ZANIER Claudio Il Diario di Pompeo Mazzocchi 1829-1915 La Compagnia della Stampa Massetti Rodella Editori p. 240; 24cm., ill. ISBN 88 8486 071 7 © Copyright novembre 2003 La Compagnia della Stampa - Massetti Rodella Editori Viale Industria, 19 - 25030 Roccafranca (Bs) Telefono 030 7091061 - Fax 030 7090660 E-mail: [email protected] www.lacompagniamassetti.it Fondazione Pompeo Residenza Mazzocchi e Cesare Mazzocchi Il Diario di Pompeo Mazzocchi 1829 -1915 a cura di Claudio Zanier Fondazione Civiltà Bresciana RINGRAZIAMENTO La pubblicazione del Diario di Pompeo Mazzocchi è stata resa possibile dalla fattiva e valente collaborazione di molte persone. La Fondazione Pompeo e Cesare Mazzocchi ed il Comitato di Redazione esprimono il loro vivo ringraziamento a tutti coloro che hanno partecipato alle varie fasi di preparazione di questo complesso lavoro, in particolare a Natale Partegiani, per il suo contributo ed i suoi preziosi consigli ed informazioni, al Parroco di Coccaglio per la sua disponibilità a far consultare in qualsiasi momento gli Archivi Parrocchiali, a Cesare e Lidia Mazzocchi per la cortesia a concedere l’utilizzazione di oggetti e ricordi della famiglia, a Maurizio Arfaioli ed Antonella Grati per il complesso e delicato lavoro di trascrizione del dattiloscritto, a Francesca Travaglini per lo spoglio delle carte giapponesi dell’Archivio di Pompeo Mazzocchi, a Giovanni Begni, sempre pronto a facilitare l’accesso e l’uso dell’Archivio. Un grato pensiero anche ai tanti amici giapponesi che hanno sostenuto attivamente il progetto di valorizzazione delle comuni memorie storiche del periodo in cui Pompeo operò in Giappone, aiutando a comprendere in modo concreto l’ambiente in cui egli ebbe ad agire ed i personaggi con cui fu in continuo contatto, in particolare al Nippon Silk Center di Gunma con il suo Presidente, il Prof. Yataro Tajima, all’Archivio Storico di Yokohama, ai cittadini di Shimamura (Sakai-machi) e, non ultima, alla Signora Kodera, già Console del Giappone a Milano. Il Diario di Pompeo Mazzocchi 5 1. Ritratto su seta di Pompeo Mazzocchi eseguito dal pittore giapponese Goseda Horiyû intorno al 1875. Riproduzione per gentile concessione degli eredi. 6 Il Diario di Pompeo Mazzocchi PREMESSA In seguito alla pubblicazione del libro La vita e i viaggi di Pompeo Mazzocchi, la Fondazione ha ricevuto l’invito a partecipare, nell’autunno del 2001, nell’ambito della manifestazione “Italia in Giappone”, ad una mostra che si è tenuta al Nippon Silk Center a Maebashi (Giappone) incentrata sulla figura di Pompeo Mazzocchi e dei semai italiani. In quella occasione, visto il notevole interesse e rispetto con cui vengono ricordate in Giappone queste figure ed in particolare quella di Pompeo Mazzocchi, è nata in noi l’idea di pubblicarne le memorie, che tutti chiamano ormani Diario, rimaste sinora chiuse nei cassetti della Fondazione, per far conoscere ad un pubblico più vasto la storia di questo nostro concittadino ancora praticamente sconosciuto. La pubblicazione del Diario di Pompeo Mazzocchi, in occasione del 25° anniversario di apertura della Casa Albergo di Coccaglio, vuole essere anche un doveroso riconoscimento ad un nostro concittadino che attraverso numerosi viaggi in Giappone, effettuati nella seconda metà dell’ottocento, alla ricerca del seme-bachi, ha saputo accumulare notevoli risorse economiche; risorse che per volontà di suo figlio Cesare hanno permesso la realizzazione di strutture per l’assistenza delle persone anziane delle comunità di Coccaglio e Torbole Casaglia. L’edizione del Diario (resa possibile dalla preziosa opera di ricerca del Prof. Claudio Zanier) si colloca come naturale prosecuzione di un cammino iniziato nel 1999 con la pubblicazione del libro La vita e i viaggi di Pompeo Mazzocchi di Caterina Saldi Barisani e come ponte di collegamento per la mostra “Centoquarant’anni di fili di Seta” che la Fondazione ha in programma di realizzare nell’autunno del 2005 a Brescia e Coccaglio. Nella convinzione che questa opera raggiunga lo scopo prefissato, la Fondazione ha in programma ulteriori iniziative volte a valorizzare la notevole documentazione in suo possesso lasciataci dal Pompeo e frutto dei suoi viaggi in Estremo Oriente, certi che oltre a rendere un doveroso omaggio ad un nostro illustre concittadino, serva 2. Copertina del Catalogo della mostra tenuanche a ricordare a tutti il passato delle nostre due tasi al Nippon Silk Center della Prefettura di comunità. Gunma (Giappone) nel 2001 in collaborazione con la Fondazione Civiltà Bresciana e la Fondazione Pompeo e Cesare Mazzocchi. A sinistra il ritratto di Pompeo Mazzocchi (eseguito in Giappone) a destra quello di Yahei Tajima (eseguito a Torino). Cesare Massetti Presidente - Fondazione Pompeo e Cesare Mazzocchi Coccaglio (Brescia) Il Diario di Pompeo Mazzocchi 7 3. Atelier Yauchi-sha di Yokohama. Dipinto su seta e carta. Vittoria Almici Mazzocchi, moglie di Pompeo, ritratta in costume giapponese (probabilmente utilizzando una sua foto). Circa 1880. Cm. 60x148. Fondazione Pompeo e Cesare Mazzocchi, Coccaglio - Collezioni Orientali. 8 Il Diario di Pompeo Mazzocchi SALUTO AUGURALE Una pubblicazione come questa rappresenterà il fiore all’occhiello non solo della Fondazione Pompeo e Cesare Mazzocchi, ma anche della Fondazione Civiltà Bresciana e del neonato Centro San Martino per lo studio della Storia dell’agricoltura e dell’ambiente, ad essa legato e dalla stessa promosso. Per i pochi che ne ricordano le recenti origini, la Fondazione Civiltà Bresciana ha avuto, si può dire, nei campi e tra gli ultimi filari di gelso e le ormai fatiscenti filande, la sua culla. La sua prima mostra era stata infatti dedicata alla Bassa da salvare. E molto è stato fatto da allora per mettere in rilievo e ridare dignità ad una realtà sempre più sfrangiata, compromessa dalla crescita di anonomi capannoni, in parallelo agli stravolgimenti di paesaggi rurali secolari, con abbattimenti di alberi e con la riduzione di fiumi e rogge a scolatoi. Il Centro San Martino è nato quindi come coronamento del tentativo di salvare quanto ancora rimane, gli sparsi frammenti, di un mondo in lento dissolvimento, con la scoperta di una serie infinita di uomini e vicende, interventi ed opere che hanno espresso una vera e nobile civiltà del lavoro e di fatiche, e che oggi continua ad esprimersi ma sul piano di un’altra economia, sul piano nazionale ed oltre. Il nostro sforzo è stato, dal 1994, pervaso ed attraversato da altri interessi culturali, che partendo dall’“Ottobre Cinese” ha portato alla mostra “Sulla via della seta” e al relativo volume La via bresciana della seta. Questo itinerario ha poi condotto al Giappone con il convegno “Nell’impero del Sol Levante. Viaggiatori, missionari e, diplomatici in Giappone” e con il saggio di Caterina Saldi Barisani su Pompeo Mazzocchi. Su questa strada la nostra Fondazione ha incontrato l’altra benemerita Fondazione di Coccaglio, intitolata, appunto, al Mazzocchi, ed il suo altrettanto benemerito presidente, Cesare Massetti. Assieme a loro e ad uno dei più qualificati studiosi del ramo, il professor Claudio Zanier, si è realizzata nel 2001, nello stesso Giappone, al Nippon Silk Center di Gunma, una mostra che ha riscosso un lusinghiero plauso di critica e di pubblico. Il nuovo volume che ora appare - il Diario di Pompeo Mazzocchi - curato con la consueta finezza dal professor Zanier e sostenuto dalla Fondazione Pompeo e Cesare Mazzocchi, aggiunge un nuovo tassello al mosaico che, con la Fondazione Civiltà Bresciana ed ora anche con il Centro Studi San Martino, si va componendo da anni per far emergere quel tessuto tenace di uomini, lavoro e intelligenza che ha costituito e costituisce l’anima della realtà agraria bresciana. Antonio Fappani Presidente - Fondazione Civiltà Bresciana Brescia Il Diario di Pompeo Mazzocchi 9 4. Ritratto postumo di Pompeo Mazzocchi del pittore C. Prada. Olio su legno. 1921. Cm. 58,5x78,5. Fondazione Pompeo e Cesare Mazzocchi, Coccaglio, Sede. 10 Il Diario di Pompeo Mazzocchi NOTA INTRODUTTIVA La pubblicazione del Diario di Pompeo Mazzocchi offre la possibilità al più vasto pubblico di conoscere direttamente un testo di particolare valore storico e di grande rilevanza, non solo per l’ambito della provincia, ma assai oltre. Le memorie di Pompeo Mazzocchi, illuminanti sui meccanismi familiari e sociali, e sulle scelte imprenditoriali che consentono la robusta ascesa economica del ceto medio nella provincia bresciana nel corso dell’800, gettano allo stesso tempo una vivida luce sulle proiezioni internazionali ed intercontinentali cui sono obbligati i membri di quel ceto, attraverso la loro partecipazione al ciclo produttivo della seta ed in conseguenza della profonda e perdurante crisi causata per oltre un ventennio dall’epidemia della “pebrina” che colpisce gli allevamenti dei bachi da seta in tutto il Mediterraneo e nell’Oriente. Nella fase matura e conclusiva della sua vita, quando Pompeo, quasi sessantenne, inizia nel 1887 a scrivere le sue memorie, egli è ormai un ricco possidente/imprenditore, affermato e stimato, ed a cui moltissimi sono grati per il suo decisivo contributo - attraverso più di vent’anni di di avventurosi sforzi commerciali per rifornire il paese di uova sane di baco da seta - a consentire il mantenimento e la ripresa, nel Bresciano e nelle province limitrofe, della sericoltura intensiva, una tra le più ricche e più diffuse attività produttive dell’Italia settentrionale. Tra i tanti che si cimentarono in queste imprese, Pompeo fu sicuramente tra i più fortunati, ma la sua fortuna - che egli stesso più volte ringrazia - non fu fortuna accidentale, ma fu il risultato di una tenace volontà, in Pompeo come in tutta la sua famiglia, di affrontare, con ardore e lungimiranza, un susseguirsi di situazioni avverse che avrebbero potuto facilmente, se non contrastate con coraggio, portarli sul lastrico. A pochi come ai semai di quegli anni - agli avventurosi ricercatori di seme-bachi sano nei posti più lontani e difficili - si addice la frase “la fortuna aiuta gli audaci” e non sembra un caso che un gran numero di essi uscissero dagli ambienti più attivi del risorgimento nazionale o avessero in prima persona partecipato ad attività insurrezionali o militari dei mazziniani o dei garibaldini. Le memorie di Mazzocchi sono anche un quadro di rara efficacia nel quale si mescolano, in una maniera che rispecchia davvero le realtà della vita di quel periodo, i temi concreti della trasmissione ereditaria dei patrimoni - con i fallimenti di chi non sa usarne oculatamente - quelli dei rapporti di credito e di affari che intrecciano famiglie e parentele, quelli della paziente gestione delle attività agricole, così come gli aspetti, spesso deludenti e frustranti, di un curriculum di studi che offre, ai figli di una borghesia non sufficientemente ricca, le sole squallide realtà di scuole e collegi di infima qualità, ove si esercita più la trasmissione dell’ingiustizia, del sopruso fisico e del pregiu- Il Diario di Pompeo Mazzocchi 11 NOTA INTRODUTTIVA 5. Xilografia giapponese (Nishiki-e) che mostra la spedizione del giugno del 1869 dell’Ambasciatore italiano, Conte La Tour, accompagnato dalla consorte, da un membro dell’Ambasciata e da quattro semai italiani - oltre ad una massiccia scorta armata giapponese - nelle regioni sericole interne del Giappone centrale. Cm. 23,7x163,3. Fondazione Pompeo e Cesare Mazzocchi, Coccaglio, Archivio Storico. dizio che quella del sapere. Ma nelle memorie traspare di continuo anche la solidità dei rapporti e dei valori - nella famiglia e nella vita sociale - che sostengono e sospingono gli uomini e che, nel caso specifico delle intraprese del Mazzocchi, consentono loro di guardare assai lontano e di rischiare con coraggio, forti di un appoggio corale che è una delle grandi risorse umane di quel periodo di profonde trasformazioni. Non va infine trascurato l’elemento, che di continuo traspare, attraverso gli occhi del protagonista, da bambino ad adulto maturo, della vivace curiosità intellettuale, del desiderio di conoscere e di vedere, della disponibilità a comprendere società diverse e costumi diversi, senza pregiudizi, ma anzi con l’espressione di un sano sdegno morale per le sopraffazioni e le inutili crudeltà che accompagnano l’estendersi, ormai definitivo, a livello mondiale, del dominio dell’Occidente, con la forza, sugli altri. Della riscoperta e della messa in valore della figura e dell’opera di Pompeo Mazzocchi bisogna dar credito, in primo luogo, alla determinazione della Fondazione Pompeo e Cesare Mazzocchi di Coccaglio, istituita nel 1969, di non voler limitarsi ad una corretta e puntuale gestione del cospicuo patrimonio lasciato dai due Mazzocchi a favore degli anziani di Coccaglio e di Torbole, secondo le indicazioni statutarie, ma anche di preservare e di far conoscere il vasto patrimonio culturale ed artistico di casa Mazzocchi di cui essa era depositaria. A questa fattiva disposizione si è aggiunta l’instancabile attività di ricerca e di messa in luce delle tradizioni e delle personalità più significative della provincia svolta da tanto tempo, con grande lucidità ed impegno, da Don Antonio Fappani e dalla Fondazione Civiltà Bresciana da lui diretta. È all’impegno ed al costante stimolo di Don Fappani che si deve la scelta di Caterina Saldi Barisani di pubblicare un bel volume, nel 1999, sulla vita e i viaggi di Pompeo Mazzocchi, che si avvaleva, in via prioritaria, del testo del Diario, di cui riportava svariati stralci, ma anche di un’ampia 12 Il Diario di Pompeo Mazzocchi NOTA INTRODUTTIVA documentazione rinvenibile presso l’Archivio di Stato di Brescia, parzialmente riportata in appendice nel suo volume, con l’inclusione di alcune lettere d’affari scritte da Pompeo Mazzocchi stesso. La pubblicazione del volume della Saldi Barisani era stata preceduta da un Convegno con relativo volume di Atti su La via Bresciana della seta (1994) in cui si affrontava anche il tema dei semai e si parlava di Pompeo Mazzocchi e da un succesivo Convegno di alto livello, con relativi Atti (1998) sui viaggiatori nell’Impero del Sol Levante in cui riaffiorava il tema dei semai, entrambi organizzati dalla Fondazione Civiltà Bresciana. Infine, nel 2001, in occasione dell’anno dell Italia in Giappone e su iniziativa del Prof. Claudio Zanier, la Fondazione Civiltà Bresciana e la Fondazione Pompeo e Cesare Mazzocchi decidevano congiuntamente di collaborare ad una mostra presso il Nippon Silk Center di Maebashi nella Prefettura di Gunma, in Giappone, incentrata sulle figure parallele di due grandi protagonisti degli scambi tra Italia e Giappone nel campo sericolo: l’italiano Pompeo Mazzocchi e il giapponese Yahei Tajima. È stata questa l’occasione per far conoscere a livello internazionale la figura del Mazzocchi e per esporre, riproducendola nel relativo catalogo illustrato, compilato in giapponese ed in inglese, molta documentazione inedita relativa a Pompeo Mazzocchi e preziosi oggetti appartenenti ad uno dei rami dei discendenti di Pompeo. In seguito venne assunta la decisione da parte della Fondazione Pompeo e Cesare Mazzocchi di replicare, ampliandola, la mostra tenutasi in Giappone e di effettuarla nel Bresciano nell’autunno del 2005, ponendovi sempre al centro l’opera e la figura di Pompeo Mazzocchi. Era quindi ormai giunto il momento, del resto spesso sollecitato dalla Presidenza della Fondazione Pompeo e Cesare Mazzocchi e da Don Fappani, di offrire al pubblico il Diario di Pompeo Mazzocchi nella sua completezza. Della cura del testo e dell’introduzione venne dato incarico al Prof. Claudio Zanier, del Dipartimento di Storia Moderna e Contemporanea dell’Università di Pisa, per la sua competenza nel campo dei “semai” operanti tra Italia e Giappone, e dei quali Pompeo fu uno dei maggiori rappresentanti in assoluto Il Diario di Pompeo Mazzocchi 13 NOTA INTRODUTTIVA tra il 1864 ed il 1880, affiancato da un Comitato Redazionale e con l’ausilio di svariati altri collaboratori per poter dare una forma adeguatamente fruibile al testo ed un adeguato apparato di note esplicative alle numerosissime citazioni che si incontrano in ogni pagina delle memorie di Pompeo e per le quali è stato anche compilato un apposito “Indice dei nomi”. Si è anche deciso di pubblicare, in appendice al presente volume, le trascrizioni delle uniche due lettere private di Pompeo Mazzocchi che si siano potute sinora reperire, una da Yokohama, del 1870, l’altra da S. Francisco, del 1879, scritta durante uno dei trasferimenti dall’Italia al Giappone, e di ristampare la preziosa e rara relazione di un viaggio in alcune delle province sericole del Giappone interno che Pompeo Mazzocchi compilò e trasmise alla Legazione d’Italia a Tokyo nel 1874. Si è infine ritenuto opportuno di inserire uno schema di albero geneaologico della famiglia Mazzocchi e di alcuni dei rami collaterali, basandosi tanto sui dati sulla famiglia citati da Pompeo stesso, quanto su ricordi personali dei discendenti e su verifiche e ricerche d’archivio. Pochi giorni prima di andare in stampa, si sono fortunosamente rinvenuti altri scritti, documenti e lettere di Pompeo Mazzocchi e di suo fratello Gabriele - tutti di grande interesse. Con l’eccezione della sopra citata lettera di Pompeo da Yokohama, inserita all’ultimo minuto nell’Appendice al presente volume, le altre carte, adeguatamente studiate ed annotate, ci si augura faranno parte di una successiva pubblicazione. Il Consiglio della Fondazione Pompeo e Cesare Mazzocchi 14 Il Diario di Pompeo Mazzocchi NOTA INTRODUTTIVA 6. Fronte e retro del lasciapassare (“Passaporto”) rilasciato a Pompeo Mazzocchi l’8 luglio 1869 dal Consolato Italiano di Yokohama per recarsi a Tokyo. Fondazione Pompeo e Cesare Mazzocchi, Coccaglio, Archivio Storico. Il Diario di Pompeo Mazzocchi 15 7. Ritratto di Cesare Mazzocchi del pittore C. Prada. Olio su legno. Cm. 38,5x49,5. Fondazione Pompeo e Cesare Mazzocchi, Coccaglio, Sede. 16 Il Diario di Pompeo Mazzocchi INTRODUZIONE Pompeo Mazzocchi e il mondo dei “semai” Il “Diario” lasciatoci da Pompeo Mazzocchi (1829-1915), ossia l’insieme di ricordi sulla sua famiglia e sulla sua vita da lui scritti per i figli e la moglie a diversi intervalli di tempo e poi ricopiati dopo la sua morte, è uno dei pochissimi documenti a carattere autobiografico che siano sinora emersi tra le carte di coloro che operarono nella produzione e nel commercio della seta in Italia nel XIX secolo. Il Diario, qui integralmente trascritto ed annotato dopo che Caterina Saldi Barisani ne ebbe ricavato pochi anni or sono un’accurata biografia,1 viene così ad aggiungersi alla affascinante Vita del piemontese Francesco Bal (1766-1836), cui Maria Carla Lamberti ha dedicato due eccellenti lavori2, alle vivaci Memorie del vicentino Pietro Gaetano Toniato (1792-1875) edite con precisa cura da Emilio Franzina,3 alle frammentarie note di diario che si sono recuperate del sacerdote trentino Giuseppe Grazioli (1808-1891), presentate da Elisabetta Pontello Negherbon all’interno di un più vasto lavoro biografico su Grazioli,4 agli sprazzi della tribolata vita di una grande 1 Saldi Barisani, C., Pompeo Mazzocchi. La vita e i viaggi, Fondazione Civiltà Bresciana, Brescia 1999; nel volume, oltre ad estratti del Diario, sono inseriti brani dell’ancora inedito Libro-Giornale che Mazzocchi compilò nel corso del suo secondo viaggio in Giappone, nel 1865 ed alcune lettere da lui scritte alle autorità bresciane in quell’occasione, tutti documenti oggi conservati presso l’Archivio di Stato di Brescia. Della corrispondenza privata di Pompeo Mazzocchi e soprattutto delle lettere da lui scritte a casa nel corso di tanti viaggi, non è invece rimasto nulla (come lui stesso lamenta nel Diario, al foglio 144), se si esclude una lettera da Yokohama del 1870 ed una da S. Francisco del 1879 che qui viengono pubblicate in Appendice. Incentrata, per la parte italiana, sulla figura di Pompeo Mazzocchi in Giappone è stata la mostra Sericultural Exchange between Italy and Japan, Mazzocchi Shimamura and Italian Silk Costumes, curata dallo scrivente e tenutasi al Nippon Silk Center di Gunma (Giappone) nel settembre-ottobre 2001 nell’ambito delle manifestazioni Italia in Giappone 2001 con il sostegno organizzativo della Fondazione Civiltà Bresciana. Nell’omonimo catalogo (Nippon Silk Center, Gunma 2001) saggi sul tema di C. Saldi Barisani, F. Travaglini e C. Zanier. 2 Lamberti, M.C. (a cura di), Vita di Francesco Bal scritta da lui medesimo, Angeli, Milano, 1994; Lamberti, M.C., Splendori e miserie di Francesco Bal. 1766-1836, Torino 1994. Bal, tecnico esperto dei processi di trattura e torcitura della seta, soggiornò per anni a Napoli ed in Calabria per modernizzare gli stabilimenti locali di lavorazione del filo serico. Nel periodo conclusivo della sua vita lavorò a Torino presso la ditta dei fratelli Bonafous, i più importanti spedizionieri di sete italiane verso la Francia e gli altri mercati transalpini, collaborando anche alle sperimentazioni gelsicole e bachicole di uno dei proprietari, lo scienziato Matteo Bonafous (sul quale vedi la successiva n. 7). 3 Franzina, E. (a cura di), Memorie toccanti l’estesissimo commercio dei drappi di seta stabilito in Vicenza, Associazione Artigiani della Provincia di Vicenza,Vicenza 1989. Toniato fu capofabbrica ed uomo di fiducia di un grande emporio tessile vicentino, specializzato nella produzione e smercio di filati e tessuti di seta. 4 Pontello Negherbon, E., Grazioli, un prete per il riscatto del Trentino. La vita (1808-1891), gli scritti, le opere, i viaggi, Panorama, Trento 1991. Don Grazioli, figura di spicco nel trentino per le sue attività filantropiche e le sue iniziative economiche e culturali, partecipò per alcuni anni alle spedizioni per l’acquisto di seme-bachi in Giappone e venne considerato dai contemporanei come il salvatore della florida sericoltura roveretana e trentina. Il Diario di Pompeo Mazzocchi 17 INTRODUZIONE istituzione di carità dedita alla produzione serica che si possono cogliere dalle carte del veronese Don Nicola Mazza (1790-1865), nella efficace sintesi che ne fece Giovanni Zalin.5 A questi testi possono essere aggiunte le numerose lettere a carattere personale riguardanti le attività seriche del torinese Lorenzo Valerio (1810-1865), incluse nei volumi del suo epistolario curato da Adriano Viarengo e dal compianto Luigi Firpo6, mentre sono ben rari anche gli inediti autobiografici o comunque gli scritti o le lettere, a tutt’oggi identificati, che consentano uno sguardo - personale e dall’interno - sul mondo della seta. Tra questi ultimi si possono citare alcuni manoscritti dell’agronomo e scienziato Matteo Bonafous (1793 -1852), direttore per lunghi anni dell’Orto Sperimentale dell’Accademia di Agricoltura di Torino ed ora depositati presso la Bibliothèque Municipale di Lyon7, e poche altre carte sparse e corrispondenze, come le ricche missive del milanese Giuseppe De Cristoforis, direttore di una filanda in Bengala negli anni ‘50 dell’800, all’amico Emilio Cornalia, entomologo, Direttore del Museo di Scienze Naturali di Milano ed uno dei massimi esperti europei sul baco da seta di quel secolo. Sinora, ben poco altro è emerso sull’argomento.8 5 Zalin, G., “Don Nicola Mazza e l’arte di far la seta. Annotazioni sulla base di nuovi documenti”, Nuova Rivista Storica, LXXII, f. V-VI, 1988, pp. 599-628. L’opera veronese di carità di cui si occupava Don Mazza negli anni ’40 e ‘50, ricavava i bozzoli da impiegare nella filanda da grandi allevamenti di oltre duecento once di seme, producendo sete tratte che andavano su mercati anche piuttosto esigenti, come testimonia il rapporto epistolare con la Pasquale De Vecchi di Milano, una ditta di notevole rilievo economico che sarà alle spalle di alcune delle maggiori iniziative di semai italiani verso l’Asia e verso il Giappone in particolare. 6 Firpo, L., Viarengo, A. (a cura di), Lorenzo Valerio. Carteggio, Fondazione Luigi Einaudi, Torino, 3 voll. sinora pubblicati (1991, 1994, 1998). 7 Matteo (Matthieu) Bonafous, originario di Lyon, ma impiantato a Torino con la famiglia per le esigenze della Casa di spedizioni seriche Fratelli Bonafous di cui era comproprietario, fu uno dei maggiori agronomi innovatori del suo tempo e dedicò larga parte delle sue ricerche alla gelsi-bachicoltura ed alla sperimentazione pratica di nuove tecniche di allevamento del baco e di coltivazione del gelso e di nuove varietà della pianta. Si dedicò anche alla riedizione critica di opere classiche di bachicultori europei ed alla traduzione di testi e manuali cinesi e giapponesi di gelsi-bachicoltura. Tra le sue carte, malamente disperse nel corpus dei manoscritti della Biblioteca Municipale di Lyon, si sono potuti rintracciare due testi manoscritti relativi uno ad un diario di un viaggio di studio in alcune aree sericole del Piemonte, l’altro al diario di un viaggio in Olanda per preparare il testo definitivo della traduzione dal giapponese del manuale di bachicoltura Yôsan Hiroku di Kamigaki (Uegaki) Morikuni, annotato e commentato da Bonafous stesso. Sull’opera di Bonafous quale innovatore gelsicolo si veda Tolaini R., “Agronomi e vivaisti nella prima metà dell’ottocento: Matthieu Bonafous e la diffusione del gelso delle Filippine”, Società e Storia, 49, 1990, pp. 567-592. Per il processo di edizione del testo di Kamigaki Morikuni mi permetto di rimandare a “The European Quest for East Asian Sericultural Techniques. Matthieu Bonafous and the Translation of Yôsan Hiroku in 1848” in Zanier C., Where the Roads Met. East and West in the Silk Production Processes (17th to 19th Century), Italian School of East Asian Studies, Kyoto 1994, pp. 71-94. 8 Di limitato interesse pare purtroppo essere il Diario di Pietro Savio (1838 - 1904) di Alessandria che per tutti gli anni ’70 fu tra i maggiori semai italiani in Giappone, proseguendo questa sua attività in Italia dopo il suo definitivo rientro nel 1881. Nelle pagine del voluminoso diario, tutte dedicate 18 Il Diario di Pompeo Mazzocchi INTRODUZIONE La pebrina e i semai L’importanza delle memorie di Pompeo Mazzocchi risiede tuttavia, oltre che nel fatto di unirsi alla sparuta schiera di tali fonti, nella finestra che esse aprono sui semai, protagonisti cardine di uno dei periodi più difficili e perturbati della sericoltura italiana e mondiale, quello della pebrina, la virulenta e devastante epidemia del baco da seta che sconvolse per oltre un quarto di secolo - dalla fine degli anni ‘40 alla metà degli anni ‘70 del XIX secolo - gli allevamenti di bachi da seta di quasi tutto il mondo, ma in modo particolare quelli dei paesi sericoli situati intorno al Mediterraneo.9 L’Italia - 8. Tito Mazzocchi adolescente. Per gentile concessione degli eredi. a descrizioni impressionistiche dei suoi numerosi viaggi ed escursioni, ve ne sono solo alcune in cui parla del suo più che decennale commercio del seme-bachi giapponese che lo rese assai ricco, ma con scarsi particolari. Il Diario di Savio, in possesso degli attuali discendenti, dovrebbe essere pubblicato in tempi brevi per cura di Teresa Ciapparoni. Su alcune specifiche opere di Pietro Savio si vedano anche le successive note n.12 e n. 31. 9 La pebrina (termine dialettale del Midi francese, ad indicare le macchie nere come grani di pepe che appaiono sul baco malato) o atrofia parassitaria, è causata da un microrganismo - Nosema Bombycis - che si installa nell’animale e lo uccide o ne menoma gravemente la capacità di tessere il bozzolo, trasmettendosi dalle farfalle femmine alle uova. Gli allevamenti colpiti perdevano mediamente dal 60% all’80% del raccolto in bozzoli, con l’aggravante di avere quasi tutte le femmine sopravvissute portatrici del parassita. Il microrganismo venne precocemente individuato, nei primi anni ‘50, attraverso l’osservazione microscopica dal Vittadini a dal Cornalia e fu internazionalmente conosciuto come “corpuscoli del Cornalia”, mentre i modi, la natura e le cause dell’infezione furono oggetto di diverse e spesso aspramente controverse interpretazioni, all’interno di un dibattito vivacissimo che coinvolse allevatori, entomologi e altri scienziati di tutta Europa, dal nostro Cantoni all’austriaco Haberlandt, dall’allievo di Cuvier, Guerin-Menneville, al tedesco Liebig. La malattia rimase comunque incurabile (e lo è ancora oggi), ma essa potè, alla fine, essere radicalmente e totalmente prevenuta mediante l’applicazione di un geniale quanto tecnicamente semplice (sebbene costoso) metodo di controllo microscopico preventivo delle deposizioni ideato da L. Pasteur e sperimentato su vasta scala da lui stesso in collaborazione con alcuni allevatori d’avanguardia (tra i quali Levi e Chiozza) nei pressi di Gorizia nel 1869. Il metodo Pasteur, con il quale da allora sino ai giorni nostri si selezionano in laboratori attrezzati uova di baco da seta esenti da pebrina, venne tuttavia applicato con molta lentezza dagli allevatori, sia per i costi elevati e la scarsità di laboratori attrezzati e capaci, sia per le pesanti polemiche e le diffidenze diffuse che accompagnarono la propagazione del sistema. In Europa si dovette attendere la seconda metà degli anni ‘70 perchè il metodo fosse di generale (anche se non totale) applicazione, mentre fuori d’Europa - in Anatolia, Persia, India, Cina e nello stesso Giappone - il metodo si impose solo negli ultimi anni del secolo e oltre. Il Diario di Pompeo Mazzocchi 19 INTRODUZIONE che da secoli aveva nella seta e nei suoi lavorati la prima in assoluto delle sue esportazioni e che era allora il primo produttore mediterraneo di bozzoli e il secondo produttore di materia prima serica al mondo dopo la Cina - rischiava seriamente di mettere fuori gioco, con l’incontenibile furia dell’epidemia, un insieme di produzioni e di occupazioni che davano il pane a milioni di persone e che rappresentavano cespiti assai significativi per una larga parte delle classi dirigenti, specie in Italia settentrionale ed in particolar modo in Lombardia. Iniziata nella Francia meridionale, in una data imprecisata tra il 1844 ed il 1849, la pebrina giunse in Italia nei primi anni ’50, estendendosi inarrestabile a tutte le aree sericole della penisola in poco tempo. Ben presto l’unica possibilità pratica per continuare ad allevare bachi e produrre bozzoli fu quello di andare ad acquistare uova di baco da seta - il seme-bachi - in località sempre più lontane, dove la malattia non fosse ancora arrivata. Il semaio, che nei tempi antecedenti era stato il più delle volte una modesta figura di piccolo commerciante itinerante tra fiere di paese (prima della pebrina tutti i produttori che lo potevano si facevano infatti il seme da sè o si rifornivano direttamente da altri produttori di fiducia) divenne in brevissimo tempo una figura cardine, essenziale ed indispensabile per mantenere in vita quella che i contemporanei chiamavano la più ricca attività del paese, mentre il semebachi che prima del 1850 si comprava - di tanto in tanto e solo per rinnovare in parte la “razza” dei propri allervamenti - a due-tre lire l’oncia ed anche meno, diventava di colpo un ricercato e costosissimo bene, salendo di prezzo fno a dieci/quindici volte.10 Delle riproduzioni in proprio non era infatti più possibile fidarsi, pena cocenti delusioni e disastrosi fallimenti e così nessuno poteva fare a meno di ricorrere ai semai ed al mercato del seme-bachi se voleva continuare a produrre bozzoli e restare nel giro dell “oro sugli alberi”. In Italia, per oltre vent’anni - dalla metà degli anni ’50 alla seconda metà degli anni ‘70 - l’esistenza stessa della sericoltura dipese perciò in maniera pressochè totale dall’importazione massiccia e sistematica, anno dopo 10 L’unità di misura per il seme-bachi (che in Occidente si commerciava “sciolto”, mentre in Asia Orientale si usava conservare e scambiare su fogli di carta spessa - “cartoni” - dove restava incollato dal liquido viscoso delle deposizioni delle farfalle del baco) era tradizionalmente, nel Mediterraneo, l’oncia il cui peso variava tra i 25 ed i 30/32 grammi a seconda delle regioni sericole. Un oncia conteneva all’incirca 40.000 uova di bachi delle migliori razze Mediterraneee (mentre quelle cinesi e giapponesi, più minute, ne avevano, a parità di peso, circa 50.000). Si considerava, allora, che un’oncia fosse il quantitativo standard per un allevamento medio nei ridotti spazi di casa di una modesta famiglia contadina elementare - tre/cinque persone. Col tempo si cercò di standardizzare il peso dell’oncia commerciale a 25 grammi e così pure il contenuto netto dei cartoni giapponesi (agli inizi assai irregolare) finì per standardizzarsi intorno ai 25 grammi. 20 Il Diario di Pompeo Mazzocchi INTRODUZIONE anno, di seme-bachi sano proveniente da lontane regioni sericole, scelto e trasportato (con le infinite cure ed attenzioni dovute ad una materia vivente delicatissima) da un ristretto gruppo di professionisti - i semai appunto dalle cui capacità, competenze ed onestà dipendevano le fortune o persino la sopravvivenza economica di molte centinaia di migliaia di famiglie di allevatori grandi e piccoli. Ed anche se questi semai erano solo molto di rado degli operatori del tutto indipendenti - essi infatti facevano quasi sempre capo, come agenti, soci accomandatari o con altri legami di subordinazione, a ditte o associazioni solide e spesso ramificate in tutto il paese - era pur sempre alle loro capacità individuali che veniva affidata la parte più delicata ed essenziale, quella di individuare, valutare, scegliere ed acquistare il seme bachi. Un compito che essi dovevano svolgere da soli, a distanze enormi dai propri referenti (in casi estremi, come per il Giappone, di migliaia di chilometri), con la certezza che un errore di giudizio, ma anche solo un’incertezza di valutazione potevano significare, in patria, disastri difficilmente riparabili. Quanto fosse ristretto questo loro numero e, inversamente, quanto ampia la loro responsabilità, può essere valutato dai dati che il semaio Carlo Fondra fece pervenire ai suoi mandatarii nell’ottobre del 1866 sull’andamento della campagna acquisti allora in corso a Yokohama:11 una dozzina di semai aveva sino ad allora scelto e comperato per il mercato italiano poco più di mezzo milione di once - un quarto circa dell’importazione totale media di seme-bachi estero nel nostro paese in quegli anni, ovvero le fortune economiche di alcune centinaia di migliaia di famiglie allevatrici e, a valle di queste, di centinaia e centinaia di filande sparse ovunque con tutte le attività commerciali e manifatturiere connesse. Devastata l’Italia dalla pebrina ed a mano a mano che l’epidemia si estendeva dal Mediterraneo verso l ‘Oriente, bisognava recarsi in aree sericole sempre più remote, spesso inospitali e difficili, con viaggi sempre più lunghi, costosi e rischiosi, tanto sul piano finanziario che su quello personale. La professionalità del semaio - solidamente ancorata ad una lunga pratica personale della bachicoltura in famiglia o in azienda (come fu il caso precipuo di Mazzocchi stesso) - dovette per forza accompagnarsi all’ardimento personale, alla disponibilità a compiere viaggi di mesi e ad affrontare le situazioni più imprevedibili. Assieme a queste competenze e capacità personali si rafforzò e divenne altrettanto determinante l’elemento imprenditoriale. Le spedizioni dei semai degli anni ‘60 e ‘70 richiedevano infatti investimenti di capitali rilevanti con esposizioni lunghe a volte un anno ed oltre, e con alee finan11 Dati ricavati dalla copia di una lettera da Yokohama di Carlo Fondra del 16.10.1866 alla E. Spagliardi e C. di Milano di cui era agente in Giappone. Biblioteca Civica Angelo Maj, Bergamo, Carte Pegurri “A”- MMB 412, f. 71. Il Diario di Pompeo Mazzocchi 21 INTRODUZIONE ziarie non indifferenti. Alle spalle dei semai - che ancora negli anni ‘50 erano stati spesso piccoli commercianti e a volte solo spericolati avventurieri individuali - si formarono grossi gruppi di interessi, con la partecipazione di banche e di capitalisti di rilievo, per operazioni che coinvolgevano, ogni volta, centinaia di migliaia di lire-oro e giri d’affari in Italia, all’ingrosso e al minuto, ancora più ampi. Il volume delle importazioni totali annue di seme-bachi estero in Italia superò spesso in quel ventennio i due milioni di once all’anno, per un giro globale d’affari, al dettaglio, pari ad alcune decine di milioni di lire. Non deve stupire pertanto che a fianco ed a monte dei semai si possa individuare il coinvolgimento di grandi patrimoni privati, di enti pubblici, di banchieri, di istituzioni finanziarie e commerciali internazionali e che lo stesso Governo e le autorità diplomatiche e consolari all’estero si sentissero obbligati a prestare molta attenzione alle esigenze di quel peculiare traffico12 ed alle peregrinazioni, spesso assai arrischiate, dei semai più avventurosi.13 12 Le istruzioni governative date al comandante della pirocorvetta Magenta, inviata in Giappone nel 1866 per stabilire rapporti diplomatici ufficiali tra Italia e Giappone, insistono più volte sul peso e l’importanza del commercio del seme-bachi per il nostro paese. Il primo rappresentante diplomatico italiano in Giappone, il Conte De La Tour, si farà carico personalmente dei problemi dei semai italiani chiedendo ed ottenendo dal Governo giapponese l’autorizzazione a compiere - primo tra le delegazioni straniere - una sua visita ufficiale nei distretti sericoli giapponesi nel giugno del 1869, accompagnato, oltre che da Pietro Savio, che allora iniziava al sua carriera di semaio e che in seguito sarebbe divenuto uno dei maggiori operatori del ramo, da tre dei più importanti membri dei setaioli italiani allora in Giappone, il lombardo Ferdinando Meazza, agente di uno dei maggiori gruppi di importatori di seme-bachi di Milano, Ernesto Prato, residente in Giappone e rappresentante del potente Banco di Sconto e Sete di Torino ed Ernesto Piatti, piacentino. Ancor più coinvolta nel campo sericolo la figura del nostro secondo rappresentante diplomatico, il bresciano Conte Alessandro Fè d’Ostiani, la cui stessa famiglia annoverava Lo stesso Alessandro e due dei suoi fratelli, Marc’Antonio e Pietro quali semai di livello internazionale oltre ad avere stretti legami di parentela con il Sindaco di Brescia, Gaetano Facchi, inserito nello stesso business assieme al figlio Paolo, semaio in Giappone. Si vedano in proposito: Arminjon, V., Il Giappone e il viaggio della Corvetta Magenta nel 1866, Genova, 1869 e Gueze, R., Fonti archivistiche per la storia delle relazioni italo-giapponesi. Elementi di ricerca, in Lo stato liberale italiano e l’età Meiji, Atti del I Convegno italo-giapponese di studi storici, Edizioni dell’Ateneo, Roma 1987, pp. 191-218; Savio, P., La prima spedizione italiana nell’interno del Giappone e nei centri sericoli, Treves, Milano 1870; De Maio, S., Il Conte Fè d’Ostiani nei rapporti fra Italia e Giappone negli anni settanta dell’Ottocento, in A. Tamburello (a cura di), Nell’Impero del sol Levante. Viaggiatori, Missionari e Diplomatici in Giappone, Fondazione Civiltà Bresciana, Brescia 1998, pp. 133-155. 