L’ ILLUMINISMO
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L’illuminismo mette in discussione ogni autorità sia dal punto di vista religioso, sia da quello culturale, sia da
quello politico. Si rivendica quindi l’indipendenza, l’autonomia dell’uomo in base alla ragione umana. Non è
dunque accettata ogni forma di monarchia di diritto divino o simili: per questo c’è uno stretto rapporto tra
illuminismo e borghesia.
Il Rinascimento aveva preparato la strada all’Illuminismo, tuttavia quest’ultimo è più radicale: gli spiriti
Rinascimentali avevano una visione della cultura più elitaria, essa non era messa a disposizione di
chiunque, come invece si cerca di fare nel periodo illuminista con l’enciclopedia. Quest’opera era un
tentativo di diffusione generale della cultura.
L’illuminismo è legato alla nascita della filosofia moderna (Cartesio), con una piena fiducia nella ragione
umana. Questa ragione, comunque, è una razionalità più simile a quella di Locke: la ragione è considerata
un grande strumento ma finito, consapevole dei propri limiti. Locke era ottimista: i limiti della ragione,
secondo lui, sono molto lontani, mentre l’Illuminismo è più critico e mette alla fine in evidenza i limiti
abbastanza grandi della conoscenza e della razionalità. Si va quindi verso una visione economicistica della
ragione, che sfocierà poi, in seguito, nel positivismo.
L’illuminismo è di per sé anti-metafisico, diffida delle costruzioni metafisiche, ed è più rivolto alla descrizione
dell’uomo in termini Lockiani.
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Spinoza:
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INTELLETTO
RAGIONE
SENSIBILITA’
Kant, Hegel:
RAGIONE
INTELLETTO
Usando la terminologia di Kant possiamo dire che l’illuminismo non esalta tanto la ragione, quanto l’intelletto.
Quindi la fiducia che gli illuministi hanno è rivolta all’intelligenza umana, ma quella “terrena”, mentre la
pretesa che ha l’uomo di andare oltre i propri limiti per arrivare all’assoluto, è per l’Illuminismo illegittima.
E’ giusto allora dire che l’Illuminismo esalta l’Intelletto, inteso in senso kantiano.
Il Romanticismo è una reazione all’Illuminismo, ma non si dovrebbe definire anti-razionalistico, bensì antiIntellettualistico.
La cultura scientifica, le scoperte di Galilei e di Newton, fungono da base, da supporto nei confronti
dell’Illuminismo, che appunto scaturisce da esse.
L’illuminismo è antistoricistico: agli illuministi non interessa come era l’uomo in passato, poiché pensano che
il passato sia un periodo barbaro, da dimenticare, da superare. L'’lluminismo è pessimista nel guardare il
passato, ma è ottimista nel guardare il futuro.
Il Romanticismo, in seguito, recupererà la storia, che verrà vista allora come importante; esso riscoprirà le
radici storiche dell’Europa.
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Intelletto: ragione legata all’empirico, capacità di mettere insieme le conoscenze,
senza però la pretesa di costruire un sapere metafisico.
Ragione: presunzione dell’umanità di voler scoprire il tutto, di arrivare alla
concezione dell’assoluto.
L’illuminismo ha una visione Intellettualistica, poiché l’uomo ha la possibilità di connettere tra loro i vari
elementi della realtà, ma non è in grado di conoscere la struttura del tutto. La visione illuministica, quindi, è
legata alla PARTE, non al tutto. Ecco allora spiegato perché l’Illuminismo vede come inutile la storia passata:
quella degli illuministi è una visione disorganica: che ci importa di sapere cosa pensavano i medievali, dato
che noi oggi abbiamo conoscenze più evolute? Per questo il Medioevo e le altre epoche passate vanno
dimenticate.
Il Romanticismo, invece, crede che l’uomo tende verso l’infinito, e quindi non si possono analizzare le cose
viste come parte: occorre avere una visione globale. Anche nel Romanticismo esistono degli antirazionalisti,
ma comunque sono TUTTI antiintellettualistici: tutti sono d’accordo nel rifiutare la posizione dell’Illuminismo,
cioè studiare la parte a prescindere, lasciando da parte il tutto, la visione globale. I Romantici dicono che non
considerare il Medioevo è come voler avere un albero tagliando però le sue radici.
