IL FUNGO
Periodico del Gruppo Micologico e Naturalistico “Renzo Franchi” di Reggio Emilia - Associazione di Volontariato - ONLUS
Sito Internet: http://space.comune.re.it/micologico - E-mail: [email protected] - Anno XXX - n° 3 - ottobre 2012 Sped. in abb. post. 70% DBC - Reggio E. Tassa riscossa - Taxe perçue (contiene inserto redazionale)
XXXVII MOSTRA REGGIANA DEL FUNGO
Reggio Emilia, 29-30 settembre 2012
A cura del Gruppo Micologico e Naturalistico “R. Franchi” di Reggio Emilia (A.M.B.)
in collaborazione con
Provincia di Reggio Emilia Assessorato Turismo & Assessorato Ambiente, Difesa del Suolo e Comune di Reggio Emilia
Il Gruppo Micologico e Naturalistico “R. Franchi” di Reggio Emilia
Associazione Micologica Bresadola
in collaborazione con
Provincia di Reggio Emilia
Assessorato Turismo
Assessorato Ambiente, Difesa del Suolo
Comune di Reggio Emilia
In concomitanza con l’iniziativa «Parmigiano Reggiano in mostra nelle Terre di Canossa»
organizzata dall’Associazione «Strada dei Vini e dei Sapori»
come una delle iniziative del Wine Food Festival promosso dalla
Regione Emilia Romagna
organizza, nei giorni
29 – 30 settembre 2012
nel Cortile del palazzo “Salvatore Allende”
sede della Provincia di Reggio Emilia,
Corso Garibaldi 59, Reggio Emilia
la
XXXVII MOSTRA REGGIANA DEL FUNGO
PROGRAMMA
sabato 29 settembre 2012
ore 16,00: Inaugurazione
ore 19,00: Chiusura
domenica 30 settembre 2012
ore 10,00 – 19,00 apertura della Mostra
con proiezione di diapositive
Immagini di copertina
Prima pagina: acquerello “Hygrocybe punicea” di Maria Tullii - Cerveteri (Gruppo A.M.B. di Marotta)
Quarta pagina: foto di Mauro Comuzzi - Ulderico Bonazzi
Reg. Trib. Reggio E. N° 531 del 15/11/1982. Direttore responsabile: Paolo Vecchi. Proprietario: Ulderico Bonazzi.
Periodico del Gruppo “Renzo Franchi” di R.E. (A.M.B.) - Via Amendola, 2 - 42122 R.E (I) - Tipografia: Grafitalia (0522 511251)
Comitato di Redazione: Bonazzi Ulderico, Cocchi Luigi, Donelli Giuseppe, Franceschetti Franca, Borgatti Giacomo,Valentini Gualberto.
ARTICOLO 5 E 6 DELLA LEGGE REGIONALE PER
LA RACCOLTA DEI FUNGHI IN EMILIA-ROMAGNA
di Ulderico Bonazzi
Via Verdi 2 - 42030 Regnano di Viano (RE)
e-mail: [email protected]
Art.5
Limiti di raccolta
Commento
Art. 5
Nessuna osservazione sul comma 1.
1. La quantità massima della raccolta
giornaliera per persona è fissata in Kg 3,
di cui non più di 1 Kg della specie Amanita caesarea (Ovulo buono) e Calocybe
gambosa (Prugnolo); se la raccolta consiste in un unico esemplare o un solo cespo
di funghi concresciuti detto limite può
essere superato.
Importante il comma 2:
Ovulo di Amanita Ovulo di Amanita
caesarea (Scop. : Fr.) phalloides (Vail. : Fr.)
Pers (commestibile)
Link. (mortale)
2. Per ragioni di carattere ecologico e sanitario è vietata la raccolta dell’Amanita
caesarea (ovulo buono) allo stato di ovulo chiuso.
Come si nota i 2 ovuli chiusi sono confondibili.
3. E’ vietata altresì la raccolta di esemplari di Boletus edulis (Porcino) e relativo
gruppo col diametro del cappello inferiore a cm 3 e di esemplari di Calocybe gambosa (Prugnolo) e Cantharellus cibarius
(Gallinaccio) col diametro del cappello
inferiore a cm 2.
Il comma 3 è importante, anche se dovrebbe essere esteso a molti altri funghi,
infatti allo stato iniziale non sempre è facile distinguere le diverse specie.
4. La raccolta è altresì vietata nei giardini
e nei terreni di pertinenza degli immobili
ad uso abitativo adiacenti agli immobili
medesimi, salvo che ai proprietari.
Art. 6
Il comma 1 e 2 non penso abbia particolare rilievo dal punto di vista di salvaguardia dell’ambiente, anzi portano a un
maggior numero di raccoglitori nei giorni consentiti e ciò non favorisce certamente l’ambiente; sarebbero auspicabili
eventualmente lunghi periodi di sospensione a turni nei diversi territori.
I commi 4 e 5 hanno una logica evidente.
5. In presenza di particolari condizioni
climatiche stagionali e di nascita fungina,
gli Enti competenti possono fissare quantitativi di raccolta inferiore a quelli stabiliti nella presente legge.
1
Importante è certamente il comma 3:
Art. 6
Modalità… di raccolta
1. La raccolta è consentita nei giorni di
martedì, giovedì, sabato e domenica nelle
ore diurne, da un’ora prima della levata
del sole a un’ora dopo il tramonto. Queste
limitazioni non si applicano ai soggetti di
cui all’Art. 5 comma 4, e all’art. 10, limitatamente alla raccolta effettuata negli
ambiti ivi considerati.
Amanita
phalloides f.
alba Britzelm.
(mortale)
Leucoagaricus Amanita verna
leucothites
(Bull. Fr.) Lam.
(Vitt.) Wass.
(mortale)
(commestibile)
Ma se, come molti spesso fanno, tagliano
i funghi al piede:
2. Nei territori montani gli Enti competenti possono autorizzare, ai residenti, la
raccolta anche in un giorno ulteriore.
3. La raccolta deve avvenire cogliendo
gli esemplari interi e completi di tutte le
parti necessarie alla determinazione delle
specie, procedendo in luogo ad una sommaria pulizia degli stessi.
è assai difficile distinguerli.
Il comma 4 è pienamente condivisibile.
4. E’ vietata la raccolta mediante l’uso di
rastrelli, uncini o altri mezzi che possano
danneggiare lo strato humifero del terreno, il micelio fungino o l’apparato radicale delle piante.
5. E’ vietata la raccolta di funghi decomposti anche parzialmente, nonché il danneggiamento o la distruzione volontaria
dei funghi epigei spontanei di qualsiasi
specie.
Il comma 5 sottolinea nella prima parte
che anche i funghi, come le carni, la frutta e la verdura, se decomposti da commestibili possono divenire tossici; nella
seconda parte ricorda che distruggere i
funghi che non si intende raccogliere, deturpa l’ambiente. Io ricordo spesso che,
anche se bisogna rispettare anche le vipere, a volte può essere istintiva una difesa
per paura di essere morsi, ma i funghi,
anche se velenosi, se non li mordi tu, non
ti aggrediscono.
6. I funghi raccolti devono essere riposti
in contenitori rigidi ed areati.
Il comma 6 è legato al 5, infatti i funghi
in contenitori non areati si decompongono.
AMI LA NATURA:
RISPETTALA!
NON ABBANDONARE NEI
BOSCHI I TUOI RIFIUTI!!!
2
RUSSULA ANATINA E
RUSSULA IONOCHLORA
di Giuseppe Donelli
Via Tragni, 8 - 42043 Praticello di Gattatico (RE)
e-mail: [email protected]
Riassunto
Nel presente lavoro sono esaminate, macroscopicamente e microscopicamente, con
l’aiuto di fotocolor e disegni alcune raccolte di Russula anatina e di Russula ionochlora. Un particolare riguardo viene dedicato ai caratteri microscopici di gran lunga i
più importanti per la determinazione.
Materiali e metodi
Le descrizioni macroscopiche sono state fatte su materiale fresco, le microscopiche su
materiale fresco e essiccato. Per le varie osservazioni si è utilizzata acqua distillata, rosso
congo, fucsina basica, acido cloridrico al 3% e solfovanillina preparata al momento.
S = codice dei colori di Seguy; Qm = quoziente medio lunghezza /larghezza spore; Vm
= volume medio spore (0,524 x lunghezza x larghezza x larghezza). Le barre orizzontali
nei disegni di microscopia misurano 10 µm. In tali disegni: spore in basso, poi in senso
orario epicutis e cistidi. La sistematica utilizzata è quella di Sarnari 1998 (Sarnari
1998); le raccolte studiate sono depositate nell’erbario GD dell’autore.
Premessa
Bart Buyck a una mia domanda sulle difficoltà incontrate nello studio delle Russula
extraeuropee, sorridendo rispose “ Almeno non incontro Griseinae”. Già, perché a
questa sottosezione appartengono, probabilmente, il più alto numero di taxa la cui
determinazione presenta un grado di difficoltà fra i più alti nel genere. Che sappiamo
non essere semplicissimo!
Ecco una descrizione, a questo punto indispensabile, della Sottosezione.
I caratteri microscopici delle Griseinae rappresentano, per la loro originalità nel genere, i punti fermi più importanti per la delimitazione a livello di sottosezione. Le spore
dimensionalmente quasi sempre comprese fra 6,5-8,8 x 5-6,5 µm, hanno areola ilare
non amiloide (salvo rarissime eccezioni), mentre i basidi si distinguono per la forma
slanciata e gli elementi dell’epicute evidenziano peli perlopiù multisettati e spesso
piuttosto voluminosi con pigmento granulare più o meno abbondante. I dermatocistidi,
da un punto di vista speciografico molto meno importanti, sono unicellulari, piuttosto
voluminosi e nettamente reagenti ai prodotti solfobenzaldeidici. L’aspetto esteriore ci
mostra lamelle piuttosto fragili a colorazione generalmente pallida (dal biancastro al
crema saturo), salvo rarissime eccezioni. Le tonalità pileiche variano dal biancastro,
al grigio, al verde, al violetto, raggiungendo sfumature più o meno scure. La carne è
dolce e solo le lamelle, nei giovani carpofori, possono essere piccantine. La polvere
sporica, pur variando dal bianco (Ia, Griseinae leucosporee) al giallo chiaro (IVa-b, R.
ochrospora) è compresa, in elevatissima percentuale, fra il crema pallidissimo (IIa. R.
ionochlora) e l’ocra chiaro medio (IIIa-b, R medullata). Se l’omogeneità dei caratteri
3
microscopici rende le Griseinae uno dei complessi meglio delimitati del genere, al
contrario causa molte difficoltà nella delimitazione delle singole specie. Inoltre i colori
pileici, anche se attentamente osservati rispetto alle loro sfumature e saturazioni, hanno
grande variabilità in una stessa specie, rendendo la speciazione “extraordinairement
difficile et embrouillè” (Romagnesi, 1967).
Occorre per la determinazione estrema prudenza, considerando tutti gli elementi possibili sia macroscopici che microscopici (colore del cappello nelle diverse sfumature e
saturazioni, dimensioni dei carpofori, reazioni al solfato di ferro, colore della sporata,
ornamentazioni e dimensioni sporiche, dimensioni e morfologia dei peli pileici, abbondanza dei dermatocistidi, habitat) (Donelli, 2003).
Russula anatina Romagnesi
Fig. 1-2
Romagnesi 1967, Russules d’Europe et d’Afrique du Nord: 306
Posizione sistematica: Genere Russula Pers.: Fries – Sottogenere Heterophyllidia
Romagnesi, emend.- Sezione Heterophyllae Fries – Sottosezione Griseinae J. Schäffer.
Sinonimo: Russula anatina var. subvesca Sarnari 1993, Mic. Veg. Medit. 8 (1): 63.
Descrizione della specie
Cappello 30-90 mm presto convesso-ombelicato, poi più o meno leggermente depresso,
perlopiù eccentrico, a margine ottuso e non scanalato, a tonalità piuttosto variabili in
colore e intensità: sul grigio-tortora chiaro, grigio a sfumatura cerulea, grigio cenere
S 233, S 234, S 235, o di un grigio a componente brunastra S 232, a sfumature verdastre, grigio-verdastro S 430, grigio-verde scuro S 315, nero-olivastro, verde-tasso S
306, grigio-olivastro sporco S 435, più raramente di un bel glauco-verdastro a diversa
saturazione S 425; cuticola separabile sino quasi a metà raggio, marginalmente opaca,
spesso ruvida, anche vellutata, difficilmente liscia, a volte anche inciso-screpolata o a
squamette diversamente allungate e parte centrale liscia e qualche volta quasi brillante.
Lamelle a maturità mediamente spaziate, con alcune lamellule e sparse forcazioni
nei pressi del gambo, sottili, larghe sino a 10 mm, ottuse in avanti, più o meno adnate
all’inserzione, a maturità crema almeno medio, a maturazione nettamente imbrunenti.
Gambo 30-60 x 10-20 mm, cilindrico o leggermente attenuato in basso, sodo poi
rammollente, bianco, a maturazione tendente dal basso al bruno ruggine.
Carne di media consistenza, poi a maturità piuttosto cedevole, bianca, inodore, dolce,
sulle lamelle piccantina in gioventù. Solfato di ferro generalmente debole, nel tempo
tendente al grigio-verdastro; guaiaco sempre trovata rapida e intensa, secondo Sarnari
non sempre. (Sarnari, 1998).
Sporata crema piuttosto carico, IIc, IId
Spore 6,1-7,7- (8,0) µm; media 6,5-5,5 µm; Qm = 1, 18; Vm = 103 µm cubici; da subglobose (Q = 1,05) a leggermente ellittiche (Q = 1,30), con ornamentazione a verruche
isolate, spesse 0,4- 0,8 µm, con amiloidia di intensità variabile, molto raramente con
accenno di brevi e sottilissime connessioni, alcune poi raggruppate fra loro, altre, per
aree, particolarmente ravvicinate o distanti, tutte ugualmente accompagnate da altre
puntiformi e pochissimo amiloidi. Areola ilare non amiloide.
Basidi 40-50 x 7-9 µm, corti e stretti.
Cistidi 60-108 x 8-12µm, fusiformi con appendice moniliforme, arrotondata o appuntita.
Epicutis di peli voluminosi, spessi 5-10 µm, molto irregolari; costituiti da elementi
irregolarmente cilindracei per numerosi e improvvisi rigonfiamenti e restringimenti,
qua e là con elementi più o meno vescicolosi o a geometria molto variabile, spesso
4
enormi, sino a 10-11 µm, con setti mediamente distanti, raramente ravvicinati. Dermatocistidi unicellulari, da 4 a10- (12) µm, capitati, cilindracei, clavati, fusiformi, quindi
particolarmente polmorfi.
Habitat in boschi di quercia su terreno acido.
Materiale studiato: in un bosco di Quercus cerris in località Pulpiano, Viano, Reggio
Emilia, il 27-06-1999, leg. M. Comuzzi, G. Donelli, G. Simonini, Erb. GD n° 99/13;
stessa località il 20-09-2001, Erb. GD n° 01/89; stessa località il 23-09-2002, leg. G.