13 Emblematica tra tutte la spedizione del 1863 di un gruppetto di semai lombardi di elevata estrazione sociale, comprendente Ferdinando Meazza (su cui v. la nota precedente e più oltre nel testo), Modesto Gavazzi ed il Conte Pompeo Litta-Biumi, che si recò a Bukhara - allora ancora Emirato indipendente - con una assai cospicua somma in oro per incettare il raccolto di bozzoli per riproduzione di quel paese, incurante degli avvertimenti delle autorità russe e dei nostri rappresentanti diplomatici a Pietroburgo che consideravano l’impresa estremamente rischiosa sul piano personale. Poco dopo il loro arrivo a Bukhara i nostri semai vennero infatti incarcerati con l’accusa di spionaggio rischiando la pena capitale. Furono rilasciati solo dopo un anno di dura prigionia grazie ai frenetici sforzi delle autorità diplomatiche di mezza Europa e le pesanti ritorsioni commerciali su Bukhara dei russi. Sull’argomento, oltre ai parziali resoconti del tempo (Gavazzi M., “I quattro italiani a Bucara”, La Perseveranza, VI, 1780, 20.10.1864), si può vedere un primo tentativo di ricostruzione della vicenda in Muratgia A., Il viaggio e la prigionia di Modesto Gavazzi in Asia Centrale, in AA.VV, La conoscenza dell’Asia e dell’Africa in 22 Il Diario di Pompeo Mazzocchi INTRODUZIONE I semai e il Giappone Quando, a partire dalla stagione sericola 1863-1864, il Giappone cominciò ad assumere il ruolo di fornitore per eccellenza di seme-bachi per gli allevamenti dell’Europa Mediterranea, la figura e l’azione del semaio professionista fece un ulteriore salto qualitativo. Il viaggio al Giappone, sopratutto prima dell’apertura del Canale di Suez nel 1869, era assai costoso14 e molto lungo. Era quindi necessario pianificare per tempo e con cura le spedizioni con ampi mezzi finanziari e con mentalità ed organizzazione nettamente imprenditoriale.15 Vi saranno ancora, naturalmente, dei singoli ardimentosi che si recheranno “a far seme” - come allora si diceva - in Giappone tentando la fortuna con mezzi appena sufficenti, ma la stragrande maggiornaza dei circa centoventicinque semai italiani che abbiamo potuto identificare e che trafficheranno regolarmente tra Italia e Giappone tra il 1863 ed il 1880, erano dei professionisti stabili, inseriti in organismi imprenditoriali italiani o internazionali, con robusti appoggi bancari e commerciali (sia in Italia che a Yokohama) e con una consolidata rete di clienti abituali dalla cui fiducia dipendeva la possibilità di esitare sul mercato finale di destinazione notevoli quantitativi di seme-bachi a prezzo elevato e con eccellenti margini di profitto.16 Italia nei secc. XVIII e XIX, Istituto Universitario Orientale, Napoli 1989, v. III, t. II, pp. 761-779, e la più ampia analisi, con molta documentazione inedita, di Mazzola F., La missione “Meazza” a Bukhara. 1863-1864, Tesi di Laurea, Corso di Laurea in Storia, Facoltà di Lettere e Filosofia di Pisa, A.A. 19992000 (marzo 2001). 14 La neo-costituita Associazione Bacologica di Proprietarii e Coltivatori per importazione di seme-bachi da seta dal Giappone di Milano stanzia, nel febbraio del 1867, la considerevole somma di 30.000 lire per il solo costo del previsto viaggio e soggiorno in Giappone del suo incaricato, Ferdinando Meazza, e di un suo assistente. 15 Per il commercio del seme-bachi la “stagione” aveva inizio con le vendite, in Italia, del seme-bachi agli allevatori nei mesi di gennaio-marzo, prima cioè che nelle aziende e nelle cascine ci si organizzasse per la schiusa delle uova del mese d’aprile o degli inizi di maggio (le schiuse erano a loro volta legate all’andamento climatico e, sopratutto, alla nascita delle delicate foglioline del gelso, unico alimento per il bacolino appena nato). Di conseguenza il seme-bachi doveva arrivare in Italia, dalla sua provenienza estera, entro la fine dell’anno precedente. Nel caso del Giappone, questo significava che il seme destinato agli allevamenti, poniamo, della primavera del 1868, doveva essere acquistato a Yokohama tra settembre e novembre del 1867 in modo che arrivasse in Italia entro gennaio 1868. A sua volta questo implicava che i semai dovevano esser partiti per il Giappone tra giugno e luglio del 1867 (ci volevano allora all’incirca due mesi di viaggio per la via più breve) ed ancora che la pianificazione delle spedizioni per il 1868 assieme alle prime sottoscrizioni pubbliche tra i clienti fossero state iniziate (di solito con annunci sui giornali e/o con circolari a stampa) perlomeno a marzo-aprile del 1867 e a volte parecchio prima. La campagna per il seme-bachi giapponese da impiegarsi negli allevamenti dell’aprile-maggio del 1868 aveva pertanto inizio, con la relativa mobilitazione di fondi, di uomini, di lettere circolari e di campagne pubblicitarie, 12-16 mesi prima, a fine inverno 1866-67 o agli inizi della primavera del 1867. Un caso tipico è la Circolare a stampa, datata 20 gennaio 1867, con cui la casa bancaria Gio. Steiner e figli di Bergamo annuncia l’avvio delle sottoscrizioni per la IV campagna d’acquisti di seme-bachi in Giappone per la stagione 1868 della Società in accomandita Enrico Andreossi e Comp.i (Biblioteca Angelo Maj, Ber- Il Diario di Pompeo Mazzocchi 23 INTRODUZIONE 9. Autorizzazione in giapponese e inglese della dogana di Kanagawa al trasbordo dal vapore Cazis al vapore Shaftesbury di 10 casse di dollari d’argento di proprietà di Pompeo Mazzocchi. Cm. 16x48,5. Fondazione Pompeo e Cesare Mazzocchi, Coccaglio, Archivio Storico. Anche lo stesso mercato giapponese, del resto, richiedeva con forza aggiustamenti ad una realtà sensibilmente diversa da quelle, più o meno casuali e a volte selvagge, che erano prevalse nel Vicino Oriente, nei paesi del Caucaso o in Persia. In Giappone, l’organizzazione delle vendite del seme-bachi era concentrata in Yokohama, dove un ristretto gruppetto di grossisti giapponesi autorizzati dal Governo faceva confluire la quasi totalità delle uova di bachi prodotte e confezionate nelle regioni sericole interne del paese. Erano ben scarse le possibilità, nel paese del Sol Levante, di contattare direttamente i singoli produttori - anche se, come vedremo, ci saranno delle interessanti eccezioni cui Pompeo Mazzocchi parteciperà - ma soprattutto non vi sarebbe stata quasi mai l’opportunità per i semai italiani o francesi di andare in loco a “farsi il seme” da sè, ovvero a scegliere di persona i bozzoli da far sfarfallare e a controllare e dirigere personalmente le operazioni di deposizione delle uova e di cernita del seme, una pratica in precedenza assai usata dai semai stranieri in Anatolia, in Libano, nei Balcani o tra le montagne dell’odierno Azerbaijan.17 Da qui la necessità per chi intendeva operare in Giappone con successo di avere invece una perfetta conoscenza degli usi commerciali giapponesi (e possibilmente della lin- gamo). 16 Le principali fonti per ricostruire l’esperienza complessiva dei semai italiani in Giappone sono di carattere molto vario. Utili i Bollettini Consolari con alcune delle relazioni dei Consoli in Giappone, dato che - com’è purtroppo noto - il Ministero degli Affari Esteri non ha ritenuto di preservare nel proprio Archivio Storico Diplomatico carte consolari e rapporti commerciali, come pure alcuni dei maggiori rapporti del Ministero dell’Agricoltura, Industria e Commercio dell’epoca. Numeroso materiale si trova in fondi archivistici di origine sia privata che pubblica, compresi quelli notarili e che qui verranno, in alcuni casi specifici, precisati nelle note. Molto più ampie le fonti di giornali e periodici, italiani e francesi, in particolare le sezioni di pubblicità per la vendita di seme-bachi che apparivano regolarmente per svariati mesi ogni anno su dozzine di pubblicazioni e i numerosi articoli sull’argomento in pubblicazioni specializzate e sulle decine e decine di opuscoli e libri dedicati al tema apparsi in quegli anni. Per la ricostruzione dei viaggi dei semai da e per il Giappone ci si è avvalsi, in via primaria, delle rubriche di arrivi e partenze relative a Yokohama, Nagasaki, Shanghai e Hong Kong pubblicate sui periodici in lingua occidentale editi in Asia Orientale in quegli anni. Molto rara, per contro, la memorialistica. 17 A lungo rinomata fu la produzione di seme-bachi e di bozzoli ottenuta intorno alla cittadina di Nukha nell’allora provincia transcaucasica russa dello Shirwan (oggi in Azerbaijan). Una società francese vi 24 Il Diario di Pompeo Mazzocchi INTRODUZIONE gua) e di disporre di una serie di buone “entrature” creditizie e commerciali oltre che delle indispensabili conoscenze personali con venditori, intermediari ed autorità doganali e consolari, tutte competenze possibili solo con una frequentazione assidua, attenta e ripetuta della piazza di Yokohama. Sono questi i motivi che spiegano, al fondo, una delle più rilevanti singolarità del gruppo dei semai italiani che operarono su Yokohama nel ventennio circa che si apre con il 1861: la gran parte di essi si recò in Giappone con regolarità e per numerosi anni di seguito. Pompeo Mazzocchi ne è l’esempio più manifesto, con i suoi 15 viaggi nei 17 anni che intercorrono tra la sua prima spedizione del 1864 ed il 1880, data della sua ultima visita al Giappone, ma sono 11 su di un gruppo professionale di circa 125 individui quelli che vanno in Giappone non meno di 10 volte tra il 1861 - data della prima spedizione a noi nota di un semaio italiano in quel paese - ed il 1880, e ben 45 quelli che ci vanno tra le 5 e le 9 volte accertate (e quasi sempre di seguito), mentre sono solo 19 quelli che vi si recano un’unica volta. In altri termini, i semai italiani in Giappone sono un gruppo di professionisti altamente qualificati non solo nelle loro conoscenze tecnico-pratiche sul baco da seta, sulle sue uova e sulla sericoltura in generale, ma anche nel loro livello di competenza e conoscenza del mercato in cui operano, dei suoi meccanismi e degli operatori che vi agiscono; conoscenze queste acquisite attraverso una frequentazione prolungata e costante. Non è un caso, per restare ad un esempio del bresciano, che quando Giacomo Ragnoli viene scelto dalla Associazione Bacologica del Comizio Agrario di Brescia quale loro nuovo agente per il Giappone, il Comizio badi, sì, in primo luogo, alla sua elevata competenza specifica in bacologia - Ragnoli era già semaio professionista da anni - ma gli si imponga però di appoggiarsi, per il suo primo viaggio del 1873, ad un semaio già assai esperto del Giappone quale il cuneese Carlo Chiappello, che vi era già stato 10. Donne addette alla cernita dei bozzoli nel Bresciano. per almeno sei volte a partire dal secolo. Da collezione privata. Fine 19° aveva costruito alla metà degli anni ’50 un grande stabilimento dove tecnici specializzati facevano schiudere bozzoli selezionati acquistati in zona e vi producevano decine di migliaia di once di seme-bachi, Il Diario di Pompeo Mazzocchi 25 INTRODUZIONE 1866. Si ribadisce così una continuità di esperienze personali, ritenuta altamente produttiva, e si consolidano rapporti interpersonali e di collaborazione negli affari che rendono il grupppo dei semai italiani in 11. 12. Giappone assai più com11. Bollo color seppia identificativo dei produttori di seme-bachi di Iwashiro (Prefettura di Fukushima, Giappone centrale), apposto al retro patto e coerente - nelle di uno dei cartoni che Pompeo Mazzocchi metteva in vendita. Si noti la sue strategie di mercato scritta in italiano: “Cartone Seme Bachi”. Annata 1881-82. Cm. 7x5,7. e nei suoi comportaFondazione Pompeo e Cesare Mazzocchi, Coccaglio, Archivio Storico. menti - di quanto non 12. Bollo colorato in blu, identificativo dei produttori di seme-bachi possa sembrare ad uno della società Nakashima del Kozuki (Gunma), apposto sul retro di uno dei cartoni che Pompeo Mazzocchi metteva in vendita. Si notino sguardo esterno che si le scritte in italiano: “Cartone Seme Bachi” / “Coltivatori di Nakashi- limiti a considerarne il ma Cia” / “Kozuki / Giappone”. Annata 1881-82. Cm. 4,2x4,6. Fonnumero degli attori e la dazione Pompeo e Cesare Mazzocchi, Coccaglio, Archivio Storico. varietà delle sigle commerciali per le quali essi apparentemente operano. Ragnoli, per concludere l’esempio, si recherà poi in Giappone in ciascuno dei successivi cinque anni, sino al 1878, mentre Chiappello avrebbe concluso la sua non indifferente carriera giapponese l’anno successivo a quello del viaggio con Ragnoli, nel 1874, con la sua ottava spedizione nell’arco di nove anni. Ma vi sono anche svariati esempi di continuità famigliare nella frequentazione del mercato giapponese, come nel caso dei fratelli Dell’Oro - Isidoro e Giuseppe - di cui avremo occasione di riparlare, in quello di Achille Pini e di suo figlio Enrico, che si alterneranno nella presenza a Yokohama per ciascuno dei tredici anni che vanno dal 1864 al 1876, in quello di Giovanni e Giuseppe Civetta, l’uno o l’altro 13. Parte frontale di un cartone di seme-bachi giapponese. Il marchio di garanzia d’origine del cartone é dato dal disegno della silhouette di un bozzolo (a forma di “8”) con all’interno I caratteri in grafia corsiva del produttore. Annata 1881-82. Cm. 22x35. Fondazione Pompeo e Cesare Mazzocchi, Coccaglio, Archivio Storico. 26 Il diario di Pompeo Mazzocchi INTRODUZIONE presenti in Giappone in ciascuno dei quattordici anni dal 1867 al 1880 o in quello dei Fondra - Carlo, Ferdinando e Valentino - presenti in Giappone non meno di dieci volte tra il 1865 ed il 1878, singolarmente o insieme. Pompeo Mazzocchi non sfuggirà a queste regole generali che selezionavano con rigore gli operatori migliori sul difficile ed ipercompetitivo mercato di Yokohama. Inizierà infatti il ciclo della sua lunghissima avventura giapponese aggregandosi nel 1864, in posizione subordinata, al più esperto e meglio appoggiato finanziariamente e politicamente Enrico Andreossi (1828-1884), un bergamasco con cui si era già associato nel corso dei suoi viaggi da semaio in Romania nel 1862 e nel 186318. Dopo aver concluso il suo rapporto formale con Andreossi, Mazzocchi avrebbe operato come agente per il Giappone prima per conto di una importante associazione tra produttori del bresciano19, poi per il solo Comizio Agrario di Brescia (nel 1868) ed in seguito per due case commerciali di Milano20 per le quali già agiva da tempo in Giappone anche il bergamasco Alessandro Begnotti.21 senza che tuttavia si riuscisse ad evitare anche lì l’insorgere ed il diffondersi della pebrina. 18 Enrico Andreossi apparteneva alla seconda generazione di quelle famiglie di evangelici svizzeri traferitesi nel bergamasco tra la fine del ‘700 ed i i primi decenni dell’800 e divenute ben presto tra i soggetti più rappresentativi del mondo degli affari della provincia, operando quasi sempre nel campo serico e nelle attività bancarie e finanziarie ad esso connesse. Diffusasi in Lombardia la pebrina, Enrico Andreossi si era dapprima recato a fare il semaio nell’Aretino, dove aveva allevato per alcuni anni bachi da seta di una razza che si riteneva ancora resistente alla pebrina, per ottenerne buon seme-bachi da rivendere agli allevatori lombardi. Per gli stessi scopi si era poi trasferito in Umbria, venendo alla fine anche lui costretto a peregrinare per il Mediterraneo dopo che la pebrina, alla fine degli anni ‘50 ebbe invaso il Centro Italia. Nel periodo trascorso in Toscana entrò in stretti rapporti d’affari con Raffaele Lambruschini, a sua volta legato, per il business del seme-bachi toscano che vendevano in Lombardia, a Bettino Ricasoli e a Cosimo Ridolfi. Conobbe anche Antonio Galanti, che ne avrebbe in seguito scritto molto elogiativamente nel suo Milano Agricola e la sua provincia (“Mediolanum”, III, 1881). La lunga e fortunata esperienza di semaio nel Mediterraneo lo rese ricco e famoso e fu intorno a lui che si concretizzò nel 1863 una Associazione, comprendente uomini politici di livello nazionale ed alcuni dei maggiori capitalisti e grandi proprietari terrieri lombardi ( tra i quali il Conte Carlo Cagnola ed il Sen. Antonio Beretta, Sindaco di Milano ed inoltre Marco Minghetti, Emilio Visconti Venosta, Ubaldino Peruzzi, Bettino Ricasoli, Carlo D’Adda, Stefano Jacini, G.B. Camozzi Vertova, Sindaco di Bergamo, Francesco Arese, Giuseppe Arconati ed altri), che si proponeva una massiccia e risolutiva spedizione in Giappone. Fu per conto di questa associazione, sia pur ridimensionata nelle sue ambizioni, che Andreossi, accompagnato da Mazzocchi e da Pietro Frigerio, partì per il Giappone nel gennaio del 1864. Il successo ottenuto spinse Andreossi a concentrare in seguito i suoi interessi sul solo Giappone dove si recò non meno di otto volte entro il 1878, rimanendovi anche per periodi molto lunghi come residente. Veniva considerato, in Italia e nella comunità straniera in Giappone, come uno dei maggiori e dei più influenti ed esperti semai ivi operanti. Alla sua morte, nel 1884, il suo asse successorio venne valutato ad oltre 2,2 milioni di lire, uno tra i più cospicui patrimoni milanesi di allora. Sugli svizzeri a Bergamo ed a Milano si veda Martignone, C., “La Comunità Evangelica di Bergamo: una collettività di imprenditori (1807-1903)”, Padania, 2 (1988), n. 4, pp. 47-56 e Martignone, C., Imprenditori Protestanti a Milano, Angeli, Milano 1995. Si veda anche Licini, S., Guida ai patrimoni milanesi. Le dichiarazioni di successione ottocentesche, Regione Lombardia/Rubettino, Milano 1999. 19 La Società Bacologica Bresciana di cui era animatore Gaetano Facchi in qualità di Sindaco di Brescia (V. sull’argomento il cap. IV della citata biografia di P. Mazzocchi di C. Saldi Barisani). Il figlio di Gaetano Facchi, Paolo, sarà più avanti un’attivo frequentatore dello scalo giapponese di Yokohama. 20 La Paladini & Goretti e la Benedetto Testa di Pietro le quali si presentano unite nelle pubblicità sui quotidiani dell’epoca. Della prima era contitolare Gaetano Paladini, il cui rapporto con Mazzocchi dovette rimanere sempre eccellente, tanto che Pompeo raccomandava ai figli, nelle pagine del suo Diario scritte nel 1893, di appoggiarsi a Il Diario di Pompeo Mazzocchi 27 INTRODUZIONE Più tardi, come altri semai “arrivati”, Mazzocchi parrebbe aver privilegiato la parte del commercio di seme-bachi che gestiva in proprio.22 Ma anche negli anni in cui Mazzocchi si sarebbe mosso, almeno formalmente, da solo, vi sono consistenti indizi che egli agisse in collaborazione e di conserva con altri semai italiani presenti in Giappone, in particolare con il veneziano (poi residente a Milano) Carlo Antongini23 e con i bergamaschi Pietro Locatelli,24 Giovan Battista Mangili e Giovanni Stoffel.25 Era del resto questa - la collaborazione con altri semai presenti in Giappone - una necessità pratica ineludibile ed insieme un elemento di forza che consentiva più volte agli italiani di presentarsi uniti davanti agli agguerriti cartelli dei grossisti giapponesi di Yokohama. Infine, come nel caso sopra citato di Chiappello e Ragnoli, un analogo processo di “visita guidata” e di passaggio personale di consegne avverrà tra Pompeo Mazzocchi e Bartolo Gualeni. Quest’ultimo accompagnerà Mazzocchi nel suo ultimo viaggio in Giappone, nel 1880, e verrà presentato ai fornitori giapponesi come il sostituto e successore di Pompeo a Yokohama.26 14. Busta per corrispondenza intestata “Importazione Cartoni Giapponesi Ditta Pompeo Mazzocchi” Cm. 14x8. Fondazione Pompeo e Cesare Mazzocchi, Coccaglio, Archivio Storico. lui nel caso avessero voluto edificare una moderna filanda (V. Diario, al foglio 111 del dattiloscritto). 21 Begnotti risulta esser stato in Giappone non meno di otto volte tra il 1866 ed il 1875. Morirà a Bergamo nel 1876 al rientro dal Giappone. 22 Su questo aspetto le sue memorie sono alquanto reticenti e si può ipotizzare che egli agisse per un certo numero di clienti fissi, con i quali aveva un lungo rapporto di fiducia. In effetti, il nome di Pompeo Mazzocchi non appare quasi mai quale semaio indipendente nelle locandine pubblicitarie dei quotidiani dell’epoca, né negli elenchi di ditte e semai compilati tra la fine degli anni ’60 ed i primi anni ’70 che ci è stato possibile individuare in diverse fonti archivistiche (tra le quali il Fondo Pegurri alla Angelo Maj di Bergamo, le Carte Cornalia, al Museo di Storia Naturale di Milano e l’inchiesta di Fè d’Ostiani all’ex- “Bacologico” di Padova). L’affermato industriale serico bergamasco Alessandro Valli, tra le cui attività figurava anche quella di grossista di seme-bachi, pubblicizza, a partire dal 1872, seme-bachi giapponese fornitogli da Pompeo Mazzocchi, mentre l’annuncio su La Provincia-Gazzetta di Bergamo, 9, del 12.01.1872 di cartoni di seme-bachi giapponese della Associazione Bacologica di Milano in vendita presso Pompeo Mazzocchi sembra indicare un qualche rapporto di dipendenza o quantomeno una stretta collaborazione con la società milanese. 23 Carlo Antongini (1837-1902) era esponente della Associazione Bacologica Veneto-Lombarda, costituita a Venezia forse già alla fine degli anni ‘50 con il supporto di un facoltoso proprietario terriero e filandiere veneziano, Moisè Vita-Jacur. Antongini avrebbe effettuato, tra il 1865 ed il 1875, almeno sette viaggi in Giappone. 24 Locatelli, stimato filandiere e semaio di Bergamo, era stato tra i primi a recarsi in Turchia e nel Caucaso per semebachi e dovrebbe esser stato almeno tre volte in Giappone, a partire dal 1869. Morì, a soli 42 anni, nel gennaio del 1877 a New York, proprio mentre stava rientrando dal Giappone in compagnia di Pompeo Mazzocchi (da uno scritto inedito di Pompeo Mazzocchi. Vedi anche La Provincia - Gazzetta di Bergamo, 23, 29.1.1877) 25 Giovanni Stoffel, della comunità evangelica di Bergamo, era stato a lungo dipendente di uno dei 28 Il Diario di Pompeo Mazzocchi INTRODUZIONE I precedenti di Pompeo Mazzocchi: l’esperienza di semaio nel Mediterraneo Prima di riparlare del lungo e profondo rapporto di Mazzocchi con il Giappone, è opportuno indicare alcuni altri elementi di grandissimo interesse per la storia dei semai, della pebrina e della stessa sericoltura europea che emergono dalle numeroso pagine del Diario dedicate ai molti anni iniziali di graduale “apprendistato” al mestiere di grande semaio internazionale che Mazzocchi ebbe a svolgere in svariate località sericole del Mediterraneo. Opportunamente integrati con documentazione d’archivio e con altre fonti coeve, essi non solo consentono di apprezzare maggiormente la singolarità della vita del Mazzocchi, la determinazione e la lucidità delle sue scelte ed i positivi risultati, 15. Foto-tessera di Pompeo Mazspecie economici, della sua zocchi offerta il 22 maggio 1880 ai produttori e commercianti di avventurosa e complessa vita seme-bachi giapponese Tajima, di “vagabondo serico”, ma venuti in visita a casa Mazzocchi rappresentano una fonte pressochè unica ed estremamente preziosa a Coccaglio. Cm. 9x14,5. Per per comprendere la formazione e lo sviluppo del mondo stesso dei gentile concessione del Nippon Center della Prefettura di semai nei primi frenetici anni di reazione alla pebrina. Allo stesso Silk Gunma (Giappone). tempo, quelle pagine gettano singolari sprazzi di luce sui precedenti di formazione professionale ed imprenditoriale nei paesi sericoli del Mediterraneo, attraverso esperienze simili e parallele a quelle di Mazzocchi, di alcuni dei maggiori semai che opereranno in seguito in Giappone o con il maggiori semai bergamaschi, Francesco Daina, per poi mettersi in proprio assieme a Bernardo Stoffel. I legami tra Pompeo e gli Stoffel di Bergamo fu certo assai intenso, dato che testimone di nozze di Pompeo, nel 1881, fu proprio un Giacomo Stoffel. 26 Inoltre, tra le carte microfilmate della famiglia di imprenditori serici e semai giapponesi Tajima (che aprirono un emporio per la vendita di seme-bachi giapponese a Milano) conservate presso il Yokohama Kaikô Shiryôkan (Yokohama Archives of History) vi è un cartoncino da visita di Bartolo Gualeni con la scritta “incaricato per la vendita/ Cartoni Seme Bachi Giapponesi/ importazione/ Pompeo Mazzocchi / Coccaglio”. In uno scritto inedito di Pompeo Mazzocchi si parla della collaborazione per tre anni con Gualeni dopo la fine dei viaggi di Pompeo Il Diario di Pompeo Mazzocchi 29 INTRODUZIONE 16. Carta dei Balcani con la costa dalmata, appartenuta a Pompeo Mazzocchi. Circa 1860. Cm. 46x38. Fondazione Pompeo e Cesare Mazzocchi, Coccaglio, Archivio Storico. Giappone. Le tappe stesse seguite da Pompeo, a partire dal 1855 e prima di recarsi in Giappone nel 1864, per rastrellare seme-bachi sano, inizialmente in zone particolari dell’area italiana e poi in paesi situati intorno all’Italia, esemplificano una drammatica esperienza collettiva vissuta allora da molti altri allevatori spinti dalla disperazione a farsi semai per salvare le proprie imprese bachicole ed integrare, con il commercio della semente, le proprie entrate e insieme pagarsi le pesanti spese dei viaggi all’estero. I Mazzocchi così sperimentano e poi anche vendono, successivamente e con diversa fortuna, il seme-bachi che Pompeo va personalmente a prendere dapprima in Brianza, nel Friuli, a Lugano e a La Spezia (nel 1855), indi a Bursa e a Adrianopoli (nel 1857), e poi in Dalmazia e nel Montenegro (nel 1858), a Valenza e alle Baleari (nel 1859), a Creta e ancora alle Baleari (nel 1860), in Bulgaria (nel 1861), a Bucarest (nel 1862), di nuovo a Bucarest e in Bulgaria (nel 1863). In questa rincorsa affannosa alla ricerca di quel buon seme che in patria è ormai perduto, lo sostengono alla lunga e gli consentono di ottenere risultati mediamente piuttosto positivi, oltre ad un indispensabile pizzico di fortuna e di 30 Il Diario di Pompeo Mazzocchi INTRODUZIONE coraggio personale, l’eccellente “occhio” che egli si è fatto nell’allevare per tanti anni i bachi nell’azienda paterna, ma ancor prima, sin da fanciullo, nel seguire con appassionata attenzione i consigli e le indicazioni minute delle esperte allevatrici che gli sono state maestre. Ad esse - la prozia Aurelia Armanni e le anziane, ma ancor attivissime “ragazze Caravaggi” di cui egli era pigionante negli anni passati da scolaro a Chiari - Pompeo riconosce di cuore, scrivendo in età già avanzata, un debito formativo inestimabile. È questo, sia detto qui per inciso, quello cioè del ruolo della trasmissione femminile del saper fare in bachicoltura, un elemento che avrebbe bisogno di una storia a sè, all’interno di una storia globale della sericoltura, ma che riaffora sempre, a saperlo cogliere, nelle pagine dedicate di ricordi o negli scritti letterari di ogni tempo.27 Pompeo Mazzocchi, col suo scrivere ingenuo e sereno, non manca di rilevarlo con affetto. In effetti, la discriminante dell’esperienza diretta di allevatori di bachi - rispetto a chi fa solo il commerciante - tra coloro che si volgono a fare i semai, sarà spesso decisiva per ottenere risultati positivi dal seme acquistato nei posti più disparati del mondo. Essa contribuisce, ad esempio, a spiegare come mai case commerciali affermate e ricche di mezzi, svizzere, tedesche, francesi o inglesi, operanti in Giappone sul mercato del seme-bachi, finiscano spesso col servirsi di personale italiano per la delicata e fondamentale operazione di scelta delle partite di quella merce tanto particolare che vengono portate a Yokohama dall’interno del paese.28 Ma l’esigenza primaria ed inderogabile di avere sul posto personale con specifica e qualificata esperienza bachicola nel momento cruciale della scelta dei in Giappone nel 1880. 27 Il madrigalista piemontese Annibale Guasco, nel suo Tela cangiante, composto intorno al 1595 e che contiene oltre trecento madrigali riferentisi al ciclo di produzione della seta, chiede perdono alle donne di invadere un campo di loro precipua competenza con un madrigale (il n.° 771) intitolato: “Scusa verso le donne di voler loro insegnare la cura de’ bigatti” nel quale afferma “Temo che poco saggio / io sia da te stimato, o donna accorta / [imitando chi porta / al mare l’acqua] a volere insegnarti / della cura del bombice le parti/”. 28 È questo il caso, ad esempio, di Scoto Scoti, - membro di una famiglia toscana con radicate tradizioni sericole - impiegato prima a Shanghai e poi a Yokohama della ditta britannica Petrocochino & Co, una ditta che per svariati anni si dedica, tra le sue numerose attività commerciali, anche alla raccolta e spedizione in Europa di seme-bachi. Analogamente la Bavier & Co., filiale a Yokohama di una delle maggiori imprese commerciali ed industriali svizzere con estesi interessi nel campo cotoniero e serico - i Von Bavier di Zurigo - e che commercia anche in seme-bachi, ha tra i suoi impiegati in Giappone un Luigi Colombo ed un M. Simoni, mentre la Hecht & Lilienthal, uno dei più importanti operatori in sete di Lyon - che commercia anche seme-bachi - impiega a Yokohama un A. Falco. Ma il caso più eclatante è quello del brianzolo Isidoro Dell’Oro, impiegato sin dal 1866 (anche lui prima a Shanghai e poi a Yokohama) della ditta amburghese Siemssen & Co (assieme al fratello Giuseppe, che opera nella filiale di Milano della stessa ditta tedesca). Isidoro Dell’Oro, che negli anni successivi, messosi in proprio, sarà uno dei più attivi semai italiani residenti in Giappone, gestiva inizialmente per la Siemssen a Yokohama uno stabilimento - l’unico mai autorizzato in Giappone - dove pare si producesse autonomamente rinomato seme-bachi con l’ausilio di numeroso personale giapponese. Il Diario di Pompeo Mazzocchi 31 INTRODUZIONE bozzoli e della confezione del seme, o anche solo per esaminare il seme posto in vendita, emerge da un altro particolare riportato nel Diario di Pompeo relativo agli anni iniziali del suo curriculum di semaio internazionale e nel quale risalta il ruolo particolare dell’elemento femminile. Nel 1857, inviato a far seme nell’Impero Ottomano ed avendo egli informato casa sulle buone prospettive trovate in loco, il padre Andrea, esperto allevatore, gli manda come aiuti il fratello Gabriele, per le operazioni più pesanti e rischiose, e la sorella Violantina, per la delicatissima cernita dei bozzoli e del seme. Ancora una volta è una donna ad esercitare un ruolo decisivo per le sue competenze di allevatrice ed il suo apporto è considerato così importante da convincere padre e marito a farle compiere un insolito viaggio, non certo breve e facile e ad affrontare un soggiorno movimentato e pieno di rischi in un paese dove le donne europee erano considerate, a torto o a ragione, soggette a pericoli non indifferenti. Si noti che il Diario di Mazzocchi ci informa che Violantina sarà un’altra volta a far seme in Turchia nel 1861, né la casuale notazione di Pompeo ci può far escludere che la sorella non abbia anch’essa esercitato, sia pure come accompagnatrice di uno dei fratelli o del marito, la “professione” di semaia all’estero in maniera regolare nel corso di quegli anni.29 Del resto vi sono altri casi documentati di donne che fanno le “semaie” andando anche all’estero, come nel caso di Angelica Arrigoni Alessandri, di Bergamo,30 o di mogli che accompagnano i propri mariti, semai, sino in Giappone (ed in uno di questi casi si afferma esplicitamente che entrambi i coniugi erano esperti allevatori31). È con riferimento proprio al suo soggiorno a Istanbul del 1857 che Pompeo Mazzocchi ci parla dei suoi rapporti di affari e di amicizia personale con un altro dei maggiori semai italiani successivamente coinvolti nel commercio con il Giappone, Vincenzo Daina, anch’esso bergamasco. Pompeo (come più tardi anche la sorella Violantina) sarà ospite ad Istanbul nella casa di Vincen29 Si noti anche che Violantina aveva già una figlia, Giulia, nata nel 1848. Tra un gruppo di carte residue di Pompeo Mazzocchi, non ancora inventariate, è stato di recente ritrovato da chi scrive un lasciapassare rilasciato dalle autorità di Istanbul a Violantina Mazzocchi che la autorizzava a recarsi da Istanbul a Edirne (Adrianopoli). Un secondo lasciapassare è intestato a (Giovanni?) Mazzocchi - si tratterebbe, se l’identificazione è corretta, del fratello minore di Pompeo. Sono grato al collega Michele Bernardini, dell’Istituto Universitario Orientale di Napoli, che si è cortesemente prestato a trascrivere e tradurre i due documenti. 30 Su La Gazzetta di Bergamo del 4 aprile 1861 la Arrigoni Alessandri invita a sottoscrivere al seme-bachi di Cattaro e Montenegro che ella andrà personalmente a confezionare sul luogo come già fatto in anni precedenti. Si noti che Cattaro e Montenegro erano state tappe delle peregrinazioni di semaio anche di Pompeo Mazzocchi. 31 Si tratta dei coniugi Canzi (in affari con Carlo Antongini a Milano), che nel 1874 si recano assieme a Pietro Savio ad ispezionarie alcuni distretti sericoli del Giappone centrale. Savio, P., Il Giappone al giorno d’oggi nella sua vita pubblica e privata, politica e commerciale. Viaggio all’interno dell’isola e nei centri sericoli eseguito nell’anno 1874, Treves, Milano 1876. Nello stesso 1874 anche il bresciano Lorenzo Inselvini sarà in Giappone con la moglie (Japan Gazette, 2087, 10.11.1874). 32 Il Diario di Pompeo Mazzocchi INTRODUZIONE zo Daina per alcune settimane e ne terrà a battesimo la figlia, confermandoci anche in questo caso - come nel suo proprio ed in quello di Enrico Andreossi - che il cursus honorum dei semai italiani che in seguito saranno più attivi in Giappone aveva solide radici nelle attività in precedenza svolte, sempre come semai, in giro per il Mediterraneo e magari con lunghe residenze all’estero, com’è evidentemente nel caso di Vincenzo Daina.32 Nel “Diario” di Pompeo emerge inoltre anche il nome di Luigi Lanzani che egli incontra a Cattaro (Dalmazia) nel 1858 ed assieme al quale si recherà a Cettigne, nel Montenegro. Lanzani è titolare di una ditta di Milano che commercia seme-bachi, inizialmente sotto la ragione sociale di Luigi e fratello Lanzani, per poi unirsi ai banchieri Mazzoni e C. (successori della Uboldi e C.) nella Lanzani, Mazzoni e Comp., specializzata in seme-bachi giapponese ed attiva sul mercato di Yokohama con un suo agente, il piemontese Domenico Botto, del quale ci risultano almeno sei viaggi in Giappone tra il 1865 ed il 1872.33 Di capitale importanza, per Pompeo come per tanti altri semai, specie nelle fasi iniziali della carriera, la “rete” di collaborazioni e di sostegno data dai rapporti famigliari. Della collaborazione con il fratello Gabriele e con la sorella Violantina nel corso dei viaggi nell’Impero Ottomano abbiamo già detto, ma non vanno trascurate le presenze, in un ambito famigliare più ampio, di altre persone interessate direttamente o indirettamente al comparto serico ed al commercio del seme bachi, come il secondo cugino del padre di Pompeo, Andrea Tonelli, che offre cruciali malleverie in momenti difficili e che partecipa ai rischi di alcune speculazioni sul seme-bachi, o come uno dei cognati di Pompeo, G.B. Zanchi (marito della sorella Nina), bergamasco, allevatore su grande scala di bachi da seta, un cui lontano parente, Isacco Lanfranchi, lavora per Pompeo a Bursa e altrove34. Così pure appare interessata al commercio del seme bachi la famiglia Almici di Coccaglio, con la quale i Mazzocchi hanno più di un legame, in primo luogo con Pietro Almici, primo marito di Violantina Mazzocchi. 35 Violantina, in seguito, sposerà in seconde nozze quel Giuseppe Testa che aveva collaborato con Pompeo 32 Vincenzo Daina opererà con base a Bergamo sino alla fine del 1866, per trasferirsi nel 1867 a Milano dove sarà socio fondatore (assieme alla Fratelli Facchi di Brescia) della Società Bacologica in accomandita Fratelli Ghirardi e Comp. ed entrerà nel 1870 in società con la Sambucety e C. È sicuramente ancora in attività - per seme-bachi giapponese - nel 1880. Vincenzo Daina si recherà di persona in Giappone almeno tre volte negli anni ’70, ma si baserà per la condotta annuale dei suoi affari in Giappone oltre che sul Ghirardi anche su di un suo agente, Alessandro Begnotti, che già abbiamo visto prestare la sua opera per altre case di Milano ( v. sopra nel testo e nota 21). 33 Pompeo Mazzocchi, nella sua seconda spedizione al Giappone del 1865, avrà tra i suoi compagni di viaggio in partenza dall’Europa anche Domenico Botto. 34 Inoltre, un Giovan Domenico Zanchi è tra i primi sottoscrittori, nel 1863, di azioni della Società che Enrico Andreossi mette in piedi per andare a far seme-bachi in Giappone. 35 Si veda, per gli Almici, le varie note al testo del Diario. 