Kantiana
Serie Testi
Immanuel Kant
Critica della ragione pura
TOMO
1
(1820)
traduzione di
Vincenzo Mantovani
a cura di
Giuseppe Landolfi Petrone
Traduzioni italiane di Kant dell’Ottocento
5/1
www.kantiana.it
Questo E-book rientra nel progetto di ricerca
“Kantiana. Testi, ricerche e materiali sull’irradiazione di Kant”
TITOLO
LIVELLO BIBLIOGRAFICO
TIPO DOCUMENTO
E-BOOK
AFFIDABILITÀ
Critica della ragione pura di Manuele Kant traduzione dal tedesco. Tom 1. (-8.) - Pavia : presso i
Collettori : coi tipi di Pietro Bizzoni successore di
Bolzani, 1820-1822 ([Pavia] : Germani Giuseppe
Rolla Luigi Sacchi Defendente collettori) - 8 v. ;
12° - Collezione dei classici metafisici (( Nomi dei
collettori sul v dell'occhietto dei v. 2-8 , Nei v. 4.8.: Tradotta dal tedesco dal cav. V. Mantovani ))
Monografia
Testo a stampa
Giuseppe Landolfi Petrone
2 [1= iniziale; 2 = media; 3 = buona]
Università della Valle d’Aosta
Université de la Vallée d’Aoste
CRITICA
DELLA RAGIONE PURA
DI
MANUELE KANT
TRADUZIONE DAL TEDESCO
Tom. I.
PAVIA
PRESSO I COLLETTORI
COI TIPI DI PIETRO BIZZONI
SUCCESSORE DI BOLZANI
1820
De nobis ipsis silemus: de re autem, quae agitur,
perimus, ut homines eam non opinionem sed opus
esse cogitent; ac pro certo habeant non Sectae nos
alicuius aut Placiti, sed utilitatis et amplitudinis
humanae fundamenta moliri. Deinde ut suis commodis aequi in comune consulant, et ipsi in partem
veniant. Praeterea ut bene sperent; neque instaurationem nostram ut quiddam infinitum et ultra mortale fingant, et animo concipiant; quum revera sit
infiniti erroris finis et terminus legitimus.
Bac. De Verul. Inst. magn. Praefat.
INDICE
INDICE ................................................................................ 3
PROEMIO ALLA TRADUZIONE ..................................... 4
DELLA VITA E DELLE OPERE DI KANT .................... 10
Prefazione dell’autore alla prima edizione di quest’opera . 38
Prefazione alla seconda edizione (1787)............................ 49
Prospetto dell’opera............................................................ 75
I. Critica della ragione pura............................................ 75
Introduzione ............................................................... 75
Elementi della scienza trascendentale ........................ 75
Prima divisione. Analitica trascendentale .................. 76
Seconda divisione. Dialettica trascendentale. ............ 78
II. Metodologia trascendentale....................................... 80
Critica della ragione pura. .................................................. 82
Introduzione ................................................................... 82
I. Della differenza tra la ragione pura e l’empirica. ... 82
II. Del possedersi per noi certe cognizioni anteriori ad
ogni senso ed esperienza, e del non andar mai digiuno di
queste neppure il volgare intendimento. ......................... 84
III. Del bisogno, che ha la filosofia di una scienza, che
stabilisca la possibilità, i principj ed il complesso di tutte
le nozioni preconcepute. ................................................. 87
IV. Della differenza tra i giudizi analitici ed i sintetici.
......................................................................................... 91
V. Dei giudizi sintetici a priori come inerenti a tutte le
scienze teoretiche della ragione. ..................................... 95
VI. Problema universale della ragione pura. .............. 99
VII. Idea e divisione di una scienza particolare sotto il
nome di Critica della ragion pura.................................. 104
3
PROEMIO ALLA TRADUZIONE
Non è certo per diporto che s’imprende lavoro sì arduo che la
traduzione delle opere metafisiche di Kant, di quelle opere che,
dopo coppia di lustri, erano più ammirate che intese nello stesso paese loro natìo; e che, oltre per la difficoltà dell’idioma in
che sono scritte, e la oscurità onde non osa lo stesso autore
scolparsi, ed oltre quelle della materia per se stessa, ripulsano
quasi colle difficoltà e scurezze dello stesso linguaggio del
criticismo. Del che fanno fede i copiosi commenti, anzi gli
ampi vocabolari1, che in Germania comparvero a rischiaramento sì della terminologia che delle dottrine trascendentali; e non
ostante i quali si corre tuttavia rischio di non comprenderle, o
di avere senza forse tal rimprovero dai propugnatori delle medesime, solchè si abbia l’aria di non ammirarle, peggio poi per
chi si attentasse rilevare inesattezza od ambiguità nella prima o
combattere le seconde.
Ma poichè difficoltà di circostanze, quasi come trascendenti
le difficoltà del volgarizzamento in discorso, vollero pure che
questo almeno affrontassi, mi sarà in parte compenso l’avere in
quanto per me si poteva, contribuito alla collezione dei Classici
Metafisici, come ad impresa divisata in questa mia patria, e per
ciò, se non per altro, ad essa onorevole. Perciocchè mi diedi
ogni cura onde, senza mancare alla fedeltà nel trasvestirne
l’espressioni, ridurre nel modo che più mi parve intelligibile i
concetti dell’autore, arbitrando perciò d’inserire di quando in
quando fra parentesi, nel testo, quei vocaboli o cenni, che mi
sembrarono atti a rischiarare l’espressione antecedente. Di che
avendo preso esempio dall’autore medesimo, cui sono già fa1
Schmitd Woerterbuch etc. 1788. Millin Kunstsprache der critischen
philosophie.
Critica della ragione pura – tomo primo
Proemio alla traduzione
miliari le sinonimie per via di parentesi, queste riesciranno assai più frequenti che non si vorrebbe da chi avisasse trovar
buon gusto ed eleganza in una sposizione metafisica. Trattandosi ciò non di meno di parole, d’opinioni, anzi d’idee nuove,
non posso guarentire che sieno sempre adequati i vocaboli, che
mi parvero avvicinarsi davvantaggio, nel nostro idioma, a quelli che non ho trovato interpreti nei vocabolari di una lingua,
che, oltre pelle teoriche della scienza, fu arricchita da Kant nella già straricca suppellettile delle voci ordinarie. Chi oserebbe
altronde guarentire altrettanto, essendo quistione di dovere, con
parole destinate all’uso delle cose sensibili, esprimere concetti
che ne trascendono la sfera, e dove non si può quindi a meno di
trovarsi, col dire, bene spesso e molto al di sotto di ciò cui si
pensa?
Fra le ordinarie poi sono alcune voci, usate in quest’opera in
significazione più o meno differente, ora dalla comunemente
ricevuta, ora da quella in che pare le ricevesse altre volte lo
stesso Kant. Tali, fra le altre, le parole scienza, dottrina, e
disciplina od arte; oggetto, che per lo più ha valore di cosa
presentata; rappresentazione, onde significare l’atto con che si
presenta quando l’oggetto, quando l’idea, e che talora equivale
all’idea medesima; pensare che, nel senso kantiano, regge
quasi esclusivamente il quarto caso, contro l’abitudine in che
siamo di attribuirgli d’ordinario il terzo; organo, e canone,
termini usati come tecnici corrispondentemente a un di presso a
quanto per noi si direbbe regolamento il primo ed istrumento il
secondo; schema e nomeno per tipo ed essere intellettuale; e
così alcune altre. Alle quali occasioni di ambigua interpretazione vedrò di riparare ora coll’indicato ripiego delle parentesi,
ora col mezzo di annotazioni: e le aggiunte saranno in ciò distinte da quelle dell’autore, che, marcate queste coll’asterisco,
le altre lo saranno coi numeri arabici. Per le note mi sono talora
5
Critica della ragione pura – tomo primo
Proemio alla traduzione
giovato dell’opera di Villers2, tal’altra di quella del Cons.
Degerando sui sistemi3, e più spesso della storia di Buhle4; che
fra i giudici del criticismo, che ho potuto consultare, mi è
sembrato il più imparziale. L’opera di Villers, che mi ha
giovato specialmente pei cenni biografici, è altronde una rifusione, sotto tutt’altra forma (e quasi a rovescio, rispetto alla distribuzione delle materie) delle due critiche della ragione pura
cioè e della pratica. Egli si giustifica di averle così travolte,
comechè non fosse per altrimenti riuscire a che le gustassero i
suoi nazionali; e ben li sapeva egli tutt’altro che disposti a gustarle, massime l’Istituto, cui ha non pertanto indirizzato il suo
lavoro. Ma i filosofi francesi, anzi che starsi contenti a siffatta
sposizione, come quella che sospetta si rende a chi che sia, con
quel suo affettare l’entusiasmo dell’evidenza in così delicate
materie, dovettero esserne assai poco soddisfatti; giacchè giunti
alla metà del libro è mestieri, anche a chi nol voglia, convincersi lo scopo di Villers essere stato piuttosto quello di uno
sdegnoso emigrato, che del kantismo si giova, onde rimproverare a quei filosofi, e massime agli autori dell’enciclopedia, i
guai della rivoluzione. La recensione del Sig. Cons. Degerando
annunzia uno studio abbastanza lungo e calmo, per esserne
spositore fedele, non ostante che mosso da sentimenti quasi
diametralmente opposti a quelli di Villers. Essendosi però egli
attenuto, forse perchè conseguente ad una storia di confronto,
quasi esclusivamente ai giudizi, se non anzi alle opposizioni,
degli stessi concittadini di Kant, ed essendosi attenuto ai meglio reputati fra questi, come Reinhold5, Schulze6, Jacobi7 e
2 Philos. de Kant ou principes fondamentaux de la philos. trascendentale
1801.
3 Histoire comparèe des systemes de philos. etc. Tom. second Paris 1804.
4 Hist. de la phil. moderne, depuis la rennaissance des lettres, jusque a Kant
Tom. sixieme. Paris 1816.
5 Lettere sulla filosofia di Kant 2 vol. Lipsia 1792 e Beytraege sur leichtern
Uibersicht [sic!] des Zustandes der Philosophie beim Anfange des 19.
Iahrhund. Hambourg 1802.
6
Critica della ragione pura – tomo primo
Proemio alla traduzione
Bardili8, me ne gioverò come dissi nelle note, onde far
conoscere, a cui fosse bisogno, lo spirito di questi autori e di
queste opposizioni. La storia di Buhle finalmente, della quale
non ho che la versione francese, oltre al servirmi alle opportune
interpretazioni degli argomenti e dei passi, che mi sembreranno
abbisognarne, mi fornirà nel capitolo intitolato: Conseguenze
della filosofia di Kant in Alemagna di che ampliare, se non
compiere, le nozioni attinte dalla storia di Degerando.
Perciocchè non ho potuto sinora consultare che le accennate
opere, dalle quali ho pure dovuto informarmi, compendiate
come vi sono e travestite in lingua straniera, delle opinioni di
Germania, essendoci più facile aver quinci maestri che libri;
sebbene quelli non valgano farci rinunziare al desiderio dei
buoni fra questi.
Le opere metafisiche, la lettura delle quali è pressochè
necessario che preceda le opere di Kant, sarebbero quelle di
Locke, Hume, Wolfio e Leibnizio. Di Locke, onde rilevare il
contrasto e la diversità delle due dottrine o dei due metodi
scientifici; di Hume, come quello il cui setticismo fornì per avventura occasione alla critica; di Wolfio, rispetto alla forza ed
all’ordine, se non altro, delle argomentazioni; e di Leibnizio finalmente, la cui filosofia è il punto per così dire, da cui parte la
critica. Ora, essendo già rese italiane o riprodotte in questa collezione le opere dei primi due, nè altrettanto indispensabili
sembrando le poche del terzo di argomento assolutamente metafisico, i collettori mi autorizzano assicurare i signori associati
ch’essi avranno quanto prima il nuovo saggio dell’umano intendimento di Leibnizio; poichè opera che lo stesso Kant suppone già famigliare a suoi lettori. Essa non è altronde sì generalmente conosciuta, non ostante che quel profondo alemanno
6
Aenesidemus, ossia osservazioni sulla filos. elem. di Reinhold. Germ.
1792., oltre gli schiarimenti, e l’Esame della critica 1789., 1791.
7 Opere diverse.
8 Nei Beitraege di Reinhold, nel Giornale filosofico ec.
7
Critica della ragione pura – tomo primo
Proemio alla traduzione
la scrivesse in francese, forse per ottenerle altrettanta pubblicità
che alla tuttavia prevalente filosofia Lockiana, come quella
che, oltre l’accordarsi assai più collo spirito del secolo, non
imbarazzava, per non dir anzi ributtava ugualmente i lettori
colle difficoltà del calcolo. Senza di che avrebbe forse ottenuto
migliore successo quel saggio, nello opporre al principio cardinale della detta filosofia, nihil est in intellectu quod non fuerit
in sensu, la già pure aristotelica eccezione: nisi ipse intellectus;
eccezione sulla quale si aggira, se non è anzi costituita, in gran
parte, la dottrina di Kant.
Perciò finalmente che risguarda il volgarizzamento, fu esso
eseguito sulla seconda edizione in data di Francoforte e Lipsia
(1794): edizione che rinvenni scorretta anzi che no; e mi sarei
trovato più volte imbarazzato in errori di stampa, che il senso
affatto scambiavano, se non avessi avuto per cui giovarmi della
versione latina9, essendo altronde inverisimile, o per lo manco
assai difficile, che i due testi si combinassero negli stessi
abbagli appuntino. Il che avverto, essendo essa pure inesattissima e veramente sibillina, come disse il P. Soave, tal traduzione; mentre la sola, oltre l’opera di Villers, onde potesse il più
degli Italiani avere contezza bastevole delle nuove dottrine. E
l’inesattezza dipende specialmente da una si direbbe smania di
piuttosto parafrasare che tradurre il testo: con che può bensì
rendersi meno arida e stucchevole, di quello è talvolta, la dicitura; e si può schivare il sì di spesso e nojosamente vicino ritorno degli stessi vocaboli, ma troppo si arrischia di sconvolgerne il significato. Ne sieno, a cui lo possono, prova le due
primissime righe dell’opera, ove non era nulla da emendare nè
da rendersi pastoso: Dass alle unsere Erkenntniss mit der Erfahrung anfange, daran ist kein Zweifel: letteralmente: che ogni
nostra cognizione cominci dalla sperienza, non v’è dubbio. Ecco il testo latino: Quidquid animo cernimus et ratione
9
Immanuelis Kantii opera ad philosophiam criticam – Vol. I. cui inest
critica rationis purae – Latine vertit Fredericus Gottl. Born. Lipsiae 1796.
8
Critica della ragione pura – tomo primo
Proemio alla traduzione
intelligimus, illud omne dubium non est, quin idem cum usu et
experientia capere primordia videatur. Mancando però nella
seconda edizione alemanna la prefazione dell’autore alla prima
ed il prospetto dell’opera, quella ho tradotta dal testo latino, e
questo compilai per me stesso, non essendomi sembrato a bastanza preciso il latino; come mi parve util cosa imitarne
l’esempio, nell’esibire tal prospetto ai leggitori. Risguardo ai
cenni sulla vita e sulle opere dell’Autore, come quelli che mancavano in ambidue i testi, ho dovuto procurarmeli altrove. Del
resto chi mi troverà scorretto, e senza forse inelegante, sia cortese al desiderio di riescire traduttore fedele.
V. M.
9
DELLA VITA E DELLE OPERE DI KANT
All’elogio degli autori, cui è stile, in questa collezione,
premettere, mano mano che se ne riproducono le opere, rispetto
a Kant, vengono sostituiti questi cenni sulla di lui vita, che,
dedicata intieramente alle meditazioni metafisiche, altra quasi
non offre materia biografica, tranne intorno agli scritti, che
furono il risultamento di quelle meditazioni. Il perchè se le
opere, per le quali fecero copia de’ lumi loro al pubblico i
grandi scrittori, costituiscono la fonte principale degli elogi,
onde fa loro tributo la pubblica riconoscenza, ciò è specialmente rispetto a Kant, non ostante che le di lui fatiche tendessero
meno ad aumentare, che a riformare le scienze speculative,
massime la metafisica. Quindi è che, per inferirne ragionamento che avesse forma d’elogio, nè basterebbe annoverarne come
sono per fare gli scritti, nè vi si potrebbero annunziare scoverte
o ben determinare i passi, che avess’ egli fatto fare alla scienza;
come quello che tolse piuttosto a ristrignere, che non ad estendere le cognizioni dell’uomo, anzi l’attitudine del suo intendimento a farne tesoro. E non è ancora ben definito, nè si può,
che previo esame competente delle opere, definire, se questo
vantaggio negativo ridondi, e quanto, com’egli asserisce, di positiva utilità. Dissi competente, volendo alludere all’essere sì
quest’esame, che il giudizio consecutivo, devoluti a uomini già
in tali materie ben altrimenti versati, che non credo poterlo essere chi ebbe a dedicarsi a tutt’altra professione. Che anzi credo
qualmente, lungi dall’invogliare a prendere cognizione de’ suoi
argomenti, chi si esibisse a provare metafisici di loro natura i
medici, muoverebbe sospetto come ch’ ei non fosse nè l’uno nè
l’altro. Ed ho già indicato, sì non essere fra di noi conosciute
per avventura quanto basta, onde giovarsi de’ giudizi altrui, le
opere di Kant, sì non essere imparziali quei giudizi, de’ quali
Critica della ragione pura – tomo primo
Della vita e delle opere di Kant
sarebbe ovvio non che facile giovarsi. Il perchè tale critica (ed
è la chiave delle altre opere filosofiche di quest’autore, se non
lo è anzi d’ogni scienza filosofica, siccom’ egli avvisa) riescirà
più presto nuova riprodotta in Italia, pei molti almeno che non
possono attingere direttamente alla fonte. Giacchè nella versione latina, come ho notato nella prefazione, il Prof. di Gottinga,
colla migliore intenzione del mondo per tutto l’opposto, non
fece che aggiungere alle difficoltà e scurezze dell’originale;
quand’anche non già imbarazzante per noi la latinità degli alemanni, atteso che, trasportandovi, senza forse avvedersene, la
sintassi teutonica, rendono spesso impossibile il ben comprenderli a cui non sa quanto ed in che differisca tal sintassi dalla
vera latina. Il che bastando a giustificazione del surrogarsi al
solito elogio i cenni che sono per aggiungere sulla vita e le opere del nostro filosofo; e siccome, non ostante il già detto, questi
cenni contengono un succinto analitico delle metafisiche, debbo quindi prevenire avere desunto quel succinto, benchè per
seconda mano, da quanto ne scrisse da pochi anni (1822). Reichart in una specie d’Almanacco scientifico, abbastanza noto
sotto nome di Urania.
Manuele Kant nacque il 22. Aprile 1724. a Conisberga,
capitale della così detta Prussia reale, e pare da genitori di men
che mediocre fortuna; giacchè avvertono i primi suoi studi essere stati diretti alla teologia, per ristrettezza di circostanze.
Nulla più sappiamo di questi studi, sin oltre il trentesimo anno
dell’età sua (1754), quando lo si annunzia maestro accademico,
vale a dire di quellino, che danno a prezzo lezioni private;
giacchè non fu che nel 1770., quando ebbe incarico di
Professore di Logica nella patria Università, nel quale incarico
durò sin che visse. Come quella che non ha mestieri di essere
avvertita, ommetto la sola cosa che ci si dice di sua gioventù,
vale a dire ch’egli era inclinatissimo ad investigare e riflettere.
Ma non ommetto la pretesa di alcuni, ch’ei fosse rachitico; poichè circostanza, che troppo s’accorderebbe, nel caso nostro,
11
Critica della ragione pura – tomo primo
Della vita e delle opere di Kant
coll’osservarsi d’ordinario attivissime non che precoci le disposizioni di spirito nei rachitici. È però circostanza, che sarebbe in contraddizione colla quasi longevità di Kant; il quale
non fu lontano che di mesi dall’età ottuagenaria, avendo egli
cessato di vivere il 22. Febbrajo 1804. Se non rachitico, era egli
però sì meschino della persona, perchè i biografi asserissero
non aver mai esistito al mondo uomo di lui più piccolo e magro: onde l’arguto se non affatto giusto proverbio, che udii più
volte in pochi dì a Conisberga: niuno essere mai stato più asciutto di Kant sì dell’anima che del corpo. Ed è giusto se risguardi al nobile contegno di sue maniere, alla precisione più
che ristrettezza del suo discorso, ed all’aver egli vissuto, se non
rinchiuso affatto in se stesso, certo senza mai allontanarsi che
di raro e ben poco dal paese nativo; giacchè assicurano che il
suo maggior viaggio fosse a Pillau, quindi non più distante di
sette leghe. Del resto la fronte del nostro filosofo è stato modello, per l’ampiezza delle dimensioni, e pelle sì pronunziate protuberanze anteriori, alla craniologia di Gall, quando sotto quelle protuberanze riponeva gli organi della finezza e speculazione
metafisica. Ed ho veduto nell’atrio del maggior tempio di detta
città il busto di Kant in marmo di Carrara, opera di Schadou10
dove, rilevando appunto spaziosa, ed elevata sopra un naso
profilato la fronte, mi si aggiungeva, come non ugualmente ben
espresso dallo scalpello, che gli occhi avesse inoltre chiari,
fulgido lo sguardo e serena la fisionomia. Bensì che dal naso in
giù è alquanto rozzo l’aspetto, e s’accorderebbe, o non contraddirebbe almeno, a quanto ne dicono di sua benchè scarsa
divozione a Bacco, e del blandire che per lui si facesse alla gola, quantunque più cercato che non cercatore di buoni deschi.
10
La Cattedrale di Conisberga è nello stesso tempo la Chiesa
dell’Università; ed essendo state inumate in quell’atrio le spoglie di Kant, vi
fu esposto solennemente il detto busto il 22. Aprile 1811. con divisamento
divisamento ogni anno rinnovarsi con eguale solennità la consacrazione di
quella Stoa kantiana.
12
Critica della ragione pura – tomo primo
Della vita e delle opere di Kant
Ciò però non tolse ch’ei fosse ameno quant’altri mai, quindi
caro e ricercatissimo nelle conversazioni e case più cospicue,
sia per la purezza dei costumi e la elevatezza dello spirito, sia
per l’interesse de’ suoi propositi e per la vivacità con che agli
altrui propositi replicava. Oltrechè, trovandosi di brigata, usava
divertirla con racconti e novellette assai piacevoli, e sapeva sì
ben condire il discorso della suppellettile, che lui
somministrava l’immensità di sua lettura, che fu egli tra’ pochi
certamente dei quali può dirsi, che si odono volentieri a parlar
soli. Se altro poi, oltre tutto questo, poteva renderlo
generalmente accetto e desiderato, ciò fu per avventura
l’interesse che soleva prendere, assai maggiore che non si
crederebbe, alle novità del giorno, come quello che vaghissimo
era dei pubblici fogli scientifici non meno, che delle gazzette
ordinarie. Che anzi prendeva diletto a fantasticare non solo, ma
predire con fondamento di ragione i più importanti fra i
pubblici avvenimenti; e molto compiacevasi nel dimostrare
altrui di avere indovinato; locchè dovette mancare assai di raro
alla squisitezza di sua penetrazione. La mercè delle quali
prerogative, anche prima che lo si chiamasse, come ora
generalmente, il filosofo di Conisberga, vi era Kant
l’ornamento e l’anima delle migliori società: ed è grande
argomento contro coloro, che avvisano misantropica essere la
filosofia, e non guari compatibili colle delizie della vita i suoi
studi, se non anzi per avventura esclusivi di ogni socievole
comunanza. Nè preferiva egli già o solo dedicavasi alle più
distinte brigate, come quelle ove tanto brillava; poichè non
ebbe a schifo i crocchi di confidenza, e non trascorreva sì
facilmente una sera, in che avesse rinunziato alla partita sua
favorita dell’ombretta,
in stuol d’amici numerato e casto11.
11
Parini Ode alla musa pel Sig. March. Febo d’Adda.
13
Critica della ragione pura – tomo primo
Della vita e delle opere di Kant
E soleva dire questo essere onesto passatempo non pure che
l’unico e sicuro mezzo, per cui dalle meditazioni alleggiare lo
spirito, e lena conciliargli ad ulteriori fatiche. Chè il quasi
contrasto di profondo e sublime, nel suo, non fu già ostacolo a
che il di lui carattere vestisse una pressochè popolare
dimestichezza; come nè questa impedì ch’ ei si mantenesse
ognora dignitoso anche nel tenore ordinario della vita od in
benchè scherzevoli propositi: e non fu mai verso che ne
decampasse anche nella foggia del vestire, cittadinesca sì ma
sempre pulita e nobilmente attillata. Nè mai fu chi lui presente,
meno poi contro di lui, si attentasse con espressioni alquanto
libere o col menomo atto indecente o sconcio: quasicome il
cospetto dell’uomo, ch’era nello stesso tempo il più spiritoso
ed il più profondo pensatore della città, le recasse onore non
solo, ma fosse norma e freno ai cittadini; ciò che non può dirsi
egualmente di Socrate rispetto agli Ateniesi. Se poi, oltre alla
costumatezza e sociabilità, poniamo mente alla nuova
direzione, cui egli diede allo spirito umano ed alle tendenze del
medesimo; se badiamo ai mezzi ed alla forza, con che il
moderno filosofo provocò la più salutare delle rivoluzioni nel
regno della filosofia; se riflettiamo ch’ ei sgomberò e rese
libera la strada del vero ai pensatori che verranno dappoi; e se
consideriamo la immensa vastità e comprensione di un uomo,
che non si diparti mai dai propri focolari, gli è giuoco forza
convenire tal uomo appartenere non più alle diacciate paludi
del Baltico, di quello che all’Europa, ed all’umanità.
Poichè mi dilungai, senza quasi volerlo, dal proposito di
astenermi dagli encomi (come si può egli, favellando dei
grand’uomini?), ne farò ammenda, osservando, rispetto alla
coltura, che il nostro Manuele non esercitò punto, anzi non
ebbe forse in pregio, le arti belle; e, rispetto alla vita sociale,
che mai non soddisfece ad uno de’ suoi obblighi principali,
quello cioè di ammogliarsi. Di che si cerca escusarlo, quasi che
si trattasse di cose che straniere fossero a chi è tutto ragione
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Critica della ragione pura – tomo primo
Della vita e delle opere di Kant
contemplativa; quantunque la scusa non s’accordi colla cura,
cui parve riponesse in accumulare quante può un filosofo
ricchezze, se vero è ch’ ei lasciasse, morendo, un podere di
qualche rilievo. E lo poteva di leggieri, affaticando, siccome
fece, anche dappoi l’esercizio pubblico della cattedra, nella
pratica delle private lezioni; trovandosi anzi abitare abbastanza
vasta città, onde gli fosse mestieri affaticare assai meno, poichè
non gli occorreva di provvedere che alle bisogne di se solo. Il
che potrebbe inoltre non accordarsi colle assicurazioni di chi
pretende ch’ ei non fosse nè tampoco proclive all’avarizia;
come a difetto che, occupandolo di soverchio nelle dette
lezioni, ed in concorso delle brigate geniali, dei banchetti e del
tavoliere, avesse defraudato di ore preziose gli emolumenti
della scienza. Con ciò sia che trovo qualmente Kant leggeva sì
della mattina che del dopo pranzo, quantunque più d’ordinario
prima; che solo si concedeva una tregua di venti minuti da una
lezione all’altra; e che, mentre interpolatamente insegnava
etica, dritto naturale, antropologia, fisica e geografia, non erano
che la logica e la metafisica le scienze per lui dettate
pubblicamente dalla cattedra. La qual copia e varietà di, spesso
promiscuo, insegnamento proverebbe la di lui memoria non
dovesse aver limiti; mentre appunto pretendono combinarsi
assai di raro siffatta dote colla somma finezza e perspicacia
d’ingegno, e con quella vivacità d’immaginativa creatrice, cui
dicono genio. Compagna fedele della memoria, nei letterati,
l’erudizione rendeva straordinariamente interessanti le lezioni
del nostro professore, quelle massime di geografia fisica;
essendo state le quali raccolte, indi promulgate, per uno de’
suoi uditori, e rese volgari anche fra noi, fanno ampia
testimonianza di quanta fosse la suppellettile ch’ ei
v’introduceva di storia, viaggi, aneddoti, biografie ed altre
notizie, che tanto nelle di lui mani arricchirono questo ramo del
sapere. Ad onore di cotal forza di memoria, e quasi a
maraviglia, recano i biografi l’attitudine, di questo maestro, a
15
Critica della ragione pura – tomo primo
Della vita e delle opere di Kant
dire dalla cattedra senza giovarsi quasi mai del sottoposto
quaderno, e così esporre all’improvviso e con precisione copia
di nomi, di citazioni, di epoche, inserendo nel discorso quanto
gli somministrava d’interessante o di nuovo una lettura senza
confini e cui nulla poteva stancare. Tale attitudine però non è
altrimenti nuova nè maravigliosa nelle Università d’Italia: e
non ha guari che sarebbe stato inutile non solo, ma disdicevole
il quaderno ai corifei di questa pavese; la quale ne impone
tuttavia colla ricordanza di quando poteva dirsi di loro
Parlano un suon, che attenta Europa ascolta12.