Bramini, G. Donelli, Erb. GD n° 02/115.
Russula anatina si individua per la taglia da piccola ad appena media, le colorazioni
molto variabili dal grigio tortora chiaro, al grigio brunastro, al verdastro scuro, al glauco
verdastro, le spore piccole, la sporata al limite inferiore dell’ocra e, particolarmente,
per la epicutis a peli molto voluminosi e particolarmente polimorfi.
Russula subterfurcata Romagn. a volte è molto simile ma non abbonda di tonalità
pileiche verdastre e non ha mai cuticola rimoso-forforacea, ha peli dell’epicute a geometria più regolare e un poco meno voluminosi, mentre le spore sono più cristulate.
Russula parazurea J. Schäffer ha sporata crema pallido, non oltre IIb, spore reticolate
e più grandi, epicutis a peli completamente diversi con elementi molto più stretti e
regolari, a terminazione stretta,
attenuata e molto lunga. Russula atroglauca Einhellinger cresce sotto betulla, ha spore
più grandi a ornamentazione diversa e lamelle mai piccanti.
Russula ionochlora Romagn. Figg. 3-4
Romagnesi 1952, Bull. Soc. Linn. Lyon, 21: 110
Sinonimi: ? ? Russula leucospora Bon
Posizione sistematica: Genere Russula Pers. : Fr.-Sottogenere Heterophyllidia Romagnesi, emend.-Sezione Heterophyllae Fries- Sottosezione Griseinae J. Schäffer.
Descrizione della specie
Cappello 40-80 mm, convesso, presto ombelicato, a maturità a margine rialzato e ottuso, con parte discale largamente depressa, perlopiù non scanalato, in ogni caso poco
e tardivamente; cuticola asportabile sino a poco meno di metà raggio, non brillante,
più spesso, particolarmente verso il centro, fioccoso-pruinosa, dotata principalmente
di due pigmenti: violetto e verde, più spesso violetto al margine e verdastro nella parte
discale, anche totalmente verde o violetto, spesso con alternanza di questi colori che si
susseguono modificandosi in intensità, mentre qua e là compaiono anche aree brunastre
verso S 127 (Laque brune), con strisce o areole sul grigio-violetto, persino bruno-avana
verso S 131 (Brun avane).
Lamelle inizialmente serrate, poi più spaziate, fragili, adnate, piuttosto strette, con
qua e là qualche forcazione, presto crema pallido, più tardi con rari e sfuggenti riflessi
giallini, a maturazione con qualche macchia bruno-ruggine.
Gambo 14-70 x 10-23 mm, spesso irregolarmente cilindrico, a volte con curvatura basale, bianco, molto raramente con sfumatura violetta, con l’umidità un poco ingiallente.
Carne spessa, piuttosto ferma, bianca, non odorante, dolce, ma nelle lamelle giovani
piccantina (a volte non subito). Solfato di ferro rosa arancio medio, Guaiaco lento ma
certamente positivo.
Sporata costantemente crema pallidissimo, sul IIa Codice Romagnesi.
Spore 6,0-7,6 x 5,0-6,0 µm, media 6,7 x 5,6 µm, Qm = 1,20, Vm = 117 µm cubici; da
5
sub globose (Q=1,12) a leggermente ellittiche (Q=1,27), con ornamentazione in parte
a verruche ottuse perlopiù smusse e tozze,spesso non più alte di 0,5 µm,con alcune
eccezioni e in parte a verruche deboli e puntiformi; le prime più spesso collegate da
brevi creste o sottili connessioni senza mai incrociarsi e fare pensare a un accenno di
reticolo. Areola ilare non amiloide.
Basidi 42-50 x 7.5-9 µm, stretti, tetrasporici.
Cistidi 55-83 x 9.5-12 µm, fusiformi, capitati, a piccole sferuncole sommitali più o meno annerenti con solfovanillina nelle parti terminali.
Epicutis di peli robusti, spessi da 3,5 a 9 µm, a setti numerosi e ravvicinati, costituiti da elementi
cilindracei, a volte isodiametrici, perlopiù molto ramificati nella parte terminale, con ultimo
elemento spesso ottusamente attenuato, molto raramente lievemente rigonfio; dermatocistidi
poco numerosi, unicellulari, spessi 5-9 µm, di forma piuttosto variabile cilindraceo-capitati,
clavati, clavato-capitati.
Habitat alle nostre latitudini sotto castagni e faggi in terreni acidi; secondo Einhellinger anche in
boschi sabbiosi di quercia e pino (Einhellinger, 1985) e (fide Schwebel) in formazioni di faggi
e querce. Per mia esperienza personale, secondo Galli (Galli 1996) e Schwebel) (Einhellinger
1985, fide Schwebel) anche in terreni ghiaiosi di varie latifoglie (carpini, querce, faggi, ecc.).
Materiale studiato: in un castagneto acido in località Nismozza, comune di Busana, Reggio
Emilia, il 11-07-1988, leg. G. Candiani, M. Capelli, G. Donelli, Erb. GD n° 88/115; in un bosco
di faggio e rari castagni in località Bottignana, provincia di Massa il 23-07-2002 leg. M. Capelli,
G. Donelli, Erb. GD n° 02/39; in una faggeta in località Febbio, Villa Minozzo, il 31-08-2006,
leg. G. Donelli, G. Simonini, Erb. GD n° 06/17.
Russula ionochlora si caratterizza per la taglia generalmente media, le tonalità pileiche perlopiù
violette e verdi variamente distribuite in una cuticola non brillante e discalmente fioccosopruinosa, la sporata molto pallida, non oltre IIa del codice Romagnesi, la epicutis a peli robusti,
spesso isodiametrici e a setti ravvicinati, molti ramificati nella parte superiore ove l’elemento
terminale è sovente attenuato ma non appuntito.
Russula parazurea J. Schäffer macroscopicamente molto vicina ha spore più o meno reticolate,
peli dell’epicutis a elementi non isodiametrici e ultimo elemento allungato anche sino a 40 µm.
Russula grisea ha sporata un poco più scura, reazione al solfato di ferro arancio vivace e peli
pileici più allungati e stretti, non isodiametrici. Russula monspeliensis Sarnari cresce sotto cisti
in zona mediterranea, è più piccola, odorante e ha sporata più scura IIc del codice Romagnesi.
Russula variegatula Romagn. si differenzia per le spore più grandi 6,9-8,9(9,4)x5,5-7,4(7,6)
µm a ornamentazione più forte e per l’aspetto microscopico dei peli dell’epicutis che diversamente da R. ionochlora sono meno ramificati e terminano con un elemento stretto, fortemente
allungato e perlopiù capitato (Buyck, 2004).
Più complessa è la separazione da Russula leucospora Bon. Secondo lo stesso Buyck non è
utilizzabile la minima diversità del colore sporale delle due Russula per una loro sicura e certa
separazione perché ci è sconosciuta la esatta metodologia di misurazione di questo parametro da
parte degli Autori coinvolti. Spulciando le due diagnosi la Russula di Bon sarebbe più piccola,
avrebbe le giovani lamelle mai piccanti, crescerebbe sotto conifere e avrebbe sporata bianca. E
qui il condizionale, per quanto detto, andrebbe rafforzato. Il resto più o meno sovrapponibile.
Ardua e difficile la sentenza.
Ma non è finita. Socha et al. molto recentemente hanno considerato R. leucospora sinonimo
di R. variegatula con una sporata dal bianco Ia al biancastro Ib. Di più non so, avendo io poca
dimestichezza con la lingua ceca.
6
Fig. 1: Russula anatina in ambiente, Pulpiano 27-06-1999. Fig. 2: Russula anatina. Spore, epicutis, cistidi. Dal basso in senso orario.
7
Foto G. Donelli
Fig. 3: Russula ionochlora in ambiente, Nismozza 11-07-1988. Fig. 4: Russula ionochlora. Spore, epicutis, cistidi. Dal basso in senso orario.
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Foto G. Donelli
Bibliografia
Buyck B.-2004: Prècisions sur Russula virescens et sur quelques Griseinae leucosporées. Bull.Soc. Mycol. Fr. 120 (1 à 4) 385-401.
Donelli G.-2003: Il genere russula, sottosezione Griseinae: descrizione e delimitazione
delle specie nel gruppo di Russula galochroa. Bollettino del Gruppo micologico G.
Bresadola Trento. Anno XLVI-3.
Einhellinger A.-1985: Die Gattung Russula in Bayern. Hoppea, 43: 5-286, Regensburg.
Galli R.-1996: Le Russule. Ediz. Edinatura
Romagnesi H.-1967: Les Russules d’Europe et d’Afrique du Nord. 998 pp Bordas, Paris.
Sarnari M.-1998: Monografia illustrata del Genere Russula in Europa. Tomo 1. AMB,
Centro Studi Micologici. Trento. 800 pp.
Séguy E.-1936: Code universel des couleurs. Paris.
Socha R.-Halek V.- Baier J.- Hak J.-2011: Atlas- Holubinky (Russula). Academia,
Vid. Praha, 520 pp.
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ALBERO DELL’UVA PASSA
di Paolo Gallingani
Via Bellini,4 - 42100 Reggio Emilia
e-mail: [email protected]
Famiglia
Genere e specie
Nomi comuni
Luogo d’origine
Portamento
Rusticità
Epoca di fruttificazione
Rhammacee
Hovenia dulcis (sin. H. inequalis)
Japanese rain tree (inglese)
Himalaya, Cina
Albero con foglie caduche
Molto buona
Fine estate
L’ Hovenia dulcis è l’unica specie del genere Hovenia.
Si presenta come un albero che raggiunge i 9 metri di altezza, spogliante, originario
delle zone himalayane, introdotto in Giappone da tempo immemorabile, e ricercato
non tanto per i frutti, immangiabili, quanto per i peduncoli fiorali che con la maturazione del frutto si ingrossano e prendono un colore rosso e divengono carnosi e dolci,
buoni da mangiare. Non si tratta di una curiosità di nessun interesse perché nelle isole
giapponesi se ne fa una cultura apposita per la raccolta.
La pianta ramifica armoniosamente ed essendo ricca di fogliame è molto decorativa.
Le foglie sono alterne, ovali o cordate, lunghe tra i 10 e 15 centimetri e larghe tra i
6 e i 12, strette in punta, irregolarmente dentate e lanuginose nella pagina inferiore.
I fiori sono verdi-biancastri, piccoli, in cime ascellari e terminali, portati da peduncoli
ricurvi e subcilindrici, teneri, lunghi circa 3 centimetri, che cominciano ad ingrossarsi
dopo la fioritura e contengono una polpa rossa e dolce che spesso incorpora il frutto
composto da 3 piccole celle cuoiose ospitanti i semi. Il sapore, a piena maturazione, è
quello dell’Uva sultanina.
L’albero prospera benissimo in svariati climi: da quello romano – basta vedere il grande
esemplare all’Orto Botanico – a quello di certe località della Provenza come Tolone
e Antibes, a quello della costa algerina. Per coloro che volessero piantare in giardino
qualcosa di insolito, senza doversi troppo preoccupare di clima, di suolo, di monoicità e
dioicità e di dove trovarlo, la coltivazione non presenta alcuna difficoltà: si propaga con
facilità sia da seme che da talea di legno maturo, si adatta a qualsiasi terreno e sopporta
bene i freddi anche se gli apici dei giovani rami possono risentire di improvvise gelate.
10
L’ambiente non è solo “tuo”
ma anche dei tuoi figli,
dei tuoi nipoti e…
Pensaci!!!
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TUBER REGIANUM
MONTECCHI & LAZZARI 1987
di Amer Montecchi
Via Diaz, 11 - 42019 Reggio Emilia
e-mail: [email protected]
Da tempo ci è noto che ogni specie fungina ha un proprio campo di variabilità. Le
specie però che maggiormente si caratterizzano per queste varianti, sono quelle di alcuni Tuber. Le ragioni sono legate ai lunghi tempi necessari per compiere il loro ciclo
biologico. Se per i funghi di superficie, questi tempi variano dai 2 a 15 giorni, quelli
di alcune specie di Tuber possono arrivare ai 2-3 mesi a secondo del tipo di terreno in
cui si riproducono, della profondità in cui si trova il carpoforo e delle quote altitudinali.
Dalle osservazioni di una decina di campioni di Tuber regianum, provenienti da diverse località italiane, mi è parso
che, come in altri Tuber, anche T.
regianum avesse un suo campo di
variabilità nella forma delle spore
e delle loro ornamentazioni.
Per avere conferma di queste
osservazioni, ho inviato campioni, raccolti in 3 località distanti
tra loro come, Vicenza, Ferrara e
Lucca, al Dr. BRATEK ZOLTAN
Novènyèlettan Molekularis Novènybiològiai Tanszek , Budapest
– Ungheria, per avere un suo parere
al riguardo.
Rispose dicendo che nel 2011,
Asco con spore di Tuber regianum (foto A. Montecchi)
T. regianum fu raccolto anche in
Ungheria e che questa specie si
compone di diverse “razze”, che nell’albero filogenetico dei Tuber si trova molto
vicino a T. excavatum, inviandoci poi la scheda della sua raccolta e il grafico inerente
la sua filogenesi.
Aggiunse poi che anch’egli aveva potuto osservare queste varianti e che nei 3 campioni
provenienti da località molto distanti tra loro, queste erano tali da far pensare a specie
diverse.
Questa risposta ci rallegra molto in quanto è una ulteriore conferma che questa specie
raccolta per la prima volta in località Febbio di Villa Minozzo nel 1987, e dedicata alla
città di Reggio Emilia è considerata universalmente una buona specie.
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Carpoforo del Tuber regianum (foto su muschio) (foto A. Montecchi)
Scheda del ritrovamento ungherese del Tuber regianum 13
(foto Dr. Bratek Zoltan, Hungheria)
Albero filogenetico del genere Tuber (autore Bratek Zoltan)
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FUNGHI CHE NON TROVIAMO
QUASI PIÙ
di Ulderico Bonazzi
Via Verdi, 2 - 42030 Regnano di Viano (RE)
e-mail: [email protected]
Ricordo ancora il mio primo articolo che scrissi sui funghi pubblicato sul “Bollettino del
Gruppo Micologico G. Bresadola Trento” Anno XX N° 3-4 del Maggio-Agosto 1977 (articolo certamente da micofago più che da micologo) intitolato “Due funghi da considerarsi
buoni commestibili”. Così si esprimeva:
“Il mio primo incontro col Boletus dupainii e il Boletus queletii, risale a cinque anni fa:
eravamo all’inizio di settembre ed avevo combinato un’uscita per raccogliere funghi con un
amico, pure lui fervente cultore e assaggiatore di carpofori”….. “invitai l’amico a scendere
nei boschi di quercia a me cari, nel comune di Viano (500 m di altitudine). Ecco finalmente
un piccolo tozzo boleto di un bel colore rosso lacca e più avanti, proprio al margine del
bosco, vicino a un gruppo di Boletus satanas, una ricca distesa di altri boleti più slanciati
dal cappello color brunastro o rosato. Io non conoscevo ancora quei funghi e fui pronto a
credere all’amico che mi presentò il primo come Boletus erytropus e gli altri come Boletus
luridus. Ne facemmo quindi una abbondante raccolta che consumammo in più volte, con
familiari ed amici, sia freschi che secchi: veramente eccellenti! Tornai più volte in quel
luogo e spesso riempii il cesto.”