36 Per la Benedetto Testa v. sopra, nota 20. Il Diario di Pompeo Mazzocchi 33 INTRODUZIONE 17. Carta della Tracia e della Turchia europea appartenuta a Pompeo Mazzocchi. Circa 1860. Cm. 38x46. Fondazione Pompeo e Cesare Mazzocchi, Coccaglio, Archivio Storico. negli acquisti di seme-bachi in Turchia, dove Violantina, da poco vedova, l’aveva conosciuto. È verosimile pensare che la Benedetto Testa per la quale lavorerà a lungo Pompeo anche in Giappone fosse in qualche modo connessa al Testa suo cognato.36 I viaggi di Pompeo, a volte affiancato dal fratello Gabriele e dalla sorella Violantina, iniziati come ricerca di seme sano per salvare gli allevamenti della famiglia, consentono al padre, Andrea Mazzocchi, che resta in casa a gestire l’azienda, di conseguire ulteriori e più che discreti profitti con la vendita di seme-bachi estero sano a clienti del circondario.37 I Mazzocchi entrano così a pieno titolo nel giro dei semai professionisti già prima delle spedizioni di Pompeo al Giappone, sia pure con volumi d’affari ancora relativamente modesti, ma sarà proprio la diffusione della pebrina, nel 37 Si veda, per un calcolo approssimativo dell’utile lordo di alcune campagne acquisto di Pompeo - alle Baleari e in Bulgaria - le note 177 e 193 al testo del Diario. 38 Alla vendita a terzi di una parte del seme-bachi che Pompeo comperava all’estero fa cenno lo stesso Pompeo con riferimento alla campagna del 1857 (Diario, foglio 79), aggiungendo però che l’anno seguente il padre Andrea voleva rinunciarvi per i troppi rischi (Ibid., fogli 81-82). Tuttavia, una lettera circolare a stampa di Andrea Mazzocchi diretta ad un cliente di Adro (Brescia) nel settembre del 1863 e recentemente ritrovata, 34 Il Diario di Pompeo Mazzocchi INTRODUZIONE corso del 1863, anche agli allevamenti balcanici ove Pompeo operava sin dal 1861 a convincerli definitivamente che bisognava guardare assai più lontano.38 Fuori dagli orizzonti provinciali Altrettanto importante, nella formazione professionale del semaio internazionale esemplificata dall’esperienza di Pompeo Mazzocchi, la necessità di impratichirisi con le lingue, gli usi, la società di paesi - quali Francia ed Inghilterra - allora all’avanguardia nella penetrazione su mercati esteri e nelle loro tecniche e pratiche commerciali e creditizie. Per uomini di estrazione provinciale, come i Mazzocchi, al fine di entrare nel business dei semai che si muovono da un paese all’altro, anche solo nel Mediterraneo, è essenziale impadronirsi degli strumenti del mestiere che, di necessità, sono ben diversi da quelli usati su fiere, mercati e circuiti di area lombarda o, al massimo, padana. La scelta di Andrea Mazzocchi di spedire il figlio Pompeo, nel 1856, in Francia e in Inghilterra con il compito preciso di apprendervi le lingue, è una mossa coraggiosa e lungimirante e certo di non poco onere per la famiglia, ma che testimonia della consapevolezza precisa sin d’allora nei Mazzocchi che la pebrina, pur ancora non del tutto diffusa in Italia, costringerà ben presto ad agire con orizzonti ben più ampi di quelli abituali e con mezzi e metodi sofisticati di cui bisogna al più presto sapersi servire con assoluta destrezza. Pompeo è ben consapevole delle responsabilità che gli vengono assegnate e della necessità di far tesoro di ogni ora trascorsa all’estero per affinare le sue competenze. Dei vantaggi acquisiti in quel periodo (due mesi a Parigi ed una decina a Londra) sarà in seguito sempre assai grato al padre ed avrà occasione di utilizzare le sue conoscenze nei momenti e nei luoghi più disparati, come nel remoto porto aperto giapponese di Hakodate nel 1865 quando riesce ad ottenere un inaspettato quanto assai inusuale passaggio - lui, civile e straniero, con tutta la sua merce - su di un vascello da guerra britannico, oltre che nei tanti altri contatti intrattenuti con consoli, militari, banchieri, commercianti delle più diverse provenienze. Il superamento, anche psicologico, dei comodi orizzonti provinciali e indica come il business della vendita a terzi fosse regolarmente ripreso da tempo. In essa si fa anche riferimento alle operazioni di allevamento di semente di Bukarest portata a Selvi (Bulgaria) - a conferma di quanto riportato da Pompeo nel suo diario ai fogli 98-99 del dattiloscritto - ed indicando che i risultati colà ottenuti erano ormai gravemente intaccati dall’avanzare della malattia. Andrea Mazzocchi infatti precisa in quella circolare al proprio cliente/socio di Adro che solo il 40% del seme che si sperava di ottenere sarebbe stato disponibile. 39 L’episodio è ricordato ai fogli 72-73 del dattiloscritto del Diario e ripreso brevemente a al foglio 123 dello stesso. Il Diario di Pompeo Mazzocchi 35 INTRODUZIONE l’immersione nel tumultuoso e a volte rischioso mondo dei traffici mediterranei - ben testimoniato dall’avventura di Mazzocchi con i pirati nel Mar di Marmara39 - assieme all’abitudine acquisita alle più incredibili e spossanti difficoltà di viaggio, di nutrimento, di sistemazione ed agli scontri con burocrazie e ostacoli commerciali di ogni genere, “temprano” negli anni ’50 i semai a qualsiasi avventura e li rendono pronti ad affrontare qualsiasi rischio e qualsiasi percorso per raggiungere i propri fini. È da quegli anni di massacrante apprendistato nel Mediterraneo e dintorni che escono semai come 18. Passaporto rilasciato dal sotto-Prefetto di Chiari a Carlo Orio con la sua spericolata Pompeo Mazzocchi il 18 febbraio 1865 per l’Austria, spedizione nel Kashmir semi-indila Svizzera e la Turchia (ma da lui utilizzato per andare 40 o come Ferin Giappone). Cm. 28x40. Fondazione Pompeo e Cesare pendente del 1863, Mazzocchi, Coccaglio, Archivio Storico. dinando Meazza, di cui abbiamo già detto, impelagato nello stesso anno a Bukhara in un viaggio commerciale che sfiora la tragedia,41 o come lo stesso Mazzocchi che rischia più del dovuto nel 1864 in una Cina settentrionale sconvolta da insurrezioni, guerre civili e rovinosi interventi stranieri. I ripetuti viaggi al Giappone in cui li ritroveremo, nella seconda metà degli anni ‘60 e oltre, assieme a tanti altri che escono dallo stesso apprendistato, saranno per loro delle estensioni di esperienze già fatte ed assimilate, magari 40 Carlo Orio (1828-1892), aveva operato inizialmente, con base a Milano, con la ditta Albini-Orio-Sala procurando seme-bachi Mediterraneo sino al 1862-1863 e in seguito giapponese. Orio in persona si era recato in Cina nel 1859 ed in Persia nel 1862 (aggregato alla Missione diplomatica italiana, con incarichi di studio e ricerca sul locale mercato sericolo e bachicolo). L’ardita spedizione in Kashmir del 1863 era stata coronata da un notevole successo in termini di seme-bachi riportato in patria, ma nei successivi allevamenti in Italia ed in Francia i bozzoli ottenuti non erano stati considerati economicamente interessanti dagli industriali serici. In seguito, Orio sarebbe stato in Giappone almeno un paio di volte (1867 e 1868 e forse anche nel 1872), mentre la sua ditta avrebbe continuato ad operare su Yokohama, mediante agenti, sino agli inizi degli anni ’80. 41 V. sopra, n. 13. 42 Su circa 90 semai a cui si è potuto sinora attribuire con sufficiente sicurezza il luogo di origine, ve ne sarebbero 16 della provincia di Brescia, 11 di quella di Bergamo e 14 di quella di Cuneo, per un totale di 41, pari a circa il 45% delle origini individuate. Complessivamente, tra quelli con provenienza nota, 36 Il Diario di Pompeo Mazzocchi INTRODUZIONE di durata temporale maggiore, ma nella sostanza molto più gradevoli e molto meno rischiose di quelle compiute altrove in precedenza. La comunità dei semai italiani in Giappone compattezza e diversità Come già accennato, il gruppo dei semai italiani (complessivamente circa centoventicinque persone) che frequenta sistematicamente il Giappone nell’arco del ventennio 1861-1880, presenta delle peculiari caratteristiche di continuità temporale personale e/o associativa (con le esperienze di semaio del periodo antecedente) e di alta omogeneità professionale (nella specializzazione e nelle competenze), cui si aggiungono la analoga matrice di provenienza famigliare e sociale di molti - la media borgehsia imprenditoriale del ramo serico - e sopratutto, per la gran parte dei componenti, l’iterazione, ripetuta negli anni, della frequentazione dello scalo di Yokohama rafforzata dalla “staffetta” nei viaggi al Giappone con parenti (padre/figlio, fratello/fratello) o con colleghi da avviare gradualmente all’impegnativo incarico. Non va dimenticato, inoltre, che il lungo viaggio di andata e ritorno - complessivamente tra i quattro e i cinque mesi, escludendo i due o tre del soggiorno - viene il più delle volte compiuto in gruppo, ed anche se ciò è in parte determinato dalle pressanti scadenze dell’inizio stagione di vendita del seme-bachi a Yokohama e dalla successiva chiusura di questa con l’urgenza dei ritorno in patria, oltrechè dalla relativa scarsità di mezzi di comunicazione tra il Mediterraneo e l’Asia orientale, non vi può esser dubbio che lo stare assieme sullo stesso vapore per tanti mesi ed il ritrovarsi nello stesso 19. Polizza della società d’assicurazioni Sun Fire Office, rilasciata a Yokohama l’8 novembre 1879 con cui Pompeo Mazzocchi assicura viaggio per svariati anni di seguito contro l’incendio cartoni di seme-bachi giapponese del valore di accentui l’omogemeità del gruppo e 6.000 dollari d’argento. Cm. 30x48,5. Fondazione Pompeo e Cesare Mazzocchi, Coccaglio, Archivio Storico. Il Diario di Pompeo Mazzocchi 37 INTRODUZIONE favorisca il consolidarsi di legami di affari e personali facilitando la conclusione di accordi - formali o di fatto - per comportamenti e strategie comuni nei confronti dei concorrenti e dei venditori giapponesi. In effetti, nei commenti sui semai italiani che appaiono sulla stampa straniera di Yokohama (portavoce di interessi in prevalenza britannici o francesi), come pure nelle pubblicazioni o nelle carte private giapponesi, o sui quotidani e periodici specializzti d’Europa, il gruppo viene sempre visto come compatto e non si accenna pressoché mai - rara avis trattandosi di italiani - a frammentazioni, discordie e contrapposizioni che ne inficino le linee di fondo della strategia operativa e comportamentale sul mercato del seme-bachi in Giappone. Matrici provinciali di origine. Il gruppo considerato nel suo insieme, e sull’arco temporale non certo breve preso in considerazione, mostra inoltre delle significative e massicce presenze a caratterizzazione provinciale. Pur essendo rilevabili, infatti, individui provenienti da varie parti dell’Italia settentrionale (con minori presenze dalle Venezie e dall’Italia centrale e nessuna dall’Italia meridionale - ribadendo in questo la assoluta predominanza assunta allora, anche in termini qualitativi, dalla produzione serica dell’area lombardo-piemontese nell’ambito nazionale), colpisce la concentrazione numerica, tra coloro di cui è stato sinora possibile accertare la provenienza, degli esponenti di alcune specifiche zone: il Bresciano, il Bergamasco, il Cuneese,42 mentre la forte concentrazione di residenze a Milano (22) di singoli semai o delle ditte di appartenenza riflette molte volte più l’importanza e la necessità di trovarsi ad operare sulla principale piazza commerciale serica d’Italia che non la effettiva origine locale dell’impresa o dei suoi esponenti.43 A guardare più a fondo, si nota anche la presenza di un reticolo di relazioni i semai lombardi sono ben 61 su 90 - includendovi tutti quelli con residenza operativa a Milano, contro 24 piemontesi e 5 di altre provenienze (2 toscani, un veneto, un trentino ed un dalmata). Si noti che tra i circa 35 semai restanti la cui provenienza precisa non è stata sinora accertata, svariati presentano cognomi chiaramente lombardi (Bernasconi, Bartesaghi, Viganò, Radaelli, Consonno, ecc.). 43 Soprattutto dopo il 1870, con il consolidarsi della posizione di Milano come massimo mercato Europeo per le sete, parecchi semai “provinciali” vi spostano la propria residenza o il proprio centro d’affari, ad esempio i bergamaschi Enrico Andreossi e Vincenzo Daina o il veneziano Carlo Antongini. Svariati anche i brianzoli con residenza a Milano, ma che spesso hanno il proprio “retroterra bacologico” nel lecchese, come nel caso di Luigi Bassani e dei fratelli Dell’Oro. Per altri, Milano è patria d’adozione, come per il dalmata Nicola Vucetich, tra i primissimi a recarsi in Giappone. 44 In realtà anche Pompeo aveva un lontano rapporto indiretto di parentela con i Damioli ed il Conte Lana, dato che le due sorelle della moglie del bisnonno di Pompeo si erano sposate con membri di quelle famiglie (v. Diario, al foglio 4 del dattiloscritto). Non va dimenticato inoltre che Andra Tonelli, 38 Il Diario di Pompeo Mazzocchi INTRODUZIONE più stretto, siano esse di associazione famigliare, di collegamento con personalità locali di particolare rilievo o di natura comunitaria specifica. Un esempio del primo caso, per il Bresciano, sono i rapporti di parentela che legano i due semai Pietro Fé d’Ostiani e Paolo Facchi, e per il secondo i rapporti di dipendenza/parentela che legano, sempre per il Bresciano, Giacomo Ragnoli e Diego Damioli, semai in Giappone, al Conte Ignazio Lana, una delle figure più rappresentative e più dinamiche della sericoltura bresciana.44 Per il terzo caso il riferimento d’obbligo è il nesso comunitario, sul quale ci soffermeremo più oltre, degli esponenti evangelici di origine prevalentemente svizzera di Bergamo: Andreossi, Alpiger, ed i loro sostenitori e finanziatori in casa, Steiner, Zuppinger, Sieber (quest’ultimo con un affiliato in Giappone). Nel complesso, tuttavia, pur se 20. Fronte e retro di una lettera di credito per 2000 la componente padana occiden- sterline inglesi (pari a 50.000 lire italiane di allora) il 4 agosto 1876 a Pompeo Mazzocchi tale è di gran lunga prevalente (e rilasciata dalla Banca Generale di Milano, a valere sull’agenzia quella lombarda - aggiungendo ai della Oriental Bank Corporation di Yokohama. Cm. gruppi già citati anche i manto- 21,5x27. Fondazione Pompeo e Cesare Mazzocchi, Coccaglio, Archivio Storico. vani, i cremonesi e i brianzoli - ne fa decisamente la parte del leone) ed i legami interni ai singoli gruppi sono rilevanti, si notano di frequente rapporti, anche di peso, trasversali, come nei casi precedentemente esposti del cuneese Chiapello “precettato” dai bresciani per guidare in Giappone la recluta Ragnoli, del veneziano/milanese Antoncugino di secondo grado di Pompeo e sostenitore finanziario di molte iniziative di semai dei Mazzocchi, aveva sposato Marianna De’ Terzi Lana. 45 P. Mazzocchi, Diario, ai fogli 168-169 e 189 del dattiloscritto. Quanto ad Alpiger, si tratta del “commesso”, assieme a G. B. Biava, della ditta bergamasca per l’importazione di seme-bachi dal Giappone di cui è titolare Francesco Daina. Alpiger risulta, in Giappone, cittadino svizzero ed è con molta probabilità Il Diario di Pompeo Mazzocchi 39 INTRODUZIONE gini in affari con Mazzocchi, o, ancora del trentino Grazioli che opera, oltre che per sé, per esponenti di Bergamo e di Brescia. In altre parole, le comuni origini locali rafforzano certamente la omogeneità, quantomeno culturale e forse anche sociale, di alcuni grossi nuclei di semai, ma non sembrano condizionare in maniera assoluta la libertà di scelte operative o imprenditoriali più ampie o diverse. Pompeo Mazzocchi è perfettamente inserito in questo contesto. Se il Diario è scarno nei riferimenti nominativi a semai italiani che gli sono compagni nei viaggi verso Yokohama o a quelli che incontra in Giappone - oltre ad Enrico Andreossi egli cita ad esempio “il Sig. Alpiger di Bergamo”45 con cui fa il viaggio da Hakodate a Nagasaki nel 1864 - le altre fonti documentarie su Mazzocchi evidenziano il suo stretto rapporto iniziale con i bresciani Antonio Dusina e Vincenzo Gattinoni46 e quello, prolungato negli anni, con svariati bergamaschi (Andreossi, Begnotti, Locatelli), mentre lo “fotografano” nelle schiere di semai italiani al loro arrivo o alla partenza da Yokohama o di passaggio per Shanghai. Così, prendendo a caso due esempi distanziati nel tempo, il periodico in lingua inglese Japan Weekly Mail di Yokohama segnala, il 22 novembre del 1873, la partenza sul piroscafo Avoca per Hong Kong (prima tappa del viaggio di ritorno verso Suez) di un nutrito gruppetto di semai italiani tra i quali Sala, Ghirardotti, Vucetich, Damioli, Arienti, Arcellazzi, Biffi, Pini, Consonno, Mazzocchi, Radaelli ed altri. Almeno uno di questi è sicuramente bresciano, Diego Damioli. Nove anni prima, il periodico in lingua inglese di Shanghai North China Herald del 26 novembre 1864 aveva segnalato la partenza da Shanghai per Hong Kong, sul piroscafo francese Labourdonnais, di un gruppo di semai italiani da poco giunti nel porto cinese provenienti da Yokohama e diretti in Europa. Tra di essi Andreis, Pini, Mutti, Andreossi, Mazzocchi, Dusina, Fumagalli, Don Grazioli ed altri. È bresciano, oltre ovviamente a Mazzocchi, anche Antonio Dusina, mentre Carlo Mutti è di Castiglione delle uno dei tanti esponenti della comunità evangelica (in gran parte svizzera) stanziatasi a Bergamo e della quale il maggiore esponente nel campo del commercio del seme-bachi giapponese fu Enrico Andreossi, di cui si è già detto (v. sopra, n. 18). 46 Si veda in proposito quanto riportato dalla Saldi Barisani, op.cit., p. 77 e segg. Un altro riferimento ad un semaio italiano incontrato in Giappone si trova a p. 181 del Diario dattiloscritto dove si parla della casa affittata nel 1865 a Yokohama assieme “al prete Ziglioli di Trento”. È questo uno dei rarissimi casi in cui la memoria di Pompeo Mazzocchi lo tradisce, si tratta infatti del sacerdote trentino Don Grazioli (sul quale v. sopra, testo e nota 4). In realtà più che di un errore, Mazzocchi è vittima - scrivendo nel 1898, a 33 anni di distanza dai fatti - di un’omofonia, poiché tra i semai italiani operanti in Giappone esisteva un Alessandro Ziglioli (partner della Ziglioli & Gandolfi di Milano), segnalato a Yokohama nei primi anni ’70 e che Mazzocchi deve aver evidentemente conosciuto. 47 V. sopra, nota 45. 48 Anche il bergamasco di origine svizzera (ed evangelico) Stoffel, come Alpiger, lavora inizialmente per Francesco Daina. Su di lui v. la nota 25. 40 Il Diario di Pompeo Mazzocchi INTRODUZIONE Stiviere. Si noti che del gruppo in partenza nel 1864 fa parte, come nel 1873, un Pini (di Lecco). Dati analoghi si ottengono quando si esaminino i transiti attraverso l’altra “pista” intercontinentale che porta i semai italiani in Giappone, quella che passa per il Nord America - più lunga, ma forse più comoda, più sicura e probabilmente meno costosa - e che Pompeo sceglierà spesso. Un’analisi sistematica su partenze e arrivi in Giappone sulla stampa locale di allora, ancora in corso di completamento, indica con una certa evidenza come alcuni semai tendessero a compiere insieme, regolarmente, una parte dei loro viaggi di andata o di ritorno dal Giappone, anche se spesso la prudenza voleva che i preziosi carichi del ritorno fossero, se possibile, divisi in almeno due spedizioni separate, ognuna delle quali era personalmente seguita da qualche semaio. La componente “svizzera” Nella relativa compattezza del gruppo dei semai italiani va messa in evidenza una sovrapposizione, almeno parziale, di un ristretto, ma molto influente numero di individui appartenenti ad altra nazione, gli svizzeri. Come già sottolineato nel caso del Sig. Alpiger, cittadino svizzero di Bergamo che lavora per il bergamasco Francesco Daina,47 vi sono numerose altre persone collegate al mondo imprenditoriale serico svizzero che agiscono in connessione più o meno diretta con i semai italiani. Si va da individui di origine svizzera, ma ormai di nazionalità italiana, come G. Stoffel48 ed il più volte citato Enrico Andreossi (di famiglia grigionese immigrata a Bergamo a fine ‘700), sino a persone come Abegg, Grosser, Von Bavier ed altri che pur essendo svizzeri ed in genere operando in Giappone per ditte svizzere, impiegano dipendenti italiani o comunque agiscono strettamente di conserva con gli operatori del mercato del seme-bachi italiano, soprattutto bergamaschi.49 Si tratta in effetti di ditte svizzere che hanno grossi e concreti interessi finanziari, commerciali ed industriali in Italia (gli Abegg, ad esempio, possiedono impianti di torcitura della seta nei pressi di Lecco) e che si trovano pertanto coinvolte nella crisi dell’offerta italiana di bozzoli e di filo di seta causata 49 Dalla già citata lettera da Yokohama di Carlo Fondra del 1866 si ricava che la ditta svizzera Ziegler & Co., operante a Yokohama, forniva seme-bachi giapponese alla ditta Frizzoni di Bergamo, evangelici di origine svizzera ed alla Schennis di Milano, anch’essi evangelici. In seguito (1869), un altro grossista bergamasco, Sbarbaro, porrà in vendita seme-bachi giapponese ricevuto dalla Ziegler di Yokohama. Da fonti della stampa periodica si ricava inoltre come la svizzera Grosser & Co inviasse nel 1867 da Yokohama seme-bachi giapponese al deposito del bergamasco Gaetano Biazzi. 50 Tra i sottoscrittori vi è anche un Giovan Domenico Zanchi, di Bergamo, verosimilmente parente di Giovan Battista Zanchi, anch’egli bergamasco, cognato di Pompeo. 51 Vedi sopra, nota 49. Il Diario di Pompeo Mazzocchi 41 INTRODUZIONE dalla pebrina, crisi da cui sono pesantemente colpite anche le manifatture seriche situate nella svizzera stessa, forti in particolar modo a Zurigo. Non deve stupire pertanto che la Svizzera sia tra le primissime nazioni che aprono rapporti commerciali e diplomatici con il Giappone (molto prima che la lenta ed impacciata burocrazia governativa italiana faccia altrettanto), che siano spesso svizzere le case bancarie cui si appoggiano i primi semai italiani ad andare in Giappone, che siano svizzeri alcuni dei primi rapporti consolari sullo stato della bachicoltura 21. Polizza della Scottish Imperial Insurance Company, rilasciata giapponese ed infine che il a Yokohama il 31 ottobre 1877, con cui Pompeo Mazzocchi assicura contro l’incendio cartoni di seme-bachi giapponese console svizzero a Yokohadel valore di 10.000 dollari d’argento. Cm. 42x52. Fondazione ma, Lindau, faccia da agenPompeo e Cesare Mazzocchi, Coccaglio, Archivio Storico. te ad una grossa ditta di importazione di seme-bachi italiana e poi, ritiratosi dal servizio consolare, pubblicizzi il seme-bachi giapponese, che egli si procura a Yokohama, su alcuni dei maggiori quotidiani e periodici italiani. Pompeo Mazzocchi, nel suo iniziale collegamento con l’impresa di Andreossi, entra anche lui in questo particolare giro italo-(evangelico/bergamasco)svizzero e va notato come il padre, Andrea Mazzocchi, sia tra i sottoscrittori della prima ora - sin dall’ottobre del 1863, con una azione da 10.000 lire - proprio della Società per l’importazione diretta di seme-bachi dal Giappone messa in piedi da Andreossi con il consistente supporto dei capitali della comunità evangelica svizzera di Bergamo.50 Tra le poche carte rimasteci dei soggiorni giapponesi di Pompeo Mazzocchi, vi è inoltre un foglietto di minuta di appunti e conti sul quale è evidenziato il nominativo della casa svizzera Charles Thorel, Ziegler & Co. di Yokohama51 e Pompeo figurerà negli anni 52 Ernest de Bavier, La sericiculture, le commerce des soies et des graines et l’industrie de la soie au Japon, Georg, Lyon 1874. A p. 79, l’autore così si esprime-: «-Les deux tiers des cartons exportés vont en Italie…Les Italiens…prennent toujours les bonnes qualités, tandis que les Français…se contentent des sortes au 42 Il Diario di Pompeo Mazzocchi INTRODUZIONE successivi in rapporti di affari con svariati grossisti di seme-bachi bergamaschi, alcuni dei quali legati alla comunità svizzera locale. Dal loro canto gli svizzeri sono pronti a riconoscere come il gruppo dei semai italiani a Yokohama operi con molta maggiore competenza, intelligenza e lungimiranza di quanto facciano i francesi. Mentre questi ultimi speculano con miopia, acquistando seme-bachi scadente e rivendendolo ai coltivatori del Midi a caro prezzo, incuranti dei danni che a lungo termine provocano, gli italiani puntano sistematicamente sulla qualità, avendo a cuore le sorti della bachicoltura italiana e la possibilità di una sua ripresa in grande stile (come in effetti sarà nei decenni finali del XIX secolo). In questi termini si esprime Ernst Von Bavier, rappresentante di spicco della omonima famiglia di imprenditori zurighesi e responsabile per anni della filiale della ditta a Yokohama, in un volume sulla sericoltura e l’industria serica giapponese, pubblicato nel 1873 e subito tradotto in francese per l’edizione di Lyon, che oggi è una fonte classica per la conoscenza di quel difficile periodo di transizione della produzione della seta in Giappone.52 Bisogna comunque sottolineare come gli stretti rapporti diretti o trasversali che legano molti semai (e molte ditte italiane a cui questi fanno capo) agli ambienti svizzeri e/o evangelici italiani tendano a stemperarsi, pur senza mai scomparire, a mano a mano che le case più propriamente italiane, a partire dalla fine degli anni ’60, divengono maggiormente autonome e più capaci di gestire in prima persona gli aspetti commerciali e soprattutto quelli finanziari delle spedizioni al Giappone.53 I rapporti con francesi e britannici. Di natura in parte diversa e comunque meno stretti, anche se assai importanti nei primissimi anni, i rapporti dei semai italiani con gli ambienti economici e meilleur marché.-». 53 Questo vale anche per i rapporti dei semai italiani con altre ditte straniere. Un caso tipico è quello del milanese Gaetano Paladini (sul quale v. sopra, nota 20) il quale alla metà degli anni ’60 importa seme-bachi giapponese fornitogli da una casa londinese che a sua volta si appoggia all’olandese F. Blekman, residente in Giappone, interprete della Legazione francese e con qualche esperienza in campo bacologico. Più tardi Paladini rafforzerà la sua ditta unendosi a Goretti e la Paladini e Goretti invierà direttamente i suoi propri esperti - Alessandro Begnotti e Pompeo Mazzocchi - a far seme in Giappone, divenendo una società pienamente autonoma e di tutto rispetto sul mercato milanese. 54 Si veda in proposito, sul ruolo della casa bancaria Pascal et fils di Marseille nei primi viaggi di Mazzocchi, il volume della Saldi Barisani, cit., alla p. 80 e segg., con riferimenti anche alla documentazione esistente all’Archivio di Stato di Brescia. 55 Nella seconda metà degli anni ’70 Gian Giacomo Andreis sarà Console italiano a Montpellier e contribuirà, in questa sua veste e per le competenze specifiche di semaio professionista, all’organizzazione del Congresso Internazionale di Bachicoltura che si terrà a Montpellier nel 1878. Il Diario di Pompeo Mazzocchi 43 INTRODUZIONE politici francesi e con i colleghi semai della Francia del Midi. A parte l’abitudine, nei primi tempi, di partire per il Giappone quasi sempre dal porto di Marsiglia - che mette i semai italiani in stretto contatto con gli ambienti commerciali e bancari del luogo54 - vi sono anche alcuni legami diretti con la Francia, a livello personale o a livello di ditte, come ad esempio nel caso dei due fratelli piemontesi Andreis, Bernardo e Gian Giacomo, il primo residente ed operante a Saluzzo il secondo da tempo stabilito a Tarascon, non lontano da Avignon. Il seme-bachi che soprattutto Gian Giacomo acquista in Giappone (dove gli Andreis saranno presenti, dal 1864 al 1875, quasi ogni anno) viene commercializzato nel Cuneese da una società di cui è gerente Bernardo e nel Midi francese da Gian Giacomo o da qualche suo agente, senza alcuna menzione della nazionalità dell’importatore che appare come francese nelle pubblicità sui periodici locali.55 L’inverso avviene nel caso della ditta dei fratelli Puech (Alcide e Andrea) di Brescia, una delle prime ditte a sperimentare seme-bachi giapponese in Italia sin dal 1863 ed a spedire i propri agenti in Giappone. Nei rapporti consolari italiani da Yokohama, e così pure sulla stampa periodica italiana, i Puech sono citati come ditta italiana operante in Giappone, ma non vi sono dubbi sulle loro origini dal Midi francese,56 verosimilmente dalle Cevennes, anche se non è stato sinora possibile accertare il preciso rapporto famigliare con la Puech ainé di Avignon, anch’essa una tra le prime e più importanti ditte di commercio di seme-bachi francesi a rivolgersi al Giappone. Negli anni iniziali di attività dei semai in Giappone è giocoforza per gli italiani appoggiarsi alla baldanza diplomatica e militare di una qualche grande potenza già saldamente presente nello scacchiere dell’Asia orientale. L’interesse vivissimo dei francesi per le questioni sericole - la crisi della pebrina li tocca in maniera rilevante - rende la Francia una scelta quasi automatica per gli italiani che per primi si muovono verso quelle zone anche se, come vedremo più oltre in maggior dettaglio, gli interessi commerciali e manifatturieri dell’Inghiltera in campo serico, la decisa rivalità franco-britannica in Giappone e le tradizionali politiche di allineamento della neonata Italia con l’Inghilterra (a prosieguo di quelle vivacemente sostenute ai tempi di Cavour), consiglino a numerosi semai di mantenere una certa equidistanza, in attesa di poter giocare un proprio ruolo più autonomo e più attento agli esclusivi interessi del mercato italiano. Alcuni dei primi passi sono tuttavia improntati ad un’azione di affian56 Sul Bullettino della Associazione Agraria Friulana, 1865, p. 202 viene esplicitamente detto, a proposito della ditta Alcide Puech, che essa è di “Lione e Brescia”. 57 Nel 1864 si calcola che il totale del seme-bachi esportato dal Giappone si sia aggirato sulle 300.000 once, mentre l’anno prima non si sarebbero superate le 30.000. Le cifre restano ipotetiche - anche se l’ordine di grandezza pare sicuro - in quanto, essendo l’esportazione formalmente proibita (e pertanto effettuata di contrabbando, sia pur sotto l’occhio assai tollerante delle autorità locali), non esistono, prima del 1865, statistiche doganali giapponesi su questa merce. 44 Il Diario di Pompeo Mazzocchi INTRODUZIONE camento alle iniziative francesi. Così è per il primo vero massiccio acquisto di cartoni di seme-bachi giapponesi (170.000 secondo alcune fonti, 250.000 secondo altre)57 che vengono inviati a Marsiglia alla fine del 1864 da un gruppo di semai in cui risaltano l’avi22. Telegramma d’affari in giapponese diretto a Pompeo Mazzocchi gnonese Ulysse Pila, la presso l’Hotel de France di Yokohama il 4 settembre 1870 da un certo ditta Meynard ed altri Eikichi. Fondazione Pompeo e Cesare Mazzocchi, Coccaglio, Archivio committenti francesi Storico. da un lato e dall’altro la Società del bergamasco Enrico Andreossi ed altri grossisti italiani. Ma è subito chiaro che il desiderio dei grandi commercianti marsigliesi e lionesi di gestire in proprio e sotto stretto controllo il lucroso business della distribuzione di quel seme-bachi ai consumatori finali in Europa, non corrisponde affatto alle intenzioni degli italiani: il mercato più importante e più ricco nel Mediterraneo è di gran lunga quello italiano, e su questo gli italiani vogliono essere liberi di muoversi senza dover pagare alcun pedaggio ai francesi. Passerà pochissimo tempo infatti che i quotidiani e la stampa specializzata francese cominceranno a lagnarsi della feroce concorrenza dei “milanesi” negli acquisti del seme-bachi giapponese e nella redistribuzione di questo verso il mercato italiano. In Giappone tuttavia avrà un ruolo di primo piano ancora per svariati anni la vulcanica figura dell’inviato francese Leon Roches,58 attivissimo in campo sericolo e costantemente alle costole dei governanti giapponesi per ottenere facilitazioni nel settore del commercio serico (ed in quello del seme-bachi in particolare) e l’abbattimento delle barriere alla libera circolazione degli europei all’interno del paese - un punto sul quale i semai di tutte le nazionalità inisisteranno sempre con particolar forza, anche se con risultati, nel complesso, modesti, specie se paragonati all’assoluta (e spesso del tutto arbitraria) libertà con cui essi erano abituati a muoversi e ad agire nei paesi del Vicino 58 Plenipotenziario francese in Giappone dal 1864 al 1868. 59 Si tenga presente che nel 1863 Hudson - uno dei più convinti assertori dell’indipendenza italiana aveva soggiornato a lungo a Salò, ospite di Giuseppe Camillo Martinengo, esponente di spicco dei moti del 1848-49 ed esiliato all’estero sino al 1857. Il Diario di Pompeo Mazzocchi 45 INTRODUZIONE e del Medio oriente. L’attivismo di Roches fa indubbiamente comodo ai semai italiani, così come a Roches fa gioco la competenza e l’intraprendenza degli italiani. L’episodio che meglio illustra questa convergenza di interessi ha luogo nella primavera del 1866, quando Roches, esercitando forti pressioni sul Governatore di Yokohama, si fa autorizzare ad inviare un gruppo di semai ad ispezionare gli allevamenti dei bachi da seta in una zona che sta ai limiti estremi (e forse li supera) del raggio di mobilità verso l’interno del paese che i (discussi) trattati sembrano consentire agli stranieri residenti a Yokohama, ma che in ogni caso è assai poco prudente cercar di raggiungere senza un esplicito assenso degli amministratori giapponesi e senza la relativa protezione armata. È assai significativo che il gruppo che compie la spedizione sia composto da soli italiani, sette per la precisione. La vicenda illustra bene l’alta professionalità specifica dei semai italiani, i più adatti, se non forse gli unici, all’interno di una abbastanza ampia comunità straniera che ha comunque nella seta e nel suo commercio uno dei suoi maggiori interessi, ad esaminare de visu ed a saper valutare da veri esperti qualità, condizioni e caratteristiche degli allevamenti indigeni. Essa sottolinea anche la forte spinta imprenditoriale che i semai italiani hanno alle spalle. La visita infatti si svolge necessariamente in giugno (nel periodo in cui l’allevamento del baco è al suo culmine) e pertanto obbliga i sette semai ad anticipare di alcuni mesi la loro venuta in Giappone ed a prolungarvi il soggiorno, con un incremento dei costi non indifferente, ma il gioco - con l’annessa, preziosa e rara, opportunità che apre di poter stabilire contatti diretti con singoli produttori giapponesi di seme-bachi - vale evidentemente la candela agli occhi dei partecipanti e dei loro committenti in Italia. Importante infine, il fatto che Roches non possa o non voglia coinvolgere semai francesi nella spedizione, un indice, riteniamo, del palese deterioramento dei suoi rapporti con gli ambienti dei sericoltori e di alcuni grandi mediatori commerciali del Midi, i quali da tempo lo accusano con asprezza di affarismo e di personalismo nella conduzione delle questioni che riguardano la seta ed il seme-bachi per l’Europa, ma anche e forse ancor di più, indice della scarsa dinamicità dei semai francesi, persone e ditte, che operano in Giappone e che già tendono ad accoccolarsi su posizioni di rendita speculativa, poco interessati a scelte di qualità e ad un contatto diretto con gli ambienti dei produttori giapponesi. Il gruppo dei semai italiani, pur adattandosi alle posizioni di forza delle maggiori potenze estere presenti allora in Giappone, mostra ben presto di sapersi muovere con notevole autonomia. L’equidistanza tra Francia e Gran Bretagna diventa così, quasi da subito, uno strumento per determinare al meglio la propria posizione sul mercato giapponese, dove il gruppo, forte della 46 Il Diario di Pompeo Mazzocchi INTRODUZIONE sua “massa” finanziaria destinata agli acquisti, in media, di oltre i due terzi del semebachi posto in vendita dai giapponesi (e per di più di quello di maggior pregio), mostra di saper farsi valere, anche indipendentemente dai desiderata delle potenze occidentali. In questo senso, sebbene vi siano alcuni singoli che tendono ad allinearsi in via primaria alle esigenze della Francia - è questo il caso, per parecchi anni, dei fratelli Dell’Oro, fortemente legati a Leon Roches - altri, ad esempio Andreossi, si destreggiano con molta più 23. Polizza della Phoenix Assurance Company rilasciata a indipendenza. Al suo arri- Yokohama il 20 settembre 1869 con cui Pompeo Mazzocchi vo in Giappone, nell’aprile assicura contro l’incendio cartoni di seme-bachi giapponese del valore di 15.000 dollari d’argento. Cm. 40,5x51. Fondazione del 1864, il bergamasco, pur Pompeo e Cesare Mazzocchi, Coccaglio, Archivio Storico. avendo alle spalle l’alquanto insolita e significativa partecipazione diretta alla sua società dell’ex-Ambasciatore britannico in Italia, Sir Francis Hudson59, si premura di andarsi a presentare (e a farlo subito sapere alla stampa di casa) sia all’inviato di Londra in Giappone, Alcock, sia a quello francese, Bellecourt, né poi si perita di far comunella con il francese Ulysse Pila per organizzare la più vistosa - sino ad allora - spedizione di seme-bachi giapponese per l’Europa, salvo poi sgusciarsene da Marsiglia con la sua parte del carico per piazzarla come meglio gli pare in Italia e non senza aver mandato suoi agenti a far man bassa, sempre per l’Italia, del migliore del seme-bachi che i francesi mettono all’asta a Marsiglia ed in alcune altre città del Midi. Pompeo Mazzocchi sembra aver imparato bene il tipo di “equidistanza” praticato da Andreossi, suo superiore diretto nella prima spedizione in Cina 60 La corrispondenza relativa è riportata in appendice al volume della Saldi Barisani, cit., pp. 139-140. 