L’illuminismo è cosmopolitico, vorrebbe un’Europa integrata, con un’unica lingua, un’unica cultura sociale e
politica; i romantici vogliono anch’essi l’unità dell’Europa, ma pensano che questa debba essere attuata in
modo che sia simile ad un organismo vivente: un organismo ha braccia, occhi, gambe, ecc. e ognuna di
queste cose ha una sua precisa funzione; non si può concepire un organismo fatto tutto di occhi, o tutto di
gambe. Allo stesso modo ogni nazione, per i romantici, deve mantenere la propria specificità, e deve essere
consapevole delle proprie radici storiche.
Quest’ultimo discorso, se visto da un certo punto di vista, è risultato nel corso della storia molto pericoloso,
poiché porta inevitabilmente ad una visione gerarchica propria anche del nazismo.
Fichte dirà che la Germania è la nazione che ha mantenuto le proprie radici storiche e sociali, la propria
lingua, ecc. Essa quindi dovrebbe risultare un esempio per gli altri Stati. Questo discorso sarà ripreso e
modificato dal nazismo e da Hitler, il quale affermerà che la Germania è uno Stato superiore agli altri e che
quindi doveva dominare gli altri popoli.
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Da un punto di vista di ideologia politica, gli illuministi rappresentano la classe borghese. Vi sono
principalmente due correnti di pensiero politico:
- assolutismo illuminato (Voltaire) : l’umanità non è ancora abbastanza matura per
gestirsi da sola.
- democrazia (Rousseau) : la sovranità deve appartenere al popolo.
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Alcuni nomi da ricordare nell’ambito dell’illuminismo francese sono: Bayle per il suo opuscolo “Pensieri sulla
cometa”, nel quale smitizza le credenze che associavano le comete e i moti dei corpi celesti a ciò che
accadeva sulla Terra.
Montesquieu ha individuato la nota divisione dei poteri (esecutivo, legislativo, giudiziario), Voltaire prende
posizione contro Leibniz (nel Candide), e afferma che non è vero che noi viviamo nel migliore dei mondi
possibili. E’ pessimista in questo, ma è anche ottimista in quanto pensa che la volontà porta l’uomo oltre ogni
ostacolo. Vi sono poi i sensisti, una radicalizzazione degli empiristi; gli empiristi non dicono che tutto è
sensazione, dicono che tutto deriva dalla sensazione. Non tutti i sensisti sono materialisti; Condillac fa
l’esempio della statua: all’inizio una statua, essendo fatta di pietra, non ha percezioni, poi via via che le si
attribuiscono dei sensi (odorato, vista), per essa il mondo è percepito solo secondo quel senso che ha.
La Mettrie propone una concezione dell’uomo visto come macchina: ogni attività umana è il risultato di
movimenti meccanici. Egli arriva a questa concezione dopo aver avuto una malattia che lo aveva menomato
psichicamente, quindi secondo lui, se una malattia poteva ridurre le facoltà mentali di un individuo, allora la
psiche deve essere considerata come una macchina, che si può guastare.
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ROUSSEAU
Rousseau è l’esponente di un illuminismo critico: egli ha una visione vicina a quella di Hume, soprattutto per
quanto riguarda il ribaltamento rispetto all’ottica Cartesiana: mentre in Cartesio la mente umana è concepita
come un nucleo razionale circondato da un contorno di sentimento, con Hume e Rousseau si ha una visione
diversa: il centro dell’uomo è costituito dal sentimento, mentre la ragione è uno dei tanti strumenti a
disposizione dell’uomo per meglio organizzare la propria vita.
Questa posizione ci fa capire che Rousseau non è proprio in linea con l’illuminismo: egli forse vede
addirittura al di là degli illuministi del suo tempo. Rousseau partecipò ad un concorso, che consisteva nel
rispondere a una domanda: le scienze e le arti possono aiutare l’uomo a migliorare la società? Tutti, in linea
di massima, risposero di sì, mentre lui vinse il concorso rispondendo di no: per lui l’uomo ha fatto un cattivo
uso della scienza, che ha peggiorato la società.
Rousseau pensa che l’uomo, alle origini della sua esistenza, si trovava in una condizione paradisiaca,
perfetta, ma poi si è rovinato con le sue mani. Secondo lui, tuttavia, questa decadenza non è inevitabile:
l’uomo può rendersi conto dei suoi sbagli e tornare indietro, rimediando ai propri errori.