“Il dubbio sull’identità dei funghi cominciò a sorgermi dopo la mia visita” (con Renzo
Franchi) “all’annuale mostra micologica di Trento” (1974): “quel funghetto rosso lacca non
poteva essere il massiccio erytropus anche se entrambi con gambo punteggiato. In seguito
un’ accurata osservazione dei campioni ritenuti Boletus luridus dava risultati sconcertanti:
infatti non tutti i funghi raccolti nella stessa zona apparivano identici, alcuni di essi non
presentavano il gambo reticolato” … “il cappello aveva sfumature più o meno rosa e sotto
i tubuli la carne appariva gialla e non aranciata. Dopo queste osservazioni cominciai a
osservare con maggiore accuratezza i campioni raccolti e piano piano, nel corso di questi
anni (durante i quali continuai a consumarli regolarmente) mi convinsi di trovarmi di fronte
al Boletus dupainii e al Boletus queletii finora classificati di commestibilità ignota. Per
acquisire maggiore certezza nella classificazione di detti funghi l’autunno scorso portai
alcuni campioni alla mostra micologica di Trento e sia il cav. Dal Piaz che l’ing. Cetto li
identificarono come tali. Un particolare interessante è che il Boletus dupainii da me è stato
trovato in boschi di latifoglia (quercia o castagno), mentre normalmente i testi indicano
come suo habitat tipico il bosco di conifere. Credo pertanto utile informare gli amici del
gruppo come dalla mia iniziale ignoranza sia nata una provata sicurezza di commestibilità
di questi funghi piacevolissimi al palato.”
Negli anni successivi, anni ’80, ci accorgemmo che il Boletus dupainii Boudier non era da
noi così raro, come avevo scritto nella descrizione del mio articolo: nelle nostre mostre,
dal 1980 all’inizio degli anni ’90, numerosissimi erano i carpofori che ci venivano portati
per l’esposizione, ma non era neppure un funghetto, infatti in molti casi, pur non essendo
così massiccio come Boletus erytropus, raggiungeva anche i 12-14 cm di diametro.
15
Boletus dupainii Boudier (foto G. Bramini)
Pycnoporus cinnabarinus (Jacq. ex p.) Karst
16
Nel tempo però la sua comparsa alle nostre mostre diminuì e ormai da anni nessuno lo
porta più.
Credo opportuno riportare la descrizione del bellissimo boleto:
Cappello: 6-10 (15) cm, prima emisferico, poi convesso-appianato con margine inizialmente debordante, Cuticola rosso vivo, rosso scarlatto quasi laccato, inizialmente un
po’ viscido, con margine inizialmente debordante, con l’età può perdere la brillantezza e
schiarire iniziando dal margine, assumendo tonalità più bruno-giallastre.
Imenio: tubuli lunghi e sottili inizialmente gialli poi verdastri viranti al blú al tocco; pori
rosso sangue, piccoli, leggermente poligonali, viranti al blú al tocco e al verde con solfato
ferroso.
Gambo: 4-8 (10) x 1,5-3 (4) cm, inizialmente ovoidale poi più slanciato, punteggiato di
rosso scarlatto su fondo gallo (a volte con un inizio di reticolo rosso subito sotto l’imenio),
virante al blú al tocco.
Carne: un po’ molle, gialla, leggermente rossastra sotto la cuticola, virante al blú al tocco.
Microscopia: spore fusiformi 11-14 x 5-6,8 μm, cistidi a forma di navetta.
Sporata: bruno oliva.
Habitat: sotto latifoglie (querce a castagni).
Commestibilità: commestibile.
Note: può essere confuso con Boletus lupinus Fries che, pur essendo inizialmente feltrato
e biancastro può assumere tonalità rosate, anche se opache, il gambo giallo può avere
punteggiature rosate, la sua commestibilità è controversa.
Ma oltre al Boletus dupainii Boudier altri funghi, un tempo comuni nelle nostre zone,
stanno scomparendo. L’Amanita caesarea (Scop. ex Fr.) Quelét era uno dei funghi più
comuni nella media collina negli anni ’30 e ’40, ora è una vera rarità; certamente hanno
contribuito le norme sull’autarchia emanate dal fascismo che incentivavano i contadini
ad abbattere i boschi per seminare frumento; altra causa è certamente la facile visibilità
di questo fungo e l’usanza di cercare con le mani, vicino al fungo maturo, gli esemplari
ancora non aperti. Altro fungo molto comune nei primi anni di vita del nostro Gruppo era
il Pleurotus cornucopiae Paulet ex Fries che cresceva prevalentemente sull’olmo e un
po’ a causa della malattia che ha colpito questa pianta, un po’ con la trasformazione dei
vigneti (un tempo l’olmo era l’albero che sosteneva la vite) il fungo è andato scomparendo
ed ora lo troviamo solo di coltivazione. Altro fungo che nei primi anni del nostro gruppo
risultava comunissimo ed appariva in tutte le mostre da noi allestite e che da anni non ci
viene segnalato è una Polypraceae certamente non commestibile, ma molto appariscente il
Pycnoporus cinnabarinus (Jacq. ex p.) Karst. ( Polyporus cinnabarina Jacq. ex p. –Trametes
cinnabarina (Jacq. ex Fr.) Fr.; ecco una descrizione:
Basidiocarpo: sessile o con un abbozzo di gambo a forma di ventaglio.
Cappello: 10-15 cm di lunghezza, 6-8 di larghezza, 1-2 di spessore, sporgente a mensola,
di un bel rosso cinabro che tende a decolorarsi con l’età, a volte zonato, inizialmente un
po’ villoso poi liscio.
Imenio: tuboli molto brevi (fino a 5 mm) concolori al cappello con pori un po’ angolosi,
piccoli (0,3-0,4 mm di diametro), rosso vermiglio.
Carne: molle, spugnosa, suberosa concolore al cappello.
Spore: ellissoidali-cilindriche 4,2-6,0 x 2-2.5 μm.
Habitat: su tronchi e ceppaie soprattutto di latifoglia (Fagus, Prunus …)
Molti altri funghi potrei ricordare che sono spariti o quasi.
Da alcuni anni qui da noi si sta restringendo molto il periodo di fruttificazione dei funghi:
17
fino ad una quindicina d’anni fa era un po’ distribuito in tutto l’arco dell’anno, poi piano
piano si sono ridotte sia le nevicate che le piogge estive ed i mesi di giugno, luglio, agosto
sono praticamente privi di pioggia, quest’anno poi sono state scarsissime anche in maggio
e, come conseguenza, non si è praticamente avuta fruttificazione fungina.
Ma non solo il regno dei funghi sembra modificarsi: negli invertebrati molte specie sono
nella mia zona quasi sparite; negli aracnidi ad esempio il suggestivo Araneus diadematus
(Epeira diademata) con la sua elegante ed artistica ragnatela è quasi scomparso, le locuste
si sono ridotte moltissimo, molti coleotteri sono quasi spariti. L’altra sera, durante una festa
di paese, diversi giovani rimasero quasi spaventati da un innocuo Lucanus cervus (cervo
volante) che mai avevano visto, ma che una ventina d’anni fa volava a centinaia in questa
stagione. Potrei fare un lungo elenco di invertebrati un tempo comuni ed ora rari o scomparsi.
Continuando il discorso tra gli uccelli sono scomparsi quasi totalmente i passeri, gli storni,
i cardellini, le rondini, la bellissima upupa che un tempo imperversava e tante altre specie;
al loro posto osserviamo abbondanti diversi tipi di gazze, le cornacchie e, da quest’anno,
la tortora dal collare proveniente dall’Asia. Anche tra i rettili abbiamo avuti notevoli
cambiamenti: ad esempio alcuni lacertidi sono quasi spariti e altri sono aumentati. Tra i
mammiferi, dopo secoli, nella zona c’è stata una vera invasione di caprioli, daini, cinghiali
ed è comparso il lupo.
Potrei continuare, ma a questo punto mi chiedo: queste rapide mutazioni rientrano nei
normali cicli della natura? Siamo forse noi uomini con il nostro “progresso” a modificare
il mondo che ci circonda così rapidamente non permettendo uno sviluppo equilibrato?
Araneus diadematus
Lucanus cervus
Upupa
Tortora dal collare
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LEUCOAGARICUS CRYSTALLIFER
VELLINGA
di Angelo Ballabeni
Via San Benedetto da Norcia, 16 - 24043 Caravaggio (BG)
Riassunto
Viene descritta una specie abbastanza comune dei boschetti di pianura, ritrovata
presso le rive del fiume Serio e facilmente confusa con il più raro Leucoagaricus
serenus (Fr.) Bon & Boiffard.
Sinonimi: Sericeomyces crystallifer (Vellinga) Bon, Sericeomyces serenus (Fr.)
Heinemann, Pseudobaeospora serena (Fr.) Locq., Lepiota serena (Fr.) Sacc., Agaricus
serenus Fries
Descrizione
Cappello: diametro 15 – 25 mm, da campanulato a convesso, infine disteso, con
un piccolo ma evidente umbone ottuso, superficie glabra, fibrillosa, con margine
frangiato, senza residui velari, di colore da bianco latte su tutta la superficie pileica,
tranne la zona centrale che può assumere specialmente a maturazione avanzata, una
leggera tonalità giallo pallido, fino a ocracea.
Lamelle: libere al gambo, relativamente fitte, da bianche a crema.
Gambo: 40 – 70 x 5 – 8 mm, piuttosto slanciato, fragile, cilindraceo, leggermente
rastremato in alto e leggermente rigonfio, lungamente e strettamente clavato verso
la base, concolore al cappello e tendente a sporcarsi di crema–ocraceo con l’età. Nel
terzo superiore è presente un piccolo anello membranoso, stretto, asportabile dall’alto
verso il basso, fragile, di colore bianco.
Leucoagaricus crystallifer Vellinga (foto A. Ballabeni)
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Carne: immutabile, con odore e sapore insignificanti.
Spore: (6,6) 7 – 8,3 (9,6) x (3,8) 4,1 – 4,5 (4,8) µm, Qm = 1,76 (valore ricavato su
34 misure), elissoidali, amigdaliformi, liscie, con parete spessa, con apice ispessito e
simulante un poro germinativo, ialine, destrinoidi, metacromatiche in Blu di Cresile;
spore in massa bianche.
Basidi: 16 – 25,8 x 8,3 – 9 µm, tetrasporici, clavati, con sterigmi lunghi fino a 2 – 3,3
µm.
Trama lamellare: composta da ife vescicolose, subcellulari, larghe fino a 18 µm.
Cheilocistidi: (32,2) 38,7 – 45 (58) x (11,6) 13 (16 ) µm, clavati, fusiformi, spesso
con formazioni cristalline biancastre e rifrangenti alla sommità, che ricoprono
completamente o a ciuffi l’orlo delle lamelle
Pileipellis: formata da una ixocutis di ife variamente intrecciate, con qualche
terminale rialzato, clilindracee, larghe mediamente da 3,8 a 7,7 µm, leggermente
gelificate, terminanti con un leggero rigonfiamento. La zona discale presenta delle ife
sottili, larghe da 1,2 a 3,2 µm e leggermente gelificate. Nella subpellis le ife risultano
leggermente più larghe di quelle riscontate nella zona superficiale; misurano da 13 a
25,8 µm e sono dotate di un leggero pigmento vacuolare ocraceo.
Stipitipellis: formata da una struttura di ife relativamente parallele, larghe da 3,2
a 11,6 µm, nella parte alta del gambo cosparsa da numerose formazioni cistidioidi,
simili ai cheilocistidi che misurano 25,8 – 35,4 x 9,6 – 11,6 µm.
Giunti a fibbia: assenti in tutte le parti del carpoforo.
Habitat: bosco di latifoglia, su suolo umido, sabbioso, ricco di umus, vicino alla
riva di un corso d’acqua. Vegetazione circostate composta da Populus sp., Robinia
pseudoacacia, Acer sp., Corylus avellana, ed altre essenze arbustive.
Materiale studiato: raccolta di 7 esemplari raggruppati in un boschetto di latifoglia
(pioppo), poco distante dalle rive del fiume Serio, nel comune di Bariano, Bergamo, il
7 di Ottobre 2010. Erb. BH n° 139.
spore
basidi
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trama lamellare
cheilocistidi
epicutis
pileipellis
21
Osservazioni
La specie più vicina a Leucoagaricus crystallifer Vellinga risulta essere Leucoagaricus
serenus (Fr.) Heinemann, specie più rara ma pressoché identica: pochi caratteri
differenzianti sono riscontrabili solo a livello microscopico e sono il tipico ispessimento
all’apice della spora, simulante un poro germinativo, e la presenza costante di
incrostazioni cristalline alla sommità dei cistidi, caratteristiche che risultano essere
sempre assenti in L. serenus. Da ultimo dobbiamo evidenziare la presenza costante di
gel nella trama del cappello, completamente assente nella specie presa a confronto.
Vellinga negli anni 2000, con la pubblicazione di questa nuova specie ha preso
l’occasione per cercare di riportare un po’ di ordine in quella che fino ad allora era la
situazione riguardante il quadro tassonomico dei Generi Leucoagaricus Locq. ex Singer
e Sericeomyces Heinemann, francamente poco chiari se non addirittura contradditori e
per questo interpretati in modo differente da vari autori. L’autore riprende l’originaria
impostazione adottata da Bon (1981), nella quale si collocava Sericeomyces come
Sottogenere di Leucoagaricus. Ulteriori e più complete informazioni sono reperibili
su “Micologia e Vegetazione Mediterranea del 2004, che proponiamo a supporto di
questo articolo, dove, a firma G. Consiglio ed M. Contu, vengono proposte diverse
combinazioni tassonomiche e dove vengono confrontati questi funghi estremamente
simili tra loro. Segnaliamo nella letteratura odierna la descrizione che M. Moser
effettua per Pseudobaeospora serena, nella quale pone in evidenza la presenza di
peli sterili e la completa assenza di cistidi, mentre B. Cetto nella sua descrizione di
Sericeomyces serenus, non accenna alla presenza di peli o di cistidi.
Bibliografia:
- A. Mua, Rivista dell’Associazione micologica ed ecologica Romana, n° 70 - 71, 2007.
- M. Bon, Champignons de France et d’Europe occ.
- R. Courtercuisse, Champignons de France et d’Europe.
- J. Breitenbach e F. Kr., Champignons de Suisse, vol. 4.
- B. Cetto, Funghi dal vero, vol 6.
- M. Bon, Les Lepiotes-Flore Mycol. d’Europe, tome 3.
- M. Candusso - G. Lanzoni, Lepiota, Fungi Europaei.