61 Cfr. Japan Trade Overland Mail, 21, 25.07.1868. Il gruppo si fermerà circa un mese a Niigata. In origine la spedizione italiana avrebbe dovuto effettuarsi per mezzo del vascello militare italiano Clotilde Il Diario di Pompeo Mazzocchi 47 INTRODUZIONE ed in Giappone del 1864. Già in quel viaggio - lo racconta nel suo Diario - si fa fare un lasciapassare dalle autorità britanniche per andare a visitare Pechino, un’utilissima copertura per i rischi del percorso, ma poi, giunto nella capitale cinese, non va a presentarsi all’Ambasciata inglese, come protocollo e prudenza avrebbero suggerito, preferendo non farlo per “essere più libero” di gestire i propri affari e di entrare in contatto con il mondo locale. Quando ritorna in Giappone nel 1865, questa volta per il Comune di Brescia, Mazzocchi si porta di nuovo a Hakodate e si appoggia alla rete consolare in loco, tanto francese che britannica, pur muovendosi, negli acquisti, non dietro le indicazioni più o meno interessate che riceve da costoro, ma solo ed esclusivamente sulla base delle sue solide competenze bacologiche, e con palese successo come confermeranno gli allevamenti effettuati in patria col seme da lui selezionato in quel porto della settentrionale isola di Hokkaido. Mazzocchi, per di più, persa la coincidenza del vapore da Hakodate per Yokohama, riesce anche ad ottenere l’inusitata e del tutto eccezionale cortesia di un passaggio gratuito per sé e per la sua preziosa merce su di una nave militare britannica, un atto per il quale Gaetano Facchi, Sindaco di Brescia e sponsor primo della spedizione, chiederà in seguito al Ministero italiano di ringraziare i governanti britannici,60 ma che mostra anche la deferenza che sin da allora si aveva da parte britannica, se non forse proprio per gli italiani in quanto tali, certamente per i vistosi volumi di affari che essi gestivano in Giappone (e nei quali erano proficuamente coinvolte molte ditte inglesi) e forse anche per la possibilità che episodi simili offrivano di tenerli staccati - “equidistanti” appunto - dal giro commerciale e diplomatico della Francia in Giappone. Iniziative autonome e sondaggi per soluzioni alternative davanti alla crisi giapponese del 1868. L’appoggiarsi, a seconda dei casi, a Francia o a Gran Bretagna, non impedisce affatto agli italiani di prendere posizioni del tutto autonome e persino conflittuali con gli interessi dell’una o dell’altra. Nel luglio del 1868 - sono da poco e solo parzialmente sedati gli scontri che hanno portato alla definitiva caduta dei Tokugawa - un gruppo di semai italiani - con l’iniziale sostegno ed e il Ministro italiano in Giappone, De La Tour, si era mosso con molta determinazione per avere il via libera dalle autorità giapponesi ed il consenso dei colleghi diplomatici occidentali, in primo luogo di francesi ed inglesi. Ad esclusione dei prussiani, tuttavia, sia i francesi che soprattutto gli inglesi avevano mostrato una decisa ostilità alla mossa italiana, ma De La Tour aveva tenuto duro, dichiarando che la spedizione era essenziale per gli interessi vitali dell’Italia in campo sericolo. Si veda anche Mazzanti P., 48 Il Diario di Pompeo Mazzocchi INTRODUZIONE appoggio diplomatico del nostro rappresentante in Giappone - noleggia un vascello, l’Albion, per farsi trasportare nel neo porto aperto di Niigata, nella speranza di avere un accesso migliore al seme-bachi delle pregiate province sericole settentrionali (in particolare Akita) ed insieme di scavalcare l’intermediazione commerciale di Yokohama.61 Il viaggio suscita apprensione ed irritazione nei circoli commerciali e diplomatici occidentali di Yokohama e la locale stampa di lingua inglese oscilla tra l’ammirazione per l’ardimentosa intraprendenza degli italiani (affrettandosi però a vaticinare clamorosi insuccessi) e l’acrimonia nei confronti dell’ammiraglio britannico che ancora ostacolava, adducendo motivi di insicurezza totale dei luoghi, un formale insediamento commerciale britannico a Niigata. Anche se l’impresa sarà coronata da un successo relativamente modesto, lasciando per di più qualche strascico polemico tra semai e Legazione italiana in Giappone, e Yokohama resterà, di gran lunga, il nodo obbligato di passaggio per gli acquisti di seta e seme-bachi in Giappone, la puntata italiana a Niigata, dove quasi nessun occidentale aveva sino ad allora osato portarsi, mostra un’orgogliosa, quasi garibaldina, volontà del gruppo di essere comunque in prima fila, anche senza avere alle spalle a Yokohama le filiali delle grandi case europee e le cannoniere. Le fonti sinora reperite non ci consentono di sapere se Mazzocchi fosse o meno coinvolto nell’affare di Niigata, ma vale la pena di notare che tra i cinque rappresentanti degli interessi italiani scelti per andare a Niigata vi è Paolo Vellini che allora stava alle dipendenze di Carlo Orio62 e che pochi anni dopo troveremo operare in Giappone per la Associazione Bacologica Milanese di Francesco Lattuada, la stessa alla quale Mazzocchi forniva, nel 1872, semebachi giapponese. Se si aggiunge a questo il fatto che Carlo Antongini63 avrebbe compiuto, apparentemente per conto di Mazzocchi, una rilevante operazione di acqusto di seme-bachi proprio a Niigata già nel 1869, se ne trae l’impressione che Pompeo Mazzocchi, se non coinvolto in prima persona nel viaggio, fosse per lo meno molto vicino a coloro che organizzarono quell’estemporanea missione nel luglio del 1868. L’episodio di Niigata nell’estate del 1868 deve anche esser visto come indiLa diplomazia italiana ed i cartoni giapponesi, Tesi di Laurea, Università Commerciale Luigi Bocconi, Milano, A. A. 2001-2002, alle pp. 224 e segg. 62 Su Orio v. sopra, nota 40. 63 Su Antongini v. sopra, nota 23. 64 Il gruppo bresciano di Vedovelli, Martinengo e Cicogna commercializza per qualche tempo ancora ridotte quantità di seme-bachi manciuriano, ma Luigi Cicogna si porta in Giappone già nel 1869. Cicogna e i fratelli sono indicati come rappresentanti a Palazzolo della ditta Puech di Brescia nel 1872. Il Diario di Pompeo Mazzocchi 49 INTRODUZIONE ce di una rilevantissima flessibilità imprenditoriale di cui dà costantemente prova la parte più dinamica del mondo dei semai italiani in quegli anni. Il loro fondamentale obiettivo strategico è, costantemente, quello di avere accesso immediato e sicuro alle più importanti fonti di seme-bachi sano reperibili - letteralmente - su tutto l’orbe terracqueo. Quel seme, ed in quantità assai massicce, deve essere messo a disposizione ogni anno - ed in un determinato periodo dell’anno - della comunità degli allevatori italiani. Sarebbe stato un disastro senza pari saltare gli approvvigionamenti di una sola stagione. La rapidità con cui si era deciso, nel corso del 1863 - di fronte ai modesti e/o fallimentari tentativi di quell’anno di trovare fonti rilevanti e buone di semebachi in Kashmir o a Bukhara - di provare a fare acquisti sostanziosi in Giappone e, l’anno successivo, di spostare sul Giappone tra la metà e i due terzi della colossale domanda di seme-bachi dell’intero mercato italiano, sono a testimoniare di questa più che notevole capacità di pronto addattamento, con successo, a situazioni del tutto nuove. Per gli stessi motivi, la drammatica crisi istituzionale e militare che sconvolge il Giappone nel 1867-1868 e che la stampa europea eccheggia ed amplifica, stimola un’immediata ricerca di possibili soluzioni alternative nel caso che il paese del Sol Levante venga a trovarsi in una spirale di guerra civile letale per il commercio del seme-bachi, come 24. Ôsai Fusatane. Trattura e tessitura della seta. Xilografia giappone- lo era stata pochi anni se (Ukiyo-e). Verso il 1870. Cm. 25x36,3. Fondazione Pompeo e Cesare prima per il commercio Mazzocchi, Coccaglio, Archivio Storico. della seta cinese e dello 50 Il Diario di Pompeo Mazzocchi INTRODUZIONE stesso seme-bachi l’ondata di campagne militari nei distretti sericoli cinesi conseguente all’estesa rivolta dei Taiping. Pur restando solidamente ancorati, e senza significative defezioni, al mercato giapponese - dove in effetti i riflessi della crisi politica sul mercato del seme-bachi nelle due stagioni del 1867 e del 1868 sono ben scarse - i semai bresciani e quelli bergamaschi sono di nuovo in prima fila nella pronta ricerca di eventuali fonti alternative, pur nella dolorosa consapevolezza che si stava ormai grattando il fondo del barile delle possibilità reali. Nasce così, a tamburo battente, una società bresciana per andare a far seme in Corea ed in Manciuria, i cui membri partono sin dal giugno del 1868, mentre il bergamasco Andreossi prova ad introdurre sul mercato italiano semebachi proveniente dal lontanissimo Cile ed un gruppo di possidenti e commercianti del milanese rigioca la carta dell’Asia Centrale - ormai sotto saldo controllo russo - mandando i suoi uomini a Tashkent, a Kokand e in quella stessa Bukhara che era quasi costata la testa a Meazza, Gavazzi e Litta nel 1864. La stessa puntata su Niigata può esser così vista come un tentativo di portarsi il più vicino possibile alle fonti di produzione in un momento in cui Yokohama sarebbe potuta risultare troppo esposta per la sua prossimità all’epicentro dello sconvolgimento politico nella contigua Edo/Tokyo. Con gran sollievo della sericoltura italiana la situazione giapponese si normalizza con estrema rapidità ed alcune delle iniziative alternative finiscono col rifluire prontamente, in tutto o in parte, sul mercato giapponese, anche perché di veramente alternativo al Giappone c’è in giro proprio poco.64 La saldezza dei nervi mostrata dagli italiani di Yokohama nel corso dei difficili mesi di tran-sizione al nuovo governo imperiale Meiji, la fiducia confermata nelle risorse seriche giapponesi, ma anche la prontezza mostrata nel saggiare con mezzi non indifferenti prospettive diverse, rafforzano nelle nuove autorità giapponesi il rispetto e la stima per quello che è ormai divenuto da alcuni anni uno dei maggiori partner commerciali del paese. Ne è prova la concessione accorAnche Cesare Bresciani, che del gruppo faceva parte, si ricicla subito verso il Giappone per la ditta Puech, recandovisi per cinque volte tra il 1869 e il 1874. Più costante, almeno per qualche anno, il rifornimento di buon seme-bachi dal Turkestan russo, un’operazione nella quale entrano anche alcuni dei semai usi andare in Giappone, come Ferdinando Meazza e il bergamasco G.B. Biava, già uomo di Andreossi, mentre i tentativi dal Sud America o da altre aree (Australia, Mongolia, California) avranno sempre una vita effimera ed un peso commerciale assolutamente trascurabile, pur testimoniando di continui sforzi di ricerca, condotti a volte con notevole impegno. 65 È di alcune settimane più tardi infatti, il tour, che comprende aree sericole, autorizzato dalle autorità giapponesi al rappresentante consolare britannico, Adams. Va comunque notato che nessuno dei membri del gruppo guidato da Adams aveva la competenza bacologica dei semai italiani della missione di De La Tour. 66 V. anche sopra, nota 12. 67 Tra la carte di Pompeo recentemente rinvenute nella sede della Fondazione Mazzocchi a Coccaglio vi è uno scritto in cui Pompeo indica, con rammarico, come il padre ed il fratello Giovanni gli avessero Il Diario di Pompeo Mazzocchi 51 INTRODUZIONE data nel giugno del 1869 alla rappresentanza diplomatica italiana guidata dal Conte De La Tour di compiere una visita ufficiale dei distretti serici interni del Giappone, la prima in assoluto ad essere consentita ad una delegazione estera da parte del nuovo governo Meiji.65 Della delegazione fa ovviamente parte una scelta rappresentanza della comunità dei semai italiani in Giappone, con il piemontese Pietro Savio, ai suoi inizi come semaio e con tre altri esperti: Ferdinando Meazza, Ernesto Piatti ed Ernesto Prato, quest’ultimo da alcuni anni residente a Yokohama ove cura gli interessi nel campo del semebachi per l’Europa del prestigioso Banco di sconto e sete di Torino.66 Preme qui notare che ancora una volta (come già nella spedizione organizzata da Leon Roches nel 1866) ci si reca nelle province sericole del Giappone in un periodo - quello dell’allevamento dei bachi - di molto antecedente a quello in cui i semai sono soliti presentarsi a Yokohama per le compravendite del seme-bachi, il che implica che la spedizione era stata proposta e concordata tra i semai, i diplomatici italiani e le autorità giapponesi sin dalla precedente stagione commerciale dell’autunno 1868. In pratica, a pochissima distanza dalla presa del potere del nuovo governo giapponese, a riprova che la comunità italiana in Giappone - composta allora quasi tutta da semai e setaioli - ha una ben precisa cognizione di quanto sia definitiva, solida e irreversibile la nuova situazione politica del paese. Le fonti sinora reperite, Diario incluso, ci lasciano abbastanza all’oscuro sulle motivazioni che spinsero Pompeo Mazzocchi a non ripetere nel 1866 e nel 1867 i viaggi da semaio al Giappone che aveva effettuato con tanto successo nel 1864 e nel 1865,67 ma il fatto che egli si riporti a Yokohama proprio nel 1868, l’anno in cui sulla stampa europea si dubitava fortemente (e forse con una punta d’isteria giornalistica) sulla tenuta del paese e si discuteva sui rischi di un prolungato periodo di caos, ci fanno pensare che Mazzocchi fosse in contatto, verosimilmente attraverso la rete di conoscenze dei suoi colleghi semai, con fonti di informazione molto più concrete e realistiche sull’effettivo stato delle cose in Giappone e che comunque considerasse, assieme a molti altri, che il rischio valesse in pieno la candela. La possibile partecipazione, almeno indiretta, di Mazzocchi alla breve spedizione italiana verso Niigata nel luglio di quello stesso anno, sottolineerebbe il suo imposto di lasciare le spedizioni al Giappone con la Società Bacologica Bresciana per tentare altrove una spedizione in prorio, poi abortita. Un passaporto a lui rilasciato dalle autorità italiane nell’aprile del 1866 per recarsi, tra l’altro, in Turchia, indicherebbe come Mazzocchi avesse forse in progetto di ritentare in quell’anno la carta del seme-bachi dell’Impero Ottomano. 68 Su Meazza e Orio v. sopra, rispettivamente, n.13 e n. 40. Su Cernuschi e Freschi, v. il Diario, nn. 375 e 252. Daina, Cadei e Zanetti si dedicarono tutti in maggiore o minore misura ad attività di semai. In particolare Cadei e Zanetti furono tra i primi a recarsi in Cina. Svariati membri della famiglia Camozzi 52 Il Diario di Pompeo Mazzocchi INTRODUZIONE pieno inserimento tra gli elementi più attivi della nostra comunità. In ogni caso, come già sappiamo, dopo il 1868 Pompeo Mazzocchi non mancò più nessuno dei successivi appuntamenti annuali col mercato giapponese, sino al 1880 incluso. Orientamenti politici e rapporti con le autorità patrie. Nell’esaminare il mondo dei semai italiani nel suo complesso, a partire dalla metà degli anni ‘50 in poi, colpisce la rilevante presenza di esponenti direttamente coinvolti in episodi bellici risorgimentali o comunque legati, in maniera più o meno esplicita, agli ambienti garibaldini e mazziniani o a questi affini. In particolare, nelle spedizioni più ardimentose ed arrischiate alla ricerca di seme-bachi, sembrano primeggiare persone che nel ‘48 e dopo si erano buttati a corpo morto nelle attività clandestine o insurrezionali. Più in generale, pare esserci un nesso conseguenziale tra un’attiva intraprendenza nel rischio commerciale ed imprenditoriale dei semai e una precedente o parallela matrice di attiva avanguardia politica nel periodo risorgimentale, in particolare per ciò che riguarda bresciani e bergamaschi, i due gruppi provinciali più mumerosi ed intraprendenti. Sotto questi aspetti, i Mazzocchi sono decisamente rappresentativi, con Gabriele, fratello di Pompeo, il quale, con il costante accordo, appoggio e rispetto di tutta la famiglia fu coinvolto nel ’48 milanese, operò con Tito Speri e con Giuseppe Zanardelli e partecipò alla campagna garibaldina del 1866. Casi analoghi abbondano, andando da Ferdinando Meazza, legato a filo doppio con i principali insorti del ‘48 milanese, tra i quali Cernuschi, esiliato a Parigi (così come esiliato per il ‘48 sarebbe stato il friulano Gherardo Freschi), al gruppo di Carlo Orio nel quale sono compresi Enrico Daina, Cadei e Zanetti, già membri della colonna dei volontari bergamaschi di Gabriele Camozzi, a 25. Timbro con la dicitura “Pompeo Mazzocchi / Coccaglio / Importazione / 1881-82” Carlo Antongini, uno dei “Mille”, ferito apposto sul retro di un cartone di seme-bachi a Bezzecca nel 1866, a Carlo Giussani, giapponese che indica come egli proseguisse milanese, anche lui a Bezzecca nel 1866 la sua attività anche dopo il definitivo rientro dal Giappone nel 1880. Cm. 6,5x4. Fondaprima di recarsi più volte in Giappone, zione Pompeo e Cesare Mazzocchi, Coccaglio, a Gabriele Rosa, “padre” della bacologia Archivio Storico. Il Diario di Pompeo Mazzocchi 53 INTRODUZIONE bresciana ed esponente di spicco dei più attivi raggruppamenti anti-austriaci di Bergamo e Brescia, sino al piacentino Pietro Sacconi, semaio in Giappone ed esploratore in Africa e all’altro garibaldino, Vittore Tasca, uno dei primi a cercar di andare a “far seme” nelle più pericolose regioni dell’Asia Centrale dove si sarebbero in seguito recati, per lo stesso scopo, uomini come il varesino Adamoli, garibaldino pure lui, legato ai volontari coinvolti nelle campagne insurrezionali anti-russe dei polacchi.68 Altrettanto noto e documentato è il deciso schierarsi per l’indipendenza italiana, con tutti i rischi connessi nei confronti delle autorità austriache prima del 1859, della comunità degli imprenditori evangelici di origine svizzera impiantati a Bergamo e Milano e dei quali è, tra i tanti, figura del massimo rilievo il più volte citato Enrico Andreossi, organizzatore e primo compagno di viaggio in Giappone di Pompeo Mazzocchi nel 1864. Gli esempi si potrebbero moltiplicare e pur tenendo conto che molti altri semai erano certamente più moderati o “apolitici” vi sono pochi dubbi che anche la comunità dei semai italiani in Giappone (come quella dei loro committenti in Italia) riproducesse una certa qual originaria venatura di radicalismo libertario che la portava ad essere poco incline a temporeggiamenti e compromessi quando si trattava di passare all’azione. Sopratutto la connotava una precisa volontà di agire per i propri interessi e per i propri fini in assoluta piena libertà, del tutto insofferente di intromissioni dall’alto, poco rispettosa della gerarchia formale e nettamente intollerante delle lentezze delle pastoie burocratiche. I semai, insomma erano poco disposti all “obbedisco” e nonostante tutto lo spirito risorgimentale e l’orgoglio di essere italiani che li pervade, parecchi di essi optano, ove lo ritengano vantaggioso commercialmente furono assai attivi nello stesso settore, mentre Gabriele Rosa, bresciano di nascita, ma vissuto a lungo nel bergamasco, ben noto per le sue numerose opere di carattere storico, fu Presidente del Comizio Agrario di Brescia, dedicandosi con fervore a sostenere numerose attività di importazione di seme-bachi dalle più lontane regioni del globo. Pietro Sacconi fu con Garibaldi nel ’66, semaio in Giappone e poi esploratore in Africa, dove morì nel 1883 (Beretta, L., Due piacentini in Giappone, in Buon Natale Piacenza, Piacenza 1996. Vittore Tasca, esponente del ’48, commilitone di Gabriele Camozzi, uno dei Mille e con Garibaldi nel 1866, si era spinto in cerca di seme-bachi, passando per la Persia, sino a quasi Bukhara, con rischi personali altissimi, già nel 1859. Adamoli avrebbe operato come semaio nel Turkestan russo a partire dal 1870. Per Antongini v. sopra, n. 23. 69 A prescindere dagli “svizzeri bergamaschi” (Andreossi, Stoffel, Alpiger, ecc.) il cui mantenimento della cittadinanza svizzera è legato a profondi rapporti economico-finanziari con gli ambienti svzzeri oltre che a questioni di identità religiosa, vi sono casi come quello di Vincenzo Comi che, lavorando per Lyon, rimane protetto francese a lungo o di altri che scelgono (o mantengono) protezioni ritenute particolarmente vantaggiose, come quella degli USA. Il consolato italiano dovette più volte, dopo la sua costituzione nel 1867, ricordare con avvisi e circolari l’obbligo per i cittadini italiani di notificare al consolato la loro presenza a Yokohama e la loro residenza. 70 Seteri avrebbe lavorato per la ditta britannica Petrocochino (dov’era impiegato anche Scoto Scoti, legato alla Società Bacologica Fiorentina) per poi operare, una volta rientrato in Italia, per la Gavazzi di Milano. 71 Ugo Pisa, figlio di Israele Pisa (co-proprietario della Banca Pisa di Milano e co-fondatore del Banco Sete Lom- 54 Il Diario di Pompeo Mazzocchi INTRODUZIONE o meno vincolante per la loro libertà di azione, per l’iscrizione nelle liste dei “protetti” da consolati di altre nazioni e vi rimangano iscritti anche dopo l’istituzione del consolato italiano di Yokohama nel 1867.69 I rapporti con le autorità in patria, con i nostri rappresentanti diplomatici in Giappone o con i Consoli italiani a Yokohama sono pertanto altalenanti, e ciò avviene per entrambe le parti in causa: da un lato i semai a soppesare con rigore l’utilità effettiva delle azioni e delle regolamentazioni governative, pronti a disobbedirle o a prenderne le distanze in maniere anche assai 26. Ingresso della cascina “Portone “ di Torbole, clamorose, dall’altra politici e funzio- ribatezzata “Cascina Giappone” da Pompeo Maznari, in Italia e in Giappone, attenti zocchi in riconoscimento dei proventi realizzati con le vendite di seme-bachi giapponese. a soddisfare le esigenze di un gruppo di pressione - quello delle società di semai e setaioli - assai potente in patria, ma spesso incapaci o poco desiderosi di seguirne i rappresentanti in Giappone (tra l’altro non sempre in accordo tra di loro) nelle loro richieste o nelle loro iniziative più ardite ed estemporanee. A rendere più complessi questi rapporti intervengono le sovrapposizioni di interessi personali da parte di membri dei nostri corpi diplomatici e consolari nello stesso settore del commercio del seme-bachi (i casi più evidenti: l’Ambasciatore Alessandro Fé d’Ostiani, il Cancelliere del Consolato di Yokohama, Pericle Seteri70 e lo stesso Ugo Pisa, nel suo breve impiego a Yokohama71) che se da un lato rendono i nostri rappresentanti più attenti e partecipi ai delicati problemi del mercato locale e dei rapporti sul tema con mercanti ed autorità giapponesi, bardo), avrebbe soggiornato in Giappone come “volontario” nella Legazione Italiana, giungendovi assieme a Fè d’Ostiani nel 1870 e ripartendo nel 1872. La Banca Pisa era attivamente impegnata nel finanziamento del commercio del seme-bachi, in particolare con il gruppo di Carlo Orio. 72 Vedi in proposito Raul Gueze, Fonti Archivistiche, cit. e Patrizio Mazzanti, La diplomazia italiana, cit. 73 Cristoforo Negri fu uno dei promotori della Società Geografica Italiana. Diresse per lungo tempo la sezione consolare del Ministero degli Affari Esteri ed appoggiò con coerenza e vigore molte delle prime e più avventurose spedizioni dei semai. Un suo viaggio esplorativo in Giappone, in vista di stabilire rapporti ufficiali e dare sostegno ai nostri commercianti di seme-bachi, era programmato già per il 1863, ma non ebbe luogo, probabilmente per dissidi interni al Ministero. 74 Comi risiedeva a Yokohama dal 1865 e lavorava per la Martorelli di Lyon, una delle nove grandi case commerciali seriche di Lyon che nel 1869 avrebbero costituito la potente e assai influente Union des Marchands des Soies. Comi, che risulta in quegli anni uno dei maggiori esportatori di balle di seta Il Diario di Pompeo Mazzocchi 55 INTRODUZIONE dall’altro portano ad inevitabili sospetti di favoritismi e collusioni. Le difficoltà emergono da subito e ne è testimone il confuso e scoraggiante stallo politico che ritarda oltre ogni misura lo stabilimento di relazioni diplomatiche e commerciali tra l’Italia ed il Giappone (un tema al quale la storiografia si è ancora insufficentemente dedicata)72 nonostante gli sforzi di Cristoforo Negri73 - sostenitore accanito degli interessi sericoli italiani nel mondo - con l’avvilente risultato che si muove assai prima e meglio dell’Italia la piccola Svizzera. Sarcastici e graffianti i commenti all’inefficenza governativa in proposito sulla stampa periodica dove sono rappresentati gli interessi dei semai, quei semai che già da anni sono in grado, da soli, di muoversi per ogni dove nel mondo, con o senza il consenso e/o l’appoggio governativo italiano, e per i quali il Giappone è già divenuto da tempo meta abituale. Così, quando il Comandante Arminjon arriva finalmente in Giappone nel 1866 per trattare il tanto atteso accordo diplomatico-commerciale, si premura subito di “reclutare” un semaio e mercante di seta del calibro di Vincenzo Comi, residente in Giappone e allora “protetto” francese, per farsi stilare i dettagli tecnici delle clausole del trattato più opportuni a sostenere gli interessi italiani nei confronti dei giapponesi.74 Con il passare del tempo tuttavia, gli elementi di frizione paiono accrescersi e se l’arrivo nel 1867 del nostro Ministro Plenipotenziario, Conte Vittorio Sallier De La Tour - animato all’apparenza di un gran zelo per gli importanti interessi sericoli dell’Italia - può far sembrare l’azione ufficiale italiana tutta volta a sostenere senza remore le esigenze dei semai nei confronti di autorità giapponesi riluttanti, uno sguardo più attento alle opinioni espresse in quei tempi dai principali organi d’informazione italiana legati o sensibili al mondo della seta, mostra un atteggiamento spesso scettico, quando non addirittura ostile, nei confronti delle attività dei nostri rappresentanti consolari e diplomatici e dei provvedimenti pratici e delle linee di azione governative che essi sono incaricati di portare avanti in Giappone. Una decisa opposizione suscitano tra i semai i provvedimenti decisi dal Governo italiano, sulla falsariga di quanto già attuato dai francesi, di far timgiapponese (cfr. Sawa, Mamoru, Yokohama Kyoryûchi no Furansu Shakai, Keiai Daigaku, Keizai Bunka Kenkyûjo, 1998, p. 61), operava anche per conto proprio, in particolare nel settore del seme-bachi per l’Italia e viaggiava spesso tra l’Italia e il Giappone. Sembra essere rimasto in attività in Giappone sino ad almeno il 1873. 75 Le uova dei bachi bivoltini (il cui allevamento era allora piuttosto diffuso in Giappone, a differenza che in Italia), si schiudono a poche settimane di distanza dalla deposizione, consentendo così un secondo raccolto di bozzoli nell’arco dell’anno - a differenza di quelle dei bachi “annuali” (assolutamente prevalenti in Italia) il cui schiudimento avviene agli inizi della primavera successiva alla deposizione, ovvero circa dieci mesi dopo. A prescindere da questioni di qualità della seta (quella dei bivoltini è decisamente inferiore), la presenza di uova di bivoltini sui cartoni mischiata a quella degli annuali, rischiava di far nascere i primi nel corso del viaggio verso l’Italia - causando la fermentazione e perdita di interi lotti - oppure di nascere in Italia in periodi in cui non c’era foglia (o braccia, o tempo) per l’allevamento, 56 Il Diario di Pompeo Mazzocchi INTRODUZIONE brare presso il Consolato italiano di Yokohama i cartoni destinati all’esportazione verso l’Europa. La timbratura - peraltro volontaria - ha lo scopo di impedire frodi (in Europa girano decine di migliaia di cartoni falsi o riciclati) e di porre un freno alla perniciosa confusione tra seme-bachi delle varietà annuali e quello dei bivoltini75, ma se i fini sono nobili e pienamente condivisibili, il mezzo proposto - così obiettano i semai - è farraginoso, costoso, inefficace e controproducente. Il Consolato non ha il personale, il tempo, i locali e le competenze specifiche per esaminare, certificare e timbrare centinaia di migliaia di cartoni in poche convulse settimane. Nulla impedisce pertanto che cartoni pieni di seme di scarto arrivino in Italia fregiandosi di un timbro che dà loro una parvenza di qualità garantita e certificata: a guadagnarne, alla fine, da una disposizione teoricamente valida ma di fatto ingestibile, saranno i truffatori più avveduti, a tutto danno degli utenti finali che si volevano proteggere. L’unica vera garanzia, ribadiscono i semai, non può che essere l’onestà e la competenza dei semai stessi, verificata dai risultati di anni di corretto lavoro. La posizione dei semai è quella (comoda) di chi non vuole alcun controllo pubblico sul suo operato e non difende certo gli utenti dagli eventuali semai disonensti, ma le obiezioni che essi fanno sono in realtà assai concrete e ben fondate. Dopo alcuni anni in cui il sistema dei timbri opera male e poco e mostra di non poter in alcun modo ostacolare le frodi, esso verrà infatti abolito dall’Italia nel 1871, avendo però lasciato una forte traccia di acredine tra i semai (specie quelli operanti sul campo in Giappone) e le nostre 27. Marchio della società Kangyô Kaisha della famiglia Tajima di autorità. Shimamura (Prefettura di Gunma), una tra le maggiori produttrici e Se i semai non gradifornitrici di seme-bachi di qualità. Si noti le scritte in italiano. Data- scono controlli, lacci e bile intorno al 1878. Per gentile concessione del Nippon Silk Center lacciuoli pubblici, predella Prefettura di Gunma. con seri danni a chi li aveva acquistati per annuali, 76 Il Sole, 46, 26.2.1870, “Semi Bachi Giapponesi”. De La Tour sarà anche accusato dai semai per la poca riuscita della spedizione a Niigata del luglio del 1868 e per non avervi partecipato di persona come promesso. Cfr. Il Sole, 285, 5.12. 1873. Il Diario di Pompeo Mazzocchi 57 INTRODUZIONE tendono però di continuo fattivi interventi e protezioni a loro favore da parte delle autorità italiane in Giappone e dal Governo. Così sarà oggetto di frizioni non indifferenti la difficoltà che la Legazione italiana (come del resto anche le altre legazioni straniere in Giappone) mostra nel persuadere il Governo giapponese ad allentare i divieti alla circolazione degli occidentali al di fuori delle ristrettissime aree dei porti aperti e zone limitrofe, come del resto è chiaramente stabilito dai trattati. Quando tuttavia la Legazione italiana e per essa il Ministero degl Esteri risponde all’ennesima richiesta dei semai di non poter in alcun modo forzare la mano dei giapponesi su questo punto senza che prima si stipulino nuovi trattati, la reazione dei semai è pesante ed è la redazione stessa del più importnte quotidiano economico italiano - Il Sole edito dalla Camera di Commercio di Milano - a prendere le loro parti e a chiedere senza mezzi termini che il Governo richiami dal Giappone il Conte De La Tour per manifesta incapacità.76 Fè d’Ostiani e la crisi con i semai del 1873 L’arrivo del bresciano Alessandro Fè d’Ostiani, Ministro plenipotenziario in Cina ed in Giappone, non sembra portare alcun miglioramento sostanziale nei rapporti con i semai.77 Sarà anzi proprio nel periodo del suo mandato che si verificherà lo scontro più grave tra la comunità dei semai italiani in Giappone (e coloro che li reggono dall’Italia) da una parte e autorità di Governo in Italia e rappresentanti diplomatici italiani in Giappone dall’altra, sfociando in una clamorosa ed imbarazzantissima protesta pubblica della comunità italiana a Yokohama al momento della visita in Giappone del Duca di Genova nel settembre del 1873. Pesa, indubbiamente, sull’atteggiamento dei semai il fatto che Fè abbia diretti legami famigliari con semai professionisti (i Facchi di Brescia) e soprattutto che si porti al seguito il fratello Pietro, anch’egli semaio. Quando Fè ottiene dal Governo giapponese, nell’estate del 1872 ed in via del tutto eccezionale, la tanto sospirata possibilità che alcuni semai compiano dei viaggi nelle zone sericole (sia pure sotto stretto controllo e con molte limita77 Ancor più ostile sarà l’atteggiamento nei confronti del nuovo Console, Bruni, che sostituisce Robecchi - l’unica persona dello staff della rappresentanza ufficiale italiana in Giappone che i semai “sentano” dalla loro parte (Il Sole, 285, 5.12. 1873, cit.). In effetti i rapporti sui semai che manda Bruni dal Giappone al Ministero degli Affari Esteri, sono pieni di imprecisioni e mostrano una chiara mancanza di collaborazione reciproca. 78 Stefano Castagnola (1825-1891), ligure, mazziniano, partecipò ai moti risorgimentali. Ricopriva l’incarico nel Governo Lanza-Sella sin dal 14.1.1869. 79 Riprodotta ne Il Sole, 291, 13.12. 1873. La Circolare viene datata 8 luglio 1873: deve trattarsi di uno 58 Il Diario di Pompeo Mazzocchi INTRODUZIONE zioni), non è forse un caso che i due soli semai che apparentemente ne usufruiscono siano il bresciano Cesare Bresciani e il piemontese Carlo Chiapello, quest’ultimo in stretti rapporti con l’associazione bacologica bresciana di Gaetano Facchi. Nella primavera dell’anno successivo le trattative sul tema si arenano e semai e stampa italiana in blocco accuseranno di nuovo con forza, come avvenuto ai tempi di De La Tour, le nostre autorità di non saper portare avanti gli interessi reali dell’Italia in Giappone. Ma il momento di scontro più aspro, come accennato, si verifica nell’estate del 1873 quando - a semai già partiti per il Giappone - una circolare del Ministro 28. Casa Mazzocchi a Coccaglio. Dettaglio del dell’Agricoltura, In-dustria e Commerprospetto verso il cortile alberato interno. cio, Castagnola78, diretta ai Prefetti, ai Comizi Agrari ed alle Camere di Commercio di tutto il Regno, annuncia la costituzione in Giappone di una grande Società con ingenti capitali ed appoggi pubblici che sta per acquistare oltre metà del totale del seme-bachi giapponese destinato all’esportazione ed il cui rappresentante è venuto in Italia per prendere accordi e accettare sottoscrizioni per una vendita diretta agli allevatori italiani. Il Ministro conclude sollecitando i bachicultori italiani a sottoscrivere e così facendo a non più sottostare “al sistema antico che favoriva unicamente i semai che recavansi in Giappone..”. 79 L’attacco frontale ai semai, esplicito quanto brutale ed inaspettato, giunge in un momento in cui essi sono già in agitazione per la presenza in Italia di una missione bacologica giapponese che appare disporre, nella sua piena libertà di movimenti e di contatti sul territorio italiano, di quelle prerogative di cui invano i semai hanno chiesto per anni di poter usufruire per le regioni sericole interne del Giappone. Il fatto che ad accompagnare questa ed un altra delegazione giapponese in Europa sia proprio Fè d’Ostiani,80 e che assieme ad essa viaggino degli ultimi atti di Castagnola, poiché il Governo era caduto il 25 giugno. 80 Sul tema si veda anche Camporese C., La Missione Iwakura in Italia: gli interessi sericoli scientifici e commerciali (1870-1873), Tesi di Laurea, Corso di Lurea in Lingue e Letterature Orientali, Università Ca’Foscari, Venezia 1997/1998. 81 L’episodio è vivacemente descritto dal Guardiamarina Giacomo Bove giunto in Giappone con un’altra nave militare italiana, la Governolo, nel suo Giornale di viaggio. Bove, che forse non era del tutto al corrente dei motivi della tensione esistente tra i semai e il Governo, attribuisce lo sgarbo alla collocazione politica del grup- Il Diario di Pompeo Mazzocchi 59 INTRODUZIONE proprio i rappresentanti del gruppo privato giapponese cui fa riferimento la Circolare del Ministro Castagnola, non può che far infuriare il mondo dei semai e far pensare loro ad un segreto accordo italo-giapponese per scavalcare definitivamente l’intermediazione dei semai favorendo, insieme, un monopolista in Giappone e qualche singolo grosso commerciante in Europa cui questi si appoggia. In un impeto di unità più unico che raro, una cinquantina di semai italiani in Giappone si rivolgono alla stampa italiana con alcuni sferzanti comunicati - pubblicati con grande evidenza e con deciso sostegno redazionale in primis dall’organo della Camera di Commercio di Milano, Il Sole - nei quali, oltre a duri attacchi al Ministro Stefano Castagnola, con eguale asprezza si allude, pur senza mai nominarlo direttamente, alle debolezze e collusioni con i giapponesi di Fè d’Ostiani. Il punto più alto dello scontro si raggiungerà all’arrivo della nave militare italiana Garibaldi che porta in visita in Giappone un membro di Casa Savoia, Tomaso, Duca di Genova. Le accoglienze del giovane Governo Meiji, che ha allora per l’Italia un occhio di deciso riguardo, sono eccezionalmente fastose, ma vengono guastate dall’astensione in massa dei semai italiani (pressochè l’intera colonia italiana allora in Giappone) che non si presentano la mattina del 1 settembre 1873 ad accogliere l’illustre ospite, ponendo in gravissimo imbarazzo sia le nostre autorità, sia, soprattutto, quelle giapponesi, attentissime come sempre alla forma ed alla sostanza del cerimoniale.81 Tre settimane dopo (con molto ritardo, dunque) la comunita’italiana in Giappone offerse a Tommaso di Savoia un indirizzo di saluto, sottoscritto però solo da pochi.82 Quale la posizione di Pompeo Mazzocchi in questa serie di bracci di ferro tra semai e rappresentanti governativi italiani che caratterizza i primi due lustri della presenza italiana in Giappone? Non vi è alcun cenno in proposito nel Diario e sebbene in esso manchino molte cose di quel lungo periodo passato in Giappone, il fatto che Mazzocchi non citi neanche mai Fè d’Ostiani - che non poteva non conoscere personalmente anche prima di incontrarlo in Giappone - potrebbe far supporre che egli preferisca non riandare su di un momento imbarazzante. Pompeo è comunque tra i firmatari dell’aspro telegramma che i semai inviano a Il Sole appena conosciuto il testo della Circolare Castagnola. Questi inoltre si riuniscono e nominano una Commissione ad hoc che stilerà una lunga relazionepo, definendolo “rosso”, con evidente riferimento al passato filo-garibaldino, o comunque anti-monarchico di tanti. Puddinu P., Un viaggiatore italiano in Giappone nel 1873 - Il “Giornale particolare” di Giacomo Bove, Ieoka editore, Sassari 1998, p. 191 e n. 175. 82 Il periodico locale Japan Mail sottolineò la peculiarità dell’accaduto, Paolo Puddinu, ibid. Le firme sul documento erano una trentina: si consideri che solo i semai a Yokohama erano in quei giorni più di sessanta e che il numero degli italiani in quel momento in Giappone doveva aggirarsi sul centinaio di persone e forse più. 83 I tre bresciani erano: Vincenzo Gattinoni, Cesare Bresciani, Antonio Dusina. 