Dice Rousseau: “Tutto è buono quando esce dalle mani del creatore, ma si rovina poi quando arriva nelle
mani dell’uomo. L’uomo, tuttavia, può tornare indietro e rimediare alle proprie colpe”.
Per quanto riguarda la proprietà privata, Rousseau pensa che essa sia un furto, un’ingiustizia. Egli rifiuta
quindi totalmente e radicalmente la proprietà privata, vista come estremamente negativa per l’uomo e per il
suo sviluppo nei secoli. Nonostante Rousseau sia un democratico, da lui e dal suo rifiuto della proprietà
privata prendono corpo sia posizioni anarchiche,sia posizioni di tipo Marxistico o vicine al comunismo.
Rousseau crede che ci sia stata un’età dell’oro, che coincideva con lo Stato di natura; essa però non è stata
tanto un’epoca a cui fare ritorno, quanto piuttosto un modello da seguire.
Ne “La Nouvelle Heloise” Rousseau difende la spontaneità dei sentimenti in opposizione ad una società che
invece non la favorisce, poiché impone delle regole che vanno contro il sentimento vero e proprio dell’uomo.
Nel “Contratto sociale” Rousseau esprime le sue ideologie politiche, e viene considerato come il manifesto
della democrazia.
L’uomo, secondo Rousseau, diventa veramente “animale politico” in seguito ad un contratto, a un accordo
artificiale, non naturale; questa visione si chiama perciò contrattualistica.
Più che un superamento,
comunque, questo contratto sociale è un perfezionamento della società naturale. Seguendo il contratto, gli
uomini vengono privati di una parte delle loro libertà, si impegnano a seguire regole, come il rispetto della
proprietà altrui. Per Rousseau l’uomo è politicamente maturo quando si rende conto che le rinunce che fa
sono rinunce intelligenti, in funzione del benessere generale. Mentre per Hobbes l’uomo è costretto ad una
rinuncia totale e radicale della libertà, per Rousseau la rinuncia è positiva in quanto favorisce il bene
comune.
Il sovrano ideale di Rousseau è un delegato messo lì dal popolo e controllato costantemente da
quest’ultimo; il problema nasce in quanto spesso, soprattutto nell’età contemporanea, il popolo non riesce a
cogliere, a rendersi conto di qual è la volontà generale. Ecco quindi che nasce, possiamo dire, la parte nondemocratica del discorso di Rousseau.
L’ Emilio è un’opera di pedagogia, la scienza dell’educazione. Nell’Emilio Rousseau non dice che bisogna
lasciare libero il bambino di fare ciò che vuole, ma bisogna guidarlo senza però far vedere e notare la propria
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presenza. E’ importante per Rousseau fare in modo che il bambino sviluppi le proprie doti naturali: è inutile
insegnare molto presto a leggere e scrivere.
Per Rousseau l’unica lettura positiva fino a 16 anni è Robinson Crusoe, poiché è un libro di avventura che
richiama nella sua trama l’apprendimento del bambino stesso.
E’ diseducativo proibire le cose, poiché il bambino è sempre tentato di fare ciò che gli è stato proibito;
Rousseau propone addirittura di creare un ambiente artificiale, pagando delle persone per creare certe
situazioni, in modo che il bambino si renda conto da solo di ciò che è pericoloso, senza però in realtà correre
dei veri pericoli.
Per Rousseau l’intelletto non rappresenta il coronamento dell’istruzione: il coronamento è invece il
sentimento: l’individuo diventa maturo quando riesce a riconoscere i propri sentimenti, i quali sono capaci di
portare l’uomo al di sopra della condizione animale; il sentimento più alto è quello religioso.
Ognuno ha il sentimento religioso dentro di sé, e il catechismo non deve imporre dei dogmi, ma deve, in
modo naturale, far scoprire e riconoscere all’individuo la concezione di Dio, che è presente in tutti gli uomini
fin dalla nascita.
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L'illuminismo è un movimento culturale che si sviluppa nel XVIII secolo. Esso consiste anzitutto in uno
specifico modo di rapportarsi alla ragione; l'Illuminismo è l'impegno di avvalersi della ragione in modo
libero e pubblico ai fini di un miglioramento effettivo. Gli illuministi ritengono infatti che l'uomo, pur
avendo quel bene che è l'intelletto, non ne abbia, nel passato, fatto il debito impiego; di conseguenza tale
movimento segna l'uscita dell'uomo dalla stato di minorità che egli deve imputare solamente a sé stesso.