- G. Consiglio e M. Contu, Micologia e Vegetazione Mediterranea, vol. 1- XIX, 2004.
- M. Candusso, Rivista di Micologia n° 1, 1990.
- M. Moser, Guida alla determinazione dei funghi, vol. 1
L’ambiente
non è una discarica
22
UNA AMANITA FREQUENTE
NEI BOSCHI DI ABIES, PICEA E FAGUS
Amanita submembranacea (Bon) Groger
di Mauro Comuzzi
Via Ramazzini, 16 - 42124 Reggio Emilia
e-mail: [email protected]
Cappello: 5-10 cm; da campanulato a convesso, poi pianeggiante; umbonato o no; margine striato; bruno-olivastro, giallo-bruno; superficie lucida; con residui velari grigiastri.
Lamelle: bianche, libere, un po’ ingrigenti.
Gambo: 10-15/1-1,5; subcilindrico; biancastro; senza anello; screziato da bande o
squame grigiastre. Al piede una volva: submembranosa, fragile, facilmente lacerata;
bianca poi grigio cenere.
Carne: bianca non virante.
Spore: globose o subglobose;10-13 μm; Q. sporale:1,0-1,05.
Subimenio: base subfilamentosa con qualche sferocita.
Habitat: boschi montani (Abies, Picea e Fagus).
Note: una bellissima amanita sottogenere Amanitopsis sezione Inauratae.
I caratteri importanti sono i colori del cappello sempre a componente verdastro - brunastro e i colori della volva e residui grigiastri.
La sopravvivenza della vita sulla terra
dipende anche da te:
fa che il tuo egoismo, la tua ingordigia
o la tua sciatteria non prevalgano e
preserva l’ambiente
rispettando la natura
23
Residui velari sempre grigiastri (foto M. Comuzzi)
Volva submembranosa, grigio cenere
(foto M. Comuzzi)
24
I LIBRI PUBBLICATI DA NOI O DAI NOSTRI SOCI
L’opera è il punto di arrivo di due micologi
formatisi all’interno dell’A.M.B., A. Montecchi
e M. Sarasini, con personalità molto diverse ma
entrambi dediti da numerosi anni allo studio dei
funghi ipogei.
Prezzi di cessione
Soci A.M.B.: per l’Italia € 70,00
Non soci A.M.B.: per l’Italia € 95,00
Estero: idem, più spese di spedizione
I volumi del “Dizionario dei nomi volgari e dialettali
dei funghi in Italia e nel Canton Ticino” corredati o
no da un CD contenente anche i primi aggiornamenti
rispetto la stampa sono disponibili presso il nostro
Gruppo (Gruppo Micologico e Naturalistico “R.
Franchi” Via Amendola 2 42100 Reggio E.- e-mail:
[email protected] alle seguenti condizioni:
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Volume +CD
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Ai soci del Gruppo “R. Franchi” e quanti ne ordinino
almeno 10 copie
10,50€
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Il volume rilegato di 528 pag. contiene 290 fotocolor e 343
micrografie eseguiti dagli Autori, 21 tavole a colori eseguite
da E. Rebaudengo e F. Boccardo. Chiavi di determinazione
in inglese, italiano, francese e tedesco.
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25
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TESSERAMENTO 2013
Le quote sociali 2013 sono: Soci € 30,00 (+ € 4,00 per spese postali per
i residenti all’estero); Familiari € 1,60; Soci sostenitori oltre € 30,00. Il
versamento della quota potrà essere fatto direttamente in sede o sul C.C.P.
N° 10550424 intestato a “Il Fungo” o sul C.C.B. N. 000100232113 intestato a Gruppo Micologico “R. Franchi”, Unicredit Banca S.p.A., Agenzia 5
Reggio Emilia - Via Gandhi, 4 - 42123 R.E. Codice IBAN: IT 38 J 02008
12813 000100232113.
I Gruppi, gli Enti, le Associazioni interessati a ricevere regolarmente “Il
Fungo” dovranno versare € 5,50 per rimborso spese postali. I soci di altri
Gruppi A.M.B. potranno, in base allo statuto, divenire anche nostri soci,
ricevendo in tal modo regolarmente sia “ILFUNGO” che
“ILFUNGO REGGIANO”, versando la quota di € 13,00 (+ € 7,00 per
spese postali per i residenti all’estero).
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FRUTTA ANTICA
11° Contributo
Elia Canovi
Via Gorizia, 42 - 42124 Reggio Emilia e-mail: [email protected]
Amer Montecchi
Via Diaz, 11 – 42019 Scandiano (RE) e-mail: [email protected]
Gualberto Valentini
Via dell’Eco, 15 – 42019 Scandiano (RE) e-mail: [email protected]
Come già accennato nel 10° contributo, diventa sempre più difficile scoprire nuove
varietà di frutta antica sul territorio reggiano. Per tanto, iniziando da questo contributo, proporremo varietà del territorio parmense di quello modenese, e di altre regioni
italiane. Una di queste è stata recentemente scoperta da un nostro collaboratore, Sig.
Baraldi Bartolomeo detto (Bobo) che sta compiendo diverse ricerche su questa frutta.
Pera limone: presente con diverse piante in località Testanello (PR). Si differenzia
molto bene dalle altre per la sua caratteristica morfologia, per il colore della buccia e
per le sue scadenti qualità organolettiche. Matura nell’ultima decade di ottobre.
Pera butirra: rinvenuta dal Sig. Baraldi Bartolomeo in località Monte Molino, comune
di Palagano (MO) m 950 s.l.m.. I suoi frutti di notevoli dimensioni sono di ottima qualità
ma alla pari di altre varietà, difetta nel fatto che dal momento della raccolta dopo solo
2-3 giorni inizia a deteriorarsi.
Mela lavina: in alcuni cataloghi è presentata col nome “Lavinia”. Le ricerche su questi
nomi rivelano che nessuno di questi è legato a varietà di frutta. Viene ricordata come
originaria dell’Emilia Romagna ed è tuttora molto presente nel territorio delle colline
modenesi. I suoi frutti a completa maturazione si caratterizzano per avere il peduncolo
e il ricettacolo fiorale molto infossati nella polpa. Di medie dimensioni, forma un po’
allungata. Di sapore acidulo, si conserva bene per mesi in fruttaio. Matura nel tardo
autunno. I frutti che presentiamo provengono dalla località Pazzano di Serramazzoni
(MO) a 300 .s.l.m..
Mela dell’olio: rinvenuta sempre dal nostro collaboratore sig. Baraldi Bartolomeo
in località, Alviano Scalo, Orvieto. Frutti di medie dimensioni 3-5 centimetri, un po’
appiattiti. Diffusa in diverse regioni italiane, definita anche ghiacciolo. Non è una mela
di grande pregio. Si caratterizza per la polpa bianca, che dopo in certo tempo diventa
oleosa livida come ghiacciata. Matura nel tardo autunno e si conserva fino a primavera
inoltrata.
27
Mela lavina
(A. Montecchi)
Mela dell’olio
(A. Montecchi)
28
Pera limone
(A. Montecchi)
Pera butirra
(A. Montecchi)
29
I FUNGHI DEI BOSCHI E DEI PRATI CONQUISTANO
FINALMENTE IL RUOLO CHE LORO COMPETE NELLA
RICERCA SCIENTIFICA NAZIONALE ED INTERNAZIONALE
La nascita di un “Centro di Eccellenza” per lo studio della biodiversità del suolo
nel territorio del Parco nazionale dell’Appennino Tosco Emiliano concretizza il
partenariato con ISPRA. In questo articolo si avanza una proposta di lavoro rivolta ai
Soci del Gruppo “R. Franchi”di Reggio Emilia (AMB) ed a tutti coloro che desiderano
attivamente lavorare per la salvaguardia del patrimonio naturale e boschivo
di Luigi Cocchi
Via D. Piani, 6 - 42124 Reggio Emilia
e-mail: [email protected]
&
Carmine Siniscalco1
Via F. Giannelli, 26 - 01036 Nepi (TV)
e-mail: [email protected]
Che i funghi abbiano avuto un’importanza fondamentale nella storia e nello sviluppo
dell’umanità è cosa risaputa. Basti pensare alle esche per accendere il fuoco tra gli
uomini primitivi, ai lieviti per produrre il pane e fare fermentare le bevande alcoliche, alla
scoperta e alla produzione degli antibiotici, alle “micosi” prodotte da funghi patogeni in
grado di superare la resistenza delle barriere del corpo umano o degli animali provocando
infezioni. Come ben si può capire, diciamo nel bene e nel male, i funghi hanno avuto,
hanno ed avranno anche in futuro, importantissimi impatti con l’umanità e la vita in
generale sia sul piano economico e produttivo, sia sul piano sanitario e farmacologico2,
senza dimenticare i ruoli fondamentali rivestiti negli equilibri ecosistemici del pianeta.
Ma di che funghi stiamo parlando? In effetti, se pensiamo agli appassionati frequentatori
dei boschi e dei prati, parlare di Saccharomyces cerevisiae Meyen ex E.C. non è molto
eccitante, non solleva passioni e non si sentirà mai nessun “fungaiolo” raccontare di avere
trovato una fungaia di… “lievito di birra”.
Tutto ciò ha una spiegazione abbastanza plausibile perché, riguardo ai funghi (Regno
Fungi), il percorso storico di approccio alla loro conoscenza e studio si può definire
“atipico”.
Ragionando in termini un po’ grossolani, se si vuole, possiamo dividere i funghi in due
gruppi:
Responsabile del Comitato Scientifico del Progetto Speciale Funghi dell’ISPRA di cui fa parte anche Luigi
Cocchi.
2
Altro importante esempio riguarda tutta la medicina “dei trapianti d’organo”, che non avrebbe potuto nemmeno nascere se non fossero stati “scoperti” importantissimi farmaci antirigetto come le “ciclosporine”, i cui
principi attivi con effetto immunosoppressivo, vengono utilizzati per bloccare il rigetto da trapianto d’organo.
Le ciclosporine sono derivate dai prodotti di alcuni micromiceti.
1
30
1.I Macromiceti, cioè i funghi dei prati e dei boschi i cui corpi fruttiferi sono visibili ad
occhio nudo, oggetto della passione di raccoglitori “fungaioli e/o micofagi”; dei Soci
delle Associazioni Micologiche di cui alcuni possono essere definiti “micologi dilettanti”;
degli studiosi autonomi e ricercatori pubblici specializzati nella determinazione delle
“specie” e nella ricerca Tassonomica e Sistematica come, ad esempio, i membri del
Comitato Scientifico Nazionale dell’Associazione Micologica Bresadola.
2.I Micromiceti, cioè i funghi piccolissimi, visibili solo al microscopio, proprio come
Saccharomyces cerevisiae.
La ricerca scientifica accademica ufficiale si é storicamente concentrata, dal diciassettesimo
secolo, sui micromiceti, seguendo la moda e l’influenza dello sviluppo industriale
ottenendo così clamorosi risultati decisivi per lo sviluppo dell’umanità, proprio come si è
accennato all’inizio.
Per lo studio dei macromiceti la storia è molto diversa (per questo abbiamo prima usato il
termine “atipico” perché, contrariamente a quello che è storicamente avvenuto in tutte le
discipline scientifiche, si è data priorità, per quanto riguarda le applicazioni tecnologiche,
allo studio di “ciò che non si vede” rispetto a “ciò che si vede”): essi hanno avuto
probabilmente un ruolo significativo sullo sviluppo primordiale della cultura umana3 e
in certi momenti storici, per cause legate alle carestie e quindi alla fame, possono essere
stati usati come cibo, seppur con le mille cautele dovute alla riconosciuta presenza dei
funghi velenosi. Più recentemente alcune realtà territoriali con economie marginali e/o
in crisi hanno deciso di puntare sui funghi dei boschi (qui si deve praticamente parlare
solo di funghi del gruppo del Boletus edulis, i cosiddetti “porcini”) per cercare un rilancio
basato sullo sviluppo turistico, vista la gran massa di persone che, per ragioni diverse, si
è fatta prendere dalla “passione” della raccolta dei funghi spontanei. Inoltre la recente
globalizzazione commerciale ha consentito lo sviluppo di una industria dell’import/export
e della trasformazione alimentare su scala mondiale. Ma, a ben vedere, nessuna di queste
attività ha toccato il cuore dello sviluppo economico e delle problematiche umane con lo
stesso impatto dei micromiceti: in sostanza si tratta ancora di attività economicamente
“marginali” e confinate principalmente nell’ambito di logiche da hobby, da impiego e
valorizzazione del tempo libero, da esaltazione dell’aspetto gastronomico4.
Solo recentemente, negli ultimi dieci-venti anni, la ricerca scientifica si è rivolta con
maggior attenzione ai macromiceti. Diversi sono i filoni di lavoro fra i quali possiamo
citare:
➢i tentativi di scoprire nuove molecole farmacologicamente utili ed in particolare la
creazione di nuovi antibiotici5;
3
Si pensi all’uso antichissimo dei funghi allucinogeni che, insieme a molte altre sostanze psicotrope di origine
vegetale, hanno sicuramente contribuito ad elaborare le embrionali concezioni e pratiche magiche, per alcuni
versi alla base anche di moderne concezioni e pratiche religiose. Queste pratiche sono ancora presenti in comunità umane residuali non ancora “civilizzate” e drammaticamente in molto probabile via di estinzione.
4
Infatti il movente principale che avvicina gli appassionati ai Gruppi Micologici e li spinge a frequentare i
primi Corsi di Micologia è il desiderio di conoscere qualche fungo in più da mangiare in tranquillità…
5
E’ questo un argomento molto delicato e sul quale occorre porre molta prudenza da parte del consumatore,
bersaglio di pubblicità, spesso in mala fede, che, nella disperata ricerca di fette di mercato, spacciano funghi
(soprattutto le specie considerate nelle medicine tradizionali dell’estremo oriente) come “toccasana” senza tuttavia nessun serio supporto scientifico. Ci viene in mente la stupidità di credenze circa gli effetti “afrodisiaci”
del corno di rinoceronte, che stanno avendo, come unico risultato, l’estinzione di specie animali unicamente
per ignoranza o bassi interessi.
31
➢lo studio del metabolismo fungino per cercare nuove sostanze utili alle esigenze
moderne6;
➢ricerche per migliorare la comprensione del ruolo dei funghi in natura per meglio
attrezzarsi nella difesa e nella salvaguardia dei patrimoni ecosistemici attraverso la
bioindicazione7;
➢utilizzo delle loro proprietà in riferimento al biorisanamento8.
L’importanza della ricerca scientifica sui macromiceti è stata infine riconosciuta e
“certificata” dalla Comunità Europea che sta promuovendo lo studio della biodiversità del
suolo9, che è strategico per il futuro stesso dell’umanità e della vita sulla Terra10 perché,
per fare solo due esempi, ha ricadute dirette sul piano delle produzioni agricole (quindi
lotta alla fame) e della conservazione del patrimonio forestale (quindi lotta all’effetto
serra).
