OttocentoDuemila, collana di studi storici e sul tempo presente
dell’Associazione Clionet, diretta da Carlo De Maria
Storie dal territorio, 1
In copertina: alcuni bambini vergatesi in uno scatto del 1950.
Fonte: http://vergatonews24.it; proprietario della foto: Tullio Bernardi
Eloisa Betti e Carlo De Maria
(a cura di)
Dalle radici a una
nuova identità
Vergato tra sviluppo economico
e cambiamento sociale
BraDypUS.net
COMMUNICATING
CULTURAL HERITAGE
Bologna 2014
Ricerca storica promossa dal Comune di
Vergato - Assessorato alla Cultura e realizzata
dall’Associazione Clionet in collaborazione con
l’Istituto “per la storia e le memorie del ’900”
Parri Emilia-Romagna e con il contributo della
Banca di credito cooperativo di Vergato
Comune di
Vergato
Progetto grafico
BraDypUS
ISSN:
ISBN:
2284-4368
978-88-98392-07-0
Quest’opera è stata rilasciata con licenza Creative Commons
Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 4.0
Internazionale. Per leggere una copia della licenza visita il
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2014 BraDypUS Editore
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Dalle radici a una nuova identità
Vergato tra sviluppo economico e cambiamento sociale
Indice generale
5
Prefazione
Catia Aliberti
7
Presentazione
Andrea Marchi
9
Nota dei curatori
11
Amministrazione e territorio
Carlo De Maria
31
Agricoltura e manifattura
Tito Menzani
67
Sezione fotografica
91
Lavoro, lotte sociali, partecipazione politica.
Storie di donne e di uomini
Eloisa Betti
121 L’andamento demografico e i servizi alla cittadinanza
Matteo Troilo
141 Indice dei nomi
Dalle radici a una nuova identità.
Vergato tra sviluppo economico e cambiamento sociale (1945-2014)
a cura di Eloisa Betti e Carlo De Maria
Bologna (BraDypUS) 2014
ISBN 978-88-98392-07-0
p. 5
Prefazione
Investire nella ricerca è necessario. Da essa nasce una ricchezza che va al di là
del proprio tempo e diventa frutto per il futuro, per lo sviluppo di nuove idee e
il superamento di confini. Lo studio attento degli storici è a servizio della conoscenza, del nostro essere cittadini del mondo e allo stesso tempo protagonisti,
nei territori più periferici, di tanti piccoli ma preziosi episodi che hanno contribuito a costruire il profilo del nostro paese. Vergato e il suo territorio hanno
un’identità che va il più possibile indagata, evocata e condivisa. Soprattutto se
questa si è ulteriormente definita negli anni che dal 1945 giungono al nostro
secolo, ricco di sfide, possibilità ma anche complesse mutazioni.
L’Amministrazione comunale, appoggiando questo progetto, crea l’occasione
per una riflessione lucida, composta da dati, testimonianze, fonti archivistiche e
statistiche, oltre che da un interessante contributo di immagini. Il testo restituisce una tessitura a più voci. La compongono donne, uomini, che singolarmente
o all’interno di istituzioni, imprese e organizzazioni, hanno operato per raggiungere importanti obiettivi.
Mi unisco ai ringraziamenti già presenti nel testo, sottolineando il prezioso
lavoro di ricerca e scrittura degli storici del gruppo Clionet, la collaborazione
all’iniziativa dell’Istituto “per la storia e le memorie del ’900” Parri Emilia-Romagna e il sostegno al progetto culturale da parte della Banca di credito cooperativo di Vergato.
Questo lavoro editoriale è il risultato di più forze. Le stesse che costituiscono
i valori profondi della nostra società democratica e che potranno nutrire i suoi
prossimi sviluppi.
Catia Aliberti
Assessore alla Cultura
del Comune di Vergato
Dalle radici a una nuova identità.
Vergato tra sviluppo economico e cambiamento sociale (1945-2014)
a cura di Eloisa Betti e Carlo De Maria
Bologna (BraDypUS) 2014
ISBN 978-88-98392-07-0
p. 7
Presentazione
La montagna bolognese ha attraversato la «grande trasformazione» del dopoguerra in maniera straordinaria e traumatica, vedendo modificarsi profondamente
i propri assetti demografici (prima uno spopolamento drastico e generalizzato, poi
un ripopolamento notevolissimo ma disugualmente distribuito), urbanistici, economici e paesaggistici, come pure le relazioni con la città di Bologna. Tutti fenomeni
presenti anche in altre porzioni del territorio provinciale, ma che in montagna,
per il suo particolare profilo ambientale, assumono un’intensità e una dimensione
tutte particolari, investendo «un pezzo interessante del mondo», secondo la definizione di Goethe, ma dagli equilibri molto fragili, nella sua imponenza naturale.
Indagare le vicende politiche, strutturali, sociali e umane di questi territori
nell’ultimo settantennio è, dunque, assai importante, anche se fino a ora gli studi
in materia sono carenti e frammentati. Per questo meritano la massima attenzione i saggi qui raccolti riguardanti il Comune di Vergato, frutto del lavoro di ricerca
dell’associazione di giovani storici Clionet e voluti dall’Amministrazione comunale, che va ringraziata per un simile impegno, non certo scontato di questi tempi.
La metodologia utilizzata permette che simili iniziative possano essere intraprese anche in altri luoghi della montagna, consentendo a tutti noi, nell’auspicata ipotesi di una virtuosa disseminazione, di coprire un vuoto di conoscenza
inaccettabile nella ricostruzione storiografica del nostro recente passato. L’Istituto “per la storia e le memorie del ’900” Parri Emilia-Romagna non potrà che
incentivare e assecondare con entusiasmo un tale progetto, offrendo tutta la
collaborazione possibile.
Andrea Marchi
Vice presidente dell’Istituto “per la storia e
le memorie del ’900” Parri Emilia-Romagna
Dalle radici a una nuova identità.
Vergato tra sviluppo economico e cambiamento sociale (1945-2014)
a cura di Eloisa Betti e Carlo De Maria
Bologna (BraDypUS) 2014
ISBN 978-88-98392-07-0
pp. 9-10
Nota dei curatori
La presente ricerca si è proposta di indagare i tempi e i modi delle trasformazioni che hanno interessato Vergato dalla Liberazione a oggi, con particolare
attenzione all’economia e alle sue connessioni con l’ambito socio-demografico,
lavorativo e politico-amministrativo. Un’attenzione particolare è stata riservata alla dimensione di genere, al fine di valorizzare, anche a grazie a interviste
a testimoni e protagonisti, il contributo di uomini e donne nella costruzione e
sviluppo della comunità. Attraverso fonti d’archivio e statistico-economiche si è
ricostruito il percorso che ha portato all’assetto odierno del Comune e del suo
territorio, riflettendo sulle trasformazioni che hanno inciso sull’identità di questa
comunità appenninica.
Nel dare alle stampe le pagine che seguono, sono tanti i ringraziamenti che
come curatori del libro – a nome di tutto il gruppo di ricerca – vogliamo esprimere nei confronti di coloro che, a vario titolo, hanno in qualche modo agevolato
il nostro lavoro. Innanzi tutto siamo riconoscenti al sindaco di Vergato Sandra
Focci e all’assessore alla cultura Catia Aliberti che hanno creduto in questo progetto e l’hanno sostenuto nelle sue varie fasi. Desideriamo inoltre ringraziare
Maurizio Nicoletti per aver agevolato la ricerca all’Archivio comunale ed Elena
Negri, preziosa nel coadiuvare le ricerche presso la Biblioteca “Paolo Guidotti”
di Vergato. Grazie anche a Livia Ferlini e a Donatella Sabbadini dell’Archivio
della Camera di commercio di Bologna, a Elena Romagnoli e Anna Gurioli del
Centro italiano di documentazione sulla cooperazione e l’economia sociale, e
al personale della Fondazione Gramsci Emilia-Romagna e dell’Archivio storico
della Camera del Lavoro di Bologna.
Un ringraziamento doveroso alla Banca di credito cooperativo di Vergato, per
aver sostenuto la pubblicazione del volume, nelle persone del Presidente Viviano
Fiori, del Direttore generale Edgardo Fornasero e del Direttore della Filiale di
10
Dalle radici a una nuova identità. Vergato tra sviluppo economico e cambiamento sociale (1945-2014)
Vergato Piero Prezzi.
Andrea Marchi, vicepresidente dell’Istituto “per la storia e le memorie del
’900” Parri Emilia-Romagna, ha garantito la sua generosa collaborazione e l’appoggio, sempre importante, del suo Istituto. Di questo gli siamo grati. Un ringraziamento non formale va anche all’Istituto di ricerche economiche e sociali (Ires)
Emilia-Romagna, nelle persone di Cesare Minghini e Alfredo Cavaliere, per aver
seguito con interesse e partecipazione lo sviluppo della ricerca.
Un ringraziamento speciale ad Andrea Bacci per la realizzazione e montaggio dell’intervista ad Angiolina Guasconi. A Elisa Vecchi e Augusto Betti un ringraziamento sentito per aver fornito utili consigli e suggerimenti nelle varie fasi
del progetto. Ringraziamo di cuore Angiolina Guasconi, Giuliana Degli Esposti,
Amedeo Aldrovandi, Pasquale Colombi, Renata Bortolotti che hanno condiviso
con noi le loro storie di vita, di lavoro, di impegno politico.
Altrettanto sentiti ringraziamenti vanno, infine, a tutti coloro che hanno fornito le immagini di corredo al volume; i loro nomi sono debitamente indicati
nella Nota introduttiva della Sezione fotografica collocata nella parte centrale
del libro.
In questi mesi di lavoro il Ristorante da Rotilio di Riola è sempre stato un
piacevole approdo.
E.B. e C.D.M
Dalle radici a una nuova identità.
Vergato tra sviluppo economico e cambiamento sociale (1945-2014)
a cura di Eloisa Betti e Carlo De Maria
Bologna (BraDypUS) 2014
ISBN 978-88-98392-07-0
pp. 11-29
Amministrazione e territorio
carlo de maria
L’obiettivo generale di questa ricerca collettiva è favorire una ripartenza di Vergato sulla base di una presa di coscienza relativa alla propria storia contemporanea. A partire dalla consapevolezza dei punti di forza e di debolezza del
territorio, così come si sono manifestati tra XX e XXI secolo, sarà forse più facile
provare a pensare un nuovo sviluppo locale.
Una trentina di anni fa, Paolo Guidotti, riflettendo sulla storia vergatese dal
Medioevo all’Unità d’Italia, parlava di Vergato come di un centro politico e di osservazione della montagna bolognese. Un territorio che poteva essere un esempio di «urbano periferico» rispetto al centro egemonico di potere, rappresentato
da Bologna1. Da sempre Vergato costituiva una tappa obbligatoria lungo il percorso della strada di fondo valle per Porretta, Pistoia, Lucca e Pisa, e assunse per
questo motivo fin dal Medioevo un volto, per così dire, “internazionale”, fatto di
transiti, di scambi, di immigrazione.
Un ruolo che, in qualche modo, Vergato mantiene ancora oggi, dal momento
che è uno dei comuni più multietnici della provincia di Bologna, e uno degli snodi ferroviari e stradali, e un centro di servizi, tra i più importanti della montagna
bolognese.
Tuttavia, alla fine della Seconda guerra mondiale, di Vergato e delle sue vocazioni storiche rimaneva ben poco, soprattutto a causa del tragico bombardamento a tappeto del 22 agosto 19442. Dopo tanto dolore e in mezzo a tutte
Paolo Guidotti, Vergato. Centro politico e di osservazione della montagna bolognese dal Medioevo all’Unità d’Italia, Bologna, Comune di Vergato - Cassa rurale e artigiana di Vergato - Nuova Alfa
Editoriale, 1985.
1
Giovanna Bernardi, Vergato: pagine della memoria, con una prefazione di Gian Paolo Borghi, Porretta Terme-Vergato, Editoriale Nuèter - Cassa rurale e artigiana di Vergato, 1992.
2
12
Dalle radici a una nuova identità. Vergato tra sviluppo economico e cambiamento sociale (1945-2014)
quelle macerie, come venne affrontato – è la prima domanda che ci siamo posti
– il difficile lavoro della ricostruzione?
Innanzi tutto, sul piano politico-amministrativo, si manifestò una unione di
intenti tra le forze di maggioranza e di minoranza, preoccupate unicamente di
un rapido rilancio del proprio comune3. Inoltre, le immani difficoltà spinsero le
amministrazioni comunali limitrofe a unirsi tra loro per costruire livelli sovracomunali di collaborazione e coordinamento. La sovracomunalità, cioè, fu una
delle chiavi della ricostruzione a Vergato e in molti altri comuni del Bolognese.
1. Gli anni della ricostruzione
La prima aggregazione volontaria tra i comuni dell’area appenninica si creò per
ristabilire il funzionamento della rete elettrica. Di fronte ai ritardi palesati dalla
Società bolognese di elettricità, la compagnia privata che avrebbe dovuto provvedere al ripristino del servizio a Vergato e nei comuni vicini, si ravvisò la necessità di un intervento diretto delle amministrazioni comunali. Nel 1947, si costituì
allora un consorzio volontario fra i comuni di Vergato, Castel D’Aiano, Gaggio
Montano e Grizzana per la ricostruzione e l’esercizio della rete di distribuzione
dell’energia elettrica4. Qualcosa di analogo stava avvenendo nella pianura bolognese, dove tredici comuni, tra i quali Granarolo dell’Emilia, si erano uniti in
consorzio per la costruzione e la gestione diretta dell’acquedotto5.
Lo strumento tecnico del consorzio, che si era diffuso negli anni del fascismo
per razionalizzare – sotto l’egida della prefettura – spese e servizi6, veniva dun-
Uno spirito unitario che durava ancora, a livello locale, all’inizio degli anni Cinquanta, quando il
consigliere Alfredo Rizzi, a nome della minoranza democristiana, dichiarava: «per tutte le iniziative
che mireranno allo sviluppo agricolo, industriale e commerciale di Vergato e frazioni, per tutti i
tentativi che si faranno per la progressiva ripresa di questo nostro Comune, qualora esuli ogni faziosità personale o politica, [la minoranza] darà, non solo il suo appoggio, ma anche il suo plauso.
Fin da questo primo incontro, sia ben chiaro, che nostro unico desiderio è quello di vedere il nostro
Comune fra i primi della nostra Provincia». Seduta del Consiglio comunale di Vergato del 10 giugno
1951, prima convocazione successiva alle elezioni comunali di quell’anno, in Archivio comunale di
Vergato (d’ora in poi, Acv), Delibere consigliari, Anno 1951.
3
Delibera del Consiglio comunale di Vergato, 13 agosto 1947, in Acv, Delibere consigliari, Anno
1947.
4
Carlo De Maria, La politica e l’amministrazione, in Carlo De Maria, Tito Menzani (a cura di), Granarolo dell’Emilia dalla Liberazione a oggi. Un territorio e una comunità in trasformazione (19452014), ricerca di Clionet di prossima pubblicazione.
5
Cfr. Fabrizio Bottini, Sovracomunalità, 1925-1970. Elementi del dibattito sulla pianificazione terri-
6
Carlo De Maria, Amministrazione e territorio
13
que recuperato dalle amministrazioni democratiche con una nuova declinazione autonomista, come consorzio volontario.
La ricostruzione di Vergato partì, così, grazie all’attivismo dell’amministrazione comunale, ma anche tramite le risorse investite dall’Unrra (United Nations
Relief and Rehabilitation Administration), il programma di aiuti internazionali
predisposto dalle Nazioni Unite. Il Comitato amministrativo soccorso ai senzatetto (Casas), costituito nel maggio 1946 per l’attuazione del programma di assistenza e ricostruzione concordato tra il Governo italiano e l’Unrra, individuò
Vergato tra i primi comuni italiani nei quali intervenire. Nel luglio 1946 la Prima
giunta dell’Unrra-Casas comunicava che, nell’esecuzione del proprio «programma di assistenza e riabilitazione a favore dei più poveri fra i senza tetto nullatenenti delle zone d’Italia maggiormente colpite dalla guerra», aveva selezionato,
fra le molte località di intervento, il capoluogo di Vergato e la frazione di Tolè7.
Di norma, questi aiuti alle popolazioni colpite dai bombardamenti venivano erogati subordinatamente alla concessione gratuita da parte dei comuni interessati delle aree edificabili. Tra Vergato e Tolè, in particolare, l’Unrra-Casas
intendeva costruire, in prima battuta, 32 appartamenti. Erano occasioni da non
perdere e il Consiglio comunale di Vergato, nell’aprile 1948, deliberò di cedere
gratuitamente all’Unrra tre appezzamenti di terreno, uno nel capoluogo e due a
Tolè. Nel 1950 i lavori di costruzione erano ultimati e gli appartamenti già assegnati alle famiglie che risultavano ancora senza casa.
Tra il 1950 e il 1951 si deliberò la costruzione, sempre con fondi Unrra, di
altri 24 appartamenti concentrati nel capoluogo. Oltre a mettere a disposizione
l’area edificabile, il Comune si impegnava ad allacciare gli alloggi alla rete idrica, a quella elettrica e alle fognature, nonché a costruire una strada comunale di
accesso al nuovo nucleo residenziale. Per coprire questi costi, l’amministrazione
intendeva accendere un mutuo presso la Cassa depositi e prestiti.
Insieme al problema della casa, l’altro acuto problema sociale di quegli anni
era l’endemica disoccupazione. Lavori pubblici, come quelli promossi attraverso
gli aiuti internazionali, aiutavano ad alleviare entrambe queste criticità ed erano pertanto di importanza vitale. In modo simile alle Nazioni Unite, benché con
minori mezzi finanziari, anche lo Stato italiano cercò di favorire la ricostruzione
e la ripartenza dei territori più in difficoltà, favorendo l’apertura di cantieri e la
realizzazione di lavori di pubblica utilità. Di notevole sollievo per le amministrazioni comunali fu, ad esempio, il decreto legge del 10 agosto 1945, studiato
toriale in Italia, Milano, Franco Angeli, 2003.
7
Il rapporto tra il Comune di Vergato e l’Unrra-Casas viene riassunto in alcune delibere del Consiglio comunale e segnatamente in quelle del 5 aprile 1950, 10 aprile 1951 e 25 maggio 1951, in Acv,
Delibere consigliari, Anni 1950-1951.
14
Dalle radici a una nuova identità. Vergato tra sviluppo economico e cambiamento sociale (1945-2014)
appositamente per affrontare il problema della disoccupazione invernale nelle
aree rurali del paese. Si trattava di fondi messi a disposizione dal Ministero dei
Lavori pubblici per la costruzione di strade, scuole, alloggi sociali, ecc. I comuni
avrebbero dovuto rimborsare allo Stato metà della spesa sostenuta, potendo
però distribuire il debito in trenta annualità. Il Comune di Vergato approfittò di
questa possibilità, ad esempio, nel 1947, per costruire una scuola rurale in frazione di Susano8.
Agli interventi di emergenza, realizzati sul territorio fin dall’immediato dopoguerra, fece seguito anche la predisposizione di un più organico «piano di
ricostruzione» per Vergato, approvato dal Consiglio comunale nel luglio 1950. Il
piano venne perfezionato in accordo con il Provveditorato regionale alle opere
pubbliche e con il Ministero dei Lavori pubblici, che apportarono alcune modifiche al disegno iniziale. L’approvazione della versione definitiva fu deliberata dal
Consiglio comunale nell’estate 19519.
2. Le prime elezioni comunali del dopoguerra e le scelte politicoamministrative
Una ricerca a livello territoriale sul secondo dopoguerra non può evidentemente prescindere dalle elezioni comunali della primavera 1946, le prime elezioni
libere dopo il fascismo10.
Nei mesi successivi alla Liberazione, il capoluogo di Vergato e le sue piccole
frazioni rurali rientrarono lentamente in comunicazione tra loro, facendo i conti
con la situazione disastrata della rete stradale, martoriata dagli eventi bellici.
La guerra aveva aggravato la situazione socio-economica di tutto il territorio,
compromettendo in particolare la continuità della produzione agricola e dell’allevamento. In questo scenario, tra la seconda metà del 1945 e l’inizio del 1946,
mentre il Governo militare alleato stava ancora cedendo alle autorità italiane il
Delibera del Consiglio comunale di Vergato, 13 agosto 1947, in Acv, Delibere consigliari, Anno
1947.
8
9
Delibere del Consiglio comunale di Vergato, 3 luglio 1950 e 13 luglio 1951, in Acv, Delibere consigliari, Anni 1950-1951.
Ettore Rotelli (a cura di), Tendenze di amministrazione locale nel dopoguerra, Bologna, Il Mulino,
1981.
10
Carlo De Maria, Amministrazione e territorio
15
pieno controllo dell’area emiliana11, la propaganda politica si svolse in condizioni proibitive, per la quasi assoluta mancanza di mezzi di trasporto a disposizione
dei civili e per la difficoltà degli spostamenti.
A partire dal 15 luglio 1945 gli uffici comunali e provinciali di tutto il Nord Italia, iniziarono la «preparazione tecnica delle liste elettorali», in vista delle prime
consultazioni amministrative e politiche. A Vergato ci si impegnò in una rincorsa particolarmente affannosa, dal momento che in seguito ai bombardamenti
erano andati distrutti tutti gli atti dell’archivio comunale, stradario comunale
compreso12. Era dunque necessario ricreare gli impianti anagrafici da zero.
Del resto, a livello nazionale, ancora nel dicembre 1945, solo 775 comuni su
oltre settemila potevano dirsi pronti, con le liste elettorali maschili e femminili
già pubblicate e approvate. Lo rilevava, non senza preoccupazione, in un’intervista all’“Avanti!”, il ministro dell’Interno, Giuseppe Romita, che notava come a
essere pronti fossero perlopiù i comuni del Mezzogiorno (molti dei quali erano
stati liberati già nel corso del 1943). Di fronte a quei dati, secondo le parole
del ministro, non era ancora possibile prevedere quando si sarebbero tenute le
amministrative, forse «nella prima o seconda domenica di marzo si potrà votare all’incirca in un quarto dei comuni»13. In realtà le cose andarono meglio del
previsto: il primo ciclo elettorale si svolse nel periodo marzo-aprile 1946 (precisamente nei giorni 10, 17, 24, 31 marzo e 7 aprile) quando si votò in più del 70%
dei comuni italiani. A Vergato, per la precisione, si votò il 7 aprile 1946. Mentre il
secondo ciclo elettorale si svolse nel periodo autunnale, tra ottobre e novembre,
quando andarono alle urne i comuni rimanenti.
In quei mesi di preparazione elettorale, la propaganda politica e il reclutamento degli iscritti da parte dei partiti si estesero sempre più anche alle donne,
ammesse per la prima volta al suffragio, in virtù del decreto legislativo 1° febbraio 1945, n. 23. Una questione, quella del suffragio femminile, che alimentava
il confronto tra Partito comunista e Democrazia cristiana:
Nel settore della propaganda femminile i comunisti si prodigano per non offendere il
sentimento religioso della donna, per non contrariare il suo attaccamento alla chiesa
cattolica: in particolare si cerca di dimostrare che l’appartenenza al partito comunista
non vieta di frequentare la chiesa e di seguirne i riti. In questo campo, particolarmente,
Il governo italiano subentrò agli alleati nel controllo delle province emiliane solo nell’agosto
1945, circa tre mesi dopo la Liberazione. Su questo lento passaggio, si vedano le considerazioni
condotte per un altro caso di studio emiliano: Paola Borsari (a cura di), Carpi dopo il 1945. Sviluppo
economico e identità culturale, Roma, Carocci, 2005.
11
12
La notizia si ricava da una delibera del Consiglio comunale, 24 maggio 1950, in Acv, Delibere
consigliari, Anno 1950.
Quando potremo eleggere sindaci e consiglieri comunali?, intervista al ministro dell’Interno G.
Romita, in “Avanti!”, 19 dicembre 1945.
13
16
Dalle radici a una nuova identità. Vergato tra sviluppo economico e cambiamento sociale (1945-2014)
il partito comunista si scontra con quello democratico cristiano che, se non l’unico,
certo è il più strenuo tra i suoi avversari14.
In effetti, anche nella pubblicistica destinata agli attivisti del Pci15, la partecipazione al voto delle donne costituiva, insieme al ritorno in patria dei prigionieri
di guerra – e anzi in misura ancora maggiore – il «principale elemento di incertezza circa il risultato della votazione». Se le migliaia di prigionieri sulla via del
ritorno, «laceri, senza mezzi, senza lavoro e, spesso, politicamente disorientati»,
minacciavano di diventare «ottime masse di manovra» per le forze conservatrici,
non era lecito farsi molte illusioni – almeno per il momento – anche sul voto
dell’elettorato femminile, «specialmente delle campagne». Era dunque necessario intensificare più che mai il lavoro di propaganda16.
Il successo dei comunisti, che in seguito alle elezioni del 7 aprile ’46, videro
riconfermato alla guida dell’amministrazione comunale il «sindaco della Liberazione», Alfonso Buriani, esponente del Pci, fu dovuto in buona parte al loro
impegno nei confronti dei lavoratori delle campagne e delle loro famiglie. In
particolare, la propaganda comunista seppe orientarsi con efficacia verso i mezzadri, promuovendo istanze per il miglioramento dei contratti e per l’eliminazione degli aspetti servili che ancora esistevano in un tipo di conduzione delle terre
risalente al Medioevo.
Tra il 1945 e 1946, il Pci riuscì a diventare il partito egemone della sinistra,
scavalcando nei consensi il Psi, perché mostrò più duttilità nell’affrontare i problemi e le speranze che emergevano dal composito mondo delle campagne17.
Una delle più rilevanti differenze tra i due partiti della sinistra (allora saldamente alleati) si stabilì, infatti, nel modo di trattare i mezzadri, cioè i cosiddetti
ceti medi agricoli. I socialisti, che avevano il loro insediamento soprattutto nel
bracciantato e tra i salariati urbani e rurali, continuarono a perseguire politiche
di collettivizzazione, mostrando invece minore attenzione ai coloni; al contrario,
il Pci comprese che lì, all’interno delle classi medie rurali, c’era la possibilità di
allargare enormemente il fronte della lotta contro la rendita fondiaria. Fu proprio questo l’accorgimento fondamentale grazie al quale i comunisti riuscirono
14
Questa analisi si trova in una relazione del comando generale dei carabinieri al Ministero dell’Interno, marzo-aprile 1945, e si riferisce all’area emiliano-romagnola. È citata in Patrizia Dogliani,
Maurizio Ridolfi (a cura di), 1946: i Comuni al voto. Elezioni amministrative e partecipazione delle
donne, Imola, La Mandragora, 2007, pp. 274-275.
Un buon esempio è il seguente opuscolo: Partito comunista italiano, Prepariamoci alle elezioni
amministrative, Roma, L’Unità, 1945.
15
Ivi, pp. 6, 13.
16
Fausto Anderlini, Alleanze sociali e rapporti politici nel “modello emiliano” storico. I mutamenti
dell’ultimo quarto di secolo, in Carlo De Maria (a cura di), Bologna futuro. Il “modello emiliano” alla
sfida del XXI secolo, Bologna, Clueb, 2012, pp. 41-46.
17
Carlo De Maria, Amministrazione e territorio
17
a costruire la loro egemonia nelle regioni “rosse” dell’Italia mediana, dove l’istituto della mezzadria era particolarmente diffuso.
Negli anni del sindaco Buriani (1945-1951) e del suo successore, il compagno
di partito Rino Nanni, eletto nel 1951 e riconfermato in seguito alle elezioni comunali del 1956, la linea politica tenuta dalle giunte vergatesi sviluppò quella
immagine di «Comune del popolo» che fu assolutamente tipica negli enti locali
emiliani tra anni Quaranta e Cinquanta.
Sia per Buriani che per Nanni, l’esempio catalizzatore era quello di Bologna,
la più importante città dell’Europa occidentale governata da un partito comunista. «Il Comune è di tutti i cittadini», affermava in quegli anni il sindaco di Bologna Giuseppe Dozza, ma «deve però preoccuparsi in particolare modo, del
miglioramento generale della città, di sollevare le categorie più diseredate che
costituiscono il maggior numero dei cittadini stessi». Una impostazione ideale
che doveva tradursi in pratica grazie all’uso mirato degli strumenti amministrativi e attraverso proposte specifiche: ad esempio, la differenziazione, a vantaggio
dei lavoratori, delle tariffe del gas e dei trasporti o l’aumento del minimo imponibile nell’imposta di famiglia18.
Nel luglio 1951, il Consiglio comunale di Vergato decise di proporre alla
Giunta provinciale amministrativa (Gpa), l’organo di controllo presieduto dal
prefetto che vigilava sugli enti locali, alcune modifiche proprio in merito all’imposta di famiglia. Segnatamente, il Comune di Vergato chiedeva che, nell’atto di
stabilire le nuove aliquote dell’imposta, l’autorità prefettizia tenesse conto delle
tabelle studiate e predisposte dal sindaco e dalla giunta, «necessarie ai fini di
poter mantenere il gettito attuale dell’imposta stessa, nonché per l’applicazione
della medesima con senso di equità distributiva».
Se l’esigenza dell’autonomia comunale – proseguiva la delibera – risponde a una
istanza generale dell’ordinamento repubblicano, è certo che in particolare la determinazione del fabbisogno fondamentale di vita della famiglia, che deve essere esente
dall’applicazione dell’imposta di famiglia, non può essere riservata che alla competenza del Comune, in quanto è solo in funzione delle specifiche condizioni ed esigenze
economiche e sociali dei singoli ambienti comunali che la determinazione può essere
eseguita con vigile e pronto senso di responsabilità e di comprensione. Il fabbisogno
vitale della famiglia, infatti, deve riflettere sia il tenore medio di vita che è in atto, sia
la valutazione di un livello medio di esistenza libera e dignitosa (art. 36 della Carta
costituzionale) che è divenuto conoscenza ed aspirazione profonda del Comune19.
18
Marco Cammelli, Politica istituzionale e modello emiliano: ipotesi per una ricerca, in “Il Mulino”,
1978, n. 259, pp. 743-767: 746.
Delibera del Consiglio comunale di Vergato, 22 luglio 1951, in Acv, Delibere consigliari, Anno
1951.
19
18
Dalle radici a una nuova identità. Vergato tra sviluppo economico e cambiamento sociale (1945-2014)
Le richieste di Vergato non solo caddero nel vuoto, ma l’anno successivo la Gpa
fu protagonista di una vera e propria controffensiva sui temi della politica fiscale. Nei primi mesi del 1952, l’autorità prefettizia introdusse alcune modifiche per
l’applicazione dell’imposta di famiglia nei comuni della provincia di Bologna.
Mentre la tabella precedente applicava ai redditi più bassi una aliquota dello
0,50%, quella nuova alzava questa aliquota al 2%, con danno evidente per gli
strati popolari. Inoltre, mentre la vecchia tabella terminava con una aliquota del
12% per i redditi superiori alle 950.000 lire, la nuova tabella applicava questa
aliquota solo ai redditi che superavano i 12 milioni:
Tale provvedimento – affermava un sindaco comunista della pianura bolognese – è
una enorme ingiustizia a danno delle classi povere ed a vantaggio dei ricchi ed è di
grande danno per le finanze comunali. Nel nostro Comune abbiamo molti contribuenti
aventi un reddito superiore al milione che costituiscono l’ossatura principale del gettito dell’imposta in parola, i quali con la nuova tariffa pagheranno una imposta molto
inferiore20.
Perplessità e resistenze si manifestarono anche a Vergato, ma tutte le amministrazioni comunali della provincia furono costrette ad allinearsi alle direttive
della Gpa con un atto d’imperio del prefetto, che intimò gli amministratori locali
di applicare le nuove regole in tempi celeri, avvertendo che in caso di inadempienza sarebbero stati sottoposti al giudizio di responsabilità contabile21.
Il confronto tra amministrazione comunale e prefettura si inasprì notevolmente e portò, nel 1956, fino all’apertura di una procedura di decadenza per
responsabilità contabili a carico del sindaco Nanni, colui il quale cinque anni
prima aveva rivendicato con forza l’esercizio dell’autonomia comunale sul tema
decisivo della fiscalità. Il provvedimento prefettizio venne respinto dal Consiglio
comunale con delibera del 7 aprile 195622. E Nanni, per via dei nuovi impegni
parlamentare (come deputato della III legislatura, dal giugno 1958)23, lasciò la
carica di sindaco appena due anni più tardi, sostituito da Remo Zanna, anch’egli
esponente del Pci.
De Maria, La politica e l’amministrazione, in De Maria, Menzani (a cura di), Granarolo dell’Emilia
dalla Liberazione a oggi, cit.
20
21
Si veda, ad esempio, il telegramma della Prefettura di Bologna al Comune di Granarolo, 22 marzo
1952, in Archivio del Comune di Granarolo, Delibere di Giunta e delibere consigliari, Anno 1952.
Acv, Delibere consigliari, Anno 1956.
22
Per l’esperienza parlamentare di Nanni, si veda il portale storico della Camera dei deputati all’indirizzo: http://storia.camera.it/deputato/rino-nanni-19280505. Come si vedrà, Nanni sarebbe tornato alla carica di sindaco a Vergato nel 1985, fungendo nuovamente da punto di riferimento in un
passaggio assai critico della vita politica locale.
23
Carlo De Maria, Amministrazione e territorio
19
Per comprendere i conflitti politico-istituzionali che agitavano la vita comunale bisogna richiamare, almeno per sommi capi, le durissime condizioni nelle
quali il governo degli enti locali emiliani era costretto a muoversi: il rigoroso accentramento amministrativo e finanziario dello Stato italiano; la mancata attuazione del dettato costituzionale per quanto riguardava le autonomie; gli abusi
operati in sede di controllo dalla prefettura e dal governo; una legislazione degli
enti locali ai margini e spesso al di fuori della norma costituzionale; uno Stato
ispirato dal retaggio fascista e dalla guida democristiana alla più rigida discriminazione a sinistra.
A dispetto, infatti, del riconoscimento dell’autonomia locale operato dall’art.
5 della Costituzione, è possibile affermare che la continuità dell’accentramento
prevalse a lungo su quelle prospettive di rinnovamento che erano state espresse
da più parti durante la Resistenza. È questa una delle contraddizioni che caratterizzavano la situazione italiana, dove la Carta costituzionale sembrava privilegiare il potere locale e ne garantiva in via di principio l’autonomia, ma lo
lasciava di fatto in attesa di sviluppi legislativi che tardarono a venire, mentre
nella normativa degli enti locali si registrava, piuttosto, una forte continuità tra
fascismo e Repubblica.
L’ordinamento fascista aveva rappresentato, con i podestà di nomina governativa, la negazione più completa del principio dell’autogoverno. Il decreto legislativo luogotenenziale 7 gennaio 1946, n. 1, ricostituendo i consigli e le giunte
comunali, intese riaffermare il principio elettivo, ma senza toccare il sistema dei
controlli prefettizi nelle forme stabilite dal testo unico 3 marzo 1934, n. 383. In
questo senso, il condizionamento maggiore era costituito dai controlli di legittimità e di merito, che l’autorità tutoria applicava a quasi tutte le delibere dei
comuni. L’estensione e l’intensità di questi controlli variavano da situazione a situazione, in base alla dimensione dell’ente, al colore politico della sua amministrazione, alla presenza tra gli stessi amministratori di figure politiche di caratura
nazionale e anche in base alla personalità del prefetto, ma era comunque tale,
almeno sul piano teorico, da rendere quasi nulla l’autonomia giuridica dell’ente24.
Prima di concludere questo paragrafo, vale la pena riflettere sulle differenze generazionali che intercorrevano tra i due sindaci vergatesi che furono protagonisti degli anni della ricostruzione25. Buriani, classe 1892, era una figura di
esperienza e di garanzia, già attivo nel movimento operaio e socialista dell’Italia
24
Per un inquadramento storiografico con particolare riferimento al “caso” emiliano-romagnolo,
Maurizio Ridolfi (a cura di), I sindaci della Repubblica. Le trasformazioni della vita municipale emiliano-romagnola nel secondo dopoguerra, Cesena, Il Ponte Vecchio, 2012.
25
Sempre utili le informazioni anagrafiche fornite da Michele Nani (a cura di), Per una storia del
ceto politico bolognese (1946-1970). Materiali sociografici sugli eletti nei Comuni e in Provincia,
Bologna, Istituto storico provinciale della Resistenza, 1999, pp. 201-203.
20
Dalle radici a una nuova identità. Vergato tra sviluppo economico e cambiamento sociale (1945-2014)
prefascista; a lui i partiti del Comitato di liberazione nazionale si rivolsero nel
1945 per traghettare Vergato verso la nuova stagione politica, democratica e repubblicana. Nanni, invece, giunse alla carica di sindaco giovanissimo, a ventitré
anni (era del 1928), confermando una caratteristica diffusa tra i sindaci comunisti del dopoguerra, specie nei piccoli comuni del Centro-Nord26. A manifestarsi
frequentemente era il caso di sindaci di appena venti o trent’anni, amministratori fortemente militanti, solitamente usciti dall’esperienza della lotta partigiana, molto intraprendenti, ma altrettanto inesperti di questioni amministrative e
tuttavia in grado di “bruciare le tappe” all’interno di un partito, il Pci, che fu in
grado – fin dai primi anni del dopoguerra – di dare una precisa impronta alle
politiche locali.
I «giovani del ’45», tra i quali Nanni, sarebbero diventati il quadro decisivo del
«partito nuovo» nei decenni successivi. La fiducia riposta in quella generazione
di giovani fu probabilmente uno dei più grandi capolavori di direzione di Togliatti e di Longo27.
3. La prima volta delle donne: la (difficile) partecipazione femminile al governo locale
Un decreto legislativo approntato dal governo Bonomi sul finire del gennaio
1945 ammise per la prima volta in Italia le donne al voto. Ma per vedersi riconosciuto ufficialmente anche il diritto a essere elette, le cittadine italiane dovettero attendere un altro anno e, precisamente, il decreto del 10 marzo 1946, n.
74, emanato a pochi giorni dalla prima tornata delle elezioni comunali. Non si
trattò solo e semplicemente di una “dimenticanza” in tempi concitati di governo:
in quella esitazione formale è rilevabile un chiaro segnale di quanto il «principio
della eleggibilità delle donne» suscitasse, all’interno della classe politica, «perplessità e ostacoli»28.
Alfio Mastropaolo (a cura di), Le élites politiche locali e la fondazione della Repubblica, Milano,
Franco Angeli, 1991; Luca Baldissara, Stefano Magagnoli (a cura di), Amministratori di provincia.
Consiglieri, assessori e sindaci bolognesi dal 1946 al 1970: riflessioni e materiali, Bologna, Istituto
storico provinciale della Resistenza, 1992; Carlo De Maria, I comuni e la classe politica della Romagna nel secondo dopoguerra, in Ridolfi (a cura di), I sindaci della Repubblica, cit., pp. 77-98.
26
Lo notò acutamente Armando Cossutta, Così vivono e muoiono i “burocrati” del PCI, in “l’Unità”,
24 dicembre 1977, pp. 1, 17.
27
Anna Rossi-Doria, Diventare cittadine. Il voto alle donne in Italia, Firenze, Giunti, 1996, p. 23; Giu-
28
Carlo De Maria, Amministrazione e territorio
21
Procedendo a una valutazione della presenza femminile nei diversi gruppi
consigliari, la situazione vergatese confermava il dato di fondo nazionale: la
presenza quasi irrilevante – e, si potrebbe dire, legata a belle eccezioni – delle
donne nei nuovi consigli comunali dell’Italia democratica. Quei bagliori di presenza politica e visibilità pubblica che si erano manifestati solo uno o due anni
prima durante la Resistenza, con forme di partecipazione alla lotta civile di liberazione, sembrarono attenuarsi alla prova del voto. «Da attrici a spettatrici»,
ancora una volta29, a causa dei tanti vincoli sociali e culturali che continuavano a
ostacolare la loro piena partecipazione alla vita pubblica.
A Vergato, nessuna donna entrò nel Consiglio comunale eletto il 7 aprile
1946, composto da 20 consiglieri30. Si trattava di un dato particolarmente mortificante per le istanze di partecipazione femminile, pur inserendosi in un quadro
regionale e nazionali non certo esaltante da questo punto di vista. Basti ricordare che nei comuni della provincia di Bologna la presenza delle donne si fermò
complessivamente al 5,7% (75 elette su un totale di 1.323 consiglieri)31, mentre
nei comuni romagnoli (province di Forlì e Ravenna) su un totale di 1.515 nuovi
consiglieri comunali le donne elette furono 65, pari al 4,3%32. Altri dati disponibili
sono relativi al Piemonte, dove la percentuale di donne elette fu ancora più bassa: 3,3% su base regionale33. In linea generale, insomma, i partiti inaugurarono
il ritorno alla democrazia elettiva considerando le donne prevalentemente un
serbatoio da cui attingere voti, ma non quadri amministrativi34.
Nei decenni successivi la presenza femminile, invece di incrementarsi, diminuì ulteriormente, quasi ovunque. A Vergato la “bella eccezione” è rappresentata
dalla figura di Angiolina Guasconi, radiosa figura di militante comunista di base,
la cui esperienza politica ed esistenziale viene giustamente approfondita nel
lia Galeotti, Storia del voto alle donne in Italia. Alle radici del difficile rapporto tra donne e politica,
Roma, Biblink, 2006, p. 210.
29
Prendiamo spunto da Mario Isnenghi, L’Italia in piazza. I luoghi della vita pubblica dal 1848 ai
giorni nostri, 2ª ed., Bologna, Il Mulino, 2004, pp. 404-405, che usa questa immagine per descrivere
la frequente esclusione o, comunque, la subordinazione delle staffette partigiane, e delle donne in
genere, nelle manifestazioni per la Liberazione che si svolsero nelle piazze italiane nell’immediato
dopoguerra.