La sola geografia fisica indicherebbe, il sapere di Kant, anzichè limitarsi ai cancelli della logica e metafisica, estendersi
profondamente a quanto non pare quasi possibile che umana
mente abbracciasse. Il perchè, prescindendo eziandio dalle
scienze filosofiche, non solo era egli reputato qual dotto di
prim’ordine, dove non si è poi tanto corrivi nell’accordare tal
nome ai coltivatori delle scienze; ma fu quasi oracolo degli altri
dotti, suoi nazionali. I primi scrittori d’Alemagna infatti arrogavansi a debito e pregio di, non sì tosto pubblicate, le opere
trasmettergli, come se per consultarne il giudizio. Bensì che, in
luogo dei soliti rendimenti di grazie, frammesse ad usura
d’encomi, soleva Kant riscontrare e rimunerare i donatori con
lunghe dissertazioni su qualunque si fosse l’argomento. Tali, di
vero, le risposte ch’ ei fece a Soemmering ed Hufeland, quando
il primo gli offeriva il suo Saggio sull’organo immediato
dell’anima pensante; e l’arte di prolungare la vita il secondo,
accompagnando il dono coi voti, perchè tal opera valesse ottenere lo scopo, rispetto a quella del primo filosofo del secolo.
Nella dissertazione di riscontro e ringraziamento al professore
di Monaco, e che fu premessa da questi alla seconda edizione
del suo Saggio, non saprei se più per dare o riceverne onore,
espose il Conisberghese, con una delle più seducenti ed inge12
Invito a Lesbia.
16
Critica della ragione pura – tomo primo
Della vita e delle opere di Kant
gnose ipotesi, una speciale operazione chimico-dinamica nella
secrezione sierosa dei ventricoli del cervello. Ponendo mente
alla qual ipotesi, ed alla prima di tutte le opere di Kant sulle
forze vitali13, non mal si apporrebbe chi ravvisasse in esso il
primo fondatore del dinamismo fisico in Germania. In una
infatti delle più recenti patologie di quella nazione14, oltre i
principj del dinamismo in generale, trovo desunte manifestamente da Kant sì la vitalità inerente agli umori animali, sì la teorica delle funzioni. Trovo anzi le parole non che il senso di
Kant, non citato, nella teorica sulla digestione, ove la si fa consistere in una specie di particolare fermentazione dinamica degli alimenti coi succhi gastrici, e si avvisa esercitarsi negli organi gastrici non solo il processo vitale, ma sì pure comunicarsi
da questi ai sughi suddetti15. Fu pure Kant che insegnò
13 Pensieri sulla vera estimazione delle forze vitali, promulgati nel 1746.,
quando l’autore appena passava i quattro lustri; locchè proverebbe fossero
tutt’altro che teologici i primi di lui studi, siccome asserii dapprincipio,
fidando ai biografi, che non avvertono com’ei fosse disertore sì di buon ora
o con tutt’altri li dividesse; giacchè non vedo come gli studi teologici
potessero scorgerlo a quello della vita, e delle sue forze. Bensì vedo in quei
pensieri e più ancora nella dissertazione al Soemmering i primi tentativi pei
quali accomunare la fisiologia e patologia umorale colle solidistiche,
richiamando cioè di bel nuovo gli umori a dividere, se non altro, coi solidi
l’impero attivo della vita; come altri vi traviserà per avventura una qualche
traccia e tendenza di materialismo.
14 Hartmann, Pathologia dynamica.
15 Se diversa è di fatto la fermentazione gastrica da quella, cui subiscono i
cibi, esposti all’atmosfera, frammessi di fluido acquoso, e fomentati dal
calore, condizioni che s’incontrano egualmente nello stomaco, bisogna
inferirne altre condizioni esistere nell’organismo vivente, le quali valgano
produrre quella diversità nell’effetto. Ora tal condizione consiste nella
mescolanza degli umori gastroenterici, considerandoli però come conduttori
e partecipi essi medesimi della forza vitale, perchè sieno atti a quindi
comunicare alla massa digeribile sì la nuova suscettività organica
omogenea, sì la stessa vitalità; e dicono a un di presso che colla pila di
Volta rispetto alla corrente elettrica. Non è altronde chi possa immaginare il
ventricolo essere prodotto degli alimenti che riceve; giacchè ricevendoli e
17
Critica della ragione pura – tomo primo
Della vita e delle opere di Kant
dichiarare, coll’applicazione di tale teorica, la diversità dei
prodotti vegetabili sul suolo medesimo, quantunque vi assorbiscano gli stessi umori, la stess’aria, lo stesso ossigene, in somma gli stessi elementi. E trovò ch’egli offrono tuttavia risultamenti fra loro differenti, perciò che ai detti elementi, ch’ei
chiama obbiettivi, que’ vegetabili vi aggiungono e frammettono
del proprio i subbiettivi; avendo ciascheduno uno stampo dirò
così particolare, una forma plastica diversa, ed una maniera
specifica di elaborarsi: stampo, forma e maniera, che, se nol
costituiscono affatto, corrispondono per lo meno al conato
formativo, nel linguaggio dei fisiologi, tanto zoonomi quanto
botanici, che vennero dappoi. E lo stesso può dirsi del succo
dei fiori, che altro diventa secondo che venga elaborato da una
farfalla o da una pecchia; non essendo già miele bello e fatto il
succo attinto dalle api ne’ diversi fiori, ed anche in tali da sembrare tutt’altro che dolci al palato più squisito. Egli è adunque
nella mente di Kant che il dinamismo, quello almeno delle funzioni assimilatrici degli esseri organizzati, fu ridotto alla legge
o necessità di concorrenza degli elementi somministrati dal di
fuori coll’azione vitale, o con date condizioni vitali ed organiche sì dei fluidi che dei solidi. La qual dottrina, se tende per un
digerendoli deve di necessità preesistere ai medesimi. Tutti però credevano,
e pareva naturale che, siccome dallo stomaco, dopo intrommessi nel
medesimo gli alimenti, proviene il chilo e da questo il sangue, così altro non
essere il chilo ed il sangue, tranne il cibo così trasformato: nel qual caso il
ventricolo altro non sarebbe che il ricettacolo, o tutt’al più un fornello
particolare, entro cui fermentassero per se stesse le materie digeribili e si
riducessero in chilo. Kant rileva, con altri, nel chilo due elementi, gli
alimentari ed i gastrici; ma questi ultimi distingue più che non si faceva, in
quanto vi discopre una forza efficace, che li costituisce organi più digestivi
che non erano in senso fisiologico gli stessi organi gastrici; e trova che
senza questa forza non si avrebbe mai risultamento di chilo. Facendo
inerente agli organi d’assimilazione (come sarebbero le ghiandole del
mesenterio, il fegato ed i respettivi umori) una forza consimile, rispetto alla
trasformazione del chilo in sangue, sarà facile arguirne la teorica della
sanguificazione.
18
Critica della ragione pura – tomo primo
Della vita e delle opere di Kant
verso, come notai, a far che rivivano in patologia le viete ipotesi umorali, non lascia per l’altro quanta pare abbia influenza,
massime ed appunto dinamica, sui diversi prodotti, sulle diverse assimilazioni, e sulla vita medesima, la diversa indole degli
agenti ed elementi obbiettivi. Ciò non di meno colla sua teorica
delle facoltà originarie, della disposizione insita e delle forme
attive dei corpi organizzati, avrebbe Kant già trasportato, egli
medesimo, il trascendentalismo nella fisiologia sì degli animali
che delle piante. A questa fisiologia trascendentale spetterebbe
ora il rilevare cosa è veramente che nello stomaco p. e. rende la
digestione un cambiamento di chilo; il che rilevando rispetto sì
a questa che, analogamente, ad altre funzioni, essa ne svelerebbe, come se assistito avesse ai misteri della formazione organica, i principj efficienti e le vere facoltà, che ripose nella medesima il protomaestro dell’universo, perchè se ne compiano i destini. Ora ciò, che dico dell’organo digestivo, è quanto imprese
Kant a svelare nell’organo del sapere, supponendone alimento
le impressioni sensibili, riconoscendo insite in quell’organo facoltà effettive, condizioni, e forme comunicabili al detto alimento, e deducendone risultamenti analoghi a quelli del chilo e
del sangue nelle cognizioni circolanti, sarei per dire,
l’angiologia dell’umano intendimento. Spinse anzi più oltre la
cosa, investigando le modificazioni, che l’organo del sapere
imprime alle nostre cognizioni; l’influenza ch’esso esercita per
virtù propria su essoloro; e le leggi e forme, che il creatore avrebbe nascosto nel di lui tessuto, destinandolo ad essere umana ragione.
Ma innanzi di passare alle cose metafisiche, debbo compiere
i cenni già incominciati sulle altre provincie del sapere, alle
quali furono recati per Kant non ordinari tributi od utili pietre a
ristorarne o ricostruirne l’edifizio. E non farò che appunto
accennarli; trascendendo per legge di brevità le riflessioni che,
analogamente alle già fatte, potrebbero inferirsi dagli scritti per
lui pubblicati sull’origine probabile della storia, sulle razze
19
Critica della ragione pura – tomo primo
Della vita e delle opere di Kant
differenti del genere umano, sulla teorica dei venti e simili;
che, come tutte le opere di quest’autore, sono contraddistinte
col marchio di non mai frivola originalità, d’imperturbata e
profonda meditazione, e del mirare unicamente ai vantaggi della scienza e dell’umanità, non occupando egli mai di se stesso
il lettore, alludendo assai di raro ad altri scrittori, e non mai con
oblique tendenze. Così fra’ suoi opuscoli di geologia ed astrologia, trascendo la storia del terremoto del 1755., il trattato dei
volcani della luna, e quello intorno all’influenza di questo
pianeta sulla temperatura dell’atmosfera terrestre; i quali
trattati hanno pure fornito materia, quantunque più speciosa
che utile, a qualche eziologia. Ma non posso tacere della sua
storia naturale del mondo e teorica celeste sui principj
neutoniani, opera piena di arditi e nuovi pensamenti, ch’ei
commetteva al pubblico dell’età di 30. anni (1755), e nella
quale è conghietturata l’esistenza di più corpi celesti oltre la
sfera di Saturno, ben cinque lustri avanti che i nuovi telescopi
di Herschel iscoprissero nell’immensità di quegli spazi Urano.
Ed ecco in qual modo la penetrazione di Kant superò, entro le
pareti del proprio gabinetto, le indagini sulle più eminenti specule e gli occhi armati con insolito artifizio, e come precesse lo
scoprimento non pure d’Urano che di altri corpi celesti. Aveva
egli osservato essere costantemente eccentriche le orbite dei
pianeti maggiori, e di tanto più pronunziata eccentricità, secondo che più lontane le stanze loro dal sole. Così essendo meno
eccentrica di tutte l’orbita di Mercurio, aveva notato esserlo alquanto più quella di Venere, poi quelle del nostro globo e via
via di Marte e di Giove, sinchè più di tutte lo era l’orbita di Saturno. Avendo poi rilevato essere ancora maggiore la eccentricità delle comete, che già considerava per altrettanti pianeti, si
confermò in tale pensamento, rilevando la eccentricità loro essere, ugualmente che quella dei pianeti, diretta in ragione della
distanza loro dal sole. Il perchè si convinse che tutti i corpi celesti aggirantisi allo intorno di quel centro comune, da Mercu20
Critica della ragione pura – tomo primo
Della vita e delle opere di Kant
rio sino alla cometa più remota, fossero tutti pianeti, e tutti appartenessero al sistema solare. Dopo di che paragonando
l’orbita della cometa eccentrica meno, della più prossima cioè a
Saturno, colla di lui orbita, come la più lontana conosciuta in
que’ tempi, rilevò da tale confronto una diversità e distanza
troppo sproporzionata, perchè non potess’ egli starsi contento
neppure alla possibilità di salto e vuoto così smisurato fra i due
corpi celesti summentovati. Stabilì pertanto e predisse, che fra
Saturno e la cometa più vicina dovevano avvolgersi diversi altri corpi planetari, la eccentricità dei quali crescesse via via per
gradi, sino ad incontrare un astro, il cui andamento partecipasse
a quelli sì dei pianeti che delle comete16. Dal che risulta avere
Kant non solo prevista la scoperta di Herschel; ma il suo
pensamento essere stato più vasto e più direi quasi ragionato
che la scoperta medesima. Non oso asserire, come rispetto ai
dinamisti, essere stato l’astronomo fatto accorto e quasi guidato
dal filosofo a solo realizzarne la predizione; chè troppo se ne
mostrò quegli colpito dappoi lo scoprimento, per non asserirlo.
La qual cosa ove pur fosse, non ha però mancato chi scoprì Urano, col soccorso dei telescopi, di farne quanto più poteva merito ed onore allo scopritore speculativo.
Venendo alle opere metafisiche, a cui rifletta, nel 1771.,
avere l’accademia di Berlino proposto a quisito lo stabilire i
caratteri dell’evidenza nelle scienze metafisiche; il premiato al
concorso con Kant, essere stato Mendelson; di lì a dieci anni,
precisamente (1781), pubblicata la critica della ragione pura; e
questa vertere da capo a fondo sull’opposto quisito, se mo sia
possibile una metafisica; dubiterà verificato in quest’opera il
facit indignatio versus d’Orazio. Ma se per un verso, dominava
di fatto a quei tempi, nella capitale del gran Federico (e non ha
per anco ceduto affatto al teutonico), lo spirito filosofico dei
letterati suoi cortigiani, così che si ebbe a dire essere quella
un’accademia francese nel bel centro d’Alemagna; ond’è che
16
Pag. 17. di detta opera: ediz. del 1799, e Villers nella prefazione.
21
Critica della ragione pura – tomo primo
Della vita e delle opere di Kant
una tale accademia non poteva non voglio dire, con altri, comprenderlo, ma solo decidersi, come decise il pubblico, poichè
ne fu promulgata la dissertazione, a favore di Kant; per l’altro
verso tutti ripetono la critica della ragione pura essere il frutto
di venti anni di meditazioni su quante furono metafisiche al
mondo; e risguardo al filosofo ebreo, che riescì vincitore al
concorso, ben se ne confutano in tal’opera gli argomenti, non
però di quelli che avessero stretto rapporto col quisito accademico. Altronde alcuni lampi delle nuove idee di Kant tralucono
già dalle di lui considerazioni sul sentimento del bello e del
sublime pubblicate sin dal 1764., ed è la sola opera che di lui
fosse ridotta per esteso in francese prima del Saggio per un
progetto di pace perpetua, e dell’idea cosmopolitica di una
storia universale; quasi fossero le più confacenti, anche nei titoli, al genio dei nuovi lettori, non ostante che le forse meno
apprezzate, fra tutte, nel suolo natìo. Sono più ancora pronunziate le tracce, che delle nuove idee sulla metafisica offre, benchè anteriore questa pure al quisito berlinese (1770), la prolusione ch’ei recitò poichè fu eletto professore all’Università; e,
sebbene in latino, e pubblicato eziandio negli atti accademici,
questo scritto inaugurale fu poco noto o di poco pregio ai dotti
d’Europa17. L’opera che la riempì del suo grido, voglio dire la
critica, non comparve che nel 1781.; quantunque non ne fu rapido il successo; e già ne disperava il labrajo di Riga, che ne
assunse l’edizione, poichè se ne serviva di cartaccia ed inviluppo, quando gli ne vennero fatte sì numerose inchieste, che gli
bisognò replicarla più volte in breve tempo. A questa precessero di poco i principj metafisici della scienza della natura18,
come di poco vi tenner dietro (1783) i prolegomeni ad ogni
metafisica futura come scienza; e tali principj e prolegomeni
17
De mundi sensibilis atque intelligibilis forma et principiis.
Villers fa questi principj posteriori alla critica, giudicandone dalla
edizione del 1786.; ma debbono esserle anteriori, poichè citati, come già di
pubblico diritto, nella critica medesima.
18
22
Critica della ragione pura – tomo primo
Della vita e delle opere di Kant
possono considerarsi appartenere alla critica della ragione pura,
massime i prolegomeni, che ne sono un riassunto analitico. Alla critica della ragione pura ne successero due altre, che, sebbene di soggetto non egualmente metafisico, hanno però tutta
l’impronta dello spirito trascendente dell’autore, e costituiscono unitamente il criticismo kantiano. Pubblicò egli la seconda,
quella della ragione pratica nel 1788., e nel 1790. la terza col
titolo di critica della forza di giudicare, ossia del giudizio; ed è
suggello ai preliminari critici delle scienze relative. Oltre le accennate operette sul progetto di una pace perpetua, e sull’idea
di una storia universale cosmopolitica, riferisconsi alla ragione
pratica, e costituiscono libri di maggior mole, rispetto alle suddette, i suoi Principj metafisici della virtù, quelli del diritto, la
Base di una metafisica dei costumi e la Religione d’accordo
colla ragione. Così, oltre le parimenti accennate considerazioni
sul senso del bello e del sublime, ha specialmente rapporto con
quella del giudizio la Base di una critica del gusto, comparsa
nel 1787.: e non ho accennato che le opere principali di questo
altrettanto facile che instancabile scrittore. Così non fosse di
quando in quando arido, anzi che no, il di lui stile, o fossero sì
fluidi e concatenati che sovente lunghi, a non poterne reggere il
senso, i di lui periodi; prescindendo anche dai neologismi, poichè forse indispensabile, al creatore di filosofia nuova, un nuovo linguaggio. E, siccome i suoi sopravvissuti concittadini attestano del tanto più interessanti riescire i ragionamenti cattedratici di Kant, in quanto vi frammentava copia d’illustrazioni, per
via massime d’esempi, così credo bene che fluissero questi
spontanei dalla prontezza, come dicono, del vasto ed a sì gran
dovizia fornito ingegno; ma credo eziandio che sì questi sì
quelle derivassero non meno dall’intimo convincimento di loro
necessità. Il perchè sarebbe a desiderarsi nè foss’egli stato ugualmente largo negli scritti; come quelli che riesciranno per
ciò sempre difficili ed oscuri a parecchi leggitori che, attesa la
somma confluenza nei concetti che andava sponendo, forse nel
23
Critica della ragione pura – tomo primo
Della vita e delle opere di Kant
modo in che gli esponeva, non credette necessario di ricorrere
più spesso, che non suole, a quei rischiaramenti ed esempi, nè
di più a lungo arrestarvisi quando pure vi ricorre.
L’epoca di poco anteriore alle indagini filosofiche di Kant
era, come ognun sa, controddistinta dal predominio di un
alquanto rilassato eccleticismo, il quale si occupava di
perfezionare pezzo per pezzo gli argomenti o l’edificio della
filosofia, anzi che nel suo tutto e nei suoi fondamenti. E così,
non ostante che non basato per anco a dovere il materiale del
sapere filosofico, si teneva come certa la riuscita in ogni parte
del lavoro, solchè i lavoratori si giovassero del metodo dimostrativo delle matematiche, tanta era la fede che vi si aveva in
quei tempi. Sotto queste circostanze, avendo l’occhio penetrante di Kant già scoperto il fianco debole del dogmatismo, e dei
guazzabugli metafisici delle trascorse età, mediante una quasi
notomia di tutti i relativi sistemi; e mosso per avventura
dall’arguto setticismo di Hume, imprese a disvelare il motivo
della niuna o trista riuscita di tutte le metafisiche, a smascherarle dell’apparenza o larva filosofica, e quindi ad investigare
se altro mai fosse cammino, che meglio scorgesse l’indagatore
filosofo, senza risico nè di smarrirsi oltre la sfera dell’umano
sapere, nè di perdere nello stesso tempo di vista la verità. E qui
diè prova di straordinario accorgimento nella investigazione filosofica, retrocedendo con essolei sino al vero e solo punto
principale, onde poi muovere di bel nuovo all’acquisto di
quanto è mai lo scibile, per chi si crede almeno autorizzato
giudicarne dalla prima dimanda ch’ei propose a se stesso: Che
posso io conoscere, e cosa è ciò che già conosco in origine? La
necessità di rispondere alla qual dimanda è quella, che lo
scorse ad un esame dell’intima convinzione dell’attitudine
dell’uomo a sapere o conoscere: dal qual esame, ch’egli chiamò e risguardò qual critica della ragione pura, credette
rilevare o premise, come cosa di fatto, la sorgente della
cognizione filosofica essere la ragione, onninamente disgiunta
24
Critica della ragione pura – tomo primo
Della vita e delle opere di Kant
e libera dalla sperienza. Perciocchè insegna egli su questo
proposito che il necessario e l’universale sono subbiettivi19 nel
nostro sapere, appartengono cioè al soggetto pensante, non
essendo possibile pensare nè l’uno nè l’altro, come forniti dalla
sperienza. Ora dunque la necessità negli umani giudizi, vale a
dire la relazione obbiettiva delle nostre idee o rappresentazioni,
come quella che è intrinseca di tutti i giudizi universali e
necessari, non ha realtà od autenticità obbiettiva di cognizione,
o non è, ciò che torna lo stesso, cognizione obbiettiva. Dalle
quali cose conchiude, riposti essere nell’animo i confini del sapere, o piuttosto lo stesso animo, nell’appariscente attività del
medesimo, essere l’oggetto unico della cognizione filosofica.
Or vediamo la via per la quale giunse Kant a siffattamente
restrittive risultanze. Cominciando egli dal dividere con analisi
filosofica sì ciò che nelle rappresentazioni è devoluto al senso
ed all’intendimento, sì quanto è inseparabile dallo spirito, venne a distinguere la ragione teoretica o la facoltà di conoscere in
sensibilità, come facoltà della visione20, ed in intendimento,
come facoltà del pensare; la qual distinzione corrisponde al
consistere la stessa cognizione21 in vedere22 e pensare. Nella
19
Soggetto è l’uomo in quanto conosce o giudica, ed è soggettivo quanto gli
appartiene. Di due visionari, l’uno vede in ogni cosa un aspetto nero e triste,
all’altro le cose medesime rassembrano di colore ameno e ridente. Ora
quell’aspetto e questo colore sono subbiettivi; ed è così che ne’ giudizi vi è
sempre alcunchè di subbiettivo che si amalgama coll’obbiettivo, e
costituisce la così detta sperienza degli oggetti.
20 Anschauung. I francesi lo traducono intuizione, vocabolo che mi pare
penetri più addentro nella cosa veduta, che non quello di visione, cui ho
perciò data la preferenza, non però quell’altro escludendo. Mi sarei giovato
della voce intuito poichè italianizzata da Gallilei nel significato di aspetto
veduto di slancio, ove però si decampi (e ne priego i lettori), almeno in
questa traduzione, dal prendere colla crusca visione per sogno, a rigor di
termine, parmi anche in ciò giustificata la detta preferenza.
21 Conoscere o sapere, nel linguaggio di Kant è qualche cosa di più che
percepire e pensare, facendo egli consistere la cognizione tanto nel rapporto
delle idee, che ci sono presentate coll’oggetto che ce le presenta, quanto
25
Critica della ragione pura – tomo primo
Della vita e delle opere di Kant
visione distingue inoltre la materia dalla forma, quella come
offerta da qualunque siasi sensazione, questa come inerente alla nostra medesima sensibilità23. E con ciò distingue l’oggetto
sensitivo24 dalle condizioni originarie ed indispensabili della
visione sensitiva (cioè a dire dallo spazio, dal tempo e dalle
molteplici loro determinazioni): le quali condizioni chiama poi
forme della sensibilità, oppure oggetti trascendentali25; comenella riunione loro nella unità di una stessa coscienza. Dove nella
percezione gli elementi e le rappresentazioni o sono staccati, o riuniti
soltanto per caso e momentaneamente, senza quella connessione assoluta e
necessaria, che costituisce, secondo Kant, la vera cognizione. Si
distinguerebbe poi dal pensiero, in quanto esse verte sopra nozioni o
rappresentanze, le quali non si riferiscono ad alcun oggetto determinato.
22 Nel dianzi avvertito significato di visione, come quella cui è d’ordinario
riferito, in quest’opera, l’appercepire degli oggetti.
23 La sensibilità non è nel senso di Kant, siccome in quello di altri filosofi,
una facoltà attiva; nè le sue modificazioni sono prodotti dell’intelletto,
siccome pensava Leibnizio. Ma la sensibilità di Kant è una facoltà passiva
dell’anima, che la rende suscettiva di essere affetta e modificata dagli
oggetti e di concepirne le idee, a misura ch’essi le trasmettono lor
impressioni. Così nel senso di Kant è l’intelletto che diventa facoltà
spontanea ed attiva di per se: nel che differisce da Locke, il quale faceva
dell’intendimento una facoltà passiva, una mera suscettività di cognizioni.
24 Anche gli oggetti considera Kant in due diverse maniere; quali sono essi
per se medesimi, e quali si percepiscono. In se stesso l’oggetto è cosa reale
assoluta, ma niuno può presumere di qual è percepirla. Tal qual è percepita
non è che una apparizione ordinariamente diversa da ciò che è l’oggetto per
se medesimo. Ora la maniera d’essere degli oggetti, indipendentemente da
quella in che sono per noi percepiti o ci si rappresentano, è quello che si
dice punto di vista o modo trascendente.
25 Sinchè il filosofo considera o giudica p. e. l’oggetto, cui vede rotondo,
poter essere angolare, od esistere più nella propria idea che dove lo vede, od
essere l’oggetto veduto ed il soggetto veggente una sol cosa ec., sinchè
giudica insomma del modo in che gli oggetti sono, indipendentemente da
quello in che li percepisce, il suo modo di vista è come dissi trascendente. Il
perchè potrebbe dirsi filosofia trascendente lo studio dell’obbiettivo
considerato per se stesso, e sotto questo rapporto non sarebbe trascendente
la dottrina delle idee innate, bensì l’altra di Leibnizio, quando supponeva le
monadi e l’armonia prestabilita. Sì tosto però che il filosofo giunge ad
26
Critica della ragione pura – tomo primo
Della vita e delle opere di Kant
chè solo esistano in noi medesimi, prima ed indipendentemente
da ogni sperienza. Tali condizioni o forme sono quelle, dietro
le quali noi ci rappresentiamo il mondo, e quanti sono i suoi
fenomeni, che Kant per essere conseguente a se stesso, chiama
più volentieri apparizioni26. Perciocchè il pensiero, la cui
mercè l’intelletto esercita le sue funzioni, consisterebbe
nell’atto che riconduce all’unità le varietà delle percezioni, ora
nella formazione dei concetti, ora giudicandone, o riferendo le
percezioni alle idee o nozioni che vi corrispondono, ed ora finalmente raccogliendo parecchie idee sotto un’idea più generale, o, sotto un più elevato e sublime, diversi giudizi. L’intelletto
sarebbe quindi la intrinsecamente o per se stesso attiva capacità
di rappresentare, per la quale riduciamo ad una unità quanto vi
è di molteplice nel materiale fornito per la sensibilità. In tale
accoppiamento poi, che è quello in che consistono i concetti27
imaginare, la propria maniera di essere potere influire sull’oggetto
percepito, in quanto al modo di conoscerlo e giudicarlo, e che cerca nelle
sue percezioni distinguere quanto può dall’oggetto procedere, da quanto può
esservi aggiunto del proprio dal soggetto, allora le sue indagini ed il suo
punto di vista diventano trascendentali. E sotto questo rapporto lo studio del
subbiettivo, in quanto concorre alla rappresentazione, direi quasi alla
formazione, degli oggetti, costituisce la filosofia trascendentale. Quindi è
che tal nome non appartiene, come non fu di fatto attribuito, che alla critica
ed al criticismo nel senso di Kant; ritenuto però essere critico il metodo, e
trascendentale la dottrina o ricerca di quanto si mette del proprio nella
cognizione degli oggetti. Perlocchè non più saremmo trascendentali, ma
torneressimo ad essere trascendenti sì tosto che ne giudicassimo come
oggetti per se stessi. Ed ho insistito, forse più che non doveva, sulle
distinzioni dell’obbiettivo dal subbiettivo, e del trascendente dal
trascendentale, perchè le mi parvero preparatorie a ben comprendere le
opere di Kant.
26 Non però apparenze, come traduce il Sig. Cons. Degerando; allorchè
trova misterioso ch’elleno ci vengano presentate, che noi le riceviamo, e che
non appartengano ciò non di meno agli oggetti.
27 Idee, concetti o nozioni intellettuali valgono, parmi, lo stesso nel
linguaggio di Kant; appartengono assolutamente all’intelletto, e ne
costituiscono il legittimo impero. Distinguonsi dalle intuizioni o visioni per
27
Critica della ragione pura – tomo primo
Della vita e delle opere di Kant
ed i giudizi28, lo stesso intelletto sarebbe legato a condizioni
originarie, che l’autore chiama forme dell’intendimento, e sono
le categorie d’Aristotile, che si troveranno mirabilmente
sviluppate non che precisate in quest’opera. Ora se vero è che
noi stessi, mediante le dette forme, sì della sensibilità che
dell’intelletto29, determiniamo gli oggetti, che ne vengono
ciò che le idee contengono in se medesime rapporti o caratteri applicabili a
più visioni, e che nello stesso tempo appartengono a diversi oggetti.
Quantunque generalmente astratte quante sono, i kantiani distinguono dalle
idee ordinarie le intellettuali pure, in quanto non fornite queste, come le
prime, dalle visioni.
28 Il giudizio è una funzione logica dell’intelletto; la quale consiste
nell’accoppiamento di due rappresentazioni, come di attributo a soggetto, ed
esprime il rapporto loro vicendevole. Appartengono ai giudizi nella dottrina
di Kant sì le cognizioni mediate degli oggetti, sì l’atto che unisce una data
rappresentazione ad una idea, che la contiene insieme alle altre. Rispetto
alla distinzione de’ giudizi in analitici e sintetici mi limito accennare come
l’autore sostenga darsene di sintetici a priori, senza dato cioè di sperienza.