L’Italia in particolare risulta essere il Paese europeo che mostra la maggiore diversità
di tipi e copertura dei suoli, conseguentemente anche la sua biodiversità del suolo
mostra valori assai superiori a quella degli altri Paesi europei. Tuttavia questa risorsa,
oltre che studiata in maniera incompleta, al momento non viene tutelata. La protezione
in Italia, infatti, è focalizzata prioritariamente verso organismi più grandi11 rispetto agli
6
Ricercatori della Montana State University (USA) stanno studiando le proprietà di un fungo della foresta
amazzonica (Gliocladium roseum) che sembra essere l’unico organismo noto finora con la capacità di produrre un’importante combinazione di sostanze combustibili a partire da una serie di composti del carbonio
e dell’idrogeno. Il fungo può produrre tali composti anche dalla cellulosa che così diventerebbe la migliore
sorgente di biocombustibile (il cosiddetto “micodiesel”) utilizzabile attualmente.
7
Ricordiamo la pubblicazione, nel 2010, dell’EUR Report “Elementi chimici nei funghi superiori. I funghi di
riferimento come strumento di lavoro per la bioindicazione e la biodiversità” scaricabile on line al link: http://
eusoils.jrc.ec.europa.eu/ESDB_Archive/eusoils_docs/doc_other.html
8
Presso l’Istituto di Biologia Agro-ambientale e Forestale del CNR (Roma) si sta studiando la capacità di
Pleurotus ostreatus (il cosiddetto “orecchione”, fungo commestibile coltivato e venduto nei supermercati) di
“digerire” la molecola del creosoto, una delle sostanze maggiormente inquinanti che non può essere smaltita
con le attuali tecnologie. Il creosoto è un distillato del catrame di carbone che, per la sua elevata stabilità chimica, era usato per la conservazione del legno: traversine ferroviarie, pali per linee elettriche, rivestimento di
opere idrauliche, staccionate, pali per l’agricoltura.
9
La ”Strategia tematica per la protezione del suolo” (COM 2006/231, http://eur­lex.europa.eu/ LexUriServ/
LexUriServ.do?uri =COM:2006:0231:FIN:it:PDF) afferma che ‘’il degrado del suolo ha ripercussioni dirette
sulla qualità delle acque e dell ‘aria, sulla biodiversità e sui cambiamenti climatici, e può anche incidere sulla
salute dei cittadini europei e mettere in pericolo la sicurezza dei prodotti destinati all’alimentazione umana e
animale”. Pertanto, la perdita di biodiversità del suolo è identificata come una delle minacce più gravi
per i suoli europei. A seguito di tale comunicazione, la Commissione Europea ha richiesto agli Stati
Membri di definire entro il 2013, le aree a rischio di perdita di biodiversità del suolo.
10
Si può scaricare in pdf al seguente link (http://eusoils.jrc.ec.europa.eu/library/maps/biodiversity_atlas/) un
bellissimo volume dal titolo “European Atlas of Soil Biodiversity” che già dalle immagini di copertina fa capire
che i funghi macromiceti devono essere considerati fra i “protagonisti” della biodiversità del suolo.
11
Sono attualmente protette in Italia 93 specie di mammiferi su 118; 467 specie di uccelli su 473; tutte le 58
specie di rettili e le 38 di anfibi; 39 di pesci ossei su 489; 7 di pesci cartilaginei su 73; 4 di agnati (vertebrati
ancestrali ) su 5 a fronte di solo pochissime specie di invertebrati (che rappresentano il 97% della fauna italiana)
protette; 7 specie di spugne su 479; 7 di celenterati su 463; 20 di molluschi su 2.139; l di anellidi su 1.149;
38 di insetti su 37.315; nessuna specie di aracnide su oltre 4.618; l echinoderma su 118 specie. A fronte della
protezione di alcuni habitat e specie vegetali prevista dalla Dir. 92/43/CEE “Habitat”, nessuna specie di funghi
o di microrganismi gode di tutela specifica da parte della normativa vigente. Ad esempio, la Direttiva “Habitat”
tutela un solo pseudoscorpione (un raro aracnide, non italiano), a fronte delle 209 specie descritte al 2003 nella
check-list della fauna d’Italia (di cui sono endemiche oltre 110 specie e 15 sottospecie).
32
organismi che vivono nel suolo le cui dimensioni vanno da alcuni micron a qualche
millimetro.
La normativa nazionale infatti non copre nelle azioni di tutela né le specie, né le comunità,
né tanto meno le funzioni della biodiversità del suolo. Nonostante queste ultime abbiano
un valore incalcolabile, poiché svolgono servizi ecosistemici considerati indispensabili
per la vita nella Terra, vengono ancora raccolte in maniera sporadica e disorganizzata
molte informazioni di base (tassonomia, status, dinamica, minacce, distribuzione) anche
per le specie più note.
In questo contesto in Italia è nato, da dieci anni, nell’ambito dell’attività del Dipartimento
Difesa della Natura dell’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale
(ISPRA), il “Progetto Speciale Funghi” al quale l’Associazione Micologica Bresadola
partecipa in “Convenzione non Onerosa” per le sue riconosciute competenze in campo
micologico.
La partecipazione di numerose unità operative12 ai molteplici temi di ricerca del “Progetto
Speciale Funghi” dell’ISPRA ha consentito, anche per quanto é emerso da una serie
pluriennale di seminari, a scadenza mensile, rivolti allo studio dei funghi come indicatori
biologici della qualità del territorio, di concentrare gli sforzi nella pianificazione delle
attività, con il risultato di identificare in tempi ridotti i primi parametri ambientali, che
hanno i funghi come protagonisti, nella conoscenza e nella tutela degli ecosistemi.
In particolare il Gruppo Micologico e Naturalistico “R. Franchi” di Reggio Emilia è
coinvolto nel progetto per l’ormai più che ventennale attività di ricerca sul contenuto di
elementi chimici, in particolare metalli pesanti ed isotopi radioattivi, nei funghi dei prati
e dei boschi13.
Dopo un’intensa attività seminariale, che ha fatto capire l’importanza fondamentale
dell’interdisciplinarità della ricerca scientifica sui funghi macromiceti e ha collegato
tra loro e mobilitato varie realtà della ricerca italiana, il “Progetto Speciale Funghi” ha
recentissimamente proposto la formazione dei “Centri di eccellenza per lo studio delle
componenti di biodiversità del suolo”. Questa iniziativa ci riguarda direttamente perché
ISPRA ha promosso una specifica collaborazione con il Gruppo Micologico e Naturalistico
“R. Franchi” di Reggio Emilia (AMB), che sarà sede del Centro di Eccellenza, ed il Parco
Nazionale dell’Appennino Tosco Emiliano.
Ecco allora l’idea di un Gruppo di lavoro che metta localmente in pratica le attività
necessarie alla realizzazione dei temi di ricerca del “Progetto Speciale Funghi”:
prossimamente, presso la Sede del Gruppo Micologico, sarà convocata una riunione
per studiare le modalità di lavoro. Il Gruppo di lavoro si potrebbe chiamare “Gruppo
Biodiversità del Suolo”. Di seguito si presenta un “estratto” del documento ufficiale di
ISPRA che promuove i “Centri di Eccellenza”: come si può vedere si tratta di creare una
vera e propria rete, in campo nazionale, che consentirà sia di mettere in relazione gli studi
12
Oltre all’Associazione Micologica Bresadola – Centro Studi Micologici al “Progetto Speciale Funghi”
dell’ISPRA partecipano numerose istituzioni tra cui: Università, Centri di Ricerca, Istituti, Agenzie Regionali
per l’Ambiente, Parchi e Aree Protette, Aziende Sanitarie Locali, Regioni, Provincie e Comuni.
13
E’ operativa, per il biennio 2012/2013, una convenzione tra l’AMB e Iren Acqua Gas s.p.a per le analisi
chimiche presso i Laboratori della sede reggiana di Iren.
33
interdisciplinari realizzati in una stessa area protetta, sia di avere un continuo scambio di
esperienze tra i vari “Centri di eccellenza” con moltissime potenzialità di crescita.
Premessa
I “Centri di eccellenza per lo studio delle componenti di biodiversità del suolo”,
nell’ambito del “Progetto Speciale Funghi”, costituiscono lo strumento individuato in
ISPRA attraverso il quale realizzare studi multidisciplinari su quanto previsto dalle diverse
normative in materia di conoscenza e monitoraggio della biodiversità del suolo stesso.
Introduzione
Ai funghi viene riconosciuto un ruolo molto importante quali indicatori di diversità,
a livello genetico, in termini di ricchezza e abbondanza di popolazione e, pertanto, si
prestano ad essere utilizzati nello studio e nel monitoraggio della biodiversità di un
ecosistema o di un ambiente.
La comprensione dei meccanismi che agiscono sul mantenimento e sulla evoluzione degli
ecosistemi non può prescindere dalla conoscenza precisa di chi fa cosa. In particolare
l’efficienza delle interazioni dinamiche nelle relazioni trofiche del suolo risulta legata,
oltre che ai diversi elementi ambientali e pedologici, anche ai rapporti che le varie
componenti vegetali, micologiche e della fauna del suolo a diverse scale (micro, meso e
macro) stabiliscono tra di loro.
Motivazioni e scopi
Il punto di partenza per perseguire l’obiettivo di protezione e difesa della biodiversità del
suolo è raggiungere un adeguato livello di conoscenza della sua estensione e della sua
distribuzione spaziale e temporale. Il monitoraggio del grado di biodiversità del suolo
costituisce un elemento essenziale per l’individuazione precoce di una possibile alterazione
(nella maggior parte dei casi peggiorativa) e per permettere l’adozione di idonee misure di
contenimento del peggioramento stesso. Gli scarsi dati esistenti non consentono ancora di
ricavare procedimenti utili a comprendere appieno cosa stia accadendo e a prevedere cosa
accadrà in futuro. È evidente, tuttavia, che i fattori antropici alla base delle attuali minacce
per il suolo incidono sempre di più. I cambiamenti globali stanno acuendo sia le emissioni
di gas serra prodotte dal suolo sia fenomeni come l’erosione, le frane, la salinizzazione e
la diminuzione di sostanza organica dei suoli. Tutto ciò fa pensare che il degrado dei suoli
in Europa continuerà, e probabilmente a un ritmo anche più accelerato. Pertanto, l’urgenza
di adottare programmi di monitoraggio della biodiversità del suolo è data sia dall’aumento
delle pressioni su di essa, sia dal limitato stato di conoscenza attuale. La strategia tematica
europea per la protezione del suolo identifica lo stato di biodiversità del suolo come uno
dei vuoti di conoscenza più importanti e la strategia nazionale per la biodiversità indica
come uno degli obiettivi prioritari l’avvio di una rete di monitoraggio della biodiversità
dei suoli. Al riguardo la Commissione Europea ha recentemente chiesto all’Italia di
fornire informazioni utili per i suoi programmi di monitoraggio della biodiversità del
suolo e lo sviluppo dei relativi indicatori connessi. Il Ministero dell’Ambiente, nel giugno
2012, ha proposto ad ISPRA di coordinare un Tavolo Tecnico che sviluppi e promuova un
progetto preliminare per una rete nazionale di monitoraggio dei suoli centrato sull’ analisi
della biodiversità edafica e della desertificazione. Il Tavolo Tecnico è stato rapidamente
costituito ed é composto da rappresentanti delle Regioni, delle Agenzie Regionali
e Provinciali ambientali, delle Istituzioni scientifiche e delle Istituzioni nazionali
34
interessate. Il “Progetto Speciale Funghi” dell’ISPRA è stato chiamato a far parte del
Tavolo ed il suo responsabile, dr. Carmine Siniscalco, è stato nominato tra gli esperti
nazionali che ne faranno parte. Nel contesto di queste iniziative istituzionali diventa
chiaro lo scopo dei “Centri di eccellenza” per lo studio delle componenti di biodiversità
del suolo del “Progetto Speciale Funghi”: accrescere le conoscenze sulla biodiversità dei
suoli italiani, la più elevata in Europa e la più complessa da studiare per la varietà del
mosaico ambientale e pedologico nazionale.
Normative
“I governi e le autorità amministrative devono pianificare e gestire razionalmente le
risorse rappresentate dal suolo” (Carta Europea del Suolo, Consiglio d’Europa, 1972). Il
suolo nel corso degli ultimi decenni è stato sottoposto a un crescente numero di pressioni
e a un aumento della intensità dello sfruttamento; per questo motivo l’importanza della
protezione del suolo è stata riconosciuta a livello internazionale durante il Summit
Mondiale dei Capi di Stato di Rio de Janeiro tenutosi nel 1992, durante il quale 193 Paesi
hanno ratificato la Convenzione sulla diversità biologica (CBD, Convention on Biological
Diversity) al fine di tutelare la diversità biologica, l’utilizzo durevole dei suoi elementi
e la giusta ripartizione dei vantaggi derivanti dallo sfruttamento delle risorse genetiche.
Tale convenzione ha annoverato la biodiversità del suolo tra i settori che richiedono
un’attenzione particolare. Vari paesi, tra cui gli Stati Uniti, il Giappone, il Canada,
l’Australia, il Brasile e diversi paesi in via di sviluppo, hanno varato politiche per la
protezione del suolo che comprendono legislazione, linee guida, sistemi di monitoraggio,
individuazione delle aree a rischio, inventari, programmi di bonifica e strumenti di
finanziamento per i siti contaminati per i quali non è possibile determinare i responsabili.
Varie politiche comunitarie aiutano a difendere il suolo, in particolare quelle ambientali
(ad esempio in materia di acque e di aria) e quelle agricole (con le misure agro-ambientali
e la condizionalità); tuttavia, le politiche in vigore non riescono a proteggere tutti i suoli
né a individuare tutti gli elementi che possono rappresentare una minaccia per questa
matrice: e per questo il degrado continua.
Sebbene il suolo rappresenti, come collettore di tutte le sostanze depositate da aria e
acqua, uno degli elementi fondamentali dell’ambiente, la legislazione del nostro Paese,
che sulla protezione delle acque e sulla salvaguardia della salubrità dell’aria è al passo
con gli altri paesi europei, è in notevole ritardo rispetto al suolo. Nella legislazione
italiana, infatti, si parla per lo più di difesa dal dissesto idrogeologico e di difesa di
territorio, paesaggio e infrastrutture, difesa delle acque e del loro deflusso. In realtà, il
suolo non viene considerato quale elemento naturale che assicura funzioni chiave a livello
ambientale, produttivo, sociale ed economico. Attualmente, nella normativa nazionale
mancano azioni di tutela delle specie, delle comunità e delle funzioni della biodiversità
del suolo. Nonostante queste ultime abbiano un valore incalcolabile, poiché svolgono
servizi ecosistemici considerati indispensabili per la vita della Terra, le informazioni
necessarie (tassonomia, status, dinamica, minacce, distribuzione) vengono ancora raccolte
in maniera occasionale e disorganizzata anche per le specie più note. Al contrario, affinché
il suolo possa continuare a svolgere le sue diverse funzioni, è urgente che se ne preservino
le condizioni e, dove necessario, si cominci a impostare azioni di recupero del degrado
passato e presente.