Acv, Delibere consigliari, Anno 1946.
30
Massimo Carrai, Il nuovo ceto amministrativo. Una comparazione fra i consiglieri comunali della
provincia di Bologna e della provincia di Pisa, in Dogliani, Ridolfi (a cura di), 1946: i Comuni al voto,
cit., pp. 167-184, p. 179.
31
32
Carlo De Maria, Patrizia Dogliani, Romagna 1946. Comuni e società alla prova delle urne, Bologna, Clueb, 2007, p. 62 e ss.
Maria Teresa Silvestrini, Rappresentanza femminile e culture politiche: il caso del Piemonte, in
Dogliani, Ridolfi (a cura di), 1946: i Comuni al voto, cit., pp. 185-206, p. 186.
33
Carrai, Il nuovo ceto amministrativo, cit., p. 180.
34
22
Dalle radici a una nuova identità. Vergato tra sviluppo economico e cambiamento sociale (1945-2014)
saggio di Eloisa Betti compreso in questo volume. Guasconi entrò in Consiglio
comunale nel 1951, a ventidue anni, nelle fila del Partito comunista. Era praticamente coetanea del sindaco Rino Nanni, che la volle in Giunta come assessore
alle politiche sociali. La giovane esponente comunista venne rieletta anche nel
1956 (e riconfermata in Giunta), ma la sua elezione venne annullata dal prefetto,
insieme a quella di altri quattro consiglieri della maggioranza di sinistra, con la
motivazione che tutti loro ricoprivano anche cariche amministrative in istituti
di assistenza e beneficenza con sede a Vergato35. Si trattava di un provvedimento sorprende e senza molti precedenti, ma che rientrava in quel clima teso, di
confronto e scontro tra amministrazione comunale e prefettura, di cui si è già
parlato.
Fatto sta che Angiolina Guasconi fu l’unica donna a entrare nel Consiglio comunale di Vergato fino al 1970, quando venne eletta un’altra operaia del Pci,
Lisetta Pedrini, che come la Guasconi entrò anche in Giunta come assessore effettivo36.
A livello nazionale, all’inizio degli anni Settanta, le donne erano il 2,1% del totale degli amministratori locali, l’1,8% degli assessori e l’1,2% dei sindaci37. Solamente nel corso degli anni Settanta si sarebbe verificata una certa ripresa della
presenza diretta delle donne nella vita delle istituzioni politiche, sicuramente da
collegare alla nascita del movimento femminista. Ma ancora nel 1984 su un totale di 148.565 amministratori comunali solo 7.982 erano donne (5,4%). E la loro
presenza diventava meno incisiva via via che si passava dalla carica di semplice
consigliere (5,9%) a quella di assessore (5,4%) e a quella di sindaco (2,4%)38.
A Vergato, per cogliere una significativa sterzata, fu necessario attendere le
elezioni comunali del 1985 e del 1990 in seguito alle quale la presenza delle
donne in Consiglio comunale si attestò intorno al 10-15% (cioè, 2-3 consigliere
su 20 componenti), con una maggiore visibilità anche in Giunta39. Ma solo negli
anni Duemila si è arrivati all’elezione a Vergato del primo sindaco donna, Sandra
Focci, in carica dal 2004 al 2014.
Acv, Delibere consigliari, Anni 1951 e 1956.
35
Acv, Delibere consigliari, Anno 1970. Si veda, anche, Nani (a cura di), Per una storia del ceto politico bolognese, cit., p. 202.
36
37
Gianfranco Bettin, Per una ricerca sulla leadership municipale, in Luciano Cavalli et al., Leadership e democrazia, Padova, Cedam, 1987, pp. 433-461, p. 445.
Ibidem.
38
Con due assessori effettivi donne, Mila Benini e Tiziana Quadri, nella seconda metà degli anni
Ottanta (Acv, Delibere consigliari, Anni 1985 e 1990).
39
Carlo De Maria, Amministrazione e territorio
23
4. Gli anni Sessanta e Settanta, la «programmazione democratica» e il dibattito su comprensori e comunità montana
A partire dai tardi anni Cinquanta, i meccanismi di sviluppo innescatisi con il
«miracolo economico» misero in rilievo antichi e nuovi squilibri, di natura socioeconomica e demografica. Anche in questo passaggio critico, come era accaduto
negli anni dell’immediato dopoguerra, tornò all’ordine del giorno nel dibattito
pubblico locale la riflessione su strumenti di collaborazione intercomunale.
Nel 1957 l’amministrazione di Vergato approvò lo statuto del Consiglio della
Valle del Reno. Si trattava di un nuovo organismo sovracomunale formato, oltre
che da Vergato (dove il Consiglio avrebbe avuto sede), da altri undici comuni
della zona: Sasso Marconi, Marzabotto, Savigno, Grizzana, Castel d’Aiano, Gaggio Montano, Castel di Casio, Camugnano, Porretta Terme, Lizzano in Belvedere
e Granaglione. Lo scopo dell’iniziativa era quello di curare gli interessi generali
della Valle del Reno, con particolare riferimento alla sua valorizzazione economica e turistica. Ne avrebbero fatto parte due consiglieri comunali di ogni comune coinvolto, i consiglieri provinciali della zona, i sindaci dei comuni aderenti, e
poi rappresentanti del mondo economico e sociale di tutta la valle: commercianti, coltivatori diretti, artigiani, delegati sindacali e così via40. L’organo esecutivo
era formato dai dodici sindaci dei comuni interessati: una caratteristica che richiama da vicino le attuali forme di Associazione o Unione intercomunale.
Il tema della sovracomunalità, congiuntamente alle questioni inerenti alla
programmazione e alla riforma delle autonomie, rimase sulla ribalta anche nei
due decenni successivi, emergendo in tutti i principali discorsi tenuti dai sindaci
di quel periodo. Il riferimento è soprattutto a Remo Zanna, in carica dal 1958 al
1966, e a Franco Nanni, primo cittadino di Vergato dal 1966 fino ai primi anni Settanta. Entrambi comunisti, come i loro predecessori Alfonso Buriani e Rino Nanni.
Nell’esposizione del programma politico-amministrativo per il mandato
1964-70, Zanna iniziava puntando il dito sul «continuo spopolamento di centinaia di operai», che abbandonavano Vergato spostandosi verso la pianura e migliori possibilità di impiego. Quella massiccia emigrazione di lavoratori manuali
avrebbe potuto mettere a rischio l’egemonia stessa della sinistra, ma nonostante
tutto le recenti elezioni comunali avevano portato a una crescita delle «forze socialiste», Pci e Psi, che continuavano a rappresentare una solida maggioranza in
Consiglio. Sarebbe stato però un errore non cogliere la portata delle trasformazioni in atto, per affrontare le quali occorrevano, secondo le parole del sindaco,
Delibera del Consiglio comunale di Vergato, 31 luglio 1957, in Acv, Delibere consigliari, Anno
1957.
40
24
Dalle radici a una nuova identità. Vergato tra sviluppo economico e cambiamento sociale (1945-2014)
degli «strumenti nuovi». Zanna proseguiva introducendo il tema dell’auspicata
riforma regionale, al quale si legavano a loro volta i temi della «programmazione democratica» e di un nuovo livello intermedio di governo, rappresentato dai
comprensori:
La necessità e l’esigenza di porre un freno al processo di degradazione economica
e di disgregazione sociale in atto nel territorio della collina e montagna bolognese
e quindi di superare gli squilibri settoriali e territoriali hanno posto l’esigenza, per i
comuni interessati di unire i loro sforzi per porre e risolvere, in una visione unitaria, i
problemi attuali e di prospettiva delle collettività montane. L’amministrazione comunale di Vergato ha già deliberato l’adesione al piano di comprensorio dei venti Comuni
di montagna e di collina. Col piano di comprensorio ci proponiamo di realizzare una
programmazione democratica che colga ed esprima gli interessi degli operai, dei contadini e dei ceti medi urbani41.
Se è vero che la programmazione, tra anni Sessanta e Settanta, era un tema
caldo anche nel dibattito pubblico nazionale, tuttavia in Emilia-Romagna essa
mostrava una caratteristica curvatura all’insegna dell’autonomia e della partecipazione, espressa nella formula «programmazione democratica», con la quale
si voleva marcare una netta distanza rispetto alle tendenze burocratiche e centralizzatrici dell’apparato statale42. Intorno alla fiducia e all’investimento nella
programmazione, le amministrazioni locali costruirono quel nesso tra sviluppo
economico e sviluppo della vita democratica che caratterizzò in modo duraturo
l’immagine del cosiddetto “modello emiliano”43.
Mentre a Vergato, come altrove, si approfondiva la riflessione sugli strumenti necessari per articolare la programmazione sul territorio (comprensori e comunità montane), il Consiglio comunale decise di arricchire la rete già esistente
di collaborazioni intercomunali, deliberando l’adesione a un nuovo consorzio
che si sarebbe occupato di igiene e profilassi. Come già nei casi precedenti, esso
fissò la propria sede a Vergato, a conferma della storica centralità di questo
Comune nel contesto della montagna bolognese; ne facevano parte anche i comuni di Grizzana, Castel d’Aiano, Marzabotto, oltre all’amministrazione provinciale di Bologna. Lo scopo era quello di istituire un servizio di vigilanza igienica
Seduta del Consiglio comunale di Vergato, 11 febbraio 1965, esposizione del programma dei
gruppi di maggioranza, in Acv, Delibere consigliari, Anno 1965.
41
42
Partito comunista italiano, Comitato regionale Emilia-Romagna, Linee per una politica di programmazione dello sviluppo economico e sociale in Emilia-Romagna (1967), in Pier Paolo D’Attorre
(a cura di), I comunisti in Emilia-Romagna. Documenti e materiali, Bologna, Istituto Gramsci, 1981,
pp. 169-182.
Per una recente messa a punto su questi temi, De Maria (a cura di), Bologna futuro. Il “modello
emiliano” alla sfida del XXI secolo, cit.
43
Carlo De Maria, Amministrazione e territorio
25
nell’ambito della circoscrizione consorziale a garanzia della salute pubblica:
controlli sugli alimenti, sulla salubrità delle case e dei luoghi di lavoro, e altri
interventi simili44.
Le linee politico-amministrative della giunta Zanna vennero sostanzialmente
riprese dal suo successore, Franco Nanni, che subentrò “in corsa” al collega di
partito nel novembre 196645. Nei suoi primi interventi, il sindaco Nanni insistette
ulteriormente sull’importanza dell’istituzione delle regioni a statuto ordinario,
una trasformazione nell’architettura dello Stato (da Stato centralizzato a «Stato
regionale» o «Stato delle autonomie») che si riteneva indispensabile per arrivare
finalmente alla riforma della finanza locale e della legge comunale e provinciale: due capitoli nei quali l’ordinamento italiano era sostanzialmente fermo alle
norme fissate negli anni Trenta.
Proprio nell’ambito di una riflessione sulla vita degli enti locali, Nanni approfondiva il tema della comunità montana, che egli legava senza indugio alla «rinascita della montagna», affermando: «Questo organismo deve realizzarsi al più
presto, in quanto [esiste] l’esigenza di favorire una sempre migliore conoscenza
e collaborazione tra gli enti locali e le popolazioni della montagna bolognese
che hanno problemi ed esigenze comuni»46.
Parlando di comprensori e di comunità montane, Zanna e Nanni affrontavano evidentemente lo stesso tema: il coordinamento delle politiche locali per
aree territoriali integrate e omogenee. Nel ceto politico, sia a livello locale che
nazionale, si andava diffondendo sempre più la convinzione che il disegno amministrativo delle province, troppo ampio, mancasse di omogeneità dal punto di
vista economico e sociale, e non consentisse per questo una efficace programmazione sul territorio. Bisognava dunque pensare, da una parte, a nuovi livelli
intermedi di governo (intermedi perché posti tra la dimensione comunale e la
dimensione regionale) e dall’altra a un profondo ripensamento, o addirittura
all’abolizione, delle province (la soppressione delle quali sembrò imminente a
metà degli anni Settanta). Se è vero che l’esperienza dei comprensori e delle
comunità montane non riuscì a decollare, è altrettanto evidente che l’impegno
profuso in quel periodo nello sperimentare nuove strade e nuove possibilità per
Delibera del Consiglio comunale di Vergato, 31 maggio 1966, in Acv, Delibere consigliari, Anno
1966. Il consorzio era retto da una assemblea, un consiglio direttivo e da un presidente. L’assemblea consorziale era costituita dai sindaci dei comuni consorziati e da altri nove rappresentanti dei
comuni coinvolti (3 per Vergato e 2 a testa per i restanti comuni), nominati dai consigli comunali.
A questi si aggiungevano due rappresentati dell’amministrazione provinciale. Il consiglio direttivo
era formato dal presidente e da 4 membri nominati dall’assemblea consorziale. La carica di presidente del consorzio sarebbe stata attribuita d’ufficio al sindaco di Vergato.
44
A causa delle dimissioni per «motivi personali» di Zanna.
45
Seduta del Consiglio comunale di Vergato, 21 novembre 1966, discorso programmatico del neosindaco Franco Nanni, in Acv, Delibere consigliari, Anno 1966.
46
26
Dalle radici a una nuova identità. Vergato tra sviluppo economico e cambiamento sociale (1945-2014)
il governo locale sarebbe invece da recuperare, proprio oggi, quando il tema
del destino delle province sembra essere liquidato dalla politica con grande superficialità, e senza che all’ostentata abolizione di questo ente corrisponda una
riflessione attenta (e necessaria) sul livello intermedio di governo47.
Tra anni Sessanta e Settanta emerse con forza un’altra questione di grande
rilievo, la programmazione urbanistica, che si legava a doppio filo ai problemi
più complessivi del riassetto del territorio. Rimanendo al contesto locale, a Vergato ci si impegnò ad accelerare l’approvazione del piano regolatore comunale,
creando attraverso di esso le condizioni per impedire speculazioni sulle aree
fabbricabili. La politica urbanistica era, infatti, ritenuta il presupposto per una
politica della casa, da sviluppare attraverso gli strumenti dell’edilizia economica
e popolare48.
La riforma regionale del 1970, proprio per la nuova centralità che riuscì a dare
alle questioni legate alla vita dei territori (i vivaci dibattiti apertisi fin dagli anni
Sessanta sull’ordinamento delle autonomie, sulla finanza locale, l’urbanistica, la
programmazione decentrata), rimane per molti versi – e al netto delle molteplici
resistenze che incontrò la sua piena attuazione – una cesura fondamentale nella
storia dell’Italia repubblicana. La sua importanza venne colta alla perfezione nel
discorso programmatico tenuto, nel 1970, dal sindaco Nanni, riconfermato dopo
le elezioni comunali del 7 giugno:
L’istituzione dell’ente regione apre una nuova strada, che deve essere percorsa senza
indugio, per la liberazione dei comuni e delle province dalle intollerabili tutele prefettizie, per consentire una loro rinnovata capacità di intervento nella determinazione
delle scelte che interessano le comunità locali49.
Ma la parte centrale dell’intervento del sindaco si svolse, più in particolare, sul
tema del decentramento e della partecipazione, come chiavi per una «nuova
democrazia»:
Cfr. Carlo De Maria, La questione regionale tra anni Settanta e Ottanta dalla prospettiva dell’Emilia Romagna. Lineamenti di un dibattito comparato, in Mirco Carrattieri, Carlo De Maria (a cura di),
La crisi dei partiti in Emilia Romagna negli anni ’70-’80, dossier monografico di “E-Review. Rivista
degli Istituti storici dell’Emilia Romagna in rete”, 2013, n. 1, www.e-review.it.
47
48
Il piano regolatore generale di Vergato era stato affidato, con delibera consigliare del 28 luglio
1965, all’architetto Alessandro Tutino. Contestualmente, il 31 maggio 1966, il Comune deliberava
di provvedere alla formazione di un piano delle zone da destinare alla costruzione di alloggi a
carattere economico e popolare, nonché delle opere e servizi complementari, urbani e sociali, ivi
comprese le aree a verde pubblico. Il piano regolatore venne adottato con delibera del 20 aprile
1970 (Acv, Delibere consigliari, Anni 1965-1966 e 1970).
Seduta del Consiglio comunale di Vergato, 4 settembre 1970, in Acv, Delibere consigliari, Anno
1970.
49
Carlo De Maria, Amministrazione e territorio
27
Le tendenze dominanti del capitalismo moderno mirano a sottrarre ogni potere reale
agli istituti elettivi locali e nazionali, soffocando le autonomie, accentrando i momenti decisionali, creando enti sottratti ad ogni forma di effettivo controllo democratico.
Queste tendenze sono all’origine del crescente e pericoloso distacco fra le istituzioni elettive e il cittadino, che in esse si riconosce e fatica, sentendosene escluso soprattutto quando si tratta di prendere decisioni e di operare scelte determinanti. [...].
Decentramento e partecipazione debbono essere, perciò, momenti irrinunciabili del
processo di costruzione di una democrazia reale, attraverso cui i cittadini siano posti in
condizione di esercitare il loro potere non esclusivamente col voto, ma nello svolgersi
quotidiano della vita della collettività, giungendo alle gestione quanto più diretta e
meno delegata possibile dell’ente locale. Il Comune continuerà perciò a muoversi con
coerenza e fermezza in due direzioni: da un lato, attraverso i Consigli di frazione, i
quali dovranno essere costituiti subito, nella ricerca del contatto con i problemi reali e
con la volontà effettiva dei cittadini; dall’altro lato nell’ambito del comprensorio, nella
individuazione cioè di una dimensione che, superando le angustie municipali e senza
sfuggire al controllo diretto dei cittadini, permetta di risolvere al giusto livelli i problemi relativi all’assetto del territorio, allo sviluppo economico e civile, alla realizzazione
di essenziali servizi sociali50.
Il dibattito sul decentramento aveva portato nella prima metà degli anni Sessanta alla nascita, a Bologna, dei quartieri, che più tardi sarebbero diventati un
pezzo del sistema istituzionale nazionale. Intorno alle strutture assembleari di
zona – che ebbero in quegli anni una importanza notevole nell’articolazione delle politiche socio-sanitarie e scolastiche comunali – avvennero suggestive riflessioni, ricche di sensibilità verso le istanze della democrazia diretta e ancorate
all’idea del comune come cellula base della vita democratica del paese51. Erano
queste le idee che Nanni sviluppava nel suo discorso, riferendosi a una sempre
maggiore articolazione democratica delle istituzioni, sia a livello intracomunale
(i consigli di frazione a Cereglio, Riola e Tolè), sia a livello sovracomunale, con
i comprensori e le altre forme di coordinamento intercomunale intraprese dal
Comune di Vergato.
Ibidem.
50
Una delle voci più autorevoli fu quella del sindaco di Bologna Renato Zangheri, che negli anni
Settanta intervenne più volte sul tema del decentramento comunale. Si veda, ad esempio, il suo
Decentramento e partecipazione democratica (1975), in D’Attorre (a cura di), I comunisti in EmiliaRomagna. Documenti e materiali, cit., pp. 279-285.
51
28
Dalle radici a una nuova identità. Vergato tra sviluppo economico e cambiamento sociale (1945-2014)
5. Conclusione: la fine della “Prima Repubblica” e la riforma degli
enti locali del 1990
La crisi politico-ideologica e le trasformazioni interne che, negli anni Ottanta,
scossero i due grandi partiti di sinistra (comunista e socialista) ebbero pesanti
ricadute anche a livello locale. Dopo quarant’anni di alleanza e collaborazione
nel governo municipale, Pci e Psi si presentarono nel settembre 1985, all’insediamento del Consiglio comunale di Vergato, senza un accordo politico52. Davanti a
una assemblea spaccata a metà, i due candidati sindaco, Rino Nanni per il Pci e
Antonio Comani per il Psi, sostenuto anche dalla Dc, totalizzarono entrambi 10
voti. Preso atto della situazione di ingovernabilità, i consiglieri socialisti e democristiani (rispettivamente in numero di 6 e 4) decisero di dimettersi, provocando
di fatto il commissariamento del Comune.
Dopo alcuni mesi di gestione commissariale, in dicembre, in seguito a nuove
elezioni comunali si pervenne alla nomina a sindaco di Rino Nanni, sempre con
soli 10 voti a favore, ma questa volta con l’astensione del Psi (6 schede bianche)
e 4 voti contrari della Democrazia cristiana, che provò a sostenere un proprio
candidato, Renato Scuda53.
Dopo lunghi mesi di travaglio, si formò dunque un monocolore comunista
privo di maggioranza numerica, la cui difficoltosa esperienza sarebbe stata sanzionata nelle elezioni comunali successive, quelle del 1990, in occasione delle
quali si saldò una alleanza Dc-Psi che portò all’elezione a sindaco di Vergato
dell’esponente democratico-cristiano Scuda, protagonista della vita del Consiglio comunale fin dagli anni Sessanta54.
Ma erano le ultime schermaglie di un sistema politico che sarebbe crollato
negli anni immediatamente successivi, decretando la fine della cosiddetta “Prima Repubblica” e dei suoi principali attori: i tre grandi partiti di massa dell’arco
costituzionale. Né la Dc, né il Pci, né il Psi esistevano più nelle elezioni comunali
del 1995.
Sia sul piano strettamente politico-partitico, che su quello più propriamente
tecnico-amministrativo, iniziava una nuova stagione. La legge 142 del giugno
1990, sull’ordinamento delle autonomie, ridefinì insieme alle legge 241 dello
stesso anno il ruolo e le funzioni degli enti locali. Nell’ambito dello scenario
aperto dalla 142, prese corpo nell’area provinciale bolognese il confronto sulla
Lo rilevava in maniera accorata lo storico leader comunista di Vergato Rino Nanni, intervenendo
in Consiglio comunale nella seduta del 6 settembre 1985 (Acv, Delibere consigliari, Anno 1985).
52
Acv, Delibere consigliari, Anno 1985.
53
Acv, Delibere consigliari, Anno 1990.
54
Carlo De Maria, Amministrazione e territorio
29
istituzione della «città metropolitana», nuovo livello amministrativo introdotto
proprio dal testo di legge del 1990, e che attende ancora oggi una sua più precisa
definizione.
Il superamento delle province e le modalità di realizzazione della città metropolitana continueranno a interrogarci sulla migliore organizzazione dello
spazio sovracomunale anche nei prossimi anni.
Dalle radici a una nuova identità.
Vergato tra sviluppo economico e cambiamento sociale (1945-2014)
a cura di Eloisa Betti e Carlo De Maria
Bologna (BraDypUS) 2014
ISBN 978-88-98392-07-0
pp. 31-65
Agricoltura e manifattura
Tito Menzani
1. I numeri di Vergato: l’economia in una prospettiva storicoquantitativa
In un contesto attuale di perdurante crisi economica e di gravi difficoltà del «sistema Italia», Vergato appare una comunità sostanzialmente ricca se paragonata al resto del quadro nazionale. Viceversa, cinquant’anni fa, quando l’Italia era
contraddistinta da una crescita senza precedenti denominata «miracolo economico», Vergato era un comprensorio depresso e colpito da un endemico spopolamento.
In questo contributo si vuole ripercorrere l’andamento dell’economia vergatese dal secondo dopoguerra a oggi, per descrivere e soprattutto per spiegare le
ragioni di un simile sviluppo, che ha portato a una crescita produttiva ma anche
a trasformazioni controverse. Si tratta di comprendere come il grande processo
di modernizzazione sociale ed economica – che per semplicità chiamiamo età
del benessere o, con una sfumatura un poco negativa, civiltà dei consumi – abbia investito la comunità di Vergato e le sue frazioni – Riola e Tolè in primis – e
abbia finito con l’innescare una serie di cambiamenti che ne hanno a più riprese
rimodulato l’identità. Occorre indagare i tempi e i modi di questi tragitti, e come
l’industrializzazione e la terziarizzazione dell’economia abbiano modificato il
territorio.
Su vari aspetti importanti del passato agricolo e manifatturiero di Vergato la
storiografia ha già prodotto risultati di rilievo, a partire dalla civiltà protoindustriale o comunque antecedente al miracolo economico, così come sono state
ben documentate le distruzioni portate dal secondo conflitto mondiale. Inoltre
32
Dalle radici a una nuova identità. Vergato tra sviluppo economico e cambiamento sociale (1945-2014)
sono stati approfonditi alcuni tasselli di storia del secondo Novecento, che però,
da soli, sono insufficienti a comporre un mosaico che rappresenti lo sviluppo
economico di Vergato negli ultimi settant’anni.
Con questa indagine, ci si è prefisso l’obiettivo di colmare un vuoto storiografico, a partire dalla letteratura esistente, ma soprattutto sfruttando nuove fonti
statistiche, archivistiche e a stampa. In particolare, si sono utilizzati i censimenti
Istat della popolazione e delle attività produttive che hanno mappato questo
territorio con cadenza decennale, unitamente a rilevazioni minori realizzate
una tantum e a fronte di bisogni euristici specifici. Inoltre, sono stati scandagliati
l’Archivio storico del Comune di Vergato, ma soprattutto l’Archivio Camera di
commercio di Bologna, che contiene i materiali relativi alle principali imprese di
questo territorio. A supporto di tutto ciò, si sono anche impiegate pubblicazioni
tratte da periodici e riviste locali contenenti informazioni di vario interesse per
la ricerca, nonché la memorialistica e le testimonianze riferite a questi luoghi.
Il materiale di prima mano utilizzato per la presente ricerca è considerevole – se ne avrà un riscontro nelle prossime pagine – e ha consentito di portare
a un livello di analisi storica che ha disvelato trend e trasformazioni finora in
ombra. I prossimi paragrafi danno conto di tutto ciò a partire da un percorso
abbastanza consolidato nella storia economica locale: si inizia con una disamina quantitativa, si prosegue con una indagine qualitativa sui comparti agricolo
e manifatturiero, e si conclude con un approfondimento sui principali percorsi
imprenditoriali.
I dati dei censimenti Istat della popolazione e delle attività produttive ci consentono di ricostruire alcune delle principali trasformazioni economiche che
hanno interessato questo territorio. Purtroppo, il censimento realizzato nel 2011
è ancora in fase di elaborazione, per cui abbiamo solo alcune cifre relative ai
residenti e nessun dato riferito alle imprese e ai servizi. La tabella 1 ci dà informazioni sull’evoluzione della popolazione residente e attiva, sulla compente di
genere e sulla suddivisione per macrosettori.
Nel 1951, a Vergato risiedevano 6.627 persone, scese a 5.519 vent’anni dopo
– in concomitanza con il picco di spopolamento che interessò questo Comune
– e poi progressivamente aumentate fino alle 7.642 unità del 2011. Negli ultimi
quarant’anni di questa rilevazione, si e avuto un incremento della popolazione
di poco meno del 50%, con aumenti del 14% circa in ognuna delle ultime due
decadi.
I dati della popolazione attiva mostrano un trend abbastanza analogo. Nel
1951 le donne e gli uomini occupati o in cerca di occupazione del Comune di
Vergato erano 2.734. Anche in questo caso, dopo una flessione nella rilevazione del 1971, si ebbe un aumento progressivo fino alle 2.949 unità del 2001. Nel
caso della popolazione attiva, la crescita degli ultimi decenni mostra un picco
negli anni Settanta, con una variazione percentuale decennale del 15,1%, do-
Tito Menzani, Agricoltura e manifattura
33
vuta alla concomitanza dell’aumento di residenti nel paese e dell’accesso nel
mondo del lavoro di un consistente numero di donne. Infatti, le percentuali della
componente femminile sulla popolazione attiva mostrano un forte divario tra la
rilevazione del 1971, quando erano 26,2%, e quella del 1981, con il dato salito al
35,5%. In questa fase, quindi, anche a Vergato si aprirono consistenti opportunità
occupazionali per donne e ragazze, sempre più raramente confinate nel ruolo di
madri e casalinghe.
L’analisi per macrosettori, invece, ci consente di capire come si sono modificati i rapporti di forza tra agricoltura, manifattura e servizi. Nel 1951, Vergato
si prefigurava come un Comune in cui l’agricoltura aveva ancora un certo peso,
dato che il comparto primario assorbiva il 38,6% della forza lavoro. Questa percentuale tese progressivamente a ridursi in tutte le rilevazioni successive, fino
a diventare quasi trascurabile nel 2001, quando si attestò sul 2,4%. A fronte del
tracollo dell’agricoltura – che potrà forse essere un poco ridimensionato dai dati
del censimento 2011, dato che la recente crisi economica ha indotto vari giovani
ad intraprendere professionalità legate alla terra1 –, il settore industriale prima
e quello dei servizi poi hanno mostrato una crescente vitalità.
Nel 1951, i cittadini di Vergato occupati nel comparto manifatturiero erano il
39,3%, e dieci anni dopo già il 49,3%; dalla rilevazione del 1971 in poi si ebbe un
lieve ma costante decremento, che ha fatto attestare il valore del 2001 al 43,8%.
La crescita del terziario, invece si è concentrata nei decenni a noi più vicini. Basti
pensare che nel 1951, gli occupati di questo macrocomparto erano il 22,1% e nel
1971 il 38,6%, e cioè dieci punti percentuali in meno rispetto al settore industriale. Tuttavia, gli anni Settanta rappresentarono una svolta, con la percentuale
salita al 49,0% nel 1981 e al 53,8% nel 2001.
Nel complesso, questi primi dati ci dicono che Vergato ha vissuto con un certo
ritardo il miracolo economico, e che l’ha poi metabolizzato con ritmi e modalità
di crescita analoghe al resto del Nordest italiano. Su base provinciale, alle iniziali difficoltà di sviluppo – dovute innanzi tutto al calo demografico – è poi seguita una fase di recupero culminata in una ulteriore crescita. Nel 1951, Vergato
esprimeva lo 0,8% della popolazione attiva della Provincia di Bologna; nel 1961,
il dato era sceso allo 0,6%, per risalire allo 0,7% nel 2001.
1
Fabrizio De Filippis, Donato Romano (a cura di), Crisi economica e agricoltura, Roma, Tellus, 2010.
34
Dalle radici a una nuova identità. Vergato tra sviluppo economico e cambiamento sociale (1945-2014)
Tab. 1. Evoluzione della popolazione a Vergato per macrosettori (1951-2011)
1951
1961
1971
1981
1991
2001
2011
Popolazione residente
6.627
5.716
5.519
5.776
5.872
6.730
7.642
Popolazione attiva (MF)
2.734
2.383
2.113
2.433
2.535
2.949
n.d.
in agricoltura e sett. prim.
1.054
573
276
166
79
72
n.d.
nella manifattura
1.077
1.174
1.022
1.076
1.133
1.291
n.d.
nel terziario
603
636
815
1.191
1.323
1.586
n.d.
in agric. e sett. prim. (%)
38,6
24,0
13,1
6,8
3,1
2,4
n.d.
nella manifattura (%)
39,3
49,3
48,3
44,2
44,7
43,8
n.d.
nel terziario (%)
22,1
26,7
38,6
49,0
52,2
53,8
n.d.
Popolazione attiva (F %)
18,7
18,7
26,2
35,5
40,5
n.d.
n.d.
Popolazione attiva (% prov.)
0,8
0,6
0,6
0,6
0,6
0,7
n.d.
Var. pop. residente
/
-911
-197
+257
+96
+858
+912
Var. pop. residente (%)
/
-13,7
-3,4
4,7
1,7
14,6
13,6
Var. pop. attiva
/
-351
-270
+320
+102
+414
n.d.
Var. pop. attiva (%)
/
-12,8
-11,3
15,1
4,2
16,3
n.d.
Fonte: Rielaborazioni nostre dai Censimenti Istat della popolazione (1951-2011).
Fatta questa disamina preliminare a partire dai censimenti Istat della popolazione, vediamo di analizzare quelli relativi alle attività industriali e terziarie.
In particolare, nelle tabelle 2 e 3, considereremo il dato delle unità locali nel
Comune di Vergato e dei relativi addetti. Si deve precisare che la discrasia tra
queste cifre e quelle della tabella precedente è dovuta a due elementi. Innanzitutto i censimenti dell’industria e dei servizi non considerano il settore agricolo
propriamente detto, ma solo quello agroalimentare. Secondariamente prendono in esame gli occupati nelle attività produttive del Comune di Vergato a
prescindere dalla residenza di chi ci lavora. Quindi, mentre un cittadino di Tolè
che lavora a Marzabotto è censito solo nei dati della tabella 1, un abitante di
Castel di Casio occupato in uno stabilimento di Riola compare solamente nelle
tabelle 2 e 3.
Il dato complessivo delle unità locali a Vergato passa dalle 271 del 1951
alle 565 del 2001, mentre nello stesso arco di tempo gli addetti salgono da
792 ad 1.908. Sono numeri che danno conto di una crescita importante, che ha
coinvolto praticamente tutti i settori, pur se con una netta prevalenza di quello manifatturiero, seguito dalle attività commerciali e dei servizi all’impresa e
alla persona. Nel 1951, a Vergato si contavano 110 unità produttive industriali,
che davano lavoro a 407 persone. In pratica, vi erano alcune grandi realtà,
affiancate da una pletora di piccole imprese o di imprese individuali: erano
Tito Menzani, Agricoltura e manifattura
35
officine e falegnamerie situate in botteghe anguste o casolari di campagna,
magari con aiutanti “in nero” o limitati a certe fasi dell’anno, che sfuggivano
alle statistiche ufficiali. Nelle rilevazioni successive, alla diminuzione delle
unità locali si accompagna una crescita degli addetti, fino al 2001, in cui 65
attività manifatturiere occupavano 705 persone: oltre alle tante piccole imprese tipiche del contesto industriale emiliano, vi erano realtà ben più strutturate – ad iniziare dal comparto metalmeccanico, abbastanza importante
anche in quest’area – con varie decine di addetti, molti dei quali qualificati.
Tutto il terziario faceva registrate una crescita importante tra il 1951 e il 2001;
in particolare il segmento del commercio passava da 103 a 147 unità locali e
da 190 a 342 addetti.
Tab. 2 - Unità locali a Vergato per macrosettori (1951-2011)
1951
1961
1971
1981
1991
2001
Agroalimentare
n.d.
12
4
12
n.d.
6
Industrie
110
84
75
59
n.d.
65
21
27
36
20
n.d.
n.d.
Energia e utilities
1
1
2
3
n.d.
1
Costruzioni
6
12
48
78
n.d.
123
di cui metalmeccaniche
Commercio e riparazioni
103
153
137
204
n.d.
147
Alberghi, esercizi pubblici
23
22
31
41
n.d.
48
Trasporti, comunicazioni
19
26
33
70
n.d.
34
Credito, assicurazioni
4
5
5
4
n.d.
22
Altri servizi
5
27
30
20
n.d.
119
TOTALE
271
342
365
491
526
565
Fonte: Rielaborazioni nostre dai Censimenti Istat dell’industria e dei servizi (1951-2001).
36
Dalle radici a una nuova identità. Vergato tra sviluppo economico e cambiamento sociale (1945-2014)
Tab. 3 - Addetti alle unità locali a Vergato per macrosettori (1951-2011)
1951
1961
1971
1981
1991
2001
Agroalimentare
n.d.
37
18
22
n.d.
8
Industrie
407
421
507
598
n.d.
705
177
268
269
228
n.d.
n.d.
Energia e utilities
1
2
7
12
n.d.
51
Costruzioni
25
85
150
187
n.d.
324
di cui metalmeccaniche
Commercio e riparazioni
190
276
238
379
n.d.
342
Alberghi, esercizi pubblici
50
62
71
90
n.d.
123
Trasporti, comunicazioni
94
60
70
96
n.d.
79
Credito, assicurazioni
12
16
18
27
n.d.
70
Altri servizi
13
41
39
28
n.d.
206
TOTALE
792
1.000
1.118
1.439
1.955
1.908
Fonte: Rielaborazioni nostre dai Censimenti Istat dell’industria e dei servizi (1951-2001).
In buona sostanza, quindi, nell’arco di tempo considerato dalle precedenti tre
tabelle, Vergato si segnalò per essere un importante centro economico dell’Appennino bolognese, forte di un tessuto manifatturiero robusto e capace di connotare questo territorio dal punto di vista identitario. Buona parte delle pulsioni
che sottesero a tutte queste trasformazioni economiche avevano origine dalla
società civile, sia sotto forma di vocazioni al business che di nuove culture del
lavoro. Tuttavia, anche le istituzioni politiche locali svolsero un ruolo importante nel sostenere, coordinare e gestire in maniera ordinata uno sviluppo che
doveva alimentarsi di infrastrutture, di investimenti culturali e di forme di protezione sociale.
La storiografia – a partire dai contributi di impianto locale – si è frequentemente confrontata con questi temi, e ha sovente messo in luce le concordanze
tra l’azione amministrativa, in particolar modo del Comune, e lo sviluppo economico del territorio, in un arco di tempo sfumato che abbraccia in senso lato
tutto il miracolo economico e buona parte del periodo successivo, ossia gli anni
che appaiono cruciali nel percorso di crescita e di modernizzazione della società
civile italiana.
L’assunto fondamentale di questa proposta metodologica è che i poteri pubblici locali e l’attività imprenditoriale non procedano su due binari distinti, ma
concorrano in maniera differente, e per certi versi complementare, allo sviluppo
economico di un determinato comprensorio. Al di fuori di ogni prospettiva neoliberista, si ritiene che le istituzioni abbiano avuto – e continuino ad avere – un
ruolo decisivo nell’avviare e implementare la crescita su base locale, soprattut-
Tito Menzani, Agricoltura e manifattura
37
to quando questa si alimenta di fattori endogeni. In questo paradigma, dunque,
lo sviluppo non appare un processo spontaneo, riconducibile esclusivamente
all’azione imprenditoriale e quindi al self-help, ma si nutre di sostegni ed apporti
istituzionali, a integrazione delle vocazioni e degli sforzi che al contrario provengono dalla società civile2.
Questi aiuti non sono esclusivamente di carattere pubblico, giacché le istituzioni intermedie – ossia quegli organismi locali che influiscono sullo sviluppo – sono in buona parte di natura privata, dalle associazioni di categoria alle
onlus, dai sindacati alle organizzazioni religiose, oppure di composizione mista,
come le camere di commercio. Gli enti pubblici non sono comunque trascurabili,
in particolare il Comune, che nella storia d’Italia – pur fra alterne vicende – ha
sempre interpretato un ruolo di primo piano nella gestione degli affari locali, e
risulta più della Provincia o della Regione coinvolto nelle fortune o nelle disgrazie delle comunità3.
Anche a Vergato, il Comune e le istituzioni intermedie si sono rivelati uno
dei protagonisti del processo di crescita e di modernizzazione e hanno fornito
un concreto sostegno all’azione imprenditoriale. Per il loro carattere quasi omnicomprensivo, che determina una sorprendente ampiezza di intervento, l’amministrazione locale e gli altri stakeholders citati possono sostenere o ritardare
certi processi economici, e quindi agire come freno o incentivo a determinate
trasformazioni. In particolare, con l’attuazione del programma fiscale, l’adozione di un nuovo piano urbanistico, le scelte in fatto di municipalizzazione, l’avvio
di particolari politiche sociali o culturali, la realizzazione di alcune infrastrutture
piuttosto che di altre, questi enti possono spostare delle risorse e, quindi, orientare e indirizzare i mutamenti che si riscontrano nella società civile. Una buona
amministrazione comunale e le istituzioni intermedie di un territorio hanno il
potere di promuovere e governare lo sviluppo di una comunità, di sostenere i
settori trainanti e di rilanciare quelli in difficoltà, di favorire determinate culture
imprenditoriali, e di contenere i costi sociali e le fratture irrimediabilmente originate dai processi di industrializzazione accelerata.
Il caso di Vergato del secondo Novecento ci offre l’opportunità di verificare
come questi nessi fra sfera pubblica e privata si siano declinati all’interno di un
contesto cittadino in piena trasformazione, sull’onda del passaggio dallo sta-
Alessandro Arrighetti, Gilberto Seravalli (a cura di), Istituzioni intermedie e sviluppo locale, Roma,
Donzelli, 1999; Franco Amatori, Andrea Colli (a cura di), Comunità di imprese. Sistemi locali in Italia
tra Ottocento e Novecento, Bologna, Il Mulino, 2001.
2
Patrizia Dogliani, Oscar Gaspari (a cura di), L’Europa dei comuni: origini e sviluppo del movimento
comunale europeo dalla fine dell’Ottocento al secondo dopoguerra, Roma, Donzelli, 2003; Oscar
Gaspari, Cento anni di storia dell’Associazione nazionale dei comuni italiani, 1901-2001, Pomezia,
Str, 2001.
3
38
Dalle radici a una nuova identità. Vergato tra sviluppo economico e cambiamento sociale (1945-2014)
to di necessità postbellico al più recente grado di benessere. Nello specifico,
l’amministrazione comunale si è rapportata a questo contesto, per tentare di
promuovere certi fattori virtuosi e, al contrario, di limitarne altri sostanzialmente
distorsivi. Ne esce un quadro abbastanza articolato, in cui il fulcro del rapporto
fra vocazione imprenditoriale e azione pubblica locale si correda di numerosi
altri attori, quali sono, appunto, le istituzioni intermedie4. A tal proposito, prima
di proseguire, è opportuno approfondire questa analisi economica per macrosettori con alcune informazioni qualitative che la storiografia ha contribuito a
mettere in evidenza.