Tali giudizi passano per una delle più importanti scoverte del criticismo, e
sono, se non altro, di tanta importanza in quest’opera, perchè fosse
premessa, ed esposta nell’introduzione, la teorica respettiva.
29 Forme della sensibilità o dell’intelletto sono i caratteri costanti, che, in
virtù di leggi fondamentali ed immutabili, vi ricevono i dati (materia), sui
quali si esercitano le facoltà respettive. Essendo quindi materia della
sensibilità (non pura) la materia delle visioni, costituendosi cioè dalle
sensazioni la parte materiale empirica di nostre percezioni, ciò che v’ha di
fisso, assoluto e necessario in queste, sarà forma o legge della sensibilità.
Che tali forme sieno, pei sensi esterni lo spazio, il tempo per tutti, ce ne
convince il non potersi concepire oggetto (esteriore) che nello spazio, e
niuno (sia dentro sia fuori di noi) che non sia rappresentato nel tempo. La
dottrina dello spazio e del tempo dicesi estetica e dimostra esser eglino
visioni pure, assolute, necessarie, illimitate, uniche, e primitive della nostra
sensibilità: non empiriche cioè, nè idee generali, nè astratte, nella
significazione ordinaria, non essendovi oggetto che le contenga, ed onde le
si possano staccare; non composte, perchè mere circoscrizioni della stessa
visione assoluta lo spazio ed il tempo parziali; e neppure innate, benchè
anteriori alle percezioni sensibili e fondate in noi stessi, producendosi esse
alla prima occasione di modificazioni sensibili, e realizzazioni colle relative
percezioni, senza le quali rimarrebbero visioni vuote e come se non
28
Critica della ragione pura – tomo primo
Della vita e delle opere di Kant
somministrati dalla sperienza, ne verrebbe di conseguenza, che
solo conosceremmo le cose in quanto le ci appariscono, e
come già ne trovaressimo obbligati a pensarle, giusta le leggi
prestabilite nell’animo nostro, non però come sono, vale a dire
non come cose per se, ma come apparizioni. Sotto il qual
rapporto a quella parte del dottrinale di Kant, che risguarda la
critica delle facoltà dell’animo30, fu dato nome d’idealismo
esistessero. In quel modo che le impressioni passive offrono alla sensibilità
la materia ad esso lei competente, l’intelletto la riceve dalla sensibilità, e tal
materia è l’oggetto su cui esso esercita la sua funzione. Consistendo questa
in riunire o centralizzare le percezioni, la materia dell’intelletto deve
comprendere quanto è destinato ad essere insieme riunito in forma d’idee o
di giudizi, essendo materia delle prime i prodotti delle sensazioni o le
visioni, e dei secondi le stesse idee. Dunque le forme dell’intelletto, come
risultanze delle leggi o dell’espressione di sua funzione, consistendo questa
in combinare, risolvonsi finalmente in giudizi; e questi forniscono
argomento alle accennate categorie.
30 Sensibilità, intendimento e ragione sono, in questa dottrina, le tre facoltà
che concorrono al grande atto del sapere: e lo spirito umano sarebbe, come
dice il Cons. Degerando, un governo, dove la sensibilità rappresentasse i
sudditi, l’intelletto i ministri, e la ragione il sovrano; così che la ragione
comandi all’intelletto e questo alla sensibilità. E soggiunge a maggiore
chiarezza il paragone di un edifizio, di cui fosse architetto la ragione, che,
dietro un’ideale suo proprio, disponesse i materiali, che la sensibilità
offrisse dispersi all’intelletto, e questi alla ragione, dopo averli ricevuti e
raccolti. Perciocchè sebbene strettamente collegate, le dette facoltà, in una
subordinazione o gerarchia logica graduale, dalla sensibilità, come
fondamento, alla ragione come sommità, Kant però le ritiene distinte, sì
nelle proprietà che nei rapporti e nelle funzioni. Ho già indicato il senso in
ch’egli riceve la sensibilità e l’intelletto, e come stabilisce privilegio di
questo il pensiero, l’atto cioè che lo caratterizza intelletto, raccogliendo in
un tutto le impressioni sensibili, producendo concetti e giudizi, e dirigendo,
anzi formando, le cognizioni della sperienza. Ora la linea di demarcazione,
fra queste due facoltà, è quella che parte le cognizioni sensibili dalle
intellettuali, e dove la dottrina di Kant differirebbe dalla così detta empirica
di Locke, supponendo non questa riconoscere una facoltà attiva
nell’intelletto, ma una mera suscettività di idee. Il più alto grado finalmente
di uno spirito padrone di se stesso, e consapevole di sue forze è la ragione,
che l’autore fa consistere nella facoltà di dedurre da principj, di conoscere
29
Critica della ragione pura – tomo primo
Della vita e delle opere di Kant
critico, per non dire che altri pretendono tutta quanta la di lui
dottrina risolversi in un idealismo subbiettivo31.
dal generale al particolare, e di sottoporre ad unità più elevata, ed a leggi
primordiali ed assolute, quelle dell’intendimento, come segue a dire nel
prossimo paragrafo il testo.
31 Kant parte dalla necessità che tutto quanto accade nella natura sia retto,
quindi preceduto, da leggi; e ne inferisce avere le sue anche la funzione di
percepire gli oggetti, che sono la materia del nostro sapere; anzi conchiude
influire sul medesimo siffatte leggi. E su queste leggi intellettuali
prestabilite, osservo per incidente, col prelodato Cons. Degerando, ch’esse
nel senso di Kant hanno un valore molto più esteso che non in quello dei
filosofi, che ammettono le nostre facoltà svilupparsi dietro le regole
dell’attenzione, dell’associazione dei concetti ec., le quali regole sarebbero
sperimentali; dove le leggi di Kant esprimono visioni, idee e cognizioni
pure. Ora queste leggi, dimanda la critica, le abbiamo noi dagli oggetti, o ci
sono esse già inerenti, e non fanno che aspettare l’impressione degli oggetti,
per quindi combinare l’azione propria con quella delle dette impressioni?
Ommetto, poichè già indicato, che il primo punto della quistione
risguarderebbe un punto di vista empirico, e sarebbe trascendentale quello
del secondo; ed a favore della possibilità di quest’ultimo riferisco, per cui
non fossero noti, gli esempi addotti dal Villers, affine di rischiararlo. E sono
quelli di una camera oscura, di una pietra incisa, e di tre specchi, uno piano,
cilindrico l’altro, e conico il terzo. Il vetro, al pertugio della camera ottica,
sia di un dato colore, p. e. rosso, e compariranno rosse tutte le
rappresentazioni, che indi si dipingeranno sulla parete; il perchè dovendo la
camera oscura giudicarne, attribuirà quel colore agli oggetti, dov’esso
invece proverrebbe dal vetro, avente in se la condizione, la legge, la forma
universale degli oggetti per di lui mezzo rappresentati. Dotata di sentimento
ed intelletto la pietra od il sugello, su cui fosse incisa una Minerva, ne
troverebbe l’effigie in tutte le ostie o cere, sulle quali fosse imposto, e tutte
le reputerebbe sotto quella forma esistere, lungi dall’avvertire tal forma
essere la legge insita generale di sue percezioni. Per egual modo i tre
specchi riceverebbero ciascheduno un’immagine diversa dell’oggetto
medesimo; cosicchè lo specchio piano direbbe l’oggetto perfettamente
circolare; ovale allungatissimo lo direbbe il cilindrico; ed iperbolico doppio,
con manifestissima divergenza, il conico: eppure l’oggetto in se stesso potrà
non avere nessuna di queste tre forme, come quelle che sono determinate
dall’intima struttura degli specchi. Tuttavia ciascuno di questi
giudicherebbe giusto, non avendo per oggetto che la propria
rappresentazione del medesimo. Se mo l’intelletto, supposto agli specchi, al
30
Critica della ragione pura – tomo primo
Della vita e delle opere di Kant
Ad ogni modo, mentre la critica insegna essere tutte le cose
pensate in conformità, gli è lo stesso che se dicesse, mediante
coteste forme, l’intelletto impor leggi a natura, e consistere in
esso loro la teoretica ragione a priori, l’unica filosofica. Di tal
ragione teoretica infatti ne fa essa critica una facoltà pensante
superlativa, una sublime intelligenza, che tenda e miri colle
idee a più assoluta unità. E son queste quelle idee, le quali, sì
primigenie che derivate, non hanno alcun oggetto, che loro
corrisponda in quanto è vasto il dominio della sperienza, e
delle quali non può farsi alcun uso costitutivo, affine di
riconoscere oggetti, che ugualmente oltrepassino i confini
dell’empirismo e sieno proprio trascendentali. Che anzi, non
prima si attenterebbe la ragione di farne l’uso, cui dissi
costitutivo in proposito, che si troverebbe avvolta e presso che
smarrita in quelle contraddizioni, che ha procurato Kant con
ogni cura di porre in chiaro colle sue così dette antinomie.
Onde conchiude, la ragion pura non contenere in se stessa che
principj regolativi ad ampliazione delle nozioni già date, nè
poter ella spingersi ad altro sapere in generale oltre la sfera
sigillo, alla camera ottica, avesse in vece degli oggetti studiato se
medesimo, ed investigato nella propria natura ciò che può influire sulle sue
percezioni, sarebbero stati tolti d’inganno tutti quanti, ed i tre specchj i quali
tacciavano l’un l’altro di visionario, avrebbero evitato le dispute vicendevoli
non solo, ma le tante analisi che degli oggetti avrebbero fatto per sostenere
ciascheduno il proprio assunto, ed avrebbono rilevato come sieno chiare le
idee che i filosofi avvisano estorquere dallo studio meramente obbiettivo.
Giova intanto conchiudere, qualmente la cognizione, che i dianzi supposti
automi avevano degli oggetti, era composta di un’impressione qualunque
provegnente da questi, e da quella che ciascheduno informava o mescolava
del proprio all’esterna suddetta; il perchè da quest’ultima combinazione
delle due impressioni risultavano le rappresentazioni tutte rese, alla parte, le
tante Palladi al suggello, e le sì diverse figure ai tre specchi. Ed è
precisamente riportando, senza avvedersene, la parte propria delle
percezioni agli oggetti esteriori, che la occasionano, combinando cioè gli
elementi obbiettivi coi subbiettivi della cognizione, che si compie, nel senso
dei kantiani, ciò cui diciamo sperienza.
31
Critica della ragione pura – tomo primo
Della vita e delle opere di Kant
della sperienza; ond’è che, dichiarandoli meri concetti, nulla sa
dirne di positivo (obbiettivamente vero), nè dell’incominciamento del mondo, nè della divisibilità della materia all’infinito,
nè della natura ed immortalità dell’anima e della di lei libertà, e
nè della stessa esistenza di Dio; tutti argomenti, che fino ad ora
costituirono il midollo della metafisica32.
Ma ciò, cui la critica non consente alla teoretica, lo concede
alla pratica, essendo anche pratica la ragione, in quanto atta per
se stessa determinare la volontà e la direzione imprimerle della
virtù. Ed è mediante la facoltà di questa seconda ragione
(libertà morale), che l’uomo tende infinitamente al di là d’ogni
sfera sperimentale ad una perfezione oltre i confini dei sensi (ipersensitiva): e tale tendenza lo convince della realtà
dell’ideale, della realtà di un mondo intelligibile. Perciocchè la
virtù, cui Kant considera prescritta in forza di una legge di ragione a priori, ed intimamente collegata colla felicità, la virtù,
costituisce il supremo bene. E per tale combinazione della
felicità colla virtù, come che da noi affatto indipendente, se ne
inferisce che veniamo costretti ammettere una causa prima; la
qual causa non può essere che l’ente perfetto per eccellenza,
vale a dire la divinità. Tutto questo però è molto meno sapere
teoretico, se pure lo può essere in senso critico, di quello sia
una fede pratica razionale33, una filosofia, che fa copia di sè
32
La stessa critica, la quale considera la ragione pura, come intrinsecamente
spinta per bisogno naturale ad estendere quasi despoticamente il proprio
governo in applicazioni reali obbiettive delle proprie idee, sino a creare,
come vedremo a momenti, un mondo metafisico, considera poi queste
applicazioni come postulati o meri voti e desideri della ragione medesima. E
Kant raccoglie con lunga pazienza, e divide gli accennati argomenti per
serie di tesi ed antitesi cosmologiche o teologiche; non per altro direste che
per trovarle ugualmente sostenibili, comechè paradossali; poi si esime dal
risolvere le quistioni, dichiarando ch’esse posano sopra una fallace
supposizione: che le idee cioè ond’emergono possano avere un valore
obbiettivo.
33 Kant definisce la fede: l’ammettere come vera una cosa in virtù di motivi
subbiettivamente bastevoli, obbiettivamente insufficienti. Il perchè la
32
Critica della ragione pura – tomo primo
Della vita e delle opere di Kant
più con utili credenze che non con cognizioni positive sulla
morale dell’uomo, e si direbbe ch’ella viene officiosa, onde
riempire gl’immensi vuoti, che ha lasciati, nella di lui ragione
pura, la severità della critica34. Ciò non di meno è critica essa
pure l’indagine della pratica ragione, limitata cioè sempre a
quelle tali forme originarie dell’intelletto; abbenchè si protesti
lontana da ogni pretesa non pure che da qualunque applicazione metafisica o speculativa. Il perchè, a cui chiedesse come si
conoscano dunque in senso critico la ragione pratica e la di lei
facoltà? Kant risponde: per mezzo della teoretica, la quale unitamente alla pratica non costituisce che una sola facoltà. Essa è
teoretica, prosiegue, in quanto si occupa degli oggetti di nostre
cognizioni, sia ch’esse appartengano alle cose naturali od alla
dichiara di niuna applicazione agli argomenti speculativi o teoretici, e non
avente valore che nella pratica; nella quale diventa la fede un effetto delle
condizioni annesse allo scopo cui si prefigge la ragione pratica. Quindi è
che la necessità della fede, rispetto alle verità morali, dipenderebbe dalla
necessità sì del detto scopo, sì delle condizioni annesse al medesimo.
Essendo poi anche provate queste necessità di scopi e condizioni, che
andremo tantosto annunziando, si potrebbe sempre dire avere Kant fatto
perdere il processo alla fede in prima istanza, per fargliele poi guadagnare
in appello.
34 In quanto non ammette alcun sapere positivo nella sfera trascendentale,
ma solo in quella della sperienza, Reinhold aveva già definito il kantismo,
un idealismo trascendentale ed un idealismo empirico. Ora vedendo come
nella ragione pratica cerca esso di appoggiare il valore delle idee a postulati
e prove morali, invece di rinunziare qui pure alle prove, e retrocedere alla
cognizione immediata della ragione, altri ebbi ad asserire che il kantismo
cacciò le idee dalla porta d’avanti dell’edifizio filosofico, affine di
nuovamente introdurvele per quella di dietro. La nuova direzione intanto,
cui diede Kant alle sue ricerche nella elaborazione della filosofia pratica e
religiosa, fondando unicamente sulla pratica la fede in Dio, e deducendola
dalla necessità di agire, lo condusse ad un egualmente puro che rigoroso
perfezionamento dell’etica nel suo più stretto significato, rispetto sì alle idee
morali, sì alla legge del dovere ne’ costumi. A questa legge poi diede nome
d’imperativo categorico, e la stabilì nell’intimo sentimento, cui ha l’uomo
della propria dignità.
33
Critica della ragione pura – tomo primo
Della vita e delle opere di Kant
speculazione; e divien pratica, ove determina e stabilisce
l’esercizio di nostra facoltà morale, e ne dirige gli appetiti. Analoga pertanto nel piano a quello della prima critica, questa
pure distingue gli scopi della pratica ragione in materiali, che
ne vengono da di fuori, come i piaceri sensuali, ed in iscopo
formale, che è quello cui ne prefiggiamo noi medesimi;
sebbene Kant lo consideri stabilito a priori35. E così rende, o
procura di rendere necessarie, generali ed indipendenti dai sensi, le leggi morali; ed imponendo che l’uomo debba farsi alle
tracce della virtù per se stessa, tende per lo meno ad una morale platonica, o cerca instillarne ai lettori l’entusiasmo, da cui
pare investito: se può dirsi entusiasta lo stoicismo, che rende
inflessibile agli adescamenti della voluttà, riponendo come
fondata in se medesima, la legge del dovere. Nella qual
dottrina, sebbene primeggi con tutto il vigore, ond’è suscettivo,
il senso morale, ed oppongasi, quanto può, ad un rilassato
Eudemonismo, bisogna tuttavia convenire che la virtù, qual è
prescritta da Kant, ad altro finalmente non riducesi che alla
necessità di rigorosamente agire in conformità e grazie delle
leggi sociali. Nel che la ragione pratica di Kant pare avvicinarsi
moltissimo alla dottrina dei settici sull’intimo convincimento,
35 I due scopi sono la felicità e la virtù, come quelli che risguardano l’uomo
nella sua qualità di essere sensibile il primo, e di essere morale il secondo.
Dall’accoppiamento poi della felicità colla virtù emerge, come dissi, uno
scopo ancor più elevato, quello cioè che la ragione pratica stabilisce come
necessario, e dal quale nasce la fede. Perciocchè, avendo egualmente
stabilito dover la fede ammettere per vero quanto è condizione assoluta e
necessaria di uno scopo necessario, e non potendosi mirare ad uno scopo,
tranne risguardandolo come possibile, si deve credere a quanto si richiede
onde renderlo tale. Divengono poi condizioni necessarie del detto
accoppiamento sì l’immortalità dell’anima, che un sistema di rimunerazione
dopo la vita, come lo diviene di questo sistema l’esistenza di Dio e de’ suoi
attributi. Dal che si vede queste verità non avere valore obbiettivo, come
accennai nella definizione della fede, non essere nozioni teoretiche, anzi
neppure convincenti, ma cose (come ripete lo stesso Kant) da credersi, a
manco di conoscersi.
34
Critica della ragione pura – tomo primo
Della vita e delle opere di Kant
non che alle così dette prove di sentimento di alcuni moderni.
Che anzi essa non differisce gran cosa neppure dalla maniera
volgare di filosofare, per la quale i kantisti affettano tanto spregio; quella cioè che, disperando conseguirne prove convincenti,
si attiene alle idee religiose, come a punto d’appoggio necessario alla moralità. Così questa critica morale si risolverebbe,
come conchiude il Sig. Degerando, nell’energia del più esaltato
entusiasmo sotto larva di apparato metodico; non ostante che
fosse, come diceva Reinhold un’ala di supplimento, un rimedio
all’insufficienza di tutto l’edifizio critico36.
Tali in iscorcio l’architettura ed i principj delle due critiche
della ragione, come delle due opere principali dell’autore; giacchè la terza critica, quella cioè del giudizio, è affatto a quelle
prime subordinata; ed, anzi che nulla vi aggiunga di essenziale,
non fa che abbracciarle ambedue, con quanto solo era necessa36 Le sinistre interpretazioni, che incontrò la prima delle critiche,
procurarono all’autore non solamente opposizioni, ma satire, oltraggi,
proibizione d’alcuni governi, poco accoglimento da tutti, e dicono eziandio
contrasti assai vivi per parte del proprio Sovrano, padre del Re attuale,
fomentati forse dalla ostinata contrarietà dell’Accademia di Berlino. Villers
per lo meno assicura essere state presentate sotto un falso aspetto al
prelodato Sovrano le dottrine del filosofo di Conisberga, sino ad indurlo a
proibirgli di scrivere, anzi ad esigere una specie di ritrattazione delle cose
già scritte; sinchè riconosciuto l’errore, decampasse quel principe dal
proposito, e cedesse alla modesta fermezza del saggio (e venne pubblicata
sotto gli auspici del Ministro di Stato la seconda edizione della critica). Lo
stesso autore soggiunge inoltre, che nel suo viaggio alla Capitale della
Prussia Reale, il nuovo Re non vi si mostrò punto vago di vedere l’uomo
più celebre del suo regno, mentre Alessandro visitò Aristotile in Macedonia
e Calano alle Indie. Le quali circostanze intorno alla vita dell’Autore,
siccome piuttosto riferibili alle dottrine da lui esposte nella prima critica, le
ho riserbato a questa nota, per quello che avessero potuto influire a
produrre, qual dissi la critica della ragione pratica. Dopo questo però, e non
ostante il calore, con che vi sono predicati la virtù, i doveri e la religiosità,
Kant fu tacciato qual idealista non solo, ma quale capo d’illuminati da chi
non fu mai degno di tal nome in verun senso; ed uno de’ suoi scolari più
celebri fu rimosso dalla cattedra di filosofia, per imputazione d’ateismo.
35
Critica della ragione pura – tomo primo
Della vita e delle opere di Kant
ria diversità nello sviluppo e nella sposizione, perchè ne risultasse un’opera particolare. Così i di lui principj metafisici della
scienza del diritto37 sono uno sviluppo formale delle idee di
tale scienza; il quale sviluppo conduce ad una morale negativa.
L’Antropologia sotto aspetto prammatico38 è ricca di molta
suppellettile d’interessanti ed argute osservazioni sulle scienze
le più elevate, onde renderle, si direbbe, di uso volgare. La
Geografia fisica e la Logica, pubblicate la prima da Link, da
Jahsche la seconda, si assicurano copiate imperfettamente, o
scritte come lo si poteva sotto la rapidità del discorso, duranti
le respettive lezioni. Ommetto i così detti piccioli scritti (kleine
Scrifften), i quali però fornirono materia per tre volumi, in due
diverse collezioni39.
Ciò che si riferisce tanto agli oppositori ed alle opposizioni
alla critica della ragione pura, quanto, ai riformatori, ed alle
riforme del criticismo fornirà materia alle annotazioni che
saranno aggiunte a questa traduzione. Osservo intanto che la
denominazione di critica, sebbene usata in significazione
sostantiva, sottintende il nome di filosofia o scienza; ed a cui
potesse far senso la novità del frontispizio, avverto
cogl’interpreti, il titolo dell’opera corrispondere agli usuali di
scienza dell’umano intendimento o di filosofia dello spirito
umano. Differisce però in ciò, che trattata generalmente, almeno dappoi Nevton e Loke, per via del così detto metodo sperimentale, tale scienza o filosofia, nel senso di Kant, è basata sopra un metodo a priori, fatta cioè astrazione da tutti i dati della
sperienza, considerando la ragione quasichè anteriore
all’osservazione de’ suoi prodotti, e deducendola da nozioni
esclusivamente attinte dal proprio fondo. Ed è in questo senso
che alla ragione si aggiunge il predicato di pura, vale a dire teoretica e generale affatto, indipendente da ogni uso di sperienza,
37
Conisberga 1797.
Ivi 1798. e 1800.
39 Conisberga e Lipsia 1797.: Halle 1799. Raccolta di Tieftrunk.
38
36
Critica della ragione pura – tomo primo
Della vita e delle opere di Kant
e fondata su principj noti a lei e per lei sola. Chè ove la ragione
poggia sui fatti e da essa deriva, i kantisti la dicono individua,
empirica, sperimentale; e chiamano psicologia empirica la
scienza o filosofia dell’intelletto o dello spirito umano, trattata
e ricevuta col metodo e nel senso ordinario. Nel che si appellano alla distinzione aristotelica tra la teoria e la sperienza, dandosi già da quei tempi nome di scienza o cognizione alla prima,
e di empirica alla seconda. Ho già indicato in qual significazione tali nozioni e dottrine dicansi trascendenti o trascendentali,
secondo che gli oggetti si considerano indipendentemente dalla
maniera, nella quale sono da noi percepiti, o in quanto su loro
influisce la nostra maniera di percepirli; in quanto cioè non ci
occupiamo degli oggetti, bensì del come ne acquistiamo contezza, e cerchiamo di spiegare a priori la possibilità di
acquistarla. E siccome lo scopo di Kant era di quindi esaminare
e provare la legittimità di ogni nostro sapere, così ha dato al
suo metodo nome di critica; ed è metodo nuovo, anche per ciò
che finisce precisamente ove incominciano le teoretiche ordinarie. E, quantunque abbia esso tutto l’aspetto di scientifico e dottrinale, pare a Kant non doverselo chiamare scienza e neppure
dottrina, ma piuttosto magistero, disciplina, o come sarebbe a
dire un laboratorio, in cui l’umano sapere assaggiare, depurarlo, e rettificarne il valore.
37
Prefazione dell’autore
alla prima edizione di quest’opera
Gli è come destino dell’umana ragione, in certo genere di
cognizioni, perch’ ella si affatichi, anzi che possa rifiutarsi, a
quistioni che le vengono mosse d’ora in ora, per genio
naturale alla ragione medesima; quantunque non atta essa
risolverle in quanto le sembrano trascendere la sfera di sue
capacità. Non è pertanto sua colpa s’ella cade in simili
difficoltà; come quelle che nascono da leggi e massime, l’uso
delle quali non può evitarsi nella sperienza della vita, e tanto
meno quanto più viene giustificato in conseguenza quell’uso.
Bensì che alto sollevasi la ragione con que’ principj ed,
essendo a ciò presta di sua natura, sale quindi a qualità più
remote. Ma, sentendo ella dovere in tal guisa imperfette
rimanersi mai sempre le proprie fatiche, nè mai farsi alcun
termine alle quistioni, trovasi obbligata ricorrere a’ dogmi, i
quali oltrepassano per quanto è possibile ogni uso di
sperienza, e sembrano sì giusti nel tempo stesso, perchè si
accordi con esso loro il comune consentimento. Dal che ne
viene che, precipitandosi essa medesima in oscurità e
contraddizioni, ben quinci s’avvede la ragione come debbano
in qualche parte nascondersi non che fondarsi gli errori. Ma
non può essa per ciò rivelarli; chè, oltre i confini d’ogni
sperienza passando i principj dei quali si giova, questi non più
soggiacciono ai di lei criteri e nè più tampoco li riconoscono.
E dicesi metafisica il campo di queste infinite contese.
Ben fu tempo in che la metafisica venne salutata reina delle
scienze quante si erano; e, se prendiamo l’intenzione pel fatto,
certo che l’importanza delle cose, ch’ella si propone, la
renderebbe assai meritevole di nome così onorifico. Ma il
Critica della ragione pura – tomo primo
Prefazione alla prima edizione
tenore dei tempi la ridusse a che debba essa, ripudiata e
deserta, lagnarsi coll’Ecuba d’Ovidio
Modo maxima rerum,
Tot generis natisque potens…,
Nunc trahor exul inops.
Donna già d’alta possa,
E sì ricca di generi e di prole,
Ora in esiglio a mendicar son tratta.
Dapprima sotto il governo dei dogmatici fu pressochè
despotico il di lei dominio. Mentre però le sue leggi
mostravano tuttavia le vestigia dell’antica barbarie, le guerre
intestine fecero sì che degenerasse poi quel governo in verace
anarchia. Sopravvennero i scettici, essendo i quali una razza di
Nomadi40 che, lungi dall’accudirvi, hanno in abborrimento la
coltivazione del proprio terreno, andò via via rallentandosi e
disciogliendosi ogni legame di società. Solchè, ridotti essendo
40
Non ostante che l’autore sia sempre conseguente a quanto esprime in
questo luogo, tuttavolta che fa parole del setticismo, egli parte però sempre
dal dubbio nelle sue quistioni, interrogando se medesimo sulla possibilità
della cosa domandata. Il che fece per avventura dire al Sig. Villers, che il
setticismo ed il criticismo camminano pari passo e di brigata, sin dove il
primo s’arresta; dove cioè lo scettico risponde negativamente alla dimanda,
che già da lungo tempo credono i dogmatici avere affermando soddisfatta:
se vi sia una metafisica? Ed è la prima anzi quella, che tutte abbraccia le
quistioni della critica; la quale non è già paga di chiedere se la vi sia, ma
insiste se, in qual modo, e sin dove sia essa possibile. Ora ponno ridursi a
questo i diversi punti, ove lo scettico si arresta nel dubbio: e non è che
infingardaggine o tristo interesse, che valgano trattenere l’uomo in uno
stato di vera violenza pel di lui spirito; giacchè lo stesso Rousseau ebbe a
dire nell’Emilio, essere così fatta la tempra dell’uomo ch’ei preferisce
l’inganno al nulla credere. Ma non s’arresta coraggioso il critico,
soggiunge Villers, ed accommiatandosi dal compagno: Rimanti gli dice, se
vuoi e siedi sul dubbio, come su pietra sulla quale mal pensi riposare. A me
a vedere su che poggia e sin dove s’approfonda cotal pietra, a me lo
scavarla dalle radici dell’umano sapere, lo svelare il mistero di sua
formazione, e lo scoprirne, per quanto si può, gli elementi.
39
Critica della ragione pura – tomo primo
Prefazione alla prima edizione
costoro a pochi, non valsero impedire perchè tornassero i
primi coltivatori; per quanta si dessero pena i quali nei loro
lavori, questi furono però senza spirito di comune accordo e
vicendevole cospirazione. Non ha guari che il celebre Locke,
mediante una quasi fisiologia dell’umano intendimento, parve
stabilire un termine a tante dissensioni e dispute, e dichiararne
il valore41. Se non che avvenne che, sebbene i natali della
supposta sovrana si derivassero dalla massa delle più volgari
sperienze, ond’è che avrebbe dovuto riescirne giustamente
sospettata la presunzione; e, non ostante che falsa di fatto
l’attribuzione di quell’origine, tuttavia la metafisica insistè per
modo nelle sue pretese, talchè si ricadde in quel vieto e tarlato
dogmatismo, dal quale si avrebbe voluto liberare la scienza. Di
maniera che dopo avere indarno tentato, come si crede, le vie
tutte quante, regna invece la noja e quello spirito di piena
indifferenza42, che è padre di confusione e di tenebre nelle
41
Lo stesso può dirsi di Aristotile fra gli antichi, alludendo al non essersi
per le fatiche di questi due grand’uomini costruita una critica di puro
intendimento. Perciocchè le fatiche loro non giunsero alle operazioni delle
facoltà intellettuali che come a fatti, senza che avessero per iscopo
d’indagarne la possibilità e quindi stabilire in generale il valore
dell’umano sapere. Era quindi inevitabile, sinchè non se ne conoscevano i
confini, che la ragione, oltrepassandoli, fosse portata sulle ali
dell’immaginazione in un mondo metafisico, senza nulla guadagnare nel
saper suo positivo, e senza che le fosse tuttavia possibile concepire come
venisse a trascendere la sfera della sensibilità, e da quali cause vi fosse
spinta. Ora i limiti della ragione rimasero celati, perchè s’ignorava in che
differiscano la sensibilità e l’intendimento; ignoranza per la quale
attribuivasi all’una delle due facoltà quanto all’altra competeva, e si
eccedeva specialmente nel porre a carico dell’intelletto, assai più di ciò, cui
potess’egli per sua natura soddisfare.