Sapere aude significa per gli illuministi assumere un atteggiamento di battaglia contro il pregiudizio, il
mito, la superstizione e contro tutte quelle forze che hanno ostacolato il libero uso dell'intelletto e della
crescita mentale dei vari individui: le autorità, il potere politico, le religioni ecc. Quindi questo concetto
dell'Illuminismo come lume rischiaratore delle tenebre implica una mutata interpretazione
dell'intellettuale e del suo compito. Il filosofo non è più il sapiente avulso dalla vita, ma un uomo in
mezzo ad altri uomini e che si rende utile. Egli ha il compito di stimolare le altre persone nell'opera di
divulgazione culturale.
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Illuminismo e borghesia: l'Illuminismo non nasce dal vuoto, ma manifesta un legame con la civiltà
borghese, ovvero con quella classe sociale che dal 500 in poi è apparsa economicamente in espansione e
politicamente in ascesa. Visto da un certo punto di vista si può dire che l'Illuminismo si configuri come
l'espressione del processo di avanzamento della stessa borghesia. Infatti, se la civiltà comunale aveva
celebrato l'intellettuale laico in contrapposizione a quello ecclesiastico, se l'Umanesimo aveva onorato il
filosofo amante dei classici, se il Rinascimento aveva magnificato il cortigiano colto e raffinato,
l'Illuminismo si rispecchia nelle figure del filosofo e del mercante, esplicitando quindi i suoi modelli di tipo
borghese.
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Illuminismo e Rinascimento: l'Illuminismo si configura come continuazione ideale del Rinascimento. La
celebrazione dell'individuo, la difesa della sua dignità, l'avversione per il Medioevo ritornano nel pensiero
settecentesco. Ma sebbene tale periodo si possa definire un secondo Rinascimento, notiamo comunque
delle differenze tra i due: in particolar modo l'Illuminismo ha dei tratti di originalità rispetto al 500. Si
crede in una rinascita antropologica, ma la si intende unicamente come riscatto operato dall'uomo per
l'uomo. Egli diviene il fabbro totale della propria sorte e in tale contesto la ragione trova in sé stessa i
principi del conoscere e dell'agire, atteggiandosi a basilare criterio direttivo della vita.
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Illuminismo, razionalismo ed empirismo: l'illuminismo è anche l'erede delle due grandi scuole
filosofiche dell'età moderna: il razionalismo e l'empirismo. Il razionalismo, iniziato da Cartesio, stabilisce
che si debba accettare per vero solo ciò che appare alla mente in modo evidente. L'Illuminismo ha
sicuramente dei legami con tale teoria, ma si contraddistingue per una rigorosa limitazione della ragione
nel campo dell'esperienza. Di conseguenza la ragione non può fare a meno dell'esperienza, perché è una
forza che si nutre di essa. Da questa teoria, che è alla base dell'empirismo, si potrebbe pensare che
l'Illuminismo ne sia una continuazione; ma anche da esso egli ha delle diversità: il concetto illuministico
di ragione si differenzia da quello empiristico per una maggior fiducia nei poteri intellettivi dell'uomo.
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Illuminismo e religione: l'Illuminismo appare fortemente critico nei confronti della religione e in
particolar modo nei confronti delle grandi fedi storiche dell'umanità: ebraismo, cristianesimo ed islamismo
e giudica Mosè, Cristo e Maometto come les trois imposteurs. Tale ostilità nei confronti della religione
nasce da diverse cause: 1) da una mentalità razionalistica, che non riconoscendo altro criterio di verità
all'infuori della ragione e dell'esperienza, misconosce il concetto di rivelazione, ritenendo che i dogmi
siano credenze anti-razionali;
2) da una teoria secondo la quale sono state le varie religioni del mondo a tenere i popoli nell'ignoranza e
nella servitù;
3) dalla convinzione che la ragione vuole la felicità e che la religione, imbrogliando i popoli, li abbia
intristiti con il senso del peccato, della morte, e del castigo.
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Nell'ambito della critica illuministica alla religione si contraddistinguono due filoni: uno più moderato,
deista, e uno più estremista, ateo.