84 Si noti che alla protesta dei semai italiani non si uniscono quelle case commerciali straniere di Yokohama che pure vendevano grosse quantità di cartoni giapponesi in Italia e che sarebbero state in teoria anch’esse forte- 60 Il Diario di Pompeo Mazzocchi INTRODUZIONE denuncia sulle vicissitudini dei semai in Giappone a partire dal 1863 sino allo “schiaffo” di Castagnola dieci anni dopo. Della Commissione, di sette membri, Mazzocchi non fa parte. La sua assenza può non avere alcun significato specifico, anche se è quanto meno curioso che non ne faccia parte uno dei “decani” della comunità - ma forse, essendoci nella Commissione già tre bresciani su sette, si preferì non metterne un altro.83 La firma di Mazzocchi, invece, non appare in calce alla relazione-denuncia successiva. Potrebbe naturalmente trattarsi di una svista tipografica del giornale che la pubblica, ma quella di Mazzocchi non è l’unica firma che, presente al telegramma, manchi poi alla relazione. Va anche notato che né il telegramma, né la relazione portano alcune firme di gran conto: ad esempio quelle di tre dei semai/setaioli residenti permanenti a Yokohama: Aymonin, Bolmida e Comi.84 Così non ci sono pure le firme di un pezzo da novanta come Andreossi, né quelle dei fratelli Dell’Oro, questi ultimi da sempre tenuti un pò al margine dal resto della comunità. Se uniamo a queste coincidenze ambigue il fatto che l’anno successivo, 1874, tanto Mazzocchi che Isidoro Dell’Oro compileranno per la Legazione italiana di Tokyo due distinte relazioni su viaggi compiuti in aree sericole, vien da pensare che Pompeo, pur firmando di slancio il telegramma assieme a tutti gli altri, sull’onda dello sdegno per la Circolare Castagnola, si sia defilato dalla relazione successiva, dove più trasparente era l’attacco alla figura e all’operato di Fè d’Ostiani e della Legazione tutta.85 In ogni caso, i rapporti personali con i Fè d’Ostiani rimasero ottimi: Paolo Fè d’Ostiani, fratello di Alessandro, fu padrino di battesimo, nel 1884, di Camilla Mazzocchi, secondogenita di Pompeo. Collezioni e raccolte L’aver parlato, sia pur brevemente, di Fè d’Ostiani, porta ad esaminare uno dei punti in comune tra le esperienze - così diverse sotto tanti altri aspetti - che i due compiono in Asia orientale: la passione per la raccolta di oggetti artistici. Si parva licet componere magnis, gli oggetti giapponesi e cinesi riuniti nell’attuale Museo della Fondazione Pompeo e Cesare Mazzocchi di Coccaglio, mente penalizzate dalla Circolare. L’unico a firmare il telegramma è A. Falco, impiegato della influentissima Hecht & Lilienthal di Lyon, ma la sua firma, come quella di Mazzocchi, non appare in calce alla Relazione successiva (dove si accenna molto velatamente a case straniere di Yokohama che avrebbero finanziato l’operazione di accaparramento del seme-bachi da parte della ditta giapponese). 85 La Relazione di Pompeo Mazzocchi del 1874 è qui riprodotta in appendice. 86 Su Enrico Cernuschi ed il Museo di arte orientale a lui dedicato a Parigi v. nota 375 del testo del Diario. 87 Le tabelle con i nomi citati sono ancora in loco. Si vedano le illustrazioni 26, 28 e 55. Il Diario di Pompeo Mazzocchi 61 INTRODUZIONE non sfigurano affatto, quantomeno come testimonianza storica e di gusto, di fronte a quanto ebbe a raccogliere o ricevette in dono Fè d’Ostiani nella sua permanenza in Oriente e rappresentano un insieme tra i più rilevanti tra quelli attualmente presenti in Lombardia. In realtà, la collezione di Pompeo Mazzocchi era assai più vasta di quella che oggi è presente a Coccaglio. Una parte cospicua - sulle precise caratteristiche della quale non abbiamo, purtroppo, che testimonianze indirette ed imprecise - venne improvvidamente messa all’asta nelle incerte fasi iniziali di gestione dei lasciti testamentari seguiti alla morte del figlio, Cesare. A leggere infatti le pagine del Diario o ad esaminare le poche foto rimaste delle stanze della villa con i loro arredamenti originali, ci si può fare un’idea di quanto sia andato disperso, inclusi molti oggetti della Turchia e dell’India che Pompeo aveva lasciato ai suoi eredi, ma che oggi non figurano più tra le collezioni del Museo. I pezzi che rimangono non sono tuttavia pochi ed essi testimoniano, ed è questo l’aspetto qui da sottolineare, l’interesse e la curiosità culturale ed intelletuale che svariati semai mostrano per le zone e le popolazioni che essi visitano. Accanto a Mazzocchi vi sono infatti altri semai in Giappone che si fanno attrarre dal mondo dell’arte - abbiamo già detto di Ferdinando Meazza. la cui raccolta di porcellane giapponesi è oggi al Museo Cernuschi86 di Parigi, ma altri come Antongini, Ragnoli, Sacconi, Locatelli, si dedicano al settore, non sempre e non solo per il piacere di raccogliere, ma anche per più concreti interessi commerciali, dato che la “moda” dell’oggettisitca orientale offre un mercato non indifferente ed un complemento agli introiti dall’attività di semaio, specie verso la fine degli anni ’70 quando il mercato del seme-bachi giapponese in Italia si fa sempre più difficile e selettivo. Resta però evidente, dalle lettere di tanti semai che si possono ancora leggere in quotidiani dell’epoca o in raccolte archivistiche, come il Giappone in particolare esercitasse un fascino molto speciale per questi uomini e che se la molla primaria che li muove è l’esigenza vitale di raccogliere il seme-bachi che sostiene la sericoltura italiana assieme ai guadagni che esso porta a chi fa sa fare bene il suo mestiere, non mancano mai momenti di riflessione su costumi, paesaggi, tradizioni, abitudini che mostrano un viaggiare non cieco alla conoscenza, attento e curioso alla diversità. Questo atteggiamento di attento interesse risulta evidente anche dalla Relazione del 1874 del viaggio di Pompeo nelle zone sericole interne del Giappone (qui riprodotta in Appendice), come pure dalle due lettere, del 1870 e del 1879 (anch’esse in Appendice), e dal fatto stesso di aver scelto, in quest’ultima occasione, un itinerario diverso che lo porta a vedere una fetta del Canada, così come anni prima aveva deciso di fare una lunga deviazione, nel suo viaggio 62 Il Diario di Pompeo Mazzocchi INTRODUZIONE di ritorno dal Giappone, attraverso l’India settentrionale. Nel 1870, attraversando gli Stati Uniti per andare a Yokohama, aveva effettuato una diversione su Salt Lake City per vedere di persona come vivevano i famosi Mormoni, incontrandosi con il loro “Profeta”. Infine, l’aver scelto per il proprio ritratto (qui in copertina) il più abile ed il più famoso dei pittori giapponesi di genere “occidentale”, indica sensibilità e gusto, oltre ad essere una sorta di suggello visivo della sua affermazione economica nella comunità d’affari di Yokohama e presso i suoi connazionali in patria - così come farà Yahei Tajima - figura per tanti versi parallela a quella di Pompeo - scegliendo uno dei più affermati ritrattisti italiani per il proprio ritratto durante la sua permanenza d’affari in Italia. A giudicare dal Diario e dal modo in cui è scritto, Pompeo Mazzocchi non è certo un uomo di penna - lui stesso si lagna più volte della pessima istruzione avuta da bambino e negli anni formativi della sua prima adolescenza - ma il suo interesse e la sua curiosità per un mondo altro e lontano, assieme alla volontà di dar corpo, con acquisti ripetuti, a questa passione, non sfigurano affatto di fronte a quanto manifestato da colleghi con una preparazione culturale più raffinata. Senza perdersi nei sogni alla Pierre Loti, i semai sentono fortemente l’attrazione dei mondi estranei in cui vanno ad operare e Mazzocchi, la cui permanenza in Oriente è tra le più lunghe, ne è una delle espressioni più 29. Risshô. Xilografia giapponese (Ukiyo-e) che mostra il Consolato italiano di Yokohama (erroneamente indicato nella scritta di destra come francese, nonostante il tricolore con lo stemma sabaudo). 1869. Cm. 73,6x38. Fondazione Pompeo e Cesare Mazzocchi, Coccaglio, Archivio Storico. 30. Chikanobu. “Visita importante”, particolare. Xilografia giapponese (Ukiyo-e) che illustra l’allevamento dei bachi da seta nella bigattiera del Palazzo Imperiale di Tokyo alla presenza dell’Imperatrice. 1877. Cm. 25,5x37. Fondazione Pompeo e Cesare Mazzocchi, Coccaglio, Archivio Storico. 64 Il Diario di Pompeo Mazzocchi IL GIAPPONE E L’INDUSTRIA SERICA Il Giappone e la sua industria serica all’epoca dei viaggi di Pompeo Mazzocchi. Negli anni in cui Pompeo Mazzocchi visitò il Giappone (1864-1880), il paese asiatico stava attraversando uno dei suoi periodi storici più importanti e rivoluzionari. Nei precedenti due secoli e mezzo, durante lo shogunato Tokugawa (16001868), il paese aveva vissuto in un sistema feudale ed era rimasto quasi totalmente isolato dal resto del mondo. Il fondatore del regime militare, Ieyasu Tokugawa, per paura che l’influenza delle potenze europee e della religione cristiana introdotta dai portoghesi potessero destabilizzare il suo potere, aveva vietato agli stranieri l’accesso al paese, aveva bandito il cristianesimo e perseguitato i cristiani, aveva fortemente limitato il commercio estero concedendolo solo a cinesi, coreani e olandesi ma circoscrivendolo nel porto di Nagasaki e aveva infine vietato ai cittadini giapponesi di recarsi all’estero. Questa politica di chiusura fu ulteriormente intensificata dai successori di Ieyasu. Il paese conobbe dunque un lungo periodo di isolamento, ma anche di relativa pace interna, in cui venne promossa la produzione locale e perfezionato il sistema di commercio tra i diversi dominii feudali (Han) in cui era diviso il territorio. A partire dai primi dell’Ottocento, diverse potenze occidentali tentarono di abbattere il muro di isolamento e di avviare relazioni commerciali con il Giappone, spinte dalla necessità di porti in cui sostare e rifornirsi di carbone (abbondante in Giappone) durante i viaggi nel Pacifico occidentale, ma anche dalla speranza di nuove opportunità di commercio. I primi a tentare, invano furono i russi, seguiti dagli inglesi e dai francesi, ma gli unici ad avere successo furono infine gli Stati Uniti che, nel 1853, approfittando di un periodo di crisi interna del regime Tokugawa, lo costrinsero con la forza ad aprire al commercio estero negli anni sucessivi alcuni porti, tra i quali Nagasaki e Hakodate, cui si aggiunse il nuovo scalo di Yokohama. In seguito, il governo Tokugawa fu spinto a stipulare degli accordi commerciali con quasi tutte le maggiori potenze europee e a concedere agli stranieri la residenza nei porti aperti al commercio. Il nuovo porto di Yokohama divenne il centro delle attività commerciali con l’estero, che aumentarono in maniera considerevole. Ci fu il boom delle importazioni di lana, cotone, metalli e prodotti siderurgici, mentre iniziò una massiccia esportazione di seme-bachi, seta greggia, carbone e tè. Le esportazioni erano particolarmente incoraggiate dalla svalutazione del sistema monetario giapponese, basato sull’argento, rispetto a quello occiden- Il Diario di Pompeo Mazzocchi 65 IL GIAPPONE E L’INDUSTRIA SERICA tale basato sull’oro, ma anche da alcune clausole contenute nei trattati commerciali imposti al Giappone dalle potenze occidentali, in particolare quella che dava loro il diritto di imporre le tariffe e che valse ai trattati l’appellativo di “ineguali”. In vista di affari più che promettenti, i mercanti occidentali accorsero numerosi. I più attivi nel commercio con il Giappone furono all’inizio gli inglesi, forti del già consolidato predominio commerciale nell’Asia meridionale e in Cina. Gli inglesi costituivano da soli il 50% dei residenti stranieri nei porti giapponesi e contavano il 40% delle società occidentali impegnate nel commercio con il Giappone. Seguivano numericamente gli americani, i francesi e i tedeschi, mentre un buon numero di italiani era impegnato quasi esclusivamente nell’acquisto del seme-bachi. Tra le varie clausole contenute nei suddetti trattati commerciali, ve ne era una, imposta dal governo giapponese, la quale stabiliva che le società occidentali dovessero rimanere entro un raggio di 40 chilometri intorno ai porti aperti al commercio e che gli stranieri non dovessero oltrepassare questo limite tentando di recarsi all’interno del paese. In questo modo il governo evitava un’eccessiva intrusione degli occidentali e manteneva un certo controllo sul commercio. Solo dopo il 1868, quando il regime Tokugawa fu sostituito dal governo Meiji, vennero concessi ai diplomatici stranieri degli speciali lasciapassare per recarsi nelle regioni interne. Prima di allora era impossibile per i mercanti occidentali visitare ad esempio i centri sericoli giapponesi e trattare direttamente con i produttori. Il commercio era, tranne nei casi in cui i contrabbandieri giapponesi riuscivano a raggiungere i mercanti occidentali senza essere scoperti, interamente controllato dal governo. Nel caso della seta greggia (come più tardi del seme-bachi), il governo aveva dato l’incarico in esclusiva ad alcuni grossisti giapponesi di Yokohama di raccogliere ed esaminare le matasse provenienti da tutto il paese e di trattare il prezzo e le condizioni di vendita con i mercanti occidentali. Grazie ad un capillare sistema di trasporti perfezionato durante il lungo periodo di chiusura del paese, il confluire della merce a Yokohama si svolgeva in modo veloce ed efficiente. Un tale sistema di controllo, però, non piaceva nè ai produttori giapponesi, che dovevano sottostare alle decisioni dei grossisti, nè tantomeno ai mercanti occidentali, che non riuscivano ad imporre più di tanto i loro prezzi. Il contrabbando era l’unica alternativa possibile e in qualche caso il governo giapponese dovette chiudere un’occhio, visto le ingenti somme di denaro che venivano riversate nel paese dagli occidentali. Comunque, sia per il risentimento che il regime Tokugawa nutriva verso gli occidentali a causa dei trattati “ineguali”, sia per il timore che con la scusa 66 Il Diario di Pompeo Mazzocchi IL GIAPPONE E L’INDUSTRIA SERICA del commercio questi potessero immischiarsi in questioni di politica interna, gli stranieri non erano del tutto ben accetti in Giappone. Non di rado succedevano incidenti tra ufficiali governativi con tendenze xenofobe e visitatori stranieri che non avevano usato la dovuta prudenza. Intanto, all’interno dello stesso shogunato, si intensificavano gli scontri tra chi era a favore dell’apertura del paese e chi continuava a sostenere il sistema feudale Tokugawa. Nel 1868 alcuni dei più potenti Han si allearono, restaurarono il potere dell’imperatore e dichiararono ribelle lo shogun Tokugawa. Nacque così il governo Meiji, con capitale Tokyo, fondato non più su un capo militare ma sulla figura dell’imperatore e guidato da un gruppo di uomini illuminati che si erano formati al governo dei loro principati di provenienza. Il loro principale obiettivo fu quello di consolidare il paese in uno stato unito e moderno, dotato di un esercito forte e che, nel rispetto dei trattati firmati con le potenze occidentali, conservasse la propria indipendenza politica ed economica. Per far questo, era necessaria prima di tutto una rapida industrializzazione, cercando di utilizzare al meglio le risorse interne. Tra queste, i prodotti serici erano sicuramente tra i più richiesti sul mercato internazionale. L’epidemia della pebrina, che aveva distrutto gli allevamenti dei bachi in Europa e nel Medio Oriente e minacciato di estinzione l’industria serica europea, aveva fatto la fortuna del Giappone che, quasi unico paese ormai rimasto a produrre seme-bachi sano e bozzoli di qualità ed in grado di organizzare velocemente una rete per l’esportazione (a differenza, per esempio, della Cina), si era visto affollare di mercanti europei già a partire dai primi anni Sessanta dell’Ottocento. Il nuovo governo volle incoraggiare in tutti i modi la produzione di bozzoli e di seta greggia ed avviò un processo di meccanizzazione delle filande, su modello di quelle italiane e francesi, con la volontà di raggiungere lo standard qualitativo europeo con tecniche di trattura più moderne rispetto a quelle rudimentali usate fino a quel momento. Inviò dei tecnici giapponesi in Europa e ne invitò di europei in Giappone, investendo grandi capitali ed energie nell’impresa e chiedendo l’impegno e il sacrificio di bachicoltori e filandaie. Allo stesso tempo, l’atteggiamento del governo Meiji verso i mercanti occidentali si fece più aperto, dal momento in cui fu chiaro che il denaro da loro riversato al paese attraverso l’acquisto dei prodotti serici era indispensabile per portare avanti il processo di modernizzazione e industrializzazione della nazione. Vennero finalmente concessi dei permessi agli stranieri per visitare le zone più interne del paese. Nel 1869 il primo ambasciatore italiano, il conte Sallier De La Tour, ottenne l’autorizzazione di visitare i centri sericoli delle regioni Il Diario di Pompeo Mazzocchi 67 IL GIAPPONE E L’INDUSTRIA SERICA a nord di Tokyo, portando con sè alcuni semai italiani, tra cui Pietro Savio e Ferdinando Meazza. Era la prima volta che degli stranieri godevano di un tale privilegio. La zona che visitarono era compresa tra le attuali prefetture di Nagano, Gunma e Saitama, che erano allora all’avanguardia sia nella produzione di bozzoli che di seta greggia. Essi poterono vedere bigattiere e gelseti, ma non prendere contatti diretti con i produttori come avevano sperato: la scorta giapponese che li accompagnava li teneva sotto stretta sorveglianza. Questa, a grandi linee, la situazione che Pompeo Mazzocchi trovava in Giappone all’epoca dei suoi viaggi. Purtroppo nei suoi diari egli ci lascia una descrizione dettagliata solo di quelli fatti nel 1864 e 65, mentre accenna solo brevemente al fatto di essersi recato in Giappone ogni anno anche dal 1868 al 1880. Poichè si riferisce ai viaggi fatti prima che avvenisse la restaurazione Meiji, egli nomina le sole zone in cui all’epoca era concesso agli stranieri di sostare: Hakodate, nell’isola di Hokkaido (all’epoca chiamata Ezo, da cui il nome “Yesso” citato nel suo diario), Nagasaki e Yokohama. Non parla invece delle aree sericole dell’interno, che deve aver visitato nei viaggi successivi. Esiste infatti un documento - qui pubblicato nell’Appendice - datato Yokohama, 22 Settembre 1874, in cui il Mazzocchi fa una relazione alla legazione italiana a Tokyo e scrive di aver ricevuto un permesso per recarsi nelle provincie a nord di Tokyo, nelle zone in cui si coltivavano i bachi. Egli nomina Koriyama e Yanagawa, attualmente nella prefettura di Fukushima, Yonesawa, nella prefettura di Yamagata, Shimonita, Arato e Shimamura, ora nella prefettura di Gunma: un viaggio molto lungo e sicuramente abbastanza faticoso per quell’epoca. Tra i villaggi visitati dal Mazzocchi, quello di Shimamura era sicuramente uno dei più attivi nella produzione di seme-bachi. Possiamo immaginare che tra le bigattiere da lui visitate vi fossero anche quelle della famiglia Tajima, una tra le maggiori produttrici della zona. Uno dei membri della famiglia, Yahei, era diventato famoso in tutto il Giappone per aver messo a punto e diffuso, attraverso un manuale, un innovativo metodo di allevamento dei bachi, basato sulla corretta aerazione delle bigattiere. Egli applicò per primo il metodo alla sua bigattiera, probabilmente la stessa di cui parla il Mazzocchi nella sua relazione. Ci sembra degno di nota il fatto che Yahei Tajima e Pompeo Mazzocchi si siano incontrati in seguito in Italia. Tra il 1879 e il 1883, Yahei Tajima e gli altri bachicoltori della sua famiglia e del villaggio si organizzarono in una cooperativa e decisero di andare a vendere il loro seme-bachi direttamente in Italia. La decisione nacque dal fatto che in Giappone l’esportazione comin- 68 Il Diario di Pompeo Mazzocchi IL GIAPPONE E L’INDUSTRIA SERICA ciava a non rendere più e molti dei cartoni di seme-bachi arrivati a Yokohama venivano bruciati per sostenerne il prezzo. Infatti in Europa, grazie al metodo di prevenzione della pebrina studiato da Luis Pasteur, si stava riprendendo la produzione dei bachi delle antiche razze europee e non c’era quindi più tanto bisogno del seme giapponese. I produttori di Shimamura, informati del fatto che in Europa il loro seme-bachi continuava comunque a vendersi a prezzi straordinariamente più alti che in Giappone e non volendo più sottostare alle condizioni dei grossisti di Yokohama, decisero di tentare la coraggiosa impresa. Aprirono un emporio a Milano e da lì presero contatti con numerosi sericoltori, molti dei quali già incontrati in Giappone. Con alcuni di loro stabilirono rapporti di amicizia ed andarono a visitarne le case e i luoghi di produzione. Tra gli altri, fecero visita anche ai Mazzocchi a Coccaglio, dove, raccontano nei loro diari, furono accolti da una gran folla di gente e bevvero del vino in compagnia del padre di Pompeo. Le vendite del seme-bachi andarono per loro molto bene nei primi due anni, ma poi cominciarono a calare e alla fine i Tajima decisero di interrompere l’esportazione. Dall’Italia riportarono diversi oggetti, come alcuni fucili acquistati a Brescia o articoli di uso quotidiano curiosi ai loro occhi. Sembra persino che uno dei Tajima avesse fatto costruire intorno alla sua casa una veranda simile a quella del giardino dei Mazzocchi visto a Coccaglio. Tra le altre cose, essi portarono in patria anche alcuni microscopi, tra i primi ad essere usati nella loro zona, con i quali poterono esaminare le farfalle dei bachi ed eliminare quelle malate, secondo il metodo di Pasteur appreso a Milano, evitando così che la pebrina si diffondesse eccessivamente. Essi vollero diffondere la tecnica in tutta la regione rinforzando così la tradizione degli studi di bachicoltura originati a Shimamura. Le scoperte che in questo campo si facevano in tutto il Giappone, rese possibili anche dai continui sforzi del governo Meiji per potenziare l’industria serica ed adeguarla agli standard occidentali, diedero luogo a notevoli miglioramenti sia nella qualità che nella quantità di filo di seta prodotto. Nel frattempo, visto il calo di interesse da parte del mercato europeo, il Giappone si rivolse sopratutto a quello statunitense, dove una giovane industria di tessitura della seta andava crescendo e necessitava di sempre maggiori quantità di materia prima. Il Giappone seppe sfruttare al massimo l’opportunità e a partire dagli anni Novanta dell’Ottocento divenne il principale fornitore di seta greggia per gli Stati Uniti e, in seguito, il maggiore esportatore di seta greggia del mondo. Francesca Travaglini Il Diario di Pompeo Mazzocchi 69 Il Diario di Pompeo Mazzocchi NOTE PRELIMINARI SUL TESTO Pompeo Mazzocchi iniziò a scrivere le sue memorie il due novembre del 1887, dedicandole ai suoi figli. La stesura delle memorie venne spesso interrotta, anche per periodi molto lunghi, con numerose riprese, l’ultima delle quali risale al quattordici ottobre 1905, dieci anni prima della sua morte. Svariati anni dopo la morte di Pompeo, nel 1935, sua nuora, Eva Dea, moglie del figlio Cesare, ne fece fare una copia dattiloscritta, rilegandola in forma di quaderno, e la donò al marito. Il nuovo testo venne sicuramente confrontato con l’originale, come testimoniano le numerose correzioni ed integrazioni apportate a matita. Del manoscritto originale, presumibilmente un quaderno, si sono tuttavia perse le tracce ed è possibile che esso sia stato distrutto una volta verificata la corrispondenza tra questo e il nuovo testo. La presente edizione delle memorie - per la quale si è deciso di mantenere il termine “Diario” da tempo entrato nell’uso corrente - si basa pertanto sul testo del quaderno dattiloscritto, conservato presso la Fondazione Pompeo e Cesare Mazzocchi, così come su questo testo si era basata Caterina Saldi Barisani per comporre il volume sulla vita ed i viaggi di Pompeo Mazzocchi apparso alcuni anni or sono e nel quale sono presenti numerosi brani ripresi dal dattiloscritto in questione.1 Le condizioni di forma e di leggibilità del testo dattiloscritto Nonostante gli interventi posteriori (tutti a matita) dei famigliari, volti a correggere o a integrare ciò che la ricopiatura dattiloscritta aveva riportato erroneamente o aveva omesso, una lettura accurata dello stesso evidenzia il permanere di un numero elevato di errori materiali di trascrizione, di sviste - specie per quel che riguarda nomi di persone o di luoghi, in particolare se stranieri - di palesi omissioni e di errori di punteggiatura, assieme ad interpretazioni discutibili delle parole originali o persino, sia pure in casi limitati, a stravolgimenti del senso di quelle che si può ragionevolmente intuire fossero le frasi originali di Pompeo. Anche le spaziature ed i capoversi risultano spesso del tutto arbitrari. In secondo luogo, lo stile, a volte estremamente discorsivo e sintetico, con cui Pompeo “buttava giù” i suoi ricordi, con poco riguardo alla coerenza sintattica della frase, ai tempi dei verbi, all’uso dei pronomi, se rendono assai spontaneo e vivace lo scritto, ostacolano gravemente una lettura fluida del testo. 1 Saldi Barisani, C., Pompeo Mazzocchi. La vita e i viaggi, cit. Il Diario di Pompeo Mazzocchi 73 NOTE PRELIMINARI SUL TESTO L’ostacolo è reso maggiore, per un lettore attuale di media cultura, dall’uso ottocentesco della punteggiatura, delle maiuscole, dei capoversi, ma soprattutto da forme verbali non più correnti (del genere: “andava” per “(io) andavo”). Allo stesso modo sono di ostacolo le frequenti abbreviazioni - all’iniziale puntata - dei nomi propri e, soprattutto, l’eccessiva sinteticità di certe frasi - più un flash di pensiero, un appunto indicativo, che un’espressione compiuta. Le modifiche apportate Per quanto concerne le correzioni o le integrazioni a matita riscontrabili sul dattiloscritto e riconducibili all’opera del figlio Cesare o della nuora Eva - verosimilmente basate su di un confronto fatto allora con il manoscritto originale - esse sono state riportate nella presente edizione come se fossero parte integrante del dattiloscritto, debitamente segnalando, o con nota o con artifici grafici, solo quelle di maggiore estensione o di particolare rilevanza. Per le altre omissioni, errori, sviste, ecc., sopracitati, riconducibili ad un difetto palese di ricopiatura dal manoscritto al dattiloscritto non corretto dagli eredi, la scelta redazionale è stata quella di ripristinare, ove possibile, il testo all’originale presumibile, segnalando i casi più rilevanti vuoi con artifici grafici, vuoi con apposite note. Interventi analoghi, ma sempre leggeri, sono stati fatti nei confronti dello stile di scrittura di Pompeo, sia per quel che riguarda l’uso ottocentesco della punteggiatura, sia per quanto riguarda l’uso di forme verbali, di termini e di espressioni obsolete. Similmente si è agito per capoversi, maiuscole e forme abbreviate. In molti casi, inoltre, di fronte ad un’eccessiva sinteticità delle espressioni o delle frasi usate da Pompeo, si è provveduto a renderne più chiaro il senso introducendo, in parentesi quadra, termini esplicativi. L’insieme di tutti questi interventi aveva come obiettivo fondamentale lasciando intatto il senso originale dello scritto ed il più inalterata possibile la forma espressiva - di rendere più scorrevole e più gradevole la lettura dell’affascinante Diario di Pompeo Mazzocchi. Tuttavia per permettere a chi ne sentisse il bisogno di accedere al testo del dattiloscritto come esso si presenta di fatto, la redazione, d’accordo con la Fondazione Mazzocchi, ha deciso di mettere a disposizione del pubblico il quaderno dattiloscritto riprodotto integralmente e nella sua forma grafica originaria presso il sito WEB della Fondazione (www.rsamazzocchi.it). 74 Il Diario di Pompeo Mazzocchi NOTE PRELIMINARI SUL TESTO Avvertenze al lettore - Le date in cui Pompeo inizia o riprende a scrivere le sue memorie sono state evidenziate in neretto e poste sempre a capoverso. - La numerazione originale dei fogli del dattiloscritto è stata riportata all’interno del corpo del testo che viene ora pubblicato, nella forma di un numero progressivo tra due barrette inclinate, inserito tra la parola che chiude il foglio del dattiloscritto e quella che la apre, ad es. : …/9/… - Le note a piè di pagina sono di tre tipi: quelle proprie di Pompeo Mazzocchi (o apposte dagli eredi), quelle redazionali (NdR), quelle specialistiche del curatore (CZ). Per i riferimenti, nelle note, a nomi o espressioni presenti nel Diario si è sempre usata la forma “vedi foglio / / del testo dattiloscritto” utilizzando la numerazione originale dei fogli del dattiloscritto. - Le parentesi quadre rappresentano sempre delle integrazioni redazionali volte a rendere più fluido e/o più comprensibile il testo. Il Comitato di Redazione Antonio Fappani, Cesare Massetti, Claudio Zanier Il Diario di Pompeo Mazzocchi 75 31. Copertina della copia dattiloscritta del Diario di Pompeo Mazzocchi. Cm. 15x22,5. Fondazione Pompeo e Cesare Mazzocchi, Coccaglio, Archivio Storico. 32. Riproduzione dei fogli 158 e 159 della copia dattiloscritta del Diario di Pompeo Mazzocchi, con correzioni e integrazioni a matita, probabilmente del figlio Cesare. Fondazione Pompeo e Cesare Mazzocchi, Coccaglio, Archivio Storico. Pel tuo compleanno 15 luglio 1935 Caro Cesare, spero il dono che t’offro sarà da te apprezzato per la ricerca non facile di rintracciare questi ricordi a te cari e che desideravi. La superata difficoltà ti provi ciò che l’affetto sa fare e tu serbami un pensiero colle memorie di tuo padre. Affettuosamente, Eva (Dedica autografa di Eva Dea al marito Cesare Mazzocchi) Il Diario di Pompeo Mazzocchi 77 33. Eva Dea, moglie di Cesare Mazzocchi, ripresa in casa Mazzocchi a Coccaglio verso il 1935. Fondazione Pompeo e Cesare Mazzocchi, Coccaglio, Archivio Storico. 78 Il Diario di Pompeo Mazzocchi /1/ 1 Martedì, 2 novembre 1887 Ai miei figli carissimi. Oggi è la commemorazione dei nostri poveri defunti. È un giorno di malinconia: anch’io scrivo queste parole per voi, quando non sarò più. Non ho mai trovato il momento di scrivere; comincio adesso, perché non vorrei aspettare troppo e non essere più in tempo. Per la mia grave età (sono nato il 9 luglio 1829), sarà facilissimo che vi lasci ancor giovani, senza, o con poca esperienza. Vostra madre ancora è giovine; voi siete sicuri che le mie memorie, anche se malamente scritte, sono vere e che i miei consigli partono dal mio cuore, sincerissimi. Ho la convinzione che vi troverete sempre contenti se mi darete ascolto. Di difetti ne abbiamo tutti; andate d’accordo fra di voi, vogliatevi bene. Dio vi è, lo vedete nell’infinito ordine. Temetelo, ubbidite sempre a vostra madre, che sofferse molte fatiche per voi e ricordatevi sempre di me. /2/ Cenni sulla mia vita Gli oggetti di curiosità giapponesi, dell’India, della Turchia, dell’America, che avete in casa vi ricordano i miei lunghi viaggi2 e sarete curiosi di sapere qualche cosa da me stesso. Ancora, sarete curiosi di sapere come ho messo insieme la fortuna che vi ho lasciato: così, mi sono deciso di scrivere la mia vita, e spero vi sarà anche di qualche istruzione. Vostra madre vi può raccontare poche cose, avendola sposata dopo i miei viaggi;3 essa potrà dirvi il tempo che abbiamo passato insieme, l’affetto immenso che ho avuto per lei, per voi, le varie vicende degli ultimi miei anni, anche quello che ora non posso scrivere: la fine dei miei giorni. Incomincio. /3/ Da un negoziante di anticaglie acquistai una cartapecora(1)4recante la data 3 maggio 1645 dove si conferiva la cittadinanza di Brescia ai nostri vecchi Giovanni Giacomo, il reverendo don Gabriele, Pietro Maria e Gaudenzio. Acquistai pure un diploma del nostro antenato Domenico: la sua laurea di dottore in medicina, che conseguì a Padova nel 1618. Queste cartepecore le troverete tra le mie carte. 1 Pompeo Mazzocchi. Nato 8-7-1829 morto 7-4-1915 Legava all’……la sua (ricchezza) beni affinchè (perché) la vecchiaia priva di aiuti terminasse il suo cammino serenamente. [notazione a matita. Forse di Cesare Mazzocchi alla pagina bianca che precede l’inizio del testo (NdR)] 2 Una parte degli oggetti Giapponesi e Cinesi raccolti da Pompeo Mazzocchi sono ora nel Museo gestito dalla Fondazione, ma molti altri oggetti, in particolare quelli turchi, indiani e americani, sono stati a suo tempo venduti (NdR) 3 Vittoria Almici (1861-1933), sposata nel luglio del 1881, poco dopo il rientro di Pompeo dall’ultimo viaggio in Giappone (NdR). 4 (1) Questa cartapecora è sparita nel mese di S[ettem]bre 1903, annotazione fatta nel 1904. La sera è stata trovata. Nota di Pompeo Mazzocchi. La pergamena in questione è presente nell’Archivio Storico della Fondazione Mazzocchi (NdR). Il Diario di Pompeo Mazzocchi 79 Prima di quest’epoca non so nulla, ma dalla tradizione pare che la nostra famiglia si trovasse già a Coccaglio subito dopo il Mille, e forse anche prima, originaria del Napoletano, dove esistono altre famiglie di egual nome.∗ Quello che è importantatissimo, come razza, è che in tutto il tempo di cui si è conservata memoria, nessuno dei nostri /4/ antenati ebbe a sfigurare, commettendo azioni riprovevoli e tutti furono sempre nominati per galantuomini. Mio padre,5 che col prossimo 11 di ottobre 1887 compirà felicemente gli 85 anni, si ricorda che suo nonno - dello stesso nome, Andrea - era dottore in medicina e aveva due sorelle, Grazia e Ginevra e per fratello un prete, Don Ippolito. Questo prete è benemerito alla nostra famiglia, perchè ne aumentò la sostanza e fu un bravissimo 34. Lasciapassare per recarsi da Istanbul a Edirne rilasciato dalle autorità amministratore. Andrea6 ebbe per moglie una Vicari di Valcaottomane nel 1861 a Violantina Mazzocchi, sorella di Pompeo. Cm. 16x32. monica (altre due sorelle Vicari si maritarono nelle Fondazione Pompeo e Cesare Mazzoccase Lana e Damioli7) e i loro figli furono: Gauchi, Coccaglio, Archivio Storico. denzio, Gabriele, Giovanni, Domenico, Marta, Cecilia e Marina. Domenico sposò una certa Viola di Cologne8 ed ebbe per figli Giovanni Antonio, che sposò la Angelina dei Conti di Caleppio e Giulia, che sposò Saracineschi, nobile di Antegnate9. Giovanni fu mio nonno (padre di mio padre) che sposò una nobile Armanni di Chiari /5/ - Vico Violante. Mio padre era figlio unico. La famiglia dei nobili Armanni di Chiari è una delle più cospicue di Chiari. Il padre di mia nonna Violante si chiamava Carlo. Ebbe due fratelli, Basilio e Pompeo, ambedue preti, l’ultimo assai istruito. Per sorelle, mia nonna ebbe Maddalena, che sposò Pellegrini di Brescia e Giulia che sposò l’avvocato Quartari ∗ Una ricerca condotta da Natale Partegiani all’Archivio di Stato di Milano (Fondo Religione) ha individuato una pergamena del 1160 in cui si riferisce di proprietà terriere in Coccaglio di alcuni “Mazoc” (termine corrispondente alla lettura dialettale del cognome Mazzocchi) assieme ad altri documenti dei secc. XIV-XVI in cui si attesta la presenza di persone con cognome “Mazochis” o “de Maxochis” (NdR). 5 Andrea Mazzocchi (1802-1892) (NdR). 6 Si riferisce al bisnonno, non al padre (NdR). 7 Vi sono riferimenti sia al Conte Lana, sia ad un Damioli più oltre nel testo, ma non è noto se vi fosse un legame di parentela con i Lana e i Damioli qui citati (NdR) 8 Cologne, piccolo centro a 3 km a Est di Coccaglio (NdR). 9 Antegnate, in provincia di Bergamo, a metà strada tra Chiari a Caravaggio (NdR). 80 Il Diario di Pompeo Mazzocchi di Brescia10. Ho già detto che Carlo era il padre di mia nonna. Ebbe per moglie una Belloni di Brescia. Gaudenzio e Gabriele vissero celibi. Gabriele fu medico assai rinomato,11 fece parte del Governo Provvisorio nel 178912 e fu anche presidente del Comitato d’Istruzione. Fu uno dei primi dell’Ateneo di Brescia e guadagnava oltre 10.000 lire all’anno, somma assai ragguardevole per quei tempi, che corrisponde a 30.000 lire nostre /6/ e tutto dava ai poveri. Vecchio e mezzo infermo, diverse volte nello stesso giorno si recava al letto dei poveri più bisognosi. In tutto, dal comune aveva 500 lire (delle nostre lire italiane). Le famiglie ricche che lo cercavano e che facevano debiti per avere i suoi consulti, erano quelle che gli davano utile. Morì in concetti di santo ed al cimitero mi ricordo che erano attaccate al suo monumento delle stampelle, come se facesse miracoli. In casa nostra noi non abbiamo il suo ritratto(2)13 che pure si trova in tante case ed allora non si faceva che agli uomini più illustri, perché nel suo testamento gratificò più l’altro ramo [della famiglia], cioè Giovanni Antonio, figlio di Domenico, e si dimenticò, cioè [non] lasciò [una] parte a suo fratello Giovanni e a suo nipote, che è mio padre. Strano a dirsi, gratificò il nipote Giovanni Antonio perché, secondo lui, ne aveva bisogno, in quanto prodigo, mentre non ne lasciò a mio /7/ padre, perché riteneva che potesse bastargli il suo, essendo mio padre abile ed economico. Forse vi sarà entrata un pò d’ambizione nel lasciare tutto ad un ramo, perché restasse la famiglia ricca. L’ambizione, invece, è la rovina delle famiglie; l’ingiustizia distrugge, non edifica, è un cattivo esempio, una rovina. L’erede Giovanni Antonio in poco tempo, circa vent’anni a mia memoria, distrusse la sua sostanza, che ammontava a circa 300.000 lire italiane e forse più, gozzovigliando fra falsi amici. Ora continuo in quel che riguarda la famiglia della mia nonna, la madre di mio padre. Come dissi, mia nonna si chiamava Violante Armanni, di Chiari. Ebbe per sorella Aurelia, zia di mio padre e mia prozia, che ho conosciuto nella mia gioventù e specialmente nei tre anni in cui fui a scuola a Chiari (1837, 1838, 1839). Questa donna, veramente nobile, religiosa, di talento, somigliava assai /8/ a mio padre, nei gesti, nella faccia, in tutto: difficilmente si possono trovare due tipi così uguali. 10 Quartari, importante famiglia di avvocati e notai, originaria di Breno, in Val Camonica (NdR). 