42 Ciò che dice la nota precedente di Aristotele vale per quanti furono i
filosofi dell’antichità, per niuno dei quali fu impresa l’analisi della facoltà
pura dell’intelletto in se stessa col metodo, con cui solo potevano
conseguirsene deduzioni soddisfacenti. Perciocchè gl’inventori dei sistemi
filosofici mossero tutti dalla considerazione delle cose in se medesime,
senza mai prendersi briga di prima investigare nello stesso intelletto i
40
Critica della ragione pura – tomo primo
Prefazione alla prima edizione
scienze. E’ però eziandio preludio certamente, se non anzi
origine, di trasformazione vicina e di rischiaramento di opera
fatta oscura, per cattivo collocamento, e resa quindi confusa
ed inutile.
A nulla ridonda infatti l’affettare indifferenza rispetto ad
investigazioni, lo scopo delle quali non può a meno di
sommamente interessare la natura umana. Altronde, per quanto
si studiino quelli che si vantano indifferenti, onde ridurre
affatto popolare il già sì cambiato linguaggio delle scuole,
solchè ad alcuna cosa pensino da senno, eccoli ricadere in
quelle stesse proposizioni metafisiche, al dispregio delle quali
pongono pure tanta cura. Frattanto, e ciò non di meno, è ben
degno di riguardo e meditazione questo spirito d’indifferenza,
che sorge in tanta luce d’ogni scienza, e cerca invadere pur
quelle, alle quandomai possibili nozioni delle quali niuno di noi
certamente sarebbe vago di rinunziare. Oltre di che gli è
manifesto essa non essere frutto nè di temerità nè di
leggerezza, bensì della facoltà di giudicare in età bastevolmente
matura43, perchè oramai non consenta di essere delusa da una
principj della contemplazione, come i soli dietro i quali calcolar poscia il
valore dei risultamenti delle fatte ricerche. Quindi è che o presto la censura
scopriva la imperfezione dei sistemi o, dopo essersi vanamente affaticati, si
cadeva nell’indifferenza o nel setticismo.
43 Si odono lagnanze di quand’ in quando sulla quasi povera maniera di
ragionare de’ nostri giorni, e sul decadimento della vera scienza. Non però
sembrami tal redarguzione convenire alle scienze ben costituite, come la
matematica, la fisica e simili, che non solo conservano l’antico lustro di
verità, ma che anzi lo vanno superando. Ora lo stesso vigore si
manifesterebbe ugualmente in altri rami dell’umano sapere, ove si fosse
posto mente a prima di tutto emendarne i principj. Trascurata la qual cosa,
l’indifferenza, la dubbiezza, e la valorosa critica non altro provano infine
che movimenti più fermi e determinati nella maniera di pensare. Perciocchè
l’età è proprio questa della critica; nè v’è cosa che non debba esserle, di
necessità, sottoposta. Ben cercano d’ordinario sottrarsele sotto l’usbergo di
santità la religione, come sotto quello della maestà loro le leggi: nel qual
caso esse corrono rischio di essere giustamente sospette, e di non potere a
41
Critica della ragione pura – tomo primo
Prefazione alla prima edizione
scienza fittizia, ed alla ragione si appelli, perch’ essa
nuovamente si occupi della più grave di sue bisogne, qual è la
cognizione di se stesso, e costituisca tribunale competente, il
quale pronunzii con sicurezza, e valga ogni vana tracotanza
reprimere, con arbitrarie sentenze non già, ma in virtù di sue
leggi eterne, immutabili: nè altro evvi tribunale più competente
all’uopo, tranne la critica della ragione pura.
Ma per critica della ragione pura non già intendo censura di
sistemi o libri, bensì di quanta è la facoltà di ragionare intorno
a tutte le cognizioni, sulle quali si possa, indipendentemente da
ogni sperienza, trovare fondamento. Essa mira dunque a
decidere sulla possibilità od impossibilità della metafisica in
genere, a determinarne sì le fonti e l’estensione, che il
complesso ed i termini, e tutto ciò in conseguenza di principj.
Sono entrato pertanto in questa strada, la sola che rimanesse
a battersi, e credo avere in essa manifestato come vi si possano
evitare tutti gli errori, pei quali dissente da se medesima, ogni
qual volta non assistita dall’uso della sperienza, la ragione. Nè
ho cercato perciò di esimermi dal rispondere alle di lei
quistioni, o di eluderle con pretesto e scusa d’impotenza
dell’umano intendimento. Ma ho distinta e distribuita in tutte le
sue parti, sempre in forza di principj, la stessa ragione; ho
destinato espressamente un capitolo alle di lei contraddizoni
con se medesima, e le ho spianate in modo che sembri averla io
piuttosto soddisfatta. Non ho però quelle quistioni risolto, come
si sarà forse aspettato, la dogmaticamente pazza curiosità; il
che per me non si poteva, lontano come sono ed ignaro d’ogni
fattuccheria. Nè avrei con ciò corrisposto allo scopo naturale
del nostro intelletto, nè a quello cui sempre si propose la
filosofia; di cioè togliere qualunque inganno emerga da mala
intelligenza, e quando pure a costo di distruggere opinioni
celebratissime non che predilette. Nel trattar le quali cose posi
quella estimazione sincera pretendere, che la ragione accorda solamente a
quanto può sostenerne il libero e pubblico esame.
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Critica della ragione pura – tomo primo
Prefazione alla prima edizione
mente ad essere quanto bisognava diffuso anzi che no: ed oso
asserire non darsi la menoma quistione metafisica, la quale non
trovisi risolta ed appianata in quest’opera, o che non vi si trovi
per lo meno la chiave, onde risolverla. Chè di vero è sì perfetta
ed assoluta l’unita di tutto quanto, su che verte la ragione pura,
che qualunque suo principio atto non fosse a risolvere una sola
delle quistioni, ch’essa per sua natura esibisce a se stessa, lo si
potrebbe, dirò così, rigettare affatto, come inetto pure a tutte le
altre.
Mentre scrivo le quali cose parmi vedere in volto a chi legge
un certo sdegno misto ad ischerno per quasi come sfrontata non
che immodesta jattanza; quantunque più assai moderata
codesta, che non quella dei programmi comunissimi di altro
qualunque autore, il quale imprendesse a provare niente meno
che la natura semplice dell’anima, o la necessità
dell’incominciamento del mondo. Eppure questi presumerebbe
d’ingrandire non pure che di estendere, oltre quanti sono i
limiti possibili dell’esperienza, l’umana cognizione: ciò che io
confesso trascendere le mie facoltà; come quello che non tratto
che della ragione stessa e del puro di lei pensiero. Nè mi
occorre, onde averne piena cognizione, di farne lontane
ricerche; poichè la troverò in me stesso, e me ne offrono tal
esempio le stesse logiche più volgari, da potere
sistematicamente annoverare non che distinguere tutte le azioni
semplici della ragione. E qui sarebbe piuttosto luogo alla
domanda: quanto e sin dove la si possa immaginare, senza ogni
materiale non che ajuto di sperienza?
Ma feci a bastanza parole sì dell’ampiezza dell’argomento,
quantunque tendente ad un sol fine, sì del piano col quale
ottenerne tutti gli scopi, a cui non si preferisce arbitrario il
soggetto, ma lo riceve dalla stessa natura della cognizione, che
serve di materiale a questa indagine critica.
Due cose però, le quali si ha tutta ragione di chiedere ad
uno scrittore, che si commette a sì lubrica intrapresa, sono la
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Critica della ragione pura – tomo primo
Prefazione alla prima edizione
certezza e la chiarezza, poichè indispensabili al tenore dell’opera.
Per ciò che riguarda la certezza, mi sono pronunziato la
sentenza per me stesso, poichè dichiarai assolutamente illecita
ogni opinione in questo genere d’indagini ed esservi, quasi
merce di contrabbando, interdetta ogn’idea che abbia solo
sembianza d’ipotesi; così che, anzi che nullamente ammettervisi, la si deve sbandire, non che dichiarare, sì tosto che
riconosciuta, per tale. Qualunque sia di fatto la cognizione di
stabilirsi e provare per anticipazione, già per se medesima
indica dover essa ritenersi assolutamente necessaria; e tanto più
trattandosi di determinare a priori quante sono le nozioni pure:
come quelle che vogliono servire di norma, e sono già esempio
per se stesse di ogni apodittica (necessità di persuasione) nella
certezza filosofica. Se io tenga in ciò la parola ne rimane il
giudizio ai lettori, non potendo l’autore che le ragioni esibire,
non già prevedere gli effetti loro sull’animo di chi deve
giudicarle. Solchè, onde non sia motivo benchè innocente, per
cui vengano quelle infermate, sarà certamente lecito a chi
scrive il far cenno egli stesso dei punti, che potessero far luogo
ad alcuna diffidenza, quantunque rispetto solamente ai fini
secondari, per così preventivamente allontanare ogni anche
minima occasione di ambiguità, risguardo al fine principale
delle massime respettive. Nella diligente informazione di
quella facoltà cui dicono intendimento, e nel determinare le
leggi ed i confini del di lui esercizio, non ho mai conosciuto
ricerche più importanti che le per me intraprese nel capo
secondo dell’analitica trascendentale44: come quelle che mi
costarono molta e spero non vana fatica. Perciocchè,
penetrando più addentro nell’argomento, proposi due cose alla
relativa contemplazione, una della quali si riferisce alle già
subordinate alla ragione pura, e tende, anzi deve insegnare non
che provare per anticipazione il valore obbiettivo de’ respettivi
44
Deduzione dei concetti puri dell’intelletto.
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Critica della ragione pura – tomo primo
Prefazione alla prima edizione
concetti; vale a dire che per ciò appunto risponde
necessariamente al mio proposito. L’altra poi mira chiamare
non che subordinare alla ragione lo stesso intendimento puro,
in quanto alla possibilità e facoltà pelle quali esso è destinato
ed idoneo a sapere, sotto il di lui rapporto cioè subbiettivo. La
quale sposizione, per quanto mi sembri di gravissima
importanza, rispetto al fine, cui mi sono principalmente
prefisso, non però gli appartiene di tutta necessità. Perciocchè
rimane inalterata non pertanto la quistione, cosa cioè possano e
quanto conoscere l’intelletto e la ragione privi d’ogni soccorso
d’esperienza; chè nè perciò si chiede qual sia o possa essere la
stessa facoltà di pensare. Siccome la qual ultima quistone
risguarda una quasi ricerca di causa, rispetto ad un dato effetto,
ed inchiude quindi alcunchè d’ipotetico (sebbene così di fatto
non sia, come dimostrerò altrove); così pare si potrà in ciò
perdonarmi l’opinare; tanto più che resta in balìa di chi legge il
mantenersi di contrario avviso. Su di che, per altro, penso
doverlo inoltre avvertire in prevenzione, che se mai la mia
deduzione subbiettiva non meritasse da esso lui sì piena fede
che me ne fossi lusingato, nulla però vi perderebbe del suo
valore l’obbiettiva: ed è quella di cui faccio il massimo conto
in proposito.
Rispetto alla chiarezza finalmente, può il lettore a tutto buon
diritto pretendere la discorrevole o logica nei concetti, quindi
anche la intuitiva od estetica nelle imagini e nelle altre maniere
di ogni singolo rischiarimento. Ed ho provvisto quanto
conviensi alla chiarezza logica nei concetti, siccome a quella
che richiedevasi per l’indole medesima dell’opera. Se non che
la stessa cura, cui vi posi, è forse motivo che non avrò potuto
soddisfare ugualmente a legge così rigorosa che altronde
giusta, rispetto alla chiarezza estetica. Fui anzi lungamente
perplesso, avanzando nel mio lavoro, a che dovessi perciò
determinarmi; giacchè incontrava sempre bisogno di esempi e
dichiarazioni, sui quali ho quindi a suo luogo ed
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Critica della ragione pura – tomo primo
Prefazione alla prima edizione
opportunamente calcolato nel primo sbozzo dell’opera. Allora
però io non considerava che, per così dire, in iscorcio
l’ampiezza dell’intrapreso argomento, e la molta suppellettile
delle cose da trattarsi: mentre, avendo poi compreso qualmente
queste sole avrebbero dato quanto bastava estensione al lavoro,
anche limitandolo al più secco e mero trattato scolastico,
parvemi fuori di proposito il via maggiormente ampliarlo con
copia di commenti e paragoni, onde ha d’uopo la sola
intelligenza del volgo. E tanto più che, non potendo questo
lavoro per verun conto addirsi o ridursi ad uso volgare,
gl’ingenui estimatori delle scienze non hanno egual bisogno di
chiose; le quali per quanto potessero incontrare accoglimento,
non però converrebbe il quasi a disegno costì farvi luogo45.
Siccome anzi diceva l’abb. Terasson doversi la vastità di un
libro misurare, dal numero delle pagine non già, bensì dal
tempo che vi si vuole a ben comprenderlo (il perchè certi libri
assai più brevi e concisi riescirebbono, se lo fossero meno);
così, risguardo all’agevole comprendimento di quanto si voglia
estesa cognizione contemplativa, semprechè sia questa coerente
ad un vero principio, potrà dirsi con eguale verità, che
riescirebbe assai più chiaro un qualche libro, se tanto non fosse
bisogno di renderlo chiaro. Ed, alludendo a cotesto, mancano
per avventura i soccorsi per l’evidenza nelle di lui parti, sono
essi però frequenti e diffusi nel tutto. Che se non conduco sì
tosto il lettore al pieno di lui comprendimento, e vado con tinte
ora lucide, ora chiaroscure, spargendo ed adombrando
l’architettura, e le connessioni del sistema, gli è che non può
giudicarselo, eccetto e solo da chi e dappoi che ne conobbe
l’unità e la sodezza. Oltre di che reputo cosiffatta maniera di
esporlo poter essere di molto eccitamento ai leggitori, perchè
45
Senza defraudare al merito dei motivi, con che l’autore giustifica
l’ommissione dei commenti ed esempi; questi riescirebbono tuttavia, come
dissi nei cenni biografici, più graditi di quando in quando, che non la
giustificazione di avergli ommessi.
46
Critica della ragione pura – tomo primo
Prefazione alla prima edizione
l’attenzione loro aggiungano all’opera di chi scrive; se gli è pur
lecito sperare che sarà per compiersi, e lungamente sostenersi,
alla maniera in che se lo propose, un sì grandioso e serio
lavoro. Conciosiachè la sola metafisica è quella fra le scienze,
la quale, dai concetti che sono per quivi dichiarare sulla
medesima,
possa
lusingarsi
di
conseguire
tanto
perfezionamento, in breve tempo e con mediocre fatica (ove sia
combinata), che alla posteriorità non debba rimanere che la
bisogna di analogamente ridurre e distribuirne tutti gli oggetti,
senza che sia per ciò nullamente possibile aumentarne il
materiale. Altro infatti la metafisica non risulta quindi essere,
che un indice sistematico di quanto possediamo in grazia della
ragione pura: nè v’è cosa che possa sfuggirne, di quelle almeno
ch’ella per se stessa rivela; giacchè sarebbe vana impresa il
volerle occultare, ove la stessa ragione le mette in chiaro, sì
tosto che ne sia stato scoverto il principio comune. Chè solo
amplificando ed estendendo la sì perfetta unità di codeste
cognizioni, ed essendo elleno inoltre dedotte unicamente da
concetti così puri, che nulla vi entra di empirico, e non fossero
che intuizioni particolari, le quali potessero guidare a certa e
definita sperienza, ed in essa esercitare il poter loro, l’insieme
di cui sopra diventa non solo assoluto, ma sì pure necessario.
Tecum Habita: noris quam sit tibi curta supellex.
Teco abita,
E vedrai non t’aver che cenci e zacchere46.
Un tale sistema della ragione pura (contemplativa) spero
produrre io stesso una volta col titolo di Metafisica della
natura47. E sarà più breve della metà, sebbene contenendo
46 Così nella versione del Sig. Cav. Monti, la quale però non rende il verso
di Persio nel senso, cui allude in questo luogo il filosofo, e sarebbe, se mal
non m’appongo,
Teco rimanti e ti saprai ben corto.
47
Non va confusa, quest’opera, coi principj metafisici della scienza della
natura, come quelli che trovandosi citati nella critica, debbono averla
47
Critica della ragione pura – tomo primo
Prefazione alla prima edizione
assai più cose che questa critica non contenga: mediante la
quale importava esporre da prima le fonti e condizioni della
possibilità di quella, espurgarne il suolo incolto ed appianarlo.
Se in questa pertanto confido nella sofferenza dei leggitori e
nell’animo equo dei giudici, non m’aspetto ivi che a facilità ed
ajuto di compagnia. Perciocchè, sebbene i principj tutti di
questo sistema sieno ampiamente stabiliti nella critica, onde
però perfezionarlo si richiede inoltre copia e concorso di
concetti derivati. Siccome i quali non possono determinarsi per
anticipazione, ma debbono indi appunto inferirsi e
raccogliersi; e siccome viene ora tutta esaurita la sintesi dei
concetti; così non resterà che di fare altrettanto rispetto
all’analisi: tutte cose che riescono assai più agevoli ad
eseguirsi, oltre che allettano coll’amenità, più che non
istanchino colla difficoltà del lavoro.
preceduto. Non essendo, ch’io mi sappia comparsa l’accennata metafisica,
si può inferirne che l’autore abbia esaurito o cangiato il suo progetto coi
prolegomeni accennati nei cenni biografici.
48
Prefazione alla seconda edizione (1787).
Se lo studio per cui perfeionare le cognizioni, che sono
retaggio della ragione, sia o no atto a battere un sentiero sicuro
e scientifico, lo si potrà quanto prima dall’evento giudicare.
Perciocché, fino a tanto che tale studio veggiamo arenato ed in
forse, appena giunti, dappoi gran preparativi ed apparecchi, al
proposto fine; così ogniqualvolta non è possibile mettere
all’unissono i diversi collaboratori, che pur tentano colpire alla
stessa maniera nel comun segno, teniamo per fermo che il detto
studio, ben lungi dal calcare il cammino sicuro della scienza,
non fa che andare qua e là tentoni e palpando. Ed è già un
merito, presso la ragione, l’adoperarsi a per quanto è possibile
aprire siffatta strada; e fosse anche a costo di quindi rinunziare
a quanto di vano era già nello scopo, senza la dovuta riflessione
prefisso.
Che da’ tempi remotissimi appestasse la logica una via così
certa, lo si può da ciò arguire che, dopo Aristotile, non le fu
mai d’uopo retrogradare neppure di un passo; non volendo
reputare quali miglioramenti ed ammende in proposito nè
l’allontanamento di alcune inutili sottigliezze, nè la per
avventura più chiara sposizione di argomenti già prima
discussi; come cose le quali appartengono piuttosto
all’eleganza, che non alla certezza della scienza. Egli è anzi
degnissimo di rimarco non avere questa sino al dì d’oggi potuto
neppure di un passo avanzare: dal che potrebbe inferirsi essere
già pienamente compiuta e perfezionata la logica. E se alcuni
moderni avvisano per ciò ampliarla, che vanno
intrommettendovi quando argomenti psicologici sulle diverse
forse del sapere (come sarebbero l’immaginativa o la fantasia),
quando i metafisici risguardo all’origine della cognizione od al
come variino della certezza i gradi, giusta la varietà degli
Critica della ragione pura – tomo primo
Prefazione alla seconda edizione
oggetti (idealismo, scetticismo ec.), e quando gli antropologici
rispetto alle pregiudicate opinioni, alle cause loro ed al come
apporvi riparo, mentre ciò fanno, ei si dichiarano ignari della
natura e facoltà di questa scienza. Chè le scienze non si
aumentano, ma le si guastano tuttavolta che se ne confondono i
confini; e quelli della logica sono in ciò appunto colla massima
precisione determinati, che a null’altro è dessa destinata che ad
esporre una per una, e rigorosamente indicare, le regole formali
d’ogni pensamento, provenga poi questo a priori o
dall’empirismo, abbia origine od oggetto qualunque si voglia, e
sia che trovi per accidete o naturali nell’animo
gl’impedimenti48.
48
Ammessa, come si vedrà in seguito, la distinzione della logica in generale
ed applicata, nel linguaggio dell’autore la generale diventa logica pura, ed
empirica l’applicata. E definisce la prila quale scienza delle regole, già
fondate nell’intelletto, e che debbonsi osservare ne l’uso del pensare; la
scienza cioè delle forme già necessarie de’ nostri concetti e giudizi. Alla
quale scienza o filosofia formale non competendo che il trattar delle forme,
dev’essa far astrazione da ogni oggetto concreto del pensiero, vale a dire
dalla materia, e dal contenuto degli oggetti; che sotto questo rapporto
appartengono alle altri parti della filosofia, che potrebbe quindi chiamarsi
col nome generico di materiale: e sarebbe l’opposto della logica pura, presa
nella dianzi accennata significazione. Nel qual senso l’empirica od applicata
non costituirebbe, a propriamente parlare, una scienza, ma sì piuttosto un
ammasso d’osservazioni, di principj e di massime intorno alla funzione del
pensare, avuto risguardo al soggetto in cui la si esercita, come sarebbero le
passioni, l’immaginazione, i pregiudizi, o rispetto alle fonti del sapere, alla
genesi delle idee, alla diversità degli oggetti, alle qualità ed imperfezioni del
linguaggio e così via discorrendo. Ma le nozioni comunque interessanti, e le
ingegnose risultanze, le quali emersero dallo studio su questi argomenti, non
avrebbero, nel senso di Kant, fatto far alcun passo alla logica, come scienza.
Che anzi, trattandosi di ricerche straniere non che accessorie, avrebbero
queste fatto perdere di vista e cnfusi reciprocamente i confini della scienza
formale con quelli della materiale. Sotto questo rapporto non sarebbe che
una logica empirica l’opera di Malebranche, e sarebbe un misto di
psicologia empirica, di metafisica, e di grammatica generale la logica di
Condillac. Adescati quindi gli scrittori per la facilità di una strada eclettica,
ebbero il successo della popolarità, disertando sullo spirito umano fra i
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Critica della ragione pura – tomo primo
Prefazione alla seconda edizione
Dell’avere tal vantaggio sì bene ottenuto la logica, essa ne
va debitrice a quella sua limitazione, ond’è autorizzata, anzi
tenuta, fare astrazione da tutti gli oggetti del sapere non che
dalle differenze loro; e non deve in essa occuparsi di altro
l’intelletto se non che di se medesimo e della propria forma.
Dove bisognò naturalmente che assai più arduo riescisse alla
ragione il prepararsi una strada scientifica e l’incamminarsi con
sicurezza, ogni qual volta ebbe che fare con se stessa non solo,
ma sì pure cogli oggetti. Quindi è che, come iniziativa
(propedeutica) delle tre scienze, la logica non ne costituisce per
così dire che l’atrio; e quando si tratta di cognizioni, ben si
procede con qualche logica, onde giudicarle; ma l’acquisto
delle medesime non può rintracciarsi altrove che nelle scienze
vere od obbiettive, come si usa denominarle.
Perchè debbano queste chiamarsi razionali, ed esservi
inerente la ragione, gli è dunque necessario che ci si possano
alcune cose comprendere a priori; e la ricognizione loro, come
tali, può in due modi riportarsi all’oggetto che ne dipende,
secondo cioè che si tratta o di determinare sì la cosa che il di
lei concetto (il quale deve di necessità esistere altrove), o di
effettivamente realizzarli: delle quali due maniere la prima è la
teoretica, la seconda è la ragione pratica. La parte pura
dell’una e dell’altra maniera, e quanto molto o poco ne cape
ciascheduna, quella cioè, in grazia di cui la ragione determina
per anticipazione il proprio oggetto, siffatta parte dico è quella
che vuol trattarsi la prima e sola, nè mai devono con essa
confondersi le derivate per altre sorgenti. Perciocchè farai
cattiva economia se profondi sconsigliatamente quanto avessi
guadagnato; e, trovandosi quella in secco, non saprai
distinguere né qual parte del guadagno valga sostenere la spesa,
nè quale debbasi di questa circoscrivere od emendare.
segni ed i concetti, ull’analisi ec.; ma la vera logica non ne avrebbe
conseguito alcun emolumento.
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Critica della ragione pura – tomo primo
Prefazione alla seconda edizione
La matematica e la fisica sono entrambe conoscenze
teoretiche della ragione, che debbono stabilire per
anticipazione gli oggetti loro (sottoposti), la prima tutto
puramente, l’altra per lo meno in parte, nel resto anche per
tutt’altre fonti di cognizione, che per quella della ragione.
Dall’antichità più remota, sin dove almeno può giungere la
storia dell’umana ragione, la matematica pose piede sulla via
sicura della scienza presso la più ammirabile fra le genti, la
greca. Non è però da credersi aver essa potuto abbattersi o farsi
ardito, per dir meglio, a quella strada maestra, e prepararsela sì
facilmente che la logica, nella quale non si occupa la ragione
che di se stessa. E sono anzi d’avviso che la matematca
eziandio andasse lunga pezza tentoni e palpando, presso gli
Egiziani sopra tutto; e che debba il cambiamento attribuirsi ad
una rivoluzione, occasionata per la benaugurata idea, che avrà
scorto l’ingegno di un sol uomo ad imprenderne con successo il
tentativo. Dopo di che penso non sarà stato più quasi possibile
fallar la strada o scartarsene, come quella sulla quale fu poi
giocoforza mantenersi e progredire; onde non rimaneva che di
batterla, poichè tracciata per tutti i tempi e ad immense
distanze, come unicamente sicura per la scienza. Non pervenne
sino ai nostri tempi nè la storia di tale convertimento nella
maniera di pensare, quantunque di gran lunga più importante
chenon fu la scoperta del sì rinomato Capo (di Buona speranza)
nè che fosse l’ingegno felice che lo divisòe condusse ad effetto.
Ciò non di meno la fama, la quale ne trasmise, per mezzo di
Diogene Laerzio, il nome presuntivo dell’inventore dei minimi
elementi della dimostrazione geometrica (li quali per verità e
per universale consentimento neppure abbisognavano di
prova), mostra che dev’essere ai matematici sembrata
rivelantissima la ricordanza del cambiamento accaduto alla
prima traccia della nuova strada quindi aperta, e dev’essere
loro sembrato rilevante al segno, perchè ugualmente preda non
fosse d’obblìo. Così un raggio di luce rifulse pure a chi primo
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Critica della ragione pura – tomo primo
Prefazione alla seconda edizione
dimostrò il triangolo equilatero; sia ch’ei si chiamasse Talete o
comunque: perciocché scoprì che doveva non già investigare
quanto rilevava nella figura, e neppure il solo concetto della
medesima, per quindi quasi appararne le proprietà; ma che gli
era d’uopo ricavarle da quanto vi aveva introdotto col pensiero
e rappresentato egli stesso per mezzo di concetti a priori; e che,
per avere sicura contezza di checchesia per anticipazione, gli è
mestieri non aggiungere mai niente alla cosa, tranne quanto è
necessaria conseguenza di ciò, cui si è già riposto nella
medesima, coerentemente al proprio concetto.
Molto maggior tempo vi si volle alla fisica, prima ch’essa
incontrasse il gran cammino della scienza; poichè decorre a
pena un secolo e mezzo all’incirca, da che il consiglio del
perspicace Bacone da Verulamio diede in parte occasione a tale
scoperta, ed in parte vi animò, trovandosi già i fisici su quelle
tracce; ciò che può ugualmente, anzi non per altro, spiegarsi
che in virtù di cambiamento rapidamente avvenuto nella
maniera di pensare. Ora mi farò a considerare la fisica
solamente, in quanto empirici sono i principj sui quali è basata.
Quando Galilei spiccava giù da un piano inclinato palle,
delle quali aveva egli già determinata la gravità; quando l’aria
caricava Torricelli di un peso, dianzi per esso imaginato eguale
ad una già pure conosciuta colonna d’acqua, e quando più tardi
cangiava lo Stahl in calce i metalli e quella di bel nuovo in
questi, aggiungendovi o sottraendone alcunchè49, gli è allora
che nuova e maggior luce balenò ad ogni sguardo investigatore
della natura. Allora compresero i fisici che la ragione penetra
soltanto le cose ch’ella medesima produce a progetto, ch’essa
deve precedere co’ principj de’ suoi giudizi, dedotti da leggi
costanti, ed obbligare natura perchè alle sue dimande
soddisfaccia, nè mai quella soffrire di essere da questa sola,
come fanciullo, corretta e guidata. Che altrimenti le
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Qui non si tiene dietro con precisione al filo storico del metodo sperimentale; oltrechè nè a bastanza conosciuti ne sono per avventura i veri principj.