2. L’evoluzione dell’agricoltura
Con la sua collocazione mediana all’interno della valle del Reno, Vergato ha
storicamente avuto un’agricoltura e una struttura sociale delle campagne tipicamente appenninica. Nella seconda metà degli anni Quaranta, i sistemi di produzione e gli stili di vita che contraddistinguevano questo comprensorio erano
ancora molto tradizionali, e per certi versi simili a quelli di cinquanta o cento
anni prima. Il boom economico degli anni Cinquanta e Sessanta avrebbe completamente trasformato questo mondo, per cui le campagne vergatesi degli ultimi decenni del Novecento appaiono in buona parte differenti da quelle del
secondo dopoguerra.
Il cambiamento fu comune a tutti i paesi ad economia matura ed è stato anche definito «grande trasformazione». Nel nostro caso specifico è possibile individuare tre direttrici principali che raccontano e testimoniano questa rapida
evoluzione: la prima riguarda le strutture sociali rurali e dunque la tipologia fondiaria, la seconda il tipo di produzione agricola e le tecniche di coltivazione, il
terzo il contesto collaterale di ambito zootecnico e agroalimentare.
Occupiamoci innanzi tutto del tessuto rurale delle campagne vergatesi, composto prevalentemente da contadini, in buona parte piccoli proprietari, ma anche mezzadri e affittuari. In questa porzione di territorio – ma più in generale in
buona parte della fascia appenninica – erano quasi assenti i grandi protagonisti
4
Pier Paolo D’Attorre, Vera Zamagni (a cura di), Distretti, imprese, classe operaia. L’industrializzazione dell’Emilia-Romagna, Milano, Feltrinelli, 1992; Francesco Cossentino, Frank Pyke, Werner
Sengenberger (a cura di), Local and regional response to global pressure: the case of Italy and its
industrial district, Ginevra, International institute for labor studies, 1996; Marco Moroni, Alle origini
dello sviluppo locale: le radici storiche della Terza Italia, Bologna, Il Mulino, 2008.
Tito Menzani, Agricoltura e manifattura
39
delle campagne della pianura emiliana, e cioè i braccianti. C’erano alcuni lavoratori salariali anche nelle aziende agricole vergatesi, così come alcune grandi proprietà che di conseguenza impiegavano manodopera avventizia, ma per il resto
si registrava una netta prevalenza di famiglie contadine, molto spesso numerose
e «allargate», che comprendevano cioè anche nonni, fratelli, zii e altri parenti.
Questa dinamica garantiva una certa stabilità sociale, per cui le campagne
vergatesi a cavallo tra anni Quaranta e Cinquanta furono meno interessate da
agitazioni e scioperi come quelli di Molinella o di Budrio, dove il bracciantato
mostrava segni di impazienza. Lo racconta molto bene Dante Palmieri, che nel
1949 fu inviato a Vergato a dirigere l’Associazione coltivatori diretti della Vallata
del Reno. Si trattava di una organizzazione di rappresentanza degli agricoltori
legata al Partito comunista, e come tale concorrente della Confederazione dei
contadini, meglio nota come la Bonomiana, dal nome del suo storico fondatore
e leader Paolo Bonomi5:
I coltivatori diretti in montagna erano nella quasi totalità iscritti alla “Bonomiana” (democristiana) e nutrivano grande diffidenza verso le organizzazioni di sinistra, già definite dalla Democrazia Cristiana contrarie alla proprietà privata. […] Non furono poche
le difficoltà incontrate vuoi per la diffidenza dei coltivatori verso una organizzazione di
sinistra, vuoi per la concezione ostile dei comunisti verso i coltivatori diretti democristiani. […] Gradualmente le diffidenze e le incomprensioni furono superate tanto che le
adesioni aumentarono notevolmente: nel 1948 erano 80 a Vergato e 350 nel comprensorio; nel 1950 erano 230 a Vergato e 1.450 nel comprensorio6.
In varie aree della Bassa padana le campagne furono un coacervo di tensioni – in
certi casi più gravi si ebbero perfino dei morti –, che furono spesso animate dal
bracciantato e solo in second’ordine da altre figure sociali. A Vergato la situazione fu differente, nel senso che furono soprattutto i mezzadri a manifestare una
certa irrequietezza7. Anche in questo contesto si ebbero alcuni scioperi, e uno
degli episodi più significati è raccontato proprio da Dante Palmieri:
Ricordo lo sciopero e la manifestazione di protesta […] per l’uccisione di nove operai
di Modena da parte della Polizia di Stato. […] Manifestazione svoltasi nel centro di
Vergato. […] Mentre guidavo il corteo, giunto davanti alla caserma dei carabinieri, fui
prelevato e portato in caserma: il corteo si fermò chiedendo a gran voce il mio rilascio.
Le proteste dei partecipanti ebbero successo: fui trattenuto solo per pochi minuti8.
Giovanni Mottura, Il conflitto senza avventure: contadini e strategia ruralista nella storia della
Coldiretti, in “Annali della Fondazione Giangiacomo Feltrinelli”, 1993, pp. 491-528.
5
6
Dante Palmieri, Una vita, Roma, Faccioli, 2009, p. 30.
7
Si veda il saggio di Eloisa Betti, infra.
8
Palmieri, Una vita, cit., p. 31.
40
Dalle radici a una nuova identità. Vergato tra sviluppo economico e cambiamento sociale (1945-2014)
Il numero di agricoltori si ridusse progressivamente nel corso del secondo Novecento. Lo spopolamento e lo sviluppo di attività manifatturiere e terziarie portarono a un crescente abbandono delle campagne, cosicché già negli anni Ottanta
si può dire che l’agricoltura fosse diventata marginale nell’economia vergatese.
Inoltre, il ricambio generazionale aveva fatto sì che i pochi agricoltori di questo
territorio fossero differenti dai loro padri in termini di cultura agronomica e di
saperi tecnico-scientifici, perché avevano potuto studiare più a lungo e ora trasferivano in parte questi saperi all’interno dell’azienda agricola, rendendola più
efficiente, più specializzata e in definitiva più moderna.
Mente la famiglia contadina vergatese degli anni Quaranta o Cinquanta era
un tassello di un’economia rurale tradizionale, erede di saperi tramandati di generazione in generazione e fortemente allineata al ciclo naturale delle coltivazioni, l’agricoltore degli anni Novanta e Duemila era soprattutto un imprenditore, che gestiva un business all’insegna di concetti come innovazione e profitto,
che non appartenevano troppo alla cultura dei suoi genitori e nonni9.
Sul piano delle produzioni agricole e delle tecniche di coltivazione le trasformazioni non furono meno importanti. In particolare si ebbe un ampio e articolato processo di meccanizzazione delle fasi rurali, per cui i trattori rimpiazzarono
le forza animale e le mietitrebbie il lavoro umano, solo per fare alcuni esempi. A Vergato come in altri contesti collinari o montani, le macchine agricole
giunsero con un certo ritardo rispetto ai comprensori di pianura, perché i pendii
rendevano meno agevole o conveniente l’impiego di queste soluzioni tecniche.
Man mano che l’ingegneria meccanica produceva trattori ed erpici ulteriormente evoluti, questi furono progressivamente adottati dalle aziende agricole del
luogo e in molti casi finirono per accrescere il processo di espulsione della forza
lavoro dalle campagne10.
Le principali coltivazioni di queste zone montane sono cereali, foraggi, ortaggi, leguminose e patate (molto rinomate quelle coltivate a Tolè)11. Tra le attività
storiche, in seguito destinate a venire meno, vi erano la produzione di canapa
e di lino. Entrambe sono rimaste nella memoria collettiva, a caratterizzare un
mondo agricolo spazzato via dal miracolo economico, in questo caso a seguito
dell’introduzione di nuove fibre tessili, naturali e artificiali. Nel secondo Novecento sono cresciute anche le presenze di alberi da frutta, in particolare ciliegi,
Gabriele Cremonini (a cura di), Le ragazze di Vergato: racconti e ricordi sul filo di una memoria da
non disperdere per guardare al domani, Porretta Terme, L’arcobaleno, 2009.
9
10
Conferenza sul tema: nuovo assetto delle strutture agro-silvo-pastorali dell’Appennino bolognese nell’equilibrio idrogeologico: Vergato, Cinema nuovo 16 dicembre 1971, Bologna, Steb, 1972.
Anna Maria Menniti (a cura di), Giornata di studio sulla produzione e commercializzazione della
patata: 24 giugno 1976, Vergato-Bologna, Bologna, Regione Emilia-Romagna, 1976.
11
Tito Menzani, Agricoltura e manifattura
41
anche se spesso con densità decisamente inferiori rispetto alla Bassa12. Molto
importanti anche la presenza della vite, sia da tavola che da vino, e quella del
castagno, albero tipico delle valli appenniniche13. La presenza dei boschi, inoltre,
è stata sfruttata per la produzione di legna e per la raccolta di funghi.
L’ultima direttrice della trasformazione rurale in questione è quella che ha
interessato i comparti collaterali a quello agricolo vero e proprio, e cioè l’allevamento e l’agroalimentare. Nella società tradizionale, gli animali svolgevano
tre funzioni principali all’interno dell’azienda contadina. Erano utilizzati come
forza motrice – in particolare i bovini e gli equini –, producevano letame impiegato per concimare i terreni, e fornivano prodotti per l’alimentazione come
il latte, le uova e la carne. Quindi, in quasi tutte le aziende contadine vergatesi
degli anni Quaranta e Cinquanta, si poteva trovare una stalla con mucche e buoi,
e magari un asino o un cavallo, ma anche una porcilaia con maiali e scrofe, e
recinti con galline, oche, tacchini e conigli. Buona parte dei prodotti alimentari
derivanti dall’allevamento erano destinati all’autoconsumo. Tra l’altro, Vergato
è una sede storica di un importante mercato del bestiame e stando ad alcune
fonti statistiche a metà degli anni Cinquanta nel suo comprensorio si potevano
trovare alcune migliaia di bovini, circa 1.000 suini, un centinaio di ovini e qualche
decina di equini, oltre a un imprecisato numero di allevamenti avicunicoli14.
La modernizzazione del comparto zootecnico ha ampiamente rivisto questi
assetti, e la stalla è diventata un contesto più razionale dove gli animali seguono
precisi iter di crescita prima di essere abbattuti. La produzione lattiero-casearia
e di uova è molto più orientata alla commercializzazione, così come le carni
bovine, suine e avicunicole sono per lo più destinate alla vendita entro circuiti
in grado di valorizzare la qualità di una produzione zootecnica che – al di là del
percorso di modernizzazione – ha in larga parte scelto di essere condotta con
metodi naturali. Di qui, dunque, una cura nella scelte alimentari degli animali,
che sono nutriti anche con foraggi, cereali e altri prodotti analoghi e non solamente con mangimi industriali.
Un discorso molto simile può essere fatto per le produzioni alimentari, che
quasi sempre si posizionano in un segmento medio-alto, all’insegna della genui-
Convegno tecnico sulla coltivazione del ciliegio nella vallata del Reno: Vergato, 23 giugno 1968,
Bologna, Tamari, 1969.
12
13
Sulla tradizionale coltura del castagneto nella montagna bolognese, in Roberto Roda (a cura
di), Il castagno: tradizioni e trasformazioni, Padova, Interbooks, 1989, pp. 31-39. Cfr., anche, Renzo
Zagnoni (a cura di), Comunità e beni comuni dal Medioevo ad oggi: atti della Giornata di studio,
Capugnano 10 settembre 2005, Porretta Terme-Pistoia, Gruppo di studi alta valle del Reno e Società
pistoiese di Storia Patria, 2007.
14
Silvia Lolli Gallowsky, Agricoltura in montagna tra regime fascista e ricostruzione, in Brunella
Dalla Casa, Alberto Preti (a cura di), La montagna e la guerra. L’Appennino bolognese fra Savena e
Reno, 1940-1945, Bologna, Aspasia, 1999, pp. 23-50.
42
Dalle radici a una nuova identità. Vergato tra sviluppo economico e cambiamento sociale (1945-2014)
nità e della tipicità del territorio vergatese. Si tratta per lo più di vini locali come
il barbera o il pignoletto, di conserve, di salumi e di formaggi realizzati artigianalmente, con lavorazioni caserecce e molto curate. Il mercato di riferimento è
per lo più quello provinciale, per una clientela interessata più alla qualità che
alla convenienza in termini di prezzo, e alla ricerca di sapori e aromi del tutto
diversi da quelli degli alimenti industriali.
Negli anni Novanta e Duemila il mercato dei prodotti tipici si è intersecato con
la cultura del «chilometro zero», dello slow food, del biologico e ha conquistato
un crescente peso in termini di quote di mercato. A Vergato, a Riola, a Tolè e a
Cereglio tutto ciò ha avuto un importante output in termini di turismo enogastronomico, con l’apertura di ristoranti e trattorie tipiche e soprattutto di molti agriturismi, che in vari cosi sono stati un’evoluzione di aziende agricole tradizionali.
3. La storia del settore manifatturiero
Come si è mostrato nelle tabelle statistiche precedenti, nel secondo dopoguerra
il comparto manifatturiero vergatese non era affatto modesto. Tuttavia era in
massima parte composto da attività tradizionali, dall’edilizia alla falegnameria,
come ben emerge da varie ricerche locali15. Il settore delle costruzioni fu particolarmente importante nella seconda metà degli anni Quaranta, quando gestì
la complessa ricostruzione del paese, dato che numerose abitazioni ed infrastrutture erano state seriamente danneggiate dal bombardamento del 22 agosto
1944, nonché dalle altre azioni militari che avevano caratterizzato la fase finale
della Seconda guerra mondiale16. Esauriti i lavori di ripristino dei danni bellici,
l’edilizia entrò in crisi e vari muratori e manovali di queste valli preferirono cercare occasioni di lavoro altrove, a Bologna o in altre città connotate da un importante sviluppo urbano17.
Ezio Trota, Tolè: notizie storiche, Modena, Il Fiorino, 2008; Ricordi in bianco e nero. Immagini e
testimonianze del nostro passato raccolte dalla 1a B, Bologna, Centro stampa Provincia di Bologna
e Istituto tecnico commerciale di Vergato, 1986; Gente di due fiumi, un paese: Riola e Marano, Vergato, Ferri, 2007.
15
16
Marco Andreucci, Vergato 1943-45: memorie di guerra dei parroci del Reno, Vergato, Comune di
Vergato, 1994; Italo Brizzi, Vergato 1943-45: testimonianze della Gotica, Porretta Terme-Vergato,
Gruppo di Studi Alta Valle del Reno e Comune di Vergato, 1995. Cfr., anche, Ezio Trota, Guido Maldina (a cura di), Cereglio e la guerra (1943-1945), Modena, Il fiorino, 2012.
Ottorino Gentilini, Gente della Linea Gotica. Raus kaputt: testimonianze crude raccolte nel cuore
dei combattimenti del 1944-45. Riola e Vergato, Grizzana Morandi, Porretta Terme, Castel di Casio,
17
Tito Menzani, Agricoltura e manifattura
43
Altre lavorazioni tradizionali, invece, furono contraddistinte da una diversa
evoluzione. La lavorazione del legno è certamente una di queste, dato che la figura del falegname è cambiata radicalmente, e non solamente perché ha subito
una serie di sollecitazioni esterne – con particolare riferimento alla meccanizzazione delle fasi di produzione – ma anche perché l’artigianato è stato affiancato
dalla fabbricazione di mobili su scala industriale.
Prima del miracolo economico, il falegname era un mestiere abbastanza diffuso in tutto il territorio, per lo più esercitato in proprio o con l’aiuto di garzoni,
figli o fratelli. Anche a Vergato, a Riola, a Tolè vi erano botteghe in cui si lavorava
il legno ricavato dai boschi appenninici per produrre utensili, attrezzi agricoli,
sedie, tavoli, mobili, carretti e quant’altro18. Gli anni Cinquanta e Sessanta portarono alla meccanizzazione di questa attività, per cui la sega e il martello furono
affiancati dalle più moderne macchine utensili. In decenni a noi più vicini, la
produzione mobiliera di carattere industriale ha fatto sempre più del falegname
tradizionale un residuo del passato o lo ha relegato in attività più di nicchia, legate al restauro, alla fabbricazione di cornici o all’artigianato artistico19.
Un discorso molto simile può essere fatto per un’altra attività manifatturiera
tradizionale e cioè quella del fabbro, che nella Vergato del secondo dopoguerra
si era già spesso contaminata con la professione di meccanico. La lavorazione
dei metalli, quindi, era direttamente collegata alla creazione di macchine e di
tecnologie molto semplici, talvolta rudimentali, per impieghi in ambito agricolo
o industriale. Varie officine si occupavano di realizzare piccole produzioni meccaniche, spesso sulla base di specifiche richieste di un cliente, e di effettuare
riparazioni su apparecchi e veicoli costruiti da ditte più importanti, come le macchine utensili o i trattori.
Anche in questo caso gli anni Settanta rappresentarono una sorta di spartiacque, poiché si ebbe una selezione importante, con alcune officine costrette
a chiudere perché incapaci di reggere la concorrenza di imprese più grandi e
meglio attrezzate, altre specializzatesi in lavori o produzioni di nicchia, altre
ancora emancipatesi dalla condizione artigianale per diventare delle ditte di
medie dimensioni20.
Lizzano in Belvedere, Gaggio Montano, Montese, Castel d’Aiano e dintorni : la ricostruzione, il miracolo economico, Riola, Comitato Riola di più e Amici per lo sviluppo del paese, 2010.
18
Giovanna Bernardi, Vergato: pagine della memoria, Porretta Terme-Vergato, Nuèter e Cassa rurale ed artigiana di Vergato, 1992.
Tito Menzani, La lavorazione del legno in prospettiva storica: un’analisi introduttiva, in Marcello
Baroncini, Il mestiere del legno. I falegnami nel territorio di Mezzano (secc. XIX-XX), Ravenna, Fernandel, 2012, pp. 7-31.
19
Tito Menzani, Progetti e ingranaggi. Il packaging e la meccanica strumentale nella storia di Bologna e dell’Emilia-Romagna, in Carlo De Maria (a cura di), Bologna futuro. Il “modello emiliano” alla
20
44
Dalle radici a una nuova identità. Vergato tra sviluppo economico e cambiamento sociale (1945-2014)
Pure a seguito di queste vicende che contraddistinsero alcuni comparti storici del settore manifatturiero vergatese – edilizia, falegnameria, meccanica – il
periodo del boom economico fu vissuto con una certa angoscia, dato che lo spopolamento montano e le trasformazioni tecnologiche e sociali lasciavano immaginare più una decrescita che una crescita.
Negli anni del miracolo economico si allargò prepotentemente il divario tra
l’area appenninica e il resto della provincia, tanto che in vari studi di quegli anni
si incontrano frequentemente termini come «squilibrio», «dualismo» o «declino», con numerosi riferimenti all’arretratezza industriale nelle valli montane.
Fra i tanti convegni sul tema che si tennero negli anni del secondo dopoguerra,
è utile considerarne tre, che testimoniano di altrettanti stadi interpretativi di
questo lento sviluppo. Il primo si tenne a Vergato nel 1948, su iniziativa della
Camera del Lavoro, che all’epoca era una delle principali istituzioni del Bolognese. Il convegno, al quale partecipavano personaggi legati al Pci e all’attività
sindacale come Enrico e Clodoveo Bonazzi e Onorato Malaguti, fu impostato in
maniera essenzialmente politica, con alcune formulazioni ideologiche che limitarono la capacità di analisi. Si parlava di una fantomatica «politica di abbandono e di impoverimento condotta dai gruppi capitalistici», di fondi finiti «nelle
tasche dei grandi proprietari» e di un atteggiamento governativo «antipopolare
e antisociale», per finire con l’esaltazione dello «spirito indomito delle masse
montanare». La maggior parte delle considerazioni emerse mancava clamorosamente l’obiettivo di cogliere le ragioni delle difficoltà del comparto manifatturiero, e anzi si fraintendeva la natura stessa dei «problemi della montagna»,
per i quali si proponevano le classiche soluzioni volontaristiche, tipiche della
tradizione popolare:
Coloro che leggeranno queste pagine trovino la forza e la volontà di combattere perché
sia cancellata dal nostro paese la jattura che colpisce inesorabilmente le laboriosissime popolazioni montanare, e si uniscano ad esse spiritualmente e materialmente per
la soluzione dei loro problemi nel quadro di una più alta giustizia sociale ed umana21.
Non solo, ma si affermava che l’industria montana era stata ricostruita «per interessamento dell’organizzazione sindacale, dei comuni, dei partiti democratici e
sotto la pressione delle masse lavoratrici», senza, cioè, che si facesse il minimo
accenno alla funzione imprenditoriale22.
Un approccio molto differente contraddistinse il convegno regionale del 1953
sfida del XXI secolo, Bologna, Clueb, 2012, pp. 63-89.
Primo convegno della montagna, Vergato, 13-14 novembre 1948, Bologna, Ufficio stampa della
Camera del lavoro, 1949, p. 3.
21
Ivi, pp. 8-9.
22
Tito Menzani, Agricoltura e manifattura
45
«per la rinascita della montagna emiliana», con un tenore più distaccato e meno
polemico, e con osservazioni e analisi pertinenti e scientificamente fondate. Fra
i rimedi e gli incentivi proposti per frenare il declino dell’economia montana e
riattivare determinati circuiti produttivi e commerciali si distingueva l’avvio di
una politica di opere pubbliche per l’infrastrutturazione del territorio, a iniziare
dal potenziamento delle vie di comunicazione23. Si sanciva, quindi, la necessità
di «politiche per la montagna», simili agli interventi che andava compiendo la
neonata Cassa per il Mezzogiorno, e che partivano dal concetto che uno degli
ingredienti dello sviluppo economico fosse l’intervento pubblico24. Tra l’altro, un
paio di anni prima il territorio di Vergato era stato inserito fra le «zone depresse» della provincia di Bologna, ai fini della legge n. 647 del 10 agosto 1950, che
apriva le porte ad agevolazioni fiscali per le imprese che avessero investito in
quest’area25.
Il terzo convegno tecnico-economico che si vuole considerare si tenne nel
1967, e si concentrava in maniera convinta e decisa sulla crescita manifatturiera.
Già nel 1955 si era avuto un primo appuntamento «sullo sviluppo industriale
della valle del Reno»26, che aveva avviato un dibattito proseguito negli anni successivi, del quale il simposio del 1967 rappresentava una sorta di coronamento.
Più di un terzo delle relazioni e comunicazioni insistevano sui temi della manifattura, e in particolare l’intervento di Giovanni Merlini aiutava a comprendere
che bisognava superare il pregiudizio per il quale «l’industria era per l’Appennino [...] un fatto marginale o comunque di minime dimensioni», e che pur se i
limiti erano notevoli, vi erano comunque spazi di manovra tali da non poter più
prescindere «dal prendere in considerazione il problema dell’industria in questa
vasta regione montana»27.
23
Sulle via di comunicazione che attraversano il territorio vergatese, cfr. Giovanni Bortolotti, Una
nuova arteria turistica transappenninica: la Riola-Pistoia per la Valle del Limentra e della Bure, in
“La mercanzia”, 1951, nn. 10-11; Walter Tagliasacchi, Pistoia-Riola. Storia di una strada: dalla via di
Santomoro al Monachino, Rastignano, Editografica, 1998; Andrea Ottanelli, Renzo Zagnoni (a cura
di), La ricostruzione della ferrovia porrettana nelle pubblicazioni delle ferrovie dello Stato (19471949), Pistoia, Gli ori, 2011.
I montanari siano i maggiori artefici per la rinascita della montagna. Mozioni e risoluzioni approvate nei convegni provinciali di Bologna, Parma, Ravenna, Reggio Emilia, Modena. Convegno
Regionale per la rinascita della montagna emiliana, Modena, Arti grafiche modenesi, 1953, p. 6. Cfr.,
anche, Ricordi di Vergato: viaggio tra le memorie dei nostri luoghi, Vergato, Ferri, 1990.
24
25
Richiesta di dichiarazione di zona depressa del territorio della montagna bolognese, delibera
del Consiglio comunale del 15 gennaio 1951, in Archivio del Comune di Vergato (d’ora in poi Acv).
Convegno per lo sviluppo industriale della valle del Reno, delibera del Consiglio comunale del
25 maggio 1955, in Acv.
26
27
Giovanni Merlini, Sul settore industriale e artigiano nell’economia dell’Appennino tosco-emiliano, in Atti ufficiali del Convegno tecnico-economico sull’Appennino tosco-emiliano, Bologna, 4
febbraio 1967, Bologna, Tamari, 1967, pp. 137-153. In particolare, l’autore prendeva le distanze dal
46
Dalle radici a una nuova identità. Vergato tra sviluppo economico e cambiamento sociale (1945-2014)
Dall’incontro fra queste due strategie – ruolo pubblico e ruolo imprenditoriale – doveva scaturire quella politica per l’industrializzazione montana che
avrebbe segnato gran parte degli anni Sessanta, Settanta e Ottanta28. Numerose
leggi introdussero agevolazioni economiche e fiscali di vario genere per le imprese dell’area appenninica, sia per le ditte di nuova formazione, che per quelle
che vi avessero trasferito i propri stabilimenti. E quindi anche Vergato e la valle
del Reno trassero beneficio da questi investimenti, come chiariscono alcune delle storia d’impresa proposte nel prossimo paragrafo.
4. Le imprese manifatturiere principali
Poiché il settore manifatturiero vergatese è composto da tante e differenti esperienze è opportuno approfondirne l’analisi attraverso un’attenzione specifica
alle vicende storiche dei vari casi di studio. Naturalmente è impossibile dare
conto in maniera puntuale di tanti tragitti imprenditoriali, sia perché per alcuni
di essi è arduo rintracciare una documentazione che attesti la realtà dei fatti, sia
perché – per ragioni di spazio e di opportunità – è preferibile concentrarsi su una
decina di esperienze più significative ed esemplificative del tessuto economicoproduttivo manifatturiero nel suo complesso. Naturalmente, ogni selezione è
anche un insieme di rinunce, per cui non necessariamente ciò di cui non si parla
nelle prossime pagine è trascurabile, ma potrà essere eventualmente sviluppato
in ricerche future. In questo caso, si è scelto di includere quelle imprese manifatturiere del territorio vergatese più importanti in termini di fatturato, o più longeve, o più radicate nella memoria popolare, per aver espresso – ieri o oggi – un
modello imprenditoriale di valore.
La prima realtà che trattiamo è l’Industria leghe metalliche, meglio nota con
l’acronimo Ilm. Si tratta di un’impresa nata in seno al Gruppo Maccaferri, tra i
principali della provincia di Bologna nel settore meccanico. Il capostipite della
taglio interpretativo della precedente Conferenza economica sull’Appennino tosco-emiliano, Bologna 1956 (s.l., s.n., 1956), che non aveva affatto dato spazio al tema delle manifatture «se non marginalmente». Cfr., anche, Atti dei convegni di Castiglione dei Pepoli, 1964, Bologna, Istituto per lo
sviluppo economico dell’Appennino, 1965. Molto utile anche il saggio di Daniela Calanca, Giovanni
Merlini, a Geographer between Academy and Territorial Commitment, in “Almatourism”, 2010, n. 2,
pp. 85-89.
28
Cfr., a titolo di esempio, Le proposte dei comunisti per lo sviluppo economico e sociale di Vergato
e della montagna: atti della conferenza promossa dal Comitato comunale del Pci di Vergato, Vergato, 26 gennaio 1973, Vergato, Ferri, 1973.
Tito Menzani, Agricoltura e manifattura
47
dinastia imprenditoriale dei Maccaferri è Raffaele, che nella seconda metà del
XIX secolo gestiva una fucina di fabbro a Sacerno, località del comune di Calderara di Reno. Il successo economico, invece, si deve al figlio a Luigi, che ebbe
l’idea di costruire e brevettare un prodotto innovativo e cioè i cosiddetti “gabbioni”, strutture modulari formate da elementi in rete metallica doppia e riempiti
con pietrame, in pratica delle maglie di ferro che contenevano dei piccoli massi.
Questi manufatti permettevano una difesa del suolo e dei versanti così efficace
da essere ancora oggi una delle soluzioni geotecniche più diffuse nel mondo. I
proventi di questa trovata furono investiti nella creazione di uno stabilimento
meccanico a Zola Predosa, le Officine Maccaferri, poi portato avanti dalle successive generazioni della famiglia29.
Negli anni tra le due guerre iniziò la strategia di diversificare il core-business
attraverso l’acquisizione di pacchetti azionari o la creazione di ditte ex novo.
Si venne così a costituire il Gruppo Maccaferri che comprendeva alcune realtà
di spicco come la Hatu, produttrice di preservativi e di altri articoli in gomma
o la ditta siderurgica Invulnerabile, ma anche una ventina di ditte minori. Tra
queste ricordiamo il Carrellificio Lodi (poi Cesab), la Società anonima macchine
di precisione (Samp), la Società azionaria prodotti asfaltico-bituminosi e affini
(Sapaba), l’Impresa bonifiche e colonizzazioni (Ibc), e appunto l’Industria leghe
metalliche30.
Questa era stata fondata nel 1940, a Vergato, per fabbricare fili e reti di metallo31. Inizialmente occupava una parte dello stabilimento di una ditta metalmeccanica denominata Venturi, che produceva per conto dell’esercito e che si
sarebbe poi trasferita in provincia di Como, lasciando l’intera sede alla Ilm. Infatti, le Officine meccaniche Tullio Venturi erano nate a Vergato nel 1934 – ma originavano da un esercizio famigliare a Grizzana, riconducibile ai fratelli Tullio e
Ferdinando Venturi; e nel 1941, grazie ad un aumento di capitale – con l’ingresso
in società del vergatese Remo Lanzarini e del reggiano Edgardo Ribolzi – la Venturi iniziò una produzione industriale nell’orbita del gruppo Maccaferri. Come
detto, la Ilm ne avrebbe poi rilevato la sede, parte della manodopera e parte dei
rapporti commerciali con altre imprese della zona, a iniziare da quello con la
Ferriera Chelotti, storica ditta di Porretta di lavorazione dei metalli32.
Cento anni della s.p.a. Officine Maccaferri. 1879-1979, Bologna, s.n., 1979.
29
Industriale leghe metalliche, in Archivio della Camera di commercio di Bologna (d’ora in poi
Accb), registro ditte n. 58650.
30
Vera Zamagni, L’economia, in Renato Zangheri (a cura di), Bologna, Roma-Bari, Laterza, 1986, pp.
245-314: p. 284.
31
Roberto Ferretti, La modernizzazione difficile di una «zona depressa»: industria, artigianato e
commercio tra gli anni Trenta e gli anni Sessanta, in Dalla Casa, Preti (a cura di), La montagna dopo
la guerra, cit., pp. 51-102.
32
48
Dalle radici a una nuova identità. Vergato tra sviluppo economico e cambiamento sociale (1945-2014)
Le vicende belliche, però, bloccarono di lì a poco la produzione della Ilm e lo
stabilimento subì seri danni33. Non solo, ma per i trascorsi fascisti della famiglia
Maccaferri e per il fatto che alcune ditte che facevano capo a Gaetano producevano per i tedeschi, gli stessi partigiani si organizzarono per colpire le aziende del
gruppo. Il 10 aprile del 1945, a poche giornate dalla Liberazione, quando ormai la
Wehrmacht stava organizzando la ritirata, gli ottimi rapporti tra i Maccaferri ed il
comando tedesco diedero luogo ad un fatto sorprendente. In un clima di generale caos, istituzionale ed economico, il comandante tedesco convocò il contabile
dei Maccaferri e saldò i debiti nei confronti di quelle imprese del Gruppo che
avevano prodotto su commessa della Wehrmacht; non solo ma aggiunse anche
un’ulteriore cifra a compenso di danni che i soldati avevano arrecato al patrimonio aziendale. Si trattava di un evento indubbiamente atipico, visto che nella
stragrande maggioranza dei casi analoghi i tedeschi si erano ritirati senza pagare
alcun debito; in questa occasione, invece, sborsarono circa sette milioni di lire34.
Anche grazie a questo capitale, la ricostruzione e la riorganizzazione postbellica della Ilm furono abbastanza rapide. Il principale impedimento fu la necessità
dei Maccaferri di svincolarsi dal proprio passato filofascista. Lo stesso comando
americano consigliò loro di uscire di casa il meno possibile, anche perché certe
indiscrezioni affermavano che alcune squadre partigiane avevano condannato a
morte tutti i membri della famiglia. Calmatesi gradualmente le acque, con l’aiuto dei vari collaboratori che erano scampati alle tragedie del conflitto, si riattivò
anche lo stabilimento di Vergato35.
Già nell’ottobre del 1945, con lo stabilimento ancora semi-distrutto, la Ilm
era stata in grado di riprendere la produzione, e quindi la trafilatura e la tessitura dei fili metallici. Anzi, ampliò il parco macchine e installò un nuovo reparto per la fabbricazione di conduttori elettici. Nel 1947, occupava 39 dipendenti,
ma gli addetti erano destinati a crescere36. Infatti, la Ilm fu a lungo il principale
stabilimento del comprensorio vergatese, arrivando ad occupare un centinaio
di operai, e producendo per lo più cavi e fili in acciaio e rame, ma anche laminati e altri prodotti simili. Dalla metà degli anni Ottanta, sulla spinta del rapido
33
Vergato nella lotta per la pace e la libertà: Palazzo dei capitani di montagna, 13 aprile 1945-13
aprile 1982, Bologna, Moderna, 1982. Cfr., anche, John Day, Partigiani e alleati sul fronte del Reno
dal settembre 1944 all’aprile 1945 (con documentazione americana, inglese e tedesca), in “Nuéter”,
1998, n. 24, pp. 146-196.
Gaetano Maccaferri, Elena Maccaferri Randaccio, Una famiglia, Bologna, s.n., 1982-1986.
34
Cfr. Franco Basile, Giuseppe Castagnoli (a cura di), I grandi di Bologna. Repertorio alfabetico dei
personaggi illustri dal 1800 a oggi, Bologna 1991; Antonio Campigotto, Roberto Curti, Maura Grandi,
Alberto Guenzi (a cura di), Prodotto a Bologna. Una identità industriale con cinque secoli di storia,
Bologna 2000.
35
Ferretti, La modernizzazione difficile, cit.
36
Tito Menzani, Agricoltura e manifattura
49
mutamento degli scenari competitivi sui mercati di riferimento, la strategia del
Gruppo Maccaferri si è concentrata sulla ridefinizione delle aree di business, con
la conclusione di varie operazioni di concentrazione, cessione ed acquisizione di
attività e la partecipazione a nuove iniziative industriali.
La Ilm non è stata ceduta, ma nei medesimi frangenti ha attraversato un lungo periodo di crisi, che ha portato al ridimensionamento del giro d’affari e in
ultimo alla ricollocazione delle unità lavorative coinvolte, principalmente in altre aziende del gruppo. Nel 1992, quindi, lo stabilimento vergatese ha definitivamente chiuso i battenti.
L’edificio è stato oggetto di un intervento di recupero, concertato fra l’amministrazione comunale e il Gruppo Maccaferri. L’intento principale era ricondurre
«all’interno dei programmi comunali di intervento, quanti più investimenti privati possibili, dando corpo e attuazione a un percorso di sviluppo, disinnescando la
mina di un possibile e/o eventuale approccio esclusivamente speculativo»37. Nei
fatti l’amministrazione ha anticipato l’emanazione della legge regionale n. 19
del 1998 sulla riqualificazione urbana.
Un’altra storica impresa vergatese è la Pietro Galliani spa, che analogamente
vanta una storia nel settore della lavorazione dei metalli. Le origini della società
risalgono alla fine Ottocento, e precisamente rimandano all’attività artigianale
svolta da Pietro Galliani a Bologna, nella zona di via Santa Croce38. Nel 1919, in
località Malpasso, i figli Alfredo e Amedeo Galliani acquisirono un vecchio mulino, trasformandolo in un opificio per la lavorazione del rame. Si producevano
paioli e altri strumenti analoghi, che erano poi trasportati nella sede di Bologna
e lì rifiniti. Nel corso degli anni Trenta questi prodotti vennero richiesti sempre
meno frequentemente dal mercato, così nel 1936 nello stabilimento di Malpasso
si comperò una centralina elettrica e si costruì un impianto per la produzione
di laminati in rame, che sarebbe entrato in funzione nel 1939. Oltre al rame, si
cominciò a trattare anche l’alluminio e nel secondo dopoguerra pure lo zinco,
il piombo e l’ottone. Contemporaneamente si iniziarono a produrre dinamo per
biciclette, commercializzate con il brand Lince. Nel corso degli anni Quaranta, il
solo stabilimento vergatese occupava un centinaio di persone, fra cui tantissime
ragazze e donne39.
37
Pierluigi Milani, Vergato: una “piccola esperienza” applicata, in “Urbanistica. Informazioni”, 2007,
n. 219, pp. 10-12.
Ditta Galliani, in Accb, registro ditte n. 13862.
38
Diana Colazzo, Annalisa Mili (a cura di), Il cammino difficile: per una storia del lavoro e della condizione femminile nel territorio di Vergato dall’unità d’Italia al secondo dopoguerra, s.l., s.n., 1986.
Cfr., anche, Anna Maria Dalmonte Polvani, Liserna: la “Fiesole” di Bologna al femminile, Porretta
Terme, L’arcobaleno, 2011
39
50
Dalle radici a una nuova identità. Vergato tra sviluppo economico e cambiamento sociale (1945-2014)
L’avvento della motorizzazione scoraggiò i Galliani a insistere nella produzione di dinamo per biciclette e ci si orientò sulla fabbricazione di rasoi. Fu un
grave insuccesso e si ebbero anche discussioni fra i vari azionisti, nonché l’uscita
di alcuni di questi dalla società. Tuttavia l’azienda non chiuse i battenti, pur se
subì una sorta di cura dimagrante, con il ridimensionamento del fatturato e della
forza lavoro. Una decisa ripresa si ebbe alla metà degli anni Ottanta, quando
la Pietro Galliani ha incrementato la produzione di leghe di brasatura a base di
argento e rame, e sotto forma di prodotti estrusi, trafilati e laminati. Nel 1995
è diventata leader europeo nella produzione di leghe brasanti e nella laminazione in nastro ultrasottile dei metalli preziosi e non ferrosi. All’alba del nuovo
millennio, per completare la propria gamma di prodotti, ha cominciato la produzione di polveri e paste disossidanti nonché di barrette rivestite. Nel 2007, la
Pietro Galliani ha reso indipendente il ramo d’azienda della brasatura, creando
per spin-off la Pietro Galliani brazing. Entrambe le realtà – che congiuntamente
vantano circa 70 addetti – hanno investito nell’originalità delle dotazioni tecniche – requisito indispensabile per avere una unicità nella gamma merceologica
realizzata –, in gran parte frutto di studi e progetti sviluppati da una equipe di altissima professionalità. Una particolare attenzione è oggi dedicata ai laboratori
di analisi e qualificazione dei materiali, in grado di effettuare le più sofisticate e
rigorose indagini chimiche e meccaniche.
Una terza impresa molto importante per il territorio di Vergato è stata la Arcotronics, che però non ebbe mai la propria sede in questo comune e vi mantenne solamente una realtà produttiva. Le vicende storiche della Arcotronics
rimandano ad un percorso imprenditoriale abbastanza complesso, iniziato nel
1963, quando a Sasso Marconi fu fondata la Arco spa. Il nome richiamava l’arco
voltaico, dato che il segmento merceologico di questa azienda era la produzione
«condensatori e connettori elettrici per applicazioni elettriche ed elettroniche
ad uso civile e professionale»40. Il principale animatore era Umberto Falchieri,
fuoruscito dalla Ducati per mettersi in proprio, che si avvaleva del valido aiuto
di tre tecnici, Savoia, Tommasi e Guiduzzi, già suoi colleghi nella casa motociclistica di Borgo Panigale41. Il capitale per le dotazioni iniziali fu fornito da due
investitori di primo piano, e cioè Dino Olivetti, fratello del più noto Adriano, e il
magnate americano Nelson Rockfeller.
Nel 1972, la Arco spa fu acquisita dalla Plessey electronics, una multinazionale inglese nata nel 1917, che aveva una sede a Milano e il proprio core-business
Arcotronics, in Accb, registro ditte n. 212820.
40
Vittorio Capecchi, L’industrializzazione a Bologna nel Novecento. Dagli inizi del secolo alla fine
della seconda guerra mondiale, in Walter Tega (a cura di), Storia illustrata di Bologna, vol. IV, Bologna dall’Unità alla Liberazione, Milano, Nuova Editoriale Aiep, 1990, pp. 161-180.
41
Tito Menzani, Agricoltura e manifattura
51
nelle telecomunicazioni. Tra le imprese del gruppo Plessey figurava anche la
Painton Italia, nata nel 1963 a Tombolo, in provincia di Padova, che si occupava
della fabbricazione e della vendita di materiali e componenti elettrici ed elettronici42. Nel 1972, congiuntamente all’acquisto della Arco, la Plessey metteva in
liquidazione la Painton Italia:
Da tempo le difficoltà del mercato, la necessità di aggiornare gli impianti, qualche
ristrettezza finanziaria incidevano in modo negativo sulla gestione dell’azienda. Di qui
la [...] decisione di troncare l’attività [...] prima che le accennate cause di rallentamento
potessero concorrere in modo irreversibile al collasso dell’azienda e alla perdita totale del capitale e degli investimenti43.
Tuttavia, il liquidatore – Angelo Della Rosa –, d’accordo con i vecchi soci e con
i dirigenti della Plessey, revocava la decisione della liquidazione e optava per il
trasferimento del ramo aziendale a Sasso Marconi, presso lo stabilimento della
Arco. Siccome quest’ultimo risultava del tutto insufficiente a contenere l’intera
produzione, veniva aperta una seconda unità produttiva a Monghidoro, in località Ca’ Giorgio, ed una terza fabbrica a Loiano, poi chiusa nel 1979; nel 1972 tutte
e tre le unità produttive davano lavoro a 477 operai, 85 impiegati e 5 dirigenti44.