11 Gabriele Mazzocchi (1760-1835), fratello del nonno di Pompeo, Giovanni. Sulla figura di Gabriele Mazzocchi si vedano le pagine a lui dedicate nel volume, citato, di Caterina Saldi Barisani (NdR). 12 Pompeo intende il Governo Provvisorio di Brescia che si costituì nel 1797 all’arrivo dei francesi, confondendo questa data con quella dell’inizio della Rivoluzione Francese (NdR). 13 “Ora vi è, 1887” Nota di Pompeo Mazzocchi (NdR). 14 Con questa espressione o con quella più concisa di “seme-bachi” ci si riferiva in Italia alle uova del baco da seta (Bombyx Mori), deposte dalla farfalla del baco verso giugno e conservate con cura sino al loro schiu- Il Diario di Pompeo Mazzocchi 81 Anche oltre gli ottanta anni teneva molti bachi. Vendeva la semente dei bachi14 e guadagnava bene. Essa aveva delle massime che [ancora] mi ricordo: “essere attivo, e occuparsi dei propri affari per essere utili a se stessi e agli altri”. “ Non bisogna badare troppo se dicono male dei propri dipendenti quando, in fine all’anno, vi è un buon profitto”. Una volta - mi ricordo - rimproverò il suo domestico Dionigi perché contrattava troppo, come dire, tirava troppo il prezzo nell’acquisto di un po’di zolfanelli e gli disse: “Facevate meglio il vostro dovere, che togliere qualche centesimo di guadagno ad un povero”. La zia conservò la sua sostanza; era usufruttuaria, vedova di un certo Molossi, ma il reddito lo dava ai poveri. Diceva: “Se avessi parenti proprio poveri, farei /9/ economia per loro; invece, faccio così e lascerò al parente che ne ha di meno”. Suoi parenti più prossimi erano mio padre e Vincenzo Pellegrini di Brescia. Pellegrini aveva solo tre figlie, Aurelia, Giulietta e Pierina ed era ricco per la sua sostanza e più ancora per quella della moglie. Per questo, la zia Aurelia lasciò a mio padre la sua sostanza che ammontò a oltre 20.000 lire. Per questo, il nome di Aurelia deve essere per noi benemerito, sia per le buone qualità di nostra zia ed ancora perché non poteva fare di più; perciò, avendovi lasciata tutta la sua sostanza, desidero che si riproduca questo nome di mia zia o prozia. La sostanza di mia prozia capitò a mio padre in un momento di gran bisogno: fu come la manna agli ebrei, la pioggia in un fondo arido e la nostra gratitudine deve essere eterna. Mi ricordo che l’iscrizione sulla /10/ sua tomba al cimitero di Chiari è stata scritta dal prof. Zambelli di Brescia (2)15. Ritorno ai figli dei dottor Andrea nostro antenato. Gaudenzio visse celibe, fu buon galantuomo e agricoltore. Marta sposò Bortolo Tonelli di Coccaglio e fu madre di Andrea, che fu 10 anni a Spilberg con Pellico,16 e di Lucia, di Anì e di Camilla, che sposò Rampinelli di Travagliato17. Cecilia e Marina rimasero nubili, e finirono col dimento nel mese di aprile o inizi di maggio dell’anno successivo. Ogni farfalla deponeva da duecento a quattrocento uova. Circa 35000-45000 uova delle razze di baco italiane componevano la misura standard di 1 oncia pari a 25-30 grammi (il peso variava a seconda degli usi locali). L’oncia veniva considerata l’unità base di allevamento per una famiglia contadina. Il seme-bachi di allevamenti rinomati si vendeva con discreto profitto anche prima della epidemia della “pebrina” (CZ). 15 (2) per il vandalismo che regna nei cimiteri la lapide è sparita [nota integralmente aggiunta a matita] (NdR). 16 Andrea Tonelli (1794-1859), condannato a morte per le cospirazioni del 1820 ebbe la pena convertita in carcere duro da espiare nella prigione dello Spielberg (Pompeo scrive “Spilberg”), in Boemia, ove era rinchiuso anche Silvio Pellico, assieme al quale venne amnistiato nel 1830. Dal Diario (fogli 83 e 86 del dattiloscritto) si ricava come anche Tonelli dedicasse una parte dei suoi capitali al commercio del semebachi estero anche tramite un suo incaricato, Paolo Scarpetta, che fu in alcune occasioni compagno di viaggio nei Balcani di Pompeo Mazzocchi (CZ). 82 Il Diario di Pompeo Mazzocchi 35. Due pagine di un quadernetto con i timbri personali dei membri di un’associazione di produttori di seme-bachi di Akita (Giappone settentrionale). Ogni cartone portava il timbro identificativo del suo produttore. Pagina: cm. 18x28. Fondazione Pompeo e Cesare Mazzocchi, Coccaglio, Archivio Storico. lasciare la loro sostanza, come [fece] il prozio Gabriele, al nipote Giovanni Antonio (padre di Ippolito ecc.). Mio nonno Giovanni nel 1815 uscì dalla casa natia Mazzocchi, ora di Giovanni Tonelli (in via Roma, ora degli Almici18) con sua moglie Violante e suo figlio (mio padre Andrea) e acquistarono ed abitarono la casa nella quale io sono nato con i miei fratelli. La casa venne acquistata all’asta per circa 8.000 svanziche.19 La svanzica valeva 0,80 lire italiane. /11/ Era una casa rustica, piccola, che a poco a poco, con gravissima spesa, venne portata nello stato in cui si trova adesso. Nel 1840 mio padre fece la fabbrica20 nuova. 17 Località poco a Ovest di Brescia (NdR). 18 Notazione aggiunta a matita al bordo pagina (NdR). 19 La lira austriaca era divisa in 20 (in tedesco: zwanzig) soldi, da cui il termine “svanziche” ad indicare quelle lire, ed è così che qui lo usa Pompeo. Per molto tempo, dopo la fine della dominazione austriaca, si continuò ad usare la parola “svanziche” come sostituto colloquiale di “lire” o anche, più genericamente, di “denaro”. Èormai termine obsoleto (NdR). 20 Fabbrica si usava allora nel senso di “edificio”. Qui indica il corpo nuovo aggiunto alla vecchia casa (NdR). 21 Il termine non è stato identificato, ma è probabile si tratti della denominazione di quel terreno agricolo. Molti campi e appezzamenti, specie se con colture di pregio, avevano, nella tradizione locale, una propria denominazione: un uso che ancora in parte sopravvive (NdR). Il Diario di Pompeo Mazzocchi 83 Mio padre e mio nonno, di loro sostanza, ebbero le cosiddette “Tangati”21, vigne di dieci piò22, il fienile che ora è di proprietà Salvi – circa 8 piò della cinta - e 3 piò di ortaglia vicino alla casa Lazzaroni a Rovato.23 Dopo acquistarono una vigna a Cologne di piò 25, per 11.000 lire milanesi. Una lira italiana valeva una lira e mezza milanese. Nel 1821 la vendettero, ricavando 36.000 lire milanesi, colle quali comprarono l’attuale possessione di Torbole24 di piò 105. Dico questo per far vedere che mio padre e mio nonno, in tutto, nel 1815, potevano avere 30.000 lire italiane, corrispondenti a 45.000 lire milanesi. Mio padre a 22 anni sposò mia madre Giulia Domenichini [Domenighini]25, di 17 anni, di Travagliato./12/ Il nonno per parte di madre si chiamava Bortolo, la nonna Maria Guarneri. La nonna, quando sposò il nonno Bortolo Domenichini [Domenighini], era vedova di un certo Falsina, dal quale aveva avuto un figlio, nostro zio “storto,” di nome Carlo (1)26. Per questo i Falsina di Travagliato sono nostri cugini. Il nonno (per parte di mia madre), [Bortolo Domenighini], proveniva da Bergamo (i Valli di Bergamo sono nostri parenti) e migliorò assai la sua posizione. Era un bell’uomo, fu sindaco (allora si chiamava Deputato Politico) di Travagliato forse per 40 anni. Ebbe anche un figlio di nome Vincenzo che sposò Ottavia Cetti di Berlingo27 e sono sue figlie, e nostre cugine, la Giulia moglie di Rodolfi e la Maria, moglie di Ferrazzi. Il nonno visse 84 anni. /13/ La nonna era la più buona donna che si possa immaginare e somigliava assai a mia madre. Di questi nonni abbiamo i ritratti. Mia madre ebbe in dote circa 20.000 svanziche, delle quali io feci l’acquisto con 42.000 lire italiane28. Dopo quattro anni di matrimonio a mio padre venne a mancare suo padre. Io mi ricordo confusamente di mio nonno e dello zio Gabriele. Il nonno era alto di statura, robustoe portava la parrucca negli ultimi suoi anni, come allora si usava. Era un galantuomo vero, un buon temperamento, fatto alla buona. Era anche istruito, occupò a Chiari il posto di Cancelliere Distrettuale per otto anni. Era stimato da tutti. Non fu trovato uno che abbia detto di lui la più piccola cosa contraria. A Chiari viveva con mio padre, che aveva circa 10 anni e con sua moglie /14/ Violante Armanni (morta l’11-1-182529). Mio padre si ricorda ancora che 22 Unità di superficie agraria pari, a Brescia, a ca. 0,325 Ha, ma con varianti locali (NdR). 23 Il primo paese dopo Coccaglio sulla strada per Brescia (NdR). 24 Torbole, a 5 km da Brescia sulla strada statale per Orzinuovi, oggi Torbole Casaglia (NdR). 25 Giulia Domenighini (1807-1880) (NdR). 26 (1) Vedi a fogli la biografia dello zio Carlo. Nota di Pompeo Mazzocchi (che rimanda al f. 17) (NdR). 27 Borgo rurale poco a ovest di Travagliato (NdR). 28 La frase non è chiara, ma forse vuol significare che Pompeo acquistò l’insieme dei beni dotali della madre, dando a lei in cambio un vitalizio corrispondente all’interesse su di una somma di 42.000 lire (NdR). 29 Aggiunta a matita sul bordo del foglio (NdR). 84 Il Diario di Pompeo Mazzocchi vivevano, malgrado ristretti, assai bene e che erano assai contenti dell’utile che avevano ricavato da un fornello, [ossia] bacinella per filare la seta.30 Da una bacinella, le portarono fino a tre: allora credevano di avere toccato il colmo della speculazione e della fortuna e fecero degli avanzi che fornirono loro i mezzi per acquistare, come dissi, i fondi di Cologne. Parlando del padre di mio padre, del nonno, non ometto un episodio che sentii varie volte da mio padre, dove si vede il carattere suo fatto alla buona, […]31 e invece il più di proprietà che amava sua moglie Violante.32 Il nonno fu anche militare alla sua epoca e mi ricordo di aver avuto in mano l’ala del suo bonetto,33 dove erano scritte in oro le parole - libertà, uguaglianza, fraternità (1)34. Egli non raccontava grandi fatti d’arme, diceva che avrebbero avuto /15/ facilità a conoscere dove lui era [stato] accampato coi suoi commilitoni seguendo le tracce delle penne di gallina. In quel tempo si presentò in casa Armanni per sposare, come sposò, la Violante (ed ad essa gli piaceva)35 perché, malgrado [fosse] fatto alla buona, aveva sempre i guanti - “come è pulito, però, sempre coi guanti!” Dopo sposati [gli] domandò perché non conservasse la pulizia bella dei guanti. Allora [il nonno le] spiegò che sempre aveva avuto il riguardo di portare i guanti essendo che nel servizio militare aveva contratto la scabbia, che appariva fra le dita e credette conveniente, anche per non comunicarla, di tenerla coperta. Ancora un’altra. Diverse famiglie qui del paese di Coccaglio, [tra cui] gli Almici, erano raccolti la sera in bella conversazione attorno al fuoco e tutti raccontavano la bella posizione che avevano i loro avi quando erano venuti in Paese. /16/. Domandarono [al nonno] se lui sapeva qualche cosa dei suoi. “I nostri, so che erano brave persone e oneste, ma siccome la tradizione dice che venivano da Napoli, facilmente saranno stati perolotti36, ramai, perché qui sono quasi tutti napoletani quelli che fanno tale professione”. Una volta, parlando di parrucche e dei capelli più o meno belli, si tolse la parrucca che fece girare, allegramente, sul bastone, prima di riporsela. Ma questo causò come uno scandalo. 30 Nel sistema di trattura della seta “a fuoco diretto”, prima dell’introduzione sistematica dell’uso del vapore, l’acqua nella bacinella (ove si immergevano i bozzoli per dipanarne il filo) veniva scaldata con un sottostante fornello, alimentato a legna. Moltissime famiglie rurali - ma anche parecchie in area urbana - avevano in casa propria o negli annessi contigui una o due “bacinelle”, ovvero “fornelli”, per trarre (Mazzocchi usa il termine filare) la seta dai bozzoli di propria produzione o acquistati. (CZ). 31 Vi è un’apparente omissione di copiatura nel dattiloscritto (NdR). 32 La frase originale nel dattiloscritto non risulta comprensibile (NdR). 33 Dal francese “bonnet”, berretto (NdR). 34 (1) (Il bonetto, la spada non c(i sono) più). Nota di Pompeo Mazzocchi. La parentesi interna è una correzione a matita (NdR). 35 (ed ad essa gli piaceva), aggiunta a matita (NdR). Il Diario di Pompeo Mazzocchi 85 Con mio padre, impiantò poi i gelsi a Torbole, che per quei tempi fu una vista felicissima, [poichè] non vi era l’uso di mettere nei fondi tanti gelsi. Nella cosiddetta Breda37 Lunga erano i più belli, che davano fino a pesi 18 per pianta.38 Un nipote degenere, mi spiace a dirlo, dello stesso nome di mio fratello Giovanni, li fece estirpare per tenerne altri piccoli che si trovavano in mezzo. /17/ In questo scritto dico sempre la verità. Gli elogi sono veri, e non 36. Carta dei dominii inglesi in India appartenuta a Pompeo perché uno è parente; i Mazzocchi. Circa 1860. Cm. 37,5x46. Fondazione Pompeo e Cesare biasimi sono veri, qualunMazzocchi, Coccaglio, Archivio Storico. que sia [la persona cui si riferiscono]. Così i consigli sono sinceri, altrimenti mancherebbe lo scopo di questo scritto [e qualsiasi] altro libro avrebbe più pregio. Mio padre amò veramente il suo di amore immenso. L’amore di mio padre si estese pure, cieco, sopra suo figlio Giovanni, mio fratello, solo perché aveva il nome di Giovanni. Mio padre amò pure sua madre immensamente. Quando si ricorda dei suoi genitori, ne è sempre commosso, malgrado i lunghi anni passati. Mio nonno, da giovane, giocava anche al pallone a Rovato, dove occorre forza e destrezza.39 36 Fabbricanti di pentole di rame (NdR). 37 Dialettale per “podere” (NdR). 38 “peso”: antica misura per prodotti delle zone rurali, comune (anche sotto denominazioni diverse) in molte parti d’Italia e all’estero e di entità variabile a seconda delle località (e della natura dei prodotti). Nel Bresciano e nel Bergamasco era pari a ca. 8, 128 kg. (NdR). 39 Probabilmente si riferisce al gioco (detto “toscano”) del pallone (di cuoio) a mano, o più precisamente a braccio, con un bracciale rinforzato, con tre giocatori per parte e dei guardacampo esterni per i falli. Era diffuso nel bresciano sicuramente almeno dal ‘500. Varianti del gioco vi erano in varie parti d’Italia ed in altri paesi del Mediterraneo. Esisteva anche una forma di gioco del pallone “calciato” (NdR). 86 Il Diario di Pompeo Mazzocchi Ora dirò qualche cosa dello zio Carlo [Falsina] di Travagliato che omisi [nel precedente] foglio40. Era un bravissimo uomo, attivissimo, galantuomo, un uomo di stampo antico, ma che poteva essere di modello in tutto. Fu /18/ per 40 anni forse fabbricere,41 e anche lui fu sindaco. Era assai stimato, e malgrado la sua numerosissima famiglia, faceva del bene a tutti quelli che gli si raccomandavano. Mio nonno, padre di mio padre, prima che mio padre sposasse mia madre, gli cedette il negozio di pizzicagnolo, che dava un reddito vistosissimo e che [lui, il nonno] aveva avuto sposando Maria Guarneri, vedova Falsina. Nel negozio [ci stava] lo zio Carlo Falsina. Con la dote di sua moglie Domenica [lo zio Carlo] potette allevare la sua famiglia, lasciando ai suoi figli, oltre al negozio, un patrimonio di circa 100.000 lire e un nome onoratissimo. Fra questi figli ereditò le virtù paterne il figlio Antonio, che [pur] erede di poca sostanza [a causa delle] tante divisioni [successorie], seppe allevare onoratamente undici figli, ora viventi. Fu uomo esemplare, come marito e [come] padre di famiglia, e assai istruito per gli studi che fece. /19/ Se avrete bisogno di consigli, farete molta attenzione a quanto vi dirà questo nostro cugino Antonio. Come avviene a questo mondo, che vi è bene e male. L’attività sconfinata dello zio Carlo fu, si può dire, nociva ai suoi figli, i quali - a parte Antonio - per essere stati lasciati dallo zio troppo giovani, non si svilupparono come forse avrebbero fatto se, invece di far tutto[lui], lo zio avesse spinto a pensare a fare anche i figli, malgrado giovini. Lo zio Carlo era assai amico di sua sorella per parte di madre, che fu mia madre.42 Fece sempre il possibile per esserci utile ed è una delle persone delle quali, con me, conserverete sempre buona memoria. Questo nostro zio Carlo Falsina fu [anche] amministratore della sostanza che lasciò lo zio Vincenzo [Domenighini]43, alle figlie minorenni: Giulia, che sposò Rodolfi e Maria, che sposò Ferrazzi. /20/ Questa sostanza l’amministrò assai bene e l’aumentò di molto. Procurò sempre il bene delle nipoti, Giulia e Maria, ed ebbe per compenso che la Maria Ferrazzi affittò ad altri la sua casa invece di affittarla al figlio [di zio Carlo Falsina], Antonio. Insomma, le nipoti fecero poco o nulla per i figli dello zio Carlo. Bisogna [però] fare il proprio dovere sempre, qualunque cosa succeda, non mai per averne attribuzione [riconoscenza], anzi alcune volte si hanno ingrati[tudini] e fastidi. La soddisfazione di aver fatto il proprio dovere è il maggiore compenso. 40 Il richiamo è al foglio 4 del dattiloscritto (NdR). 4 “fabbricere”, in senso generale, indica l’incaricato di sovrintendere ai lavori di un ente pubblico (in particolare a quelli edilizi e a tutte le relative questioni economiche) (NdR). 42 Giulia Domenighini, sorellastra di Carlo Falsina (NdR). Il Diario di Pompeo Mazzocchi 87 Meglio essere nel numero di quelli che soffersero ingratitudini, che nel numero infame degli ingrati. Mi ricordo che mi raccontava lo zio Carlo, che da giovine era passato da Coccaglio a cavallo d’un asino per un suo viaggio, [diretto] a Bergamo. Così erano allora i mezzi più rapidi di comunicazione. /21/ Il solo fratello per parte di padre e madre che ebbe mia madre, Vincenzo, non si occupò che della caccia. Suo padre faceva tutto lui. [Vincenzo] sposò la zia Ottavia Cetti. Come dissi, ebbe due figlie: Giulia e Maria. Alla sua morte non voleva dar nulla alla moglie, ma mia madre lo consigliò a lasciarle 30.000 lire di Milano (20.000 lire italiane), come fece, e così con questa dote [la zia Ottavia] poté vivere bene, e si rimaritò sposando il dottor Boschetti. Questa zia Ottavia, malgrado il beneficio avuto da mia madre, ci fu sempre contraria, ostile – col marito dissipò la dote – e finì miseramente, anche maltrattata dal marito, dottor Boschetti, marito degno di lei. Lo zio Vincenzo accusava il nonno di [essere] troppo economico, ristretto, ma dopo esser diventato erede, fu assai più ristretto [di lui]. Il nonno viveva bene ed era assai superiore in tutto a suo figlio. Avendo in questo scritto messo alcune /22/ volte dopo, ciò che doveva essere messo prima, riassumo. Riguardo alla genealogia Mazzocchi: Il medico dottor Andrea ebbe per figli Gaudenzio, Gabriele, Giovanni, Domenico, Marta, Cecilia e Marina. Domenico generò Giovanni Antonio e Giulia. Giovanni generò Andrea mio padre. Giovanni Antonio ereditò quasi tutta la sostanza Mazzocchi per circa 300.000 lire, avendo egli conseguito anche altra eredità per parte di una sorella di sua madre. Dissipò poi questa sostanza, come dissi, a mio ricordo, con falsi amici che lo adularono e per voler mostrare di essere ricco, con cavalli, legni,44 pranzi. Era galantuomo onestissimo e si fidava di troppi e fu ingannato a suo danno in diversi contratti. Faceva in casa pranzi sontuosi e teneva buonissima cucina, ma lui mangiava poco /23/ e niente. Preferiva i vini, i cibi, della vicina osteria e albergo detto Dionigi, che allora vi era di fronte alla sua casa. Era anche buonissimo patriota e buono, ma di una bonarietà che senza saperlo rovinò la fortuna della sua famiglia. 43 Fratello della madre di Pompeo, Giulia Domenighini. Carlo Falsina era fratellastro di Vincenzo (NdR). 44 Legni, ossia carrozze. Una buona ed elegante carrozza poteva costare allora come una macchina di gran lusso oggi (NdR). 45 Una Giuditta Bertoglio Caleppio sottoscrisse nel 1863 alla Società per l’importazione di seme-bachi dal Giappone costituita da Enrico Andreossi (su cui vedi testo e n. 18 nella Introduzione), così come aveva 88 Il Diario di Pompeo Mazzocchi Quando i creditori l’assalirono per essere pagati – e la prima fu sua sorella Giulia, maritata Saracineschi - [solo] allora si accorse che il passivo [dei suoi debiti] uguagliava quasi l’attivo [delle sue sostanze]. La sua signora, Angelina dei Conti Caleppio,45 giovine senza esperienza, non sapeva nulla dei suoi debiti, ma l’aveva avvisato caldamente che le spese a lei sembravano soverchie; lui non l’ascoltava e poi ignorava lui stesso lo stato della sua sostanza. Vendette abbastanza bene i suoi 37. Camilla Mazzocchi, figlia di Pompeo, nella casa fondi e pagò tutti fino al centesimo paterna in parte arredata con oggetti orientali. Inizii e gli avanzarono nette circa 40.000 del ‘900. Per gentile concessione degli eredi. lire con la casa. /24/ É stato per me un esempio di come sono i falsi amici e di quanto giova dare il proprio agli altri. Appena i suoi affari andarono male, quella casa, [prima] così frequentata, rimase deserta, come se avessero avuto la peste. Quelli che per 15 anni circa, bevettero il miglior vino e [gustarono] i più squisiti pranzi, non ebbero il cuore di regalare un fiasco di vino vecchio buono per uno dei figli [di Giovanni Antonio], Gaudenzio, che poi morì.46 Il povero Giovanni Antonio vide in che posizione avea messo la famiglia, si mise colla massima economia e poi morì del male di una rosipola,47 ma anche di passione. Giovanni Antonio Mazzocchi lasciò i figli Catina (Caterina), Gabriele, Domenico, Ippolito, Rosina e Marietta, [ora] defunta. Caterina sposò il signor Andrea Caleppio, fratello di sua madre.48 Rosina sposò Bortolo Almici.49 Gli Almici della famiglia del signor Bortolo - vari fratelli che /25/ erano sempre in casa del signor Giovanni Antonio e sempre bevevano e molte volte sedevano alla sua mensa (che prima era di tutti) - dopo che [le cose] andarono male, disertarono la casa. Essi soli avrebbero potuto, essendo più che economici, avari, fatto anche Andrea Mazzocchi, padre di Pompeo (CZ). 46 Gaudenzio non viene indicato nella lista dei figli di Giovanni Antonio che viene fatta poche righe più avanti, forse perché già defunto (NdR). 47 “risipola”, termine popolare per l’eresipela, una grave malattia della pelle, allora difficilmente curabile (NdR). 48 Il matrimonio è indicato, nei registri parrocchiali di Coccaglio, alla data del 30 maggio 1861. Curiosamente, non vi è menzione della Dispensa relativa ad un matrimonio tra stretti consanguinei (NdR). 49 Bortolo Almici morì nel 1900, a 81 anni (NdR). 50 Si riferisce evidentemente a Vittoria Almici (figlia del fu Mario Almici), che Pompeo aveva sposato nel Il Diario di Pompeo Mazzocchi 89 e bravissimi amministratori della propria roba, mettere sulla diritta via il loro amico Giovanni Antonio. Fortuna volle che la sostanza grande, ingente, di questi Almici, caduta nelle mani del sudetto Bortolo, verrà un giorno a conservarsi ed essere amministrata da una Mazzocchi.50 Così quella famiglia Almici fu una delle cause della rovina della famiglia di Giovanni Antonio e una erede Mazzocchi è causa della conservazione della famiglia Almici, ma ne godrà anche la sostanza. I figli di Giovanni Antonio, che non [si] trovarono [con] una sostan38. Cesare (in piedi) e Tito Mazzocchi nel cortile di za [ereditata] - [cosa] che alle volte casa a Coccaglio. Inizii del ‘900. Per gentile conces- rende molli, trascurati, e peggio - si sione degli eredi. diedero a vita sobria ed attiva e ora vivono comodamente e tranquilli colla loro madre, che delle /26/ antiche ricchezze non ricorda che i dispiaceri e i disinganni. Così, a sue spese, molte volte le famiglie si ritemprano. Fortunati voi se vi approfitterete della esperienza degli altri, senza farne per vostro conto! Farete bene, carissimi figli, e carissima consorte, a fare attenzione ai consigli dei fratelli Gabriele e Ippolito, [figli di Giovanni Antonio]. Credo che saranno guidati da onestà ed esperienza. Non vi inganneranno. Mi ricordo di una volta che il povero Giovanni Antonio usciva di casa dopo un lauto pranzo. Accanto aveva uno di quelli che lui chiamava “i miei amici” e dietro lo seguivano tre o quattro altri. Fra quelli che lo seguivano ed erano stati a pranzo da lui, vi era un certo Signoroni, il quale, plaudenti gli altri due compagni, se ne infischiava, come si dice, cacciando, con atto indecente, il pollice della sua mano nell’altra chiusa, con atti che mostravano il loro sprezzo in pagamento del /27/ pranzo. Voglio ammettere che il Signoroni avrà avuto la testa calda dal vino, così come gli altri, ma nel vino “veritas”. Si vede la gratitudine che si acquista e [anche] il credito alla fine, dando del proprio a dei mangioni. Mio padre, che non era mai, o assai poche volte, andato in casa del povero Giovanni Antonio nel tempo che [questi] sprecava la sua fortuna, fu il solo che vi andò dopo e la nostra era la sola casa dove veniva a distrarsi, o a passare il tempo, il signor Giovanni Antonio. Se la fortuna, [ossia la] sostanza della famiglia fosse stata divisa egualmente, dando a ciascuno quanto gli apparteneva, senza idee di 90 Il Diario di Pompeo Mazzocchi ambizione di far uno più ricco dell’altro, vi sarebbe stata amicizia, unione, fra mio padre e il signor Giovanni Antonio, e mio padre, che aveva capacità e sapeva come vanno le cose, avrebbe messo facilmente sulla buona strada suo nipote. Così la casa [natale dei] Mazzocchi, [passata] per eredità /28/ accumulata nel figlio di Giovanni Antonio e che doveva essere la casa, che per la lunga facciata e [per la sua] posizione figurava come la prima [delle case dei Mazzocchi], venne prima fatta a lembi e poi messa in vendita dai nipoti, costrettivi per loro convenienza. Ora ne sono proprietari, come dissi, Giovanni Tonelli, Inselvini, Conci e altri. Ho lasciato mio padre che aveva l’età di circa 15 anni a Chiari, dopo venne messo in Collegio a Desenzano, dove si distinse assai, come studioso, sobrio e docile. Mio padre non continuò gli studi: essendo figlio unico, suo padre lo richiamò dopo due anni a casa e con lui attese all’agricoltura e impiantò lo stabile di Torbole, acquistato nel 1821 e i filari di gelsi. Allora, andando a Torbole, passava da Travagliato, dove conobbe mia madre. Il nonno, il padre di mia madre, aveva, come dissi, ceduto il negozio di pizzicagnolo a Carlo /29/ Falsina. Mio padre entrava in negozio a far le spese. La prima volta che entrò in negozio, acquistò dell’olio d’oliva per la tavola, [ma] prima volle assaggiarlo con un cucchiaio. Questa sottigliezza sorprese mio zio Carlo, che passò nella attigua casa del nonno, domandando il cucchiaio, e disse: “Capitò un signore, nuovo avventore del negozio: deve essere assai sottile, pettegolo, vuole assaggiare l’olio prima di farne acquisto”. Mia madre che sentì, curiosa, lo volle vedere. Dopo, mio padre venne in relazione con lei. Mia madre allora non credeva che dovesse divenire suo sposo. Mio padre aveva 22 anni, mia madre 17. Fra le carte di mio padre, pochi anni or sono, trovai due lettere che aveva scritto a mia madre; ho pure un libro51 di mia madre che scrisse quando era nel convento di Alzano.52 /30/ Un certo canonico di qui, detto Pontoglio, buon galantuomo e un mezzo originale, tutt’altro capace di scrivere che poesia, scrisse un sonetto, per amicizia, per le nozze di mio padre. Mio padre, che è assai istruito, aggradì assai la buona intenzione dell’autore. Mi ricordo questo canonico, che portava un cappello dalla grandezza di oltre cm. 80. Aveva una faccia tonda di bonarietà che faceva piacere a vederlo; questi caratteri distinti ora scompaiono. A proposito di questo canonico, racconterò l’origine del canonicato qui a Coccaglio, come sentii da mio padre. Mio padre da piccolo serviva sempre Messa, e un prete, certo…53 dava un’ostia a chi lo 1881 (NdR). 51 Intende probabilmente un libro di note o di appunti (NdR). 52 Alzano Lombardo, in Val Seriana, a poca distanza da Bergamo (NdR). 53 Il nome manca (NdR). Il Diario di Pompeo Mazzocchi 91 chiamava canonico. Tutti i ragazzi per avere l’ostia lo chiamavano “signor canonico” e così, a poco a poco, anche gli altri accontentarono il canonico e si stabilì il canonicato /31/. Ora, chi omettesse questo titolo, che venne poi riconosciuto anche dalle autorità ecclesiastiche, commetterebbe atto poco cortese.54 Mio padre prese in moglie l’anno 1824 Giulia Domenighini e dopo ebbe Violantina, Gabriele, Pompeo e Aurelia, tutti e quattro a 18 mesi di differenza. Dopo 8 anni ebbe Nina e Giovanni, anch’essi a 18 mesi di differenza. Mia madre, come è avvenuto a vostra madre, non poté avere la compiacenza, malgrado il desiderio, di allattarci e tutti siamo stati a balia. Adesso che scrivo ci siamo tutti e sei e le cure di mia madre, per me e per tutti furono indefesse: attenta, amorevole, instancabile, economica. Mia madre Giulia Domenighini, fu Bortolo di Travagliato, ereditò la perfetta salute di suo padre Bortolo, che visse fino a 83 anni e sembrava dal portamento che ne avesse 60. Così sua /32/ madre, Maria Guarneri, era sanissima. Èstata grande fortuna per noi che tutti godiamo buona salute, dono impareggiabile. Mio padre fu assai fortunato, sia per i mezzi che aveva mia madre (non aveva che il fratello Vincenzo), sia per la salute e più ancora per la bontà e attività, e contribuì grandemente a migliorare la fortuna della famiglia. Tutti quelli che vedevano i miei genitori avrebbero dato più lunga vita, dall’aspetto florido, a mia madre, invece, per fatalità e spinta anche da vari dispiaceri, morì dopo un mese solo di letto, causa di un colpo - apoplessia - che al momento non poteva muovere metà del corpo. Morì il 29 maggio 1880 alle ore12. Essendo venutami in mente mia madre, ne risento profondissimo dolore. Continuo: ero in ginocchio davanti al tuo /33/ letto con un cero acceso, quando tu spiravi. Vi erano anche i miei fratelli e l’arciprete, che ti confortava. Sono momenti che lacerano il cuore in modo che pare impossibile si abbia a sopravvivere. Riposa in pace. Il Signore, che è giusto, ti avrà glorificata, dopo tante fatiche e pensieri per i tuoi figli. Tu hai sempre fatto il tuo dovere. Riposa in Pace. Ricordati di noi, di me, che non è lontano il giorno che verrò a riposarti accanto. Così è la fine di tutti. Beati quelli che operarono bene come te e lasciano di sé buona e santa memoria! Dammi la tua benedizione e alla mia famiglia, dall’alto dei Cieli. Non è il luogo questo così solenne e sacro di aggiungere cosa avvenne dopo la morte di mia madre; ne scriverò quando sarà il suo luogo, più avanti. Mio padre prese moglie cosi giovine /34/; era solo con suo padre, sua madre era mancata nel…55. Andava mio padre a Torbole per vigilare sui suoi fondi; per strada fu colpito da malinconia e dal presentimento che sua madre stesse male, fosse a mal partito. Ritornò a casa e difatti la trovò gravemente ammalata e morì poco dopo. Mio padre dalla passione cadde ammalato: fu forse l’unica malattia 54 Il Canonicato venne in realtà istituito con Bolla pontificia nel 1507 (NdR). 92 Il Diario di Pompeo Mazzocchi che sofferse. Allora mancavano le scuole in paese. Il maestro, che era Tomaso Dotti, aveva circa L.200 all’anno, ed era uno solo per tutte le classi. In tempo di scuole, alle volte il maestro si occupava a fare le gabbie per gli uccelli. Mio padre allora, credendo di far meglio, con gravi sacrifici per i suoi mezzi mi collocò, nel 1835, con mio fratello Gabriele, in un collegio a Brescia detto /35/ Bertacagni. Avevo 6 anni. Nello stesso collegio vi erano due della famiglia Nespoli, Carlo e Stefano. Là soffersi la fame, ed ero pieno di pidocchi, sulla testa e nei vestiti. Mi ricordo che raccontai a mia madre che ero pieno di calore e che non potevo dormire. Mi guardò e trovò che ero invece tormentato dai pidocchi. Quando veniva a trovarmi mia madre piangevo, dirottamente piangevo. Anch’essa (1).56 39. Camilla Mazzocchi Nel 1836 capitò il colera, che fece morire circa il (seduta) e la sorella Adele. 5% della popolazione.57 Allora mio padre mi tolse con Inizii del ‘900. Per gentile concessione degli eredi. Gabriele dal collegio; subito dopo, il direttore, fallito, fuggiva all’estero e si chiuse il collegio. Mio padre allora, con Gabriele, mi mise in locanda dalle signore Caravaggi a Chiari, dove passai ben 3 anni. Erano chiamate le ragazze Caravaggi, malgrado avessero circa 70 anni. /36/ Queste signore facevano circa 2000 once di seme bachi,58 e mi ricordo benissimo che mi dicevano: “Lavora, impara, aiutami: quando sarai grande, chissà che tu stesso [non] farai lo stesso mestiere”. Così avvenne. I maestri valevano assai poco. Si crede che a quel tempo non erano sorvegliati 5 Manca l’anno (NdR). 56 (1) Mi ricordo nel Collegio Bertacagni di aver messo la mia scarpina sul poggiuolo il giorno di S. Lucia, la mattina la trovai, piangendo[,] piena di neve. Nota di Pompeo Mazzocchi (NdR). 57 Si tratta del cosidetto Colera asiatico, gravissimo morbo intestinale, endemico dell’India gangetica e da questa più volte penetrato in varie regioni asiatiche nel corso dei secoli, ma mai, sino ad allora, in Europa. L’estendersi degli scambi e le drastiche riduzioni imposte alle barriere sanitarie dopo la fine delle guerre napoleoniche dagli interessi commerciali europei, insofferenti del minuziosi controlli e dalle lunghe attese (quarantene) per merci e persone imposti tradizionalmente ai confini degli stati e nei porti, facilitarono enormemente l’espandersi internazionale delle epidemie nell’Ottocento. L’epidemia di colera iniziata in India nel 1826 potè così raggiungere la Russia europea nel 1830 e passare in seguito in Germania ed in Inghilterra (1832), arrivando contemporaneamente in Egitto e nei paesi europei del Mediterraneo. In Italia perdurò sino al 1837-38, causando molte decine di migliaia di vittime. Solo alla fine del secolo, dopo gli studi di Koch, fu possibile iniziare a lavorare su di un apposito vaccino (CZ). 58 Vedi nota al foglio 6 del dattiloscritto. Il quantitativo di 2000 once di seme-bachi - se la trascrizione è esatta - è decisamente rilevante e implicherebbe degli allevamenti molto cospicui. Non era comunque inusuale che delle donne esercitassero in forma imprenditoriale attività di allevamento del baco da seta. (CZ). 59 “Botte sulle mani”, come si spiega nell’aggiunta a matita del foglio 41 del dattiloscritto(NdR). Il Diario di Pompeo Mazzocchi 93 e nessuno ci badava; per piccole colpe, un errore in un conto o in un altro, davano delle sardelle59. Il Maestro accanto al banco aveva una raccolta di lunghe bacchette: le lunghe servivano per batterci sui nostri banchi, le corte per batterci il palmo delle mani. Ogni battuta era una sardella. Che gridi, che lacrime! Il maestro era impassibile; sa[peva] di fare il proprio dovere. Il maestro detto Sbarbaro, si gloriava di non fare differenze, e batteva suo figlio Tito, un bellissimo giovinetto, più degli altri. Sui pavimenti sporchi facevano fare delle lunghe croci /37/ colla lingua; mettevano anche in ginocchio per delle ore, alle volte colle mani sotto il ginocchio. Fortunati voi, che siete nati in tempi per questo migliori! Il maestro detto di religione, che doveva avere un po’di religione, insegnava il catechismo, e a chi non sapeva ben recitare a mente la sua lezione come un pappagallo gli dava botte da orbi. Mi ricordo che andai prima di scuola in Chiesa per pregare la Provvidenza che mi desse coraggio e memoria di dir bene la mia lezione di Catechismo, per schivare le sardelle e peggio. I maestri, oltre ad essere ignoranti, erano anche rozzi, maleducati, e peggio. Il maestro Cazzani, che faceva la seconda elementare, per variare sulla grammatica, dove vi erano i verbi amare temere, sentire, ci faceva ad alta voce recitare i verbi cagare, pisciare, ecc. con grande soddisfazione sua e della sua /38/ degnissima scolaresca. Sempre mi ricorderò con piacere di queste signore Caravaggi, ci volevano un gran bene, erano buonissime e religiose. La sera ci facevano dire il rosario che, mi ricordo, recitavo in ginocchio mezzo sonnolento. Dopo, vi erano molti Paternostro al tal Santo e al tal altro; la preghiera è un sollievo dell’anima, ma quando è lunghissima, finisce di elevare l’anima e la rende infastidita e piena di noia. Mi ricordo che feci una malattia dolorosa alla vescica – detta calcoli – una delle peggiori; grazie alla Provvidenza dopo stetti sempre bene. Ottenuta la mia guarigione, per gratitudine e devozione mi condussero alla Madonna del Sasso e mi ricordo che pregai molto in ginocchio sopra il sasso, oggetto del mio pellegrinaggio. Era un grosso sasso nero. 60 /39/ Una volta, con mio fratello Gabriele, trovammo chiusa la porta della casa della locanda. Entrammo nella casa apresso e da quella nel cortile della locanda, discendendo così da una meda di stelle 61 che poggiava contro il muro. Le 60 La parola “sasso”, evidentemente omessa nella ricopiatura, è aggiunta a matita. Quanto al Santuario, si tratta certamente della Chiesa della Madonna del Sasso di Cortenuova (Bg), situata ad una dozzina di km da Coccaglio, poco oltre Chiari, nota sin dal ‘300 e dove si venerava una grossa pietra sopra la quale sarebbe stata seduta la Madonna in un’apparizione ai contadini della zona. Da quanto afferma Pompeo, appare evidente che il culto popolare avesse esteso la devozione ad una protezione del “Sasso” alla affezione dei calcoli renali (detta comunemente “mal della pietra” o “mal del sasso”) (NdR). 61 “meda de stele”, dialettale per catasta di legna (come anche in parte aggiunto tra parentesi a matita al dattiloscritto: mucchio di legna) (NdR). 62 Dialettale per monelli, discoli (NdR). 