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Critica della ragione pura – tomo primo
Prefazione alla seconda edizione
osservazioni prodotte dall’accidente, o fatte senza mirare con
esse ad uno scopo ed ordine prestabiliti, non possono essere fra
di loro d’accordo, e dipendenti da una legge necessaria: il che è
quanto la ragione ricerca e di quanto ha bisogno. Perciocchè,
dell’una mano afferrando i principj, la sola mercè dei quali
possono i corrispondenti fenomeni aver forza di leggi, ed
eseguendo coll’altra gli esperimenti già imaginati
analogamente ai detti principj, deve la ragione avanzarsi verso
la natura, per esserne istruita bensì, non però come scolare che
si lascia dettare ogni cosa dal maestro e come più a questo
aggrada; ma quale giudice costituito, il quale costringe i
testimonii rispondere alle interrogazioni che va loro facendo.
Quindi è che persino la fisica è debitrice di rivoluzione così
vantaggiosa, nel suo modo di pensare, al felice azzardo che la
portò a ricercare, non già fingere, nella natura, e coerentemente
a quanto vi aveva intromesso la stessa ragione, ciò che doveva
questa imparare da quella, e di che non avrebbe saputo mai
nulla di per se sola. E solo per tal mezzo, e non prima, fu scorta
la fisica sulla via sicura di una scienza, dopo che non aveva
potuto che andare per tanti secoli vagabonda e tastando.
Circoscritta invece ai soli concetti metafisici, ed affatto
isolata nella cognizione razionale contemplativa (la quale
trascende assolutamente ogni empirica istituzione, senza potere
giovarsi della visione, come le matematiche), e dove, per
quindi necessaria conseguenza, è la ragione discepolo di se
medesima, non ebbe sino ad ora sì propizia la fortuna, onde
potere avviarsi pel sentiero sicuro della scienza, non ostante
che sia la più antica fra tutte, anzi la sola destinata
sopravvivere, quand’anche le altre dovessero essere affatto
inghiottite dalla voragine della barbarie, che tutte le
distruggesse. Perciocchè la ragione vi è continuamente
incagliata, quando pure si limiti a voler solo comprendere per
anticipazione le leggi, che la più volgare sperienza conferma: il
che è pur quanto si arroga la metafisica. Ed è mestieri che tu
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Critica della ragione pura – tomo primo
Prefazione alla seconda edizione
rifaccia con essa migliaja di volte la strada, come quella cui
mai non vedi guidare ove tendi: e, se badi al consentimento de’
suoj settarj, tanto la ti parrà distante dalla meta, nelle asserzioni
loro, che la crederai piuttosto palestra destinata esclusivamente
ad esercitare le forze in conflitti giuochevoli; dove il gladiatore
mai non giunge, pugnando, nè ad impadronirsi del minimo dei
posti, nè a stabile possesso acquistare colla vittoria. Niuna
dubbiezza pertanto che la di lei ragione fosse finora un mero
andar tentoni, e quel che peggio è, non aggirandosi che
frammezzo a sole idee.
Qual è dunque il motivo, per cui non si è qui potuto per anco
rinvenire il cammino sicuro della scienza? Che sia forse
impossibile? Or perchè tanto impose natura e tanto instancabile
sollecitudine per tale indagine alla nostra ragione, come per la
più importante di sue bisogne? Che più dunque fidare a siffatta
ragione, se non solo ci abbandona, ma ne adesca di lusinghe,
per finalmente ingannarci ov’è del massimo rilievo la nostra
curiosità? Se poi tale strada fosse stata soltanto presa in fallo
sino ad ora, qual sarebbe, in tal caso, la guida onde giovarne,
onde sperare di essere più fortunati che i nostri antecessori, volendo pur tornare su quelle indagini e tracce. Sto per credere
sieno a bastanza degni di riflessione gli esempi della subitanea
rivoluzione, cui subirono la fisica e le matematiche (come quella mercè la quale furono esse poi scorte al grado in cui le si
trovano attualmente); onde investigare qual fosse il punto essenziale nel cambiamento, a quelle già tanto salutevole nella
maniera di pensare, per poscia imitarne per lo meno il tentativo; per quanto lo permette al confronto colla metafisica,
l’analogia della parte cui hanno le dette scienze fra le cognizioni razionabili. Si è supposto sin’ora dovere ogni nostra cognizione regolarsi dagli oggetti; la qual presunzione fece abortire
quanti si fecero tentativi, onde a priori e per via di concetti alcuna cosa decidere intorno agli stessi oggetti, la quale potesse
ridondare allo sviluppo ed accrescimento dell’umano sapere.
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Critica della ragione pura – tomo primo
Prefazione alla seconda edizione
Or via mettiamo dunque alla prova, se non fosse per meglio
avvenirci nelle questioni metafisiche, facendo in modo che
debbano gli oggetti alle nostre nozioni ubbidire: locché anche
meglio si accorda colla possibilità della ricognizione loro a
priori; come quella che, anche già prima che le si presentino,
deve alcunché determinare delle cose medesime. La ragione di
tale divisamento è la stessa che del pensiero di Copernico, allorché persuaso che non sarebbesi avanzato mai nulla nella
spiegazione del movimento dei corpi celesti, sinché tutta la caterva degli astri sopponevasi aggirarsi allo intorno dello spettatore, tentò se non fosse per ottenere migliore costrutto, facendo
girare gli spettatori, e ferme starsi le stelle. Ora potrà farsi analogo tentativo in metafisica, rispetto alla visione degli oggetti.
Sinché infatti vorrà la visione regolarsi a norma delle proprietà
delle cose rappresentate, non vedo come si potrà mai nulla sapere a priori: mentre, se invece si conformi la cosa (come oggetto subordinato ai sensi) e la si acconci alla natura della nostra facoltà intuitiva, eccoti ovvio il persuadersi della detta possibilità. Ma siccome, onde le si trasformino in cognizioni, non
posso arrestarmi su codeste visioni, ma debbo riferirle, come
rappresentanze, a qualche cosa che ne sia l’oggetto, e questo
per via di quele determinare, così mi rimane a scegliere fra due
partiti. L’uno è di supporre che i concetti, quali debbono servirmi alla determinazione suddetta, si adattino ed accordino essi medesimi all’oggetto; con che mi trovo nello stesso imbarazzo, rispetto al modo per cui saperne alcuna cosa per anticipazione. L’altro partito è di ammettere che siano corrispondenti,
o si adattino alle idee, gli oggetti ossia la sperienza, ciò che
torna lo stesso; giacché, nella qualità loro di cose rappresentate,
non possono gli oggetti essere conosciuti che nella sperienza. E
con ciò tosto mi accorgo di molto più facile riuscita; giacché la
sperienza medesima è una maniera di cognizione che richiede
intendimento, la cui norma debbo io presupporre in me stesso,
prima già che mi siano mai stati presentati gli oggetti (quindi a
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Critica della ragione pura – tomo primo
Prefazione alla seconda edizione
priori), come quella che si esprime in concetti per anticipazione; ond’è che dovranno con tali concetti regolarsi, ed ai medesimi corrispondere, quante sono le offerte dalla sperienza. Risgurdo agli oggetii, in quanto possono, anzi debbono di necessità, meditarsi dalla ragione soltanto, e per niun verso dalla sperienza offerirsi, in quel modo almeno come la ragione li medita, i tentativi che farai di meditarli (giacché debbono pure lasciarsi meditare) ti forniranno una regola eccellente, che potrà
servirti qual pietra di paragone, risguardo a quello che io considero nuovo metodo nella maniera di pensare; che nelle cose
cioè altro non consciamo per anticipazione, v’intromettiamo
per noi stessi50. Il successo di tale tentativo è quale aveva preveduto, e promette cammino sicuro e scientifico alla metafisica
già ne’ primi suoi passi (prima parte); ove appunto si occupa di
concetti preconceputi, gli oggetti corrispondenti ai quali possono incontrarsi nella sperienza, opportunamente adatti alle medesime idee. E da siffatto cangiamento nella maniera di pensare
riescono più che agevoli a dichiararsi tanto la possibilità di una
cognizione a priori, quanto (ed è ciò che più rileva) le leggi
che sono di fondamento alla natura, come al complesso degli
oggetti della sperienza, e queste col relativo corredo di prove
50
Imitato dai fisici, questo metodo consiste adunque nel rintecciare gli elementi della ragione pura in ciò che si può confermare o distruggere per via
d’esperimento. Solchè, onde provare le proposizioni della ragione pura,
massime cimentate o spinte oltre quanti sono i confini d’ogni sperienza possibile, i di lei oggetti non possono sottoporsi all’esperimento, come le cose
fisiche. Non sarà quindi lecito sottoporvi che i concetti e principj ammessi
per anticipazione; divisandoli però in maniera che gli stessi oggetti possano
essere considerati sotto due diversi aspetti: parte cioè come soggetti ai sensi
ed all’intendimento per via dell’esperienza, parte poi come cose unicamente
immaginate per la ragione isolata, e che si attenti oltre ogni uso e termine di
sperienza. Se accade pertanto che le cose, contemplate sotto questo doppio
aspetto si trovino corrispondere col principio della ragione pura, ma che nasca sotto lo stesso rapporto una indispensabile contraddizione della ragione
con se medesima, sarà in tal caso decisa collo sperimento la verità della distinzione suddetta.
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Critica della ragione pura – tomo primo
Prefazione alla seconda edizione
soddisfacenti: l'una e l’altra delle quali cose non poté mai conseguirsi col metodo stato finora in voga. Se non che, in detta
prima parte della metafisica, da codesta deduzione della nostra
facoltà di sapere per anticipazione risulta uno stravante corollario, ed apparentemente assai nocivo all’intiero scopo della
scienza, di cui ella si occupa nella seconda parte; vale a dire
che mai non potremo con ciò trasportarci oltre i confini della
sperienza, ed è questo precisamente il fine principalissimo, cui
mira la metafisica. Ma in ciò consiste appunto l’esperimento di
una controprova della verità del risultamento di quella prima
esplorazione della nostra cognizione razionale per anticipazione; ch’essa cioè non risguarda che ai fenomeni e lascia e lascia
stare le cose, come quelle che ci sono sconosciute, per quanto
le sieno reali, considerate in se medesime. Perciocché
l’assoluto è ciò che necessarimante ne spinge ad oltrepassare i
termini della sperienza e dei fenomeni tutti quanti, e la ragione
lo pretene ad ogni buon diritto e di necessità nelle cose dipendenti da qualunque condiazione; quindi è che vi pretende assoluta la serie delle condizioni. Se pertanto avviene che, senza ripugnanza, non possa per verun conto imaginarsi l’assoluto,
supponendo l’empirica nostra cognizione prestarsi agli oggetti,
come a cose per se stese, dove che per l’opposto cessi la contraddizione, ammettendo la nostra rappresentazione delle cose,
quali ci vengono esibite, non accordarsi già con queste, come
cose per se medesime, ma sibbene uniformarsi piuttosto tali
oggetti colla nostra maniera d’imaginare, nella qualità loro di
apparizioni: e se risulta quindi essere da ritrovare nelle cose
l’assoluto, non già per quanto le conosciamo (ci vengono presentate), bensì come cose per se stesse ed in quanto non le ci
sono conosciute, risulterà51 in tal caso vero e fondato ciò che da
51
Questo sperimento della ragione pira è somigliantissimo a quello dei chimici, ch’ei generalmente chiamano prova sintetica e talora di riduzione.
L’analisi del metafisico separa in due assai dissimili elementi la cognizione
pura per anticipazione, in quella cioè delle cose come fenomeni, poi delle
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Critica della ragione pura – tomo primo
Prefazione alla seconda edizione
principio avevao supposto per un semplice tentativo. E
quand’anche alla ragione contemplativa si ricusi ogni avanzamento in questa provincia delle cose che trascendono i sensi,
ne rimane sempre facoltativo lo sperimentare se, nella cognizione pratic della medesima, s’incontrino dati pei quali determinare quel concetto razionale dell’assoluto, e colla nostra cognizione a priori, benché soltanto rispetto alla pratica, giungere
analogamente al desiderio della metafisica, oltre i limita di
quanta può essere la sperienza. E con tale maniera di procedere
la ragione speculativa ci ha per lo meno somministrato il campo, su cui siffattamente allargarci; e, quando pure dovess’ella
vuoto lasciarlo, restiamo sempre autorizzati e padroni, anzi ne
provoca la stessa ragione, ad, ogni qualvolta potremo, riempirlo coi dati pratici della medesima52. Tutta la bisogna di cotesta
critica della ragione pura contemplativa consiste adunque nel
detto cimento, per cangiare il procedere sinora usitato in metafisica, e nello imprenderne la totale rivoluzione, sull’esempio
dei geometri e dei fisici. Quest’opera è quindi un trattato sul
cose in se stesse. La dialettica le combina di bel nuovo all’unisono coll’idea
razionale necessaria dell’assoluto, e trova non aver mai luogo siffatto accordo altrimenti, che per mezzo di quella distinzione, che risulta pertanto la
vera.
52
Così le leggi centrali dei movimenti dei corpi celesti procacciarono assoluta certezza al principio stabilito sulle prime, come una mera ipotesi, da
Copernico, e comprovarono contemporaneamente quella forza invisibile,
che combina e sostiene l’edifizio dell’universo (attrazione neutoniana); la
quale sarebbe rimasta eternamente nascosta, se non avesse osato quel primo,
con argomento contradditorio, eppure vero, di ricercare i movimenti osservati, non già negli oggetti quali ce li offre il firmamento, ma in chi sta osservandoli. In questa prefazione viene solo proposta qual ipotesi, da poscia
esporsi nella critica, come analogica della copernicana, la rivoluzione accaduta nella maniera di pensare. Dessa è però confermata nell’opera, con prove apodittiche anzi che ipotetiche, dalla natura delle nostre idee dello spazio
e del tempo, e dei concetti elementari dell’intendimento: e solo è cotì esibita
qual ipotesi, affinchè più rimarchevoli riescano i primi tentativi del detto
cangiamento, come quelli che sono mai sempre ipotetici.
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Critica della ragione pura – tomo primo
Prefazione alla seconda edizione
metodo, anzi che un sistema della scienza medesima. Vi si abbozza ciò non di meno e traccia per esteso il di lei disegno, rispetto sì all’intiera connessione interna di sue parti. E’ proprietà e diritto infatti della ragione pura contemplativa, ch’ella possa, anzi debba, e misurare la propria capacità nelle diverse maniere, colle quali scegliere oggetti da meditare, e numerare inoltre uno per uno i diversi modi, coi quali esibirsi le quistioni,
e così delineare l’intiero piano per un sistema di metafisica.
Con ciò sia che, per ciò che risguarda il primo assunto, nulla
può essere attribuito alle cose offerte nella cognizione a priori,
tranne quanto il soggetto pensante produce per se medesimo; e
rispetto al secondo, avuto risguardo ai principj della codgnizione, la ragione trovasi essere unità isolata del tutto e consistente
per se stessa; dove ciascuno de’ suoi membri esiste, come nel
corpo organizzato, in grazia di tutti gli altri, e tutti esistono in
grazia di ciascheduno; il perché non può con sicurezza riceversi
alcun principio, sotto un dato rapporto, senz’averlo nello stesso
tempo esaminato in piena relazione coll’uso universale della
ragione pura. Su di che si ha però in metafisica la sorte ben rara
che, ove la si abbia ridotta, mediante siffatta critica sopra sentiero certo e scientifico, può essa pienamente abbracciare quanto è vasto il campo delle cognizioni che le appartengono, quindi perfezionare il suo lavoro, e depositarlo ad uso della posterità come una seggiola fissa, da non mai potersi per volger
d’anni aggrandire; stanteché non ha ella che fare, tranne con
principj e circoscrizioni del proprio uso, che vengono per la
medesima determinati. La qual sorte non è mai che tocchi a verun altra scienza razionale, che verta sopra oggetti presentati,
ritenuto non d’altro la logica occuparsi che della maniera di
pensare in generale. Quindi è che la metafisica è inoltre obbligata strettamente alla detta perfezione, anche nella sua qualità
di scienza fondamentale, e si deve dire sul di lei conto:
Nil actunm reputans sì quid superesset agendum.
Sinchè altro a far ne resta è nulla il fatto.
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Critica della ragione pura – tomo primo
Prefazione alla seconda edizione
Ma quali sono i tesori, dirai, che io avviso potersi ai posteri
trasmettere per siffatta metafisica depurata colla critica, e ridotta inoltre a limiti e stato impreteribili? Giacché se percorri superficialmente questa opera, ei ti parrà di rilevare la di lei utilità non essere che negativa; di cioè non mai attentarci, colla meramente speculatrice ragione, oltre i cancelli della sperienza: ed
è questo per verità il suo primo vantaggio. Ma tale vantaggio si
cangia in positivo, sì tosto che avrai compreso che la conseguenza inevitabile dei principj, coi quali osa la ragione contemplativa trascendere suoi limiti, non è già effettivamente ingrandimento, rispetto all’impiego della ragione, ma se penetri
più addentro è piuttosto un restringerlo davvantaggio, in quanto
ben effettivamente quei principj minacciano di estendere a tutto
l’universo i confini della sensibilità, cui essi propriamente appartengono, e di persino respingere, se non escludere, il puro
uso (pratico) di ragione53. Quindi ne viene che una critica, la
quale circoscriva la contemplativa, è bensì negativa in questo,
ma siccome toglie n conseguenza e nello stesso tempo un ostacolo, il quale ne restringe l’esercizio pratico, se non anche abolirlo minaccia, ecco avere per ciò in effetto la critica un utile
positivo e di grandissima importanza, appena che tu sii persuaso darsi, ed essere assolutamente necessario, un uso pratico
della ragione pura (il morale), in cui ella si estende inevitabil53
L’intenzione principale di Kant e della critica, in quanto determina la possibilità di stabilire principj anticipati, e derivare tutte le cognizioni da una
sorgente a priori, tende cionnonostante a precisare i confini del sapere. Anzi
troveremo essere conclusione di queste indagini, che il sapere positivo non
si estende oltre il dominio della sperienza, e che non possiamo dalla sperienza inferir cognizioni, che già oggetto non sieno, almeno possibile, della
medesima. Pare quindi che il rimprovero di estendere a tutto l’universo i
confini della sensibilità risguardi specialmente alle dottrine di Locke, comecchè mirino queste a dedurre dalla sperienza nozioni, che ne trascendano
la sfera immediata. Sotto il qual rapporto accusa in altro luogo il filosofo
inglese (che non si sarebbe mai aspettato accusa così fatta, siccome osserva
il Cons. Degerando) di avere spalancate le porte alle illusioni
dell’entusiasmo.
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Critica della ragione pura – tomo primo
Prefazione alla seconda edizione
mente oltre la portata dei sensi. Ed a malgrado che non le sia
perciò d’uopo il soccorso della speculativa, tuttavia però
dev’ella essere assicurata e guarentita contro la costei reazione,
onde non quindi cadere in contraddizione con se medesima.
Che se in tale uffizio negassi alla critica un vantaggio positivo,
sarebbe lo stesso che se dicessi la polizia non arrecare alcun’assoluta utilità, per ciò che il di lei principale incarico è
quello solamente di opporre freni ed argini alla prepotenza dei
cittadini contro cittadini, onde possa ciascheduno accudire alle
proprie faccende con libertà e sicurezza. Nella parte analitica
della critica viene provato che lo spazio ed il tempo non sono
che forme di visione sensitiva, quindi non altro se non condizioni dell’esistenza delle cose come fenomeni; che inoltre non
possediamo concetti razionali, e perciò neppure il minimo elemento della cognizione delle cose, tranne in quanto può darsi
visione corrispondente a tali concetti; e che per conseguenza
non possiamo aver cognizione di verun oggetto, come cosa per
se stesso, ma solo in quanto esso è già oggetto della visione
sensitiva, vale a dire in qualità di apparizione o fenomeno: e
per verità che altro da tutto ciò non risulta se non limitazione,
di quanta è mai possibile cognizione speculativa della ragione,
ai soli oggetti della sperienza. Tutto ciò non ostante ne rimane
sempre facoltativo, anzi dobbiamo (il che merita riflessione)
potere per lo meno meditare, se non conoscere, gli stessi oggetti, anche nella qualità loro di cose per se stesse54. Perciocché
54
Per conoscere un oggetto si richiede che io possa provarne la possibilità
(sia col testimonio della sperienza, per la realtà della cosa, o sia per anticipazione colla ragione). Mi posso pensare tutto quanto mi aggrada, semprechè non mi trovi ripugnare a me medesimo, vale a dire solchè il mio concetto sia pensiero possibile, quantunque non mi trovi al caso di assicurare altrui
se, nella massa delle possibilità, sia o no un oggetto, che a tale concetto attribuire un valore obbiettivo (possibilità reale, poichè la prima non era che
logica), si richiede ancora di più. Il qual di più non è per altro sì necessario
perchè debba rintracciarsi tra le fonti teoretiche della cognizione, potendoselo trovare eziandio nelle pratiche.
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Critica della ragione pura – tomo primo
Prefazione alla seconda edizione
altrimenti ne verrebbe l’assurdo: esservi fenomeni senza nulla
di ciò che appare. Ma diamo pure per non fatta, quantunque esa
necessaria dalla nostra critica, la distinzione delle cose, in come soggette alla sperienza e come cose per se stesse: dovrebbe
in tal caso valer il principio della causalità, e con esso il meccanismo della natura nella relativa determinazione di tutte assolutamente le cosein generale, come cause efficienti. Or dunque
non potrei, senza cadere in aperta contraddizione, asserire del
medesimo ente, dell’anima dell’uomo a cagion d’esempio, che
fosse libera la di lei volontà e subordinata nello stesso tempo
alla necessità fisica, cioè non libera. Perciocché in ambedue le
posizioni avrei considerata l’anima nell’affatto uguale significazione di ente in generale, come cosa cioè per se stessa; nè
senza il previo soccorso della critica poteva io considerarla diversamente. Che se la critica non errò, quando insegnava doversi gli oggetti ricevere in doppio significato, vale adire come
fenomeni e come cose in se medesime; se vera è la deduzione
de’ concetti loro intellettuali; e se quindi anche il principio di
causalità risguarda le sole cose prese nel primo senso, in quanto e come oggetti subordinati alla sperienza, che però allo stesso principio soggette non fossero nell’altro senso; ne verrà di
conseguenza, non considerarsi libera la stessa volontà nel fenomeno (azione visibile), in quanto e come necessariamente
coerente ad una legge di natura, ed essere non pertanto immaginata libera per l’altro verso, come appartenente a cosa per se
stessa ed indipendente da leggi fisiche; così che non vi avrà più
luogo alcuna contraddizione. Ora, quantunque non possa io,
per niuna ragione contemplativa, e molto meno per via
d’osservazioni empiriche, ravvisare l’anima mia considerata
sotto questo secondo aspetto; quindi neppure la libertà, come
proprietà di un ente, cui attribuiscono effetti nel mondo sensibile; stanteché dovrei già cono scere il mondo nella sua maniera
di esistere, non però determinato nel tempo (ciò che non è possibile, in quanto non posso al mio concetto sottoporre alcuna
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Critica della ragione pura – tomo primo
Prefazione alla seconda edizione
visione), posso tuttavia pensare la libertà, vale a dire che, ammessa la mia distinzione critica delle due diverse maniere di
pensare (sensitiva ed intellettuale), non che la demarcazione
che indi emerge sì dei concetti puri dell’intendimento, sì, e per
conseguenza, delle leggi fondamentali che ne derivano, la rappresentazione della libertà non inchiude per lo meno ripugnanza. Dato pertanto che la morale supponga necessaria la libertà
(nel più stretto senso), qual prerogativa di nostra volontà, in
quanto la stessa morale ammette principj pratici, fondamentali,
indigeni ed originari della ragione, come dati a priori della
medesima, i quali principj sarebbero assolutamente impossibili,
senza presupporre la libertà; ma dato inoltre che la ragone contemplatrice avesse dimostrato, non potersi questa libertà né
tampoco immaginare, in tal caso la prima supposizione, cioè la
morale, dovrà cedere a quella, il contrario della quale inchiude
manifesta contraddizione: e quindi la libertà e con essa la moralità (il cui opposto non contiene punto contraddizione, a meno di presupporre la libertà) dovranno sgombrare ugualmente il
campo al meccanismo della natura. Siccome però nel morale
possiamo starci contenti a che la libertà non ripugni con se medesima, e senza che sia necessario di più addentro comprenderla, basta che si possa per lo meno immaginare, non ella opporre
il minimo impedimento al meccanismo naturale della propria
azione (considerata rispetto ad altre); così rimangono al posto
loro e lo conservano sì la dottrina dei costumi che la fisica: locché non sarebbe stato, se la critica non ci avesse prima fatti
scorti sulla inevitabile nostra ignoranza in quanto risguarda le
cose per se stesse, e se non avesse ridotto e limitato ai soli fenomeni tutto ciò che ne è concesso di teoricamente conoscere.
Questo medesimo schiarimento, sulla utilità positiva dei principj critici fondamentali della ragione pura, potrei applicare
non che dimostrare anche rispetto alle idee intorno a Dio, ed all
natura semplice delle anime; ciò che per legge di brevità ommetto di fare. Perciocché non posso neppure ammettere Dio, la
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Critica della ragione pura – tomo primo
Prefazione alla seconda edizione
libertà e l’immortalità, per iscopi dell’uso pratico necessario di
mia ragione, se dalla speculativa non tolgo nello stesso tempo
la di lei pretensione a notizie trascendentali; dovendo essa, per
acquistarle, servirsi di principj tali che, mentre non risguardano
che oggetti possibilmente ovvii alla sperienza, ove però vengano applicati a cose che non possano esserne oggetto, le trasformano sempre in fenomeni; con che dichiarano impossibile
qualunque ingrandimento pratico della ragione pura. Per la
qual cosa, onde far luogo alla fede, bisognerebbe levare la
scienza; ed il dogmatismo della metafisica, vale a dire la spregiudicata opinione di potere con esso lei progredire senza la
critica della ragione pura, è la vera sorgente di ogni miscredenza, in contraddizione alla moralità: giacché fu sempre dogmatica la miscredenza.
Se può dunque non essere sì ardua cosa il trasmettere in retaggio ai posteri una metafisica sistematica, la quale sia conforme alla critica della ragione pura, non è però da stimarsene
di poco prezzo il dono : sia che tu in generale risguardi alla sola coltura della ragione, avviata sul cammino sicuro e scientifico, in paragone col vano e superficiale di lei andar tentoni e
vagabonda senza critica: sia che consideri l’mpiego migliore
del tempo di una gioventù vaga di sapere, la quale sì presto e
con tanto impegno si esercita nel dogmatismo usuale, perché
sofistichi a bell’agio di cose che né comprende né potrà mai altro al mondo comprendere, o perché fantastichi al ritrovamento
di nuove opinioni e conghietture, trascurando perciò di scienze
più solide apparare: soprattutto poi se poni al calcolo il vantaggio inapprezzabile d’impor fine una volta e per sempre, colla
prova socratica della ignoranza evidentissima degli avversari, a
quanti si muovono argomenti contro la moralità e la religione.
Perciocché non evvi età né tempo, quando non fosse tra gli
uomini una qualche metafisica, siccome la visarà sempre nei
tempi a venire, e con essa una dialettica eziandio della ragione
pura; poiché, naturalmente inerente a questa, non potrassi al65
Critica della ragione pura – tomo primo
Prefazione alla seconda edizione
meno di riscontrarvela. Quindi è che la prima, e più importante
fra tutte le cure della filosofia, è quella di alidire non che riturare la sorgente degli errori, e così una volta per tutte assicurarsi
da ogni maligna loro influenza.
Non ostante un così gran cambiamento nel campo delle
scienze e lo scapito cui sta per ridondarne alla ragione contemplatrice ne’ suoi fino ad ora imaginati possedimenti, rimangono
tuttavia nel ben essere loro, e quali furono mai sempre, le umane cose, né corre pericolo il bene, cui ritrasse il mondo finora
dalle scienze della ragione pura; giacché lo scapito risguarda
solamente il monopolio delle scuole, non già e per niente affatto gl’interessi del genere umano. E domando al più ostinato fra
i dogmatici, se, dedotta dalla semplicità della sostanza, la prova
che sarà per durare dopo morte l’anima nostra; se quella del libero arbitrio contro il meccanismo universale, ragionata sulle
sottili ma svenevoli distinzioni, della necessità pratica, in subbiettiva ed obbiettiva; e se gli argomenti per la esistenza di Dio,
mercè l’idea della più perfetta fra le nature (aggiungi mercè
l’accidentalità delle cose mutabili e la necessità di un primo
motore); se poiché sortiti dalle scuole, dimando, questi argomenti, abbiano mai potuto penetrare la massa del pubblico, né
mai la minima influenza esercitare sul di lui convincimento? Il
che se non è mai avvenuto, né può aspettarsi perché avvenga
giammai, stante l’inettitudine della comune intelligenza degli
uomini per così fine speculazioni; se anzi, rispetto alla prima
delle dette questioni, è siffattamente costituita la disposizione
che rileviamo nella natura di tutti gli uomini, perch’ei non possano essere mai soddisfatti della vita attuale, come insufficiente
alla capacità dei loro destini, talché da questa sola circostanza è
per nascere la speranza di una vita futura; se, rapporto al secondo punto, non può la coscienza della libertà risultare che da
una manifesta sposizione dei doveri, sempre in opposizione alla tendenza degli appetiti; se, in quanto al terzo finalmente, non
sono che le meraviglie dell’ordine, della bellezza, della provvi66
Critica della ragione pura – tomo primo
Prefazione alla seconda edizione
denza, le quali si manifestano in ogni parte della natura, che
invogliino credere nel saggio e grande autore dell’universo; e
se in quanto poggia sopra basi ragionevoli non può altrimenti
propalarsi nel pubblico la persuasione di siffatti argomenti, non
solo ne rimane imperturbato il possesso, ma essi acquistano
maggiore importanza; dacché massime avvertite oggimai le
scuole, perché in cose risguardanti l’interesse generale degli
uomini, non le si arroghino avvedutezza più elevata ed estesa
di quella, ove può giungere agevolmente la gran moltitudine,
cui dobbiamo avere sempre in gran pregio, e perché si limitino
quindi a semplicemente coltivarli, ove trattisi di argomenti, rispetto allo scopo morale bastevoli, e suscettivi di essere generalmente compresi. Per le quali cose il mentovato cambiamento
non risguarda che le arroganti pretensioni di quelle scuole, che
vagheggiassero di questa (come altronde a ragione in molte altre materie) ad essere credute quali uniche apprezzatrici e dispensiere di quelle verità, onde vanno esse partecipando al
pubblico solamente la pratica, e se ne riserbano la chiave.