Un anno dopo, nel 1973, era aperta anche l’unità produttiva di Vergato. Tutta
questa manovra «rientra[va] nel programma di sviluppo fissato dal gruppo Plessey per le sue attività in Italia, programma che prevede[va] il potenziamento e la
separazione delle varie attività produttive»45.
Nel 1978, poi, venivano incorporate la Turolla Plessey idraulica (già Elidra
elementi idraulici), con sede a Villanova di Castenaso, e la Apparecchiature speciali tecniche e affini (Asta), due società già nell’orbita del gruppo Plessey. Contemporaneamente, «in considerazione della recente concentrazione avvenuta
per fusione delle attività di meccanica, idraulica e di componentistica elettronica», la denominazione diventava Plessey Italia, anche se il termine Arco sopravviveva come marchio. Infatti, dal punto di vista divisionale, la ristrutturazione
aziendale portava all’individuazione di tre distinti segmenti produttivi, e cioè la
divisione Turolla idraulica, la divisione Arco condensatori, e la divisione sistemi e
componenti elettronici, quest’ultima – a dispetto del nome – con compiti esclusivamente commerciali. Nel 1980 il capitale sociale raggiungeva i 3,64 miliardi, e
Arcotronics, in Accb, registro ditte n. 212820.
42
Ibidem.
43
Tito Menzani, Fra declino e modernizzazione: alcuni percorsi dell’imprenditoria montana, in
Mauro Maggiorani, Paola Zagatti (a cura di), La montagna dopo la guerra. Continuità e rotture
nell’Appennino bolognese tra Idice e Setta-Reno: 1945-2000, Bologna, Aspasia, 2009, pp. 345-368.
44
Arcotronics, in Accb, registro ditte n. 212820.
45
52
Dalle radici a una nuova identità. Vergato tra sviluppo economico e cambiamento sociale (1945-2014)
nel 1982 il nome diventava Arcotronics Italia, «a seguito della vendita dell’intero
pacchetto azionario ad altra società»46.
Infatti, il gruppo di riferimento diventava la multinazionale libanese-americana Wedge, già precedentemente coinvolta in alleanze strategiche con la Plessey,
che ora acquisiva praticamente tutto il ramo condensatori della compagine inglese. Successivamente, poi, la Arcotronics fu acquisita dal gruppo Emhart, che ne
avrebbe parzialmente rilanciato le ambizioni. Nei primi anni Ottanta, gli addetti
alla Arcotronics superavano le mille unità, mentre il capitale sociale oltrepassava i cinque miliardi di lire. Lo stabilimento di Vergato raggiunse in questa fase
la sua massima espansione, arrivando ad occupare alcune centinaia di persone.
Negli anni Novanta, la crisi del settore e dell’economia italiana ridimensionavano gli stabilimenti montani, ma non l’Arcotronics nel suo complesso, che
comunque restava una delle principali realtà mondiali nella produzione di condensatori, con unità produttive in Europa, negli Stati Uniti ed in Asia. Entrata poi
nell’orbita del gruppo giapponese Nissei, ha sviluppato nuove competenze nel
campo degli equipaggiamenti, per la produzione, il collaudo e l’imballaggio di
batterie avanzate ricaricabili e di applicazioni per l’auto elettrica47. Nel 2007, infine, l’Arcotronics è stata acquisita dal gruppo Kemet che nel 2011 ha deliberato
la chiusura del già ridimensionato stabilimento di Vergato.
Una quarta e altrettanto importante realtà imprenditoriale del territorio vergatese è l’acqua minerale Cerelia. La fonte si trova nella località di Cereglio e
l’origine è evidentemente molto antica. Nel 1781, Serafino Calindri annotava che
gli abitanti di Cereglio – 448 in tutto – erano meno soggetti alle malattie rispetto
ad altre comunità appenniniche48. Nel corso dell’Ottocento si ipotizzò che ciò
potesse essere dovuto all’acqua e si ebbero alcune prime valutazioni positive su
questa sorgiva49. Poi, tra le due guerre, l’ing. Pietro Albertoni, clinico bolognese,
redasse un’analisi chimica molto accurata e la definì entusiasticamente «acqua
alcalina». Nei medesimi frangenti, il medico condotto di Cereglio, Massimiliano
Natalini, confermò di aver riscontrato degli «effetti benefici contro la calcolosi».
Nel secondo dopoguerra, un incontro casuale tra le sorelle di Natalini, Cesira e
Ibidem.
46
Roberto Curti, Maura Grandi (a cura di), Per niente fragile. Bologna capitale del packaging, Bologna, Compositori, 1997, pp. 102-103. Cfr., anche, Francesca Tondi, Il mercato internazionale dei
condensatori: il caso Arcotronics, tesina dattiloscritta per il corso di Organizzazione economica internazionale, anno accademico 1997-98.
47
Serafino Calindri, Dizionario corografico, georgico, orittologico, storico della Italia composto su
le osservazioni fatte immediatamente sopra ciascun luogo per lo stato presente, e su le migliori memorie storiche e documenti autentici combinati sopra luogo per lo stato antico, Bologna, Stamperia
di S. Tommaso d’Aquino, 1781.
48
Acque minerali di Vergato, in “Gazzetta privilegiata di Bologna”, 1842, n. 83.
49
Tito Menzani, Agricoltura e manifattura
53
Pia, con il parroco don Gabriele Severi fece scattare la scintilla di uno sfruttamento imprenditoriale dell’acqua di Cereglio. Nacque così il nome commerciale
Cerelia, suggerito proprio da don Gabriele Severi. A sua volta si è ipotizzato che
il nome Cerelio derivasse dall’accostamento dei nomi degli dei Cerere ed Helios,
a contraddistinguere quindi un territorio rigoglioso e soleggiato50.
Nel 1953, i figli di Massimiliano Natalini e cioè Pietro, Carlo e Natalino, dopo
un via libera sanitario da parte di Vittorio Gazzi e Alessandro Alessandrini, docenti dell’Università di Bologna, realizzarono lo stabilimento, reclamizzando
l’acqua con lo slogan «purissima, diuretica, antiurica»51.
Nei mesi precedenti, mentre stavano terminando le pratiche per l’autorizzazione, i tre avevano visitato vari stabilimenti e sorgenti di acqua minerale, tra i
quali Silva, Galvanina, Sant’Andrea, Pejo, per acquisire le competenze tecniche e
commerciali necessarie per questo genere d’impresa. Il primo impianto consentiva di produrre 600-700 bottiglie all’ora: «l’opera di presa consisteva in un pozzo
circolare profondo oltre quattro metri, fino allo strato roccioso, ricoperto da un
elegante chiosco circolare in muratura alto sei metri che lo isolava e lo proteggeva; per mezzo di tubi l’acqua, per caduta, arrivava allo stabilimento posto a
due metri sotto il livello di presa»52. L’acqua era richiestissima negli ospedali e
già nel 1956 si facevano doppi turni di lavoro per soddisfare la richiesta. Nel
1958, la messa in funzione di un nuovo impianto consentì di spingere la produzione a 1.400 bottiglie orarie, a coprire tutta la regione; inoltre si introdusse
l’acqua leggermente gassata (con etichetta verde anziché rossa)53.
Poiché le richieste continuavano a crescere – in virtù dell’aumento dei consumi di acqua minerale ingenerati dal boom economico e del lavoro commerciale
svolto dai due rappresentanti e dai trenta concessionari dell’epoca – nel 1962 si
predispose un nuovo impianto completamente automatico, capace di produrre
2.400 bottiglie orarie. Un nuovo ampliamento dello stabilimento alla sorgente
consentì di arrivare, nel 1966, a 5.000 bottiglie orarie.
Nel 1970, a causa di seri motivi di salute di Pietro e Carlo Natalini, l’azienda
fu ceduta a Adriano Rinaldi, imprenditore di Bazzano. Questi promosse subito un
massiccio investimento che consentì di produrre 24.000 bottiglie all’ora. Si ebbe
Gabriele Severi, Pieve di Roffeno e Cereglio sull’Appennino bolognese, Bologna, Grafiche Dehoniane, 1977 (terza edizione ampliata del 1983). Cfr., anche, Bill Homes, Gli insediamenti dell’Alta
Valle del Reno, Porretta, Gruppo di studi Alta Valle del Reno, 2004-2012.
50
Franco Cervellati, C’era una volta Cereglio, Bologna, Geper, 1997. Cfr., anche, Maurizio Pozzi,
Renzo Zagnoni, Saluti da... Mostra itinerante di cartoline illustrate di Bagni della Porretta, Granaglione e Vergato, dalla fine dell’800 al secondo dopoguerra, Porretta Terme, Gruppo di studi alta
Valle del Reno, 1985.
51
Alessandro Molinari Pradelli, La dotta e la grassa, Bologna, Ocb, 1992, pp. 52-58.
52
Cervellati, C’era una volta Cereglio, cit.
53
54
Dalle radici a una nuova identità. Vergato tra sviluppo economico e cambiamento sociale (1945-2014)
anche un’importante estensione di linea, con bottiglie in plastica anziché in vetro o con vetro a perdere. Inoltre si ebbero le prime esportazioni in Germania,
Inghilterra e Australia. E si stipularono delle convenzioni con alcune compagnie
aeree e con alcune farmacie. Negli anni Novanta i concessionari erano cento e
gli addetti circa venti.
La popolarità dell’acqua Cerelia nel territorio bolognese è stata facilitata dalla scelta di marketing di reclamizzarla attraverso un motivetto composto da Carlo Natalini, il cui refrain è notissimo: «dona freschezza e vigor / l’acqua Cerelia /
elimina ogni dolor / l’acqua Cerelia / è un balsamo di gioventù / l’acqua Cerelia
/ bevete, bevete, bevete con me / l’acqua Cerelia». Trasmesso a lungo per radio
è risuonato anche innumerevoli volte allo Stadio Dall’Ara, attraverso gli appositi
altoparlanti. Recentemente è stata la prima acqua minerale al mondo ad aver
ottenuto la certificazione environmental product declatation (epd), che contraddistingue i prodotti eco-friendly.
Se l’Ilm, la Pietro Galliani, l’Arcotronics e l’acqua Cerelia sono tra i complessi manifatturieri più rilevanti nella storia di Vergato, altre imprese meritano
comunque di essere ricordate. In particolare, negli anni Quaranta ebbero una
indiscussa importanza le filande, ossia degli opifici per la lavorazione della canapa, che occupavano anche molta manodopera femminile54. Mentre in pianura questa pianta era coltivata e poi messa in ammollo in appositi invasi prima
di essere lavorata, in montagna non c’erano questi maceri, per ovvi motivi di
pendenza. Così, una volta raccolta, la canapa veniva portata al fiume e immersa nelle pozze naturali, a volte debitamente risistemate, dove l’acqua scorreva
più lentamente e il processo di macerazione, benché più lento che in pianura,
avveniva lo stesso. Talvolta si ricavavano invasi artificiali deviando le acque
del fiume e regimentandole con una chiusa. Per questo le filande, ossia gli stabilimenti industriali dove veniva lavorata tutta la canapa della zona, nacquero
quasi sempre a ridosso dei corsi d’acqua. Anche nell’area di Vergato, l’alveo del
Reno era contraddistinto da vari opifici di questo genere, il più grande dei quali
era il canapificio Turri di Pioppe di Salvaro, attivo fin dalla fine dell’Ottocento e
progressivamente ampliatosi fino a diventare una delle imprese principali della
vallata55. Tristemente nota per l’eccidio nazifascista del 194456, questa filanda
declinò rapidamente nel corso del secondo dopoguerra, in coincidenza della
crisi della richiesta di canapa da parte di un mercato che si orientò su altre
Colazzo, Mili (a cura di), Il cammino difficile, cit.
54
Maria Carmen Vannini, Marcello Maselli, Pioppe di Salvaro: storia e memoria, Pioppe di SalvaroPorretta, Pro Loco e Gruppo di studi alta valle del Reno, 2005.
55
Giampietro Lippi, Il sole di Monte sole, Bologna, Anpi, 1995, pp. 110-111. Cfr., anche, Gabriele
Ronchetti, Vergato: luoghi della memoria, 1944-1945, Modena, Artestampa, 2012.
56
Tito Menzani, Agricoltura e manifattura
55
fibre. Tra gli opifici che chiusero va ricordata anche la filanda Saic, nata nella
seconda metà dell’Ottocento in località Serini – e spesso chiamata proprio così
–, inizialmente di proprietà del conte Ferdinando Zucchini; passata varie volte
di mano, nel 1941 fu acquisita dalla famiglia Cagnato, che la gestì per poco più
di un decennio, prima di cederla ai Correggiari che nel 1953 chiusero definitivamente i battenti57.
Tra le altre imprese più piccole, ma comunque degne di nota vi è certamente l’Officina meccanica Elmi, nata nel 1957 per iniziativa di Giuseppe Elmi,
per produrre dadi, tiranti e viti per conto di alcune importanti aziende di viteria e bulloneria dell’Emilia-Romagna. La semplicità delle prime produzioni fu
gradualmente accostata dalla fabbricazione di elementi più complessi, grazie
all’utilizzo delle fantine Bechler e Strhom, che negli anni Settanta consentirono
di avere clienti molto importanti nel settore motoristico, come la Fiat, la Piaggio
o la Lamborghini. Contemporaneamente, la famiglia Elmi investiva anche nel
settore energetico, grazie a un impianto idroelettrico58.
Negli anni Ottanta, la Elmi ampliò il parco macchine, acquisendo i torni a
controllo numerico, grazie ai quali poté espandere la propria produzione ai
comparti della componentistica idraulica e oleodinamica. Si trattò di un passo verso una produzione qualitativamente elevata – e certificata – pensata per
clienti del segmento medio-alto e antitetica a quella low cost realizzata in paesi emergenti. Inoltre, in considerazione del parallelo business energetico, e per
le sensibilità della proprietà verso il rispetto del territorio, la Elmi ha investito
tantissimo in energie rinnovabili, facendosi quindi interprete di un ciclo produttivo altamente sostenibile. Nel 2005 è stata rimodernata la centrale idroelettrica
dello stabilimento e tre anni dopo è stato installato un piccolo impianto fotovoltaico. Nel 2011, l’azienda ha ultimato un impianto di riscaldamento a biomassa
di cippato di legna in sostituzione del vecchio impianto a gpl, ha recuperato il
calore prodotto dai compressori e ha coibentato gran parte del capannone. In
ragione di questa efficienza – e del fatto che dei 500.000 kw prodotti ogni anno,
solo 300.000 sono utilizzati dall’azienda mentre il resto viene ceduto alla rete –
l’Officina meccanica Elmi ha ottenuto l’attestato di certificazione energetica in
classe b, rilasciato dalla Regione Emilia-Romagna.
Un’altra importante azienda meccanica del territorio vergatese è la Venturi srl, fondata da Amedeo Venturi nel 1978 e successivamente gestita dai figli
Adolfo e Davide. Inizialmente, la ditta si occupava di produrre particolari per
le macchine dentatrici Gleason, un settore che Amedeo Venturi ben conosceva
Colazzo, Mili (a cura di), Il cammino difficile, cit.
57
Cfr. le informazioni contenute nella Delibera n. 44/2000 dell’Autorità per l’energia elettrica e il
gas.
58
56
Dalle radici a una nuova identità. Vergato tra sviluppo economico e cambiamento sociale (1945-2014)
per averci lavorato a lungo prima di «mettersi in proprio». Nel corso del tempo,
questa azienda, il cui stabilimento di circa 4.000 mq è a Riola, si è specializzata
nella produzione di coppie coniche ipoidi, spiroidali e zerol dentate con sistema Gleason e nella dentatura curvic coupling, e può vantare numerosi clienti
in Italia e all’estero. Più recente, invece, la storia della Tecnoinfissi, fondata da
Rocco Colangelo, dopo che questi aveva maturato una lunga esperienza – e una
lunga gavetta – nel settore della carpenteria e in quelli ad esso affini o adiacenti59. Nel correlato settore dell’impiantistica, invece, è molto importante la ditta
Effegi impianti, che si occupa di progettazione, installazione e manutenzione,
in ambito termoelettrico e termoidraulico. Nata nel 1989 dalla trasformazione
di un’impresa analoga sorta otto anni prima, si è poi allargata al settore degli
impianti per il comparto ferroviario e a quelli per le energie rinnovabili. Vanta
attualmente una sessantina di dipendenti.
Sempre in ambito meccanico va ricordata l’attività del settore auto, ossia
le varie ditte che si sono occupate di riparazioni, di carrozzeria e di commercializzazione di ricambi o veicoli. Una delle più importanti è certamente la F.lli
Mascagni, nata nel 1926 come piccola officina diretta da Riccardo Mascagni.
Quest’ultimo, diplomato alle Aldini-Valeriani di Bologna, una delle più rinomate
scuole tecniche dell’epoca60, aveva maturato un’importante esperienza presso
un’officina di riparazione dei veicoli militari impiegati nella guerra di Libia. Nel
secondo dopoguerra, l’attività – sempre dislocata a Vergato lungo la via Porrettana – fu portata avanti dai figli Valter e Giampaolo, per cui la ragione sociale
cambiò in Officina F.lli Mascagni. La crescita del fatturato è passata attraverso
l’ampliamento dell’attività a servizi commerciali e assicurativi e soprattutto attraverso convenzioni per diventare una struttura autorizzata da parte di alcune
importanti case motoristiche, come Piaggio, Fiat e Lancia. La tradizione famigliare è proseguita con l’ingresso di una nuova generazione di Mascagni, nella
fattispecie di Gianluca e Maria Alessandra, figli di Valter61.
Collegata a questa storia è anche la vicenda della ditta Sibani, fondata da
Tommaso Sibani, già dipendente delle Officina Mascagni. Questi introdusse
nell’attività anche il figlio Giuseppe, che mostrò immediatamente una forte inclinazione verso l’ambito meccanico. Nel 1958, Giuseppe Sibani progettò e realizzò
un’apparecchiatura per il movimento rapido delle sagome per il tiro a segno. La
59
Documentazione relativa agli imprenditori con oltre 40 anni di attività, raccolta in occasione
della consegna degli attestati, in Acv, sez. Attività produttive.
Carlo De Maria, Gli istituti tecnici industriali tra fascismo e ricostruzione: il caso Aldini-Valeriani
di Bologna, in Armando Antonelli (a cura di), Spigolature d’archivio: contributi di archivistica e storia
del progetto “Una città per gli archivi”, Bologna, Bononia University Press, 2011, pp. 227-250.
60
Documentazione relativa agli imprenditori con oltre 40 anni di attività, raccolta in occasione
della consegna degli attestati, in Acv, sez. Attività produttive.
61
Tito Menzani, Agricoltura e manifattura
57
macchina, poi brevettata, sfruttava un’ingegnosa soluzione meccanica per dare
origine a un sistema completamente automatico, che di fatto rimpiazzò quello
manuale. Fu venduto a numerosi clienti italiani e fu perfino utilizzato nelle Olimpiadi di Roma del 1960, per essere poi commercializzato negli Stati Uniti62.
A Cereglio, invece, è la Officina F.lli Peri che può vantare una storia di lungo
corso. Fondata nel 1969 da Francesco Peri, fungeva sia da servizio di riparazioni
e ricambi che da concessionaria. Pochi anni dopo, sarebbero entrati in società i
fratelli Franco e Nerio, e più di recente la generazione successiva, composta dai
figli Graziano, Betta e Rita. Differente, invece, la storia della ditta F.lli Venturi
(da non confondere con le già citate Officine meccaniche Tullio Venturi e con la
Venturi srl); infatti in questo caso i due soci, Dante e Orlando Venturi, si appassionarono alla meccanica aiutando il padre, che svolgeva servizi di aratura e trebbiatura conto terzi e che si trovava spesso a dover riparare autonomamente le
macchine agricole. A partire da queste curiosità adolescenziali, i fratelli Venturi
svilupparono una vera e propria passione per i motori e per il mondo delle corse,
in particolare di rally. La loro officina, quindi, si è specializzata nell’elaborazione
dei motori, da quelli di auto di piccola cilindrata, come le Simca utilizzate per
gare locali, fino a gioielli meccanici come la Lancia Delta integrale63.
Sempre nel settore auto, occorre ricordare la Carrozzeria Perla, fondata a
Vergato da Mauro Perla nel 1973 e successivamente passata al figlio Lorenzo.
Un altro imprenditore che ha lavorato a lungo nel settore delle riparazioni auto,
sia in termini meccanici che di carrozzeria, è Gerardo Cavallo, che nei primi anni
Novanta ha trasferito l’officina da Bologna – dove lavorava dal 1964 – a Riola64.
Nell’ambito della lavorazione artigianali del metallo, una delle più importanti imprese del territorio vergatese e la Ditta Tonioni, le cui origini si perdono
all’inizio del Novecento, in una angusta officina in località Amore, nei dintorni
di Cereglio. Qui lavoravano Giuseppe Tonioni e il figlio Livio, che si occupavano
di ferrare buoi e cavalli, di forgiare attrezzature per l’agricoltura, come zappe,
vanghe e falcetti, e di realizzare altri piccoli manufatti in metallo. Il figlio di Livio,
nato nel 1947 e chiamato Giuseppe, come il nonno, fu introdotto nell’azienda
e contemporaneamente mandato a frequentare le Aldini-Valeriani di Bologna.
Tuttavia, Giuseppe Tonioni preferì la vita in officina agli studi scolastici, che abbandonò ben presto, per dedicarsi alla produzione degli articoli che il mercato
degli anni Sessanta e Settanta chiedeva sempre più, e cioè cancelli, inferriate,
portoncini e altri prodotti su misura. Contemporaneamente, l’azienda si trasferiva in un capannone più idoneo, in una località limitrofa denominata Ronzino.
Ibidem.
62
Ibidem.
63
Ibidem.
64
58
Dalle radici a una nuova identità. Vergato tra sviluppo economico e cambiamento sociale (1945-2014)
Tra le realizzazioni più importanti della ditta Tonioni va menzionata la balaustra
dell’altare della Basilica della Beata Vergine di San Luca65.
Nello stesso ambito va ricordata l’attività di Francesco Rondelli, storico titolare della ditta Frama, che produce articoli in metallo prevalentemente per
l’edilizia. Il padre e il nonno erano fabbri e realizzavano strumenti per l’agricoltura e cerchi per le ruote dei carri; Francesco Rondelli, invece, ha gestito
la trasformazione della produzione, a seguito della compressione dei mercati
tradizionali, riorientandola verso l’ambito delle costruzioni. Nel medesimo segmento merceologico operava la ditta F.lli Masotti, nata nel 1973 per iniziativa
di Giovanni Masotti, ex dipendente dell’acqua Cerelia che decise di licenziarsi e intraprendere un nuovo percorso insieme al fratello Ermanno. Nel 1980,
quest’ultimo decise di cambiare professione e la società si trasformò in ditta individuale. Un’altra figura imprenditoriale da ricordare è quella di Sergio Bisonti, nato nel 1944 e fondatore di un’omonima ditta di lavorazione dell’argento.
Apprendista elettricista inizialmente assunto all’Ilm, rinunciò a questo impiego
per lavorare a Bologna presso la fonderia d’argento Bruno Scanabissi. Nel 1966
decise di mettersi in proprio, aprendo un laboratorio a Vergato, poi diventato un
crogiuolo di saperi artigianali e artistici nella lavorazione dell’argento. Nell’impresa sono successivamente entrati i figli Elena e Claudio. Nella lavorazione
della pietra, invece, bisogna ricordare Augusto Bernardi, anch’egli nipote e figlio di artigiani scalpellini, e tra i massimi esperti del comprensorio nel trattamento di marmo e granito, soprattutto verso un utilizzo di questi materiali per
l’arte funeraria66.
Fra i falegnami va certamente menzionato Tito Gianni, ex dipendente della
Falegnameria Zaccagni di Bologna, che nel 1971 aprì un proprio laboratorio a
Riola, inizialmente dotato di un solo motore elettrico e di un ginepraio di cinghie
di trasmissione che davano movimento a soli due macchinari, e cioè una pialla
a filo e una pialla a spessore. Tra le sue opere più importanti, ci sono le panche
della chiesa di Riola progettata e realizzata da Alvar Aalto67.
Nel settore dell’abbigliamento, spicca la Gp che produce vestiti femminili utilizzando i marchi Raphael e Rph. Nata nel 1977 vanta oggi circa settanta addetti
e una produzione di tutto rispetto. Alcune altre piccole e medie realtà imprenditoriali che meritano di essere menzionate nell’economia vergatese di ieri e di
oggi sono il tappetificio Baruffi, molto attivo fino agli anni della seconda guerra
mondiale, la Tipografia Ferri, poi Nuova tipografia ferri, che ha chiuso di recente,
Ibidem.
65
Ibidem.
66
Ottorino Gentilini, Chiesa di Alvar Aalto. Riola: non solo architettura, Riola, Associazione Riola di
più e Amici per lo sviluppo del paese, 2012.
67
Tito Menzani, Agricoltura e manifattura
59
la Società legnami vergatese (Soleve) che dal 1986 si occupa di carpenteria, la
Bbm che opera nella meccanica di precisione e la Costruzioni Enrico Deluca in
ambito edile.
5. La cooperazione e il credito cooperativo
Il movimento cooperativo continua a vivere una straordinaria stagione di vivacità imprenditoriale, che in Italia lo rende protagonista o coprotagonista in vari
comparti economici, dall’agroalimentare alle costruzioni, dalla grande distribuzione ai servizi, dal credito alle assicurazioni. L’Emilia-Romagna è indubbiamente una delle culle storiche della cooperazione, e dal tardo Ottocento ad oggi
ha visto intrecciarsi, sovrapporsi e consolidarsi diversi percorsi di maturazione
imprenditoriale autogestita, cosicché ancora oggi le principali e più grandi cooperative italiane sono quasi tutte concentrate in questa regione. Storicamente,
fra alterne vicende, un tessuto di piccoli e medi sodalizi, distribuiti capillarmente
e ben radicati sul territorio si è via via rinnovato e irrobustito attraverso vari livelli di unificazione o reinvestendo ciclicamente i proventi della propria attività,
per cui anno dopo anno, bilancio dopo bilancio, si sono originate cooperative di
rilevanza nazionale.
In ambito storiografico, questi percorsi di maturazione e sviluppo sono stati studiati a partire dalle imprese più virtuose e dinamiche, localizzate principalmente nei centri urbani, ma anche nelle zone di pianura. Nell’immaginario
collettivo, quindi, le comunità della via Emilia, così come le plaghe della Bassa,
sono diventate il luogo principale dell’agire cooperativo, dove si incontravano
idealmente il proselitismo degli intellettuali, l’attivismo della classe operaia, il
civismo dei ceti medi, e l’irrequietezza delle masse bracciantili. Letta attraverso
questo paradigma – proprio del senso comune, ma acquisito parzialmente anche dalla storiografia – la zona appenninica sembra apparentemente ai margini
dello sviluppo cooperativistico. In realtà, come mostreremo in questo paragrafo, anch’essa è stata caratterizzata da un movimento cooperativo abbastanza
fiorente ed articolato, che però pare differenziarsi nei tempi e nei modi dalla
cooperazione dell’alta e bassa pianura emiliano-romagnola68.
68
Tito Menzani, La cooperazione in Emilia-Romagna. Dalla Resistenza alla svolta degli anni settanta, Bologna, Il Mulino, 2007. Più in generale, sulla storia del movimento cooperativo, cfr. Massimo
Fornasari, Vera Zamagni, Il movimento cooperativo in Italia, Firenze, Vallecchi, 1997.
60
Dalle radici a una nuova identità. Vergato tra sviluppo economico e cambiamento sociale (1945-2014)
Data l’esigenza di recuperare determinate lacune conoscitive, e di iniziare
a studiare le cooperative nell’area collinare e montuosa dell’Emilia-Romagna,
questa ricerca sulla comunità di Vergato può rappresentare un interessante
case study per sviluppare considerazioni di ben più ampio respiro69. In sintesi,
è una ricerca che va oltre l’interesse per la storia locale di Riola o di Cereglio,
per aprirsi a riflessioni generali sullo sviluppo imprenditoriale cooperativo nelle
aree depresse o meno virtuose. Infatti, la valle del Reno rappresenta un contesto
per certi versi opposto a quello della pianura, dove la cooperazione si è sempre
confrontata con un’economia dinamica e spesso caratterizzata da trend di crescita, e da una sovrabbondanza di manodopera che trovava occupazione nelle
cooperative di lavoro. A Vergato, invece, ha fatto a lungo i conti con un generale spopolamento che si è accompagnato ad una stagnazione economica più o
meno evidente.
Grazie al Repertorio delle cooperative di Bologna e Provincia (1883-1987)70,
siamo stati in grado di elaborare un’attendibile e solida base statistica, che ci
facilita nella lettura del fenomeno cooperativo. In particolare, si è nella condizione di ricostruire gli assetti quantitativi del movimento a Vergato dal 1945 al
1987 (tab. 4).
Innanzi tutto occorre precisare che nella storia di questa comunità una cooperativa si staglia nettamente al di sopra delle altre, a rappresentare – in termini
di importanza economica, di impegno sociale e di popolarità – un indiscutibile
punto di riferimento. Si tratta della Banca di credito cooperativo di Vergato, nata
oltre un secolo fa e degna di interesse storiografico anche al di fuori dei circuiti
di storia locale. Infatti, non è solamente la più longeva cooperativa vergatese tra
quelle in attività, ma anche una delle più antiche cooperative di credito italiane
giunte fino a noi senza passare attraverso unificazioni e accorpamenti che talvolta hanno inciso a vario titolo sul grado di radicamento locale.
Fondata il 2 marzo del 1905 con il nome di Cassa rurale di depositi e prestiti
di Calvenzano e Malfolle, ebbe la prima sede presso la parrocchia di Calvenzano e il parroco, don Quinto Ungarelli, come primo presidente71. Era in assoluto
la seconda cooperativa vergatese – nel 1897 era nata la Cassa rurale di Riola
di Montecavalloro, destina però a una vita molto breve – legata all’associazionismo cattolico e alla rete delle cosiddette casse rurali italiane. L’istituto della
cassa rurale, introdotto in Italia da Leone Wollemborg, portava ancor più alle
Cfr., anche, Tito Menzani, «Uniti contro la stagnazione e lo spopolamento»: lo sviluppo del movimento cooperativo, in Maggiorani, Zagatti (a cura di), La montagna dopo la guerra, cit., pp. 369-386.
69
70
Anna Gurioli, Elena Romagnoli (a cura di), Repertorio delle cooperative di Bologna e Provincia
(1883-1987), Bologna, Federcoop, 1987.
Alfredo Marchi, Franco Gamberi (a cura di), Vergato e la sua chiesa, 1578-1978, Vergato, Ferri,
1978.
71
Tito Menzani, Agricoltura e manifattura
61
estreme conseguenze gli elementi di novità del credito popolare ottocentesco72.
È stato più volte sottolineato come la forte contaminazione etica rendesse le
casse rurali una sorta di ircocervo arduo da spiegare in termini di economia classica, quasi un paradosso o una concezione d’illusi. Erano società di credito senza
capitale, con soci composti da agricoltori isolati nelle campagne o fra i monti,
che ottenuto il credito a breve scadenza pretendevano di concederlo a lunga
scadenza; ma soprattutto traevano forza da ciò che in genere era un elemento
di debolezza e cioè la circoscrizione locale e la limitazione delle operazioni a
una sfera molto ristretta73.
E invece questa tipologia bancaria fiorì in tutta Italia, in certi territori – come
quello dell’Appennino bolognese – in maniera sorprendentemente capillare. Il
modello della Cassa di Calvenzano e Malfolle fu imitato da altre comunità vergatesi e nel 1907 nacquero la Banca dell’Appennino e la Cassa rurale di Tolè, che
avrebbero chiuso i battenti nel corso della seconda guerra mondiale. Invece, la
Cassa di Calvenzano e Malfolle fu l’unica cooperativa di Vergato ad attraversare
indenne la fase 1940-1945, e a coadiuvare l’importante momento della ricostruzione, forte di un retroterra di esperienze e di solidità.
Negli anni del miracolo economico, che in tutta la valle del Reno furono contraddistinti più dallo spopolamento che da un effettivo sviluppo delle attività
produttive, la Cassa rurale di Calvenzano e Malfolle rappresentò un importante
freno all’emorragia endemica che colpì anche il comprensorio vergatese, contribuendo alla riattivazione di importanti circuiti economici locali. Le presidenze di
Attilio Ferri (1945-1965) e di Amedeo Romagnoli (1965-1979) furono decisive nel
dare una struttura più consistente a questo istituto di credito, che nel 1975 cambiò nome in Cassa rurale ed artigiana di Vergato, proprio perché aveva esteso la
propria attività a soci e clienti distribuiti su tutto il territorio comunale74.
Gli anni Ottanta e Novanta furono anch’essi all’insegna della crescita, con la
presidenza di Giorgio Gherla (1979-2000) a sancire due importanti traguardi nella storia di questa banca. Il primo fu il trasferimento della sede a Vergato, prima
in piazza Capitani della Montagna n. 9 e poi nell’attuale prestigioso stabile di via
Monari n. 27 (completamente ristrutturato nel 1998); il secondo fu il recepimento delle nuove normative della riforma bancaria del 1993, con l’approvazione di
un testo unico che ridisegnò i confini dell’attività creditizia.
72
Andrea Leonardi, Dalla beneficenza al mutualismo solidale: l’esperienza cooperativa di F.W. Raiffeisen ed i suoi primi riflessi in Italia, in Vera Zamagni (a cura di), Povertà e innovazioni istituzionali
in Italia. Dal Medioevo ad oggi, Bologna, Il Mulino, 2000, pp. 551-583.
Pietro Cafaro, La solidarietà efficiente. Storia e prospettive del credito cooperativo in Italia (18832002), Roma-Bari, Laterza, 2002.
73
Valeria Ferrozzi, Annalena Minghetti (a cura di), Cassa rurale ed artigiana di Vergato, 1905-1978,
Bologna, Centro grafico cooperativo, 1978.
74
62
Dalle radici a una nuova identità. Vergato tra sviluppo economico e cambiamento sociale (1945-2014)
In particolare si introdussero incentivi alla formazione di gruppi, ma si cercò
anche di rendere questo genere di mercato più concorrenziale. Una delle norme
più importanti e innovative all’interno del testo unico fu l’art. 10, che modificò il
significato di banca, definendo il carattere imprenditoriale dell’attività – quando,
in precedenza, era un ente emanazione dello Stato o sotto lo stretto controllo di
quest’ultimo –, consistente nella raccolta di risparmio tra il pubblico e l’esercizio
del credito. Anche le casse rurali, ridefinite banche di credito cooperativo, poterono quindi operare con maggiore libertà75.
La Banca di credito cooperativo di Vergato iniziò una strategia di ampliamento del proprio bacino d’utenza, aprendo tre nuove filiali a Castel d’Aiano (1992),
a Riola (1994) e a Marzabotto (2000). Questa strategia di ulteriore radicamento
nel territorio circostante è proseguita durante le presidenze di Giovanni Calori
(2000-2003) e di Viviano Fiori, eletto nel 2003 e attualmente in carica. In particolare, nel 2004 e nel 2007 sono stati aperti due sportelli bancomat, rispettivamente a Pian di Venola e a Tolè.
Attualmente la Banca di credito cooperativo di Vergato ha come direttore
generale Edgardo Fornasero, vanta 26 dipendenti e circa 1.200 soci – nel 2002
erano 680 –, e si appresta a festeggiare le storico traguardo dei 110 anni di vita,
a sancire un ruolo vivace e dinamico a sostegno dell’economia montana e del
tessuto sociale ed imprenditoriale della media e alta valle del Reno.
Tab. 4 - Le imprese cooperative a Vergato (1945-1987)
Denominazione
Fondazione
Cessazione
Settore
Centrale
Primo presidente
Cassa r. di dep. e prest. di
Calvenzano e Malfolle
02/03/1905
(*)
Credito
Confcoop.
Quinto Ungarelli
Coop. di consumo la Rinascente di Riola
24/05/1945
(**)
Consumo
Legacoop
Non disponibile
Coop. di cons. del popolo
del com. di Vergato
14/10/1945
(**)
Consumo
Legacoop
Non disponibile
Cooperativa comunale
edilizia di Vergato
15/02/1947
11/04/1952
Costruzioni
Non iscr.
Adamo Aurori
Cooperativa agricola del
comune di Vergato
08/03/1947
10/02/1956
Agroalim.
Non iscr.
Non disponibile
Coop. reduci e partigiani
costruz. edili e affini
16/05/1948
03/04/1950
Costruzioni
Non iscr.
Augusto Mei
75
Alberto Cova, Giuseppe Scidà (a cura di), Cooperazione di credito e sviluppo sociale ed economico delle campagne in Emilia Romagna, Bologna, Federazione delle casse rurali ed artigiane
dell’Emilia-Romagna, 1983; Massimo Fornasari, Il credito cooperativo in Emilia Romagna. Le strutture di secondo livello dalla ricostruzione alle soglie del duemila (1945-1996). Storia e testimonianze,
Bologna, Federazione delle banche di credito cooperativo dell’Emilia-Romagna, 1997.
Tito Menzani, Agricoltura e manifattura
63
Denominazione
Fondazione
Cessazione
Settore
Centrale
Primo presidente
Strade e trasporti (***)
07/07/1948
19/03/1957
Costruzioni
Non iscr.
Luigi Bonani
Coop. agricola tra i soci
delle Acli di Vergato
21/02/1949
06/03/1956
Agroalim.
Confcoop.
Mario Tinti
La Vergatese, soc. coop. di
cons. a resp. lim.
23/03/1951
02/02/1966
Consumo
Legacoop
Tullio Diamanti
Cooperativa di consumo
di Riola
15/07/1951
07/04/1967
Consumo
Non iscr.
Mario Cesarini
Circolo culturale e ricreativo di Val Croaro
16/02/1952
25/08/1955
Ricreativo
Non iscr.
Alberto Bondi
Caseificio Ca’ Bortolani
16/04/1954
09/01/1959
Agroalim.
Non iscr.
Pietro Sapori
Coop. edificatrice Rinascita inquilini Vergato
04/08/1957
(****)
Abitanti
Lagacoop
Remo Zanna
Cooperativa produttori
agricoli Valle Reno
28/07/1958
21/05/1963
Agroalim.
Non iscr.
Non disponibile
Coop. di produzione e
lavoro Acli di Riola
23/03/1961
(*****)
Costruzioni
Confcoop.
Gino Marata
Caseificio sociale cooperativo vergatese
03/05/1962
in attività
Agroalim.
Confcoop.
Domenico Bedon
Caseificio cooperativo
Case Bortolani
13/09/1962
in att. (§)
Agroalim.
Non iscr.
Carlo Fini
Cooperativa edificatrice
Vergato
30/01/1964
21/04/1971
Abitanti
Non iscr.
Renato Scuda
Cooperativa Pieve Roffeno
18/05/1967
(******)
Agroalim.
Confcoop.
Giuseppe Lolli
Cooperativa agricola San
Giorgio
01/02/1968
08/01/1977
Agroalim.
Confcoop.
Federico Labanti
Cons. fra coop latt.-casear.
sx Reno (Consire)
08/05/1970
Non disp.
Agroalim.
Confcoop.
Luigi Lucchi
Produttori ciliegie della
Valle del Reno
25/05/1970
Non disp.
Agroalim.
Non iscr.
Bruno Tartarini
Stalla sociale di Vergato
18/12/1972
25/06/1992
Agroalim.
Confcoop.
Arturo Colombarini
Cooperativa agricola Il
Casone
12/08/1976
08/09/1989
Agroalim.
Non iscr.
Francesco Minelli
Cooperativa Rimapre
16/02/1977
Non disp.
Agroalim.
Non iscr.
Antonio Righi
Cooperativa edificatrice
Ragalupi
16/02/1977
Non disp.
Abitanti
Confcoop
Riccardo Righi
Cooperativa agricola polivalente Vallefiorita
21/03/1987
Non disp.
Agroalim.
Non iscr.
Marco Mazzetti
Avvertenza: Sono contemplate solo le cooperative che hanno o hanno avuto sede legale nel
Comune di Vergato, e non quelle che hanno mantenuto qui la sede amministrativa o una unità
locale.
Nota (§): Il Caseificio cooperativo Case Bortolani è attualmente nel Comune di Savigno.
Nota (*): In data 13/04/1975 cambiò nome in Cassa rurale ed artigiana di Vergato, e il
64
Dalle radici a una nuova identità. Vergato tra sviluppo economico e cambiamento sociale (1945-2014)
15/05/1994 ha assunto la denominazione di Banca di credito cooperativo di Vergato.
Nota (**): In data 09/12/1949 fu incorporata dalla Cooperativa di consumo Valle del Reno,
dichiarata fallita il 18/03/1960.
Nota (***): In data 22/04/1950 venne cambiato nome in Cooperativa edile strade e trasporti
affini Bologna (Cestab).
Nota (****): In data 10/04/1979 ha incorporato la Cooperativa edificatrice porrettana, e poi il
17/01/1984 è stata assorbita dalla Cooperativa edificatrice comprensoriale Murri.
Nota (*****): In data 04/02/1985 cambiò nome in Cooperativa edile Vallereno, ma si sciolse alcuni anni dopo; una parte delle maestranze e dell’attività fu assorbita dalla Cooperativa edile
Appennino (Cea), ad oggi esistente e con sede a Sacerno, nel Comune di Calderara di Reno.
Nota (******): In data 30/04/1986 trasferì la propria sede nel comune di Castel d’Aiano.
