano il finanziamento di soli 33 progetti sui 64 approvati. Con determina n. 104 del 7 febbraio ‘03 vennero approvate le graduatorie per i 74 progetti finanziati e, con la determina n. 154 del 27 febbraio ’03, vennero emanate le relative disposizioni di dettaglio per la loro realizzazione. Con successiva D.D.G. n. 70-8902 del 31 marzo ‘03, in considerazione dell’elevata capacità progettuale del territorio (imprese e parti sociali, enti locali e istituzioni) che destinava risorse aggiuntive per 9.660.406 €, venne approvato uno scorrimento della graduatoria che ha consentito ai restanti 106 progetti, approvati ma non finanziabili per insufficienza di risorse, di poter accedere al finanziamento. Entro il mese di settembre ‘03 hanno potuto iniziare le attività altri 75 progetti sulla linea 3 e 31 sulla linea 4. Sono pertanto stati complessivamente finanziati 180 progetti, per un importo totale di 16.910.406 €. Come già avvenuto per il 1° bando tutte le sintesi dei progetti sono state raccolte in un nuovo Repertorio progetti, che arricchisce la banca dati regionale dei progetti di pari opportunità finanziati dalla misura E1. E’ corretto affermare che con il bando 2002 si è consolidato il sistema regionale Pari opportunità in grado di realizzare azioni concrete e trasferibili con ben 116 progetti che incidono sull’organizzazione del lavoro del sistema imprese e parti sociali, oltre alla creazione e consolidamento di reti di parità con 64 progetti che interessano gli enti locali, reti e istituzioni di parità. Altra considerazione positiva riguarda le sub-azioni del bando, tutte interessate da numerosi progetti, sia per quanto la linea 3, caratterizzata dall’azione 1 e con 6 sub-azioni e 83 progetti approvati, ripartiti in: 1) Progettazione di formule organizzative, quali telelavoro 17 progetti 2) Studio e sperimentazione soluzioni operative per il part-time 7 progetti 3) Studio e sperimentazione soluzioni operative di job-sharing 2 progetti 4) Studi di fattibilità e sperimentazione di modelli organizzativi, inclusi i nidi aziendali / interaziendali 31 progetti 5) Azioni di consulenza, accompagnamento e tutoring 11 progetti 6) Azioni di promozione di percorsi di carriera 15 progetti mentre la situazione dell’azione 2, con le sue 4 sub-azioni ha avuto 33 progetti approvati, ripartiti in: 1) Studi / ricerche su tematiche inerenti l’applicazione di P.O. 20 progetti 2) Proposte per sostenere l’applicazione L. 53/2000 congedi parentali 1 progetto 3) Iniziative a promozione art.9 L. 53/2000 su figura sostitutiva imprend. 7 progetti 4) Seminari e convegni di presentazione modelli organizzativi 5 progetti. Alla linea d’intervento 4, azione 1 con 4 sub-azioni, sono 24 i progetti approvati, ripartiti in: 1) Promozione e diffusione testi inerenti la cultura di parità 8 progetti 2) Studi, promozione e sperimentazione percorsi di mainstreaming 5 progetti 3) Azioni di promozione e informazione sulle politiche europee 3 progetti 4) Attività di monitoraggio e valutazione impatto politiche di genere 0 progetti 5) Studi di fattibilità per attuazione banche del tempo 8 progetti mentre all’azione 2, con 2 sub-azioni ha portato 40 progetti approvati, ripartiti in: 1) Iniziative di diffusione di buone prassi 19 progetti 2) Percorsi volti a sostenere l’uscita da situazioni di sfruttamento o di esclusione sociale 21 progetti E’ necessario rilevare come le opportunità di modernizzazione dei modelli organizzativi realizzabili tramite la linea 3 siano state colte positivamente dalle imprese pubbliche e private in tutte le subazioni previste, ed in particolare la 3.1.4 inerente gli studi di fattibilità e la sperimentazione di modelli organizzativi, con 31 progetti, tra cui ben 14 interessano lo studio di fattibilità e la sperimentazione di nidi aziendali, segno di un’attenzione crescente del mondo delle imprese verso la risorsa lavoro femminile e con la presa in conto della necessità di favorire la conciliazione tra il lavoro e le esigenze di custodia dei bimbi in età infantile; invece la sub-azione 3.2.3, relativa alla promozione della promozione della figura sostitutiva dell’imprenditore riferita all’art. 9 - lett.C della L. 53/2000, ha portato le organizzazioni di categoria a proporre 7 progetti, che promuovono la figura professionale e strutturano una banca dati a cui attingere nel momento in cui si crea la necessità della sostituzione. In merito alla Linea 4 è da sottolineare come la sub-azione 4.2.2 inerente i percorsi di uscita dalle situazioni di sfruttamento, isolamento, esclusione sociale, abbia riscosso un forte interesse da parte degli enti locali e delle istituzioni di parità, con 21 progetti in via di realizzazione tra cui 5 sul tema della tratta a scopo di sfruttamento della prostituzione. Sono quindi state proprio queste nuove subazioni innovative inserite nel bando 2002 a stimolare la progettualità del territorio regionale. L’altro aspetto da cogliere in modo positivo è la forte risposta venuta da parte delle imprese alle opportunità offerte dal bando per incidere sull’organizzazione del lavoro, innovando le modalità lavorative. Sarà perciò particolarmente interessante il monitoraggio in itinere per tutte le attività a fronte dei 180 progetti approvati, che potranno fornire indicazioni utili e preziose per riorientare le azioni e le sub-azioni dei prossimi bandi. La maggior parte dei progetti prevede la presenza della Regione Piemonte nei convegni o seminari iniziali o di presentazione dei risultati, ai quali partecipano gli assessori al Lavoro e alla Formazione professionale, funzionarie del Settore Sviluppo dell’Imprenditorialità o dell’animatrice di pari opportunità della misura E1. Il Monitoraggio sui progetti Le attività dei progetti approvati sul primo bando sono tutte concluse e gli operatori hanno ottemperato all’obbligo di invio dei report conclusivi sulle attività e sui relativi rendiconti delle attività finanziate. Il monitoraggio fisico ed il controllo dei dati è svolto dall’Agenzia Piemonte Lavoro, in collaborazione con i funzionari regionali preposti alle di verifiche presso gli operatori. Dei 70 progetti approvati ne sono stati realizzati 69, tutti giunti a conclusione; un solo operatore ha rinunciato a realizzare il progetto. Dalle relazioni finali sono stati tratti gli elementi per un’estensione del repertorio progetti relativa alle azioni realizzate, ai risultati conseguiti ed alla loro trasferibilità, con una pubblicazione e con l’immissione sul sito regionale. Con l’avvio dei progetti del secondo bando l’Agenzia Piemonte Lavoro ha ulteriormente affinato la metodologia del monitoraggio qualitativo, con una lettura puntuale e con l’elaborazione dei dati contenuti nei rapporti periodici trimestrali di attività redatti dagli operatori seguendo lo schema di rilevazione appositamente predisposto.