Quod mecum nescit solus vult scire videri.
Vuol sembrare solo istrutto
Di ciò che meco ignora.
Ciò non pertanto è provveduto a che non sia delusa, ove più
discreta, la pretesa del filosofo speculativo; in quanto rimane
egli depositario esclusivo di una scienza utile al pubblico, senza che il pubblico lo sappia, e questa scienza è la critica della
ragione. Che se non è possibile ch’essa mai rendasi popolare,
non se ne ha neppur d’uopo; che per verità quanto più si rifiutano le teste del volgo a pnetrarsi delle più fine argomentazioni,
come di utili verità, ricorrono anche meno al pensiero le quandomai altrettanto sottili obbiezioni alle medesime. Mentre
all’opposto, siccome la scuola, e chiunque solleva lo spirito alla contemplazione, cade inevitabilmente sì nella sottigliezza
degli argomenti, che in quella delle obbiezioni, così è dovere
della critica, perché mediante profondo esame dei diritti della
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Critica della ragione pura – tomo primo
Prefazione alla seconda edizione
ragione contemplatrice prevenga ed impedisca una volta per
sempre lo scandalo, che non può a meno di tardi o tosto insorgere anche nel popolo, mercè le controversie, nelle quali si avviluppano inevitabilmente senza la critica i metafisici (e come
tali finalmente anche i teologi); prescindendo che ne vengono
quindi adulterate le dottrine. Colla sola critica infatti possono
sin le radici estirparsi del materialismo, del fatalismo,
dell’ateismo, della irreligiosa miscredenza, del fanatismo, della
non meno generalmente nociva superstizione; come possono
finalmente recidersi anche le radici dell’idealismo e del setticismo55, che sono anche più pericolosi alle scuole, comeché dif55
Gli espositori convengono essere stato scopo alle indagini di Kant il desiderio di por fine alle dissenzioni dei filosofi sui punti più importanti delle
umane speculazioni, come quelli ove appena ei convenivano dei principj
della logica: giacchè i pirronisti ne contrastavano il valore, dichiarandola
incapace a giustificare se stessa, come determinante le leggi del pensiero;
mentre supposto era il principio sì del pensare agli oggetti che del conoscerli. Perciocchè non si era d’accordo neppure sul modo con che il pensiero e
la cognizione si combinassero in uno stesso principio. Rispetto poi alla teorica metafisica delle sorgenti del sapere, le due gran sette contrarie dei realisti ed idealisti si suddividevano in molte altre, tutte differenti. Così rispetto
alla natura dell’anima quasi ogni materialista e spiritualista si distingueva
con qualche modificazione particolare nella propria ipotesi; e mentre i deterministi ne impugnavano la libertà, gl’indeterministi sostenevano il libero
arbitrio. Questi pretendeva il nostro mondo essere il migliore dei mondi
possibili, e non darsi male nè fisico nè morale; mentre altri te lo dipingevano a nero, come una valle di tribolazione, un vaso di Pandora, un aggregato
di mali fisici, di follie, di vizj, che non solo equiparassero ma ne trascendessero di gran lunga il poco bene. Chi studiavasi trovare le leggi del moto universale; chi sosteneva non avere il moto la menoma realtà, e non essere
che illusione dei sensi. Che dirò dei dubbj sull’esistenza di Dio e sui suoi
attributi e rapporti coll’universo; della divisione dei filosofi teologi in teisti,
deisti, panteisti, naturalisti ed atei; e delle tante dispute nel diritto naturale,
nell’etica, nella politica e nella pubblica economia?
Le principali fra le accennate dissenzioni, quelle cioè fra il dogmatismo
ed il setticismo, fra le teoriche razionali e le sperimentali, e fra l’idealismo
ed il materialismo, sono i tre gran litigi filosofici, ai quali Kant si propose di
far alto, se non anzi di sentenziarli colla sua critica. Mentre tale scopo non
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fondasi più difficilmente nel pubblico. Il perché se i governi
avviassero dover eglino ingerirsi negli affari dei dotti, ben sarebbe degno prezzo di lor saggie cure, a migliore provvedimento sì delle scienze che della società, che essi favoreggiassero la
poteva che svegliare l’ammirazione di quanti ne sentivano l’importanza,
questa si rese anche maggiore, poichè si rilevò che il critico imprese a combattere tutti i sistemi, senza nullamente servirsi di loro dottrine, ma cercando una strada frammessa alle s’ opposte dei detti sistemi. Per trovare tale
strada, e guarentirsi dallo incontrarsi con quelle altre cammin facendo, le
quali benchè si opposte fra loro fiancheggiavano la sua, pensò dover egli
partire da un punto assai più lontano. Il perchè si propose problemi anteriori
ai principj di que’ sistemi; e cotesti problemi sono anche più maravigliosi,
periocchè nati appunto dai contrasti reciproci delle ripetute dottrine.
Mentrechè infatti lo scettico dimanda ragioni e prove intorno agli elementi del sapere, rimprovera i frequenti errori al dogmatico, e lo dileggia
come inetto allo scoprimento del vero; e mentre il dogmatico risponde
coll’autorità del buon senso, dell’intima convinzione, dell’evidenza, e prende argomento a giustificarsi dalle contraddizioni dell’avversario, Kant va
molto pià alto e dimanda: è possibile il sapere della ragione? com’è possibile? cosa è conoscere? quali sono i rapporti che ha il conoscente col conosciuto? Così, mentre il filosofo sperimentale dice al razionalista, che, basando le di lui teoriche sull’identità, sulla definizione della cosa per la cosa,
le si risolvono in copia ed abuso di parole, e rimangono sterili e vuote in sostanza; e che il razionale fa rimprovero allo sperimentale de’ suoi fatti parziali, isolati, accidentali, della sua inettitudine a ben concatenarli, e
dell’uopo che ha per ciò di un principio metafisico, cui non è in caso di per
stesso procacciarsi, Kant interpella se la sperienza è possibile, se lo è una
metafisica, e con ciò choede qual può essere il principio che fecondi rende i
principj razionali, e qual è la legge per la quale concatenare gli osservati fenomeni. Dove per ultimo il materialista non trova nelle idee se non l’effigie
materiali degli oggetti esteriori, e trova che ogni sapere consiste in movimenti eccitati nei nostri organi dagli oggetti; e dove l’idealista riflette arbitrarie queste ipotesi; e, rilevando nelle dee altrettante nostre maniere di essere, un prodotto cioè dell’intima capacità dell’uomo, ricusa ch’elleno dagli
oggetti provengano, e loro s’assomiglino, Kant interroga per ultjmo se vi
sieno criteri, e quali, per distinguere nelle idee ciò che in esse appartiene
all’intelletto del proprio, da quanto appartiene agli oggetti; e così nello studio degli elementi, che le compongono, trova per cui comporre quei dispareri.
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Critica della ragione pura – tomo primo
Prefazione alla seconda edizione
libertà di siffatta critica; poiché la sola capace di stabilire con
fermezza gli studi e lavori della ragione. Essa è quindi assai più
meritevole di protezione, che non lo è il ridicolo dogmatismo
delle scuole; comeché alzino queste romore di pubblica disgrazia, tosto che alcuno squarci le ragnatele dei loro argomenti:
mentre, non avendone mai avuto contezza il pubblico, non può
quindi di risentirsi di tali rovine.
Non è già che la critica, nella cognizione sua pura come
scienza, trovisi in opposizione col procedere dogmatico della
ragione, dovendo quella essere via sempre dogmatica, cioè
provare a tutto rigore di principj a priori: ma ella si oppone al
dogmatismo, vale a dire alla presunzione di progredire colla sola cognizione pura, ideale (filosofica) e corrispondente a’ principj adottati già da lungo tempo dalla ragione; però senza punto
informarsi né del modo, né del dritto, coi quali giunse ai detti
principj. Dogmatismo è pertanto il procedere dogmatico della
ragione pura non premessa la critica della loro facoltà. Ora
questa opposizione ha nulla che fare collo sterile cicaleggio,
che si è usurpato nome di popolarità, e neppure col setticismo,
sì facile distruttore d’ogni metafisica; perciocché tal critica è
piuttosto un regolamento preparatorio indispensabile ai processi di metafisica più solida come scienza, e non può quindi a
meno di essere trattata dogmaticamente, anzi col massimo rigore sistematico, perciò con modi scolastici, non però popolari.
Le quali maniere di trattarla sono per essa impreteribili; dacché
la si assume di eseguire il suo lavoro affatto a priori, quindi a
tutto grado e parere della ragione contemplatrice. Quando sarò
dunque per eseguire il piano quivi prescritto dalla critica, vale a
dire nel sistema di una metafisica, da poscia esporsi, dovrò di
quando in quando seguire il metodo severo dell’illustre Volfio,
come del più grande tra i filosofi dogmatici. Perciocché si fu
egli che diede il primo esempio (e con tal esempio fu
l’introduttore del non per anco estinto spirito della profondità
in Alemagna) come, parendo dai principj stabiliti e legittimi,
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Critica della ragione pura – tomo primo
Prefazione alla seconda edizione
determinando con chiarezza le idee, affrntando il rigore delle
prove, e schivando nelle conseguenze ogni audacia di salti, si
possa e debba imprendere il cammino sicuro di una scienza. E
ben era egli da tanto da potere anche prima trasformare in tale
stato di scienza la metafisica, se gli fosse caduto in pensiero di
prepararsi e lavorare in prevenzione il campo colla critica
dell’organo, vale a dire della stessa ragione pura. La qual mancanza pare doversi non tanto attribuire ad essolui, quanto piuttosto alla maniera dogmatica di pensare in quell’età; sulla qual
maniera non fu tra i filosofi né di quella, né dell’età precedenti,
chi l’altro a vicenda redarguisse. Quelli che riprovano il di lui
metodo, e quindi rigettano il solo, con che si vuole procedere
nella critica della ragione pura, non possono mirare ad altro che
a vedere disciolti e dispersi della scienza i legami, e convertite
le di lei fatiche in giuoco, in opinione la certezza, e la filosofia
in filodossia.
Per ciò che risguarda questa seconda edizione, non ho intralasciato, e non doveva, di giovarmene a per quanta per me potevasi ammenda sì delle difficoltà che delle sicurezze; dalle
quali emersero forsi, e senza mia colpa fors’anche, alcune male
intelligenze, occorse ad uomini perspicaci nel giudicare di questo libro. Non ho trovato che dovessi nulla cangiare nella espressione o nelle prove delle proposizioni, e così non più nella
forma che in tutto l’insieme del piano il che vuole ascriversi
parte a lungo esame cui sottoposi l’opera, prima di al pubblico
sottoporla, parte alla stessa natura della medesima. Con che intendo alla natura di una puramente contemplatrice ragione,
l’ultima costruzione della quale trovasi articolata in modo, che
tutto vi è organo, tutti cioè vi dipendono da cadauno ed un per
uno da tutti; così che nell’uso loro debba rendersi inevitabilmente palese la benché minima imperfezione, sia poi questa errore o difetto. E spero che tale sistema sarà per successivamente mantenersi nella detta immobilità: e me ne affida non già la
presunzione, bensì la sola evidenza, cui produce l’esperimento
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Critica della ragione pura – tomo primo
Prefazione alla seconda edizione
d’uguaglianza nei risultamenti, sia nel partire dai minimi elementi, onde progredire al tutto della ragione pura, sia tornando
alle singole parti, movendo dal tutto (che ha pur essa il suo tutto la ragione pura, stante il di lei scopo finale in pratica); dove
il tentativo di cangiare, anche la più picciola delle parti, cagiona tosto contraddizioni, e queste nel sistema non pure che nel
senso comune dell’umana ragione. Rimane però molto ancora
da emendarsi nella sposizione: su di che ho procurato in questa
ristampa diverse correzioni, le quali toglieranno in parte le false interpretazioni dell’estetica, quelle specialmente sull’idea
del tempo, in parte la oscurità della deduzione dei concetti
dell’intendimento, e così la pretesa mancanza di quanta vorrebesi evidenza nelle prove dei principj dell’intelletto, e per ultimo la sinistra interpretazione dei paralogismi rimproverati alla
psicologia razionale. Sin qui56, e non oltre, si estendono i cangiamenti fatti nella maniera di esporre le cose57: ché né mi concesse il tempo di estenderli più oltre, né mi è noto che
agl’imparziali e periti estimatori delle medesime ne occorressero di male intese nel rimanente. Nei luoghi poi, e dal tenore,
delle correzioni rileveranno quei dotti quanto e qual conto facessi delle avvertenze loro; locché mi dispensa dallo indicare
56
Il primo libro dell’estetica trascendentale.
Non può dirsi che le accennate correzioni abbiano arricchito effettivamente il materiale, tranne che nella nuova disamina e confutazione
dell’idealismo psicologico (III. vol. di questa traduz.): e qui pure
l’accrescimento non risguarda che la maniera di provare, trattandosi appunto della prova più rigorosa, e forse l’unica possibile, della realtà obbiettiva
dell’esterna visione. Chè per quanto si voglia reputare innocente (come non
lo è di fatto), rapporto allo scopo essenziale della metafisica, l’idealismo,
sarà sempre scandaloso nella filosofia, e per l’umana ragione in generale il
volerci costretti ad ammettere, per sola fede, l’esistenza delle cose fuori di
noi (mentre da queste ricaviamo tutta quanta la suppellettile delle cognizioni, e persino dell’intimo senso); ed il ridurci quindi a tal punto, che non ci
rimanga prova soddisfacente da contrapporre a cui prendesse vaghezza di
mettere in dubbio la detta esistenza.
57
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Critica della ragione pura – tomo primo
Prefazione alla seconda edizione
colla dovuta lode i nomi58. Se non che tali ammende resero inevitabile un lieve scapito pei leggitori, e non lo si poteva
scansare, a meno di soverchiamente, l’opera ingrandire. Il quale scapito consiste nell’avere io dovuto intralasciare od esporre
in iscorcio diverse cose, per verità non esseziali alla perfezione
del tutto, comunque tali che le avrebbe gradite più d’uno, siccome utili sotto altri rapporti. E dovetti ommetterle o compendiarle, per far luogo ad ora spero più intelligibile sposizione;
mentre la quale non altera quindi minimamente in sostanza le
proposizioni e neppure le dimostrazioni relative, si allontana
però qua e là dall’antecedente metodo di esporre in maniera, da
non sempre potersela, per via d’inserzioni, perfezionare. Oltre
che può essere facilmente compensato il detto scapito, mediante confronto colla prima edizione, spero tuttavia, che sarà sempre compensato a larga usura nella molo più facile intelligenza.
Leggendo alcuni pubblici scritti, ora per mezzo delle recensione dei libri, ora negli stessi trattati particolari, mi accorsi con
riconoscenza e piacere qualmente, a malgrado che sopraffatto
in questi ultimi tempi dal genio di moda, cui dicono libertà di
pensare, non è però ancora spento in Germania, quello della
profondità; e che i sentieri spinosi della critica, i quali guidano
ad una metodica, e perciò solo durevole, non che necessarissima, scienza della ragione pura, non hanno impedito perché fossero que’ sentieri affrontati da ingegni coraggiosi e chiaroveggenti, e ch’essi di questa s’impossessassero. A uomini sì benemeriti, e ne’ quali alla profondità nelle viste accoppiò inoltre, a
me in ciò forse non ugualmente propizia, la fortuna, il talento
di saper esporre nella loro maggior luce le cose, a siffatti uomini rimetto ed affido l’incarico di perfezionare il mio lavoro, facilmente qua e là tuttavia difettoso, rispetto massime alla chiarezza: nel qual caso non si corre già pericolo di essere confutati, bensì di non essere intesi. Su di che avverto soltanto che,
sebbene abbia divisato di non più d’ora innanzi darmi briga di
58
Qui finisce, nella traduzione latina, la prefazione.
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Critica della ragione pura – tomo primo
Prefazione alla seconda edizione
controversie, non trascurerò ciò non pertanto di starmi attento a
non fossero che cenni di rilievi, che mi venissero sì dagli amici
che dagli oppositori, onde farne tesoro pel successivo eseguimento del sistema correlativo a cotesta propedeutica. Perciocché, scorto da simili fatiche ad età già di molto inoltrata, e ne
decorre l’anno sessantasei col mese in cui scrivo, ben mi è necessaria l’economia del tempo, se voglio condurre a termine il
progetto di esporre la metafisica sì della natura che dei costumi, per quindi la giustezza confermare della critica della ragione contemplatrice non meno che della pratica. Starò pertanto
aspettando sì lo schiarimento delle dapprincipio appena evitabili oscurità di quest’opera, sì la di lei difesa, da queglino che
se l’hanno quasicome appropriata. Non è altronde sposizione
filosofica, la quale in alcune delle sue parti non offra il fianco,
niuna potendo sortire sì agguerrita e ricinta di corazza che le
matematiche. Ciò non di meno, e quantunque l’articolazione
del sistema, considerato come unità, non vi arrischierebbe né
punto né poco, anche pochi son quelli che posseggano la disinvoltura necessaria per esaminarlo, se nuovo, e pochissimi che
ne abbiano voglia, dispiacendo sempre al maggior numero qualunque novità. Vi sono inoltre apparenti contraddizioni, che si
possono pescare in ogni libro, massime in tali che furono scritti
colla libertà del discorso, purché si stacchino dall’insieme loro
alcune parti, e le si confrontino poscia, ciascheduna isolata, fra
loro: e queste contraddizioni abbagliano talora di luce, alle medesime svantaggiosa gli occhi di chi massime si commette ai
giudizi degli altri; mentre le riescono agevolissime a risolversi
per chi si è reso padrone delle singole idee nel loro insieme.
Con tutto ciò, se una teorica è ben fondata, l’azione e la reazione, che parevano minacciarla cotanto sulle prime, servono col
tempo ad appianarne le ineguaglianze. Ove poi sia fornito
d’imparzialità, d’accorgimento e di vera popolarità (urbanità),
chi se ne occupa, non va guari che il lavoro acquista eziandio la
quando mai necessaria venustà.
74
Prospetto dell’opera
I. Critica della ragione pura.
Introduzione
I. In che differiscano fra di loro la ragione pura e
l’empirica.
II. Sono in noi stessi alcune cognizioni anteriori ad ogni
senso ed esperienza, e di queste non è mai privo
neppure il volgare intendimento.
III. Alla filosofia è necessaria una scienza, la quale determini la possibilità, i principj ed il complesso di
tutte le cognizioni anteriori ad ogni esperienza.
IV. In che differiscono i giudizi analitici dai sintetici?
V. Tutte le scienze teoretiche (della ragione) contengono principj sintetici per anticipazione.
VI. Questione generale della ragione pura.
VII.
Idea e divisione della critica della ragione pura,
come di una scienza particolare.
Elementi della scienza trascendentale
Parte I. Estetica trascendentale.
§. 1. Definizioni.
Sezione I. Dello spazio.
§ 2 e 3. Sposizioni metafisica e trascendentale di questo
concetto.
Sez. II. Del tempo.
§ 4 e 5. Sposizioni metafisica e trascendentale dell’idea del
tempo.
Critica della ragione pura – tomo primo
Prospetto dell’opera
§ 6 e 7. Conclusioni e dichiarazione.
§ 8 Scolj dell’estetica trascendentale.
Parte II. Logica trascendentale.
I. Della logica in generale.
II. Della logica trascendentale.
III. Distinzione della logica generale in analitica e
dialettica.
IV. Distinzione della logica trascendentale in analitica
e dialettica trascendentali.
Prima divisione. Analitica trascendentale
Libro I Analitica delle idee.
Cap. I. Filo di guida per iscoprire tutte le idee pure
dell’intelletto.
Sez. I Dell’uso logico dell’intelletto in generale.
Sez. II.
§ 9. Funzione logica dell’intelletto nei giudizi.
Sez. III.
§10. Delle idee intellettuali pure, ossia categorie.
§ 11. Quadro delle categorie.
§ 12. Della filosofia trascendentale degli antichi.
Cap. II. Deduzione delle idee intellettuali pure.
Sez. I.
§13. Principj di una deduzione trascendentale in genere.
§ 14. Passaggio alla deduzione trascendentale delle categorie.
Sez. II. Deduzione trascendentale delle idee intellettuali pure.
§ 15. Possibilità di una congiunzione in generale.
§ 16. Unità apparentemente sintetica dell’appercezione.
§ 17. La massima dell’unità sintetica dell’appercezione costituisce il principio supremo di ogni uso di ragione.
§ 18. Cosa sia l’unità obbiettiva della coscienza di se stesso.
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Critica della ragione pura – tomo primo
Prospetto dell’opera
§ 19. La forma logica di tutti i giudizi consiste nell’unità
obbiettiva dell’appercezione di tutte le idee comprese nei medesimi.
§20 e 21. Tutte le visioni sensitive soggiacciono alle categorie, come a condizioni, per le quali solo può combinarsi copia
delle medesime in una coscienza.
§ 22 e 23. Nella cognizione delle cose, la categoria non serve che per la propria applicazione agli oggetti della sperienza.
§24. Applicazione delle categorie agli oggetti subordinati ai
sensi.
§ 25. Il soggetto pensante non può conoscere se stesso dalla
sola coscienza propria.
§ 26. Deduzione trascendentale dell’uso della sperienza universale possibile dei concetti puri dell’intendimento.
§27. Risultamenti di questa deduzione delle idee intellettuali.
Libro II. Analitica dei principj o della facoltà di giudicare.
Introduz. Della facoltà trascendentale di giudicare in genere.
Cap. I. Schematismo (immagini) delle idee intellettuali pure.
Cap. II. Sistema di tutti i principj del puro intendimento.
Sez. I. Del massimo fra i principj di tutti i giudizi analitici.
Sez. II. Del massimo fra i principj di tutti i giudizi sintetici.
Sez. III. Sposizione sistematica di tutti i principj sintetici del
detto sistema.
1. Assiomi della visione.
2. Anticipazioni della percezione.
3. Analogie della sperienza.
A. Analogia I. Principio della permanenza della sostanza.
B. Analogia II. Principio della successione del tempo, secondo la legge di causalità.
C. Analogia III. Principio della simultaneità, secondo la
legge di reciprocità o comunanza.
4. Postulati del pensare sperimentale in genere.
Confutazione dell’idealismo.
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Critica della ragione pura – tomo primo
Prospetto dell’opera
Scolio generale al sistema dei principj.
Cap. III. Fondamento della distinzione generale di tutti gli
oggetti in fenomeni e nomeni (oggetti intellettuali).
Appendice sull’anfibolia delle idee di riflessione, per confondimento dell’uso empirico dell’intelletto col trascendentale.
1. Identità e diversità: 2. Convenienza e ripugnanza. 3. Interno ed esterno. 4. Materia e forma.
Scolio sull’anfibolia delle idee riflesse.
Seconda divisione. Dialettica trascendentale.
Introduz.
I. Dell’aspetto illusorio (illusione) trascendentale.
II. Della ragione pura, come sede dell’illusione trscendentale.
A. Della ragione in generale.
B. Dell’uso logico della ragione.
C. Dell’uso puro della ragione.
Libro 1. Delle idee della ragione pura.
Sez. 1. Delle idee in generale.
Sez. 2. Delle idee trascendentali.
Sez. 3. Sistema delle idee trascendentali
Libro 2. Conclusioni dialettiche della ragione pura.
Cap. 1. Dei paralogismi della ragione pura.
Confutazione dell’argomento di Mendelshon sulla permanenza dell’anima.
Conclusione dello scioglimento del paralogismo psicologico.
Scolio generale sul passaggio dalla psicologia razionale alla
cosmologia.
Cap.2. Antinomia della ragione pura.
Sez. I Sistema delle idee cosmologiche.
Sez. II. Antitetica (contraddizioni) della ragione pura.
Tesi, antitesi e prove sulle seguenti contraddizioni delle idee
trascendentali.
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Critica della ragione pura – tomo primo
Prospetto dell’opera
1. Il mondo è finito ed infinito.
2. Tutte le cose nel mondo sono semplici e composte.
3. Tutto accade per necessità e libertà
4. La natura è assolutamente necessaria
Sez. III. A cosa impegnano la ragione queste sue contraddizioni?
Sez. IV. Quali sono, fra le questioni trascendentali della ragione pura, le suscettive di essere pienamente risolte?
Sez. V. Sposizione scettica dei quesiti cosmologici per tutte
quattro le predette idee trascendentali.
Sez. VI. Dell’idealismo trascendentale, come chiave della
dialettica cosmologica.
Sez. VII. Decisione critica della contraddizione cosmologica
della ragione di se stessa.
Sez. VIII. Principio regolativo della ragione pura, intorno le
idee cosmologiche.
Sez. IX. Dell’uso empirico del detto principio, rispetto a tutte le dette idee.
Decis. I. Dell’idea cosmologica della totalità di composizione dei fenomeni di un tutto cosmico.
Decis. II. Dell’idea cosmologica della totalità di divisione di
un dato tutto nella visione.
Scolio finale alla decisione delle idee matematiche trascendentali, e premonizione per quella delle trascendentali dinamicamente.
Decis. III. Delle idee cosmologiche intorno alla totalità di
derivazione degli avvenimenti cosmici, dipendentemente da
cause.
Possibilità della cusalità, mediante la libertà, in concorso
colla legge generale della necessità fisica universale; e dichiarazione dell’idea cosmologica della libertà, conciliabilmente
colla detta necessità.
79
Critica della ragione pura – tomo primo
Prospetto dell’opera
Decis. IV. Dell’idea cosmologica intorno alla totalità di dipendenza dei fenomeni in generale, rispetto alla loro esistenza.
Scolio finale a tutta l’anatomia della ragione pura.
Cap. 3. Ideale della ragione pura.
Sez. 1. Dell’idea in genere.
Sez. 2. Dell’ideale (prototipo) trascendentale.
Sez. 3. Argomenti della ragione contemplatrice comprovanti
l’esistenza di una suprema natura.
Sez. 4. Impossibilità di una prova ontologica dell’esistenza
di Dio.
Sez. 5. Impossibilità di una prova cosmologica
dell’esistenza di Dio.
Scoperta e dichiarazione dell’illusione dialettica in tutte le
prove trascendentali della esistenza di un essere necessario.
Sez. 6. Impossibilità di una prova fisico-teologica.
Sez. 7. Critica di tutte le teologie dietro i principj speculativi
della ragione.
Appendice sull’uso regolativo delle idee della ragione pura.
Scopo finale della dialettica naturale dell’umana ragione.
II. Metodologia trascendentale.
Cap. 1. Magistero (disciplina) della ragione pura.
Sez. 1. Magistero della ragione pura nell’uso dogmatico.
1. Definizioni, 2. Assiomi, 3. Dimostrazioni.
Sez. 2. Magistero della ragione pura, rispetto al di lei uso
polemico.
Impossibilità di conciliare la ragione pura in contraddizione
con se stessa.
Sez. 3. Magistero della ragione pura rispetto alle ipotesi.
Sez. 4. Magistero della agione pura, rispetto ai propri argomenti.
Cap. 2. Canone della ragione pura.
Sez. 1. Scopo finale dell’uso puro di nostra ragione.
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Critica della ragione pura – tomo primo
Prospetto dell’opera
Sez. 2. Ideale del sommo bene, come determinante lo scopo
finale della ragione pura.
Sez. 3. Cosa significa, ed in che differisce un dall’altro
l’opinione, il sapere, ed il credere.
Cap. 3. Architettonica della ragione pura.
Cap. 4. Storia della ragione pura.
81
Critica della ragione pura.
Introduzione
I. Della differenza tra la ragione pura e l’empirica.
Non vi è neppur dubbio che ogni nostro sapere incominci colla
sperienza. Da che altro infatti potrebb’essere al proprio esercizio eccitata la facoltà di conoscere, ove non lo fosse dagli oggetti che i nostri sensi affettano, e parte producano rappresentazioni per se stessi, parte mettono in azione l’attitudine del nostro intendimento a confrontare, accoppiare o dividere quelle
rappresentazioni, e così lavorare la materia bruta delle impressioni sensitive, e ridurle a quella tal cognizione degli oggetti,
che si chiama sperienza? Niuna cognizione adunque precede in
noi, risguardo al tempo, la sperienza, ed ogni cognizione incomincia colla medesima.