35
Nel 2010, proclamato dall’ONU “Anno internazionale della Biodiversità”, l’Italia si è
dotata della “Strategia nazionale sulla Biodiversità”. Tale Strategia si colloca nell’ambito
degli impegni assunti dall’Italia con la ratifica della Convenzione sulla Diversità Biologica
avvenuta con la Legge n. 124 del 14 febbraio 1994.
La Strategia annovera fra le principali minacce il generalizzato processo di perdita del
suolo e cambio della sua destinazione d’uso, con conseguente perdita, modificazione e
frammentazione degli habitat (Strategia nazionale biodiversità, 2010).
Piano Progettuale
Mappatura e censimento della flora micologica per elaborare elenchi di specie per
ciascun habitat in base alle segnalazioni.
Le specie fungine caratteristiche e differenziali sono quelle che emergono dal confronto
con altri habitat. Tali specie rappresentano un primo campionario di elementi di pregio
ecologico e di indicatori di qualità ambientale. La scelta dei transetti vegetazionali
all’interno dei quali effettuare le ricerche micologiche è basata sui seguenti criteri:
-aree con diversità vegetazionale elevata
-aree con diversità di gradienti ecologici
Le stazioni scelte per la mappatura ed il censimento della flora micologica si prestano ad
analisi di correlazione diacroniche per valutare l’eventuale legame tra cambiamenti del
popolamento micologico e alterazioni dei gradienti in esame.
1. Associazione della flora micologica ai sistemi europei di classificazione delle unità
territoriali
L’associazione tra i sistemi europei di classificazione delle unità territoriali, relativamente
all’uso del suolo (CORINE Land Cover) e ai biotopi (CORINE Biotopes, EUNIS,
NATURA 2000) e gli ambienti di rilevamento della micoflora italiana.
L’individuazione delle relazioni Specie–Habitat (Natura 2000) e Biotopi (CORINE,
EUNIS), e la conseguente realizzazione di banche dati floro-vegetazionali e micologiche
permettono di:
4effettuare analisi della biodiversità a livello specifico e di comunità;
4approfondire la conoscenza ecologica nei diversi ambienti di interesse nazionale e
comunitario con particolare riferimento alle specie e agli habitat rari e protetti;
4raccogliere informazioni sulla distribuzione delle specie nei diversi habitat e sui serbatoi
di biodiversità associando i sistemi europei di classificazione delle unità territoriali,
relativamente all’uso del suolo (CORINE Land Cover), ai biotopi (CORINE Biotopes,
EUNIS, NATURA 2000) e ai rilievi micologici;
4utilizzare le specie come bioindicatori della qualità degli eventuali interventi di
ripristino;
4utilizzare le specie come indicatori nella realizzazione di carte della naturalità, della
pressione antropica, della sensibilità ecologica e carte della vulnerabilità.
36
2.Mappatura e censimento della fauna (micro-meso-macro) da correlare alle
funzioni dei microrganismi per redigere i primi rapporti sull’ecologia del suolo che
relazionino sui Funghi, la biodiversità del suolo ed i relativi servizi ecosistemici.
Il suolo entra in relazione con le piante a cui fa da supporto, formando un ecosistema unico
con esse, i funghi, la fauna (micro-meso-macro), ed i microrganismi. La funzione degli
organismi viventi del suolo è di molteplice natura: si esplica sia nei processi pedogenetici,
sia nella regolazione dei cicli degli elementi nutritivi e quindi nella stessa nutrizione
delle piante. I microrganismi intervengono infatti nella mineralizzazione della sostanza
organica, nella sintesi dell’azoto, nella formazione dell’humus e agiscono inoltre sulla
mobilizzazione degli elementi minerali. Ma il suolo è anche un’entità vitale che svolge
servizi fondamentali per l’ecosistema, per cui ricerche transdisciplinari sono state condotte
allo scopo di evidenziare i rapporti di sinergismo e competizione dei microrganismi con
le micorrize e/o i carpofori nelle diverse situazioni pedologiche. Recentemente, la fauna
del suolo è stata oggetto di attente ricerche da cui iniziano ad emergere le correlazioni tra
la sua presenza e lo sviluppo delle fruttificazioni fungine. Anche nel caso dei rapporti tra
ife ectomicorriziche e fauna del suolo, i rapporti che intercorrono tra le varie componenti
biotiche e la loro potenziale funzione di indicatori, sono stati esaminati in dettaglio da
studi compiuti sulle specie pregiate di Tuber, che hanno analizzato i ruoli e i rapporti tra
le varie componenti, gettando nuove basi per future sperimentazioni sulla bioindicazione
dei suoli. In tal senso, l’analisi integrata dei bioindicatori del suolo consente di validare
i sistemi di monitoraggio della qualità ambientale valutando alle diverse scale (micromeso-macro) i fattori che maggiormente influiscono sulla biodiversità e i relativi servizi
ecosistemici.
Risultati attesi
- Copertura del territorio nazionale e delle più importanti tipologie di suolo per quanto
riguarda le conoscenze di base sulla biodiversità edafica.
- Realizzazione di database specifici per i diversi taxa esaminati (in un primo tempo, i
principali o meno difficili da realizzare, in un secondo tempo, su scala globale).
- Produzione di atlanti, manuali e linee guida per il riconoscimento e il monitoraggio della
biodiversità edafica, di cartografia tematica sulla distribuzione potenziale ed effettiva
(basata su monitoraggi appositi effettuati dalla rete nazionale).
- Realizzazione di una rete di centri di eccellenza per la raccolta, l’identificazione,
l’elaborazione e la conservazione dei dati sulla biodiversità edafica.
Partner
Unità operative che, ad oggi, partecipano al “Progetto Speciale Funghi” dell’ISPRA:
1.Dipartimento Difesa della Natura ISPRA, Servizi: NAT-APR; NAT-CAR; NAT-BIO.
2.Dipartimento Difesa del Suolo ISPRA, SUO-IST.
3.Associazione Micologica Bresadola (AMB) (131 Gruppi Micologici in Italia e 11.000
Soci) legata ad ISPRA da una “Convenzione non onerosa” dal 2003 (tre Convenzioni
Triennali: dal 2003 al 2006; dal 2007 al 2010; dal 2011 al 2014).
37
4.Le Università: UniPI; UniPD; UniTS; UniRM1;UniRM2; UniCT; UniTO; UniTus.
5.Ente CRA: RPS (Relazioni Suolo Pianta); PAV (Patologia Vegetale).
6.CNR: IBAF (Roma); IBBA(Pisa).
7.JRC/CE. (Joint Research Centre/European Commission di Ispra (VA))
8.ICM (Istituto Cantonale di Microbiologia del Canton Ticino(CH).
9.Agenzie Regionali: ARTA Abruzzo; ARPA Lazio.
10.Amministrazioni provinciali di Roma e Viterbo.
11.Parchi: Parco Naturale Regionale Sirente Velino; Riserva Naturale Monterufeno; Parco
dell’Appennino Tosco Emiliano; Parco di Migliarino-San Rossore-Massaciuccoli;
Parco del delta del Po; Parco delle Gravine di Puglia; Parco delle Pianelle in Puglia;
Parco del Marturanum a Barbarano Romano (VT); tutti i Comuni della ZPS del
Torrente Cerreto (Comuni di Monterosi, Nepi, Castel S. Elia) (VT).
In attesa dell’inizio del Seminario del Prof. Lucio Montecchio (Università di Padova, il primo a sx)
svoltosi a Roma, presso la sede di ISPRA di Via Curtatone, il giorno 8 aprile 2008, sul tema: “Simbionti
micorrizici come bioindicatori della salute delle piante forestali”
38
STORIA SEGRETA di Cesare Pavese
di Giacomo Borgatti
Via Mirabello, 4 - 42100 Reggio Emilia
E’ accaduto a tanti di noi della Associazione Micologica di andare a
funghi con un amico particolarmente esperto che conosce perfettamente parecchie stazioni di crescita di
alcuni miceli. Questa esperienza che
ho fatto anche recentemente, nella
scorsa primavera, ha lasciato ancora
la sua traccia in me e, alcune volte,
mi torna alla mente la ottima raccolta di Calocybe gambosa compiuta
nel territorio vianese. Rileggendo
con attenzione ed interesse alcuni
racconti di Cesare Pavese facenti Cesare Pavese
parte della raccolta “Feria d’agosto”, mi ha colpito, soprattutto, quello intitolato “Storia segreta” nel quale ho trovato un
collegamento con la mia “avventura” per funghi. Il critico Marco Forti commenta così
questo testo: “.......Ma, più ancora, la maturità di Pavese si affermerà, in altro senso, nel
lungo racconto di memoria “Storia segreta” che chiude il libro. Qui è stato ritrovato, con
ritmo naturale e musicale, un tempo fantastico di leggenda familiare, di primordio e di
vagheggiamento lirico, e insieme la concretezza di figure dall’evidenza tutta illuminata
-quella di Sandiana soprattutto, memorabile tra le tante donne memorabili di Pavesein cui si trovano già i modi, la libertà stilistica e d’invenzione -se vogliamo la quarta
dimensione simbolica- che caratterizzerà, più oltre, i brevi, precipitosi e intensissimi
anni della piena maturità di Pavese, ormai prossimi. “Nel passo che ho intenzione di
riportare è messo in rilievo un dialogo tra il protagonista e una leggendaria figura femminile: Sandiana che, nel contesto della narrazione, viene evidenziata con lineamenti di
spicco, come abbiamo già scritto, nel testo del critico M. Forti. Nelle pagine di “Feria
d’agosto” sono messi in risalto il sogno del mare, le feste notturne e i falò, un’umanità
modesta, di tipi comuni eppure indimenticabili, 1’infanzia lontana, le avventure cittadine, le vigne e le colline, luoghi e figure, dice un critico, “ormai classici della vacanza
amara di C. Pavese “. Ecco, ora, il testo in cui, in uno scenario nel quale “quando il sole
è più forte si sente il rumore della terra che cresce”, appaiono le straordinarie creature
del bosco: i funghi: “No, tu ridi. A me sembra che dalla terra esca un calore continuo
che tien verdi le piante e le fa crescere, e certi giorni mi fa senso camminarci perché
dico che magari metto il piede sul vivo e sottoterra se ne accorge. Quando il sole è più
39
forte si sente il rumore della terra che cresce.” A nessun altro confidavo queste cose.
Ma la Sandiana diceva che avevo ragione: raccontava che una volta aveva un fiore che
si apriva ogni mattina sotto il sole e si muoveva. “Ce ne sono nei boschi”. “Chi lo sa”,
disse la Sandiana.”Nei boschi c’è di tutto”. Nei boschi andavamo qualche volta per
funghi, ma bisognava che avesse piovuto, e la Sandiana ne trovava più lei sola che tutti
noi altri. Lei sapeva il terreno e ficcava la mano sotto le foglie marce: non si sbagliava
mai. Delle volte io passavo, guardavo, non ce n’era nessuno. Veniva lei, sembrava che
le fossero cresciuti sotto i piedi. Mi diceva ridendo che i funghi crescono di colpo, dalla
sera al mattino, da un’ ora all’altra, e che conoscono la mano.
Sono come le talpe, si muovono; li fa l’acqua e il calore. Peccato che la strada era
lunga, sapevo venirci soltanto con lei. Partivamo da casa al mattino e arrivavamo sulle
creste sudati. Passavamo una valle e una costa, perdevamo sentieri. Quelle notti, nel
letto, tutta quanta la collina mi pareva un vivaio caloroso di pioggia e di funghi, che
solamente la Sandiana conosceva a palmo a palmo”.
(foto G. Bramini)
Calocybe gambosa GODITI LE BELLEZZE DEL NOSTRO
PAESAGGIO SENZA LASCIARE
SEGNI DEI TUOI PIC NIC
40
CINIPEDE GALLIGENO,
LA VESPA DEL CASTAGNO
di Paolo Ferrari
Via Monte Cusna, 5 - 42015 Correggio
e-mail: [email protected]
Le note che seguono non sono tutte farina del mio sacco. Ho pensato che in una pubblicazione come questa, rivolta in primo luogo agli appassionati e agli studiosi di funghi
e, più in generale, agli amanti della Natura, potesse essere utile dare un’informazione
la meno vaga possibile su un problema che chi frequenta i nostri boschi di castagno,
per funghi o per qualsiasi altro motivo, avrà certamente notato ponendosi anche tante
domande. E’ evidente che la questione mi interessa anche personalmente così come
penso che debba interessare tutti. Infatti la nostra stessa vita e la nostra stessa salute,
e delle generazioni future, è intimamente legata agli equilibri naturali in generale (si
pensi, per esempio, al caso dell’ILVA di Taranto, ultimo di una serie innumerevole
di drammatici episodi provocati dall’incuria umana verso l’ambiente per ignoranza,
ingordigia, miopi interessi spesso anche illegali e/o criminali) e, tra questi equilibri,
sono fondamentali quelli sostenuti dal patrimonio forestale non solo nel nostro paese,
ma in tutto il mondo. Girando per i nostri castagneti ci si rende subito conto che siamo
di fronte ad una grave emergenza. Negli ultimi decenni un numero sempre crescente
di nuovi insetti dannosi, soprattutto per mancanza di antagonisti naturali, è stato introdotto in Europa. Molti di essi sono risultati nocivi ad alberi forestali o da frutto. Alcuni
di questi insetti hanno avuto una diffusione relativamente veloce, interessando molti
Paesi europei. Nella primavera 2002 è stata segnalata per la prima volta in Italia, in
particolare nella provincia di Cuneo, la presenza del Cinipide galligeno o vespa dei
castagni (Dryocosmus kuriphilus Yasumatsu), imenottero fitofago considerato a livello
mondiale tra i più dannosi per il castagno. L’insetto, originario della Cina e in precedenza assente in Europa, è stato introdotto accidentalmente nel corso del Novecento in
Giappone (1941), Corea (1963) e Stati Uniti (Georgia, 1974), provocando gravi danni
alla castanicoltura. La propagazione è avvenuta in poco tempo in buona parte dei castagneti italiani e la sua diffusione sta interessando 15 delle 20 Regioni italiane, ma ci
sono segni preoccupanti di infestazione su tutto il territorio nazionale con superamento
dei confini verso la Slovenia e la Francia, in particolare nel dipartimento dell’Ardèche
(regione del Rodano-Alpi), dove viene prodotto l’80% delle castagne francesi. I danni
che la puntura della vespa cinese arreca sono molto evidenti con la formazione di galle,
cioè ingrossamenti di varie forme e dimensioni, a carico di gemme, foglie e amenti
del castagno. Da queste galle, in giugno e luglio, fuoriescono le femmine alate che
vanno a depositare le uova nelle gemme presenti. Dalle uova all’interno delle gemme
fuoriescono le larve che si sviluppano e si nutrono senza dare segno di sintomi esterni
dell’infestazione. Alla ripresa vegetativa, in primavera, si ha un rapido sviluppo delle
41
larve che determina la formazione delle caratteristiche galle. L’attacco determina un
arresto dello sviluppo delle gemme con conseguente ridotto sviluppo delle foglie, un
consistente calo della produzione di castagne, una riduzione dello sviluppo vegetativo
e un forte deperimento delle piante colpite. La diffusione dell’insetto può avvenire sia
tramite gli scambi di materiale di propagazione infestato (marze, piantine), sia attraverso il volo delle femmine adulte che fuoriescono dalle galle. In Italia la conoscenza
del ciclo biologico del cinipide galligeno è iniziata con studi effettuati in Piemonte e,
stante la sua pericolosità, si è iniziato a saggiare alcuni principi attivi, somministrati
mediante l’utilizzo di diverse tecniche, contro gli stadi di sviluppo dell’insetto. Queste
prove di controllo chimico delle popolazioni di cinipide sono state effettuate in aree
con elevato livello di infestazione, ma si è presto verificato che gli insetticidi chimici
non possono dare risultati confortanti, peraltro in accordo con quanto riportato in letteratura, provocando, al contrario, un paradossale incremento dei livelli di infestazione,
probabilmente per aver provocato una semplificazione dell’ecosistema con interferenze
negative sull’entomofauna utile a combattere il cinipede. Data l’importanza economica
della castagnicoltura in dette aree, tuttavia, si è sollevato uno stato di allarme sociale
tale che le amministrazioni locali hanno incentivato la ricerca e la sperimentazione di
forme di lotta biologica. Per questi motivi sono presto iniziate ricerche sui limitatori
naturali endemici dell’insetto per poter effettuare una efficace lotta biologica con impatto ambientale il più leggero possibile. Da queste indagini preliminari sui parassitoidi
autoctoni del cinipide è emersa, per es. nel viterbese, la presenza di ben otto specie di
limitatori naturali, di cui una (Torymus erucarum Schrank 1781) rinvenuta esclusivamente nel Lazio. Di queste otto specie ben tre sono state segnalate come nuove per la
zona Centro Italia, in quanto non presenti nella Check List della Fauna Italiana.