Fonti: Anna Gurioli, Elena Romagnoli (a cura di), Repertorio delle cooperative di Bologna e
Provincia (1883-1987), Bologna, Federcoop, 1987. I dati successivi al 1987 sono stati reperiti
dalle seguenti fonti: gazzetta ufficiale n. 294 del 18 dicembre 1989 e n. 63 del 16 marzo 2004.
Se la Cassa rurale (poi Bcc) di Vergato è stata indubbiamente l’impresa cooperativa principale di questo Comune, vi sono comunque altre esperienze – riepilogate nella tabella 4 – che meritano di essere ricordate. In particolare, nel settore
commerciale la Cooperativa di consumo la Rinascente di Riola e la Cooperativa
di consumo del popolo del Comune di Vergato, ambedue nate nel 1945 e poi
incorporate quattro anni dopo dalla Cooperativa di consumo Valle del Reno,
fallita nel 1960. Tuttavia, nel 1951, risorgevano sia a Riola che a Vergato due cooperative di consumo, che però ebbero una vita abbastanza stentata e cessarono
l’attività fra il 1966 e il 1967. La cooperazione di consumo è ricomparsa a Vergato nel 1994, quando è stato aperto un supermercato di Coop Reno. Quest’ultima
è nata nel 1989 e si è rapidamente sviluppata grazie all’acquisizione di diversi
punti vendita di Coop Emilia Veneto (oggi Coop adriatica) e di Coop Estense e
con l’incorporazione di altre cooperative, come la Popolare di Medicina, la Coop
Delta di Rovigo e la Coop Bosco Mesola, e soprattutto la Coop Tre Valli, che ha
storicamente insistito sull’Appennino orientale bolognese76.
In ambito agricolo e agroalimentare si è registrato un analogo dinamismo.
Nel 1947 nacque la cooperativa agricola del Comune di Vergato che riuniva
principalmente piccoli proprietari e mezzadri e che si occupava di fornire loro
assistenza, in termini di acquisti collettivi di semente, antiparassitari e simili, o
di servizi di nolo di trattrici e trebbiatrici. Tuttavia, questa attività terminò nel
1956. Un’altra esperienza simile, quella della Cooperativa agricola fra i soci delle Acli di Vergato, legata ai circuiti associazionistici cattolici, ebbe un tragitto
analogo: fondata nel 1949, chiuse definitivamente nel 1956. Viceversa, ebbero
successo varie esperienze cooperative nate nel corso degli anni Cinquanta e
Sessanta, in particolare nel settore lattiero-caseario e per lo più nell’orbita di
Sulla Coop Reno, cfr. Dieci anni di attività per cento anni di storia. 1989-1999, Coop Reno, Bologna, s.n., 1999.
76
Tito Menzani, Agricoltura e manifattura
65
Confcooperative, centrale associativa di tradizione cattolica.
Nel comparto delle costruzioni, invece, dopo gli insuccessi della Cooperativa comunale edilizia, della Cooperativa reduci e partigiani e della Cooperativa
strade e trasporti (poi Cestab), che operarono solo per pochi anni nel secondo
dopoguerra, nel 1961 fu fondata la Cooperativa di produzione e lavoro Acli di
Riola che presidiò per circa tre decenni il settore dell’edilizia residenziale e dei
lavori affini. Da ricordare, infine, l’esperienza della Cooperativa edificatrice Rinascita inquilini Vergato, attiva nel settore dell’abitazione a proprietà indivisa; nel
1979 assorbì la Cooperativa porrettana e cinque anni dopo fu incorporata dalla
Cooperativa Murri di Bologna77.
Nel complesso, quindi, il movimento cooperativo vergatese si è segnalato
per un indiscusso dinamismo, ma anche per una elevata natimortalità, con numerose esperienze che si sono concluse nel giro di pochi anni. Radicato nei
settori storici della cooperazione – agroalimentare, consumo, costruzioni, abitazione, credito – ha visto una lieve prevalenza di iscritte a Confcooperative
rispetto a Legacoop, aspetto del resto comune ad altri comprensori della montagna bolognese78.
Mario Viviani (a cura di), Abitante, socio, cittadino. Un sopralluogo sulla cooperazione di abitanti,
Bologna, Clueb, 2010.
77
Menzani, «Uniti contro la stagnazione e lo spopolamento», cit.
78
Dalle radici a una nuova identità.
Vergato tra sviluppo economico e cambiamento sociale (1945-2014)
a cura di Eloisa Betti e Carlo De Maria
Bologna (BraDypUS) 2014
ISBN 978-88-98392-07-0
pp. 67-90
Sezione fotografica
Nota introduttiva
Nelle seguenti pagine, sono state raccolte varie immagini relative alla comunità
vergatese tra gli anni della Seconda guerra mondiale e oggi. Si tratta di fotografie a corredo dei testi del volume, che quindi illustrano vari momenti di vita
materiale, contesti istituzionali, attività economiche, manifestazioni popolari e
simili. Naturalmente, per ragioni di spazio, si è operata una selezione sulla base
di un numero di immagini superiore, senza alcuna pretesa di dare origine a una
rassegna iconografica esaustiva, ma solo con l’intento di documentare visivamente tasselli del recente passato di Vergato e delle sue frazioni.
Siamo davvero grati a tutti coloro che ci hanno fornito e autorizzato a pubblicare queste fotografie. Ringraziamo in particolare Mauro Chinni, che attraverso
il sito http://vergatonews24.it, insieme con altri collaboratori, ha dato origine a
una vera e propria Banca della Memoria vergatese. Un ringraziamento va anche
a tutti coloro che hanno contribuito alla costruzione del gruppo facebook “Sei di
Vergato se...”, che raccoglie preziose fotografie private oggi nuovamente visibili.
Grazie anche a Giuliana Degli Esposti per le fotografie delle manifestazioni sindacali e delle lotte sociali, ad Anna e Franco Cambisi che conservano alcune foto
di famiglia su questo territorio, nonché a tutti i proprietari delle foto, menzionati
nelle didascalie delle singole immagini, che le hanno condivise on line all’interno dei siti sopra ricordati.
68
Dalle radici a una nuova identità. Vergato tra sviluppo economico e cambiamento sociale (1945-2014)
Foto aerea del bombardamento di Vergato (27
novembre 1943). Fonte:
Ezio Trota, Cronache di
guerra fra Reno e Samoggia, Modena, Il Fiorino, 2000; proprietario
della foto: National air
and space museum, Washington (rif. 3-A25933).
Macerie dopo i bombardamenti. Fonte: http://vergatonews24.it; proprietario della foto: Dino
Dondarini.
Sezione fotografica
69
Vergatesi sfollati a Tolè negli ultimi mesi della Seconda guerra mondiale. Fonte: http://vergatonews24.it; proprietaria della foto: Gina Diamanti.
Le truppe alleate liberano
Vergato. Fonte:
Eddy Bauer (a
cura di), Storia
controversa
della Seconda
guerra mondiale, Novara, Istituto
geografico De
Agostini, 197677, vol. 7, p.
146; proprietario della foto:
United States
of America
Army.
70
Dalle radici a una nuova identità. Vergato tra sviluppo economico e cambiamento sociale (1945-2014)
Il Pincio di Vergato nel 1945: Fonte: http://vergatonews24.it (archivio privato).
Laura Orlandi (Vergato, 22.12.1912 - Bologna, 27.04.2012), una delle tante giovani
vergatesi che nel secondo dopoguerra si
trasferì a Bologna. Nella foto è in compagnia dell’allora fidanzato e poi futuro
marito Carlo Cambisi. Proprietari della
foto: Anna e Franco Cambisi.
Sezione fotografica
71
Il vergatese Dino Dondarini in posa sulla Lambretta dello zio Osvaldo Nannetti (seconda
metà degli anni Quaranta). Fonte: http://vergatonews24.it; proprietario della foto: Dino
Dondarini.
Alcuni bambini vergatesi in uno scatto del 1950. Fonte: http://vergatonews24.it; proprietario
della foto: Tullio Bernardi.
72
Dalle radici a una nuova identità. Vergato tra sviluppo economico e cambiamento sociale (1945-2014)
Gruppo di scalpellini di Montovolo (primi anni Cinquanta). Fonte: http://vergatonews24.it
(archivio privato).
Una famiglia nei
pressi del guado del
fiume Vergatello
(1956). Fonte: http://
vergatonews24.it;
proprietario della
foto: Marco Carboni.
Sezione fotografica
73
L’esercizio commerciale di Dante Stefanelli negli anni del boom economico. Fonte: http://
vergatonews24.it e “Sei di Vergato se…”; proprietaria della foto: Adele Stefanelli.
Donne e ragazze vergatesi a un corso di taglio e cucito (anni Cinquanta). Fonte: “Sei di Vergato se…”; proprietaria della foto: Adele Stefanelli.
74
Dalle radici a una nuova identità. Vergato tra sviluppo economico e cambiamento sociale (1945-2014)
Una situazione conviviale dopo un corso sull’utilizzo della macchina da cucire (anni Cinquanta). Fonte: “Sei di Vergato se…”; proprietaria della foto: Adele Stefanelli.
La trebbiatura a Calvenzano (1957). Fonte: http://vergatonews24.it; proprietario della foto:
Augusto Serra.
Sezione fotografica
75
Una processione al Pincio
(1958). Fonte: http://vergatonews24.it (archivio
privato).
Inaugurazione dell’allacciamento idrico domestico a Susano (anni Cinquanta). Fonte:
http://vergatonews24.it; proprietaria della foto: famiglia Nicoletti.
76
Dalle radici a una nuova identità. Vergato tra sviluppo economico e cambiamento sociale (1945-2014)
Una scena della festa dei ferrovieri (1959). Fonte: http://vergatonews24.it; proprietaria della
foto: Anna Andreoli.
Gianni Marchi e Giorgio Carboni, ragazzi vergatesi, si tuffano nel cosiddetto “Pozzone”, ossia
nel punto in cui il Vergatello passa sotto al ponte della provinciale per Cereglio. Fonte:
http://vergatonews24.it; proprietario della foto: Gianni Marchi.
Sezione fotografica
Il funerale di Attilio Ferri, titolare dell’omonima tipografia (1964). Fonte: http://vergatonews24.it; proprietaria della foto: Milly Ferri.
Lo stabilimento della Industria leghe metalliche (Ilm). Fonte: http://vergatonews24.it; proprietaria della foto: Carla Damiani Pancaldi.
77
78
Dalle radici a una nuova identità. Vergato tra sviluppo economico e cambiamento sociale (1945-2014)
Gruppo di lavoratrici di Vergato (anni Sessanta).
Fonte: “Sei di Vergato se…”; proprietario della foto:
Gionata Possenti.
Sezione fotografica
79
Disegno della macchina per il tiro a segno realizzata dal vergatese Giuseppe Sibani sul finire
degli anni Cinquanta. Fonte: http://vergatonews24.it; proprietaria della foto: famiglia Sibani.
Evento pubblico organizzato dall’Arma dei Carabinieri a Vergato (anni Settanta). Fonte:
http://vergatonews24.it; proprietari della foto: Giovanna e Aldo Vitali.
80
Dalle radici a una nuova identità. Vergato tra sviluppo economico e cambiamento sociale (1945-2014)
Cittadini nel centro di Vergato (anni Settanta). Fonte: http://vergatonews24.it; proprietaria
della foto: famiglia Venturi.
Alcuni caratteristici carri del Carnevale di Vergato (1953). Fonte: http://vergatonews24.it e
“Sei di Vergato se…”; proprietaria della foto: Adele Stefanelli.
Sezione fotografica
81
Un carro della foto precedente nel dettaglio. Fonte: “Sei di Vergato se…”; proprietaria della
foto: Adele Stefanelli.
Un’altra scena del carnevale negli anni Cinquanta. Fonte: http://vergatonews24.it; proprietario della foto: Dino Dondarini.
82
Dalle radici a una nuova identità. Vergato tra sviluppo economico e cambiamento sociale (1945-2014)
Il carro realizzato dalla Officina F.lli Mascagni (anni Cinquanta). Fonte: http://vergatonews24.
it; proprietario della foto: Gianluca Mascagni.
La sfilata carnevalesca nel centro storico (anni Ottanta). Fonte: http://vergatonews24.it; proprietario della foto: Stefano Palmieri.
Sezione fotografica
Una manifestazione sindacale (Vergato, 27 maggio 1980). Proprietaria della foto: Giuliana
Degli Esposti.
Una manifestazione sindacale (Vergato, 27 maggio 1980). Proprietaria della foto: Giuliana
Degli Esposti.
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Dalle radici a una nuova identità. Vergato tra sviluppo economico e cambiamento sociale (1945-2014)
Lavoratrici e lavoratori manifestano nel centro di Vergato (10 ottobre 1980). Proprietaria
della foto: Giuliana Degli Esposti.
Lavoratrici e lavoratori manifestano nel centro di Vergato (10 ottobre 1980). Proprietaria
della foto: Giuliana Degli Esposti.
Sezione fotografica
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Lavoratrici e lavoratori manifestano nel centro di Vergato (10 ottobre 1980). Proprietaria
della foto: Giuliana Degli Esposti.
Una delle «gimcane trattoristiche» organizzate
dal movimento
giovanile vergatese negli anni
Ottanta. Fonte:
http://vergatonews24.it (archivio privato).
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Dalle radici a una nuova identità. Vergato tra sviluppo economico e cambiamento sociale (1945-2014)
La giornata del ringraziamento (1983). Fonte: http://vergatonews24.it (archivio privato).
Alcune automobili rielaborate dalla ditta F.lli Venturi per le corse di rally e simili (anni Settanta). Fonte: http://vergatonews24.it; proprietaria della foto: famiglia Venturi.
Sezione fotografica
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La sagra della ciliegia (tra anni Sessanta e Settanta). Fonte: http://vergatonews24.it; proprietario della foto: Dino
Dondarini.
Presidio sindacale presso lo stabilimento dell’Arcotronics (aprile 1989). Proprietaria della
foto: Giuliana Degli Esposti.
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Dalle radici a una nuova identità. Vergato tra sviluppo economico e cambiamento sociale (1945-2014)
Una manifestazione in piazza Capitani della Montagna (7 ottobre 1994). Proprietaria della
foto: Giuliana Degli Esposti.
Una manifestazione in piazza Capitani della Montagna (7 ottobre 1994). Proprietaria della
foto: Giuliana Degli Esposti.
Sezione fotografica
Lo scultore vergatese Alfredo Marchi e il sindaco Pasquale Colombi
inaugurano un’opera artistica (1997). Fonte: http://vergatonews24.it
(archivio privato).
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Dalle radici a una nuova identità. Vergato tra sviluppo economico e cambiamento sociale (1945-2014)
Edizione di Artolè (1997). Fonte: http://vergatonews24.it (archivio privato).
Dalle radici a una nuova identità.
Vergato tra sviluppo economico e cambiamento sociale (1945-2014)
a cura di Eloisa Betti e Carlo De Maria
Bologna (BraDypUS) 2014
ISBN 978-88-98392-07-0
pp. 91-119
Lavoro, lotte sociali,
partecipazione politica.
Storie di donne e di uomini
eloisa betti
1. Considerazioni introduttive
Il secondo Novecento, periodo di riferimento di questo saggio, appare particolarmente eterogeno quanto a partecipazione politica e lotte sociali. Laddove i
primi decenni post-bellici hanno conosciuto in molti contesti, e in particolare
nella provincia di Bologna, un’importante partecipazione politica e una significativa mobilitazione contadina e operaia, a partire dalla fine degli anni Ottanta
queste forme di partecipazione hanno indubbiamente conosciuto un forte ridimensionamento come conseguenza di processi più generali come la crisi dei
partiti politici tradizionali e il ridimensionamento del ruolo storico della classe
operaia.
Questo saggio intende prendere in esame, senza pretese di completezza, alcuni frammenti della storia sociale e del lavoro di Vergato focalizzando l’attenzione soprattutto sui primi tre decenni post-bellici che coincidono con la
cosiddetta “età dell’oro”, secondo la definizione dello storico britannico Eric J.
Hobsbwam1. Il contesto vergatese, come emerge a chiare lettere dal saggio di
Tito Menzani compreso in questo volume, presenta alcuni tratti peculiari rispetto alle periodizzazioni tradizionali della storia economica – come la mancata
crescita degli anni del boom – che incisero direttamente sulle forme e sull’entità
della partecipazione politica e delle lotte sociali. Il fenomeno dello spopolamento e in seguito quello del pendolarismo influenzarono indubbiamente quantità, modalità e forme delle lotte sociali sul territorio vergatese, per non parlare
Eric J. Hobsbawm, Il secolo breve, Milano, Rizzoli, 1995.
1
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Dalle radici a una nuova identità. Vergato tra sviluppo economico e cambiamento sociale (1945-2014)
del più generale impatto della disoccupazione e della sottoccupazione, di grande importanza per comprendere le forme di mobilitazione soprattutto nel primo
decennio post-bellico.
La collocazione geografica di Vergato nel contesto della cosiddetta “montagna” bolognese è un aspetto che merita particolare attenzione per l’analisi dei
tre aspetti presi in esame in questo saggio: lavoro, partecipazione politica e lotte
sociali. Dall’analisi della documentazione di carattere politico-sindacale, a partire dai verbali del Comitato federale del Pci bolognese e dai resoconti redatti
da organizzazioni sindacali come la Fiom bolognese, emerge come la zona della
montagna fosse ritenuta problematica sotto il profilo della partecipazione politico-sindacale tanto alle iniziative di carattere locale che nazionale. In queste
analisi, un’attenzione specifica veniva spesso riservata alle presunte cause che,
secondo gli osservatori e dirigenti dell’epoca, ostacolavano una partecipazione
più massiva da parte della popolazione “montanara”. I funzionari del Pci responsabili dell’area della montagna, tra cui in particolare la consigliera comunale di
Vergato Angiolina Guasconi, non si esimevano dall’esaminare criticamente l’operato del partito nelle zone di montagna2. L’analisi politica non era mai disgiunta
da considerazioni sulle condizioni materiali di vita e di lavoro delle popolazioni
di montagna, come emerge dai numerosi interventi di uno dei sindaci chiave nella storia di Vergato, Rino Nanni, il quale proseguì la sua attività per la rinascita
della montagna bolognese anche negli anni del suo mandato in parlamento.
I dati frammentari sugli iscritti al Partito comunista negli anni Cinquanta e
Sessanta, punto di osservazione privilegiato per la connotazione politica di Vergato, testimoniano un’adesione più limitata della popolazione vergatese rispetto a quella cittadina o di altre zone della pianura bolognese, ma non trascurabile3. I pochi dati rinvenuti sulla sindacalizzazione dei lavoratori e delle lavoratrici
vergatesi testimoniano il minor attivismo politico-sindacale della popolazione
della montagna bolognese, rispetto a quella di altre zone della pianura o della
città, impegnate nelle lotte bracciantili o nelle lotte operaie contro la smobilitazione delle fabbriche nel primo decennio post-bellico e nelle battaglie per i
miglioramenti delle condizioni salariali, di lavoro e di vita negli anni del boom.
Difficile trovare riscontri dell’impatto del periodo di forte conflittualità politicosociale degli anni 1968-1973, nei quali la città di Bologna, ma anche vari comuni
della provincia, furono teatro di imponenti mobilitazioni sia nei luoghi di lavoro
che negli spazi pubblici.
Fondazione Gramsci Emilia-Romagna (d’ora in poi Fger), Archivio del Partito comunista italiano,
Federazione provinciale di Bologna (d’ora in poi, Apcibo), Serie “Comitato federale”, Sottoserie “Verbali delle riunioni del Comitato federale”, fasc. “1954” e “1955”.
2
Si veda, ad esempio: Verbale del 16 novembre 1954, in Fger, Apcibo, Serie “Comitato Federale”,
Sottoserie, “Verbali delle riunioni del Comitato federale”, fasc. “1954”.
3
Eloisa Betti, Lavoro, lotte sociali, partecipazione politica. Storie di donne e di uomini
93
Il quadro appena tracciato, che lascia supporre una limitata partecipazione
politico-sindacale della popolazione vergatese nei primi decenni post-bellici,
appare assai più complesso se si esaminano nel dettaglio una serie di eventi
che hanno segnato la storia sociale e del lavoro di questo territorio lasciando
traccia nelle fonti d’archivio, nella stampa coeva, nella memoria dei protagonisti
e nelle fonti fotografiche. Questo saggio intende proporre alcuni sguardi sulle
condizioni di vita e di lavoro, sulla partecipazione politica e sulle lotte sociali
della popolazione vergatese prendendo luoghi, soggetti e individui come punti
d’osservazione privilegiati. Per quanto riguarda i luoghi, la campagna e la fabbrica costituiscono i contesti principali per l’analisi delle lotte sociali e offrono
la possibilità di contestualizzare il caso vergatese nell’ambito della più generale
situazione bolognese e nazionale. Il Comune di Vergato come soggetto attivo
nella discussione e nella risoluzione dei problemi sociali e del lavoro, rappresenta un punto di osservazione particolarmente proficuo per comprendere la
relazione tra politica locale e azione dei vari gruppi sociali. Infine, la biografia di
Angiolina Guasconi – prima donna consigliera comunale e assessore al Comune
di Vergato negli anni Cinquanta – offre la possibilità di inserire il ruolo dei singoli
individui nella più generale storia sociale e politica di un territorio.
Le fonti orali raccolte nell’ambito della ricerca4 hanno avuto un ruolo importante nella ricostruzione delle lotte sociali e delle condizioni di lavoro nelle campagne e nelle fabbriche, consentendo di mettere a fuoco la soggettività
dell’esperienza di lavoro e delle forme di impegno politico-sindacale. La testimonianza di Angiolina, consente anche di mettere a fuoco più da vicino non solo
forme e modalità della partecipazione femminile nell’immediato dopoguerra, a
partire dall’impegno in associazioni femminili come l’Udi, ma anche le difficoltà materiali sperimentate dalle donne vergatesi tra un lavoro extradomestico –
spesso necessario ma assente – e un lavoro molto duro tra le mura domestiche.
La testimonianza di Giuliana Degli Esposti consente invece di approfondire la
mutata condizione femminile negli anni Settanta, il lavoro in fabbrica e l’impegno politico-sindacale che in quel periodo inizia a caratterizzare la vita di un
numero crescente di donne anche a Vergato.
Le fotografie private messe a disposizione per la ricerca, e riferite a lotte sociali e operaie degli anni Settanta, Ottanta e Novanta, ci restituiscono visivamente l’impatto delle forme della partecipazione politico-sindacale a Vergato, evidenziando come anche un piccolo comune di provincia fu teatro di mobilitazioni
che videro proprio negli spazi pubblici, la piazza e le vie del paese, i principali
luoghi dell’azione.
4
Nell’aprile del 2014 sono state realizzate interviste a: Angiolina Guasconi (1929), Amedeo Aldrovandi (1980), Giuliana Degli Esposti (1952), Pasquale Colombi (1956). A queste si aggiunge la breve
testimonianza scritta fornita da Renata Bortolotti.
94
Dalle radici a una nuova identità. Vergato tra sviluppo economico e cambiamento sociale (1945-2014)
Questo saggio mira quindi non tanto ad una ricostruzione puntuale delle lotte
sociali nel territorio vergatese, quanto ad offrire spunti di riflessione sulla storia
sociale di un territorio come quello di Vergato in cui il lavoro, e per lungo tempo
la sua assenza, ha plasmato le forme dell’azione dei vari gruppi sociali e determinato importanti ricadute nell’elaborazione di politiche pubbliche a livello locale.
2. La prima donna in Consiglio comunale: la biografia di Angiolina Guasconi
Ripercorrere gli anni in cui Angiolina maturò il suo impegno politico, che la videro nel 1951 (a soli 22 anni) entrare nel Consiglio comunale di Vergato, consente
di mettere a fuoco alcuni aspetti cruciali della storia sociale di questo territorio,
utili a comprendere come il primo decennio post-bellico rappresentò per il Comune di Vergato un periodo di grande difficoltà ma al contempo di grande civismo e impegno sul piano sociale, valori che ispirarono l’amministrazione comunale nella sua azione quotidiana volta ad alleviare le gravi condizioni materiali
della propria popolazione, a partire ad esempio dai problemi del lavoro e della
crescente disoccupazione.
Angiolina Guasconi, nata a Pioppe di Salvaro (Comune di Grizzana Morandi)
nel 1929, proveniva da una famiglia di cosiddetti “mezzadri poveri”, le cui condizioni materiali di difficoltà spinsero a impiegare le figlie ancora piccolissime nei
lavori dei campi. A soli 14 anni, nel 1943, Angiolina venne assunta alla fabbrica
Industrie Leghe Metalliche (Ilm) del Gruppo Maccaferri, che all’epoca produceva
principalmente trafilati in ferro. Lei stessa ricorda l’esperienza in fabbrica durante la guerra, che si interruppe nel 1944 per la chiusura dello stabilimento in
seguito agli eventi legati al conflitto bellico. Partecipò al salvataggio dei macchinari della fabbrica, che vennero nascosti – come accadde in molte altre fabbriche del Bolognese – per poi essere riportati alla luce all’indomani del conflitto.
Quando è finita la guerra siamo tornati a casa, la casa era completamente distrutta,
comunque anche se vivevo in una baracca di ferro sono tornata a lavorare, abbiamo
scavato dove avevamo sepolte le macchine, le abbiamo tirate fuori, le abbiamo lucidate con la carta vetrata e poi abbiamo iniziato a lavorare. Lavoravamo la vergella che è
grande come un dito e alla fine tiravamo fuori un filo che è grande come un capello5.
Intervista a Angiolina Guasconi, cit.
5
Eloisa Betti, Lavoro, lotte sociali, partecipazione politica. Storie di donne e di uomini
95
Nell’immediato dopoguerra, Angiolina riprese il lavoro in fabbrica, contribuendo
direttamente al ripristino della produzione. In breve divenne attivista sindacale,
impegno che nel 1948 si concretizzò anche sul piano politico attraverso l’adesione al Partito comunista. In una precedente memoria da lei stessa rilasciata,
Angiolina ricorda l’inasprimento delle tensioni all’interno della fabbrica a seguito della rottura della coalizione antifascista nel 1947 e delle elezioni politiche del 1948, che videro la sconfitta del Fronte popolare (di cui il Pci e il Psi
facevano parte) e il prevalere della Democrazia cristiana6. L’attentato a Togliatti dello stesso anno viene ricordato da Angiolina come un momento decisivo,
all’indomani del quale si verificò un inasprimento delle tensioni all’interno della
fabbrica accanto a un peggioramento delle condizioni di lavoro. In particolare, è
la discriminazione dei militanti del Pci e degli attivisti sindacali della Fiom-Cgil
a emergere con forza nel ricordo di Angiolina, fenomeno di carattere nazionale
che sfociò nel licenziamento di migliaia di lavoratrici e lavoratori nella sola provincia di Bologna, come hanno messo in luce studi recenti7.
Quando sono andata a lavorare in fabbrica […] tutto andava bene, facevo parte della
Commissione interna nello stabilimento e un noto ex-fascista di Vergato disse «se vuole che sia tutto libero, calmo nella fabbrica licenzi la Guasconi» e lui disse piano «io le
idee della Guasconi non le condivido ma come operaia io la porto in palmo di mano
perché il suo lavoro è sempre perfetto»8.
Angiolina nelle sue memorie mette in luce come in qualità di membro della
Commissione interna della fabbrica Ilm fu tra i promotori di uno sciopero che
durò ben trenta giorni, durante i quali si adoperò in prima persona per la raccolta di denaro e generi di prima necessità per gli scioperanti. La solidarietà della
popolazione vergatese fu decisiva per la riuscita dello sciopero che portò a conquiste di certo non risolutive, ma all’epoca significative come spogliatoi divisi fra
uomini e donne, tutele per chi lavorava nei reparti nocivi, dieci minuti di pausa
per mangiare9.
Su questi temi si veda, almeno, Paul Ginsborg, Storia d’Italia (1943-1988). Famiglia, società e stato,
Torino, Einaudi, 1989.
6
Eloisa Betti, Elisa Giovannetti, Senza giusta causa. Le donne licenziate per rappresaglia politicosindacale a Bologna negli anni Cinquanta, Bologna, Editrice Socialmente, 2014; Sandro Bellassai,
Noi classe. Identità operaia e conflitto sociale in una democrazia imperfetta (1947-1955), in Luca
Baldissara (a cura di), Democrazia e conflitto. Il sindacato e il consolidamento della democrazie
negli anni Cinquanta (Italia-Emilia-Romagna), Milano, Franco Angeli, 2006.
7
8
Intervista a Angiolina Guasconi, cit.
Angiolina classe 1929, e che classe!!, in Mirella Sovetti, Ivana Spadoni (a cura di), C’era una volta…
I protagonisti raccontano s.l.; s.d.
9
96
Dalle radici a una nuova identità. Vergato tra sviluppo economico e cambiamento sociale (1945-2014)
L’attivismo politico-sindacale di Angiolina subì una svolta quando conobbe
Rino Nanni, segretario della Camera del Lavoro di Vergato dapprima tra il 194849 e nuovamente tra il 1950-195110, anno nel quale venne poi eletto sindaco11.
Angiolina ricorda come proprio Rino Nanni la spinse a svolgere attività sindacale anche al di fuori della sua fabbrica: nel 1948 entrò nell’esecutivo sindacale
della montagna iniziando ad occuparsi in particolare dei problemi dei mezzadri.
Rino Nanni prima di essere in Comune era al sindacato e andava in tutte le frazioni del
Comune di Vergato, ma andandoci solo non avrebbe potuto prendere tutte le richieste
[…] i bisogni che avevano nella zona, così prendeva me perché le scrivessi12.
L’impegno sindacale di Angiolina, prima in fabbrica e poi a favore delle popolazioni rurali, spinse Rino Nanni a inserire la sua candidatura nella lista del Pci in
occasione delle elezioni amministrative del 1951. Angiolina entrò così nel Consiglio comunale di Vergato, prima e unica donna a farne parte fino alle elezioni
del 1970. Nello stesso mandato (1951-1956) entrò anche a far parte della Giunta,
ricoprendo l’assessorato all’assistenza e alla beneficienza comunale e ottenendo un numero di preferenze perfino più elevato di molti colleghi uomini13.
Rino Nanni mi chiese di fare parte del Consiglio comunale, ero l’unica donna […] Feci
parte del Consiglio per cinque anni e cercammo di fare le cose che erano più importanti, tanto che quando fu rinnovato il Consiglio comunale dal 51% di voti passammo
al 56%14.
Angiolina ricorda l’inesperienza e il senso d’inadeguatezza all’indomani della
sua elezione in Consiglio comunale, compensato da un grande entusiasmo. Il suo
apprendistato alla politica, iniziato sul campo sotto la guida di Rino Nanni, proseguì con la partecipazione alla Scuola nazionale per consigliere comunali organizzata a Genzano (sui Colli Romani) alla quale era stata indirizzata da Vittorina
10
Sull’impegno sindacale di Rino Nanni si vedano, in particolare, gli stralci delle sue testimonianze
contenuti in Diana Colazzo, Annalisa Mili (a cura di), Il cammino difficile: per una storia del lavoro
e della condizione femminile nel territorio di Vergato dall’unità d’Italia al secondo dopoguerra, s.l.,
s.n., 1986.
11
Sulla biografia di Rino Nanni si veda, inoltre, la nota presente sul sito della Camera dei deputati, http://storia.camera.it/deputato/rino-nanni-19280505, e le notizie biografiche riportate sul sito
VergatoNews24, a cura di Sandra Focci, http://vergatonews24.it/2013/12/22/inaugurato-il-centrodiurno-per-anziani-rino-nanni.
Intervista a Angiolina Guasconi, cit.
12
Verbale del Consiglio comunale di Vergato, 10 giugno 1951, in Archivio del Comune di Vergato
(d’ora in avanti Acv).
13
Intervista a Angiolina Guasconi, cit.
14
Eloisa Betti, Lavoro, lotte sociali, partecipazione politica. Storie di donne e di uomini
97
dal Monte15, all’epoca funzionaria della Federazione del Pci di Bologna e membro dell’Unione donne italiane (Udi)16. Così Angiolina ricorda quella esperienza:
Ci insegnavano cosa vuol dire Comune, cosa vuol dire Provincia, le attività che sono
proprie di questi enti, perché noi non sapevamo niente di niente.
L’incontro di Angiolina con l’Udi, avvenuto già all’indomani della fondazione
dell’associazione sorta nel 1945 a partire dai Gruppi di difesa della donna, appare di particolare importanza nella sua biografia. Il circolo dell’Udi di Vergato, di
cui lei faceva parte, tra la fine degli anni Quaranta e i primissimi anni Cinquanta
si distinse – nell’ambito della più generale mobilitazione femminile per la pace
– per la realizzazione della bandiera della pace. Cucita a mano grazie al contributo di moltissime donne del paese, arrivò, infatti, a vincere il primo premio
nell’ambito della competizione provinciale tra i circoli.
Per fare la bandiera della pace facevamo le riunioni nelle case e venivano le donne […]
Ogni ragazza aveva portato un pezzetto di nastro, uno di colore diverso dall’altro, sul
quale aveva scritto il suo nome. La bandiera era diventata così grande e così bella che
vinse la colomba d’oro.
L’impegno di Angiolina per i diritti delle donne la portò a proporre, una volta
entrata in Consiglio comunale, un ordine del giorno in occasione della Giornata internazionale della donna del 1952 che venne votato dall’intero Consiglio17.
Nello stesso periodo, Angiolina venne eletta anche nel Comitato federale della
Federazione del Pci di Bologna, plausibilmente sia in qualità di rappresentante
della zona “montagna” che come responsabile femminile del Pci di Vergato. Nei
suoi interventi effettuati tra il 1954 e il 1955, e conservati presso la Fondazione
Gramsci Emilia-Romagna, emerge distintamente il suo impegno per il miglioramento della condizione femminile messo in pratica sia come militante del Pci e
dell’Udi che come amministratrice locale. Tra le iniziative concrete da lei promosse, spicca ad esempio l’istituzione di corsi di taglio e cucito nelle frazioni
del Comune di Vergato, realizzati grazie a una collaborazione proprio tra Udi e
amministrazione comunale18.
Angiolina classe 1929, e che classe!!, cit.
15
Su Vittorina Dal Monte si rimanda a Elda Guerra, Vittorina Dal Monte: storia di una passione politica tra guerra e dopoguerra, in “Resistenza oggi. Quaderni di storia contemporanea bolognese”,
2000, n. 1.
16
Verbale del Consiglio comunale, 10 marzo 1952, in Acv.
17
Verbale del 25 gennaio 1955, in Fger, Apcibo, Serie “Comitato Federale”, Sottoserie, “Verbali delle
riunioni del Comitato federale”, fasc. “1955”.
18
98
Dalle radici a una nuova identità. Vergato tra sviluppo economico e cambiamento sociale (1945-2014)
Come ricordato in precedenza, Angiolina è anche attenta osservatrice delle
dinamiche della partecipazione politica delle popolazioni della montagna bolognese. I suoi interventi ci forniscono interessanti spunti di riflessioni al contempo
sul radicamento del Pci, della Cgil, dell’Udi e per contrasto della Dc e dei movimenti cattolici. Il suo sguardo critico la porta a esaminare le possibili cause che
limitavano la mobilitazione sul piano politico e sociale dei “montanari” e delle
“montanare”: Angiolina analizza criticamente la diversa mobilitazione di uomini
e donne, adottando quello che può essere forse considerato uno sguardo “di
genere” ante-litteram19.
Le carte conservate nell’Archivio comunale di Vergato rivelano che, per l’anno 1952, Angiolina presentò un programma per l’assistenza che prevedeva una
serie di misure rivolte in particolare all’infanzia e ai bambini che versavano in
condizione di maggiore indigenza, per la cui realizzazione propose non solo di
fare affidamento sulle fonti di finanziamento ordinarie ma anche di interessare
la Prefettura, l’Assistenza post-bellica e l’Ufficio aiuti internazionali, proposta
accolta dal Consiglio comunale che deliberò in tal senso20.
Tra le principali azioni individuate nel programma a favore dell’infanzia, spiccava la realizzazione di colonie marine e montane a favore dei bambini tra i 6
e i 12 anni. Il Comune di Vergato in quegli anni stipulò una convenzione con
l’Unsi-Unione nazionale salvezza infanzia, che garantiva ai bambini di Vergato
la possibilità di soggiornare nelle colonie di Misano Adriatico, Cattolica, Lizzano
in Belvedere, San Marcello Pistoiese nel periodo compreso tra giugno e settembre per turni di circa tre settimane. La retta che veniva corrisposta dal Comune
per ogni bambino/a era di 500 lire, cifra che corrispondeva al salario giornaliero
di un operaio impiegato nei cantieri di lavoro comunali21. Angiolina nella sua
intervista ricorda l’importanza della convenzione suddetta e l’impegno del Comune per garantire non solo sostegno economico ma anche la disponibilità di
personale locale da inviare nelle colonie per supervisionare sul benessere dei
bambini e fornire supporto al loro accudimento.
Come amministrazione noi scegliemmo di mandare un nostro rappresentante nelle colonie marine perché potesse curare i bambini malati […] Li aiutavamo con la presenza
di un rappresentante del Comune perché da soli non glie l’avrebbero fatta22.
Ibidem.
19
Verbale del Consiglio comunale di Vergato, 18 febbraio 1952, in Acv.
20
Ibidem.
21
Intervista a Angiolina Guasconi, cit.
22
Eloisa Betti, Lavoro, lotte sociali, partecipazione politica. Storie di donne e di uomini
99
Oltre all’infanzia, Angiolina si impegnò anche su altri fronti riconducibili all’ambito di sua competenza, l’assistenza. In particolare, fu tra le promotrici dell’apertura di una farmacia comunale a Tolè, come emerge dalla sua testimonianza:
Chiedemmo che a Tolè fosse aperta una farmacia, perché da Vergato quando uno era
ammalato doveva aspettare la corriera che andava su una volta sola e poi tornava giù
la sera, ma se un bambino aveva la febbre alta non potevi lasciarlo con la febbre a 40
dalla mattina alla sera23.
Un altro ambito del quale si occupò è la sanità, nel 1953 infatti entrò a far parte
anche del Consiglio d’amministrazione dell’ospedale di Vergato, la prima per
numero di preferenze tra gli eletti24.
Angiolina si interessò ripetutamente anche dei problemi del lavoro durante il suo mandato. Va ricordato che il Consiglio comunale di Vergato si occupò
a più riprese dei problemi del lavoro nell’immediato dopoguerra. Già nel 1950
era stata votata una delibera sulla disoccupazione operaia che invitava i ministeri competenti e il governo a prendere urgenti provvedimenti per sanare la
situazione che paralizzava l’agricoltura e l’industria nel territorio vergatese, le
cui cause secondo l’amministrazione andavano rintracciate nella mancanza di
finanziamenti necessari alla ricostruzione, al sostegno alle attività industriali e
alla realizzazione di opere di bonifica e risanamento25. Nel 1953 furono oggetto di discussione in Consiglio comunale le modalità di applicazione della legge
sul collocamento: anche nel Comune di Vergato era stato istituito un ufficio ad
hoc, dove operavano i collocatori generalmente scelti dall’Ufficio regionale del
lavoro previo vaglio della Prefettura. All’inizio degli anni Cinquanta, fu Remo
Zanna – futuro sindacato di Vergato – a denunciare la faziosità dei collocatori
di manodopera, che tendevano a discriminare gli aderenti alle organizzazioni
social-comuniste26. Pochi mesi dopo l’uscita dell’articolo, per porre fine ai malumori degli operai disoccupati, il Consiglio comunale deliberò di istituire una
Commissione comunale di controllo sul collocamento della manodopera27.
Angiolina, in particolare, intervenne in occasione della discussione sui Cantieri di lavoro28 avvenuta in Consiglio Comunale nel 1954, quando il diffuso mal-
Ibidem.
23
Verbale del Consiglio comunale di Vergato, 18 marzo 1953, in Acv.
24
Verbale del Consiglio comunale di Vergato, 8 febbraio 1950, in Acv.
25
Rivendicato a Vergato un giusto collocamento, in “La Voce dei Lavoratori”, 2 ottobre 1953.
26
Verbale del Consiglio comunale di Vergato, 27 novembre 1953, in Acv.
27
Sui Cantieri di lavoro istituiti dal ministro del Lavoro Amintore Fanfani alla fine degli anni Quaranta si veda, almeno, Ginsborg, Storia d’Italia, cit.
28
100
Dalle radici a una nuova identità. Vergato tra sviluppo economico e cambiamento sociale (1945-2014)
contento tra gli operai che vi erano impiegati aveva provocato uno sciopero nei
cantieri di Castelnuovo e Montecavalloro. Angiolina sottolineava come, dato il
ruolo cruciale dei Cantieri di lavoro nell’alleviare il problema della disoccupazione nel territorio vergatese, fosse necessaria una presa di posizione diretta da
parte del Comune affinché il governo rivedesse le norme legislative che disciplinavano il lavoro degli operai dei cantieri, le quali risultavano particolarmente
sfavorevoli sul fronte dei livelli salariali, delle norme di accesso e degli aspetti
provvidenziali. Ai consiglieri che ritenevano non fosse compito dei Comuni occuparsi di simili aspetti, Angiolina rispose evidenziando come proprio il Comune di
Vergato potesse essere il primo a supportare le richieste dei lavoratori. A seguito
della discussione avvenuta in Consiglio, il Comune inviò una lettera al Ministero
del Lavoro che riportava le richieste avanzate dai lavoratori29.