Ciò non di meno, e quantunque sorga ed incominci ogni nostra cognizione colla sperienza, non perciò ne viene che tutta
sorga e nasca dalla sperienza. Perciocché potrebbe darsi, per
avventura, che la stessa nostra cognizione sperimentale fosse
un composto di ciò che noi riceviamo per mezzo d’impressioni,
e di ciò ci somministra da se stessa la nostra propria facoltà di
conoscere (data e mediante l’occasione delle impressioni dei
sensi); nel qual caso non distingueressimo quanto è fornito in
qualità di materia prima dai sensi, da quanto vi aggiungesse del
suo la detta facoltà, prima che un lungo esercizio non ce ne avesse fatti scorti, e resi capaci della relativa separazione (distinzione).
Critica della ragione pura – tomo primo
Introduzione, I
É dunque dimanda che ha per lo meno di necessità onde
venga più davvicino esaminata, e cui non si potrà di primo aspetto e sì tosto rispondere: se tale specie di cognizione si dia,
la quale sia indipendente dalla sperienza ed anche da tutte impressioni dei sensi. Questa cognizione chiamo intanto a priori e
dall’empiriche le distinguo, in quanto hanno esse le fonti loro a
posteriori, vale a dire dalla sperienza.
Ma non è ancora ben determinata, la detta espressione, perché valga indicarne tutto il senso, coerentemente al proposto
quesito. Perciocché gli è già stile il dire che siamo resi capaci o
partecipi a priori di parecchie nozioni, che tuttavia emergono
dalle sorgenti della sperienza: e si dice, atteso che non le deriviamo immediatamente da essolei, bensì da una regola generale, che abbiamo tolta ciò non pertanto in prestito dalla speriena
medesima. Così di un tale, che abbia scavate le fondamenta
della propria casa, diciamo che egli poteva saperlo a priori
qualmente la sarebbe caduta, vale a dire che non gli era mestieri aspettarli dalla sperienza perché la casa di fatto cadesse. Eppure non poteva quel tale saper questo affatto a priori; ché doveva egli essere già consapevole per isperienza, che i corpi sono gravi, e quindi cadono se vien loro tolto ciò che li sostiene.
D’ora innanzi pertanto sotto nome di cognizioni a priori intenderemo quelle, che hanno luogo indipendentemente non già
da quella o da questa soltanto, ma da ogni e qualunque sperienza assolutamente. Come contrarie a siffatte cognizioni risguarderemo l’empiriche, o quelle che sono solamente possibili a
posteriori, per mezzo cioè dell’esperienza. Quelle poi, fra le
cognizioni a priori, alle quali non è frammesso assolutamente
nulla di empirico, diconsi pure. Così la proposizione, a cagion
d’esempio: ogni cambiamento ha la propria causa, è proposizione a priori, non però pura, perciocché l’idea del cambiamento non può essere dedotta che dalla sperienza.
83
Critica della ragione pura – tomo primo
Introduzione, II
II. Del possedersi per noi certe cognizioni anteriori ad ogni
senso ed esperienza, e del non andar mai digiuno di queste
neppure il volgare intendimento.
Eccoci bisogno di un criterio pel quale distinguere con sicurezza la cognizione pura dall’empirica. Perciocché la sperienza ne
insegna bensì esistere in un modo o nell’altro una qualche cosa,
non però che la stessa cosa possa essere altrimenti. Ora, se
c’incontriamo (in primo luogo) in una tesi, nel pensare alla
quale ricorra insieme al pensiero la di lei necessità, sarà essa un
giudizio a priori; se poi non è derivata ed ha forza di tesi, necessaria via sempre per se stessa, in tal caso è giudizio assolutamente a priori. In secondo luogo, la universalità, che imprime a suoi giudizi la sperienza, non è mai assoluta e rigorosa,
ma solo supposta o relativa (per via d’induzione); e propriamente indica o d esprime: questa o quella regola, per quanto
abbiamo appreso fino ad ora, si trva senza eccezione. Che se il
giudizio cui mediti è meditato come assolutamente universale,
talché né possibile ammetta la minima eccezione, allora esso
non proviene dalla sperienza, ed ha forza di preconceputo ad
ogni patto. L’universalità empirica pertanto non è che un aumento spontaneo di prezzo, da quello del più delle volte, a
quanto vale per tutte, come nell’assioma, che stabilisce i corpi
tutti essere gravi. Per lo contrario, quantunque volte
l’universalità assoluta appartiene essenzialmente ad un giudizio, essa indica il medesimo avere una sorgente affatto particolare, la facoltà cioè di sapere per anticipazione. Or dunque la
necessità, e l’assoluta universalità, sono gl’indizi sicuri della
cognizione a priori, e sono esse così fra loro strettamente accoppiate a vicenda, che non può una dall’altra disgiungersi.
Siccome però nell’applicazione pratica delle medesime ai giudizi riesce talvolta più agevole a dimostrarsi la empirica loro
limitazione, che non l’accidentalità, se non anche riesce
84
Critica della ragione pura – tomo primo
Introduzione, II
tal’altra più assai manifesta la illimitata universalità cui riportiamo ad un giudizio, che non la necessità del medesimo, sarà
quindi prudente consiglio il separatamente giovarsi di ammendue gli accennati criteri, essendo altronde infallibile ciascheduno anche da solo59.
59
Ecco il pricipio, che serve di base a tutto l’edifizio della critica, in maniera che, ove lo si potesse dimostrar falso, rovinerebbe affatto quell’edifizio.
Tutto ciò che nel sapere umano esprime alla coscienza una necessità è anticipato, ed appartiene. Alla ragione pura; tutto ciò per lo contrario, che vi
esprime l’accidentalità od a una generalità comparativa è posticipato, ed
appartiene alla sperienza. Considerato in se stesso il necessario, nelle cognizioni, si chiama puro, e si chiama empirico l’accidentale od anche
l’universale semplicemente comparativo. La possibilità ed autenticità
dell’umano sapere poggia sul complesso delle cognizioni pure, e costituisce
la filosofia trascendentale. La verità del detto principio è confermata dal fatto ; giacché non può dubitarsi esistere nella coscienza una diversità essenziale tra ciò che è necessario ed accidentale nella cognizione. Ora non può il
necessario essere derivato in veruna maniera alla sperienza, come quella che
ben dimostra ciò che avviene, ma non domostra le cose dovere succedersi in
quel modo che accadono. E per quanti si facessero sforzi, onde il necessario
derivare dalla sperienza; essi non valsero né alle prove reggere della critica;
né alla voce dell’intima convinzione che li contraddice. Il necessario della
sperienza non potrebbe dunque avere sorgente altrove che nella ragione pura.
Per l’opposto non è già dalla ragione pura, che si deve cercare la cagione
dell’accidentale; altro non potendo essa contenere che i principj formali del
sapere; giacché gli oggetti, ai quali questi principj si riferiscono, vengono
somministrati dal di fuori, e ne fa fede la stessa coscienza. Ben serve la sperienza di pungolo in certo modo, per cui eccitare la facoltà intelettuale pura
e porla siffattamente in azione che ne possiamo indi acquistare il convincimento sì colla riflessione che per astrazione. Che se fosse possibile rovesciare il principio, essere il necessario della cognizione a priori, ed a posteriori nella stessa cognizione il casuale, in tal caso non avremmo più alcun
carattere positivo per cui separare la ragione pura dall’obbiettivo della sperienza. Non ostante però le obbiezioni mosse alla dottrina di Kant, e non ostante gli errori e le imperfezioni che s’incontrano per avventura nel rimanente del suo sistema, niuno ha potuto ancora impugnare la verità di siffatto
principio. Quellino che negarono la ragione pura o la volsero ben anche in
ridicolo, non mai però giunsero a dichiarare né onde la differenza derivi tra
85
Critica della ragione pura – tomo primo
Introduzione, II
Che poi dieno simili giudizi necessari non che strettamente
universali, quindi a priori e veramente inerenti all’umano intendimento, nulla di più agevole che il provarlo. Chi ne volesse
infatti esempi dalle scienze, non ha che a trascorrere gli assiomi della matematica e ne rileverà in tutti. Chi poi fosse vago di
averne dall’uso più volgare dell’intendimento, la già indicata
proposizione che annunzia, ogni mutazione dipendere da una
causa, potrà servirgli di prova. E di vero che, in questa tesi, la
stessa idea di una causa contiene sì manifestamente anche le
idee di una necessità di combinazione con un effetto, che di
una illimitata universalità nella regola, che andrebbe affatto
perduta quella prima idea, se la si volesse derivare con Hume
da spesso ripetuto accoppiamento di ciò che accade con ciò che
precede, e da una quindi emergente abitudine di combinare le
rappresentazioni; oltreché non sarebbe che subbiettiva la necessità che risulterebbe da tale abitudine. Ma non è già d’uopo
ricorrere a simili esempi, onde provare vera la esistenza de’
principj puri a priori nella nostra cogizione; giacché si potrebbero persino dimostrare indispensabili alla possibilità della sperienza medesima. Donde mai ricaverebbe questa infatti la propria certezza, ove già empiriche fossero per se stesse, quindi
avventizie le regole, giusta le quali essa procede; e come ammettere in tal caso che queste regole avessero valore di principj
e di leggi primitive. Ora però dobbiamo starci contenti
all’avere dimostrato l’uso puro della nostra facoltà di sapere,
non che indicato i criteri della medesima. Dirò anzi che non solo nei giudizi ma nelle stesse idee può dimostrarsi l’origine a
priori, come quella che si dimostra per se medesima in alcune
di loro. Proviamo infatti a distaccare col pensiero, poco a poco,
dal complesso dell’idea, che abbiamo del corpo, tutto quanto vi
quanto è necessario e quanto è contingente nella cosciena, né come si possa
il necessario dalla sperienza derivare. E sinché non sia chi ne offra così fatte
spiegazioni, la filosofia critica. Dice Buhle, può essere tranquilla rispetto a
questo criterio di guida, cui ella segue nelle sue ricerche.
86
Critica della ragione pura – tomo primo
Introduzione, II
è di empirico, il colore, la durezza o la mollezza, la gravità, ed
anche l’impenetrabilità, resterà però sempre, nè sarà forza di
pensiero, che valga cancellare lo spazio già prima occupato dal
corpo, e non ostante l’essere questo scomparso del tutto. Nella
stessa maniera se dal nostro concetto empirico di un oggetto
qualunque, sia esso corporeo od altro, stacchiamo tutte le proprietà e modificazioni apparate dalla sperienza, non è però caso
che possiamo togliergli quelle per le quali ce lo immaginiamo
come una sostanza, o come alcunchè di aderente alla sostanza
(sebbene questa idea sia più definita che non quella di un oggetto in generale). Convinti pertanto da quella stessa necessità,
colla quale ci si affaccia ed insinua la detta idea, non possiamo
a meno di confessare ch’essa risiede a priori nella nostra facoltà di sapere.60
III. Del bisogno, che ha la filosofia di una scienza, che stabilisca la possibilità, i principj ed il complesso di tutte le nozioni
preconcepute.
Più assai del sin qui detto rileva, che certe cognizioni abbandonano affato il terreno d’ogni sperienza possibile, e mostrano di
estendere la periferia dei nostri giudizi, oltre quanti sono i confini della medesima, per mezzo di concetti, ai quali non è oggetto che risponda; né, per investigare che si faccia, sarà mai
possibile in tutto in quel terreno incontrarne.
60
La prima deduzione da questo principio è che, rimanendo sempre lo stesso, né mai variando il soggetto, e variando continuamente, per l’opposto, gli
oggetti, né alcuna essendo in essi ragione di necessaria somiglianza, tutto
ciò che, nella rappresentazione degli oggetti, sarà costante ed invariabilmente lo stesso, appartiene al soggetto; e che all’oggetto spetta per lo contrario
quanto vi è di variabile, passeggero ed accidentale. Così la forma ed il colore che, a qualunque oggetto rivolgendosi, trovasse lo sguardo, sempre uguale in tutti e costante, oppure il sibilo che fosse inseparabile da qualsivoglia
suono, apparterrebbero all’occhio ed all’orecchio, anziché agli oggetti veduti od ai suoni percepiti. Kant Tom. I. 10.
87
Critica della ragione pura – tomo primo
Introduzione, III
Ora gli è appunto in queste cognizioni ed in queste idee, le
quali trasmigrano dalla sfera del mondo sensibile, recandosi in
parte ove non può la sperienza guarentirle, né fornir loro alcun
filo di guida, che stanno riposte quelle investigazioni del nostro
intelletto, quali noi reputiamo assai più preminenti rispetto al
pregio, e di gran lunga più elevate risguardo allo scopo, che
non tutto quanto può lo stesso intelletto apparare alla scuola e
nel campo dei fenomeni. E le ci stanno tanto a cuore siffatte
investigazioni, che, a costo di pure ingannarci, e non ostante sì
la differenza, o poca estimazione, in che sono tenute per altri, sì
le difficoltà che presentano, preferiamo affrontare ogni pericolo, anzi che rinunziarvi ed ommetterle. Dio, la libertà e
l’immortalità sono i temi dai quali non possiamo schermirne: la
stessa ragione pura ce li presenta; e la scienza, il cui ultimo
scopo e i preparativi e le armi ad altro propriamente non tendono che alla soluzione loro, è metafisica. Questa poi, battendo
sin dalle prime la via dogmatica, senza cioè preventivamente
sottoporre ad esame, non che scandagliare, la capacità od incapacità della ragione a sì grande intrapresa, vi si scommette con
tutta fidanza e ne affronta l’eseguimento.
Eppure nulla di più naturale, dappoi essersi dipartiti dal territorio della sperienza, quanto il non doversi l’edifizio innalzare né sopra nozioni, che ben si posseggono, ma non si sa donde; né sul credito e sull’autorità di principj, dei quali è nascosta
l’origine; e di non prima costruirlo che presa diligentemente
contezza, ed istituito esame del sito, su cui porre con tutta sicurezza le fondamenta: E che si avrebbe invece dovuto già da
molto tempo emettere la domanda: come potesse o come possa
l’intendimento mai giungere a tutte queste cognizioni anticipate, sin dove le si estendono, quale abbiano autenticità; e quanto
valore? E per verità, che nulla è più naturale di tutto questo, se
per naturale intendi ciò che l’equità e la ragione richiedono che
si faccia o succeda. Che se per lo contrario intendi, sotto questa
parola, ciò che d’ordinario si fa e succede, certo che nulla di
88
Critica della ragione pura – tomo primo
Introduzione, III
più manifesto e naturale, in tal caso, quanto che la indicata ricerca dovesse rimanere negletta per lungo tempo. Tanto più
che da una parte di queste cognizioni, come sarebbe la matematica, trovasi già nell’antico possesso della piena certezza, e desta perciò le più lusinghiere aspettazioni, anche rispetto alle altre scienze; non ostante che forse affatto da quella diverse per
loro natura. Aggiungi che, sciolti una volta i lacci, e sortito dalla periferia della sperienza, non hai più perché tema di essere
dalla sperienza redarguito o confutato. Perciocché la bramosia
di estendere le proprie cognizioni è di tal forza, che non potrai
essere arrestato nei tuoi passi, eccetto alcuna cosa incontrando
che inchiuda e mostri la più manifesta contraddizione: e ti sarà
facile scansarla, solché sii cauto e castigato nelle immagini che
saranno pur sempre immagini e chimere. Le stesse matematiche forniscono parlantissimi esempi di quanto, e come lontano,
possiamo avanzarci nella cognizione anticipata, ed indipendente da qualunque sperienza. Vero bensì che la matematica non si
occupa di cognizioni ed oggetti, che in quanto può essa rappresentarli col mezzo della vista; benché si trascuri di por mente a
tale circostanza, per ciò appunto che, potendo essere somministrata preventivamente, la visione riesce appena distinguibile
da una semplice idea pura. Quindi è che, abbagliata, più che
persuasa, da prove di questa fatta, sulla forza e capacità della
ragione, la smania di estenderla non conosce più limiti: e si
comporta come lieve colomba, la quale, sentendo la resistenza
dell’aria volando, s’immaginasse che sarà per trovarsi assai
meglio e più liberamente aleggiare, ove possa giungere in parte
di spazio, che d’ogni aria sia privo. Così abbandonava Platone
il mondo sensibile, ove troppo è compresa fra carceri e strette
la mente, quando attentossi oltrepassarlo e spingersi col volo
delle idee nel vuoto del puro intendimento. Ma non rifletté il
volatore filosofo ch'’i non guadagnava punto cammino, per affaticare che facesse le ale, come quelle che, se non contrasto,
neppure trovavano appoggio, e che, non trovando su di che po89
Critica della ragione pura – tomo primo
Introduzione, III
tessero esercitarsi le di lui forze, non poteva ottenere, perché
l'’ntelletto avanzasse. Ma è tale d'o’dinario il destino dell'u’ana
ragione, in fatto di speculazioni, ch'e’sa dapprima non si occupa che di condurre a fine il più presto che può l’edificio; e poscia e per ultimo ed assai tardi esamina se ne ha ben poste, e
sopra suolo adatto, le fondamenta. Che anzi allora si cerca ogni
maniera di titoli e pretesti, onde avere conforto sulla idoneità e
salvezza del fabbricato, per non dire quanto se ne rifiuta od elude la già tarda e pericolosa esplorazione. Ciò che poi da ogni
sospetto e timore ne affida, mentre stiamo edificando, e ne lusinga talora colle apparenze della solidità, gli è che buona parte, forse la massima, dei lavori di nostra ragione consiste nella
notomia delle idee, che noi abbiamo già ricevute dagli oggetti.
E con ciò ne viene fornita copia di nozioni, le quali, non ostante che mere dichiarazioni e dilucidazioni di quanto era già stato
immaginato nei nostri concetti (in maniera tuttavia facilmente
confusa), rispetto per lo meno alla forma però, sono per noi equiparate a cognizioni di nuova data; mentre, se badi alla materia od al contenuto, non allargano punto la sfera dei concetti
che già possediamo, ed altro non fanno che dividerli e staccarli
l’uno dall’altro. Siccome il qual procedere fornisce non pertanto vera cognizione a priori, la quale ha già un sicuro ed utile
andamento, quindi è che, delusa per quella fallace apparenza, la
ragione, riceve per sorpresa, e senza neppure avvedersene, asserzioni e massime di tutt’altra natura. Nel che fare la stessa a
delle idee già date ne accoppia ed aggiunge di affatto straniere
(quantunque a priori), così che, né sai, né capisci, come le abbia essa ricevute, né ti può cadere tampoco il pensiero di chiederla, non che indagare sul loro provenimento. Voglio pertanto,
in questa stessa introduzione, trattare trattare del come distinguasi questa doppia maniera del sapere.
90
Critica della ragione pura – tomo primo
Introduzione, IV
IV. Della differenza tra i giudizi analitici ed i sintetici.
In tutti i giudizi nei quali si medita col pensiero il rapporto di
un soggetto coll’attributo (non considerando che i giudizi affermativi, per essere quindi ovia l’applicazione ai negativi),
l’accennato rapporto è possibile in due maniere. Perciocché il
soggetto B appartiene al predicato A, come qualcosa che sia
già contenta nel concetto dello stesso A, quantunque in maiera
oscura o non appariscente; o che B, sebbene unito e collegato
col concetto A, è però affatto fuori del medesimo. Nel primo
caso chiamo analitico il giudizio, e sintetico nel secondo. Giudizi analitici adunque (parlando sempre d’affermativi) diremo
quelli, dove pensiamo in una e la stessa cosa (identicamente)
congiunto col soggetto quanto gli viene attribuito; quelli poi,
dove la stessa combinazione viene pensata senza identità, si
dovranno dire sintetici61. Si potrebbe eziandio chiamare giudizi
rischiaranti i primi, ed amplificanti gli altri; stanteché dagli analitici non si aggiunge nulla col predicato all’idea del soggetto; ma essi non fanno che dividerlo e notomizzarlo, dirò così,
nelle sue proprie idee parziali, come quelle che già nel medesimo già si pensano, sebbene oscuramente. Mentre all’opposto
i sintetici aggiungono all’idea del soggetto un attributo, che
non era appunto immaginato in esso lui, e che non avrebbe potuto indi emergerené ricavarsi, per qualunque se ne facesse
anatomia. Così quando annunzio che tutti i corpi sono estesi,
annunzio un giudizio analitico. Perciocché, onde trovare
l’estensione, come inerente al medesimo, non mi è d’uopo sortire dall’idea che attacco al corpo; ma basta che solo divida minutamente quel concetto: basta cio+ che, onde scovrirvi
quest’attributo, sia sia consapevole in me stesso di tutto quanto
61
Dal che pare che i giudizi analitici e sintetici di Kant corrispondono a
quelli, che Locke ha fondato sul rapporto di identicità, rispetto ai primi, e su
quello di coesistenza, rispetto ai secondi.
91
Critica della ragione pura – tomo primo
Introduzione, IV
immagino sempre nel medesimo; e il detto giudizio sarà conseguentemente analitico62. Per lo contrario, allorché dico tutti i
corpi essere gravi, l’attributo è qualche cosa di affatto diverso
da quanto io penso in generale nel solo concetto di un corpo: ed
è con simili addizioni di predicati che si formano i giudizi sintetici.
I giudizi empirici, come tali (provegnenti dalla sperienza),
sono tutti quanti sintetici. Sarebbe invece assurdo il fondare un
giudizio analitico sulla sperienza, come quello, per formare o
concepire il quale non ti è mestieri sortire dal tuo concetto ed
abbandonarlo, e ti sarebbe superflua la testimonianza della sperienza. Essere di fatto il corpo esteso, per isperienza non già,
ma ti si annunzia colla massima sicurezza ed evidenza per anticipazione; per conseguenza non è giudizio sperimentale. Conciossiacché, prima che tu all sperienza ricorra, trovi già le condizioni nel tuo giudizio nell’idea, puoi cavarne il predicato per
la sola legge di ripugnanza, e sei quindi conscio nello stesso
tempo della necessità del giudizio; ciò che neppure potevi dalla
sperienza imparare. Per l’opposto, quantunque nell’idea generale del corpo non sia punto compreso l’attributo della gravità,
esso però indica un oggetto subordinato in questa o quella parte
alla sperienza; e posso a quella tal parte aggiungerne altre (della sperienza medesima) come appartenenti alla prima. Può essermi già nota infatti l’idea del corpo analiticamente, per mezzo dei criteri di estensione d’impenetrabilità, di figura e di altrettali proprietà, che tutte vengono immaginate in quel concet-
62
Sono egualmente giudizi analitici: non inclina una riga perpendicolare né
a dritta né a sinistra; un cerchi è rotondo; un triangolo ha tre lati; un animale
è un essere vivente, un corpo organizzato ec. In quanto per formare siffatti
giudizi, e trovarli, non si ha d’uopo che dell’analisi de’ respettivi oggetti: E’
inoltre assoluta la certezza dei medesimi, perciocchè fondata sul principio di
contraddizione; vale a dire che altro non si può in un oggetto scoprire
coll’analisi, e non per altro di esso assicurarsi, tranne in quanto e per quanto
non gli è contraddittorio.
92
Critica della ragione pura – tomo primo
Introduzione, IV
to.63 Ora dunque mi faccio ad estendere la mia cognizione, ricorrendo per ciò alla sperienza, dalla quale aveva già ricavato
questa idea del corpo; e siccome, ciò facendo, incontro anche la
gravità, sempre combinata coi suddetti criteri, così questa pure
aggiungo sinteticamente, come attributo, a quell’idea: E’ dunque sulla sperienza che si fonda la possibiltà della sintesi del
predicato della gravità coll’idea del corpo; giacché le due idee,
quantunque non una contenuta nell’altra, si appartengono ciò
non ostante a vicenda, sempre però accidentalmente, come parti di un tutto, vale a dire della sperienza, che è già per se stessa
una combinazione sintetica di visioni.
Tale appoggio e soccorso però manca del tutto ne’ giudizi
sintetici per anticipazione. Se debbo infatti allontanarmi dal
concetto A, per conoscere come unito al medesimo l’altro B, a
cosa potrò di grazia fondarmi, o per qual mezzo accadrà che
possa la sintesi aver luogo, se mi è precluso il vantaggio di per
ciò scorrere il campo della sperienza? Diamo la proposizione:
tutto ciò che avviene ha la sua causa. Nell’idea di ciò che accade, io penso bensì ad un’esistenza, all’essere questa preceduta
da un tempo, ed a simili concetti, onde possono derivarsi giudizi analitici. Ma l’idea di una causa giace assolutamente fuori di
quel concetto, dinota cosa affatto diversa da ciò che accade, e
che non è quindi minimamente contenuta in quest’ultima rap63
Quanto tempo non si fu ad aver idea dell’aria, senza nulla sapere del suo
peso, del suo colore ceruleo, di sua elasticità, dell’essere ella, o non essere,
un composto d’ossigeno e d’azoto ec. ? Ora, tutte le volte che le furono scoverte nuove attribuzioni, si formarono giudizi sintetici. Il che serve di controprova essere i giudizi analitici a priori tutti quanti, come quelli per i quali
non è d’uopo istituire sperimenti, onde sapere che quanto è inerente all’idea
di un oggetto, può essere di lui affermato. E conferma nello stesso tempo
ciò che sarà detto più sotto, che i giudizi analitici cioè rendono più chiare le
nozioni degli oggetti; ma né valgono ad estenderle, né ad acquistarne di
nuove. Giacché perciò è necessario che loro attribuiamo qualità e rapporti,
non ancora contenuti nella idea, o rappresentazione, che abbiamo; e che tali
qualità e rapporti vengano presi altrove che in detta idea; ed ecco perché i
giudizi sintetici sono anche addizionali o come dice l’autore amplificati.
93
Critica della ragione pura – tomo primo
Introduzione, IV
presentazione. Come, o per qual via, potrò dunque annunziare
cosa diversa del tutto da ciò che accade in generale; e da ciò
stesso rilevarla; e riconoscere tuttoché non contenuta in quel
concetto, l’idea della causa, come appartenente ciò non pertanto, anzi necessariamente, al medesimo? Quale sarà in questo
caso l’incognita =x; a quale dev’essere puntello all’intelletto,
che dal concetto A vuol dedurre l’attributo B, cui, benché straniero a quel concetto, reputa combinato col medesimo?
L’esperienza non già, poiché l’addotto principio aggiunge il
secondo concetto al primo, non solo con illimitata universalità,
ma sì pure colla espressione della necessità, quindi assolutamente a priori e per mezzo di pure idee. Ora tutto quanto lo
scopo del nostro saper speculativo per anticipazione poggia sopra così fatti principj sintetici, vale a dire amplificati; giacché
gli analitici sono estremamente importanti e necessari è vero;
ma solo per conseguire quella evidenza d’idee, che si richiede
ad una sintesi più certa ed estesa, come sarebbe ad estraneo e
veramente nuovo guadagno64.
64
Avendo stabilito essere i giudizi empirici tutti sintetici, darsene tuttavia di
anticipati ed estranei ad ogni sperienza, potranno servire ad esempio dei sintetici sperimentali anche i seguenti: l’oro è duttile, il fuoco brucia, quel fiore
olezza, quell’uomo è ricco, ammalato ec.; in quanto si percepiscono gli attributi che si danno all’oro, al fuoco, a quel tal fiore, od uomo; ch’essi hanno per noi la realtà del fatto; che la sperienza è il mezzo certo e comprensivo, per cui formarsi tali giudizi, e ch’ei nascono e si formano analogamente
ai fatti, vale a dire manifestamente a priori, e senza uopo di più profonde
indagini. Sarebbero poi anteriori alla sperienza, e senza dato per parte della
medesima, quelli dell’essere l’anima semplice, immortale, il mondo finito
od infinito, avente o non avente principio, e simili giudizi, veri o falsi ch’ei
sieno, purché non possa la sperienza avervi contribuito; come non possiamo
infatti da essa fatti scorti né del semplice, né dell’infinito, né dell’eternità.
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Critica della ragione pura – tomo primo
Introduzione, V
V. Dei giudizi sintetici a priori come inerenti a tutte le scienze
teoretiche della ragione.
I. I giudizi matematici sono tutti quanti sintetici. Il che appare
sfuggisse fino al dì d’oggi all’acume, anzi fosse decisamente
contrario all’opinione, di quanti furono minuti scrutatori (notomisti) dell’umano intendimento; quantunque certamente incontrastabile tal sequenza, e di gravissimo peso per le conseguenze. Conciossiaché, avendo rilevato che le argomentazioni
dei matematici progrediscono tutte in virtù dell’assioma dei
contrari, come richiede la natura di ogni apodittica certezza,
tutti si persuaseri che anche i principj fossero provati e riconosciuti mercè la ragione delle ripugnanze. Però s’ingannarono,
atteso che può bensì comprendersi una proposizione sintetica
mediante la prova di contraddizione; ma solo in quanto si premette un’altra proposizione sintetica, onde possa quell’altra essere dedotta, non potendosela mai conoscere per se stessa.
Importa prima di tutto avvertire che le asserzioni puramente
matematiche vertono sempre intorno a giudizi a priori e per verun conto empirici; poiché la ragione che annunziano è necessaria, né può quindi avere origine dalla sperienza. Se poi fosse
alcuno, cui sembrasse ciò non doversi accordare, limiti egli di
grazia la mia proposizione alla sola matematica pura, la stessa
idea della quale indica già per se stessa che il di lei sapere non
è sperimentale, ma tutto e puramente a priori.