Il deismo, distinguendo fra natura e storia, ragione e superstizione, crede in una religione naturale ed
immutabile, fondata su verità comuni a tutti gli uomini. Per gli illuministi questa forma di religione risulta
la sola capace di garantire l'autonomia dell'umano e la realtà di una Mente superiore. All'interno di tale
concezione il dogma è un complesso di credenze superflue; il culto è un insieme di pratiche di origine
magica; la classe sacerdotale è un usurpazione ai danni della comunità dei fedeli. L'ateismo trova i suoi
rappresentanti più importanti in Meslier e D'Holbach. La corrente atea, a differenza di quella deista che
scinde dalla religione un momento fisiologico ed uno patologico, ritiene che la religione sia di per sé un
fenomeno patologico ed irrazionale, che non sgorga dall'intelletto, ma da fattori quali l'interesse e la
paura. Meslier appare decisamente favorevole ad un'interpretazione del fatto religioso in chiave politica,
ritenendo che la sottomissione al Monarca divino non sia altro che una manovra per sottomettere i popoli
ai monarchi umani. D'Holbach appare invece propenso a ricercarne l'origine soprattutto nel timore e nel
disagio dell'uomo di fronte all'universo. Ma se la ragione affonda le sue radici nella paura e
nell'irrazionale, la ricerca deista di una religione razionale appare una contraddizione, perché dove vince
la paura non può vincere il raziocinio e viceversa. Quindi se Dio è una falsa immagine all'interno della
nostra mente, l'unica verità è da ricercarsi nel mondo reale, ossia nella natura.
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Illuminismo e mondo storico: il rapporto tra storia e Illuminismo rappresenta uno degli argomenti più
discussi dagli studiosi. Tale argomento è formato da più questioni: la storia vista in generale, la storia nel
passato e quella nel presente e nel futuro. Nella storia prima dell'Illuminismo ci si identificava in un modo
tipicamente ebraico-cristiano. Solo con il pensiero del 700 abbiamo il distacco dal modello teologicoprovvidenzialistico, sebbene Machiavelli e Guicciardini avessero delineato un modo laico di vedere la
storia. Infatti fino al secolo XVIII gran parte della cultura ufficiale aveva continuato a presupporre la
nozione di un Dio autore del mondo delle nazioni. Con l'Illuminismo francese e con Voltaire in particolare,
comincia a farsi strada la persuasione che l'uomo sia l'unico soggetto della storia con tutti i suoi sforzi,
errori, e successi. Il Dio degli illuministi cessa di essere l'autore dell'universo storico, ma si configura
come puro garante del cosmo fisico. Per quanto riguarda la storia nel passato e nel presente, ci troviamo
di fronte ad un bifrontismo illuministico, in quanto il passato è visto in un ottica negativa, mentre il
presente in una ottimistica. La storia, nel passato, secondo gli illuministi è stata vissuta per lo più in
condizioni negative, configurandosi come una miriade di irrazionalità, ignoranza, superstizione ecc. Perciò
alla mentalità cristiana che vede nella storia la mano segreta di Dio, l'Illuminismo contrappone una
visuale apertamente critica e polemica, basata sulla constatazione che la ragione non conosce sé stessa
nella storia. Da questa forma di pessimismo storico, si ha la contrapposizione fra homme naturel e
homme artificiel che porta alcuni scrittori ad idoleggiare la felicità preistorica da cui l'uomo sarebbe
decaduto, sia la forma del mito del buon selvaggio. Questa visione primitivistica è comunque importante
perché esprime quel disagio verso la storia del passato che è tipica del 700.
Ma la forma più specifica in cui si identifica il pessimismo storico degli illuministi è invece l'antitradizionalismo: alla mentalità comune, secondo la quale una credenza che sia stata accettata per vera
nel passato lo sia anche nel presente, si oppone la critica per cui la patente di antichità non è mai
contrassegno di verità. Anzi, gli illuministi ritengono che l'appello alla tradizione sia stato uno dei tanti
modi disonesti ed ingannatori per giustificare e tenere in piedi credenze irrazionali. Ma un tale attacco
serrato sulla storia passata, non toglie che vi siano stati comunque dei momenti felici, che a detta di
Voltaire sono l'età di Pericle, di Cesare e Augusto, del Rinascimento e di Luigi XIV. In rapporto alla storia
presente e futura, l'Illuminismo tende ad assumere un tono fiducioso ed attivistico. Ecco perché se si è
parlato di pessimismo adesso si parla di ottimismo. Infatti, nello stesso momento in cui distrugge,
l'Illuminismo è pronto a costruire. Riguardo il presente e il futuro gli illuministi sono fiduciosi e speranzosi
di poter trovare l'uomo al di là della storia, ossia la persuasione di poter edificare, sulle rovine del passato
e tramite la ragione, un mondo nuovo e a misura d'uomo.