94 Il Diario di Pompeo Mazzocchi 40. Carta della Moldavia e della Valacchia (nell’attuale Romania), appartenuta a Pompeo Mazzocchi. Circa 1860. Cm. 46x38. Fondazione Pompeo e Cesare Mazzocchi, Coccaglio, Archivio Storico. sorelle Caravaggi seppero di questa nostra scalata; quando esse entrarono in casa e ci cercarono per casa ci trovarono tutti e due nascosti dietro un antiporta. La signora Teresa gridava: “Dove sareste andati, bardasse,62 se foste caduti?” L’altra ripeteva: “All’Inferno! All’Inferno!” Avevo battuto un certo Minelli; il padre di Minelli lo disse al mio. Poi, per altre baruffe, finì mio padre, dopo tre anni (dal ‘37 al ’39), per cambiarci di sito. Credette di toccare il cielo colle dita e di fare assai il nostro bene col metterci in collegio a Desenzano. /40/ Mio padre era stato nel collegio di Desenzano in tempi buoni, ma col rettore Deder ora invecchiato e rimbambito, quel collegio, [che era stato] prospero con bravi maestri e con l’ordine, era in sfacelo quando vi entrai nel 1840 col mio fratello Gabriele. Il rettore, vent’anni prima era capace; ora, come dissi, era rimbambito dall’età. I maestri erano pizzicagnoli del paese e gli altri tutti preti del paese. In questo infamissimo collegio passai tre anni: feci la prima, la seconda e la terza latina, Il Diario di Pompeo Mazzocchi 95 dai 10 ai 12 anni. Gabriele ebbe più buon senso di me e fece tanto il diavolo che dopo la seconda latina mio padre lo ritirò dal collegio. I maestri non insegnavano nulla, facevano imparare a memoria le lezioni. Quando arrivammo agli esami di un rettore straordinario, allora il buon maestro ad ognuno gli indicava [prima] la domanda che /41/ avrebbe avuto. Così andava all’esame: una specie di quella storia “Qui es tu Joames Battistas quis queris ordinis minoris - scherzi è un pa(o)cchettino - rime piacevoli due lombarde”.63 Nei miei esami sono stato fortunato: ho potuto rispondere benissimo, come un pappagallo, alla domanda concertata. Dopo 3 anni, di latino non sapevo nulla; di storia, solamente quella di casa d’Austria. Anche in questo collegio avevo i pidocchi e, più di quelli, le cimici. Ne ammazzai fino a 80 in una mattina. Si pigliavano nelle stuoie messe espressamente a capo del letto, come le reti per uccellare. Qui per castigo non davano sardelle (botte sulle mani),64 [ma] facevano fare delle croci, e castigavano col chiudere in un camerino in ginocchio. Mi ricordo che una volta fui chiuso in un camerino un giorno e mezzo; mi par di sentire ancora la voce del rettore in refettorio: “Un giorno e mezzo di camerino a Pompeo Mazzocchi per aver dato /42/ un manrovescio a suo cugino Saracineschi.65 A suo cugino! A suo cugino!” Questo Saracineschi mio cugino aveva detto che io avevo fatto la spia e per questo lo percossi in tal modo e ne aveva il segno. Le povere sorelle Caravaggi di Chiari, malgrado fossero ristrette, mi mandarono a regalare un bussolà66 che mangiai con riconoscenza e piacere, con le lacrime agli occhi. Allora Desenzano era considerato un sito molto lontano; le strade erano pessime per il grande passaggio, ed era considerata grave, oltre l’incomodo, la spesa. Mio padre, l’ultimo anno, venne una volta ed io piansi tanto nel vederlo per la commozione che ne risentii vari giorni dopo la sua partenza. Ho detto che non davano sardelle, ma alle volte battevano fortemente colle mani. Ho avuto la fortuna che non ricevetti mai percosse, del resto vivevo tranquillo e subordinato. /43/ Malgrado la mia età mi accorgevo io stesso dalla pessima direzione del collegio, della ignoranza grama dei maestri e mi pareva tempo perduto. Contavo 63 La frase originale nel dattiloscritto non risulta comprensibile (NdR). 64 Aggiunta a matita (NdR). 65 Non si tratta in realtà di un primo cugino. Il Saracineschi in questione era figlio di Giulia Mazzocchi in Saracineschi, figlia di Domenico Mazzocchi e quindi cugina del padre di Pompeo, come indicato al foglio 4 del Diario (NdR). 66 “Bussolà, bossolà”, sorta di ciambella dolce. Il termine, con poche varianti, è presente in molte aree dell’Italia settentrionale (es. : “buzzolà” in Friuli) e corrisponde al “bucellato” toscano (NdR). 96 Il Diario di Pompeo Mazzocchi le ore per uscire dal collegio, come da un ergastolo. É curioso, si mettono i ragazzi in collegio per istruirli e per conservarli buoni. Riguardo al primo caso, sui collegi vi è molto da dire, perché non possono pagare sufficientemente i maestri, sono pochi gli scolari, poca voglia di istruire nei maestri, poca gara e voglia nei scolari; riguardo al secondo caso - di conservarli buoni - macchè, succede quasi di sicuro l’opposto. Almeno 20 ragazzi vivono insieme, sono sempre insieme e se uno di questi è guasto, corrotto come un frutto marcio, fa marcire i buoni, li guasta. Vi era la confessione, per i grandi la comunione ogni 15 giorni, vi erano i cosiddetti Santi Esercizi, si leggevano le vite dei santi e si andava in Chiesa spesse volte per i salmi. Tutte cose /44/ buonissime, che fanno sviluppare il sentimento religioso, santissimo e utile all’anima e al corpo, ma non sorvegliavano i ragazzi, non facevano vedere ai ragazzi che oltre il peccato, se facevano del male, era anche a danno del loro sviluppo, dei loro studi, del loro avvenire, che sarebbero cresciuti fiacchi, deboli di mente e di corpo e che non avrebbero potuto avere vita lunga.67 Invece l’istruzione era interamente appoggiata non ai fatti, dei quali essi stessi potevano rendersi conto, ma sopra i castighi, lontani, specialmente per i ragazzi, dalla religione. Nel collegio non si insegnava ai ragazzi l’economia, [anzi] i maestri mettevano [quasi] in ridicolo uno [che fosse] economico. Era lodato quello che sprecava. Così avvenne che tutti i miei colleghi, tutti [quelli] che sono stati con me a Desenzano, o diminuirono la loro sostanza o rovinarono la loro famiglia: /45/ Lorenzo Camelli di Venezia, Mondalla Girolamo di Brescia, Provaglio di Cazzago,68 Soletti di Brescia. Mio padre era aggravato dalla spesa e [questa] fu per me una fortuna, [perchè] così potei uscire di collegio, che lo chiamavo galera. Mio padre aveva dato anche, troppo generosamente, dei danari a un certo Porta, maestro di portamento, perché ci venissero dati a poco a poco per acquistare frutti od altro. Questo Porta se li tenne per sé, e solo ci diede qualche cosa 15 giorni prima che capitasse a trovarmi mio padre. Mentre i miei compagni nei giorni di festa potevano comperare le frutta, io dovevo starmene in disparte, malinconico, ma siccome sapevo che mio padre aveva dato i denari al Porta, ho avuto il coraggio - per me fu uno sforzo, per la soggezione - di dirlo, ma tardi, a mio padre, che vi rimediò dandoli a me. Per due anni soffersi anche questo, e /46/ così mio fratello Gabriele. Per questo, usai senza accorgermi, di sopra, un po’il plurale un pò il singolare. Finalmente, nel 1843 o 1844 uscii di collegio, come risuscitato, e mio padre mi collocò per il proseguimento dei miei studi a Brescia, in locanda da certa 67 Il velatissimo cenno di Pompeo è quasi sicuramente alla masturbazione adolescenziale che una vasta letteratura ottocentesca - spesso di tono apocalittico - considerava fonte certa di debilitazione morale e fisica con conseguenze persino letali (NdR). 68 Cazzago S. Martino, pochi km a NE di Coccaglio (NdR). Il Diario di Pompeo Mazzocchi 97 Caterina Valsecchi e fratello Luigi, Vicolo del Mangano, dove passai benissimo sette anni. Mio padre aveva anche poca spesa, di 30 lire italiane al mese, mentre a Desenzano aveva il doppio. A Brescia feci quarta, quinta e sesta latina, ebbi per maestri Ghibellini e Pini, migliori 41. Biglietto autografo di Cesare Cantù in cui chiede a Pompeo Mazzoc- di quelli di Desenzano, chi di portare con sé in Giappone un suo nipote, figlio del fratello Ignama mediocri. Ghibelzio, che traffica in sete (“occupato in negozio di seta”). Cm. 10,7x13,5. lini aveva memoria, Fondazione Pompeo e Cesare Mazzocchi, Coccaglio, Archivio Storico. conosceva bene materialmente la geografia e Pini era mezzo letterato, ma invece di animare gli scolari li avviliva e commetteva delle imparzialità. Il maestro Ghibellini era contento delle classificazioni che avevo avuto /47/ a Desenzano: II° premio e poi ecc. Alla prova mi trovò [però] assai poco istruito, invece di trovarmi fra i primi, mi trovò fra gli ultimi. In locanda, mi ricorderò sempre di questa signora Caterina e del signor Luigi, fratelli buonissimi, onestissimi, che m’insegnarono col loro esempio l’economia e l’onestà. Sempre avrò buona memoria di loro. Non ho proseguiti gli studi, perché mio padre diceva: “Ti manderei volentieri all’università, malgrado la spesa per me troppo grave, se fossi sicuro che tu avessi a riuscire fra i primi, o come dottore in medicina, o come avvocato ecc., ma i mediocri guadagnano poco, oltreché, dopo le gravissime spese dell’università, potresti anche morire e allora [tutto] sarebbe perduto”. Per questo lasciai gli studi detti classici e studiai ragioneria sotto il maestro Ceresoli. Cominciai allora a migliorare la /48/ mia calligrafia, e mi detti allo studio dell’aritmetica. Non trovai difficoltà, ma ero come avvilito: mi sembrava di essere andato indietro molto, mi sembrava una ritirata. Avevo anche compagni che poco stimavo per l’impegno, o piuttosto per talento. Ho avuto però la fortuna di fare strettissima 69 Antonio Frigerio (1826-1895), bresciano. Amico e collaboratore di Tito Speri, combattente nel 1848 ed attivo nel comitato segreto insurrezionale di Brescia nel 1851. Fu in seguito animatore del Partito d’Azione e nel 1862 tra i promotori della Società Operaia di Mutuo Soccorso. Nella Terza Guerra d’Indipendenza (1866) partecipò alle operazioni militari dei garibaldini in Val Camonica, dove fu ferito (ed è per questo spesso confuso con l’Antonio Frigerio, milanese, caduto in battaglia, nel 1866, negli stessi luoghi). Pompeo andrà in Giappone nel 1864 assieme a un Pietro Frigerio: non è stato possibile appurare se vi fosse un legame di parentela tra i due (NdR). 98 Il Diario di Pompeo Mazzocchi amicizia con Antonio Frigerio, buonissimo galantuomo e patriota. Fu in prigione con Speri, e fu uno dei più attivi e coraggiosi, sia nella famosa difesa di Brescia, sia contro gli Austriaci.69 Ho avuto la fortuna di circondarmi, di fare amicizia con giovani bravi e di talento; io ho sempre trascurato quelli che vedevo oziosi e negligenti, o corrotti. Dopo tre anni, passai facilmente, senza difficoltà, gli esami di ragioneria. Mi ritenevo sicuro di poter sciogliere qualunque quesito relativamente alla ragioneria e non ebbi per questo nessun pensiero, dopo gli esami passati benissimo, ma ero /49/ come mortificato. Dicevo tra me tante cose; tante spese: 3 anni a Chiari, 3 a Desenzano, 7 a Brescia, per essere ragioniere, per aver studiato contabilità, per guadagnare, se riesco tra i fortunati e migliori, 1.000 lire di più all’anno. Feci un po’di pratica ai Pii Luoghi70, ma durante i tre anni dei miei studi di ragioneria ho passato oltre due mesi [all’anno] a Torbole per i bachi. Mio padre coltivava allora oltre 200 once di [seme-] bachi71 e vendeva moltissima foglia [di gelso]. Avevamo sino a ottanta pelini72, senza [contare] i mezzanti. Allo scoppio della rivoluzione del ’48 venni definitivamente a casa per aiutare mio padre. Mio fratello Gabriele era soldato volontario e mio fratello Giovanni era a scuola a Brescia. A Brescia, negli ultimi anni, badavo all’educazione di mio fratello Giovanni che era in locanda con me: lo facevo studiare, lo lavavo - gli facevo da padre. Aveva dieci anni meno di me e anche allora mostrava lo stesso temperamento che ha adesso, indocile e restio. Voleva tutto per sé. /50/ Voleva, o con il laccio o con il ceppo, prendere l’asino di Santa Lucia, per tenersi lui tutti i dolci che Santa Lucia dispensava a tutti i ragazzini di Brescia.73 Mio fratello Giovanni [era] con me e - direi - sotto la mia direzione fece le prime elementari. Siccome lo facevo studiare, passò bene i suoi esami. Dopo che lasciai Brescia, [Giovanni] rimase solo. Dovetti regalare al suo maestro - alle Grazie - una bottiglia di vin santo e raccomandarglielo perché potesse mandarlo avanti senza ripetere la stessa scuola. [Giovanni] si slogò un piede e [anche] una spalla. Faceva a sassate e faceva 70 Ente che riuniva e che amministrava, sin dalla metà del ‘600 sotto l’autorità vescovile, numerose istituzioni di assistenza e beneficenza, alcune delle quali avevano estesi patrimoni terrieri. Fu riformato e riorganizzato più volte a partire dal 1797 con il Governo Provvisorio, in seguito con l’amministrazione austriaca ed infine dall’Italia, sino alla parziale laicizzazione nel 1908 (NdR). 71 Era una quantità più che notevole che avrebbe permesso di ottenere 6-8.000 kg di bozzoli (valutando alle rese medie delle buone coltivazioni lombarde di allora), dai quali si poteva ricavare all’incirca 500 - 650 kg di seta (CZ). 72 Termine colloquiale per indicare le persone specializzate nel raccogliere (“pelare”) la foglia dei gelsi (CZ). 73 Secondo la tradizione, molto diffusa nel Bresciano, ma presente in molte altre zone, Santa Lucia viene nella notte tra il 12 ed il 13 dicembre a portare regali per i bambini accompagnata da un asinello. Al suono del campanello dell’asino, i bambini devono essere a letto e troveranno la mattina dopo i doni (ad esempio in una scarpa lasciata sul davanzale, come accenna Pompeo in un passo precedente). La tradizione corrisponde a quella di San Nicola/S. Nicolò/ Santa Klaus di altre regioni d’Italia e d’Europa (NdR). Il Diario di Pompeo Mazzocchi 99 baruffe e poiché studiava poco e non andava avanti, mio padre lo ritirò dopo [finite] le elementari, dalle Grazie a casa. [Giovanni] andò anche un po’a scuola di ragioneria, ma senza profitto. Fortunatamente era [stato] in una buona locanda, dove aveva buoni esempi e [buoni] consigli, [altrimenti], per il suo temperamento, sarebbe /51/ finito male e anche peggio. A sua discolpa [va detto che] ebbe assai poca educazione e non ebbe un indirizzo. [Già] grande, a vent’anni, trovò la famiglia in assetto, in buone condizioni. Avendo la famiglia in buono stato, non ebbe pensieri di [dover fare vere] economie, [ne fece] solo l’apparenza - con la quale ingannò la buona fede di mio padre. Come avviene con quello che ha torto - [che è quello che] grida di più - o con quello che ha fatto poco o nulla, [o che l’ha fatto] male - [che vuol] fare [credere di] aver fatto tutto lui, [così] mio fratello Giovanni ha sempre predicato che ha fatto tutto lui, anche per essere maggiormente considerato da mio padre.74 Mi spiace d’essere obbligato a parlare [in questo modo] di questo mio fratello che sempre ci diede disturbi - a me, a mia madre e a mio padre, a mio fratello Gabriele - ma [voi] imparate, da questo e dalle conseguenze, la convenienza di essere buoni, stimati e giusti, di non volere tutto per voi e di non avere alcuna considerazione per gli altri. Sarebbe stato [un bene] per mio fratello Giovanni /52/ e per la mia famiglia se fossimo andati d’accordo e se mio fratello avesse avuto cuore verso i suoi fratelli e i suoi genitori. In quale [maniera] mi ha compensato delle mie cure per lui a Brescia! Come vi dissi, fate sempre il bene, per vostra soddisfazione e perché il bene infine vi sarà sempre utile, moralmente e materialmente, sia a questo mondo che all’altro, ma non per raccogliere gratitudine e ricompense [da quelli cui l’avete fatto]. Vi sono molti - più di quel che credevo - cui manca il bernoccolo della gratitudine e, peggio ancora, del galantuomismo. Questi non fanno mai fortuna, stancano tutti e vanno di male in peggio. Se per strano caso facessero fortuna, non la godono e tormentano sé e gli altri. In quel tempo, sotto i tedeschi75, fui fatto abile come soldato e mio padre dovette pagare 2100 svanziche per esimermi assieme a mio fratello Gabriele. Quando arrivò alla coscrizione mio fratello Giovanni, mio padre dovette pagare 74 Il testo del dattiloscritto, assai confuso, è stato ricostruito in questo modo (NdR). 75 Intende gli austriaci (NdR). 76 In base alle disposizioni del 1820, il servizio militare (“coscrizione”) nei dominii austriaci toccava ad un certo numero di persone il cui nominativo era stato estratto dalle liste di leva. La persona “estratta” poteva essere esentata dal servizio - la cui durata poteva essere di 10 anni e più - se un’altra persona si presentava al suo posto. Il sostituto, naturalmente, doveva venir pagato da colui che egli andava a sostituire. A partire dal 1850 non fu più possibile farsi sostituire, ma era sempre possibile farsi esentare dietro il versamento di una notevole somma allo Stato. Dal testo del Diario si dedurrebbe che la chiamata dei tre Mazzocchi sia avvenuta secondo il primo sistema, e che quindi il denaro sia andato ai sostituti. Cfr. però Caterina Saldi Barisani, Pompeo Mazzocchi, op. cit., p. 27, n. 34 (NdR). 100 Il Diario di Pompeo Mazzocchi altre 4000 lire italiane.76 /53/ Fin da quando ero a scuola a Brescia, mio padre mi conduceva con sé, sia per pagare gli interessi dei molti debiti che aveva, sia per procurarsi danari per le sue spese. Non faccio carico a mio padre di questi debiti: aveva poco del suo, una numerosa famiglia e nel 1840 fece costruire la nostra casa che costò 30.000 lire e più, non poteva fare miracoli. Questo[andare per debiti, però] mi impressionò assai: un giorno a Cazzago, dalla Congrega, a pagare Pietro Almici sino a 40.000 lire, un altro a Cognano77 per 10.000 lire; scade l’interesse con i signori Lelio78 e Vigo Almici di [un capitale] di 20.000 lire, scade quello di Angelini di [un capitale] di 20.000 lire, di Pellegrini di [un capitale] di 12.000 lire, e di Spallenza, di Massa di Rovato ecc. Bisogna trovare un capitale di 20.000 lire, [perchè] il tale vuole essere pagato. Allora [si va] in cerca di denaro con un sensale. L’usuraio è trovato: un certo Rampinelli, droghiere, diede a mio padre 20.000 lire al 7% con carte che si perdeva a realizzarle79 e con l’avallo di Andrea Tonelli.80 Il signor Andrea Tonelli fu /54/ assai buono. Mi disse: “ ho fatto questo per amicizia, credevo proprio di perderle”. Il giorno della scadenza, mio padre pagò puntualmente. Andammo [poi] dal Sig. Andrea Tonelli a ringraziarlo dell’avallo o prezzeria. [Egli ci] disse: “Avevo preparato le 20.000 lire. Non abbiatevene a male se le avevo preparate: non diffidavo di voi, ma, infine, possono avvenire tante cose. Altre volte dovetti pagare gli avalli da me fatti [a favore di altri]”. Vedete in che ambiente io abbia passato la mia gioventù: debiti e debiti e parlare di debiti. Siate sobri - limitate le spese. Possono venire gli anni cattivi; mettete sempre qualche cosa da parte: le grandi spese improvvise arrivano. Non fate debiti. Non mettetevi in condizione di farne. È una umiliazione, un rinunciare alla propria indipendenza, un rompitesta. Che pro’deve fare lo spendere se vi scava il privilegio delle passività?81 /55/ Il creditore si informa di come vanno i vostri affari e delle vostre spese. Siete segnati a dito se spendete, vi fanno i conti in tasca. Non lasciatevi mancare quel che vi occorre, vivete secondo le vostre entrate, fate anche dei piaceri ai poveri bisognosi (malgrado siate sicurissimi di non essere corrisposti) - ma 77 Erronea trascrizione del dattiloscritto: probabilmente si tratta di Corzano, sulla strada tra Orzinuovi e Brescia (NdR). 78 Dovrebbe trattarsi del Lelio Almici, deceduto nel 1881, che fu Presidente della Congregazione di Carità di Coccaglio nel 1861 (NdR). 79 Il passo non è chiaro, ma forse Pompeo vuol dire che il denaro non era in contante, bensì in effetti cambiari (“carte”) che bisognava scontare (perdendoci un’ulteriore percentuale) per trasformarli in liquido (NdR). 80 Su Andrea Tonelli si veda la precedente nota 16 (NdR). 81 La frase originale nel dattiloscritto non risulta comprensibile (NdR). Il Diario di Pompeo Mazzocchi 101 42. La famiglia Mazzocchi all’uscita festiva per la Messa. Coccaglio, verso il 1890. Per gentile concessione degli non fate debiti. Per non fare debiti bisogna conoscere le proprie entrate e uscite; conviene tenere, bene o male, una nota; bisogna badare alle spese. Chi compra le cose inutili, vende le cose utili (necessarie). Ho speso anch’io, prima di avere moglie, in cose inutili, ma guadagnavo [bene] in quel tempo. Riconosco di aver fatto male - peggio ancora per i regali che ho fatto, dove non avevo obbligazioni, ma solamente il piacere di dare. Negli avari il dare è un supplizio - non ci viene in mente. Ma chi ha buon cuore è facile che sdruccioli - /56/ - guardatevi ! Mio padre, economico e attivo, fece debiti perché ne aveva quando acquistò Torbole nel 1822 e per la costruzione della casa nel 1840. Mio fratello Gabriele nel 1848 aveva venti anni e servì il Governo Provvisorio[di Milano]. Mio padre, per schivargli i pericoli della guerra, lo mandò a Milano nei cosidetti “istruttori”, ma Gabriele fuggì di là con Antonio Frigerio e si arruolò nel corpo attivo, detto degli studenti. Ebbe compagni Carlo Nespoli, Teodosio Almici e Vincenzo Canossi. Davanti al forte di Piettole dovettero ritirarsi ed alcuni morirono per le cannonate dei forti.82 Seguì la ritirata di tutto l’esercito di Carlo Alberto. [Gabriele] mancò di vitto, di tutto e venne a casa - sciolto il suo corpo degli studenti - ammalato, sfinito per la forte febbre. Anche nel 1866 mio fratello accorse tra i volontari che soggiornarono a Maderno 82 Pietole (e non: Piettole), era una fortificazione costruita dopo il 1797 dai francesi per rafforzare la cinta difensiva di Mantova. Fu successivamente impiegata dagli austriaci. Nel 1849, nel corso della I Guerra d’Indipendenza, venne inutilmente assediata dagli italiani (NdR). 83 Oggi Toscolano-Maderno, sul Garda, pochi km sopra Salò (NdR). 84 Barghe, località dell’alta Val Sabbia e Idro, sull’omonimo lago, a poca distanza dall’attuale confine tra Lombardia e Trentino-Alto Adige (NdR). 85 Pompeo si confonde, in questo caso, con la II Guerra d’Indipendenza (1859) - ove ebbe luogo la battaglia di Solferino, seguita poco dopo dall’armistizio di Villafranca - mentre in realtà sta parlando della 102 Il Diario di Pompeo Mazzocchi e a Toscolano83, dove alcuni furono /57/ esposti e perirono per le cannonante di un barco Austriaco che si avvicinò al paese di Maderno. Poi, a marce forzate, andò con il suo reggimento in Tirolo, dalla parte di Barghe, a Idro ecc.84 Ma nel Tirolo, mentre arditamente avanzavano, capitò la pace dopo la battaglia di Solferino.85 Con sé mio fratello condusse altri, come Enrico Taborini di Torbole, ecc. Mio fratello Giovanni si arruolò anche lui con i volontari, ma prima che il suo reggimento si mettesse in moto contro gli austriaci, venne a casa ammalato. Grazie ai debiti, all’azienda, alle sementi bachi, ai bachi, io rimasi a casa e ne provo dispiacere. In questo sia lode ai miei fratelli, specialmente a Gabriele. Sarà una gloria per la famiglia e per i nipoti - una nobilità per la famiglia - di avere avuto un antenato che contribuì alla redenzione della patria. Così anche la nostra famiglia, grazie allo zio Gabriele, diede il suo contingente attivo per scacciare gli austriaci che tenevano /58/ schiavo il nostro paese. Sotto gli austriaci nessuno era sicuro, vi erano le spie e da un momento all’altro si poteva essere in prigione. L’Italia era divisa e schiava: si parlava del Lombardo-Veneto, degli Stati Papalini, dei Ducati, del Re di Napoli e non mai d’Italia. Mio fratello Gabriele, quando era a Torbole, faceva da fattore e da guardia campestre per i nostri fondi. Oltre ad aver ridotto assai bene i fondi da bravo agricoltore, pensava anche, da bravo patriota, al suo paese, all’Italia. Amico di Speri e di Antonio Frigerio86, [raccoglieva denari] con le carte di Mazzini,87 denari che dovevano servire a preparare una rivoluzione e li dava a Speri. Frigerio fu [messo] in prigione a Mantova, [rischiando] il capestro. Speri a Mantova fu impiccato. Pensate che vostro zio corse lo stesso pericolo! Se non vi fossero stati questi arditi che tenevano ridesto l’odio contro l’Austria e lo spirito di patria e di libertà, l’Italia sarebbe ancora divisa e schiava./59/ Lo zio Gabriele è affezionatissimo a me e a Vittoria e non può che volere - carissimi figli - il vostro bene. Per questo, ascolterete i suoi consigli, saranno sempre veritieri, secondo [quanto] gli detta il cuore. Essendo trascorsi oltre quattordici anni che non si occupa di affari per dispiaceri di famiglia - come vi dirò più avanti - è stato un male non aver avuto in lui il migliore consigliere, una sciagura. III Guerra d’indipendenza (1866), in cui la pace venne proclamata a seguito delle vittorie prussiane sull’Austria, mentre l’esercito italiano era stato sconfitto a Custoza. Quella pace bloccò l’avanzata vittoriosa delle truppe volontarie di Garibaldi (di cui Gabriele faceva parte) verso Trento (NdR). 86 Tito Speri (1825-1853), bresciano. Uno dei capi dell’insurrezione bresciana delle 10 giornate. Organizzò in seguito un comitato insurrezionale mazziniano a Brescia, per il quale fu condannato a morte per impiccagione nella fortezza di Belfiore a Mantova. Per Antonio Frigerio si veda la precedente nota 69 (NdR). 87 Intende le sottoscrizioni clandestine del movimento mazziniano (NdR). 88 Con il comune termine di “crittogama” ci si riferiva all’Oidium, causa di una diffusa a grave malattia che colpì le foglie della vite, danneggiando pesantemente i raccolti negli anni ’50, in drammatica coincidenza con l’epidemia del baco da seta, la pebrina (vedi nota successiva). Molti furono portati a ritenere, per analogia, ma del tutto erroneamente, che anche quest’ultima derivasse da una qualche forma vegetale parassitaria presente sulle foglie del gelso (a da qui fosse trasmessa al baco) (CZ). Il Diario di Pompeo Mazzocchi 103 Egli ha un anno e mezzo più di me, cosicchè camminiamo quasi insieme, di ugual passo, verso quel sito ove pure dobbiamo andare. Ogni giorno è un passo. Nel 1854 comparve la crittogamma nelle nostre vigne.88 Nel 1858 distrusse tutto il raccolto [e così] per i dodici anni [ successivi]. Questo infortunio fu subito seguito dalla malattia dei bachi89 con il mancato raccolto di gallette.90 Per rovinare la nostra famiglia sarebbe bastata la malattia dell’uva. Dovevamo comperare il vino per casa invece di venderne 400 ettolitri. Le spese per la vite erano più gravose, a quelle ordinarie si aggiungevano /60/ i nuovi impianti ed i rimedi inutili e costosi, prima che si trovasse lo zolfo.91 La malattia dei bachi, detta atrofia,92 cominciò nel 1855 e ancora dura nei bachi a bozzolo giallo - dal 1855 al 1887. Nel 1856 andai in Brianza [in cerca di seme-bachi sano]. Nel 1856 mio padre mi mandò [anche] in Friuli. Portai i bozzoli di Spilbergo,93 che riuscirono assai bene. Ero in compagnia del Dr. Lelio Almici e poi con Filippo Deretti. [Ma] il raccolto [in generale] mancò, perché tutti avevano adoperato, come sempre, le proprie sementi. Mio padre [invece] ebbe bellissimi bozzoli e fece il massimo raccolto. I bozzoli valevano cinque lire al Kg, e in questi anni di mancati raccolti il prezzo giunse fino a sette lire il Kg. La foglia [di gelso, invece,] non valeva nulla. Invitavano a sfrondarla [concedendola] gratis [dagli alberi ai bordi] dei formentoni (campi di mais).94 [Altrove, la foglia] si pagava [anche solo] 20 o 25 centesimi di lira al “peso” da 8 kg.95 Andavo, con Gabriele e con ottanta pelini, in tutti i paesi delle basse: si sfron89 Si riferisce alla “pebrina”, la malattia che colpì drammaticamente tutti gli allevamenti europei estendendosi poi al resto del mondo e costringendo i “semai” ad andare a cercare “seme-bachi” sano nei posti più lontani. Sulla pebrina vedi anche la Introduzione (CZ). 90 Termine corrente in buona parte dell’Italia settentrionale per indicare i bozzoli (CZ). 91 Le irrorazioni con zolfo - sostanzialmente in uso ancora oggi - risultarono piuttosto efficaci contro l’Oidium (NdR). 92 La pebrina, oggi correttamente indicata come Nosema Bombycis, ricevette allora numerosi appellativi, tra i quali “atrofia parassitaria” o semplicemente “atrofia” (CZ). 93 Intende: Spilimbergo, oggi in provincia di Pordenone (NdR). 94 Il passo è poco preciso, ma è assai probabile che Pompeo si riferisca al fatto che le foglie sugli alberi piantati ai bordi dei campi di mais, se non colte, con la loro ombra danneggiavano la crescita delle piantine di mais sottostanti: da qui la necessità di disfarsene concedendone il raccolto gratis, in un periodo in cui, a causa della pebrina e della conseguente moria dei bachi nelle loro prime età, gli allevatori consumavano molta meno foglia, lasciandola sulle piante (CZ). 95 Per il “peso” vedi sopra, nota 38 (NdR).0 96 Per i pelini v. sopra, nota 72. Il ciclo vitale del baco da seta implica un continuo e rapido aumento del consumo giornaliero di foglia di gelso, che raggiunge il suo massimo nell’ultima settimana, poco prima di formare il bozzolo. La voracità dei bachi in quella fase imponeva raccolte massicce di foglie e i 1600 pesi al giorno (pari a ca 13 tonnellate) indicati da Pompeo sono congrui alle esigenze di nutrimento di estesi allevamenti come quelli praticati dai Mazzocchi (CZ). 97 Secondo gli usi di allora, Pompeo deve aver raggiunto Genova per imbarcarsi per La Spezia, stante le pessime (e spesso costose) comunicazioni stradali esistenti lungo il percorso via terra (CZ). 104 Il Diario di Pompeo Mazzocchi 43. Carta generale dell’Asia appartenuta a Pompeo Mazzocchi. Circa 1860. Cm. 46x38. Fondazione Pompeo e Cesare Mazzocchi, Coccaglio, Archivio Storico. davano oltre 1600 pesi al giorno.96/61/ Per [acquistare] sementi [di bachi] sono stato alla Spezia - mio primo viaggio di mare.97 Quel seme riuscì assai bene. [Mi recai anche] a Lugano, in Svizzera. Mio padre, spaventato da questa malattia, si credeva alla vigilia di perdere il raccolto dei bozzoli. Il [Vicino] Oriente lo credeva malsano e l’Estremo Oriente India, China, Giappone - gli sembrava troppo lontano, un viaggio troppo costoso. Pensò quindi di mandarmi nel Canada o negli Stati Uniti, dove un fanfarone - un certo Ferrari Speriale - gli aveva fatto credere che era stato in quei paesi e che aveva avuto un discreto raccolto di bozzoli. Diceva inoltre che lo Stabilimento 98 Errata trascrizione per Burdin, una delle maggiori e più conosciute ditte vivaistiche d’Europa (Burdin Maggiore e C.ia), in attività almeno dagli anni ’10 del ‘800, i cui principali stabilimenti agrario-botanici erano a Chambery (di cui erano originari i Burdin), Torino e Milano, ove costruivano anche strumenti agricoli e attrezzature per bigattiere e filande. Collaborarono spesso con Matthieu Bonafous (v. Introduzione). Francois Burdin fu autore di apprezzati articoli specialistici di gelsi-bachicoltura. Ai tempi della pebrina gli stabilmenti della Burdin, in unione con il grossista semaio torinese C. Baroni, avrebbero effettuato prove precoci di allevamento del seme-bachi proveniente dalle zone dell’estero ove agivano i semai. Il ciarlatano di cui parla Mazzocchi si fa in effetti bello di passate attività altrui, poichè nel periodo d’oro dell’espansione gelsicola - soprattutto negli anni ’30 e ’40 - i Burdin avevano realmente venduto ogni anno semi di gelso e centinaia di migliaia di piantine di gelso a imprenditori e vivaisti d’Europa, d’Asia e anche degli Stati Uniti Il Diario di Pompeo Mazzocchi 105 di Orticoltura Bourodin di Milano aveva mandato negli Stati Uniti centinaia di migliaia di gelsi. 98 Non avevo [mai] fatto [lunghi] viaggi, solo quelli in Brianza, a La Spezia, in Friuli, a Lugano e di nuovo a La Spezia, e [li avevo fatti] in compagnia. Ora dovevo valicare l’Oceano, nel mese di ottobre e con denari che temevo assai di perdere./62/ Mio padre piangeva dirottamente. Diceva che era l’unico modo per salvarci: se non facevamo gallette ci riducevamo in miseria. Mi dava due o tre mila lire e mi avrebbe mandato dopo quello che poteva servire per me e per gli acquisti. Partii nel mese di aprile del 1856 per aver tempo per imparare un po’la lingua francese - per capire e per parlare - e ancora [per imparare] qualche parola d’inglese. Malgrado il malumore per lasciare la famiglia e per le responsabilità, sarei andato in una spedizione al Polo Nord, in qualsiasi sito, tanto ero spaventato [dalla prospettiva] di far maggiori debiti o di vendere la nostra casa ed i nostri fondi. Con i miei pochi risparmi avevo acquistato qualche libro in francese ed avevo avuto qualche lezione. Con la buona volontà di allora, sapevo un po’di teoria ed ero capace /63/ di leggere più di quanto posso adesso capire di francese [parlato]. Nell’aprile del 1856 mio padre mi accompagnò a Milano. Andammo dai Burdin99 per sapere se negli Stati Uniti o in Canada si educavano i bachi100 ed in quale quantità. Restammo sorpresi nel sentire che lui [vi] aveva mandato molti semi gelsetti,101 ma che poi [le piante] vennero estirpate e che solo per curiosità, per diporto, per vedere i bachi come fanno i bozzoli, allevavano i bachi. Le coltivazioni erano di qualche decina di bachi: oggetto di curiosità. Mi disse di informarmi dal Console degli Stati Uniti. Raccolte altre informazioni, ci persuademmo che avrei fatto il viaggio per nulla. Mio padre, [persona] energica e che aveva visto bene in questo affare [del semebachi], mi disse: “se non puoi andare in America, ti fermerai un mese a Parigi per impratichirti nella lingua, poi andrai a Londra per imparare un po’l’inglese.” /64/ [Mio padre] fu [buon] profeta. Questo francese, questo inglese e questo viaggio mi furono assai utili. Fu una scuola, una preparazione per i lunghi viaggi che feci in oriente e mi fu utile perché, sapendo io un po’d’inglese, l’Andreossi102 mi preferì in seguito ad altri come suo agente. A Parigi mi recai subito all’Ambasciata per sapere se potevo far seme-bachi sia in America, [cioè] Stati Uniti, sia in Canadà, ma mi venne perfettamente (CZ). 99 Sostituito così al posto del “Bondini” del dattiloscritto, sicuramente errato (NdR). 100 Era uso corrente nel XIX secolo chiamare “educazione” l’allevamento dei bachi da seta (CZ). 101 Semi di gelso v. anche la precedente nota 98. (CZ). 102 Su Enrico Andreossi si veda la Introduzione ed in particolare la nota 18 (CZ). 106 Il Diario di Pompeo Mazzocchi confermato quanto avevo sentito a Milano. Allora, per recarmi a Parigi, passai il San Gottardo in vettura e così la Svizzera. Ho veduto Basilea e Berna e ho [poi] preso la ferrovia a Strasburgo. Il vedere nuovi paesi era per me un piacere, ma era [un piacere] assai mitigato dall’esser via dalla mia famiglia. Adoravo mio padre e mia madre. Allora mio fratello Giovanni aveva 17 o 18 anni. Vi era pace in famiglia e l’idea che i denari che avevo e che spendevo erano denari avuti /65/ in prestito e che mio padre non ne aveva disponibili, mi rendeva economico all’eccesso ed ero assai dolente per la spesa. A Parigi dimorai per un mese e otto giorni in albergo e per ventidue giorni in una pensione dove spendevo 4 lire al giorno con il vitto. Alla pensione ricevetti alcune lezioni d’inglese e feci conoscenza con un professore francese che aveva per moglie una inglese. Dietro [loro ?] raccomandazione mi procurai una locanda a Londra, restando d’accordo, prima di andarci, per 25 lire alla settimana. Andai a Londra per la via di Dieppe e Brighton e soffersi assai il mal di mare. Arrivato a Londra alle 11 di notte presi una vettura che mi condusse in Regent Street, al n. 52. Là mi aspettavano. Entrai in questa famiglia, che si chiamava Pheasant, dove stetti assai bene, ma essendoci una giovane che parlava italiano - essendo stata in Toscana per diversi giorni - dopo quindici giorni mi licenziai per andare in una famiglia che non parlava altro che inglese. /66/ La famiglia Pheasant mi trovò la casa dove non si parlava da tutti che l’inglese. Presi [così] dimora a Clermont Terrace, Pentonville, 45, Islington.103 Pagavo 25 lire la settimana. Era una buonissima famiglia della quale conserverò sempre buona memoria. Non perdevo tempo, studiavo ed ero obbligato, bene o male, a farmi intendere in inglese. Così, arrivai presto a farmi capire. Alcune volte mi recavo nella casa di prima in Regent Street e, a poco a poco, entrai in confidenza con i miei locandieri. Ero assai intento ai miei studi, non avevo altro in mente che di capire e di parlare l’inglese - per me era diventata una fissazione, una mania - non pensavo ad altro, schivavo quelli che parlavano italiano e francese e solo rare volte rompevo il ghiaccio. La mattina mi levavo assai di buon’ora: tradussi in italiano un lunghissimo libro per principianti e poi /67/ lo [ri]tradussi in inglese.104 In Regent Street la famiglia si chiamava Pheasant. In Claremont Terrace si chiamava Lunglay.105 Dopo oltre due mesi che mi trovavo nella famiglia Langley a Claremont Ter103 Più correttamente: “Claremont Terrace - 45, Pentonville” nel quartiere londinese di Islington, poco distante dall’attuale stazione ferroviaria di King’s Cross. A tutt’oggi una “Claremont Square” si affaccia su Pentonville Road (CZ). 104 Tra i libri di proprietà di Pompeo Mazzocchi presenti nella biblioteca della Fondazione Mazzocchi a Coccaglio vi è un Nuovo Dizionario Inglese-Italiano di John Millhouse pubblicato a Milano nel 1853 che certo venne usato da Pompeo per questi studii (NdR). 105 La trascrizione non sembra corretta, il cognome è probabilmente Langley o Langlay (CZ). Il Diario di Pompeo Mazzocchi 107 race, ritornai nella famiglia di prima, a Regent Street, da Mrs. Pheasant, perché potevo farmi capire senza la tentazione di parlare italiano e perché Regent Street è un sito centrale, e ancor più perché temevo mi venisse troppo a piacere la giovane Miss Dolly Langley, [tanto] da [potermici] innamorare. Le inglesi sono assai pulite, gentili, brave, ma godono nel loro paese, quando sono nubili, di molta libertà e noi italiani abbiamo difficile a credere, col nostro temperamento, a libertà e morigeratezza, perché siamo gelosi. Per questa gelosia confessavo sinceramente a Miss Dolly che non l’avrei sposata – poi, non era il caso /68/ di mantenerla coi debiti - e per questo lasciai la casa. Feci assai bene, e fu uno degli atti dei quali ho più da lodarmi nella mia vita. In Inghilterra, più che altrove, bisogna guardarsi assai dalle insidie che tendono le donne; ho avuto la fortuna di trovarmi in due famiglie onestissime e ancora ero intentissimo ai miei studi, conoscevo la mia posizione e non ebbi tristi avventure di sorta. Mi ricorderò sempre di Miss Dolly, di Briddy,106 di Fanny, e dei fratelli, Henry e l’altro piccolo, dei loro buonissimi genitori, delle loro lezioni, della loro pazienza e gentilezza. Venti anni dopo sono stato a trovarli, reduce dal Giappone, via America:107 il padre era moribondo, la Dolly maritata, l’Henry soldato in India. Il tempo come cambia, modifica ogni cosa! Miss Briddy e Fanny, che erano come allora, non mi avevano riconosciuto. Come /69/ mi accolsero cordialmente, con quanto piacere seppero chi ero! Anche queste avevano un cuore buonissimo, gentile. Circa il 20 aprile 1857 ritornai da Londra a casa. A Parigi, sul corso del Bois de Boulogne ho veduto l’imperatrice Eugenia108 che aveva accanto la balia col figlio, [quello] che morì poi fra gli Zulu.109 Napoleone III° allora era potentissimo. Come cambia tutto! 