Angiolina rimase in carica come consigliera e assessore fino al 1956. Venne
poi ricandidata ed eletta nuovamente alle elezioni del 1956, ma la sua elezione
venne giudicata non valida e annullata con decreto prefettizio, poiché dichiarata incompatibile con la carica di consigliere d’amministrazione dell’Ospedale
di Vergato. Oltre a lei altri 4 consiglieri di Vergato vennero giudicati ineleggibili
poiché membri di altri enti di assistenza dipendenti dal Comune30. Nessun’altra
donna venne eletta al suo posto e bisognerà attendere fino al 1970 prima che
un’altra donna entri in Consiglio comunale a Vergato. L’esperienza di Angiolina
appare quindi non solo di grande importanza ma unica nel suo genere nella
storia di Vergato.
3. Tra campagna e fabbrica: condizioni di vita e di lavoro nel secondo dopoguerra
Come emerge anche dalla biografia di Angiolina Guasconi, il periodo compreso
tra la seconda metà degli anni Quaranta e la prima metà degli anni Cinquanta
appare particolarmente difficile per la popolazione vergatese. Le fonti rinvenute presso l’Archivio della Camera del Lavoro di Bologna, che conserva anche
le carte prodotte dall’allora Camera del Lavoro di Vergato, mettono in luce le
condizioni particolarmente dure delle famiglie contadine e operaie vergatesi
Verbale del Consiglio comunale di Vergato, 11 giugno 1954, in Acv.
29
Verbali del Consiglio comunale di Vergato, 13 luglio 1956 e 6 agosto 1956, in Acv.
30
Eloisa Betti, Lavoro, lotte sociali, partecipazione politica. Storie di donne e di uomini
101
nell’immediato dopoguerra31. La crescita generalizzata tra il 1945 e il 1952 delle
vendite a credito di beni di prima necessità, come calzature, tessuti e carni, evidenzia come una parte significativa della popolazione nelle difficili condizioni
economiche post-belliche (25-30%) utilizzasse quotidianamente questo metodo
per poter far fronte ai bisogni primari. Le entrate delle famiglie contadine (piccoli contadini, mezzadri, braccianti) secondo alcune stime dell’epoca erano molto
misere e aggravate da cronica sottoccupazione, che spingeva in particolare i
mezzadri a trovare altre fonti di reddito.
Uno studio realizzato dalla Lega mezzadri di Vergato, su un fondo mezzadrile che si trovava nella frazione di Rapolo, mostrava come nell’arco di tre anni
(dall’aprile 1950 al maggio 1953) la cifra giornaliera a disposizione per il sostentamento di ogni componente della famiglia fosse costantemente calata, fino
quasi a dimezzarsi. La famiglia mezzadrile presa in esame era composta da tre
membri, padre, madre e figlio. Non riuscendo con i soli proventi del fondo a far
fronte alle spese di sostentamento, il padre per i tre anni presi integrò il reddito
familiare prestando la propria attività presso terzi come salariato. Per la riduzione probabilmente delle occasioni di lavoro, i proventi di questa seconda attività
risultavano tuttavia calati nel periodo considerato, con il conseguente crollo da
115 a 67 lire della cifra giornaliera a disposizione di ogni membro della famiglia
mezzadrile per il proprio sostentamento32.
Un’altra fonte mette in luce un altro problema che gravava sui bilanci delle
famiglie mezzadrili: l’annoso problema della ripartizione dei prodotti del fondo.
Solo il 53% dei prodotti erano infatti di proprietà del colono, in base all’accordo
nazionale della mezzadria del 1947 applicato anche a Bologna e provincia33. La
disponibilità giornaliera per ogni componente della famiglia di 8 persone presa
in esame era, nel 1952, di lire 152 giornaliere, una cifra tuttavia che la stessa fonte
considerava tra le più alte del comune. La situazione dei piccoli contadini non appariva migliore: i componenti di una famiglia contadina proprietaria di un podere
di medie dimensioni avevano a disposizione circa 48 lire giornaliere per provvedere alle proprie necessità, meno che i componenti delle famiglie mezzadrili34.
Ai bassi redditi delle popolazioni rurali si aggiungeva all’inizio degli anni Cinquanta l’emergenza casa. Le fonti dell’epoca evidenziavano le precarie condi-
Archivio storico della Camera del Lavoro di Bologna (d’ora in poi, Asclbo), Fondo Camera del
lavoro locali (d’ora in poi Fcll), b. 22, fasc. “Camera del lavoro di Vergato” (1952-57, 1973).
31
Un disperato bilancio familiare, in “La Voce dei Lavoratori”, 20 maggio 1953.
32
Paola Furlan, Gli anni della ricostruzione (1945-1950), in Luigi Arbizzani et al., Il sindacato nel
bolognese. Le Camere del lavoro di Bologna dal 1893 al 1960, Roma, Ediesse, 1988.
33
Esame delle condizioni economiche e sociali di Vergato (1952-53), in Asclbo, Fcll, b. 22, fasc. “Camera del lavoro di Vergato” (1952-57, 1973).
34
102
Dalle radici a una nuova identità. Vergato tra sviluppo economico e cambiamento sociale (1945-2014)
zioni igienico-sanitarie di molte abitazioni del Comune di Vergato, ma anche il
generalizzato sovraffollamento e la necessità di costruire nuovi appartamenti
per poter alloggiare le molte famiglie che ancora nel 1952-53 vivevano in baracche di legno e case pericolanti35. La situazione appariva migliore nel capoluogo,
dove molte case tra il 1945 e l’inizio degli anni Cinquanta erano già state ricostruite e con criteri più moderni. Decisamente più grave era l’emergenza casa
nelle aree rurali, dove moltissime erano le case distrutte o gravemente danneggiate durante il conflitto, che per mancanza di sussidi vennero riparate con mezzi
di fortuna oppure non ricostruite e pertanto abbandonate, come emerge anche
dallo stralcio del documento redatto all’inizio degli anni Cinquanta dal professor
Scarpaccio in qualità di membro della Commissione per l’Appennino bolognese:
Di questi fabbricati la guerra ne ha distrutti parecchi e non si sono più ricostruiti per
mancanza di sussidi da parte dello Stato. Alcuni sono stati solo danneggiati, anzi parecchi e questi sono stati riparati alla meglio. Queste case non rispondono più alle
esigenze della gente del campo e la loro inferiorità è resa maggiormente intollerabile
dal confronto con le nuove costruzioni moderne dei paesi e della città36.
Le condizioni della casa rurale, sopra richiamate sommariamente, apparivano
particolarmente drammatiche soprattutto nelle frazioni del Comune di Vergato,
dove la maggior parte delle abitazioni risultavano prive di acqua potabile e luce
elettrica. Gli stessi borghi erano spesso sprovvisti del telefono; le scuole elementari, laddove presenti, erano spesso allestite in locali di fortuna e le più generali condizioni dell’infanzia apparivano spesso disagiate. A ciò si sommavano in
molte delle aree collinari problemi idro-geologici che determinavano frequenti
frane e alluvioni. Gli stessi trasporti risultavano difficili per via dell’assenza di
strade efficienti.
I problemi della casa rurale, comuni a tutta l’area della montagna e non solo,
furono a più riprese oggetto di discussione e analisi nel Bolognese tra il periodo
della ricostruzione e gli anni Cinquanta, in stretto collegamento alle riflessioni
portate avanti dai sindacati e dai partiti politici sul fenomeno dello spopolamento. Le condizioni di miseria e arretratezza che caratterizzavano la montagna
bolognese, della quale faceva parte a pieno titolo il Comune di Vergato, determinarono nell’immediato dopoguerra un esodo di ampie proporzioni, che determinò nel giro di pochi anni l’abbandono di moltissimi poderi sia da parte delle
famiglie mezzadrili che dei piccoli contadini. All’inizio degli anni Cinquanta, fonti sindacali riportano alcuni dati sull’entità del fenomeno: 350 i fondi abbandonati e 3 mila gli ettari abbandonati secondo “La Voce dei Lavoratori”, organo di
Ibidem.
35
Ibidem.
36
Eloisa Betti, Lavoro, lotte sociali, partecipazione politica. Storie di donne e di uomini
103
stampa della Camera del Lavoro di Bologna37. Come conseguenza, tra il 1949 e il
1953, risultavano emigrati dal Comune di Vergato 2.029 persone regolarmente
censite alle quali si aggiungevano altre 400 persone circa trasferitesi in città, che
non erano state ancora cancellate dai registri ma che risultavano assenti. Solo
1.686 le persone che invece si erano trasferite a Vergato da altri comuni38.
Nei primi anni Cinquanta la situazione del Comune di Vergato appariva particolarmente drammatica non solo sul fronte abitativo ma anche per ciò che
concerneva la crescita dei livelli di disoccupazione, che aggravavano i magri
redditi sopra menzionati. Il documento redatto nel 1953 sulle condizioni economiche e sociali di Vergato e rivenuto presso l’Archivio della Camera del Lavoro39,
evidenzia chiaramente le varie facce del problema: da un lato, la disoccupazione crescente nel settore industriale ed edile e, dall’altro, la disoccupazione e
sottoccupazione agricola.
Secondo le fonti suddette, nel settore industriale la disoccupazione era cresciuta per l’effetto congiunto della chiusura del Canapificio di Pioppe di Salvaro,
della Filanda Saic situata nella località Serini40 e di altre piccoli laboratori, nonché per la riduzione degli occupati alla fabbrica Ilm dove era stato chiuso un
intero reparto. Alcune stime sottolineano come gli operai occupati “permanenti”
nel 1952-53 fossero 270, mentre i disoccupati fossero 92 nel solo settore tessile,
ai quali si aggiungevano 525 lavoratori edili sottoccupati che lavoravano mediamente solo 90 giorni all’anno. Erano 1.200, inoltre, i disoccupati appartenenti per
lo più alla categoria dei manovali generici.
Le vicende legate alla chiusura del Canapificio di Pioppe di Salvaro appaiono
degne di nota per la mobilitazione congiunta, per il ripristino della produzione,
di lavoratori e lavoratrici, organizzazioni sindacali e amministratori locali, che
come in molti altri casi tra la fine degli anni Quaranta e l’inizio degli anni Cinquanta non diede gli esiti sperati. Va ricordato che il complesso processo di crisi
e riconversione del sistema industriale bolognese, letto da alcuni come un vero e
proprio processo di smobilitazione delle fabbriche41 attuato non secondariamente attraverso licenziamenti discriminatori, provocò nella provincia di Bologna
una riduzione complessiva della manodopera industriale di circa 9.000 unità tra
Abbandonati 350 poderi per complessivi 3 mila ettari, in “La Voce dei Lavoratori”, 1953.
37
Ibidem.
38
Esame delle condizioni economiche e sociali (1952-53), cit.
39
Sulla storia di questi opifici si rimanda a: Colazzo, Mili (a cura di), Il cammino difficile, cit.
40
Betti, Giovannetti, Senza giusta causa, cit.; Eloisa Betti, Assetti produttivi, condizioni di lavoro
e contrattazione aziendale nell’industria bolognese, in Luca Baldissara, Adolfo Pepe (a cura di),
Operai e sindacato a Bologna. L’esperienza di Claudio Sabattini (1968-1872), Roma, Ediesse, 2010.
41
104
Dalle radici a una nuova identità. Vergato tra sviluppo economico e cambiamento sociale (1945-2014)
il 1948 e il 195442. Non può inoltre essere dimenticato che quello di Pioppe non fu
l’unico canapificio nel Bolognese a essere chiuso in quel periodo43.
Il Canapificio di Pioppe di Salvaro occupava circa 100 operai e operaie provenienti prevalentemente dai comuni di Grizzana Morandi, Marzabotto e Vergato,
e rappresentava un’importante fonte di lavoro e quindi di sostentamento per
molte famiglie della zona. Nella seconda metà degli anni Quaranta, la ripresa
della produzione appariva direttamente collegata al ripristino delle infrastrutture viarie e in particolare della linea ferroviaria necessaria al trasporto delle
merci. Nell’arco di alcuni anni, la linea ferroviaria venne effettivamente riattivata, anche grazie alle pressioni delle amministrazioni locali. La produzione
del Canapificio non venne tuttavia riavviata a pieno ritmo, come inizialmente
promesso dalla direzione aziendale dello stabilimento. Dalla stampa politicosindacale dell’epoca emerge chiaramente lo scontro che a partire dal 1948 vide
al centro, da un lato, i lavoratori e le lavoratrici del canapificio che chiedevano il ripristino della produzione e, dall’altro, l’Industria canapiera italiana, che
come proprietaria dello stabilimento propendeva per la sua chiusura. I sindaci
di Grizzana Morandi, Marzabotto e Vergato sostennero, secondo le stesse fonti,
le rivendicazioni delle maestranze che furono supportate dalle locali Camere
del Lavoro e dalla Camera del Lavoro provinciale di Bologna. Se le scelte dell’Industria Canapiera possono essere comprese anche alla luce di quella crisi che
nel giro di pochi anni avrebbe portato ad un drastico ridimensionamento dell’industria della canapa, la vertenza che ingaggiarono lavoratrici e lavoratori del
canapificio di Pioppe assumeva particolare rilevanza nella situazione di cronica
disoccupazione che affliggeva l’Alta Valle del Reno in quegli anni. La stessa Prefettura di Bologna venne interessata dal problema e nel gennaio del 1948 una
delegazione di operai e operaie venne ricevuta da un sostituto del Prefetto44. Lo
scontro tra maestranze e direzione aziendale plausibilmente continuò fino al
1950, quando altre fonti precisano che i 57 operai ancora in forza nello stabilimento (prevalentemente impiegati come manutentori e nello sgombero delle
macerie) vennero definitivamente licenziati45.
Nel settore agricolo, l’abbandono dei poderi da parte dei piccoli contadini e
dei mezzadri dovuto ai magri guadagni sopra riportati, tendeva indubbiamente
ad ingrossare le fila dei senza lavoro tra i braccianti, oltre che ad accrescere il
42
Comune di Bologna, La situazione dell’industria bolognese e il problema dei licenziamenti. Relazione tenuta dal Consigliere dr. Athos Bellettini nella seduta del consiglio comunale del 13 dicembre 1954, Bologna, Tip. L. Parma, 1954.
Furlan, Gli anni della ricostruzione, cit.
43
La fabbrica tessile di Pioppe di Salvaro deve riaprire i battenti, in “La lotta”, 23 gennaio 1948.
44
Smobilitata la canapiera di Pioppe, in “La Voce dei Lavoratori”, 20 settembre 1950.
45
Eloisa Betti, Lavoro, lotte sociali, partecipazione politica. Storie di donne e di uomini
105
fenomeno dello spopolamento, incrementando i flussi migratori verso le aree
urbane precedentemente ricordati. Nel 1950, gli echi della discussione sviluppatasi con il lancio del Piano del lavoro della Cgil sembrano giungere anche a
Vergato. La discussione sull’imponibile di manodopera e sulla necessità di effettuare lavori di miglioria nei fondi rurali viene lanciata anche a Vergato da
un articolo pubblicato su “La Voce dei Lavoratori”, intitolato emblematicamente
I lavoratori di Vergato chiedono di poter vivere. Il tono fortemente polemico
dell’articolo, inquadrabile nel clima di contrapposizione frontale fra democristiani e social-comunisti del periodo, riporta anche alcuni dati interessanti sulla
condizione occupazionale e reddituale dei vergatesi46.
Nel comune di Vergato ci sono circa 2.000 operai, uomini e donne, e solo il 20% di questi (metallurgici, tessili e muratori) hanno avuto un lavoro permanente o parziale nel
1949; il 23%, considerati capi famiglia, ha avuto nel 1949 un reddito medio di lire 125
giornaliere; il 20% ha guadagnato lire 85 in media giornaliera; infine il rimanente 35%,
cioè circa 700 operai capi famiglia, in prevalenza giovani e donne, non hanno avuto
nessuna possibilità di lavoro47.
Per quanto Vergato non sia stata interessata dalle imponenti lotte bracciantili
che si ebbero nelle zone della pianura bolognese, varie furono le occasioni di
dibattito politico-sindacale sulle condizioni della popolazione rurale che videro
una significativa partecipazione politica. Nel febbraio 1948, ad esempio, presso
il cinema comunale di Vergato si tenne l’incontro tra i “lavoratori del piano e del
monte”: i vergatesi ricevettero una delegazione contadina proveniente da Baricella, evento che si inquadrava nel più generale clima di solidarietà contadina
e operaia maturato in quegli anni. L’allora sindaco di Vergato, Buriani, mise in
evidenza la necessità di creare dei Comitati per la ricostruzione della montagna,
che a conclusione dell’incontro si concretizzò nella creazione del Comitato di
iniziativa per la bonifica e il rinnovamento della montagna48. L’organizzazione
delle popolazioni rurali in montagna faceva perno soprattutto sui mezzadri e i
coltivatori diretti, come emerge anche dai verbali del Comitato federale del Pci.
Non era semplice per il Pci mobilitare queste categorie sociali a causa dell’influenza della Dc, da un lato, e delle condizioni di difficoltà in cui versavano i
cosiddetti “montanari”, dall’altro49. Nella proposta politica del Pci, l’obiettivo del
46
In questa cifra sono plausibilmente compresi tutti i salariati appartenenti sia al settore industriale che edile.
I lavoratori di Vergato chiedono di poter vivere, in “La Voce dei Lavoratori”, 8 marzo 1950.
47
Uniti nella lotta i lavoratori del piano e del monte, in “La lotta”, 13 febbraio 1948.
48
Verbale dell’11 maggio 1954, in Fger, Apcibo, Serie “Comitato Federale”, Sottoserie, “Verbali delle
riunioni del Comitato federale”, fasc. “1954”.
49
106
Dalle radici a una nuova identità. Vergato tra sviluppo economico e cambiamento sociale (1945-2014)
superamento della mezzadria nelle aree di montagna non era disgiunto da un
più ampio progetto che vedeva nello sviluppo industriale della Valle del Reno
uno dei capisaldi.
4. Condizioni di lavoro, lotte operaie e contrattazione aziendale
nelle fabbriche vergatesi: il caso dell’Ilm e dell’Arco
All’inizio degli anni Sessanta, le condizioni di lavoro nelle fabbriche vergatesi
non apparivano diverse da quelle che si riscontravano in altri stabilimenti della
provincia bolognese. Per il periodo della ricostruzione e i primi anni Cinquanta,
alcuni studi locali ci forniscono spunti interessanti sulle condizioni di lavoro e
sulla conflittualità operaia, femminile soprattutto, negli opifici e fabbriche della
zona50, mentre per il periodo successivo qui preso in esame sono soprattutto le
fonti sindacali e la stampa periodica a fornirci informazioni rilevanti. Negli anni
Sessanta, gli unici stabilimenti industriali propriamente detti che furono interessati da lotte operaie di una certa intensità furono la Pietro Galliani spa e la Ilm,
la cui storia sotto il profilo produttivo e imprenditoriale è stata ricostruita nel
saggio di Tito Menzani.
Complessivamente, nella zona di Vergato risultavano iscritti al sindacato dei
metalmeccanici, il comparto industriale prevalente nella zona, circa 35 dipendenti nel 1965, considerate non solo le realtà più grandi e consolidate come
Galliani e Ilm ma anche le più piccole come Invulnerabile (25 dip.), Elmi (25 dip.).
Per il 1966, i metalmeccanici della Fiom contavano di raggiungere circa un centinaio di iscritti, ma le iscrizioni non erano ancora completate al momento in cui fu
redatto il documento esaminato. Va sottolineato inoltre che i tassi di sindacalizzazione della zona della montagna, tenendo presente sia l’area di Vergato che
di Porretta, risultavano abbastanza bassi rispetto ad altre aree della provincia.
Di circa 1.300 dipendenti, solo 245 nel 1965 e 350 nel 1966 erano iscritti al sindacato. A questi si aggiungevano quelli iscritti ad altre organizzazioni sindacali,
che tuttavia erano un numero esiguo51.
Sulla storia di questi opifici si rimanda a: Colazzo, Mili (a cura di), Il cammino difficile, cit.
50
Asclbo, Fondo Fiom, Busta 6.2, dattiloscritto s.d. (ma 1966).
51
Eloisa Betti, Lavoro, lotte sociali, partecipazione politica. Storie di donne e di uomini
107
Della Pietro Galliani tanto le fonti sindacali quanto la stampa coeva ci forniscono notizie limitate per quanto riguarda la sindacalizzazione e le lotte operaie. Alla metà degli anni Sessanta vi erano impiegati 35 dipendenti, di cui 4
risultavano iscritti al sindacato per il 1965 e 18 per il 1966, secondo i dati della
Fiom-Cgil. Durante il 1961, i dipendenti della Galliani presero parte alle mobilitazioni che interessarono gli stabilimenti della Valle del Reno, a partire dalla
Daldi e Matteucci di Porretta Terme e dalla Ilm di Vergato. La stessa stampa sindacale, tuttavia, non fornisce informazioni sufficienti per ricostruire la dinamica
della lotta, precisando unicamente come alla base dello sciopero svoltosi nel
giugno del 1961 vi fosse una richiesta di carattere economico: un aumento di 50
lire orarie52.
4.1. Il caso dell’Ilm
Ben altro rilievo viene dato dalle fonti coeve alle lotte operaie che si svilupparono tra il maggio e il giugno del 1961 all’Ilm, eventi che abbiamo potuto
ricostruire anche sulla base di fonti orali raccolte nell’ambito della ricerca: preziosa in particolare la testimonianza rilasciata da Amedeo Aldrovandi, all’epoca
impiegato come operaio nel reparto laminatoi dell’Ilm. La cronaca bolognese
de “l’Unità” dedica numerosi articoli alle vicende dell’Ilm tra il giugno e il luglio
1961, testimoniando come le lotte che lì si svolsero ebbero un’importanza non
solo per il territorio vergatese ma per l’intera provincia di Bologna. La fabbrica
Ilm apparteneva al gruppo Maccaferri, elemento non trascurabile per comprendere anche l’escalation della conflittualità che si ebbe nello stabilimento vergatese. Va, infatti, ricordato che tra la fine degli anni Quaranta e per buona parte
degli anni Cinquanta alcuni stabilimenti del gruppo Maccaferri (Ico, Hatù, Maccaferri di Zola Predosa) erano stati teatro di licenziamenti discriminatori volti
a colpire lavoratori e lavoratrici appartenenti al Partito comunista e socialista
o iscritti alla Cgil, come documentato da fonti e ricerche storiche53. Non è stato
possibile ricostruire se vi furono casi di questo genere anche all’Ilm, ma la testimonianza di Angiolina Guasconi e quella di Amedeo Aldrovandi evidenziano
il generalizzato atteggiamento anti-comunista della direzione aziendale che si
traduceva per lo più nel preferire all’atto dell’assunzione lavoratori e lavoratrici
di diversa appartenenza politica.
Solidale coi lavoratori in lotta il Consiglio comunale di Vergato, in “l’Unità”, Cronaca di Bologna,
4 giugno 1961.
52
53
Betti, Giovannetti, Senza giusta causa, cit.; Luigi Arbizzani La costituzione negata nelle fabbriche.
Industria e repressione antioperaia nel bolognese (1947-1966), Bologna, Bacchilega, 2012 (1a ed.
1991, 2a ed. ampliata 2001).
108
Dalle radici a una nuova identità. Vergato tra sviluppo economico e cambiamento sociale (1945-2014)
Dopo gli scioperi che si svilupparono all’Ilm durante il periodo di forte conflittualità politico-sindacale di cui fu teatro la provincia di Bologna tra la fine
degli anni Quaranta e la prima metà degli anni Cinquanta, alla fine del decennio le condizioni di lavoro nella fabbrica apparivano caratterizzate da un clima generale di repressione anti-operaia e sfruttamento54. Nel febbraio del 1959,
una vertenza che vide impegnate per qualche tempo le maestranze della fabbrica fu innescata dal mancato pagamento della maggiorazione dovuta per le
ore di lavoro notturne, per le quali era previsto il 15% in più del salario orario.
In quell’occasione, “La lotta”, settimanale della Federazione del Pci di Bologna,
pubblicò un articolo nel quale erano descritte con dovizie di particolari le condizioni di lavoro all’interno della fabbrica. Alla fine degli anni Cinquanta, i ritmi
di lavoro risultavano quasi raddoppiati rispetto all’inizio del decennio con un
conseguente aggravamento delle condizioni di lavoro: se nel 1952 ogni operaio
era responsabile di tre trafilatrici, queste erano divenute cinque nel 1959. A ciò
si aggiungevano condizioni igienico-sanitarie precarie: gli spogliatoi erano improvvisati, i bagni assenti, non era effettuata una pausa per il pranzo e non vi era
la mensa aziendale. Come accadeva in molte altre fabbriche dell’epoca, gli operai erano plausibilmente obbligati a consumare il pasto che si portavano da casa
tra le macchine durante il lavoro. Secondo “La lotta”, le operaie non potevano
nemmeno usufruire della pausa per l’allattamento, prevista dalla legge del 1950
sulle lavoratrici madri, e la commissione interna non poteva svolgere riunioni
all’interno della fabbrica55.
Le condizioni di lavoro descritte alla fine degli anni Cinquanta da “La lotta”,
emergono nella loro drammaticità anche dalla testimonianza di Amedeo:
Tu lavoravi in una struttura che era insanabile, non avevi nessun accorgimento per
poter salvaguardare quella che era la tua salute […]. Lavoravamo nel reparto laminatoi
dove facevamo le piastrine da dare i punti nelle graffette […] tu eri vicino alle fornaci,
alle caldaie dove cuocevano il filo e sprigionavano tutto il gas […] poi eri vicino alla
zingheria, dove facevano il filo zingato... era come un lager… lavoravi in condizioni
difficili… respiravi solo ed esclusivamente dell’acido e dei fumi […] molti se ne sono
andati prima del tempo56.
Quelle stesse condizioni di lavoro aggravate da bassi salari e premi di produzione troppo esigui furono, secondo la testimonianza di Amedeo, alla base dello
Sulla condizione operaia nelle fabbriche bolognesi tra anni Cinquanta e Sessanta si veda, inoltre, Eloisa Betti, Precarietà e fordismo. Le lavoratrici dell’industria bolognese tra anni Cinquanta e
Sessanta, in Gilda Zazzara (a cura di), Tra luoghi e mestieri. Spazi e culture del lavoro nell’Italia del
Novecento, Venezia, Edizioni Ca’ Foscari, 2013.
54
Maccaferri deve pagare i lavoratori dell’Ilm, in “La lotta”, 19 febbraio 1959.
55
Intervista ad Amedeo Aldrovandi, cit.
56
Eloisa Betti, Lavoro, lotte sociali, partecipazione politica. Storie di donne e di uomini
109
sciopero che nel 1961 paralizzò l’Ilm per oltre un mese e tutti i 150 dipendenti57.
Lo sciopero ebbe inizio alla fine di maggio, mentre già da vari giorni il gruppo
Maccaferri era interessato da un’altra vertenza, quella in corso allo stabilimento
Ico58. All’inizio di giugno, il Consiglio comunale di Vergato prese posizione sulla
vertenza in corso nella fabbrica, esprimendo solidarietà alle maestranze della
Ilm e votando all’unanimità un ordine del giorno al riguardo, che prevedeva lo
stanziamento di 100.000 lire a favore degli scioperanti e l’interessamento del
prefetto59. Secondo la stampa, l’allora sindaco Zanna:
Ha osservato che la legittimità dell’azione sindacale intrapresa dalle maestranze appare immediatamente evidente se si considera che i loro salari si aggirano sulle 36mila
lire mensili per gli uomini e sulle 30mila lire per le donne60.
Il giugno del 1961 fu un mese particolarmente caldo sotto il profilo delle lotte
sociali nell’intera Valle del Reno, come emerge emblematicamente dall’intervista rilasciata al riguardo da Rino Nanni, già sindaco di Vergato e che in quel
momento sedeva in parlamento tra le fila del Pci:
Il malcontento e la ribellione dei lavoratori della montagna sta esplodendo in queste
settimane attraverso lotte unitarie nelle fabbriche e nei campi. […] Ma il settore più
avanzato della lotta, specie nella Valle del Reno, è quello della classe operaia o per
meglio dire, della nuova classe operaia formatasi in questi anni dal processo di disgregazione dell’agricoltura montana. Già due scioperi per complessive 4 giornate di
lavoro sono state fatte dai 1.000 della Daldi di Porretta. Anche la Lenzi è scesa in lotta,
costringendo il padrone alle trattative. Numerose giornate di sciopero si sono avute
alla Galliani e alla Ilm (Maccaferri) di Vergato, altre agitazioni e scioperi si sono avuti a
Sasso Marconi. Il movimento è praticamente in atto in tutta la vallata e poggia su solide
basi unitarie. Si tratta di lotte aziendali dirette contro il padrone che non vuole rispettare i diritti dei lavoratori ed avvengono sotto la direzione di tutte le organizzazioni
sindacali unite e decise ad andare davanti fino al conseguimento degli obiettivi posti61.
Pochi giorni dopo Rino Nanni intervenne nuovamente durante una riunione dei
sindaci e consiglieri provinciali dell’Alta Valle del Reno, convocata per fare il pun-
La lotta dei 1650 operai della Vallata del Reno, in “l’Unità”, Cronaca di Bologna, 18 luglio 1961.
57
Infranta dagli operai dell’ICO la legge del feudo Maccaferri, in “l’Unità”, Cronaca di Bologna, 28
maggio 1961.
58
Paralizzata la Ilm e la Galliani di Vergato, in “l’Unità”, Cronaca di Bologna, 7 giugno 1961.
59
Solidale coi lavoratori in lotta il Consiglio comunale di Vergato, in “l’Unità”, Cronaca di Bologna,
4 giugno 1961.
60
Un vasto movimento di lotta si sviluppa nella valle del Reno, in “l’Unità”, Cronaca di Bologna, 18
giugno 1961.
61
110
Dalle radici a una nuova identità. Vergato tra sviluppo economico e cambiamento sociale (1945-2014)
to sulla situazione creatasi nelle fabbriche della Valle – Daldi e Matteucci e Ilm. In
quell’occasione fu deciso di costituire due commissioni, una per la Daldi e una per
la Ilm, composte da esponenti degli enti locali con lo scopo di creare, attraverso
la mediazione degli amministratori, un tavolo di trattativa tra lavoratori e direzioni aziendali per la risoluzione delle rispettive vertenze. Nel caso dell’Ilm, la commissione era formata dal sindaco di Vergato, da quello di Grizzana Morandi e da
due consiglieri provinciali (uno per la Dc e uno per il Pci)62. Anche il Consiglio provinciale espresse solidarietà alle maestranze dell’Ilm e della Daldi in sciopero63.
L’intermediazione degli amministratori locali non diede nel caso all’Ilm i successi sperati, infrangendosi di fronte all’intransigenza della direzione aziendale
che per intraprendere qualsiasi trattativa imponeva la fine dello sciopero e la
ripresa del lavoro. La stampa evidenzia come l’intero paese di Vergato fosse coinvolto nella vertenza: oltre all’interessamento del Consiglio comunale e del Sindaco, le vie del paese furono invase da un corteo pacifico di lavoratori e lavoratrici64.
Tra la fine di giugno e l’inizio di luglio, la vertenza subì una escalation. Dapprima, alcune lavoratrici vennero inserite nei turni di notte, cosa vietata dalla
legge sulle lavoratrici madri del 195065. In seguito, la direzione aziendale tentò a
più riprese di asportare i macchinari dalla fabbrica, atto ritenuto particolarmente grave tanto dai lavoratori che dalla cittadinanza e che comportò un’ulteriore
presa di posizione da parte dell’amministrazione comunale che promosse la costituzione di un comitato cittadino composto da tutte le forze politiche e finalizzato a evitare lo smantellamento della fabbrica. Lo stesso Consiglio provinciale
promosse un ordine del giorno sulla vertenza Ilm:
Il Consiglio provinciale di Bologna, constatata la gravità della situazione determinatasi presso lo stabilimento Ilm di Vergato, dove le maestranze si trovano da oltre un
mese in sciopero, per rivendicazione di natura economica, mentre la direzione dello
stabilimento ha già tentato di trasferire macchinari in altra località, esasperando maggiormente lo stato d’animo dei lavoratori dipendenti, auspica a un pronto intervento
delle autorità provinciali (Prefettura, Ufficio regionale del lavoro) al fine di prevenire
fatti incresciosi, e perché si addivenga invece ad una sollecita ed equa composizione
della vertenza in atto66.
62
Tutta Porretta è schierata con gli operai in sciopero, in “l’Unità”, Cronaca di Bologna, 22 giugno
1961.
Solidarietà della Provincia con le maestranze in lotta a Porretta e a Vergato, in “l’Unità”, Cronaca
di Bologna, 22 giugno 1961.
63
64
Sesto sciopero ieri alla Demm. L’Ilm ferma altri due giorni, in “l’Unità”, Cronaca di Bologna, 20
giugno 1961.
Porretta e Vergato: gli industriali causano l’inasprimento della lotta, in “l’Unità”, Cronaca di Bologna, 28 giugno 1961.
65
Tutta la popolazione di Vergato è attorno agli operai della Ilm, in “l’Unità”, Cronaca di Bologna,
66
Eloisa Betti, Lavoro, lotte sociali, partecipazione politica. Storie di donne e di uomini
111
Come emerge anche da alcune immagini, lavoratori e lavoratrici dell’Ilm reagirono intensificando la lotta e picchiettando giorno e notte la fabbrica. Secondo
la testimonianza di Amedeo, la reazione della direzione aziendale non si fece
attendere, richiedendo l’intervento dei reparti della Celere per interrompere il
picchettaggio e procedere con l’asportazione dei macchinari:
L’azienda ci minacciò e poi arrivarono, forse anche per spaventarci, i camion che dicevano che portavano via le macchine…allora noi facevano la guardia giorno e notte…
eravamo fuori dalla fabbrica perché non potevamo entrare …. mandarono a chiamare
la celere…arrivarono una bella mattina… [al] presidio ci davamo il cambio, qui di fronte
a Maccaferri c’era un rifugio che avevano fatto al tempo della guerra…allora dormivamo là sotto al rifugio… quella mattina lì arrivarono un camion o due e poi arrivò la
celere [...] volevano portare via la macchina... allora noi, che eravamo una quindicina,
quando abbiamo visto questo pandemonio abbiamo mandato qualcuno a richiamare
[gli altri]67.
Non diversa la descrizione dell’episodio che viene fornita da “l’Unità”, la quale
sottolinea il ruolo dei diversi soggetti impegnati nella vicenda: giovani, donne,
madri degli apprendisti, dirigenti sindacali, amministratori locali, facchini:
Sono affluiti davanti alla Ilm una ventina di carabinieri chiamati dalle stazioni del circondario, ai quali poi aggiunto un contingente venuto da Bologna a bordo di camion e
di una jeep, che scortavano un grosso autocarro con rimorchio sul quale stavano alcuni
facchini. Quando però è stato il momento di far varcare i cancelli all’autotreno, perché
fossero caricate le macchine, gli operai, che vigilavano su ogni mossa, si sono opposti
con tutte le loro forze. Con in prima fila giovani, numerose donne fra cui le madri degli
apprendisti più giovani, gli operai si sono raccolti in folla davanti all’ingresso; molti si
sono seduti l’uno a fianco dell’altro, sulla strada, per fare una barriera umana, inerme
ma invalicabile. Assieme ai lavoratori erano presenti sul posto dirigente sindacale ed
amministratori del comune di Vergato e dei centri limitrofi. Intanto altri operai spiegavano concitatamente ai facchini quale fosse la situazione e di che genere fosse la
prestazione che si pretendeva da loro. […] Invano qualche carabiniere ha cercato di
smuovere con maniere brusche la resistenza compatta degli operai e dei familiari che
si erano uniti a loro; la resistenza decise tenace dopo qualche tempo l’autotreno vuoto,
con la sua inutile scorta armata hanno fatto ritorno a Bologna68.
Dopo 36 giorni di sciopero consecutivi, 42 complessivi secondo la testimonianza
di Amedeo, la vertenza alla Ilm si chiuse con un accordo aziendale che prevedeva 15 lire all’ora di aumento e altre 6 all’inizio dell’anno successivo (per com-
16 giugno 1961.
Intervista ad Amedeo Aldrovandi, cit.
67
Compatta ed eroica lotta alla Ilm-Maccaferri, in “l’Unità”, Cronaca di Bologna, 14 giugno 1961.
68
112
Dalle radici a una nuova identità. Vergato tra sviluppo economico e cambiamento sociale (1945-2014)
plessive 21 lire di aumento orario a partire dal 1962); 3.000 lire una tantum, la
revisione delle qualifiche e del premio di produzione, previa contrattazione con
la Commissione interna69. Dalle fonti non emerge nessun riferimento alle condizioni ambientali nell’accordo, per quanto fossero un problema particolarmente
avvertito. Solo dalla fine degli anni Sessanta il miglioramento dell’ambiente di
lavoro divenne uno dei punti qualificanti delle piattaforme rivendicative elaborate nelle fabbriche di Bologna e provincia, come emerge chiaramente, ad esempio, nel caso dell’Arco.
Dall’analisi delle fonti emerge come alla base della vittoria dei 150 lavoratori
e lavoratrici dell’Ilm, vi fosse una forte solidarietà da parte della popolazione di
Vergato, che portò generi alimentari agli scioperanti e donò somme di denaro,
ma anche dell’amministrazione comunale, che si attivò direttamente presso altri
enti per la risoluzione della vertenza. La compattezza dei dipendenti e l’unità
delle organizzazioni sindacali, infine, furono tutt’altro che secondarie per il raggiungimento dell’accordo.
Tra gli anni Sessanta e Settanta, la fabbrica Ilm conobbe un’ulteriore espansione, arrivando a contare nel 1971 ben 195 dipendenti, rispetto ai circa 150
in forze un decennio prima70. Secondo la testimonianza di Amedeo, la vertenza
del 1961 e la sua conclusione favorevole ai dipendenti determinò un graduale
miglioramento dei rapporti tra maestranze e direzione aziendale, che divenne
più positivo anche grazie ad un nuovo direttore di stabilimento. Una serie di
accorgimenti per ridurre gli aspetti malsani e nocivi vennero messi in pratica
plausibilmente all’inizio degli Settanta, quando vennero realizzati importanti
investimenti nello stabilimento: l’Ilm fu lo stabilimento con il livello più elevato
di investimenti tra quelli del Bolognese tra il 1973 e il 197571. La fotografia della
fabbrica che ci consegna l’inchiesta realizzata dalla Flm a metà anni Settanta
è quella di una fabbrica con circa il 90% del personale impiegato in mansioni
operaie e con una presenza femminile (tra operaie e impiegate) pari al 15% del
totale della forza lavoro; il lavoro era organizzato su tre turni da 8 ore ciascuno
e i livelli di nocività rimanevano elevati.
L’evoluzione dell’occupazione negli anni Settanta mostra uno stabilimento in
fase di contrazione: dai 195 dipendenti del 1971, se ne contavano 182 nel 1975
e 177 nel 197672. La riduzione dei dipendenti all’Ilm di Vergato era coincisa con
Vittoria alla Ilm, in “l’Unità”, Cronaca di Bologna, 19 giugno 1961.
69
Federazione provinciale Cgil-Cisl-Uil, Coordinamento nazionale “Gruppo industriale” Maccaferri,
in Asclbo, Fondo Fiom, Busta 7.14, fasc. “Maccaferri”.
70
Flm Bologna, Ristrutturazione e organizzazione del lavoro: inchiesta nelle fabbriche metalmeccaniche della provincia di Bologna, Roma, Seusi, 1975.
71
72
Federazione provinciale Cgil-Cisl-Uil, Coordinamento nazionale “Gruppo industriale” Macca-
Eloisa Betti, Lavoro, lotte sociali, partecipazione politica. Storie di donne e di uomini
113
l’apertura di un nuovo stabilimento Ilm in provincia dell’Aquila, dove erano state
trasferite una parte delle lavorazioni precedentemente svolte a Vergato, con
la conseguente contrazione dell’occupazione. Come emerge dalla documentazione sindacale raccolta in occasione della vertenza promossa nel 1977 dalla
Flm, che coinvolse tutti gli stabilimenti italiani del gruppo, il Gruppo Maccaferri
stava riorganizzando il proprio assetto produttivo con il risultato di un ridimensionamento progressivo dello stabilimento Ilm di Vergato73. Alla data di chiusura dello stabilimento avvenuta nel 1992, l’occupazione si era notevolmente
contratta, anche grazie a incentivi per il pensionamento anticipato. L’area dello
stabilimento, grazie ad un accordo tra direzione aziendale e Comune di Vergato,
è stata oggetto di un importante intervento di recupero urbanistico: attualmente
nell’area ex-Ilm hanno sede numerose attività commerciali che secondo alcune
stime danno lavoro a circa un centinaio di persone (vedi saggio Menzani).
4.2. Il caso dell’Arco
La nascita dell’Arcotronics di Vergato, già affrontata nel saggio di Tito Menzani,
appare di particolare interesse anche sotto il profilo delle ricadute sociali e politiche che l’apertura dello stabilimento ebbe nel territorio vergatese sia dal punto di vista occupazionale che del rapporto con il territorio e con la cittadinanza. L’apertura nel 1973 del nuovo stabilimento dell’Arcotronics, appositamente
costruito per ospitare l’unità produttiva vergatese dell’azienda, fu preceduta
dal trasferimento, plausibilmente nel biennio precedente, di alcune produzioni
dall’azienda madre di Sasso Marconi a un piccolo capannone in località Serini
di Vergato, già sede della filanda Saic chiusa negli anni Cinquanta. Secondo le
fonti orali raccolte nel corso della ricerca, il capannone dei Serini rappresentò
una soluzione temporanea dove collocare alcune produzioni in attesa che fosse costruito il nuovo stabilimento. Come emerge anche dalla testimonianza di
Renata Bortolotti, delegata sindacale all’Arco di Sasso Marconi, la decisione di
impiantare un nuovo stabilimento nella zona di Vergato rispondeva principalmente all’esigenza di decentrare, in un territorio ritenuto meno attivo sul piano
sindacale, quelle produzioni più nocive che avevano dato adito ad una forte conflittualità operaia nello stabilimento di Sasso Marconi.