Quest'atto di fiducia nei confronti della storia e delle sue possibilità di riscatto, costituisce il presupposto
di fondo dell'attivismo illuministico che si concretizza in una visuale della storia come processo di
incivilimento. Questa dottrina della storia come storia della civiltà si basa sulla connessione ragioneciviltà, in quanto l'avanzamento storico è condizionato dalle conquiste della ragione, e si radica sul
concetto della storia come sforzo di progresso da parte dell'uomo. Tale maniera di interpretare il mondo
storico trova delle tendenze anche nella storiografia.
La storiografia tradizionale incentrata sulla dimensione politica, diplomatica e militare viene ampliata da
quella illuministica che si propone di considerare anche la vita economica, il progresso scientifico ecc.
L'Illuminismo è stato nel corso dei secoli accusato di antistoricismo, così tanto che è quasi diventato un
luogo comune. Ma ciò non è esattamente vero.
Le domande che nascono spontanee riguardo questo argomento sono due: perché è nato tale concetto? E
da quali accuse? La qualifica di antistoricismo illuministico nasce in un ambiente romantico e rappresenta
un accusa coniata dal Romanticismo per muovere guerra alla filosofia dell'Illuminismo. Infatti il
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Romanticismo professa nei confronti della storia una concezione diametralmente opposta a quella degli
illuministi perché basata sull'idea di un ordine provvidenziale e necessario che regge gli eventi.
Le accuse sono le seguenti:
1) l'Illuminismo avrebbe ignorato il mondo della storia. Questa ipotesi denuncia una mancanza
d'informazione riguardo questo periodo, perché oltre ad essersi interessato alla storia, ha pure elaborato
quel concetto che la vede come cammino della civiltà.
2) l'Illuminismo avrebbe negato in blocco il passato. Ma sappiamo che ciò non è avvenuto dal momento
che tale pensiero non ha eliminato tutto il passato ed anzi ha identificato all'interno di quello dei momenti
felici.
3) gli illuministi avrebbero riconosciuto alcune strutture antropologiche permanenti e sarebbero rimasti
legati alla concezione naturalistica della ragione come insieme di criteri validi. Ma se bastasse questo a
far emettere il verdetto, allora quasi tutto il mondo occidentale dovrebbe essere antistoricista. Inoltre
anche al giorno d'oggi si ammette l'esistenza di alcune strutture costanti.
4) l'Illuminismo avrebbe ignorato il concetto di svolgimento, ossia la continuità tra passato, presente e
futuro. Ma l'Illuminismo non ha affatto misconosciuto questo dato, ma ha semplicemente reputato che,
sebbene il passato prema sul presente, l'uomo può ribellarsi ad esso, progettando un futuro diverso.
5) l'Illuminismo anziché rapportarsi al passato come passato, avrebbe giudicato il passato alla luce del
presente, valutandolo sulla base dei criteri della mentalità settecentesca. Qui, l'errore(se errore vi è)
dell'Illuminismo non è tanto l'aver giudicato il passato, bensì di non aver saputo distinguere a sufficienza
fra l'esigenza di comprendere il passato il più oggettivamente possibile ed il bisogno di valutarlo
criticamente.
Ma da ogni accusa può sempre partire una contro accusa: infatti la contro accusa decisiva e capitale
risiede nella messa in luce di quanto sia antistoricistico giudicare l'Illuminismo sulla base della propria
concezione della storicità.
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Illuminismo e politica: una delle altre caratteristiche salienti dell'Illuminismo è l'attenzione per i
problemi politici. L'uomo, nel corso del tempo, ha subito un processo di alienazione e di smarrimento, per
cui gli illuministi hanno ingaggiato una sorta di battaglia per restituirlo a sé stesso, tramite una modifica
della vita nella globalità dei suoi aspetti economici, giuridici, culturali ecc. Gli illuministi, alla teoria
millenaria della politica come arte di offesa e difesa, contrappongono l'idea di una politica al servizio
dell'uomo. Come nel campo religioso vi era la contrapposizione fra religioni naturali e religioni positive,
così nel campo politico vi è la distinzione tra diritto naturale e diritto positivo.