In Piemonte sono presenti quindici specie di parassitoidi autoctoni. Il maggior numero
di specie rinvenute rispetto a quelle del Lazio, può essere spiegato tenendo presente
che il cinipide, in questa Regione, è stato segnalato nel 2002, mentre nel Lazio solo nel
2005. Questa differenza temporale probabilmente ha inciso sul numero di parassitoidi
che si sono abituati al nuovo ospite.
E’da considerare che questi insetti utili sono originariamente parassitoidi di cinipidi infeudati
al genere Quercus spp., e necessitano di un tempo di adattamento al nuovo ospite su castagno.
Visti gli incoraggianti risultati ottenuti in Piemonte, nel 2008 è stato introdotto e
posto in allevamento nel Lazio il parassitoide esotico Torymus sinensis Kamijo avvalendosi anche delle ricerche di base effettuate sia in Giappone che in Piemonte.
E’ stato comunque necessario attendere ancora un anno per poter avere, dall’allevamento, un numero apprezzabile di parassitoidi utili nel controllo biologico di
pieno campo. T. sinensis, anch’esso originario dalla Cina, è in grado di parassitare le larve del Cinipide depositando le proprie uova nella stessa galla: le larve di
T. sinensis si sviluppano utilizzando come unico nutrimento le larve del cinipide.
Un secondo settore di ricerca riguarda le analisi elettroantennografiche e olfattometriche.
I risultati finora raggiunti con queste tecniche indicano che le antenne degli adulti di D.
kuriphilus sono in grado di rilevare una vasta gamma di composti volatili emessi dalle
foglie di castagno e che alcuni odori emessi dalle foglie verdi attraggono gli adulti del
42
cinipide consentendo così di realizzare trappole di cattura. Saranno necessari tuttavia
ulteriori studi sia di laboratorio che di pieno campo per confermare l’attività biologica
(attrattività, repellenza) dei composti attivi, isolati e in combinazione, per valutare il
loro potenziale nelle strategie di controllo del cinipide galligeno del castagno. Un terzo
settore di studio riguarda l’individuazione di varietà di castagno resistenti all’attacco
della vespa cinese. Ad esempio un produttore ligure ha constatato che alcune varietà
di marroni ibridi, piante di varia provenienza presenti nei suoi castagneti (Marigoule e
Maraval) hanno comportamenti diversi rispetto al cinipide. Mentre la pianta di Maraval è resistente alla vespa, la Marigoule è attaccata al 100% dal cinipide, lasciando le
piante locali vicine scarsamente attaccate: se questo fosse confermato sarebbe un dato
molto interessante per la lotta al parassita.
La Regione Emilia Romagna è impegnata in un grande sforzo per fare fronte a questa
emergenza e, in collaborazione con l’università di Torino, è stato avviato un programma
che ha come scopo l’introduzione nei castagneti T. sinensis, antagonista naturale della
vespa cinese. Per questo è stata individuata una prima area di allevamento a Carpineti
(RE) nel 2009 ed una seconda in Provincia di Bologna. L’area di Carpineti è stata
affidata al Laboratorio di Entomologia dell’Università di Modena e Reggio. Dopo
moltissimi nuovi nati di T. sinensis sono state effettuate diverse decine di lanci, anche
in sinergia con antagonisti autoctoni della vespa. Si spera di portare presto le aree di
moltiplicazione dei nemici naturali delle vespa ad un livello di produzione tale da poter
ridurre drasticamente le infestazioni.
Ringraziamo per le informazioni e la disponibilità:
•Dr.ssa Manuela Stacchiotti ([email protected]) che ci ha gentilmente fornito il
testo, dal quale abbiamo tratto diverse considerazioni e le immagini, della Sua Tesi
di Dottorato “Studio delle problematiche inerenti la biologia ed il controllo delle popolazioni del cinipide galligeno del castagno Dryocosmus kuriphilus Yasumatsu nel
viterbese” discussa nel 2009 presso la Facoltà di Agraria (Dipartimento di Protezione
delle Piante) dell’Università della Tuscia – Viterbo;
•Il Consorzio Fitosanitario Provinciale di Reggio Emilia - www.fitosanitario.it
Fig. 1: Femmina di Dryocosmus kuriphilus
Yasumatsu
43
Fig. 2: Femmina di Torymus sinensis
Kamijo
Fig. 3: Galle con fori di uscita del cinipede galligeno
Fig. 4: Ciclo biologico di Dryocosmus kuriphilus Yasumatsu nel Viterbese
44
Il Consorzio Fitosaniario è un Ente pubblico non economico per la difesa delle piante, da
più di 40 anni al servizio dell’agricoltura e della collettività.
Istituito con D.M. 22.11.1962 ai sensi della Legge n° 987/1931, riorganizzato con
L. R. n° 16 del 22.5.1996 e L.R. n° 13 del 24.6.2002, il Consorzio Fitosanitario Provinciale
di Reggio Emilia finanzia la propria attività per mezzo di una contribuzione obbligatoria
di modesta entità a carico dei proprietari di terreni, commisurata al Reddito Dominicale,
denominato Contributo Difesa Fitosanitaria: trattandosi di un contributo obbligatorio , esso
è interamente deducibile dal reddito complessivo lordo (Art. 10 lettera a, DPR 917/86).
Attività svolte e servizi gratuiti agli utenti:
➢ Lotte obbligatorie per Legge ai parassiti delle piante
➢ Assistenza tecnico-sanitaria rivolta alle piante coltivate ed al verde ornamentale
➢ Attività per delega regionale:
l Controlli fitosanitari a vivai, colture da seme, ecc.
l Certificazione del materiale di moltiplicazione della vite
l Certificazione fitosanitari per Import-Export
l Controlli sul territorio provinciale relativi alla comparsa eventuale di nuovi parassiti
➢ Divulgazione tecnica di difesa fitosanitaria:
l Organizzazione, definizione e divulgazione del Bollettino Antiperonosporico e
Antioidico della vite
l Con articoli pubblicati sulla stampa periodica locale
l Con consigli pratici riportati sul periodico mensile edito in proprio
l Mediante segreteria telefonica
l Tramite specifiche trasmissioni televisive
l Con l’organizzazione di riunioni e conferenze
➢ Visite aziendali e sul campo
➢ Esami di campioni di vegetali affetti da fitopatie
➢ Coordinamento della Lotta integrata in provincia
➢ Promozione di nuove tecniche di difesa
CONSORZIO FITOSANITARIO PROVINCIALE DI REGGIO EMILIA
Via F. Gualerzi, 32 - 42124 Reggio Emilia - Tel. 0522 271380 – Fax 0522 277968
www.fitosanitario.re.it
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INCENDIO NEL NOSTRO APPENNINO
di Luigi Cocchi
Via D. Piani, 6 - 42124 Reggio Emilia
e-mail: [email protected]
&
Massimo Gigante
Via Geminiani, 2 - 42124 Reggio Emilia
e-mail: [email protected]
Questo articolo non era previsto nel momento della elaborazione del presente opuscolo, ma
l’incendio che, dal 23 al 25 agosto, ha colpito la zona di Vallisnera, alle falde del Monte
Ventasso, nel territorio del Parco nazionale dell’Appennino Tosco Emiliano, ci ha fatto
letteralmente “rabbrividire”. Dal primo pomeriggio del 23 squadre dei Vigili del Fuoco da
Castelnovo ne’ Monti e da Collagna, squadre boschive dei Vigili di Parma e Modena (oltre
30 Vigili del Fuoco con 10 mezzi e un elicottero da Bologna che ha prelevato acqua dal
Lago Calamone), uomini del Corpo Forestale dello Stato, della Protezione Civile, personale
del Parco e volontari hanno efficacemente lottato contro il fuoco, ostacolati dal forte vento,
riuscendo ad evitare che i danni fossero drammatici. Solo alla mezzanotte del 25 il rogo è
stato dichiarato spento, ma è prudentemente continuata la vigilanza. Sono andati in fumo
circa 25 ettari di prateria a mirtilli, con ginepri, faggi e molte altre essenze che compongono l’importante ecosistema del nostro Appennino. Per il nostro territorio si tratta, per
dimensioni, di una novità assoluta: in passato si sono pure verificati roghi, ma di dimensioni
ben più modeste perché, comunque, nel nostro ambiente ci sono scarsissime possibilità di
autocombustione. Il rischio è comunque stato molto importante perché potevano essere
completamente bruciati i boschi di Pratizzano. La natura dell’incendio, anche se sono ancora in corso le indagini, sembra accertato essere dolosa: la madre degli imbecilli è sempre
gravida! Ma ci sono alcune considerazioni da fare perché noi del Gruppo Micologico siamo
particolarmente affezionati a Pratizzano: soprattutto in occasione delle Mostre la zona viene
intensamente visitata perché la variabilità delle essenze vegetali presenti ha, come diretta
conseguenza, una variabilità di presenze di specie fungine importanti sia dal punto vista
scientifico che didattico. Ma Pratizzano presenta una problematica complessa, con aspetti
positivi ma anche fortemente negativi, che testimonia l’influenza dell’uomo sugli ambienti
naturali e sulla biodiversità: le specie vegetali che vi si trovano con maggior frequenza sono
il pino nero austriaco (non autoctono), il larice (non autoctono), l’abete bianco (in provincia
di RE esistono solo tre nuclei certamente autoctoni: versante nord Monte Ventasso, Monte
La Nuda e Schiocchi dell’Ozola) e l’abete rosso (nel reggiano vi è una sola stazione che
sembra autoctona al Passo del Cerreto). Vi si trova anche qualche esemplare di abete di
Douglas, specie originaria delle coste occidentali dell’America. Questa abetina e senz’altro
di origine antropica, impiantata presumibilmente all’inizio della seconda metà del secolo
scorso. L’abetina occupa una conca un tempo occupata dal lago di Pratizzano (di origine
glaciale) poi bonificato: i cacciatori ancora nei primi decenni del secolo scorso vi andavano
a caccia di anatre ed oche! Gli alberi furono impiantati con sesti serrati e molto regolari.
Purtroppo non vennero mai diradati fino a qualche anno fa e ciò ha comportato il fatto che
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le branche più basse deperissero e seccassero per mancanza di luce (fornendo così ottimo
materiale combustibile!). Ora le piante presentano un aspetto poco naturale con la chioma
verde situata nella parte alta dell’albero e con tronco perfettamente pulito per alcuni metri
di altezza. Comunque, nonostante alcune conifere manifestino disseminazione naturale,
il faggio si sta già insinuando all’interno dell’abetina e, nel tempo, è destinato a divenire
dominante. Al fine di prevenire gli incendi certamente non giova vedere i nostri boschi
(per es. nella zona di Collagna), che dopo il taglio della legna presentano una situazione
a dir poco disarmante, con l’abbandono sul terreno di tutte le ramaglie e spesso anche dei
rifiuti dei veloci pranzi che le squadre di boscaioli, molte delle quali provenienti dall’estero, lasciano nel bosco. Una quantità considerevole di massa organica secca che non può
che agevolare il propagarsi delle fiamme. La prevenzione passa anche dalla eliminazione
di queste situazioni, a dire il vero molto diffuse sul nostro Appennino. E’ inoltre molto
importante, al fine di evitare un impoverimento biologico dell’area percorsa dal fuoco,
che come previsto dalla L. 353/2000 “Legge-quadro in materia di incendi boschivi” che si
vieti per dieci anni il pascolo e la caccia, onde evitare, come in altre parti del nostro Paese
purtroppo accade, che si diano fuoco ai boschi per trarne un profitto personale”.
La questione, comunque, dell’impatto ambientale di un incendio è molto complessa. In
casi come questo risulta lampante come siano fondamentali, nella gestione del territorio,
considerando che ormai nessuna zona si può ritenere, almeno da noi, totalmente naturale,
il metodo e le conoscenze scientifiche. I cambiamenti climatici, la siccità, la caccia, la
raccolta dei funghi, i rimboschimenti ed i disboscamenti, il prelievo di risorse idriche e lo
sfruttamento delle sorgenti, le escavazioni, la viabilità, l’impermeabilizzazione dei suoli,
l’attività turistica, non possono essere affrontati con concezioni e metodi settoriali (esempi? la legislazione e l’azione di chi governa il territorio: c’è una legge sulla raccolta dei
funghi che ignora l’esistenza, nei boschi, di animali – non vengono vietati comportamenti
rumorosi e l’uso di forti luci - così come le autorizzazioni di taglio del legname spesso non
considerano i periodi di cova degli uccelli). E’ fondamentale assumere come criterio la
difesa e il rafforzamento della biodiversità: per l’abbandono delle zone montane in Emilia
Romagna, ma non solo, sono in drastica diminuzione prati e pascoli e con essi oltre 70
specie di uccelli che dipendono per tutto o parte del loro ciclo biologico dalla presenza
di praterie. Se un’azione organica di gestione del territorio prevedesse il mantenimento
equilibrato di situazioni che hanno certamente un’origine antropica (a volte anche secolare:
anche il castagno non è autoctono da noi!) ma che si sono “storicamente” rinaturalizzate
modellando il nostro territori, come i pascoli, si potrebbe prevenire la formazione di sterpaglie, boscaglie incolte, ecc facendo seriamente un’azione di prevenzione antincendio.