Va ricordato, infatti, che a partire dalla fine degli anni Sessanta il Collettivo
di medicina preventiva del Comune e della Provincia di Bologna aveva effettuato numerose inchieste sull’ambiente di lavoro in vari stabilimenti industriali
ferri, cit.
Ibidem.
73
114
Dalle radici a una nuova identità. Vergato tra sviluppo economico e cambiamento sociale (1945-2014)
bolognesi, tra cui spicca l’Arcotronics di Sasso Marconi74. Si trattava infatti di una
fabbrica a maggioranza femminile in cui particolarmente elevati erano i livelli
di nocività, tanto da generare l’elaborazione di piattaforme rivendicative ad hoc
sull’ambiente di lavoro. Le lotte condotte nello stabilimento Arco di Sasso Marconi tra la fine degli anni Sessanta e i primissimi anni Settanta portarono alla
firma di accordi aziendali che prevedevano, tra gli altri aspetti, il pagamento da
parte dell’azienda di visite mediche specialistiche a carattere periodico e la conservazione in azienda delle cartelle sanitarie personali per la verifica da parte
dei rappresentanti dei lavoratori dello stato di salute dei singoli dipendenti. Le
lotte per l’ambiente di lavoro dei primissimi anni Settanta, analizzate nel dettaglio in altre sedi, indussero varie aziende del Bolognese a decentrare le produzioni più nocive in aree meno industrializzate della provincia o di altre regioni75.
La decisione dell’Arcotronics di impiantare un nuovo stabilimento a Vergato
non fu priva di conseguenze e impose all’allora amministrazione comunale di
prendere alcune decisioni non scevre di conseguenze sul piano del consenso
politico. La testimonianza di Amedeo Aldrovandi, all’epoca consigliere comunale, ricostruisce i passaggi che portarono alla costruzione dello stabilimento
dell’Arcotronics e mette in luce gli scarsi margini di contrattazione dell’amministrazione comunale con l’azienda, la quale aveva già pianificato l’area in cui
voleva impiantare lo stabilimento e poneva come condizione che il terreno suddetto fosse concesso dal Comune gratuitamente o ad un prezzo molto inferiore
al proprio valore.
Eravamo io e il povero Nanni Franco, lui era in Consiglio comunale allora, il sindaco
[era] Comani… Un bel giorno fummo invitati a Sasso Marconi dove l’Arco aveva l’azienda, l’ing. Falchieri che era il direttore dell’Arco a Sasso ci pose una questione molto
semplice: «Noi abbiamo bisogno di espandere l’azienda, abbiamo intravisto un posto
che forse andrebbe bene per fare un insediamento a livello industriale […] questo posto è il campo sportivo». Ci posero questo ricatto e allora te cosa pensavi di fare, noi
eravamo lì e ci guardammo […] e ci dicemmo cosa facciamo? Ci ponevano la questione
di un insediamento industriale dove [poteva] lavorare della gente, perché allora c’era
bisogno di avere un posto di lavoro, perché c’erano dei giovani che avevano bisogno
di trovare un posto […] ragionammo dieci minuti e dicemmo: «Adesso noi andiamo in
Consiglio Comunale e sentiamo anche il parere degli altri» […] però decidemmo di fare
questa manovra...76
74
Collettivo di medicina preventiva del Comune e della provincia di Bologna, Rapporto dalle fabbriche. Organizzazione del lavoro e lotte per la salute nella Provincia di Bologna, Roma, Editori
Riuniti, 1973, pp. 24-25.
Su questi aspetti si rimanda a: Betti, Assetti produttivi, cit.
75
Intervista ad Amedeo Aldrovandi, cit.
76
Eloisa Betti, Lavoro, lotte sociali, partecipazione politica. Storie di donne e di uomini
115
La scelta che si impose e che venne ratificata dal Consiglio comunale fu quella
di sacrificare il campo sportivo per consentire la costruzione di una nuova unità produttiva dell’Arco nel territorio vergatese. Nell’ottica degli amministratori
locali dell’epoca si trattava di un’opportunità importante per creare nuovi posti
di lavoro in primis per i cittadini di Vergato, ma anche per tutta l’area montana.
Come emerge a chiare lettere dalla delibera del Consiglio comunale «l’iniziativa
deve essere incoraggiata, al fine di lenire la preoccupante disoccupazione per
mancanza di lavoro in questo Comune e per le difficoltà di inserimento altrove»77.
Come emerge dalla testimonianza di Aldrovandi, la decisione non fu semplice né priva di conseguenze per l’opposizione di una parte della cittadinanza che
addossava all’amministrazione la colpa di aver “svenduto” il campo sportivo, al
quale soprattutto gli sportivi vergatesi erano affezionati. Poco dopo tuttavia vide
la luce un nuovo impianto sportivo, ancora esistente e di più ampie dimensioni,
cosa che parve ricomporre la frattura originatasi quando la squadra del Vergato
calcio era stata obbligata a svolgere le proprie partite nel campo sportivo della
limitrofa Pioppe di Salvaro.
L’Arco di Vergato nei primissimi anni di attività risultava composta in larga
parte da donne, secondo un’organizzazione del lavoro che le vedeva ricoprire
prevalentemente mansioni operaie – laddove i ruoli di capo-reparto o manutentore erano prevalentemente svolti da uomini ­– e lavorare prevalentemente alla
catena di montaggio. Emblematica al riguardo la testimonianza di Giuliana, che
ci restituisce un vivido affresco delle condizioni di lavoro presenti nello stabilimento nei primissimi anni di attività:
La maggioranza erano donne e poi c’erano gli uomini che erano i manutentori, i responsabili delle macchine […] erano i capi-reparti, i capi-turni, quelli erano tutti uomini
[…] la battaglia sindacale è stata quella anche di avere delle donne responsabili. La
prima conquista che abbiamo fatto è stata nel reparto avvolgitura, dove una donna
aveva la responsabilità di gestire il reparto78.
La fatica fisica e mentale provocata dal lavoro incessante alla catena di montaggio e da ritmi di lavoro spesso esasperati è, come noto, uno dei nodi cruciali della
critica portata avanti tra gli anni Sessanta e Settanta da intellettuali, medici e dal
movimento operaio nel suo complesso alla cosiddetta organizzazione del lavoro “fordista”79. Le parole qui riportate ben testimoniano come anche le lavoratrici
Verbale del Consiglio comunale di Vergato, 18 aprile 1973, in Acv.
77
Intervista a Giuliana Degli Esposti, cit.
78
Si veda, ad esempio, la riflessione di Claudio Sabattini, segretario della Fiom bolognese nella
prima metà degli anni Settanta. Cfr. E. Betti, «Salute in fabbrica» e «condizione operaia» nell’elaborazione di Claudio Sabattini, in Assetti produttivi, cit.
79
116
Dalle radici a una nuova identità. Vergato tra sviluppo economico e cambiamento sociale (1945-2014)
dell’Arco di Vergato avessero difficoltà ad adattarsi a una siffatta organizzazione del lavoro, tanto da spingerle, come nel caso di Giuliana, a impegnarsi direttamente come delegate sindacali per un miglioramento della loro condizione:
Quando sono entrata all’Arco, dopo poco c’era il rinnovo del Consiglio di fabbrica […]
sono stata subito eletta delegata sindacale e poi ho iniziato le mie battaglie sindacali,
sono stata licenziata una volta, poi riassunta80.
La critica dell’organizzazione del lavoro dettata dalla catena di montaggio poteva portare anche a forme di opposizione al ritmo di lavoro imposto dalle macchine:
lasciavo indietro dei pezzi apposta, caricavo uno si e uno no […] la mia venuta ad essere
delegata è arrivata in questa circostanza, io facevo meno pezzi di quelli richiesti e mi
richiamavano in continuazione… e poi a un certo punto mi dissero «fatti tutelare dai
delegati», perché ancora non ero delegata. Allora chiamai due delegati, una cercava
di dirmi di fare quello che riuscivo a fare, l’altro mi disse «se hai tempo a campare ne
prenderai di sgridate» quindi a quel punto decisi che era meglio se mi tutelavo da sola
e poi c’era il rinnovo dei delegati e venni eletta81.
Dalle fonti orali emerge come il miglioramento dell’ambiente di lavoro abbia
rappresentato per tutti gli anni Settanta una delle prima rivendicazioni delle lavoratrici e dei lavoratori dell’Arco di Vergato, poiché era particolarmente nocivo
come emerge anche dalla testimonianza di Pasquale Colombi entrato all’Arco
alla fine degli anni Settanta:
Il tipo di lavorazioni che si svolgevano all’interno dell’azienda erano lavorazioni ad
alto rischio, a rischio indotto, metalli pesanti… zinco, piombo, stagno che inalati in una
certa quantità sono dannosi per la salute, resine, […] sono materiali che vengono preparati a caldo, sono dei liquidi molto densi che poi vengono colati nel prodotto elettronico finito, dentro il condensatore e poi solidificano. La solidificazione [...] avviene
in ambiente riscaldato, in forni, che se non sono ben coibentati è chiaro che liberano
dei vapori pericolosi. Allora a Vergato l’ambiente era unico, si faceva tutto in un unico
grande capannone, il primo grande capannone di Vergato, dove addirittura c’era anche la sala mensa in un angolo. I problemi di salute erano molto seri82.
Le conseguenze di un simile ambiente di lavoro erano tutt’altro che trascurabili
come emerge dal racconto di Giuliana:
Intervista a Giuliana Degli Esposti, cit.
80
Ibidem.
81
Intervista a Pasquale Colombi, cit.
82
Eloisa Betti, Lavoro, lotte sociali, partecipazione politica. Storie di donne e di uomini
117
Le prime lotte che abbiamo fatto sono state per la salute e per l’ambiente, noi abbiamo
avuto delle persone che si sono ammalate seriamente […] Le sostanze messe assieme
diventavano nocive […] le donne si riempivano di allergie… i datori di lavoro ti dicevano
«sei malato, stai a casa»… siamo riusciti a creare una stanza dentro agli uffici dove queste donne lavoravano in certe produzioni finali che non determinavano effetti nocivi83.
Le lotte all’Arco di Vergato furono generalmente condotte di concerto con gli
altri stabilimenti del Bolognese, a partire da quello di Sasso Marconi, che rappresentava il principale centro di elaborazione delle piattaforme rivendicative per gli stabilimenti dell’intero gruppo Plessey (proprietario dell’Arco) della
provincia. Questa strategia rivendicativa congiunta, che prevedeva forme di
coordinamento fra gli stabilimenti di uno stesso gruppo, emerge con chiarezza
dalle stesse piattaforme e dagli accordi sottoscritti dalla Flm e rivenuti presso
l’Archivio della Camera del lavoro di Bologna. Nel 1975, ad esempio, l’accordo
aziendale della “Plessey-Arco spa” era applicato negli stabilimenti di Sasso Marconi, Vergato, Loiano e Monghidoro. Tra gli impegni assunti dall’azienda per ciò
che riguardava l’ambiente di lavoro figuravano ad esempio: il miglioramento
dell’impianto dell’aria compressa, inserire apparati tesi a limitare la rumorosità,
inserire mescolatori per evitare il contatto con resine, la sostituzione della pavimentazione di alcuni reparti, a Vergato, inoltre, veniva accettata la richiesta di
sistemare diversamente alcuni macchinari84.
Alla fine degli anni Settanta lo stabilimento Arco di Vergato fu teatro di un’importante vertenza. Va ricordato che nel 1978 erano in corso trattative tra il Consiglio di fabbrica e Flm, da un lato, e direzione aziendale, dall’altro, sulle linee di
sviluppo presentate dall’azienda, che, mirando ad un incremento della produzione negli stabilimenti bolognesi prometteva l’assunzione di 33 nuovi dipendenti
a fronte dell’introduzione di 2 turni lavorativi anche il sabato e la possibilità di
utilizzare lavoro straordinario. Nel rifiutare le proposte della direzione, le organizzazioni sindacali evidenziavano come l’introduzione del sabato lavorativo
potesse creare problemi per le condizioni di vita dei lavoratori, soprattutto delle
molte lavoratrici del gruppo, e come la richiesta di flessibilità oraria potesse
tradursi nell’impossibilità per i dipendenti di “controllare” le proprie condizioni
di lavoro e di vita85.
Nello stesso anno, la direzione aziendale dell’Arco di Vergato redigeva una
lettera dove faceva presente alle organizzazioni sindacali, al sindaco di Vergato,
all’Inam e al Consiglio di fabbrica che le assenze per malattia nello stabilimento
Intervista a Giuliana Degli Esposti, cit.
83
Accordo aziendale 19 aprile 1975, in Asclbo, Fondo Fiom, Busta 7.12, fasc. “Arco Plessey”.
84
Documento del consiglio di fabbrica Arco e della Flm sulle proposte della direzione, in Asclbo,
Fondo Fiom, Busta 7.12, fasc. “Arco Plessey”.
85
118
Dalle radici a una nuova identità. Vergato tra sviluppo economico e cambiamento sociale (1945-2014)
di Vergato risultavano più elevate che negli stabilimenti di Sasso Marconi e di
Monghidoro, addossandone la responsabilità interamente ad un presunto comportamento scorretto delle maestranze e paventando ricadute negative sulle
scelte strategiche del gruppo Plessey rispetto allo stabilimento Arco di Vergato86. Per intimorire i lavoratori, iniziarono ad essere inviati a tappeto gli elenchi
degli assenti senza neppure distinguere la motivazione dell’assenza, come ricorda Giuliana.
Dai documenti conservati presso l’Archivio comunale di Vergato emerge
come nel febbraio del 1979 la situazione in corso all’Arco venne ampiamente
discussa dal Consiglio comunale. In quell’occasione venne votato all’unanimità un ordine del giorno che riassumeva i termini della vertenza ed esprimeva
solidarietà da parte dell’amministrazione nei confronti dei lavoratori e delle
lavoratrici dell’azienda. In base all’accordo sottoscritto nel maggio del 1978,
l’azienda, che all’epoca occupava circa 170 dipendenti, si impegnava ad ampliare lo stabilimento sviluppandone l’occupazione e a promuovere azioni di bonifica dell’ambiente di lavoro interne ed esterne allo stabilimento87. Nulla di tutto
queste all’inizio del 1979 era ancora stato messo in pratica, cosa che generò un
inasprimento della conflittualità nella fabbrica.
Seguì l’importante accordo del 25 ottobre 1980 con il quale venne ottenuto
un ampliamento dello stabilimento di 1.000 metri mq, cosa che consentì lo sviluppo della produzione e dell’occupazione. Vennero inoltre concordate importanti azioni di bonifica dell’ambiente di lavoro, giudicato nocivo anche per le
esalazioni che produceva nel territorio circostante lo stabilimento88.
Gli anni Ottanta, sulla scorta dell’ampliamento dello stabilimento, furono gli
anni di maggior sviluppo dell’Arco, che arrivò a contare, secondo alcune stime,
circa 300-320 dipendenti sui complessivi 1.300 dei tre stabilimenti del Bolognese
(Sasso Marconi, Monghidoro, Vergato). Lo stabilimento venne ulteriormente ampliato, relativamente all’area magazzino, con l’accordo del 1985, anno di massima espansione dell’Arco di Vergato da quanto emerge dalle fonti orali e scritte89.
La parabola discendente dell’Arco ebbe inizio negli anni Novanta e si è conclusa recentemente. I numerosi passaggi di proprietà verificatesi tra anni Novanta e Duemila ebbero ricadute negative sulle prospettive dell’azienda e sugli
stessi livelli occupazionali. Nel 2008, la Kemet, nuova proprietaria dell’Arco di
Vergato, stabilì il licenziamento di 340 dipendenti e il trasferimento immediato
Lettera dell’11 dicembre 1978, in Asclbo, Fondo Fiom, Busta 7.12, fasc. “Arco Plessey”.
86
Verbale del Consiglio comunale di Vergato, 8 febbraio 1979, in Acv.
87
Verbale accordo Arcotronics, 25 ottobre 1980.
88
Intervista a Pasquale Colombi, cit.; Intervista a Giuliana Degli Esposti, cit.
89
Eloisa Betti, Lavoro, lotte sociali, partecipazione politica. Storie di donne e di uomini
119
delle lavorazioni dallo stabilimento di Vergato a Sasso Marconi90.
A seguito di ripetute lotte e scioperi, la Regione Emilia-Romagna promosse
un tavolo di confronto con l’azienda, le organizzazioni sindacali e le istituzioni
locali, che si concluse con la firma di un accordo che impegnava l’azienda a
mantenere le produzioni in Italia e a discutere i piani di ristrutturazione aziendale. Tra il 2008 e il 2011, grazie all’utilizzo di ammortizzatori sociali, numerosi
lavoratori e lavoratrici furono incentivati a lasciare lo stabilimento e l’occupazione si ridusse significativamente91.
Seguì nell’ottobre del 201192 un ulteriore accordo sindacale, che stabilisce la
definitiva chiusura dello stabilimento di Vergato. Frutto di un tavolo di confronto
che ha visto la partecipazione oltre che dell’azienda e delle organizzazioni sindacali, della Regione Emilia-Romagna e del Comune di Vergato, l’accordo chiude la storia quarantennale dell’Arco di Vergato garantendo ai lavoratori ancora
in forza di proseguire il lavoro nel nuovo stabilimento di Pontecchio Marconi.
L’area dove sorge lo stabilimento Arco a Vergato, che tante controversie aveva generato nel momento in cui era stata classificata area industriale, per scelta
del Comune è stata riconfermata tale in attesa che una nuova attività industriale
possa collocarvisi93. La stessa azienda Kemet – proprietaria dello stabilimento
Arco – ha infatti assunto l’impegno, con l’accordo del 2011, di attivarsi per promuovere la reindustrializzazione, l’acquisizione dei siti produttivi da parte di altre attività imprenditoriali, nonché la riqualificazione dell’area stessa.
Memoria dattiloscritta di Renata Bortolotti.
90
Verbale accordo aziendale Kemet del 16 aprile 2008.
91
Verbale accordo aziendale Kemet del 10 novembre 2011.
92
Comune di Vergato, “Comunichiamo”, dicembre 2011.
93
Dalle radici a una nuova identità.
Vergato tra sviluppo economico e cambiamento sociale (1945-2014)
a cura di Eloisa Betti e Carlo De Maria
Bologna (BraDypUS) 2014
ISBN 978-88-98392-07-0
pp. 121-139
L’andamento demografico
e i servizi alla cittadinanza
Matteo Troilo
1. L’evoluzione demografica e le principali dinamiche sociali
I decenni successivi alla fine della Seconda guerra mondiale sono quelli che
hanno segnato più in profondità con modifiche permanenti la società italiana.
La montagna bolognese e Vergato in particolare non fanno eccezione, avendo
registrato nel giro di poco tempo cambiamenti demografici e sociali radicali. La
demografia e i dati dei censimenti dell’Istat costituiscono il punto di riferimento
privilegiato per affrontare tali argomenti, oltre a questi dati, che per loro natura
costituiscono delle “fotografie” decennali, è possibile fare affidamento su una
letteratura specifica che offre alcune analisi di valore. Per quanto riguarda la
montagna bolognese lo studio più esaustivo è quello fatto nel 1989 da Fausto
Anderlini e Maria Angiola Gallingani, che ha classificato in cinque fasi temporali le dinamiche demografiche della zona nell’Ottocento e nel Novecento. Sono
state quindi descritte: una fase di crescita indifferenziata (1811-1901), una fase di
crescita rallentata e differenziata (1901-1931), un periodo di declino pre-crollo,
un periodo di crollo generalizzato (1951-1971) e infine un momento di parziale
ripopolamento (1971-1981)1.
Il centro del nostro lavoro è costituito dalle ultime due fasi, con l’importante
considerazione che l’ultima ha conosciuto dal 1981 in poi uno sviluppo tale che si
può tranquillamente parlare di un pieno, anziché parziale, ripopolamento. Come
vedremo Vergato e molti comuni della montagna bolognese sono tornati proprio
Fausto Anderlini, Maria Angiola Gallingani, Montagne senza incanto, un profilo storico sociale
della montagna bolognese, Bologna, Clueb, 1989.
1
122
Dalle radici a una nuova identità. Vergato tra sviluppo economico e cambiamento sociale (1945-2014)
negli ultimi anni ai livelli abitativi precedenti alla Seconda guerra mondiale.
Partiamo per la nostra analisi dai dati sulla popolazione, che abbiamo riassunto nella tabella 1. Il primo censimento successivo alla guerra, nel 1951, registra un calo della popolazione decisamente rilevante (meno 486 unità e meno
6,8 in termini percentuali). Il censimento del 1961 registra dati negativi ancora
più allarmanti, confermando la stessa tendenza allo spopolamento ma con numeri raddoppiati rispetto al periodo precedente (meno 911 unità e meno 13,7
in termini percentuali). Siamo nel pieno di quel fenomeno che interessa tutta la
montagna bolognese, ma anche le aree della pianura. Nella seconda metà degli
anni Quaranta e per tutti gli anni Cinquanta le dinamiche demografiche della
provincia di Bologna videro tutti i comuni, con l’eccezione di Imola, perdere popolazione in favore del capoluogo. La progressiva perdita di importanza delle
attività economiche tradizionali, come l’agricoltura, segnò quegli anni nei quali
la città di Bologna vide un flusso continuo di emigrazione dalla pianura e dalla
montagna. Come si diceva fu soprattutto il declino dell’agricoltura a produrre
questi risultati, mentre dall’altro lato il capoluogo si mostrava sempre più come
un importante centro di attrazione, poiché dotato di opportunità lavorative
soprattutto per i più giovani. In questi anni anche a Vergato si produsse quel
fenomeno sociale molto importante per la storia italiana, e cioè la fine della famiglia tradizionale e patriarcale. Liberi dai vincoli, sociali ma anche lavorativi,
della famiglia tradizionale, molti giovani vergatesi scelsero in quegli anni la via
dell’emigrazione verso le maggiori opportunità offerte da Bologna2.
Il censimento del 1971 registra ancora un andamento negativo della popolazione vergatese, ma i numeri sono meno impietosi rispetto al passato. La variazione negativa 1961-1971 fu di poco meno di 200 abitanti (3,4%) ed era soprattutto frutto dei risultati delle precedenti ondate di emigrazione. La popolazione
a quel punto iniziava a stabilizzarsi ma l’abbandono del territorio soprattutto
da parte dei giovani aveva portato a un calo delle nascite e a un conseguente
generalizzato invecchiamento dei residenti. Mentre in questo decennio diversi
comuni della pianura, vicini a Bologna e in pieno sviluppo industriale, iniziano
la loro fase di ripopolamento, Vergato e tutta la montagna sono ancora abbastanza lontani dal vedere l’uscita dal fenomeno della decrescita demografica3.
Sono però anche gli anni in cui le case diventano più comode e confortevoli
con l’arrivo di servizi che in passato erano per pochi (vedi tabella 2). Il bagno in
casa e l’acqua potabile nel 1951 erano praticamente per un terzo della popolazione. Le cose cambiano rapidamente e nel giro di vent’anni le strutture interne
Istat, IX censimento generale della popolazione 1951; Istat, X censimento generale della popolazione 1961.
2
Istat, XI censimento generale della popolazione 1971.
3
Matteo Troilo, L’andamento demografico e i servizi alla cittadinanza
123
alle abitazioni diventano completamente differenti.
I censimenti del 1981 e del 1991 registrano un’inversione di tendenza con una
crescita della popolazione non clamorosa ma significativa, con tassi di crescita
tra il 4,6% (1981) e l’1,6% (1991)4. Siamo nella fase di ripopolamento individuata
da Anderlini e Gallingani, un periodo nel quale si concentrarono soprattutto
due tendenze che portarono a un ritorno di interesse verso la montagna bolognese. La prima tendenza era di tipo economico e riguardava principalmente
l’industrializzazione che in quegli anni si fece sempre più diffusa nel territorio
provinciale, e non solo nei comuni limitrofi a Bologna. Vergato divenne così un
centro economico più dinamico capace di attrarre nuove forze lavorative e di
conseguenza di aumentare il numero dei suoi residenti5. La seconda tendenza
è di tipo sociale e riguarda non solo il Bolognese ma tutta l’Italia. Negli ultimi
decenni le aree montane e collinari hanno conosciuto un generale ritorno di
popolazione dovuto a un processo di rivalutazione di questi territori e della
qualità della vita che possono offrire6. Per quanto riguarda Vergato c’è da dire
che tale tendenza diventa anche più netta in quanto le vie di comunicazione
con Bologna e la pianura permettono anche il fenomeno del pendolarismo.
Gli ultimi due censimenti (2001 e 2011) hanno registrato una crescita demografica ancora più netta, con delle percentuali di incremento tra il 13 e il 14%.
Questa è frutto dei risultati positivi della precedente crescita, più popolazione
giovane e quindi una maggiore natalità, ma anche di un fenomeno completamente nuovo che si è fatto rilevante proprio negli ultimi anni, l’emigrazione straniera.
Istat, XII censimento generale della popolazione 1981; Istat, XIII censimento generale della popolazione 1991.
4
5
Massimo Angeli, La demografia montana, in Mauro Maggiorani, Paola Zagatti (a cura di), La montagna dopo la guerra. Continuità e rotture nell’Appennino bolognese tra Idice e Setta-Reno: 19452000, Bologna, Aspasia, 2009, pp. 417-433.
6
Ercole Sori, Storiografia e storia della montagna appenninica: l’evoluzione demografica, in Antonio Calafati, Ercole Sori (a cura di), Economie nel tempo. Persistenze e cambiamenti negli Appennini
in età moderna, Milano, Franco Angeli, 2004, pp. 21-38.
124
Dalle radici a una nuova identità. Vergato tra sviluppo economico e cambiamento sociale (1945-2014)
Tab. 1. Variazioni della popolazione a Vergato (1936-2011)
Anni
Numero di abitanti
Variazione
Variazione percentuale
1936
7.113
1951
6.627
(-486)
(-6,8%)
1961
5.716
(-911)
(-13,7%)
1971
5.519
(-197)
(-3,4%)
1981
5.776
(+257)
(+4,6%)
1991
5.872
(+96)
(+1,6%)
2001
6.730
(+858)
(+14,6%)
2011
7.642
(+912)
(+13,5%)
Fonte: nostre elaborazioni da Censimenti generali della popolazione (1936-2011). Per il censimento del 2011, non essendo stati ancora pubblicati tutti i risultati, i dati sulla popolazione
sono stati presi al sito http://www.istat.it/it/censimenti-generali.
Tab. 2. Abitazioni fornite di servizi a Vergato (1951-1981)
Anni
Totale
Acqua
potabile
interna
Acqua
potabile
esterna
Acqua
potabile
da pozzo
Gabinetto
interno
Gabinetto
esterno
Bagno
Illuminazione
elettrica
1951
1832
519
156
362
636
362
86
1252
1961
2128
1388
375
222
1138
749
451
1736
1971
2445
2341
59
21
2041
201
1706
2399
1981
3560
3478
24
13
3376
79
3210
3523
Fonte: Censimenti generali della popolazione (1951-1981).
Tale andamento demografico ha spinto le amministrazioni comunali del dopoguerra ad intervenire in diversi modi nelle politiche sociali. Lo spopolamento del
periodo 1945-1971 fece mancare quella spinta demografica importante per la
creazione di nuove politiche in favore delle famiglie e dell’infanzia, come invece
accadeva nella vicina Bologna. D’altra parte però c’era la necessità di assistere
chi rimaneva a Vergato, perché era la parte più debole, spesso più anziana, della
popolazione. Le politiche sociali del dopoguerra si espressero principalmente
attraverso l’Ente comunale di assistenza, che ebbe un ruolo importante soprattutto nei decenni di crisi successivi al conflitto.
Matteo Troilo, L’andamento demografico e i servizi alla cittadinanza
125
2. Il welfare locale dal dopoguerra agli anni Settanta. L’Ente comunale di assistenza
Parlare di welfare locale in un piccolo comune come Vergato vuol dire addentrarsi nel complesso, e non sempre positivo, rapporto tra lo Stato e gli enti locali.
Nelle materie “lasciate libere” dallo Stato i comuni ebbero in teoria grande autonomia nell’elaborazione politica dei vari modelli d’intervento, nella pratica
però dal punto di vista operativo la loro attività era limitata notevolmente dal
controllo dello Stato che operava attraverso le prefetture e le giunte provinciali amministrative. Anche nel caso di Vergato questi aspetti risultano evidenti
nell’analisi che si è fatta sui documenti dell’archivio comunale.
Il principale istituto di gestione e di erogazione dei servizi di assistenza sociale, fino al 1978 anno della sua soppressione, fu l’Ente comunale di assistenza
(Eca). Gli Eca erano nati nel 1937 sotto il regime fascista ed avevano lo scopo
di sostituire le antiche Congregazioni di carità, nate durante il periodo napoleonico e confermate con poche modifiche sia dopo la Restaurazione, sia dopo
l’Unità d’Italia. Le Congregazioni avevano lo scopo principale di riunire sotto
un’unica amministrazione tutte le attività benefiche cittadine, enti ed istituti che
avevano spesso una storia molto lunga e che in parte erano dotati di un cospicuo
patrimonio frutto della beneficenza dei cittadini benestanti. In piena continuità
con le Congregazioni, gli Eca si presentarono come soggetti morali di carattere
pubblico, dotati di un proprio patrimonio e di specifici scopi e organi amministrativi. Le modifiche rispetto alle Congregazioni di carità riguardavano soprattutto l’assetto amministrativo. Se le prime erano rette da una figura molto forte,
quella del presidente, spesso un notabile cittadino, coadiuvato da un consiglio di
patroni che aveva un ruolo puramente consultivo, i nuovi istituti assunsero una
forma gestionale decisamente più legata all’amministrazione comunale. Gli Eca
furono affidati infatti a un comitato d’amministrazione presieduto dal podestà e
composto da rappresentanti del fascio locale e dell’associazionismo sindacale7.
Con la caduta del fascismo furono introdotte delle nuove norme amministrative che costituiranno la base della futura storia degli Eca. Siamo ancora in pieno
conflitto quando il decreto legge n. 125 del 14 aprile 1944, emanato dal governo
Badoglio a Salerno, introduceva l’elezione dei membri dei comitati da parte delle
giunte municipali. Tale intervento legislativo restava in vigore anche negli anni
successivi con la piccola modifica che l’elezione dei membri dei comitati passava
nelle mani dei consigli comunali. Sul piano finanziario gli Eca ereditavano il patri-
Legge n. 847 del 3 giugno 1937, Istituzione in ogni comune del Regno dell’Ente comunale di assistenza, in particolare articoli 5 e 6.
7
126
Dalle radici a una nuova identità. Vergato tra sviluppo economico e cambiamento sociale (1945-2014)
monio delle Congregazioni, formato in genere da beni immobiliari provenienti da
lasciti testamentari, oltre naturalmente dagli istituti di assistenza e beneficenza
amministrati. Questi, oltre ad erogare servizi, se ben gestiti potevano garantire
agli enti delle interessanti entrate. A parte queste rendite gli Eca provvedevano al
raggiungimento dei propri fini attraverso un’addizionale su determinate imposte8.
Un ruolo di grande importanza spettava anche in questo caso al prefetto che
controllava da vicino l’operato e la situazione finanziaria dell’ente, ne autorizzava le accettazioni di lasciti e donazioni e gli acquisti di beni immobili e, come
vedremo, influiva anche nell’attuazione di alcuni tipi di assistenza. Il controllo
prefettizio simboleggiava quanto fossero ristretti i margini di manovra per le
amministrazioni comunali nella gestione degli Eca, un elemento riscontrabile
anche nei pochi studi storici sinora effettuati sulla storia di questi enti9.
L’Eca di Vergato in questo senso non si discosta dai casi nazionali, ma le sue
vicende costituiscono però un caso di studio interessante perché sinora i soggetti studiati riguardano principalmente comuni di grandi e medie dimensioni.
Per comprendere cosa accadeva in un piccolo territorio come quello di Vergato
bisogna partire dal constatare che il suo Eca era un ente dotato di scarse risorse
finanziarie, in quanto, benché avesse ereditato alcune rendite immobiliari, queste coprivano solo una piccola parte delle spese effettive10.
In una situazione di estrema emergenza nell’immediato dopoguerra le prime
forme di sussidio economico elargite dall’Eca di Vergato riguardarono le vittime
del conflitto. Nei primi mesi a ridosso della fine della guerra le attività dell’Eca
saranno infatti finalizzate soprattutto verso i sussidi straordinari per i profughi.
Finito il periodo di emergenza del periodo post-bellico con i sussidi straordinari
ai profughi e i sostegni materiali provenienti dai programmi di aiuto americano,
la gestione degli Eca si assestò verso una serie di sussidi definiti “ordinari” a varie
categorie di popolazione cittadina ritenuta disagiata. La legislazione nazionale
prevedeva un sussidio di assistenza generica da concedere alle seguenti categorie di bisognosi: gli over 65 soli, gli orfani con meno di 15 anni, le persone dichiarate inabili al lavoro dal medico dell’Eca sia in via temporanea che permanente,
e le madri con figli minori di 15 anni non in grado di lavorare. Al sussidio ordinario si aggiunse nel 1954 il Soccorso invernale, una forma di aiuto monetario
Massimiliano Paniga, Welfare ambrosiano. Storia, cultura e politiche dell’Eca di Milano (19371978), Milano, Franco Angeli, 2012, pp. 14-15.
8
9
Oltre a Paniga, Welfare ambrosiano, cit., è il caso di ricordare Stefano Agnoletto, Un modello
di welfare locale. Storia dei servizi sociali a Firenze: dalla nascita delle regioni alla società della
salute, Milano, Franco Angeli, 2005, e Stefano Magagnoli, Nora Liliana Sigman, Paolo Trionfini (a
cura di), Democrazia, cittadinanza e sviluppo economico. La costruzione del welfare municipale a
Modena negli anni della repubblica, Roma, Carocci, 2003.
Archivio del Comune di Vergato (d’ora in avanti Acv), Eca, b. “1945-46”.
10
Matteo Troilo, L’andamento demografico e i servizi alla cittadinanza
127
diretto durante la stagione invernale verso i disoccupati sprovvisti di sussidio di
disoccupazione, ai pensionati della previdenza sociale e ai minori appartenenti
a famiglie bisognose11.
Per quanto riguarda il soccorso invernale questo veniva in realtà gestito direttamente da un comitato provinciale, nel caso di Vergato quello di Bologna,
che decideva i beneficiari e delegava agli Eca soltanto l’erogazione del servizio.
Anche dal punto di vista finanziario i fondi nazionali per il soccorso invernale passavano attraverso l’Eca ma non venivano gestiti direttamente da questo,
tanto che anche nei bilanci questi fondi venivano segnati come “partite di giro”
e non venivano conteggiati nelle entrate e uscite complessive. Per quanto riguarda i sussidi ordinari il finanziamento proveniva principalmente dallo Stato,
mentre all’Eca spettava la funzione di decidere come assegnarli.
Anche per l’Eca di Vergato si pose il problema di stabilire chi fossero effettivamente i veri bisognosi tra le categorie aventi diritto al sussidio. I termini di
legge per l’identificazione erano in effetti piuttosto generici e soprattutto coinvolgevano una platea decisamente ampia con la conseguenza che le risorse di
fatto non bastavano. Venne creato così un elenco di persone bisognose sulle
cui caratteristiche controllavano i vigili urbani e le forze dell’ordine locali. In
maniera abbastanza frequente tale elenco veniva posto all’approvazione del
comitato di amministrazione dell’ente alla presenza del segretario comunale.
Nelle redazione dell’elenco assistiti si specificavano anche le domande che erano state respinte e le persone che non avevano più diritto al sussidio in quanto
le condizioni erano decadute12.
Il controllo sui requisiti per la concessione dei sussidi era molto stretto e la
prefettura, vista anche la scarsità di risorse, insisteva molto con i vari Eca sul
rispetto di questi termini. Ciò valeva anche quando con un intervento statale si
arrivava ad aumentare i sussidi per i bisognosi. È interessante in tal senso leggere un documento del 1960 inviato dalla prefettura di Bologna ai vari Eca della
provincia tra cui quello di Vergato:
La legge 30.11.1950, n. 997, istitutiva del beneficio della maggiorazione assistenziale,
prescrive tassativamente due requisiti essenziali per la concessione del trattamento e
cioè: la iscrizione dei beneficiati nell’elenco dei poveri e la continuità del trattamento
assistenziale. […] È necessario, pertanto, che le norme richiamate siano osservate scrupolosamente in ogni caso e per ogni beneficiato13.
11
Patrizia Battilani, Francesca Fauri, Il welfare locale dagli anni Cinquanta agli anni Ottanta, in Patrizia Battilani, Corrado Benassi (a cura di), Consumare il welfare. L’esperienza italiana del secondo
Novecento, Bologna, Il Mulino, pp. 121-122.
Vedi come esempio la documentazione rinvenuta in Acv, Eca, b. “1950-1951”.
12
Lettera del prefetto di Bologna, 27 ottobre 1960, in merito alla maggiorazione del trattamento
13
128
Dalle radici a una nuova identità. Vergato tra sviluppo economico e cambiamento sociale (1945-2014)
Si comprende insomma come le prefetture intervenissero in maniera molto forte
sul controllo delle spese degli Eca, limitando l’autonomia decisionale dei comuni su come spendere i fondi. Sottolineando infatti l’importanza della «continuità
del trattamento assistenziale» quale condizione necessaria per la maggiorazione dei fondi si diceva agli Eca di continuare a spendere verso gli stessi servizi
(quelli per le persone povere), impedendo che i fondi venissero convogliati in
altre prestazioni a piacimento dell’amministrazione comunale.
In tal senso il ruolo delle prefetture, oltre che dalla legislazione, era reso
forte dal finanziamento statale che aveva un peso molto importante nell’entrate
dell’Eca di Vergato, in quanto le altre fonti di entrata erano abbastanza basse.
Nella tabella numero 3 abbiamo riassunto le entrate di 3 anni campione
nell’arco di vita dell’ente dal 1950 alla sua chiusura nel 1978. Come si può vedere il finanziamento pubblico costituisce la quasi totalità delle entrate, con la
voce rendite e contributi che costituiva soltanto una minima alternativa. Spicca
il risultato economico del 1955 nel quale le entrate non statali sono quasi il
30% del totale, ma è un elemento straordinario, probabilmente derivante dalla
vendita di alcuni beni immobiliari o da una donazione particolare. Gli anni successivi analizzati mettono infatti in evidenza un ritorno allo stretto legame con
il finanziamento statale14.
Tab. 3. Entrate effettive dell’Eca di Vergato, 1950-1970 (tra parentesi valori in
percentuale)
Anno
1950
1955
1970
Contributo dello Stato
950.000 (99,9)
1.130.000 (70,6)
3.117.000 (99,9)
Rendite-contributi vari-offerte 50 (0,1)
470.050 (29,4)
800 (0,1)
Totale
1.600.050
3.117.800
950.050
Fonte: nostre elaborazioni da Acv, Eca, bb. 1950, 1955, 1970.
Nella tabella 4 abbiamo fatto lo stesso per le spese e il risultato principale riguarda il fatto che la maggior parte delle uscite andavano direttamente nei sussidi, sia monetari, che in natura, fatti di combustibile per l’inverno, generi alimentari e indumenti. Non è un fatto scontato, si pensi infatti, come in altre realtà
si arrivasse a spendere anche l’80% del bilancio degli Eca per pagare il personale. In quei casi si era utilizzato tale ente per creare qualche posto di lavoro in più
assistenziale agli assistiti da parte degli EE.CC.AA., in Acv, Eca, b. “1960”.
Acv, Eca, b. “1955”.
14
Matteo Troilo, L’andamento demografico e i servizi alla cittadinanza
129
in ambito comunale15.
Come detto, nelle spese non venivano registrati i versamenti per i sussidi destinati all’assistenza invernale, che costituivano una “partita di giro” e quindi transitavano soltanto nelle casse dell’Eca che era poi costretto a versarli alle persone
indicate dal comitato provinciale. Su tutto il resto l’Eca di Vergato aveva una
certa autonomia di spesa, pur tenendo conto delle imposizioni della prefettura,
e quindi la sua corretta gestione, che emerge dallo studio dei bilanci, va imputata sicuramente all’ente e ai suoi amministratori.
Tab. 4. Spese effettive dell’Eca di Vergato, 1950-1970 (tra parentesi valori in percentuale)
Anno
1950
1955
1970
Personale
72.000 (7,6)
60.000 (3,4)
120.000 (3,9)
Amministrazione
35.000 (3,7)
20.000 (1,7)
150.000 (4,8)
Sussidi diversi
843.050 (88,7)
1.496.050 (94,9)
2.832.800 (91,3)
Totale
950.050
1.576.050
3.102.800
Fonte: nostre elaborazioni da Acv, Eca, bb. 1950, 1955, 1970.
Il controllo degli organi dello Stato iniziò ad allentarsi con l’inizio degli anni
Settanta e l’introduzione nel paese delle regioni a statuto ordinario. L’arrivo
dell’ente regionale portava più in generale un entusiasmo nuovo, in quanto si
prospettava in modo concreto la possibilità per l’amministrazione di Vergato di
sottrarsi al controllo prefettizio.
In attuazione del Decreto del Presidente della Repubblica del 24 luglio 1977,
n. 616, le regioni regolamentarono e formalizzarono il passaggio delle funzioni
svolte dagli Eca ai rispettivi comuni. Nello specifico la Regione Emilia-Romagna
provvedeva con la legge regionale del 17 febbraio 1978 n. 10 a stabilire che i
comuni sostituissero i disciolti Eca a partire dal primo aprile dello stesso anno.