Il concetto di diritto per gli illuministi cessa di essere un'astratta proclamazione di principio per divenire
un'idea-forza capace di smuovere le energie sociali degli individui. Fra i diritti più difesi dagli illuministi vi
è innanzitutto la felicità. Essa viene intesa come quella forza che consente agli uomini di soddisfare i
propri bisogni materiali e spirituali.
Gli illuministi reputano che la guerra e le contese tra gli Stati siano mali dai quali l'umanità deve liberarsi.
Di conseguenza, essi auspicano il superamento delle barriere nazionali e vedono nella fraternità degli
individui la condizione di un'umanità vivente sotto la guida della ragione e della scienza. E siccome fa
parte della nozione di felicità anche il benessere e la lotta contro la miseria, gli illuministi da un lato
incoraggiano le industrie e i commerci e dall'altra si fanno cultori delle scienze economiche e sociali.
Quest'ideale della pubblica felicità costituisce l'idea madre della politica illuministica.
Fra gli altri diritti difesi dagli illuministi ve ne sono tre: l'eguaglianza, la libertà, la tolleranza. La
proclamazione dell'eguaglianza degli uomini rappresenta una delle idee più importanti dell'Illuminismo
che giudica gli individui uguali per natura in quanto accomunati dalla ragione. L'aspetto specifico
dell'eguaglianza è quello dell'eguaglianza dei diritti da parte delle persone. Tale concetto si è espresso
nella rivendicazione politico-giuridica della parità di tutti i cittadini di fronte alla legge e nella lotta della
borghesia contro i privilegi della nobiltà. Inizialmente però tale ideale non si accompagnò né all'idea di
eguaglianza democratica né all'idea dell'eguaglianza sociale.
Un altro basilare diritto difeso dagli illuministi è quello di libertà, intesa come libertà dall'invadenza del
potere politico e da ogni forma di assolutismo pratico e teorico. Questa battaglia, capeggiata da Voltaire,
si è indirizzata soprattutto contro il dispotismo della Corona e della Chiesa cattolica e si è concretizzata
nella salvaguardia della libertà di pensiero, di parola e di stampa. A questa forma di liberalismo però è
rimasta estranea l'idea del concetto di libertà come partecipazione, che sarà poi teorizzata da Rousseau.
Parte integrante della libertà civile è il rigetto del fanatismo e il riconoscimento della tolleranza. Se il
fanatismo è la vittoria del dogmatismo, la tolleranza è l'accettazione del diverso.
Questa esigenza del rispetto reciproco ha rappresentato uno dei fondamenti della delineazione dello Stato
laico, ossia di uno Stato che si propone di salvaguardare l'autonomia delle istituzioni dall'invadenza
ecclesiastica, e si pone anche come garante dell'eguaglianza di tutte le religioni del mondo. L'Illuminismo
sostiene anche il concetto di Stato di diritto, secondo la tesi che non devono governare gli uomini, bensì
le leggi, cioè strumenti capaci di garantire i diritti degli individui e di impedire forme di dominio
personale. All'interno di queste idee generali, sono sorte alcuni correnti di pensiero, principalmente in
Francia. Gli illuministi francesi possono venir distinti e classificati sia in relazione alla radicalità delle
riforme da loro proposte, sia in relazione al metodo per metterle in atto.
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Una terza tendenza è quella che propone riforme borghesi più avanzate e delinea programmi di
mutamento della società. In relazione ai metodi politici, i philosophes parigini apprezzano la prospettiva
del dispotismo illuminato, ossia che partendo da un ordine naturale oggettivo, il legislatore deve
solamente riconoscere le sue leggi ed applicarle.
Su questa base, Le Mercier distingue due tipi di dispotismo: uno legale, l'altro arbitrario. Mentre il
secondo poggia sull'opinione e sulla passione e risulta cattivo, il primo si fonda sulla ragione e
sull'evidenza delle leggi e risulta buono. Ma per la realizzazione di tale compito è necessario un sovrano
unico, che sappia individuare le leggi a vantaggio dei sudditi. Tuttavia, le critiche mosse da
Mably(secondo cui il concetto di un dispotismo legale è una contraddizione perché se un governo è
dispotico, finirà comunque nell'arbitrio), segnano la decadenza di tale teoria e l'affacciarsi, con D'Holbach,
di critiche sui governi autoritari e lo sviluppo di istanze liberali e borghesi. Tale moderatismo si tramuta
però in radicalismo con Rousseau, che teorizzerà l'idea della sovranità popolare.
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