Dal sito del Corpo Forestale dello Stato: www3.corpoforestale.it
La prevenzione
L’attività di prevenzione consiste nel porre in essere azioni mirate a ridurre le cause e il
potenziale innesco d’incendio nonché interventi finalizzati alla mitigazione dei danni conseguenti (art. 4, comma 2 della Legge n. 353/2000) e viene abitualmente svolta mediante:
* azioni destinate al bosco di competenza specifica delle Regioni, con interventi di corretta
gestione delle risorse disponibili;
* azioni destinate all’uomo, con interventi tesi a prevenire comportamenti umani scorretti,
sia dolosi che colposi, quale principale causa di incendio.
47
Azioni preventive destinate al bosco
Una efficace attività antincendio non può prescindere da una adeguata pianificazione degli
interventi sul territorio quali:
* l’uso sostenibile delle risorse
* la regolamentazione del turismo
* la manutenzione delle strutture e delle infrastrutture
Per ridurre il potenziale innesco di incendio nel bosco inoltre sono necessari anche interventi
specifici nell’ambito di una selvicoltura preventiva.
Un primo intervento consiste nell’insediamento di specie resistenti al fuoco per ridotta
infiammabilità (facilità di accensione) e combustibilità (facilità di propagazione del fuoco)
e dunque1:
* le specie che hanno maggiore capacità pollonifera;
* le specie la cui corteccia è più spessa;
* le formazioni più dense, che riducono il disseccamento e impediscono l’insediamento di
un sottobosco combustibile;
* le formazioni vegetali costituite da un maggior numero di specie.
Un secondo intervento riguarda la riduzione della pericolosità dei combustibili vegetali
tramite azioni:
* a carico del soprassuolo
- sfollamenti (riduzione della densità nei soprassuoli giovani);
- diradamenti (riduzione della densità nei soprassuoli adulti);
- utilizzazioni (prelievo nei soprassuoli maturi);
- spalcature;
- compartimentazione, cioè delimitazione di zone, per effetto di elementi artificiali (come
i viali parafuoco) al fine di creare interruzioni all’espansione del fuoco o poter intervenire
più agevolmente nello spegnimento. In alcuni casi esiste già una compartimentazione
naturale, rappresentata ad esempio da corsi d’acqua o altri elementi, che possono essere
opportunamente utilizzati ai fini di una ripartizione dell’area in settori.
* a carico del sottobosco
- sfoltimento ed eliminazione di cespugli ed arbusti.
* a carico dello strato erbaceo
- eliminazione lungo le strade e le scarpate, soprattutto dove il rischio di accensioni per
mozziconi di sigarette o altre cause è elevato.
Azioni preventive destinate all’uomo
Il fattore umano è di importanza fondamentale nell’attività di prevenzione, considerato
che la maggiore percentuale di incendi nel nostro paese è riconducibile a comportamenti
scorretti, sia volontari che involontari.
1
Dobbiamo constatare che abbiamo qui un notevole salto culturale rispetto ai rimboschimenti indiscriminati e senza nessuna seria motivazione scientifica e naturalistica, dei primi anni 50 del secolo scorso.
48
L’azione mirata alla prevenzione delle cause viene condotta mediante:
* il controllo del territorio tramite una costante azione di monitoraggio dello stesso e
delle diverse attività umane, sia produttive che ricreative, che in esso vengono espletate
che di azioni tese all’applicazione di tutte le norme, i vincoli e le prescrizioni esistenti.
* l’attività di informazione e sensibilizzazione diversificata in funzione del tipo di utente:
- agli agricoltori, ai cacciatori, ai turisti, ai frequentatori a qualsiasi titolo dell’ambiente
naturale viene rivolta una azione informativa capillare condotta dai reparti forestali dislocati
sul territorio, con finalità preventive, prima che repressive;
- agli utenti in età scolare vengono destinate specifiche iniziative volte al coinvolgimento ed
alla sensibilizzazione, tramite strumenti interattivi (giochi, video) che vengono distribuiti
nell’ambito di progetti educativi condotti nelle scuole;
- agli adulti sono rivolte le campagne di informazione e sensibilizzazione elaborate con il
supporto di strutture specializzate in comunicazione che ne curano lo studio e l’impostazione, e diffuse a mezzo stampa e televisione.
Decalogo
Il periodo di siccità e il gran caldo di questa estate 2012 aumentano il numero di incendi
registrati in tutta Italia.
Il Corpo Forestale dello Stato, attivo nella prevenzione come nell’intervento in particolare
durante questi mesi, ha stilato un decalogo per ricordare alcuni comportamenti utili che
possono essere in pratica dai comuni cittadini per un intervento più tempestivo e per evitare
roghi accidentali:
1. non accendere mai alcun tipo di fuoco nei boschi, o in prossimità degli stessi, o in aree
con vegetazione secca intorno;
2. non bruciare mai residui vegetali (foglie, frasche, rami, cespugli, stoppie, felci, ecc.),
neppure fuori delle aree boscate, senza prima aver telefonato al locale Comando Stazione del Corpo Forestale dello Stato, per verificare la fattibilità dell’operazione;
3. non accendere fuochi per barbecue, tranne che nelle aree appositamente attrezzate e
autorizzate;
4. prima di abbandonare un fuoco in un’area autorizzata verificare sempre che tutte le
braci siano spente completamente, gettandoci sopra abbondante acqua;
5. non gettare mozziconi di sigaretta, né altri oggetti dai finestrini delle auto;
6. non abbandonare rifiuti nei boschi, che possono costituire una esca per gli incendi;
7. non parcheggiare auto con marmitta catalitica su terreni con erba secca;
8. nelle zone a rischio incendi, non usare apparecchi che producono fiamme o scintille;
9. nelle zone più esposte agli incendi, attorno alle abitazioni e ai manufatti, lungo il ciglio
delle strade, mantenere il terreno sgombro dalla vegetazione arbustiva ed infestante,
dai rifiuti e dal materiale facilmente combustibile;
10. ogni volta che si vede qualcuno che sta accendendo un fuoco in un bosco o in
un’area a rischio incendi, intervenire per dissuaderlo e dire di telefonare prima al Corpo Forestale dello Stato per verificare la fattibilità dell’operazione.
Inoltre se si vede del fumo in un bosco o in un’area naturale, o fiamme in una foresta, sul
bordo di una strada, in un campo, in un edificio, ecc., chiamare immediatamente il Corpo
Forestale dello Stato (numero verde 1515) o i vigili del fuoco (numero verde 115); la telefonata è gratuita; è opportuno segnalare anche ogni situazione potenzialmente a rischio.
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Gli incendi boschivi rappresentano una grave piaga per il nostro Paese che torna
puntualmente alla ribalta ogni estate. I roghi sono, infatti, la causa di tanti danni
ambientali con effetto a lungo e medio termine sull’intero ecosistema forestale, tra
cui il deterioramento del suolo, la scomparsa di biodiversità, il degrado ecologico, il
dissesto idrogeologico.
Per concludere pubblichiamo una nota del Sen. Fausto Giovanelli, Presidente del Parco
nazionale dell’Appennino Tosco Emiliano:
L’incendio di Vallisnera va assunto, purtroppo, come una specie di spartiacque della
storia di questa parte dell’Appennino, che fino alla scorsa stagione potevamo considerare
a basso indice di pericolosità incendi. Ora chiaramente non è più così. Il danno è stato
limitato dalla prontezza e dall’efficienza dell’intervento di spegnimento. I piani antincendio,
diligentemente elaborati, hanno funzionato e hanno pagato, ma il rischio questa volta, è
stato grandissimo, anche a causa del vento che ha moltiplicato in modo esponenziale la
pericolosità delle fiamme. In particolare dobbiamo avere la consapevolezza che la zona
di alto valore di Pratizzano, all’interno del Parco Nazionale, ha corso il rischio di una
distruzione che sarebbe stata irreparabile per molti anni. Al di là dell’incendio di giovedì, in
queste ore ancora oggetto di attento monitoraggio e interventi di bonifica, è evidente che il
cambiamento climatico ha modificato drasticamente le mappe di rischio incendi, fino a poco
tempo fa limitata all’ambito “mediterraneo”. Siamo di fronte a uno scenario impensabile
solo pochi anni fa che impone di alzare nettamente la soglia della prevenzione, dell’attenzione e della vigilanza. Il rischio incendi non è purtroppo il solo connesso al cambiamento
climatico, ma è sicuramente quello più evidente e di attualità immediata. C’è davvero da
augurarsi un fine settimana con qualche pioggia, quantomeno per allontanare il pericolo
più immediato. L’incendio di giovedì rimane comunque un avvertimento indelebile che deve
indurci a condividere sempre più largamente i piani e i programmi antincendio di cui siamo
già in possesso e che devono essere rafforzati e diventare patrimonio e senso comune di
tutta la gente dell’Appennino nel Parco Nazionale e ovviamente anche al di fuori di esso.
50
(foto G. Vignali - direttore del Parco Nazionale dell’Appennino Tosco Emiliano)
Copertina dell’EUR Report: “Elementi chimici
nei funghi superiori. I funghi di riferimento come
strumento per la bioindicazione e la biodiversità”
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CALENDARIO DI MASSIMA DELLE ATTIVITÀ
2012/2013 DEL GRUPPO “R. FRANCHI” REGGIO E.
29-30 settembre 2012
XXXVII Mostra Reggiana del Fungo” presso Palazzo Allende (il Palazzo
della Provincia in Corso Garibaldi a Reggio E.)
29-30 settembre 2012
Mostra del Fungo presso la Mostra “Piante e Animali Perduti” a Guastalla
(RE)
6-7 ottobre 2012
Mostra del Fungo in Via Roma Reggio E. presso «L’Autunno in Festa»
organizzata dall’Associazione VIAROMAVIVA
15 ottobre 2012
XI Giornata Nazionale della Micologia
27-28 ottobre 2012
Giornate micologiche – naturalistiche a Fola di Albinea
28 ottobre 2012
Mostra del Fungo a Rolo
10-11 novembre 2012
Mostra del Fungo presso la “Sagra del Tartufo” a Viano (RE)
18 novembre 2012
Uscita didattica per raccolta funghi nel Querciolese (Viano - RE) con polentata finale presso la casa del Presidente Ulderico Bonazzi
Bicchierata augurale di fine anno sociale e festeggiamento del 36° compleandicembre 2012 (data da definire) no (sede da definire)
28 gennaio 27 maggio. 2013
Corso di micologia
aprile (data da definire)
Uscita didattica per raccolta funghi
maggio –giugno 2013
• Uscita didattica per raccolta funghi
• Uscita didattica su erbe e fiori
sett. – ott. – nov. dic. 2013
Programma da definire
Inoltre è prevista almeno una uscita didattica per raccolta funghi per ciascuna delle mostre previste in data e località da definire il lunedì precedente in sede (coloro che forniranno l’indirizzo di posta elettronica potranno aver l’avviso per e-mail). La sede del
Gruppo “R. Franchi”, in Via Amendola 2 (presso ex Istituti Psichiatrici San Lazzaro) a
Reggio Emilia, è aperta a tutti gli interessati ogni lunedì sera dalle 21,00 alle 23,00 per
consulenze e dibattiti sui funghi.
Il presente calendario potrà subire variazioni in relazione all’andamento stagionale e ad
impegni al momento non programmabili. Il Gruppo Micologico e Naturalistico “R. Franchi” è a disposizione, nei limiti di tempo derivanti dagli impegni dei suoi esperti micologi,
per altre iniziative da concordare con Associazioni ed Enti vari.
I nostri siti INTERNET:
http://space.comune.re.it/micologico/index.htm
http://it-it.facebook.com/profile.php?id=100000945364455
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INDICE
U. Bonazzi
Articolo 5 e 6 della legge regionale per la raccolta dei funghi in Emilia-Romagna.........Pag.1
G. Donelli
Russula anatina e Russula ionochlora................................................................................ “ 3
P. Gallingani
Albero dell’uva passa.......................................................................................................... “ 10
A. Montecchi
Tuber regianum - Montecchi & Lazzari 1987 ................................................................... “ 12
U. Bonazzi
Funghi che non troviamo quasi più..................................................................................... “ 15
A. Ballabeni
Leucoagaricus crystallifer Vellinga.................................................................................... “ 19
M. Comuzzi
Una Amanita frequente nei boschi di Abies, Picea e Fagus .............................................. “ 23
I libri pubblicati da noi e dai nostri soci............................................................................. “ 25
Agevolazioni per i soci ...................................................................................................... “ 26
Tesseramento 2013.............................................................................................................. “ 26
E. Canovi & A. Montecchi & G. Valentini
Frutta antica - 11° Contributo ............................................................................................ “ 27
L. Cocchi & C. Siniscalco
I funghi dei boschi e dei prati conquistano finalmente il ruolo che loro compete
nella ricerca scientifica nazionale ed internazionale . ........................................................ “ 30
G. Borgatti
Storia segreta di Cesare Pavese . ........................................................................................ “ 39
P. Ferrari
Cinipede galligeno, la vespa del castagno ......................................................................... “ 41
L. Cocchi & M. Gigante
Incendio nel nostro Appennino .......................................................................................... “ 46
CALENDARIO DI MASSIMA DELLE ATTIVITA’ 2012/2013 DEL
GRUPPO “R. FRANCHI” REGGIO E. ............................................................................ “ 52
Dal bosco alla tavola
Raccolta e consumo di Funghi in Sicurezza
Sedi dell’Ispettorato Micologico in provincia
Reggio Emilia - Via Amendola, 2 - Tel 0522 335718
Castelnovo né Monti - Via Roma, 26 - Tel 0522 617341/2
Scandiano - Via Martiri della Libertà, 8 - Tel 0522 850389
IN CASO DI INTOSSICAZIONE DA FUNGHI
RIVOLGERSI AL PIÙ VICINO PRONTO SOCCORSO
O TELEFONARE AL 118 E CONSEGNARE ALLA
STRUTTURA OSPEDALIERA I RESTI DELLA PULIZIA
DEI FUNGHI E GLI AVANZI DEL PASTO
Immagine tratta da pubblicazioni dell’AUSL di Reggio Emilia
Il riconoscimento funghi (senza certificazione)
avviene anche presso la sede del Gruppo Micologico e
Naturalistico «R.Franchi» (A.M.B.), Via Amendola 2 (RE)
tutti i lunedì sera dalle 21,00 alle 23,00 e durante le iniziative
(Mostre, serate, ecc.) organizzate dal Gruppo.
Si raccomanda di portare, per il riconoscimento, tutti i
funghi raccolti e non solo un “campione”
UN SENTITO RINGRAZIAMENTO
a tutti i soci ed amici che con grande impegno
collaborano nella realizzazione delle nostre mostre,
delle uscite didattiche, delle attività scientifiche
e dei corsi di micologia.
Uscita didattica a Pulpiano (Giugno 2011)
XXXVI Mostra Reggiana del Fungo
Scarica

XXXVII MOSTRA REGGIANA DEL FUNGO Reggio Emilia, 29