Tutte le attività sociali passarono così gradualmente sotto il controllo comunale
e regionale, così come stava accadendo per la sanità e per l’istruzione.
Paniga, Welfare ambrosiano, cit., p. 22.
15
130
Dalle radici a una nuova identità. Vergato tra sviluppo economico e cambiamento sociale (1945-2014)
3. L’ambito pubblico, l’ospedale e le scuole
Nonostante il sensibile calo demografico vissuto fino agli anni Settanta il territorio comunale mantenne al suo interno delle importanti istituzioni assistenziali e
scolastiche, le quali aiutarono Vergato a limitare la sua marginalizzazione nei
confronti dei comuni della pianura. In tal senso Vergato era favorita dall’essere un luogo strategicamente importante per la fornitura di servizi come quelli
ospedalieri e quelli scolastici.
L’ospedale in particolare ha una storia lunga, quasi centenaria, arrivata fino
ad oggi nonostante i ridimensionamenti e i rischi di chiusura. La prima idea di costruire un ospedale nacque attorno agli anni Settanta dell’Ottocento all’interno
di una società carnevalesca, “La Castellata”, i cui soci avrebbero voluto sfruttare
a questo scopo i proventi di pubblici divertimenti. Il progetto, sicuramente degno di stima, risultò essere un poco ingenuo in quanto nel 1885 la società aveva
raccolto soltanto la modesta cifra di duemila lire, troppo poche per realizzare
un progetto così ambizioso. L’idea dell’ospedale non fu abbandonata e la società, dopo essersi sciolta, si ricostituì come “Comitato permanente di beneficienza” per la costruzione dello stabile per l’ospedale. Ad accelerare il processo di
costruzione fu il lascito testamentario del cittadino vergatese Davide Carboni
con la costituzione di un’opera pia per la costruzione dell’ospedale, lasciata in
amministrazione alla Congregazione di carità comunale. Siamo negli anni Novanta dell’Ottocento quando la struttura ospedaliera è praticamente pronta, ma
nonostante le rendite del legato Carboni e di altri lasciti, la possibilità di creare
dei reparti ospedalieri veri e propri appare ancora molto lontana16.
Importante in questa fase fu il lavoro svolto dal medico vergatese Umberto Monari, figlio del primo sindaco di Vergato del periodo unitario, e primario
dell’ospedale Maggiore di Bologna, che concesse alla nascente struttura il suo
supporto di consulente oltre che un corposo aiuto materiale. Il 22 aprile 1893 i
sovrani d’Italia Umberto e Margherita visitarono e inaugurarono gli stabilimenti
anche se di fatto la struttura non era funzionante. Ciò spiega perché nel 1993
l’amministrazione comunale ha voluto festeggiare il centenario, quando invece
diversi storici locali preferiscono ricordare una data successiva per la piena operatività dell’ospedale.
Tornando alle vicende storiche dell’ospedale c’è da ricordare come, poco
tempo dopo la visita dei sovrani, il professor Monari e il fratello ingegnere Emanuele donarono diversi costosi strumenti per allestire una pur minima sala ope-
Tutte le vicende della nascita dell’ospedale di Vergato sono state ricavate dai documenti, articoli
di giornale raccolti in occasione del centenario in Acv, Sanità, b. “Atti del sindaco 1985-1995”.
16
Matteo Troilo, L’andamento demografico e i servizi alla cittadinanza
131
ratoria. Verso la fine del secolo la Congregazione di carità arredò due locali della struttura per le visite ambulatoriali e per l’infermeria nella quale potevano
essere svolti piccoli interventi chirurgici. Si restò in questo stato di cose fino a
quando nel 1916 una nuova notevole elargizione di fondi, da parte del tenente
colonnello Quintiliano Alberico Romagnoli, permise una piena entrata in funzione dell’ospedale. Con regio decreto del 27 febbraio 1916 fu eretto l’ospedale
come ente morale sotto il controllo della Congregazione di carità17.
Durante il secondo conflitto mondiale anche l’ospedale dovette subire dei
danni e per un breve periodo le sue attività furono sospese. La sua importanza
per la cittadinanza e per l’amministrazione comunale, a cui era passata la gestione dopo la soppressione delle Congregazioni di carità in favore degli Eca, si
esprimeva nella nomina del consiglio di amministrazione già nel 194618.
Le norme in tal senso prevedevano un passaggio della gestione dall’Eca nelle
mani del consiglio di amministrazione, su cui influivano sia il Consiglio comunale
sia il prefetto, che aveva il diritto di nominare il presidente. Così come avveniva
per l’assistenza sociale dell’Eca, anche in questo caso era direttamente il prefetto ad indicare la via da seguire:
La costituzione del Consiglio d’Amministrazione del locale Ospedale Civile deve essere fatta a norma dell’art. 2 del R.D. 27/12/1938, relativo al decentramento dell’Ospedale stesso dall’amministrazione dell’E.C.A. A tenore del citato articolo, il Presidente deve
essere nominato dal Prefetto, tre membri dal Consiglio comunale, ed il 4° membro
deve esser nominato dal Prefetto19.
L’ultima parte della lettera però fa apparire come il clima fosse collaborativo e
tutto sommato teso al rispetto dell’autonomia dell’amministrazione comunale:
Si restituisce pertanto senza provvedimenti la delibera in oggetto perché codesto
Consiglio comunale provveda con sollecitudine alla nomina di sua competenza di tre
membri del Consiglio amministrativo dell’Ospedale. In pari tempo prego la S.V. di volermi proporre due terne di persone per la nomina da parte mia del presidente e del 4°
membro del Consiglio stesso20.
La storia dell’ospedale civile di Vergato continua per tutta la seconda metà del
secolo come importante presidio ospedaliero della montagna, seguendo tutti i
Statuto del civico ospedale di Vergato, 27 febbraio 1916, ivi.
17
Costituzione del Consiglio di amministrazione dell’ospedale civile di Vergato, in Acv, Sanità, b.
“1945-1960”.
18
Lettera del prefetto di Bologna al sindaco di Vergato, 25 ottobre 1946, ivi.
19
Ibidem.
20
132
Dalle radici a una nuova identità. Vergato tra sviluppo economico e cambiamento sociale (1945-2014)
passaggi di riforma del dopoguerra. Nel 1968 grazie alla cosiddetta Legge Mariotti, il sistema ospedaliero nazionale venne riformato, disciplinandone l’organizzazione, le funzioni e il finanziamento. Molti ospedali, Vergato incluso, sino ad
allora erano stati gestiti come enti di beneficenza ed assistenza, con la legge del
1968 diventavano veri e propri enti pubblici. Un successivo intervento di legge,
nel 1974, scioglieva i consigli di amministrazione, trasferendo i compiti in materia di assistenza ospedaliera alle regioni. L’intervento di legge più importante
fu però la nascita nel 1978 del Servizio sanitario nazionale che adeguava tutte
le prestazioni sanitarie pubbliche sotto un unico standard. Nascevano le Unità
sanitarie locali (Usl) con l’importante compito di gestire i vari enti ospedalieri di
un territorio21. L’ospedale di Vergato finiva sotto l’amministrazione della Usl 21
con sede a Porretta Terme.
Si arriva così ai primi anni Novanta quando nel clima di riforme di quegli
anni, tese soprattutto alla razionalizzazione della spesa nazionale per i servizi
ai cittadini, si incominciò a pensare alla riorganizzazione dell’ospedale di Vergato. In una seduta straordinaria del Consiglio comunale il 24 maggio 1993 l’amministrazione comunale pur convinta della necessità di razionalizzare le spese,
negava con forza il trasferimento di alcuni importanti reparti all’ospedale di
Porretta Terme22.
Nel giro di poco tempo però a livello regionale passò il progetto di unificazione della struttura con l’ospedale di Porretta Terme, proseguito poi negli anni
successivi nel nuovo clima di gestione della sanità che ha visto nascere le aziende sanitarie al posto delle vecchie Usl. Nonostante tutto l’ospedale di Vergato ha
continuato a svolgere la sua importante attività di welfare per i cittadini locali e
da pochi anni è stato trasferito in una nuova sede più moderna.
L’altra materia a livello locale molto importante era il settore scolastico che
nei suoi cambiamenti ci mostra perfettamente anche le modificazioni della società vergatese. Il censimento Istat del 1951 ci mostra come i dati sulla scolarizzazione a Vergato erano tutto sommato in linea con quelli della provincia
di Bologna. C’era un sostanziale ritardo, soprattutto se guardiamo il dato degli
analfabeti e dei diplomi di scuola media, con il resto della provincia e soprattutto con il capoluogo, ma erano dati in linea anche con il panorama nazionale. Il
ritardo maggiore si coglie nel decennio 1951-1961 quando nella provincia i tassi
di scolarizzazione media e superiore iniziano a crescere mentre a Vergato i dati
restano tutto sommato simili rispetto al decennio precedente. I dati vanno però
21
Giuseppe Dammacco, L’evoluzione del servizio sanitario in Italia e l’applicazione del controllo di
gestione in una realtà locale, Bari, Cacucci, 2007.
Verbale del Consiglio comunale straordinario, 24 maggio 1993, in Acv, Sanità, b. “Atti del sindaco
1985-1995”.
22
Matteo Troilo, L’andamento demografico e i servizi alla cittadinanza
133
considerati in rapporto a ciò che era accaduto alla popolazione. Come s’è visto
questo fu il decennio più drammatico per lo spopolamento e i risultati in termini
di scolarizzazione furono tutto sommato limitati. Erano i più giovani che emigravano e lasciavano così fuori dall’incremento scolastico una buona fetta di nuove
generazioni. Era però scesa in maniera decisa la percentuale di analfabeti secondo una tendenza abbastanza tipica del periodo, che vedeva il numero di persone
che non sapevano né leggere né scrivere rimanere costante nelle generazioni
più anziane e quindi scendere in termini percentuali con il passare dei decenni.
Furono gli anni Sessanta ad imprimere una svolta nell’istruzione a Vergato.
Risultarono svolgere un ruolo molto importante le scuole elementari, anche se
non tutti completavano il ciclo scolastico. Tra il 1961 e il 1971 ad esempio la
percentuale di chi non era analfabeta ma non era arrivato ancora al raggiungimento del titolo elementare era più che raddoppiata e lo stesso trend si vede nel
medesimo decennio per la scuola media.
Non è un caso che in quel periodo l’amministrazione comunale inizi a lavorare per dare una sede alla propria scuola media. Istituita proprio in quegli anni la
scuola media statale di Vergato non aveva una sede propria, e quindi il comune
doveva prendere in affitto diversi locali, reperiti in fabbricati diversi23.
Una problematica quella delle strutture educative che interessava non solo
la locale scuola media, ma che sicuramente ci mostra come l’amministrazione
era interessata ad intervenire in un settore ritenuto fondamentale per la ripresa
del territorio locale. Nel 1962 in Consiglio comunale il sindaco presentava un
piano generale per le scuole comunali che prevedeva, oltre alla costruzione della scuola media, la futura istituzione di un Istituto tecnico (come in effetti accadde) e la razionalizzazione delle sedi delle elementari sparse per le frazioni. Era
infatti in corso un processo di calo di bambini iscritti alle elementari periferiche
che richiedeva la chiusura di alcuni plessi e il trasferimento di diversi bambini
alle scuole del capoluogo24.
Il miglioramento delle strutture scolastiche fu anche uno dei motivi dell’incremento dei tassi di scolarizzazione successivi agli anni Settanta. Il ritardo con
il resto della provincia si attenua e si colgono soprattutto negli ultimi decenni
risultati notevoli. Si consideri ad esempio la percentuale dei diplomati alle scuole medie che continua la sua crescita importante, più del doppio nel ventennio 1971-1991. Notevole è anche la crescita della percentuale di diplomati alle
scuole superiori che nello stesso periodo è aumentata con tassi di crescita di
23
Esame proposta per acquisto terreno per la costruzione della Scuola media, in Acv, Deliberazioni
del Consiglio comunale, 24 luglio 1961.
Esame del problema delle scuole del Comune. Nomina di una commissione, in Acv, Deliberazioni
del Consiglio comunale, 30 maggio 1962.
24
134
Dalle radici a una nuova identità. Vergato tra sviluppo economico e cambiamento sociale (1945-2014)
circa il 50%. Con più ritardo è invece arrivata la crescita nel numero dei laureati,
più che raddoppiati soltanto tra il 1991 e il 2001, ed è in questa rilevazione l’unico dato in cui Vergato è ancora abbastanza lontana dal resto della provincia. È
comunque il segno di un processo di scolarizzazione partito in ritardo rispetto
ad altri luoghi ma che sta portando importanti risultati, e che probabilmente
saranno confermati dai risultati del censimento del 2011.
Negli anni di maggior impegno da parte dell’amministrazione comunale nelle politiche scolastiche furono inoltre affrontati i problemi relativi al trasporto
dei bambini delle frazioni nei plessi scolastici. Una tematica che diventava sempre più importante con il processo di taglio delle sedi e che quindi richiedeva un
servizio aggiuntivo per i bambini che avevano la scuola più lontana25. Infine va
ricordato come Vergato all’inizio degli anni Ottanta avesse un asilo nido comunale con 49 posti, un dato che non era certo da sottovalutare; in un’analisi della
Regione sugli asili nido dell’Emilia-Romagna si calcolava in circa 120 il numero
di bambini nati per triennio, e quindi potenziali ospiti dell’asilo. In tal caso l’asilo
nido avrebbe potuto coprire fino al 40% della potenziale richiesta26.
Tab. 5. Scolarizzazione a Vergato (1951-2001). Tra parentesi valori in percentuale
Anno
Analfabeti
Alfabeti privi
di titolo
Elementari
Medie
Superiori
Università
1951
483 (8,2)
889 (14,9)
4298 (72,2)
182 (3,0)
83 (1,4)
17 (0,3)
1961
268 (5,1)
612 (11,6)
3932 (74,4)
339 (6,4)
109 (2,1)
22 (0,4)
1971
171 (3,3)
1262 (24,5)
2776 (54,0)
694 (13,6)
203 (3,9)
37 (0,7)
1981
96 (1,8)
1149 (21,1)
2410 (44,2)
1267 (23,3)
454 (8,3)
71 (1,3)
1991
71 (1,3)
753 (13,2)
2158 (38,2)
1678 (29,7)
880 (15,6)
111 (2,0)
2001
80 (1,2)
630 (9,8)
1945 (30,5)
1919 (30,0)
1536 (24,0)
291 (4,5)
Fonte: nostre elaborazioni da Censimenti generali della popolazione (1951-2001).
25
Vedi, come esempio, Servizio per il trasporto degli alunni della Scuola dell’obbligo e materna per
l’anno scolastico 1981-82, in Acv, Deliberazioni del Consiglio comunale, 11 settembre 1981.
Regolamento per la gestione dell’asilo nido comunale e rilevazione e analisi dei costi di gestione
degli asili-nido, in Acv, Scuole, b. “Asilo nido”.
26
Matteo Troilo, L’andamento demografico e i servizi alla cittadinanza
135
Tab. 6. Scolarizzazione nella provincia di Bologna (1951-2001). Tra parentesi valori in percentuale
Anno
Analfabeti
Alfabeti privi
di titolo
Elementari
Medie
Superiori
Università
1951
40348 (5,7)
92424 (13,1)
481025 (68,3)
52133 (7,4)
28263 (4,0)
10041 (1,5)
1961
28893 (3,7)
90502 (11,6)
517487 (66,1)
90273 (11,5)
41024 (5,2)
14334 (1,8)
1971
17686 (2,1)
179511 (21,1)
425231 (50,0)
139348 (16,4)
67164 (7,9)
21365 (2,5)
1981
10301 (1,2)
149045 (16,8)
359107 (40,3)
222367 (25,0)
111019 (12,5)
36108 (4,2)
1991
6895 (0,8)
88729 (10,2)
288116 (33,0)
250633 (28,7)
186727 (21,4)
52153 (5,9)
2001
5420 (0,6)
71120 (8,2)
225374 (25,9)
238025 (27,3)
238842 (27,4)
92956 (10,6)
Fonte: nostre elaborazioni da Censimenti generali della popolazione (1951-2001).
4. Il settore terziario
Per concludere il nostro viaggio nelle profonde modificazioni conosciute da
Vergato nel dopoguerra andiamo ora ad analizzare il settore terziario, un
comparto che rappresenta non soltanto una parte importante dell’economia
ma anche un’immagine della società in pieno mutamento. Ciò va considerato,
soprattutto in quella fase economica successiva agli anni Settanta, quando il
terziario fu interprete di un vero e proprio boom. Infatti, negli ultimi decenni
del Novecento, il settore dei servizi ha conquistato una centralità economica
assolutamente non prevedibile all’inizio del secolo, non solo in Italia ma in tutto
il mondo industrializzato.
Anche a Vergato l’inizio degli anni Ottanta pone all’attenzione il boom del terziario. Se guardiamo i dati sugli addetti (si veda il saggio di Tito Menzani compreso
in questo volume) troviamo che già dal 1981 la maggioranza dei lavoratori era
impiegata nel terziario, percentuale che va ben oltre il 50% dal 1991 in poi. La
tendenza anche in questo caso era tipicamente nazionale, si stava infatti percorrendo un passaggio critico non solo per l’economia ma per l’intera società italiana.
L’avanzata del settore terziario e dei servizi giunse all’inizio degli anni Ottanta a
rappresentare il 48,3% degli occupati nazionali, percentuale che negli anni Novanta raggiunse il 60%. Di contro l’industria tra gli anni Ottanta e Novanta riusciva a
stare stentatamente al di sopra del 30%, mentre l’agricoltura scendeva sotto il 10%
degli occupati a partire dagli anni Novanta. Il predominio del settore dei servizi ha
136
Dalle radici a una nuova identità. Vergato tra sviluppo economico e cambiamento sociale (1945-2014)
messo in crisi economisti e sociologi per le difficoltà di definizione e misurazione
del fenomeno e per la stessa mancanza di schemi concettuali adeguati. Gli studi
più recenti hanno collegato la crescita del settore terziario italiano soprattutto
alla crescente richiesta di servizi da parte delle imprese, fenomeno che avrebbe
così condizionato l’intera economia nazionale27. Più in generale teorie rilevanti
sono nate in questo contesto di cambiamento ma non sono sempre apparse sufficienti a comprendere le trasformazioni del mondo contemporaneo e la loro portata. Si è parlato di «fine del lavoro» nel senso della fine dei settori classici, e di rinnovamento dei settori lavorativi grazie alla nascita delle tecnologie informatiche28.
Dal nostro punto di vista il fenomeno va rilevato e sottolineato con interesse
proprio perché coinvolge anche un territorio che non si ha difficoltà a definire
marginale nel tessuto economico nazionale e regionale. Del resto, come emerge
dall’analisi condotta da Menzani, l’aumento delle quote di occupati e del valore aggiunto nei servizi possono considerarsi delle tendenze storiche già emerse dagli anni Settanta, quando nel settore industriale era evidente un declino
occupazionale, con un conseguente spostamento di forza lavoro dall’industria
ai servizi. Ciò che anche nella nostra analisi non è sempre facile, è dare una definizione unica e precisa delle attività del terziario. Queste infatti coinvolgono
molteplici aspetti del vivere quotidiano, tra gli altri il commercio, il turismo, i
servizi finanziari, la pubblica amministrazione, l’istruzione, la sanità e i servizi
sociali. Tenendo fede alla natura d’insieme di questo paragrafo non c’è spazio
per approfondire ognuno di questi aspetti, ammesso che ve ne sia sempre la
possibilità; si è posta però nell’analisi del settore terziario una particolare attenzione al commercio e al turismo in quanto interessanti elementi di novità degli
ultimi decenni.
Iniziamo proprio dal settore commerciale, che generalmente viene diviso tra
vendita all’ingrosso e vendita al dettaglio. Nella seconda metà degli anni Quaranta e nel corso dei Cinquanta, il commercio al dettaglio era rappresentato da
una pletora di negozi tradizionali, dislocati per lo più nel centro di Vergato, ma
anche nelle altre frazioni importanti. Si trattava di esercizi commerciali per la
vendita di generi alimentari, di prodotti per la casa o per la persona, di abbigliamento, di strumenti o attrezzi da lavoro, e simili. Erano attività sottoposte a li-
Paul Ginsborg, L’Italia del tempo presente. Famiglia, società civile, Stato 1980-1996, Torino, Einaudi, 1998, pp. 14-15. I dati sugli occupati nazionali per settore di attività economica sono stati
presi dall’appendice statistica dello stesso volume (p. 583). Tra i saggi più recenti sull’argomento
si guardi Patrizia Battilani, L’emergere dell’economia postmoderna, in Patrizia Battilani e Giuliana
Bertagnoni (a cura di), Competizione e valorizzazione del lavoro. La rete cooperativa del consorzio
nazionale servizi, Bologna, Il Mulino, 2007, pp. 34-48.
27
28
Per le due teorie s’è fatto riferimento a Jeremy Rifkin, La fine del lavoro, Milano, Baldini e Castoldi, 1995, e Daniel Cohen, I nostri tempi moderni. Dal capitale finanziario al capitale umano, Torino,
Einaudi, 2001.
Matteo Troilo, L’andamento demografico e i servizi alla cittadinanza
137
cenza da parte dello Stato, quasi sempre con una gestione di carattere familiare.
Molto spesso passavano di generazione in generazione, o comunque venivano
vendute e comprate senza che vi fosse una radicale trasformazione o innovazione di quel tipo di servizio, che consisteva nel cercare di accontentare la clientela
con prodotti di buona qualità a prezzo conveniente.
La cosiddetta “rivoluzione commerciale” consistette nel creare una differente tipologia di punto vendita, rappresentato dal supermercato. Si trattava di un
esercizio contraddistinto dal self-service, che lo rendeva strutturalmente differente dal negozio tradizionale, perché distribuito su superfici molto più grandi,
e con un diverso utilizzo del personale, sollevato dal compito di dare materialmente i prodotti ai clienti, visto che questi si servivano da soli. Da un lato, quindi,
l’apertura di nuovi supermercati si legava a precisi investimenti che – a livello
locale – le imprese della grande distribuzione organizzata facevano in termini di competenze, professionalità, studi di settore, politiche di marchio, e simili.
Dall’altro lato, la vecchia tipologia di vendita, fatta di spacci tradizionali, veniva gradualmente ridimensionata perché incapace di reggere questo genere di
concorrenza. Anche a Vergato, nel corso degli anni Settanta, comparvero i primi
supermercati, ma bisogna considerare come, vista la collocazione particolare
del territorio, questo processo giunse con un certo ritardo rispetto alla pianura.
Inoltre, proprio perché dislocato in montagna e con diverse frazioni, il territorio
comunale è rimasto per molto tempo ancora caratterizzato dalla presenza di
piccoli esercizi commerciali.
Il territorio di Vergato ha vissuto a partire dal dopoguerra una fase di declino
economico e sociale certamente notevole, ma non così forte come è testimoniato in altre realtà più povere. L’inserimento in una provincia ricca come quella di
Bologna ha attenuato alcuni fenomeni recessivi pur lasciando segni importanti
nelle strutture economiche; condizioni simili si possono riscontrare in molti altri
comuni della montagna bolognese. Così quando alla fine degli anni Settanta si
assistette a una ripresa dei comuni montani anche in termini demografici, furono
in molti a pensare che questa potesse essere consolidata sfruttando in termini
turistici la vicinanza con un importante generatore di domanda come Bologna.
Nel pieno degli anni Settanta a dire il vero il fenomeno turistico non era significativo ma si contava comunque un certo numero di strutture attrezzate.
I comuni interessati, Vergato inclusa, in realtà non rispondevano alle caratteristiche principali del turismo appenninico di quegli anni. La zona infatti non
era coinvolta nel turismo termale, come invece accadeva a Porretta Terme, né
in quello sportivo-invernale come accadeva a Lizzano in Belvedere con il Corno alle Scale. Si puntò allora in generale sulle bellezze naturali e storiche e su
caratteristiche che complessivamente coinvolgevano tutta la fascia montana
regionale. A partire dagli anni Sessanta, proprio nel pieno del boom del turismo di massa, nacque negli ambienti locali il dibattito su come incentivare il
138
Dalle radici a una nuova identità. Vergato tra sviluppo economico e cambiamento sociale (1945-2014)
turismo dei comuni appenninici. Leggendo una delle raccolte di interventi ed
analisi dedicate all’argomento si coglie un’importante differenza di fondo con il
presente. Più che alla salvaguardia delle caratteristiche dell’ambiente montano
e della valorizzazione in chiave turistica, si guardava ad interventi pesanti sul
piano urbanistico per favorire il turismo di massa. Le ipotesi formulate negli anni
Sessanta prevedevano un piano per la massimizzazione delle risorse attraverso
interventi infrastrutturali. In pratica i tipi di intervento previsti avrebbero dovuto
potenziare una delle due componenti essenziali del turismo, quello delle infrastrutture, che insieme a quello paesaggistico costituivano la principale offerta. I
maggiori interventi avrebbero perciò riguardato le strutture alberghiere e le vie
di comunicazione29.
Oggi le proposte degli anni Sessanta ci appaiono decisamente contraddittorie. Si voleva infatti applicare a tutto l’Appennino un modello, quello del turismo
di massa, che non aveva in realtà potenzialità. Alcuni decenni dopo risultava
chiaro come le prospettive fossero sostanzialmente molto differenti. Il lancio turistico della zona si basava infatti non più su interventi invasivi sul territorio e sul
paesaggio, ma su opere volte a rivitalizzarne la dimensione artistico-culturale.
Le principali strategie messe in atto erano legate alle tradizioni, al restauro d’immobili e al sostegno alle attività culturali. Per le tradizioni si pensava di favorire
il rifiorire di quegli aspetti artistici e culturali che erano stati abbandonati dopo
la guerra principalmente a causa dello spopolamento. Altri aspetti vennero fuori con il tempo e pur non legandosi immediatamente con i fenomeni culturali
finirono per farvi praticamente parte. Il turismo itinerante eno-gastronomico in
particolare rientrò da subito tra le maggiori offerte turistiche, in particolare per
chi preferiva gli itinerari del fine settimana30.
I risultati sono visibili certamente anche oggi, da un lato Vergato ha un buon
numero di strutture di ospitalità (6 hotel, 1 ostello, 5 bed and breakfast), dall’altro
vi è un numero notevole di case non abitate nel territorio, costruite soprattutto
tra anni Settanta e Ottanta nel “periodo delle seconde case”. Nei censimenti del
1981 e del 1991 più di un quarto delle abitazioni totali del Comune di Vergato
venivano registrate come “non occupate perché case di vacanza”. Certi numeri ci fanno comprendere come il fenomeno turistico, seppur limitato per molto
tempo alle “seconde case”, sia qualcosa di molto importante per l’economia e la
società di Vergato.
Il dibattito a cui si fa riferimento è in Problemi di una qualificazione del turismo appenninico, Bologna, Collana di studi e monografie a cura dell’Assessorato allo sviluppo economico-sociale, 1963.
29
Bologna e le località turistiche della sua provincia, Bologna, Ente provinciale per il turismo di
Bologna, s.a.
30
Matteo Troilo, L’andamento demografico e i servizi alla cittadinanza
139
Tab. 7. “Seconde case” nel territorio di Vergato
Anni di rilevazione
Numero case non occupate
perché case di vacanza.
Percentuale sul totale
1981
927
26%
1991
1070
27,2%
Fonte: nostre elaborazioni da censimenti generali della popolazione (1981-1991).
Dalle radici a una nuova identità.
Vergato tra sviluppo economico e cambiamento sociale (1945-2014)
a cura di Eloisa Betti e Carlo De Maria
Bologna (BraDypUS) 2014
ISBN 978-88-98392-07-0
pp. 141-144
Indice dei nomi
Albertoni, Pietro, 52
Aldrovandi, Amedeo, 10, 93n, 107, 108 e
n, 111 e n, 112, 114 e n, 115
Alessandrini, Alessandro, 53
Aliberti, Catia, 5, 9
Agnolotto, Stefano, 126n
Amatori, Franco, 37n
Anderlini, Fausto, 16n, 121 e n, 123
Andreoli, Anna, 76
Andreucci, Marco, 42n
Angeli, Massimo, 123n
Antonelli, Armando, 56n
Arbizzani, Luigi, 101n, 107n
Arrighetti, Alessandro, 37n
Aurori, Adamo, 62
Bacci, Andrea, 10
Badoglio, Pietro, 125
Baldissara, Luca, 20n, 95n, 103n
Baroncini, Marcello, 43n
Basile, Franco, 48n
Battilani, Patrizia, 127n, 136n
Bauer, Eddy, 69
Bedon, Domenico, 63
Bellassai, Sandro, 95n
Bellettini, Athos, 104n
Benassi, Corrado, 127n
Benini, Mila, 22n
Bernardi, Augusto 58
Bernardi, Giovanna, 11n, 43n
Bernardi, Tullio, 71
Bertagnoni, Giuliana, 136n
Betti, Augusto, 10
Betti, Eloisa, 10, 22, 39n, 95n, 103n, 107n,
108n, 114n, 115n
Bettin, Gianfranco, 22n
Bisonti, Claudio, 58
Bisonti, Elena, 58
Bisonti, Sergio, 58
Bonani, Luigi, 63
Bonazzi, Clodoveo, 44
Bonazzi, Enrico, 44
Bondi, Alberto, 63
Bonomi, Ivanoe, 20
Bonomi, Paolo, 39
Borghi, Gian Paolo, 11n
Borsari, Paola, 15n
Bortolotti, Giovanni, 45n
Bortolotti, Renata, 10, 93n, 119n
Bottini, Fabrizio, 12n
Brizzi, Italo, 42n
Buriani, Alfonso, 16-17, 19, 23, 105n
Cafaro, Pietro, 61n
Cagnato, famiglia, 55
Calafati, Antonio, 123n
Calanca, Daniela, 46n
Calindri, Serafino, 52 e n
Calori, Giovanni, 62
Cambisi, Anna, 67, 70
142
Dalle radici a una nuova identità. Vergato tra sviluppo economico e cambiamento sociale (1945-2014)
Cambisi, Carlo, 70
Cambisi, Franco, 67, 70
Cammelli, Marco, 17n
Campigotto, Antonio, 48n
Capecchi, Vittorio, 50n
Carboni, Davide, 130
Carboni, Giorgio, 76
Carboni, Marco, 72
Carrai, Massimo, 21n
Carrattieri, Mirco, 26n
Castagnoli, Giuseppe, 48n
Cavaliere, Alfredo, 10
Cavalli, Luciano, 22n
Cavallo, Gerardo, 57
Cerere, dea, 53
Cervellati, Franco, 53n
Cesarini, Mario, 63
Chinni, Mauro, 67
Cohen, Daniel, 136n
Colangelo, Rocco, 56
Colazzo, Diana, 49n, 54n, 96n, 103n,
106n
Colli, Andrea, 37n
Colombarini, Arturo, 63
Colombi, Pasquale, 10, 89, 93n, 116 e n,
117n
Comani, Antonio, 28, 114
Correggiari, famiglia, 55
Cossentino, Francesco, 38n
Cossutta, Armando, 20n
Cova, Alberto, 62n
Cremonini, Gabriele, 40n
Curti, Roberto, 48n, 52n
Dalla Casa, Brunella, 41n, 47n
Dal Monte, Vittorina, 96, 97 e n
Dalmonte Polvani, Anna Maria, 49n
Damiani Pancaldi, Carla, 77
Dammacco, Giuseppe, 132n
D’Attorre, Pier Paolo, 24n, 27n, 38n
Day, John, 48n
Degli Esposti, Giuliana, 10, 67, 83-85, 8788, 93 e n, 115 e n, 116 e n, 117n, 118
en
Della Rosa, Angelo, 51
Deluca, Enrico, 59
De Maria, Carlo, 10, 12n, 16n, 18n, 20n,
21n, 24n, 26n, 43n, 56n
Diamanti, Gina, 69
Diamanti, Tullio, 63
Dogliani, Patrizia, 16n, 21n, 37n
Dondarini, Dino, 68, 71, 81, 87
Dozza, Giuseppe, 17
Elmi, famiglia, 55
Elmi, Giuseppe, 55
Falchieri, Umberto, 50, 114
Fanfani, Amintore, 99n
Fauri, Francesca, 127n
Ferlini, Livia, 9
Ferretti, Roberto, 47n, 48n
Ferri, Attilio, 61, 77
Ferri, Milly, 77
Ferrozzi, Valeria, 61n
Fini, Carlo, 63
Fiori, Viviano, 9, 62
Focci, Sandra, 9, 22, 96 e n
Fornasari, Massimo, 59n, 62n
Fornasero, Edgardo, 9, 62
Furlan, Paola, 101n, 104n
Galeotti, Giulia, 21n
Galliani, Alfredo, 49
Galliani, Amedeo, 49
Galliani, famiglia, 50
Galliani, Pietro, 49
Gallingani, Maria Angiola, 121 e n, 123
Gamberi, Franco, 60n
Gaspari, Oscar, 37n
Gazzi, Vittorio, 53
Gentili, Ottorino, 42n, 58n
Gherla, Giorgio, 61
Gianni, Tito, 58
Ginsborg, Paul, 95n, 99n, 136n
Giovannetti, Elisa, 95n, 103n, 107n
Goethe, Johann Wolfgang von, 7
Grandi, Maura, 48n, 52n
Guasconi, Angiolina, 10, 21-22, 92, 93, 94
e n, 95 e n, 96 e n, 97 e n, 98 e n, 99,
100, 107
Guenzi, Alberto, 48n
Guerra, Elda, 97n
Guidotti, Paolo, 11 e n
Guiduzzi, tecnico Arcotronics, 50
Gurioli, Anna, 9, 60n, 64
Indice dei nomi
Helios, dio, 53
Hobsbwam, Eric J. , 91 e n
Homes, Bill, 53n
Isnenghi, Mario, 21n
Labanti, Federico, 63
Lanzarini, Remo, 47
Leonardi, Andrea, 61n
Lippi, Giampiero, 54n
Lolli Gallowsky, Silvia, 41n
Lolli, Giuseppe, 63
Longo, Luigi, 20
Lucchi, Luigi, 63
Maccaferri, famiglia, 47, 48
Maccaferri, Gaetano, 48n
Maccaferri, Luigi, 47
Maccaferri, Raffaele, 47
Maccaferri Randaccio, Elena, 48n
Magagnoli, Stefano, 20n, 126n
Maggiorani, Mauro, 51n, 60n, 123n
Malaguti, Onorato, 44
Maldina, Guido, 42n
Marata, Gino, 63
Marchi, Alfredo, 60n, 89
Marchi, Andrea, 7, 10
Marchi, Gianni, 76
Margherita di Savoia, 130
Mascagni, fratelli, 56
Mascagni, Giampaolo, 56
Mascagni, Gianluca, 56, 82
Mascagni, Maria Alessandra, 56
Mascagni, Riccardo, 56
Mascagni, Valter, 56
Masotti, Ermanno, 58
Masotti, Giovanni, 58
Mastropaolo, Alfio, 20n
Mazzetti, Marco, 63
Mei, Augusto, 62
Menniti, Anna Maria, 40n
Menzani, Tito, 12n, 18n, 43n, 51n, 59n,
60n, 91, 106, 113, 135-136
Merlini, Giovanni, 45 e n, 46n
Milani, Pierluigi, 49n, 54n
Mili, Annalisa, 49n, 96n, 103n, 106n
Minelli, Francesco, 63
Minghetti, Annalena, 61n
143
Minghini, Cesare, 10
Molinari Pradelli, Alessandro, 53n
Monari, Emanuele, 130
Monari, Umberto, 130
Moroni, Marco, 38n
Mottura, Giovanni, 39n
Nani, Michele, 19n, 22n
Nannetti, Osvaldo, 71
Nanni, Franco, 23, 25 e n, 26-27, 114
Nanni, Rino, 17, 18 e n, 20, 22-23, 28 e n,
92, 96, 96 e n, 109
Natalini, Carlo, 53, 54
Natalini, Cesira, 52
Natalini, Massimiliano, 52, 53
Natalini, Natalino, 53
Natalini, Pia, 53
Natalini, Pietro, 53
Negri, Elena, 9
Nicoletti, famiglia, 75
Nicoletti, Maurizio, 9
Olivetti, Adriano, 50
Olivetti, Dino, 50
Orlandi, Laura, 70
Ottanelli, Andrea, 45n
Palmieri, Dante, 39 e n
Palmieri, Stefano, 82
Paniga, Massimiliano, 126n, 129n
Pedrini, Lisetta, 22
Pepe, Adolfo, 103n
Peri, Betta, 57
Peri, Francesco, 57
Peri, Franco, 57
Peri, Graziano, 57
Peri, Nerio, 57
Peri, Rita, 57
Perla, Lorenzo, 57
Perla, Mauro, 57
Possenti, Gionata, 78
Pozzi, Maurizio, 53n
Preti, Alberto, 41n, 47n
Prezzi, Piero, 10
Pyke, Frank, 38n
Quadri, Tiziana, 22n
144
Dalle radici a una nuova identità. Vergato tra sviluppo economico e cambiamento sociale (1945-2014)
Raiffeisen, Friedrich Wilhelm, 61n
Ribolzi, Edgardo, 47
Ridolfi, Maurizio, 16n, 19n, 20n, 21n
Rifkin, Jeremy, 136n
Righi, Antonio, 63
Righi, Riccardo, 63
Rinaldi, Adriano, 53
Rizzi, Alfredo, 12n
Rockfeller, Nelson, 50
Roda, Roberto, 41n
Romagnoli, Amedeo, 61
Romagnoli, Elena, 9, 60n, 64
Romagnoli, Quintiliano Alberto, 131
Romita, Giuseppe, 15 e n
Ronchetti, Gabriele, 54n
Rondelli, Francesco, 58
Rossi-Doria, Anna, 20n
Rotelli, Ettore, 14n
Sabattini, Claudio, 115n
Sabbadini, Donatella, 9
Sapori, Pietro, 63
Savoia, tecnico Arcotronics, 50
Scanabissi, Bruno, 58
Scidà, Giuseppe, 62n
Scuda, Renato, 28, 63
Sengenberger, Wengen, 38n
Seravalli, Gilberto, 37n
Serra, Augusto, 74
Severi, Gabriele, 53 e n
Sibani, famiglia, 79
Sibani, Giuseppe, 56, 79
Sibani, Tommaso, 56
Sigman, Nora Liliana, 126n
Silvestrini, Maria Teresa, 21n
Sori, Ercole, 123n
Sovetti, Mirella, 95n
Spadoni, Ivana, 95n
Stefanelli, Adele, 73-74, 80-81
Stefanelli, Dante, 73
Tagliasacchi, Walter, 45n
Tartarini, Bruno, 63
Tega, Walter, 50n
Tinti, Mario, 63
Togliatti, Palmiro, 20, 95
Tommasi, tecnico Arcotronics, 50
Tondi, Francesca, 52n
Tonioni, Giuseppe, 57
Tonioni, Livio, 57
Trionfini, Paolo, 126n
Trota, Ezio, 42n, 68
Tutino, Alessandro, 26n
Umberto I, re d’Italia, 130
Ungarelli, Quinto, 60, 62
Vannini, Maria Carmen, 54n
Vecchi, Elisa, 10
Venturi, Adolfo, 55
Venturi, Amedeo, 55
Venturi, Dante, 57
Venturi, Davide, 55
Venturi, famiglia, 80, 86
Venturi, Ferdinando, 47
Venturi, Orlando, 57
Venturi, Tullio, 47
Vitali, Aldo, 79
Vitali, Giovanna, 79
Wollemborg, Leone, 60
Zagatti, Paola, 51n, 60n, 123n
Zagnoni, Renzo, 41n, 45n, 53n
Zamagni, Vera, 38n, 47n, 59n, 61n
Zangheri, Renato, 27n, 47n
Zanna, Remo, 18, 23-24, 25 e n, 63, 99,
109
Zazzara, Gilda, 108n
Zucchini, Ferdinando, 55
OttocentoDuemila
Collana di studi storici e sul tempo presente
dell’Associazione Clionet
www.clionet.it
Direttore:
Carlo De Maria
Comitato di direzione:
Luca Gorgolini, Tito Menzani, Fabio Montella, Matteo Troilo
Comitato scientifico:
Enrico Acciai, Germana Albertani, Luigi Balsamini, Margherita Becchetti, Eloisa
Betti, Mirco Carrattieri, Alberto Ferraboschi, Antonio Senta.
Orientata, fin dal titolo, verso riflessioni sulla contemporaneità, la collana è
aperta anche a contributi di più lungo periodo capaci di attraversare i confini
tra età medievale, moderna e contemporanea, intrecciando la storia politica e
sociale, con quella delle istituzioni, delle dottrine e dell’economia. Si articola
nelle seguenti sotto collane:
“Storie dal territorio”. Le autonomie territoriali e sociali, le forme e i caratteri della politica, dell’economia e della società locale, la storia e le culture d’impresa.
“Percorsi e networks”. L’attenzione per le biografie e le scansioni generazionali,
per le reti di corrispondenze e gli studi di genere.
“Tra guerra e pace”. La guerra combattuta e la guerra vissuta, i fronti e le retrovie, le origini e le eredità dei conflitti.
“Italia-Europa-Mondo”. Temi e sintesi di storia italiana e internazionale.
“Strumenti”. Le fonti e gli inventari, i cataloghi e le guide.
OttocentoDuemila, collana di studi storici e sul tempo presente
dell’Associazione Clionet, diretta da Carlo De Maria
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COMMUNICATING
CULTURAL HERITAGE
Finito di stampare nel maggio 2014
presso Atena.net Srl, Grisignano di Zocco (VI)
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