Crederai sulle prime la proposizione che stabilisce 7+5=12
essere puramente analitica; comeché risulti dal concetto di una
somma di sette e di cinque, giusta l’assioma dei contrari. Ma,
se rifletti con più attenzione, troverai che l’idea della somma di
7 e 5 altro non inchiude che l’accoppiamento di due numeri,
senza che per nulla si pensi qual sarà il numero, che unico li
riunisce ammendue. Né ti si presenta già sul momento al pensiero il concetto di dodici, per ciò ch’ei raffiguri la riunione di
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Critica della ragione pura – tomo primo
Introduzione, V
sette e di cinque; e né per dividere o risolvere che tu faccia il
concetto, che ti sarai fatto di una tal somma possibile, in mille
maniere, ti accadrà mai di trovarvi dentro i dodici. Bisogna invece che sorta da cotesti concetti; quando, avendo ricorso a visione corrispondente all’uno dei due, alle cinque dita quandomai della tua mano, oppure a cinque punti (come fe’ Segner
nella sua Aritmetica), si vanno man mano aggiungendo,
all’idea delle sette, lr cinque unità esibite per la visione. E
prendi prima il numero 7, indi ricorrendo, per l’idea del 5, alle
dita della mano, come a visione, aggiungi poco a poco, a quella
immagine che ti sei fatta del 7, le unità, che avevi dianzi prese
in complesso per formare il numero 5; e così vedi nascere il
numero 12; senza di che immaginavi, è vero, nella idea di una
somma =7+5, che il 7 doveva essere aggiunto al 5, non però
immaginavi quella somma essere uguale al numero 12. La proposizione aritmetica è dunque sintetica sempre, come gli è facile convincersene con tanto più evidenza, provandosi con numeri alquanto maggiori; quando, per volgere che si facciano e porre quasi a tortura i nostri concetti, mai non si giunge colla sola
notomia dei medesimi, e senza l’ajuto della visione, a trovare la
somma.
Anche la Geometria non ha principj che possano riferirsi agli analitici. Ed è già sintetica la proposizione che annunzia la
linea retta per la più breve infra due punti; perciocché l’idea del
retto non contiene che una qualità e nulla di grandezza65.L’idea
del brevissimo è dunque affatto aggiunta, né la si può assolutamente cavare dal concetto della linea retta, per quanto la si
divida e suddivida: onde risulta manifesto, essere quipure biso65
Non può la sperienza insegnare che non vi sia cammino più corto di quello della linea retta, e solo insegna essere questo il più corto che abbiamo
trovato finora sperimentando. Ma che sia assolutamente impossibile una via
più breve, ciò è quanto non risulterebbe da migliaia di esperimenti; e, siccome ciò è pur quello cui sappiamo, quindi lo dobbiamo sapere da tutt’altro
che dalla sperienza.
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Critica della ragione pura – tomo primo
Introduzione, V
gno della visione, come della sola per la quale può venirne la
sintesi66.
Si danno però alcuni pochi principj, fra quelli che i Geometri usano premettere, i quali sono realmente analitici, e poggiano sull’assioma delle ripugnanze. Questi però non servono che
di catena o connessione al metodo, non già in qualità di principj, ma come asserzioni meramente identiche. Tali per esempio a=a il tutto è uguale a se stesso, ma (b+b)>a, cioè il tutto è
maggiore della sua parte. Che anzi, quantunque non abbiano
valoe siffatte asserzioni, che in grazia di concetti puri, esse
vengono però ammesse nelle matematiche, solo per ciò che le
vi si possono rappresentare ed offrire alla vista. E non è che
l’ambiguità del linguaggio quella che, in questi casi, ne induce
ordinariamente a credere contenersi già nel nostro concetto
l’attributo di cotesti principj apodittici, ed esserne perciò analitico il giudizio. Perciocché, mentre diciamo doversi ad un dato
concetto immaginare un dato attributo, non riflettiamo essere di
già inerente al concetto medesimo la necessità d’immaginarvi
quell’attributo. Né si tratta già di cosa dovremo aggiungere col
pensiero ad una data idea, ma di ciò che già di fatto pensiamo
essere nella medesima, quantunque oscuramente. Dal che si
capisce che l’attributo aderisce bensì necessariamente alla detta
idea, non però si pensa come inerente alla medesima, e che rileviamo esserle quello intrinseco, mediante il soccorso di una
visione.
2. Anche nei principj della fisica incontransi giudizi sintetici
a priori; e basteranno, in via d’esempio, le due seguenti proposizioni a convincerlo. Che in tutte le mutazioni, cioè, del mon66
Il giudizio è sintetico in quanto attribuisce agli oggetti dei predicati, che
non sono contenuti necessariamente, o come parti loro integranti, nell’idea
dei medesimi. Io posso analizzare o dividere quanto voglio tanto l’idea di
una linea retta, come prodotto di migliaia di punti nella stessa direzione fra
due punti dati, quanto l’idea del retto, che non troverò mai l’idea né del più
lungo né del più breve, giacché il retto è una qualità, come dice l’autore, e
non potrà mai risultarne idea di quantità e di grandezza.
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Critica della ragione pura – tomo primo
Introduzione, V
do corporeo rimane sempre immutabile la quantità della materia; e che, in ogni comunicazione di movimento, l’azione e la
reazione devono essere fra loro eguali. Ora in ambedue queste
asserzioni è non solamente manifestala necessità, quindi
l’origine loro a priori, ma sì eziandio che sono sintetiche; poiché, nel concetto della materia, non è che io pensi alla di lei
perseveranza, ma solo alla di lei presenza nello spazio, cui essa
occupa e riempie: con che oltrepasso effettivamente l’idea della
materia, e ne sorto per quindi ritornarvi ed aggiungervi per anticipazione quanto non immaginavo come già compreso nello
stesso concetto. La detta proposizione adunque non è analitica,
ma sintetica e, ciò non ostante, preconceputa; il che vale per
tutte le altre proposizioni della parte pura della fisica.
3. Rispetto alla metafisica, tuttoché la si consideri per una
scienza, al conseguimento della quale non si fecero finora che
tentativi (quantunque indispensabile per la stessa natura
dell’umana ragione), essa deve consistere in cognizioni sintetiche preintese o presunte. Lo scopo infatti di tale scienza non è
di semplicemente notomizzare i concetti, che ci formiamo a
priori delle cose, e di quindi analiticamente rischiararle; giacché miriamo a per essa estendere la nostra cognizione a priori,
e dobbiamo perciò servirci di principj atti ad aggiungere, ad
una data idea, qualche cosa di non già dianzi contenuto nella
medesima, e così avanzarci e per mezzo di giudizi sintetici
progredire sin dove non possa la sperienza medesima seguitarci. Al che, fra le molte, può servire d’esempio la proposizione,
dovere il mondo avere avuto un primo principio. Dunque la
metafisica, rispetto almeno al di lei fine, consiste assolutamente
in principj sintetici, tutti a priori.
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Critica della ragione pura – tomo primo
Introduzione, VI
VI. Problema universale della ragione pura.
Ben sarà molto il guadagno che avremo fatto, potendo ridurre
copia di ricerche sotto la formola di una quistione unica. Conciossiaché in tal modo non solo si rende più agevole a se stesso
il proprio lavoro, nel determinarselo con tutta precisione, ma si
facilita lo stesso tempo a ciascun altro, cui prendesse vaghezza
di esaminarlo, il giudicare se avremo a dovere o no soddisfatto
al nostro divisamento. Ora il vero problema della ragione pura
consiste nella dimanda: Come possano i principj sintetici presumersi o preconcepirsi?
Il non essere prima d’ora mai ricorso al pensiero di nessuno
tal quisito, come né tampoco il divario che passa tra i giudizi
analitici ed i sintetici, è l’unico motivo, perché anche fino ad
ora la metafisica rimanesse in uno stato sì equivoco
d’incertezza e di contraddizioni. Ora il decidere, se debba questa scienza esistere o cadere, dipende dallo sciglimento della
detta quistione, o da una prova soddisfacente del non avere assolutamente luogo la possibilità, cui la stessa quistione dimanda perché venga dimostrata. David Hume fu quello che le si
avvicinò davvantaggio, fra quanti furono i filosofi, quantunque
ben lungi ch’ei la considerasse in tutta la sua universalità e determinazione precisa. Peciocché, standosi egli unicamente contento alla massima sintetica della combinazione dell’effeto colla sua causa (principio di causalità), avvisò di quindi ricavare,
che una tal proposizione fosse assolutamente impossibile a
priori. Talché dalle sue conclusioni risulterebbe, tutto ciò che
noi chiamiamo metafisica risolversi o perdersi in un puro capriccio di pretesa cognizione razionale di ciò, che, preso effettivamente in prestito dalla sperienza, avrebbe vestito sembianza
99
Critica della ragione pura – tomo primo
Introduzione, VI
di necessità, stante la forza dell’abitudine67. Nella qual senten67
Nel dimostrare poc’anzi (IV., ultimo paragrafo), essere principio a priori
quello; che tutto quanto accade aver deve una causa e produrre un effetto, si
è dimostrato qualmente la legge di causalità, che noi trasportiamo a tutta la
natura, e posiamo qual base a tutte le nostre osservazioni, è già per se stessa
una rappresentazione a priori, che noi attribuiamo per sintesi agli oggetti.
Ed è qui dove il filosofo scozzese aprì forse a Kant la strada ch’egli seguì
poscia nelle sue speculazioni. Perciocché Hume poneva in dubbio la verità
obbiettiva e la necessità del principio di causalità, in quanto non vedeva il
principio, sul quale doveva poggiare la sintesi tra la causa e l’effetto, volendo ammettere tal sintesi come necessaria ed obbiettivamente vera. Aveva
egli bensì veduto e dimostrato non potere appartenere alle cose, in se stesse,
il rapporto tra causa ed effetto; ma, non ammettendo niente a priori
nell’intelletto, aveva conchiuso questa causalità essere mera nostra fantasia,
in grazia dell’abitudine a così vedere le cose. Perciocché gli era fitta in capo
la teotia di Locke, la quale deriva dalla sperienza il sapere non solo, ma
quegli stessi principj del sapere che la coscienza trova necessari. Il perché
dimostrò, come principio necerrario del sapere, quello della causalità non
poteva dalla sperienza inferirsi, in quanto la sperienza rappresenta bensì una
successione di fenomeni, non però quella necessità di concatenazione dei
medesimi, cui esprime il principio di causalità. Giacché disse la coscienza
della necessità di tale principio doversi ripetere dall’assuefazione acquistata
dall’uso di risguardare i fenomeni come sempre associati, perché in effetto
s’incontrano quasi costantemente concatenati fra loro, come causa ed effetto, e che, vedendo in tutti un effetto, si suppone ognora un alttro effetto che
ne sia cagione. E ben fu trista maniera di risolvere una difficoltà rilevata
colla più fina penetrazione; giacché non è chi non senta le conseguenze che
risultano per la metafisica, e per tutto l’umano sapere, da un sistema che nega la verità obbiettiva ed il principio di causalità. Se non esiste questa nelle
cose, come potressimo contrarre l’abitudine di vedervela? Kant adottò le
premesse dello scozzese, ma conchiuse altrimenti, vedendo che per salvare
l’autorità di quel principio, e non esso esistendo negli oggetti osservati, era
indispensabile cercarlo nell’osservatore, cercando il principio a priori, dal
quale dipende la necessità della sintesi nell’idea della causalità. Se non obbiettiva infatti, essa deve essere siubbiettiva, e non v’è strada di mezzo.
Kant però si avvide che il setticismo di Hume poteva estendersi ai suoi
dubbj sull’idea della causalità sino alla necessità ed al valore obbiettivo di
tutti i giudizi sintetici a priori; e si propose quindi la dimanda sulla possibilità dei medesimi. Che da risolvimento di tal quistione dipenda la validità
d’ogni filosofia e d’ogni umano sapere, da ciò solo rilevasi, che la metafisi100
Critica della ragione pura – tomo primo
Introduzione, VI
za, distruggitrice d’ogni pura filosofia, non sarebbe mai venuto
quel filosofo, se avesse avuto sott’occhio nella sua universalità
la suddetta quistione; poiché avrebbe allora compreso che,
stando ai suoi argomenti, non sarebbe né tampoco possibile una
matematica pura, come quella che certamente contiene principj
sintetici a priori; e da tal sentenza ben lo avrebbe allora guarentito il suo buon senso.
ca e le matematiche non costituiscono scienze obbiettvamente positive o
non lo divengono, come dimostra in seguito Kant, che in quanto si può trovare la causa che necessari rende i giudizi sintetici a priori. Né qui trattasi
di stabilire quanto abbiano valore siffatti giudizi, ma solo di rilevare che se
ne fanno; e, quand’anche se ne trovasse uno solo, sarebbe fenomeno a bastanza interessante per ispirarne il desiderio di farci alle tracce di sua sorgente. Ma li troviamo frammessi a tutte le nostre cognizioni, ed era prezzo
dell’opera giustificarli, come fece Kant mediante la detta quistione, la quale
sebbene prodotta sotto altre forme, fu però da esso esposta in un modo più
preciso e scientifico, e pretendesi la di lui critica risolverla molto meglio
che non fu fatto finora.
Trattandosi delle cause prime d’ogni pensiero e sapere dell’uomo, già non le
Kant ricercate altrove che nella ragione pura. Giacché il principio della ripugnanza è bensì a non dubitarne il solo ragionevole, rispetto a quanto concerne il pensiero logico, ma non è nello stesso tempo principio del sapere,
come quello che già è supposto nel pensiero medesimo. Così, rispetto al sapere, il principio del sapere determina la condizione analitica, non però la
sintetica. Dunque la dimanda in discorso non trova risposta nella logica, né
questa può essere in conseguenza la base vera dealla metafisica e delle matematiche. Se gli antichi sistemi di metafisica risguardarono sotto questo
aspetto la logica, ciò è per non aver posto mente all differenza che passa tra’
giudizi analitici e sintetici, e perché nell’ontologia p.e., dopo aver proceduto
a dovere nell’analisi dell’idea logica degli oggetti, si cadeva nella sintesi
senza avvedersene, o piuttosto credendo procedere colla stessa esattezza che
dianzi, e si veniva quindi poco a poco ad avvilupparsi in contraddizioni inestricabili. Che anzi alla stess’analisi è d’uopo che preceda la sintesi, ove
quella abbia luogo; e, per quanto sembri agevole a primo aspetto il dichiarare la possibiltà de’ giudizi analitici, tale agevolezza non tarda scomparire,
appena si riflette che bisogna sempre muovere dallo spiegare la possibilità
de’ giudizi sintetici. Dunque le ricerche non ponno limitarsi al principio del
pensiero nella ragione, ma deggiono tendere specialmente alla scoperta del
principio del sapere, e della sua connessione (sintesi) col pensiero.
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Introduzione, VI
La soluzione del mentovato quisito comprende inoltre la
possibiltà dell’uso puro della ragione, onde fondare non che ridurre a perfezione tutte le scienze consistenti nella cognizione
teoretica degli oggetti a priori, essa comprende cioè le dimande:
Com’è possibile la matematica pura?
Com’è possibile la fisica pura?
Delle quali scienze, poiché di fatto esistono, sarà certamente
lecito il chiedere come sieno possibili; giacché l’esistere loro in
effetto è prova che debbono essere possibili68. Ma risguardo alla metafisica, i tristi progressi ch’ella fece fino ad ora, ed il non
potersi, da nessuna delle metafisiche fino ad ora comparse, inferire, per ciò che ne risguarda lo scopo essenziale, ch’ella esiste di fatto, sono tali circostanze da indurre chiunque a dubitare
con fondamento sulla di lei possibilità.
Tuttavia la maniera metafisica di sapere può in certo senso
ritenersi eziandio come data ed esistente: e, se non come scienza, la metafisica esiste in effetto come disposizione della natura
(metafisica naturale). Perciocché, spinta l’umana ragione dal
proprio bisogmo, anziché da mera vaghezza od ambizione di
sapere gran cose, avanza incessantemente, sino a che giunge a
tali quistioni, che non possono essere soddisfatte da verun uso
empirico della ragione, o da principj quindi ricavati. Dal che ne
viene che una qualche metafisica esiste realmente in ciascun
uomo, tosto che la di lui ragione si estenda ed innalzi alla speculazione; e tal metafisica vi è stata in tutti i tempi, ed esisterà
sempre in avvenire nell’uomo. E qui sorge a proposito la do68
Chi dubitasse darsi effettivamente una fisica pura, ponga mente alle diverse proposizioni, che occorrono sul principio di ogni fisica sperimentale:
come sarebbero quelle del perseverare la stessa quantità nella materia;
dell’inerzia dei corpi; della eguaglianza nell’azione e reazione e così via discorrendo. E sarà tosto convinto simili proposizioni costituire una fisica pura (o razionale); che ben sarebbe degna di essere trattata separatamente, come scienza particolare in tutto il suo complesso, sia che poi questo angusto
riescisse od esteso.
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Introduzione, VI
manda: com’è possibile la fisica come disposizione naturale?
Vale a dire, come nascono dalla natura dell’universale intendimento degli uomini le quistioni, che la ragione pura propone
a se medesima ed alle quali vien’essa per proprio bisogno eccitata rispondere il meglio per lei possibile?
Siccome però, a malgrado di quanti mai si fecero tentativi,
pei quali rispondere a queste dimande, come sarebbero se il
mondo ebbe principio od esiste ab eterno e simili,
s’incontrarono sempre inevitabili contraddizioni, così non c’è
verso che possiamo starci contenti alla sola disposizione naturale per la metafisica, voglio dire alla pura facoltà della stessa
ragione, onde sorge sempre, lo ripeto, una qualche metafisica;
sia poi qual si vuole cotesta. Ma deve pur essere possibile il
giungere con esso lei alla certezza di conoscere o non conoscere le cose; a cioè decidere o sugli oggetti di sue dimande, o sulla capacità od incapacità della ragione, rispetto al portare alcun
giudizio sui medesimi; ed a, per conseguenza, estendere con
sicurezza la nostra ragione pura o confinarla entro cancelli certi
e determinati. La qual questione, che pure finisce dal problema
universale summentovato, ridurrebbesi a con ogni buon diritto
dimandare: Com’è possibile la metafisica, come scienza? Dunque la critica della ragione pura guida finalmente guida alla
scienza per necessità. Per lo contrario l’uso dogmatico della ragione, senza critica, scorge a sentenze prive di fondamento; alle
quali essendo sì lecito, che agevole, il contrapporne di altrettanto appariscenti, ne viene di conseguenza ch’esso conduce al
setticismo.
Nè può tale scienza essere di sì enorme ampiezza da sgomentarsene ; giacché non ha essa che fare con oggetti razionali,
dei quali è infinita la suppellettile, ma solamente con se stessa,
e con questioni che nascono unicamente dal di lei grembo.
Queste quistioni poi non le vengono già presentate per la natura
di cose da essa diverse, bensì per la sua propria; così che ove
abbia essa imparato a ben conoscere la propria capacità, rispet103
Critica della ragione pura – tomo primo
Introduzione, VI
to agli oggetii che potessero nella sperienza occorerle, sarà facil cosa determinare con sicurezza e pienamente i limiti e la circonferenza dell’uso ch’ella sarà per tentare di se stessa, oltre
ogni confine di sperienza.
Possono dunque, anzi deggiono, risguardarsi come non accaduti quanti si fecero tentativi, onde ridurre dogmaticamente
ad effetto una qualche metafisica. Quando infatti nelle diverse
metafisiche incontriamo di analitico, voglio dire la semplice
notomia dei concetti, anticipatamente intrinseci alla nostra ragione, ben lungi dal costituire lo scopo della vera metafisica,
quello cioè di sinteticamente ampliare il proprio sapere a priori, non è che preparatorio alla medesima. Ma è non di meno inetto allo scopo, attesoché non indica se non quanto è contenuto in quei concetti, non però com’ei acquistino a priori, per
quindi potere inoltre determinare il loro leggittimo impiego universale, risguardo agli oggetti d’ogni sapere. Per poi rinunziare a tutte queste pretese non è mestieri che di rinegare alquanto se stesso; dacché le già innegabili, ed anche nella maniera dogmatica inevitabili, contraddizioni della ragione con se
medesima ressero da lungo tempo assai meno autorevol,ie
screditarono anzi, quante furono finora metafisiche. Ben sarà
invece mestieri di maggiore fermezza per non lasciare invilire o
trattenere né dalle intrinseche difficoltà, né dall’esterne opposizioni, e per potere finalmente una volta, mediante coltivamento
affatto contrario al praticato finora, promuovere non solo, ma
ottenere che alligni, cresca e fruttifera divenga una scienza, indispensabile all’umana ragione; onde ben si potranno recidere i
rami già pullulati, non però le radici estirpare.
VII. Idea e divisione di una scienza particolare sotto il nome di
Critica della ragion pura.
Da tutte le cose dette finora emerge l’idea di una scienza particolare, cui dar nome di Critica della ragione pura. Perciocché
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Introduzione, VII
se la ragione consiste nella facoltà, che fornisce i principj del
sapere anticipato, la ragione pura è quella che contiene iprincipj da riconoscersi, alquanto schiettamente, a priori. Un organo della ragione pura sarebber un aggregato di quei principj,
mediante i quali può acquistarsi e ridursi a perfezione ogni sapere preconceputo; e l’applicazione circostanziata di un tal organo sarebbe quella che somministrerebbe un sistema della ragione pura. Sembrando però essa soverchia pretesa, e dubitandosi tuttavia se generalmente anche in ciò, e sui quali punti, sia
possibile un aumento del nostro sapere, così risguarderemo
come propedeutica, o disponente al sistema della ragione pura,
una scienza che si limiti giudicare della medesima, delle sue
fonti, e delle sue circoscrizioni. La quale scienza dovrebbe
chiamarsi, non già dottrina, ma solamente critica della ragione
pura: e di vero che la di lei utilità non sarebbe, rispetto alla
speculazione, che negativa; giacché non serve ad arricchire,
bensì e soltanto a rischiarare la nostra ragione, a sgombrarla e
guarentirla dagli errori; con che si avrà già guadagnato assaissimo. Ora io distinguo del nome di trascendentale quella cognizione che in generale si occupa, non così degli oggetti, che della nostra maniera di conoscerli, per quanto sarà possibile tal
cognizione a priori. Un sistema di simili concetti si chiamerebbe folosofia trascendentale; ma qusta pure sarebbe soverchia
per chi deve incominciare. Perciocché, siccome tale scienza
dovrebbe comprendere per intiero tanto la cognizione analitica,
quanto la sintetica per anticipazione, così essa è troppo più vasta che non si richiede all’estensione del mio divisamento; non
essendomi per ciò necessario né lecito giovarmi dell’analisi,
che allora quando me la rendesse assolutamente indispensabile
il bisogno di rilevare sin dove si estendono i principj della sintesi a priori, come quella della quale devo altronde occuparmi
esclusivamente. Per ora dunque mi limito e pongo mano
all’accennata ricerca: e dico non potersela chiamare a rigor di
termine dottrina, ma solamente critica trascendentale; imperoc105
Critica della ragione pura – tomo primo
Introduzione, VII
ché non tende ad allargare il sapere, bensì ed esclusivamente a
rettificarlo, e deve somministrare la pietra di paragone del merito o demerito di ogni sapere69. Per la qual cosa questa critica
servirà di apparecchio a, quando possibile, un organo e, se non
si potesse questo conseguire, servirà per la meno di canone al
medesimo; dietro il qual canone sarà quindi facile ad ogni evento l’esporre, tanto analiticamente quanto sinteticamente, il
sistema compiuto della filosofia della ragione pura; sia poi che
venga indi estesa, o vieppiù circoscritta, la sfera di sue cognizioni. Che tal sistema sia possibile, anzi che non debba riuscire
vastissimo e ne sia quindi più sperabile il compimento, lo si
può anticipatamente conghietturare, perciò che non si ha già
qui per oggetto la natura inesauribile delle cose, ma giudice
della natura delle cose l’intelletto, e per soprappiù entro i cancelli, ripeto, di sua cognizione a priori. Non essendo quindi
mestieri l’andare accattando la suppellettile degli oggetti al di
fuori, non potranno essi rimanerci nascosti; oltrecchè v’ha di
buoni motivi per credere che sarà scarsa quanto basta, siffatta
suppellettile, per poterla tutta raccogliere, giudicarne il molto o
niun valore, e conseguentemente collocarla in posto conveniente. Molto meno deve qui aspettarsi la critica di libri o sistemi di
ragione pura, ma quella stessa facoltà speculativa del sapere.
Se non che, posando su tale critica, si avrà il solo critero sicuro
per estimare quanto contengono di filosofico i libri antichi e
moderni: dove altrimenti lo storico ed il giudice incompetente
delle insussistenti asserzioni degli altri, le sentenzia colle proprie, che sono altrettanto insussistenti.
69
Su di che osserva il Sig. Cons. Degerando, che, la filosofia critica reclama
un rango particolare, aspirando primeggiare fra tutte le filosofie. Proponendosi essa di fatto l’esame sì della natura e leggittimità, che dei limiti delle
nostre cognizioni, e benché protesto sottomettersi al severo magistrato che
loro mancava, ella però cerca installarsi da per se stessa in legislatrice suprema di tutte. E mentre lascia alle altre l’azione, e se ne riserba la censura,
sarebbe, rispetto a se stessa, giudice e parte. Kant Tom. I 12
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La filosofia trascendentale consiste nell’idea di una scienza,
l’intiero piano della quale dev’essere abbozzato dalla critica
della pura ragione architettonicamente, voglio dire per via di
principj, e con piena guarentigia della sicurezza e perfezione di
quante occorrono parti a costruire l’edifizio, voglio dire il sistema di tutti i principj della ragione contemplatrice. Ed il solo
motivo, per cui non chiamo filosofia trascendentale questa critica medesima, glli è appunto perché, ond’essa costituisse un
sistema perfetto, sarebbe mestieri che vi si contenesse una minuta analisi di quanto può essere l’umano sapere a priori. Vero
bensì che la nostra critica deve ad ogni modo esporre la storia
numerata e precisa di tutte le idee prime, costituenti la detta
cognizione anticipata. Ma ella siastienne, a tutta ragione,
dall’analisi circostanziata di quelle stesse idee, come pure
dall’esaminare le quindi attinte; parte perché allo scopo straniera tale notomia, ove non è la difficoltà che si incontra nella sintesi, cui del resto è propriamente destinata questa critica; parte
perché sarebbe in opposizione all’unità del piano il farsi responsabile della esattezza di siffatta analisi e derivazione, ove
lo scopo ne dispensa dall’una e dall’altra. Potrà intanto supplirsi facilmente all’accennta precisione sì dell’analisi che della
derivazione dei concetti a priori di ulteriore acquisto, solo ed
appena ch’ei si abbiano in pronto, quali principj circostanziati
della sintesi, e che nulla manchi di quanto si richiede a così essenziale divisamento.
Or dunque tutto quanto costituisce la filosofia trascendentale
appartiene alla critica della ragione pura, che è l’idea perfetta di
essa filosofia, senza che perciò la costituisca; non ispingendosi
per la critica l’anallisi che sin dove si richiede a compiutamente
giudicare la cognizione sintetica per anticipazione.
L’attenzione potissima, cui vuolsi avere nello scompartimento di questa scienza, è di provvedere a che non vi abbia
mai parte il menomo concetto, il quale sappia né per ombra di
empirico, vale a dire che sia assolutamente pura la cognizione
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Introduzione, VII
a priori. Quindi è che., sebbene le massime preminenti e le idee fondamentali della morale sieno cognizioni anticipate; ciò
non di meno esse appartengono alla filosofia trascendentale;
come quelle che non basano, è vero, i loro precetti sulle stesse
idee del piacere, della noja, degli appetiti, delle inclinazioni ed
altre di quest’ordine, ma debbono entrare di necessità nella
formazione del sistema della pura morale, unitamente all’idea
del dovere, qual ostacolo da superarsi o come incentivo da eludersi. La trascendentale pertanto è la filosofia della ragione pura meramente speculativa; giacché tutto quanto risguarda le azioni, ed in quanto comprende impulsi alle medesime, risguarda eziandio le sensazioni, le quali appartengono alle sorgenti
della cognizione sperimentale.
Ora volendo stabilire il riparto generale di questa scienza,
dal punto di vista universale di un sistema, la parte che sto per
esporne comprende in primo luogo l’insegnamento elementare,
in secondo luogo quello del metodo della ragione pura. Ciascheduna di queste parti principali dovrebbe avere le sue suddivisioni, e non le accenno, perché non possono dichiararne costì le fondamenta. Ciò che però sembra doversi avvertire nel
proemio, qual necessaria premonizione, si è che l’umana ragione germoglia da due tronchi, forse progenie di una radice comune, ancora ignota; e sono i sensi (la sensibilità) e l’intelletto;
il primo dei quali somministra gli oggetti, l’altro nel pensiero li
pinge (pensa)70. E la sensibilità, in quanto contenesse rappresentazioni preconcepute, e che perciò costituissero le eccezioni,
sotto le quali ci vengono rappresentati gli stesso oggetti, essa
70
Altro punto principale, di cui sarà importantissimo lo schiarimento, era
quello di fissare una linea di divisione più marcata che dianzi tra le visione e
le idee, tra l’intendimento e la sensibilità. Perciocché la differenza già riconosciuta in proposito per gli antichi filosofi scolastici non era che logica; e
non inchiudeva il come differiscano specificamente gli oggetti per se stessi
dal modo in che sono conceputi. Sinché la qual barriera sconosciuta rimase
non fu possibile spiegare compiutamente né la natura delle facoltà
dell’animo, né i rapporti loro vicendevoli.
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pure apparterrebbe alla filosofia trascendentale. Nel qual caso
anche la scienza del senso trascendentale apparterrebbe alla
prima parte del mentovato insegnamento elementare, se vero è
che le condizioni, date le quali solamente vengono gli oggetti
offerti all’umano sapere, precedono quelle, sotto le quali vengono essi pensati.
Fine del Tomo Primo.
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del tomo 1