106 107 Briddy, diminutivo per Bridget (Brigitta) (NdR). Svariati dei viaggi al o dal Giappone di Pompeo si svolsero per la via americana anziché per quella di Suez, come precisato nell’Introduzione (CZ). 108 Eugenia de Montijo, spagnola, moglie di Napoleone III (CZ). 109 Eugenio Luigi Napoleone Bonaparte era nato nel 1856. Andò in esilio a Londra con i genitori dopo il 1870 e si arruolò nell’armata coloniale britannica di stanza nell’attuale Sudafrica. Venne ucciso durante una missione nello Zululand nel 1879 (CZ). 110 Bursa, nell’Anatolia, poco a sud del Mar di Marmara, importante centro sericolo sin dal XVI secolo, ben conosciuto dai commercianti di sete europei. La dizione Brussa era corrente nell’uso europeo di allora (CZ). 111 Oggi, in turco, Ulu Dag (CZ). 112 Vedi nota 32 dell’Introduzione (CZ). 113 Località non identificabile: probabilmente un errore ortografico di trascrizione (CZ). 114 Nome veneziano di Zákinthos, una delle isole Ionie (CZ). 115 Nome veneziano di Kíthira, isoletta all’estremità meridionale del Peloponneso (CZ). 116 Itháki, nelle isole Ionie. Èl’isola di Ulisse (CZ). 117 Izmit, grosso centro all’estremita’orientale del Mar di Marmara, nell’attuale Turchia (CZ). 118 Si tratta di Giuseppe Testa, di Bergamo, che in seguito sposerà la sorella di Pompeo, Violantina, vedova di Pietro Almici. È molto probabile che Giuseppe Testa sia parente del Benedetto Testa per la cui ditta di Milano Pompeo Mazzocchi opererà per alcuni anni dal Giappone (Introduzione, n. 20) (CZ). 119 Non è semplice identificare questo semaio dal nome così comune (e sulla cui esatta trascrizione 108 Il Diario di Pompeo Mazzocchi 44. I Mazzocchi nel cortile della casa di Coccaglio. Da sinistra: Camilla, Vittoria Almici, Adele, Mario, Pompeo e Tito. Inizii del ‘900. Per gentile concessione degli eredi. Nel mese di maggio mio padre mi mandò a Brussa [Bursa] nell’Anatolia,110 ai piedi del monte Olimpio.111 Mi fermai circa 20 giorni a Costantinopoli [Istanbul] in casa di Vincenzo Daina.112 In questo viaggio ho veduto Atene, Incirne,113 Zante,114 Cerigo,115 Itaca,116 Ismit.117 A Bursa alloggiai all’Hotel Loschi, sotto l’Olimpo. Vi era il console Terraneo; arrivarono in appresso vari semai: Testa,118 Ferrari,119 ecc. Presi [in affitto] una bella casa, per fare la semente bachi, che pagai 400 lire. Il Daina Vincenzo diede la commissione di fare la semente a Testa e combinai di prendere la casa con Testa. Acquistai i primi bozzoli in Bursa e a Demerdch,120 ma /70/ mi accorsi presto che la malattia nei bachi era troppo avanti per azzardarsi a far seme. Quando acquistai i primi bozzoli, mi accordai con un certo Lanfranchi di Bergamo per aiutarmi. Scrissi per informazioni a Bergamo, sua patria, e le ebbi non si può per di più essere sicuri). Potrebbe trattarsi del generale bresciano Ferrari, citato come semaio che sarebbe andato tra i primi in Levante in un articolo su La Sentinella Bresciana del 1871. Un A. Ferrari, verosimilmente semaio, è segnalato in Giappone nel 1873. Se la trascrizione non fosse corretta, potrebbe invece trattarsi di Sebastiano Ferreri, piemontese, molto attivo come semaio nei Balcani e nel Vicino Oriente in quegli stessi anni assieme a suo figlio, Casimiro, che in seguito sarà in Giappone più volte (CZ). 120 Demirtasch, oggi trascritto Demirtas, piccolo centro agricolo a poca distanza da Bursa, noto per il seme-bachi (CZ). 121 Giovan Battista Zanchi, di Bergamo, aveva sposato nel gennaio del 1857 Giovanna Giulia Mazzocchi (Nina), sorella di Pompeo (NdR). Il Diario di Pompeo Mazzocchi 109 ottime: era anche parente lontano di Zanchi, mio cognato.121 Ero d’accordo[con lui] per le[sue] spese a mio carico più 5 lire al giorno. In quei giorni mio padre aveva mandato, per aiutarmi nella fabbricazione del seme, mio fratello Gabriele e mia sorella Violantina, allora maritata con Pietro Almici.122 Quando seppi che erano arrivati a Costantinopoli, partii subito, e li trovai in casa del Daina. Dissi loro che a Bursa temevo di non poter fare buona semente, e che sarebbe stato bene di mettere due fabbriche:123 una a Bursa, perché [già] vi ero [io], e l’altra ad Adrianopoli,124 dove avevo sentito che si erano recati molti semai. /71/ Violantina rimase alcuni giorni dal Daina a Costantinopoli ed alcuni a Bursa per finire la farfallazione di quei pochi bozzoli,125 dove fece conoscenza con Testa,126 poi ritornò in patria. Con Gabriele mi portai ad Adrianopoli e siccome era partito il vapore alla volta di Radostò127 e avrei dovuto aspettare troppo per approfittarmi di altro vapore, mi decisi, per non perdere tempo, di andarvi in un barcone. Dovevo tenere a battesimo una figlia del Daina, e per informazioni feci conoscenza con certo padre Abrante; questo padre mi diede anche informazioni per il viaggio in barca. Ebbi un credito presso Shinell di Adrianopoli, provvedetti i viveri e due pistole: nella fretta non feci attenzione che le pistole mancavano di capsule, come si usava allora. Alle 2 pomeridiane circa, con Gabriele lasciai Costantinopoli. La notte dormimmo sulla coperta e nel svegliarci il mattino, vedendo la riva e alcune case, credevo al /72/ momento di essere arrivati. Invece, con sorpresa, eravamo appena fuori di Santo Stefano, un borgo di Costantinopoli. Dopo, il vento ci fu propizio e nel Mar di Marmara si veleggiava benissimo, quando due imbarcazioni, una con sette uomini e una con due si avvicinarono a noi. I nostri fecero segni alle due barche di non avvicinarsi, ma queste insistettero; 122 123 Violante (Violantina) Mazzocchi aveva sposato Pietro Giacomo Almici nel 1844 (NdR). Intende: allestire due locali dove, con i bozzoli acquistati freschi, si sarebbero fatte nascere le farfalle e produrre - sotto proprio diretto controllo - le uova di baco da seta. Così facevano quasi tutti i migliori semai italiani nei Balcani e nel Vicino Oriente e così avevano appena fatto Mazzochi e Testa a Bursa (v. sopra) (CZ). 124 Oggi prevale la dizione turca di Edirne, nella Turchia europea. Anche questo era un centro sericolo rinomato da tempo (CZ). 125 Più propriamente “sfarfallamento”. Il termine indicava l’uscita della farfalla dal bozzolo (che in genere avveniva una dozzina di giorni dopo il suo completamento da parte del baco). Appena uscite, le farfalle si accoppiavano e deponevano le uova, per morire subito dopo. I semai acquistavano grossi quantitativi di bozzoli freschi, da poco prodotti e li facevano “sfarfallare” in appositi locali dove veniva poi confezionato il seme-bachi da portare in Italia (CZ). 126 Vedi la precedente nota 118 (NdR). 127 Rodosto, oggi Tekirdag, scalo sulla costa settentrionale del Mar di Marmara, nell’attuale Turchia (europea). Il viaggio da Istanbul a Edirne (Adrianopoli), date le pessime condizioni delle vie di terra, si faceva in parte per mare - sino a Rodosto, appunto - e poi a cavallo o con carri (CZ). 128 Il termine gavass - con diverse varianti di pronuncia, quali ad es. chavass - era usato nell’Ottocento nei territori dell’Impero Ottomano ad indicare genericamente “gendarmi” (spesso assunti a protezione di viaggiatori stranieri, come nel caso riportato da Mazzocchi) o, più semplicemente, 110 Il Diario di Pompeo Mazzocchi sulla [nostra?] barca vi erano una donna e un ebreo che parlavano spagnolo e dicevano che quella era gente cattiva. La nostra barca non andava in modo da poter sfuggire, era molto carica e fu raggiunta. Fra i nostri compagni di viaggio vi erano due gavass, gendarmi,128 che estrassero la loro spada: delle nostre due pistole, senza capsule, non sapevamo che farne, ma i gavass le tenevano alla mano, prendendo la mira per intimorire. Con mio fratello eravamo assisi fra balle di cotone. Da una parte e dall’altra vi erano minacce colle armi e moltissime parole delle quali non si capiva nulla. /73/ Mio fratello Gabriele si tolse il suo anello, che nascose sotto una stuoia e io vi nascosi anche le credenziali129 ed i pochi danari. Tenevamo d’occhio due grossi [pezzi di] legno per difenderci alla meglio se [gli aggressori] capitavano sulla nostra barca. In questo tafferuglio [i marinai della] nostra barca afferrarono il barchetto dove erano i due e uno di questi lo trassero al nostro bordo e lo legarono benissimo. Parlava italiano. Ci raccontò che quelli dell’altra barca erano ladri che [gli] avevano rubato la barca, che essi li inseguivano e che si erano avvicinati alla nostra per aver soccorsi. Nel mar di Marmara non ci sono corsari, ma avviene [non] di raro che rubano le barche ai pescatori ed in quelle i ladri si avvicinano ai barconi che vedono assai carichi: se loro va bene, dopo rubato, arrivano a terra, abbandonano le barche, si disperdono e sfuggono nell’interno. Col prigioniero arrivammo a Rodosto, dove al console italiano, signor Dusi,130 raccontammo / 74 / l’accaduto. La mattina dopo, a cavallo, con una guida partimmo per Adrianopoli, dove arrivammo il secondo giorno. In viaggio mi è caduto due volte il cavallo: una sul secco, l’altra in un fossato nel fango. Fummo obbligati a fermarci per asciugarci. Mio fratello Gabriele, che era di me più lesto, volle cambiare il cavallo e mi diede il suo, migliore: trovavo difficile a montare il cavallo, senza esercizio e agilità, mentre mio fratello vi saliva con un salto senza porre il piede nella staffa, con meraviglia dei Turchi, gente comoda e non agile. Allora non vi erano strade, mancavano in alcuni siti i sentieri, mancavano i punti di [riferimento], sembrava impossibile tenere la strada dritta. Ad Adrianopoli trovammo molti semai, ed erano attoniti che fossimo arrivati soli, così presto, “militari”. A rigore esso indicava in realtà un graduato (chavash o chubashi equivalente a “sergente”) nell’ordinamento militare turco (CZ). 129 Intende: le lettere di credito per qualche banchiere o commerciante di Adrianopoli (NdR). 130 L’episodio si svolge nel 1857 e quindi non poteva trattarsi di un console d’Italia, ma, con tutta probabilità, del console del Regno di Sardegna. Con l’annessione di Genova alla fine del periodo napoleonico, i Savoia avevano ereditato un vasto numero di consolati genovesi, soprattutto nel Mediterraneo orientale, così come l’Austria ne aveva ereditati tanti annettendo i possedimenti dell’ex-Repubblica di Venezia. L’osservazione vale anche per il console Terraneo di Bursa, citato poco prima (CZ). 131 Non è chiaro se si tratti del Giuseppe Sapeto della nota al foglio 193 del dattiloscritto (CZ). 132 “tatic” e “tatigò”. Come tali i termini non sono stati identificati, ma, - ammesso che la trascrizione non li abbia interamente storpiati - sembra probabile una loro connessione con “ati” che nelle parlate turca e greca della zona indicava cavallo e con odigos che in greco moderno indica, generica- Il Diario di Pompeo Mazzocchi 111 senza essere accompagnati da gavass, gendarmi. /75/ Feci conoscenza con certo Sapeto,131 buonissimo signore e mio fratello ebbe la semente da questo Sapeto e vi sorvegliava una sua fabbrica. Acquistò anche[altre] sementi. Ritornai solo da Adrianopoli a Rodosto e a Costantinopoli. Invece di fare il viaggio a cavallo, scelsi una tatic, una vettura senza molle. A metà strada, la vettura si rovesciò da una collina: il tatigò era ubriaco132. Fortuna volle che me ne accorsi ed ero fuori quando rovesciò. Allora, solo, coi cavalli in terra, il conduttore ubriaco - veniva la sera - non sapevo che fare. Montai sopra una vicina collina e stavo guardando se vedevo qualcuno. Avevo [già] perduto le speranze, quando lontano lontano vidi uno a cavallo e col fazzoletto e colle grida procurai di chiamare la sua attenzione. Per una mezz’ora non vidi più alcuno e credei di non essere stato veduto. /76/ Mi portai dove erano i cavalli; mentre procuravo di farli alzare, mi capita d’improvviso un gavass - gendarme - con fuori, in atto di minaccia, una pistola. Era precisamente quello a cavallo che avevo veduto da lontano e credeva [che io fossi] caduto [nelle mani] nei ladri. Veduto di che cosa si trattava, mi fece capire che andava [a cercar] soccorso e sarebbe ritornato. Mi capitò con un pastore e con due cavalli, sopra i quali montai: si fecero alzare i cavalli caduti sotto la tatic e si accompagnò il tatigò ubriaco. Mi ricordo che, nel fare sforzi e battere i cavalli per farli alzare, si era spaventato il cavallo del gavass. Passai la notte sotto la tenda dei pastori ed ebbi caffelatte. Uno di questi sapeva due o tre parole d’inglese che aveva imparato nella guerra di Crimea. Da Costantinopoli mi recai a Madagnà133 e [da lì] a Bursa. A Bursa sospesi la fabbricazione e /77/ Violantina rimpatriò. Il Lanfranchi, senza mio ordine, durante la mia assenza aveva comperato mille once di seme! Non voleva credere che a Bursa vi fosse la malattia troppo avanti. Diceva: “Tutti fanno sementi”. Doveva [far vedere di] essere proprio il più bravo. A Bursa, chiusa la fabbricazione, affittai la casa134 e mi recai a Costantinopoli. Di là [volevo recarmi] a fare una gita in Crimea e se il banchiere Baltaggi non mi avesse fatto perdere troppo tempo per darmi un credito per la Crimea, sarei partito, ma mente, conducente. I termini indicherebbero allora, come del resto si evince dal testo di Pompeo, (una vettura con) cavallo (“tatic”) ed il suo conducente (“tatigò”) (CZ). 133 Mudanya, sulla costa meridionale del Mar di Marmara, poco distante da Bursa (Brussa) di cui era frequentato scalo (CZ). 134 Forse un subaffitto a qualche altro semaio, avendo Pompeo deciso di non confezionare più seme a Bursa (CZ). 135 Parla delle uova di baco da seta (semente) che essi trasportavano in Italia “sgranata”, ovvero sciolta e non attaccata su pannolini di lino o di cotone (“tele”) dove era costume (anche in Italia) farla deporre dalle farfalle, poiché i contadini locali, per risparmiare, ne facevano deporre moltissima su ogni singolo pannolino (per di più non sempre immacolato), in più strati sovrapposti, con il rischio (assai frequente) che nel viaggio, per il calore e l’umidità, una parte delle uova così ammassate cominciassero a schiudere, con conseguente fermentazione e perdita dell’intero lotto di uova. Per tale motivo, i semai italiani più accorti staccavano (“sgranavano”) le uova dai pannolini originari e le spedivano sciolte, rac- 112 Il Diario di Pompeo Mazzocchi mentre aspettavo questo credito, il vapore che doveva portarmi partì Ritornai poi ad Adrianopoli da dove, con mio fratello Gabriele, portai la semente a Costantinopoli. Da Adrianopoli a Costantinopoli abbiamo fatto il viaggio direttamente con due tatic, dei cariaggi senza molle e il viaggio durò 5 giorni. Quanta premura per quella semente sgranata, non attaccata sulle tele, perché non /78/ avesse a fermentarsi e perdersi!135A Costantinopoli facemmo fare delle cassette di latta con molti scompartimenti:136 spese, incomodi, grandissimi pensieri. Finalmente, con circa 3.500 once di Adrianopoli e 1.300 di Bursa, partii in agosto con Gabriele per Trieste assieme ad altri semai. Non faccio descrizioni che sono inutili per lo scopo che mi sono prefisso, e sarebbero sempre al di sotto di quelle che potete leggere da viaggiatori letterati. Solo vi faccio osservare che in questo affare ho avuto molta fortuna, che attribuisco alla mia attività e all’intenso desiderio di riuscire e di essere utile alla famiglia. Mio padre mi aveva mandato a Bursa credendolo il miglior sito per la semente, ma a Bursa ho il dubbio che non abbia a riuscire, e partii con mio fratello Gabriele per /79/ Adrianopoli. Ritorno ad Adrianopoli, ma, temendo di arrivarvi tardi, col fratello vado in un barcone da Costantinopoli a Rodosto sul Mar di Marmara - e allora soffrivo, così come Gabriele, il mal di mare. Questi miei viaggi e tanti miei pensieri, vennero coronati dalla fortuna: la semente di Bursa non riuscì, andò a male per malattia, mentre quella di Adrianopoli 45. Pagina a stampa di un opuscoletto che illustra i timbri andò benissimo, ed i bozzoli identificativi di alcuni lotti di cartoni di una rilevante fornidiedero molta seta, quasi come tura di seme-bachi giapponese (forse un acquisto di Pompeo Mazzocchi). Anni ‘ 70 del 19° secolo. Cm. 12x18. Fondazione quelli bellissimi e buonissimi di Pompeo e Cesare Mazzocchi, Coccaglio, Archivio Storico. chiuse in apposite confezioni, protette e separate con strati di carta e dentro a scatole a scomparti foderate di latta con forellini per l’aereazione (come Mazzocchi indica nel paragrafo immediatamente successivo) (CZ). Il Diario di Pompeo Mazzocchi 113 Bione.137 Se avessi portato tutte sementi di Bursa, i pochi clienti che si conoscevano avrebbero perduto il raccolto e questo commercio che ci fu tanto utile sarebbe morto sul nascere, nel cominciare. Quel Lanfranchi Isacco di Bergamo, che avevo preso come agente per guardare finire la fabbrica a Bursa, quando fu a casa non voleva essere agente, ma socio senza danari, e voleva la sua parte sugli utili. La questione finì da sé, perché mio padre sostenne troppo i prezzi /80/ della semente: 20 lire italiane l’oncia e poi 20 lire austriache l’oncia. Gli altri vendevano a 10 lire, cosicché infine in questa speculazione, che doveva essere buona, vi perdemmo oltre metà del capitale. Mio padre fu anche ingannato138 da alcuni che stimava suoi amici e che dicevano di sostenere i prezzi e che essi li sostenevano. Invece, vendevano al prezzo corrente ed evitavano così la sua concorrenza. Mio padre ebbe [sempre] buonissima vista nell’[iniziare le] speculazioni: vedeva molto prima degli altri cosa conveniva, ma nella vendita non voleva seguire la corrente. Manteneva i suoi prezzi fissi poiché gli sembrava, dopo aver fatto i prezzi alti, di fare una scorrettezza abbassandoli. Così, credendo di fare le cose uguali per tutti, finiva col perderci. Nella primavera avevamo circa ? di seme invenduto. Tutte le tavole - graticci - erano piene di bacolini, ma alla fine, /81/ quasi ogni notte, si finiva col gettare i bacolini nel concime.139 Fortuna ha voluto che la seta venduta andò benissimo, e così pure quella a prodotto che filammo con molto vantaggio, cosicché il male fu minore della paura.140 Si temeva proprio di fallire e di [dover] vendere i nostri fondi,[perchÈ] dal signor Agostino Almici, padre di Ottavio e di Tito, mio padre aveva avuto 50.000 lire italiane.141 Finito il raccolto dei bozzoli, nel 1858 mio padre voleva rinunciare a questo commercio che lo aveva messo sull’orlo di sfigurare e di fallire. [Così io] partii 136 137 Vedi nota precedente (CZ). Bione, in Val Sabbia, sopra Salò. Alcuni dei migliori seme-bachi italiani di prima della pebrina provenivano da località interne di alta collina, com’è il caso di Bione, situato a 600 m.s.l.m. (CZ). 138 Aggiunta a matita, poco chiara (ammattito? ingannato?), sulla cancellatura a matita della parola ignorante del dattiloscritto (NdR). 139 Avendo mancato di vendere tutto il seme acquistato, i Mazzocchi ne usano una parte per aumentare i loro allevamenti, ma, evidentemente, non hanno spazio (i graticci, ossia tavole) sufficiente e sono costretti a gettar via una parte dei nuovi nati (CZ). 140 I Mazzocchi dovevano avere degli allevamenti di bachi in “co-proprietà” con altri, i cui bozzoli e la cui susseguente seta, che essi stessi “filavano”, ossia traevano nelle loro bacinelle, veniva divisa “a prodotto”, ovvero sulla base di una predeterminata quota del prodotto finale. Se l’allevamento era andato bene, i bozzoli risultati erano buoni e la seta prodotta era buona ed abbondante, la quota (“prodotto”) di loro competenza compensava le spese e lasciava un buon margine di guadagno netto, come sembra sia stato il caso di quell’anno (CZ). 141 Èimplicito: come finanziamento per la raccolta di seme-bachi in Turchia nel 1857, per cui restava da restituire il capitale e gli interessi (NdR). 142 Oggi, in croato, Zadar. Zara in realta’Èanch’essa in Dalmazia (NdR). 143 Spalato, in croato Split. La dizione Spalatro riportata da Mazzocchi era una abituale distor- 114 Il Diario di Pompeo Mazzocchi dopo il raccolto di bozzoli - circa il 10 di giugno - con sole 400 lire, per la Dalmazia e per Zara.142 Mi raccomandò di fare sole oncie 200 per la nostra famiglia. Mi disse che mi avrebbe mandato i pochi denari occorrenti, e ora di non averne di disponibili. A Zara non trovai il sito adatto - troppa malattia - e partii per Spalatro,143 Ragusa,144 e /82/ finalmente per Cattaro.145 A Cattaro trovai bachi, crisalidi sane e bozzoli a buon prezzo. La semente sarebbe costata una lira e mezza l’oncia. Io vedevo la convenienza di far seme bachi - c’erano bozzoli bellissimi - ma non avevo danari e avevo ordini di mio padre che non voleva saperne di speculazioni. Allora si dava il seme a prodotto, a 1/5 con 2 lire anticipate.146 Cosicché con le 2 lire il seme era pagato, e vi era probabilità di avere 1/5 del prodotto di utile. A 1/5 era facile tenere il seme e poi, dopo l’abbondanza immensa di seme del 1857, era facile [prevedere] la scarsezza del 1858. Con mio padre, molti [soldi si] erano perduti nel 1857 [quando] vi fu proprio [un’] abbondanza immensa [di seme-bachi estero sul mercato e i prezzi crollarono].147 Solo [il seme-bachi di] Adrianopoli aveva credito e si sarebbe potuto vendere a 10 lire [l’oncia]. Quelli che non avevano l’Adrianopoli [da vendere] finirono tutti con il gettar via [ciò che avevano]. Per queste riflessioni presi in affitto una casa grande a Persagno148. Scrissi a mio padre come stavano le cose, /83/ anzi, telegrafai. Fortuna volle che trovai a Cattaro certo Margola, di già soldato, ed uno che conobbi a Bursa, e colle informazioni di questi e di alcuni che colà trovavansi per seme, potei avere denaro in prestito da certo Millin e Sbuttega di Persagno vicino a Cattaro. Se il seme non conveniva a mio padre, lo avrei dato a loro. Mio padre, sorpreso delle buone nuove che gli avevo telegrafato, mostrò il telegramma al signor Andrea Tonelli, al quale disse: “Non posso speculare perché sione del nome nelle parlate venete delle coste orientali adriatiche, ma appare alle volte anche nella cartografia di allora (CZ). 144 Oggi, in croato, Dubrovnik (CZ). 145 In croato Kotor, all’estremità meridionale della Dalmazia, sbocco al mare del Montenegro. (CZ). 146 Con lo stesso criterio illustrato alla nota 140, il seme-bachi veniva allevato da altri, cui era ceduto gratuitamente o dietro un anticipo modesto, ed il successivo ricavato della vendita dei bozzoli ottenuti diviso per quote (“a prodotto”). In questo caso specifico, 1/5 a chi aveva ceduto il seme-bachi e 4/5 (con tutte le spese a suo carico) per chi aveva allevato i bachi. Se il seme era sano e di qualità (e l’allevatore bravo), il semaio che aveva ceduto il seme “a prodotto” poteva guadagnare anche parecchio di più di quanto non avrebbe avuto a vendere il seme subito, com’è indicato nel testo di Pompeo, dove l’anticipo di 2 lire (per oncia) richiesto dai Mazzocchi agli acquirenti - modesto se paragonato a prezzi di vendita del seme di 10 o più lire - copriva già le loro spese d’acquisto del seme, cui sarebbe andato ad aggiungersi l’1/5 del ricavato finale della vendita dei bozzoli. Il vantaggio per l’allevatore in un tale contratto consisteva nel non dover pagare, o quasi, il seme-bachi, evitando di sborsare preziosi contanti prima del raccolto e nell’avere una certa qual garanzia che il semaio, agganciato al “prodotto” finale, aveva tutto l’interesse a dargli seme sano e scelto bene. Nel periodo della pebrina il contratto “a Il Diario di Pompeo Mazzocchi 115 ho perduto troppo. Speculate voi”. Il signor Tonelli mandò un suo agente, Paolo Scarpetta. Scarpetta capitò a Cattaro e Persagno e subito dopo arrivò mio fratello Giovanni, che mio padre mandò con danari per trattenermi, che non facessi troppa semente. Limitai così la fabbricazione e in tutto portai a casa circa once 2.400 /84/ che costarono, colle spese poste a casa, 1,5 lire austriache [all’oncia]. L’anno 1858 fu l’opposto dell’antecedente, e mancò intieramente il seme. Si dava a prodotto alla metà, e si vendeva con facilità, anche presto, a 15 e 18 lire [all’oncia]. Siccome il seme mancava, un imbroglione di Milano, che si chiamava Ditta Lorenzini, [si faceva prenotare] seme da quelli che gli credevano a 1/5 [a prodotto] e a 2 lire [all’oncia di anticipo], e diceva che aveva tante qualità e che nella primavera avrebbe dato istruzioni sul modo conveniente di acquistar seme, di conservare e di allevare bachi. Era una ditta nuova, questo Lorenzini, e [diceva di avere] qualunque qualità di semi [si volesse]. Alle Basse,149 spinti dalla necessità perché non trovavano seme dalle ditte conosciute e [comunque solo] a patti gravosi,150 moltissimi si rivolsero a lui, ma quando capitò la primavera il Lorenzini fuggì a Londra e si poté vedere che non aveva seme bachi ed era una truffa. Colle 2 lire per oncia [di anticipo] avea incassato una somma riguardevole. /85/ Allora la foglia dei gelsi valeva assai poco, 20 centesimi al peso151 e si prodotto” per il seme-bachi fu molto in voga là dove semaio e allevatore si conoscevano bene (CZ). 147 Le frasi originarie del dattiloscritto in questo capoverso erano prive di significato. Si è cercato di integrarle in questo modo secondo il senso delle frasi che le precedono e le seguono (NdR). 148 Persagno (Perzagno), oggi Perçani, nella parte più interna della baia di Cattaro. Era scalo di una certa importanza (CZ). 149 Intende le aree pianeggianti della provincia di Brescia (NdR). 150 Come Pompeo dice poche righe prima, i semai davano nel 1858 il seme a prodotto al 50% (contro l’1/5 dell’anno precedente). Sul sistema “a prodotto” vedi sopra, nota 146 (CZ). 151 Vedi sopra, nota 38 (NdR). 152 Vuol forse dire che i proprietari dei gelsi concedevano quell’anno anche gratis la sfrondatura delle piante esistenti lungo i bordi dei campi piantati a mais (“formentone”). L’ombra del gelso ostacolava infatti la crescita di alcuni prodotti - in particolare dell’assai esigente mais - e in un anno come quello, dove c’era meno richiesta di foglia a causa della scarsezza del seme-bachi messo in vendita, i coltivatori di mais erano disposti a cederla a poco o nulla (CZ). 153 Durante la pebrina gli allevatori che se lo potevano permettere, mettevano a nascere molta più semente che nel passato, scontando il fatto che una parte non sarebbe giunta a compiere il bozzolo. Nel caso dei Mazzocchi (che dispongono di seme-bachi importato da loro stessi) se ne mette in allevamento, come dice Pompeo, “forse il doppio” (CZ). 154 Vedi sopra, nota 72 (NdR). 155 Dello e Barbariga, centri rurali a SO di Brescia, tra Orzinuovi e Manerbio. “Francesano” è forse errata trascrizione per Frontignano, nella stessa zona, mentre esiste Rudiano (sull’Oglio, presso Chiari), ma anche Pudiano, vicino agli altri tre (NdR). 156 Dovrebbe trattarsi del possidente di Coccaglio Gasparo Monauni. Pompeo lo cita facendo riferimento all’“Ospitale” per vecchi bisognosi che venne attrezzato dopo la morte del Monauni (1861) con le sue generose disposizioni testamentarie. L’ente di carità voluto dal Monauni è ancora attivo ed è oggi il Centro Diurno Gaspare Monauni di Coccaglio (NdR). 157 Bargnano è situato vicino ad Orzinuovi, in direzione di Brescia. Dovrebbe trattarsi di pro- 116 Il Diario di Pompeo Mazzocchi sfrondava anche per nulla nel formentone.152 Sempre alcune provenienze [di semebachi] fallivano, [perciò] mio padre coltivava grande quantità di bachi, forse il doppio,153 cosicché con 80 pelini154 e più sfrondavo la foglia. Visitai quasi tutti i paesi delle Basse: Dello, Barbariga, Francesano, ecc., Rudiano,155 ecc. Acquistavo quella di Monauni dell’Ospitale156; un anno [acquistai] quella di Bargnano, del Conte Dandolo,157 per pesi 18.000. In quell’anno ebbimo la grandine in maggio. A Cossirano158 dormii sul fienile Gatti coi pelini. I Gatti arrivarono alle 11 di sera e con la lanterna si pesava la foglia nei campi. Ero aiutato da Gabriele; Giovanni, 46. Cesare Mazzocchi nel cortile di casa a Coccaglio. Inizii del ‘900. Per gentile conallora, era giovine. cessione degli eredi. Nel 1859 avrei dovuto ritornare a Cattaro, ma vi erano minaccie di guerra fra il Piemonte e l’Austria; poi, temevo che la malattia poteva essere andata avanti. A /86/ Cattaro e Monte Nero159 il raccolto è assai tardivo, cosicché credetti bene di recarmi presto a Valenza,160 in Spagna e a Majorca, nelle isole Baleari. Se Majorca non era conveniente, sarei ritornato a Cattaro. Ritorno indietro un passo. Quando mi trovai a Cattaro acquistai bozzoli del vicino Monte Nero, al quale poi feci una gita a Cetigne161 e al Principe Danilo162 con Scarpetta, un certo Lanzani Luigi163 e Pietro Farina. Il Principe Danilo ci domandò di che Paese eravamo. Lanzani rispose in francese: “Autrichien pour notre malheur”164. Rispose il principe: “Mon âmi Napoleon viendrà bientôt vous delivrér”165. Si è verificata questa profezia, che allora sembrava ridicola, presuntuosa. Quando feci questa gita sembrava arrischiata, dicevano prietà degli eredi del Conte Vincenzo Dandolo (1758-1819), personaggio politico di spicco nell’Italia napoleonica - fu Provveditore della Dalmazia per il Regno d’Italia dal 1805 al 1809 - scienziato ed autore di un trattato di bacologia razionale che fu tra i più famosi del XIX secolo con numerose edizioni in Francia, in Inghilterra e negli Stati Uniti (CZ). 158 Cossirano, tra Chiari e Orzinuovi (NdR). 159 Intende il Montenegro (Crna Gora), oggi parte della ex-Jugoslavia. (CZ). 160 Valencia (NdR). 161 Cetinje, a lungo capitale del Montenegro (CZ). 162 Danilo II della dinastia dei Petroviç-Njegos, resse il Montenegro dal 1851 al 1860 (CZ). 163 Su questo importante semaio lombardo vedi Introduzione (CZ). 164 “Austriaci, per nostra sfortuna” (NdR). Il Diario di Pompeo Mazzocchi 117 che ci avrebbero ammazzati, tagliato il naso e altre storie. Scarpetta prima fece testamento. /87/ Ho detto questo perché pochi sono stati a Cetigne, capitale del Montenero e perché mi ricordo con piacere di questa gita. Potrei dire altre cose, ma le taccio per brevità. Nel 1859 mi recai a Valenza [Valencia], non dopo il nostro raccolto, perché là il raccolto succede alla metà di maggio, ma presto, alla fine di marzo o ai primi di aprile. Mi fermai circa 20 giorni fra Valenza, Carcaiente166 e Cativa,167 poi mi recai a Palma di Majorca. A Palma mi raccomandai al console austriaco, che era anche banchiere sotto la Ditta Vedova di Humbert e figli. Non trovai il sito adatto, per la malattia nei bachi vicino a Palma e per l’eccessivo prezzo. Mi portai [perciò] a Inca,168 in mezzo all’isola. Il suddetto Humbert mi diede il suo domestico Miguel, buonissimo uomo, per aiutarmi come domestico. Ad Inca presi in affitto un convento, ma dopo 15 giorni, avendo trovato più conveniente il paese di /88/ Pollenza,169 a Nord dell’isola, lasciai Inca e mi recai a Pollenza. Partivo da Inca sopra un carretto, coi pochi attrezzi per far semi, quando fui raggiunto da un buon prete tutto anelante, che mi disse: “Cosa crede usted que jo sea un judio de tenerme todo el dinero? Usted no ha sido en mi casa que 15 dias”170. Mi domandò perché partivo, poi mi rese oltre la metà del danaro che gli avevo dato per l’affitto. Non posso dir male dei spagnuoli, e molto meno dei majorchini. I preti pure li trovai assai buoni, gentili, e questo ne è la prova. A Pollensa mi venne dato gratis un convento disabitato per far seme; alloggiai da un fruttaiolo, perché non c’erano alberghi e così avrei mangiato frutti con mio comodo, che mi piacevano assai. Che buona gente, che brava gente, onestissimi. Sono stato anche a Nanalov [Manacor]171 e Arta,172 /89/ dove visitai due volte la grotta, e poi a Soller,173 dove sono i migliori aranci. Vicino ad Intra [Inca]174 vi era un olivo di oltre due metri di diametro, la campagna coperta di ulivi, fichi, uva, ecc.: per il clima, per i prodotti, un paradiso terrestre. Vicino a Pollensa vi era un monticello che chiamavano il Calvary e io vi salivo a passeggio; sopra vi era una chiesola, dall’altro lato del paese vi era un altro monte scosceso detto il Puig,175 sul quale vi era un santuario alla Madonna. Credevasi fosse comparsa su quel monte. Vi era grande divozione alla Madre di Dio. Scrissi sul monte Calvary questo sonetto: 165 166 “Il mio amico Napoleone [III] verrà presto a liberarvi” (NdR). Carcagente, poco a sud di Valencia, in area allora ricca di gelsi e di allevamenti di bachi (CZ). 167 Játiva, cittadina a sud di Valencia, tra le prime a conoscere l’espansione sericola in quelle zone sin dal XV secolo (CZ). 168 Inca, nell’isola di Majorca (Mallorca) (NdR). 169 Pollensa, nella zona settentrionale dell’isola di Majorca (Mallorca) (NdR). 118 Il Diario di Pompeo Mazzocchi Dal Colle del Calvario io ti rimiro O Pollenza gentil che il sole indora E l’alto Puig su cui fece dimora La Vergin santa che lasciò l’empiro /90/ E i bianchi tetti, il fico ed il palmiro E la mandorla che primiera infiora E il sacro Tempio ove il Signor indora E tutto è bello ovunque il guardo giro Contemplo pure l’infinito mare E gli alti monti, e timido e sorpreso La mano adoro del Divino Autore, E quando in patria allo paterno lare Racconterò ciò che ho visto, inteso Dolce ricordo molcerammi il core. I bozzoli erano sani e belli, però, per la concorrenza della vicina Valencia (vi erano moltissimi semai di Murcia e Valencia), si pagavano dalle 6 alle 7 pezzetta [pesetas]. La peseta valeva 1, 25 lire. La libra equivaleva? Kg. circa. Fabbricai circa 2.000 once di seme, /91/ che riuscì benissimo. Seppi in questo sito, a Pollensa, delle vittorie di Magenta e di Solferino176 ed ero spiacentissimo di trovarmi lontano. Avendo passaporto austriaco, mi dicevano che avrei avuto difficoltà ad attraversare Marsiglia. Vi erano, non a Pollensa, ma nell’isola, due o tre italiani, per seme, e alcuni francesi; il resto [dei semai veniva] da Valencia e Murcia. Ritornai tardi col seme, in agosto. Trovai i francesi che lasciavano l’Italia dopo Solferino e mio padre poté vendere a 18 lire e fino a 20 lire questa semente che era ricercata e riuscì benissimo.177 Questa semente, essendo riuscita, è stato un 170 “Cosa crede, signore, che io sia un ebreo e mi tenga tutti i soldi? Lei non è rimasto a casa mia che 15 giorni” (NdR). 171 Nanalov dovrebbe essere il prodotto di una serie di sviste ortografiche del dattiloscritto per il paese di Manacor, nella parte centrale dell’isola di Majorca (Mallorca) (CZ). 172 Artá, nell’isola di Majorca (Mallorca) (NdR). 173 Soller, presso la costa di NO dell’isola di Majorca (Mallorca) (NdR). 174 Anche questo sembra un evidente errore ortografico del dattiloscritto (NdR). 175 In catalano indica “picco” montano (CZ). 176 Magenta (4 giugno 1859) e Solferino (24 giungo 1859), vittorie dei franco-piemontesi contro gli austriaci nella Seconda Guerra d’Indipendenza (NdR). 177 Considerando che una libbra italiana (da ca. 320 gr.) di bozzoli dava, in media, un’oncia di seme, si può valutare approssimativamente l’utile lordo della spedizione (considerando che tutte le 2000 once riportate fossero vendute) in 26.000 - 30.000 lire, di fronte ad un investimento, per l’acquisto di 2000 Il Diario di Pompeo Mazzocchi 119 47. Ritratto di Gabriele Mazzocchi, fratello di Pompeo, in divisa da garibaldino. Circa 1866. Copia per gentile concessione degli eredi. 120 Il Diario di Pompeo Mazzocchi gran utile, perché mio padre coltivava il doppio, o quasi il doppio di semente e acquistava la foglia a prezzi vilissimi. L’anno 1860, per tema che, alle volte, la semente di Maiorca andasse male, scrissi a Candia178 al console di Canea179 per avere informazioni di quel sito: ebbi buonissime /92/ nuove, e così mio fratello Gabriele, con Bortolo Almici, si recò a Candia, dove assieme fabbricarono circa 5.000 once. Fra Bortolo e Gabriele (vi era con Gabriele un buonissimo e bravissimo giovine, Giuseppe Facchetti) vi furono differenze, litigi, commedie e quando capitarono a casa colla semente vi fu un’altra questione per la divisione del seme. Il seme doveva essere diviso a metà, ma Bortolo e i suoi fratelli ne vollero in più e, per 300 once di seme, dissapori e dicerie infinite. Infine, malgrado tutte le apparenze di sanità, questo seme nel 1861 andò tutto a male. Credo sia andato a male non per la malattia, ma perché in Candia si coltivava il gelso nero,180 il gelso differente; poi, erano bachi ai quali occorreva aria, non fuoco,181 e occorrevano altre cure. Come dissi, nel 1860 mio fratello andò a Canea, sull’isola di Candia, con Bortolo Almici e Facchetti Giuseppe bigattino,182 ed io mi recai di nuovo a Maiorca e Pollensa. /93/ Mio padre, ricevute buone notizie della farfallazione, avvisò Vincenzo Almici di qui (che aveva 17 anni, bravissimo giovine, pieno di talento e di memoria, che non ancora si era guastato col troppo positivismo nel suo lungo soggiorno che fece all’età di 22 anni in Inghilterra) e venne a trovarmi a Pollensa. Arrivò un giorno che si festeggiava S. Luigi, e fu per me un grandissimo piacere. La mia fabbricazione era finita, e acquistai per lui un po’di semi. libbre (italiane) di bozzoli, di circa 10.000 lire, oltre, ovviamente le spese di viaggio e personali di Pompeo e le spese generali dell’organizzazione di vendita (CZ). 178 Iráklion, capitale dell’isola di Creta. Candia era l’antico nome veneziano della città, rimasto a lungo nell’uso corrente anche come sinonimo dell’isola stessa (e pare sia in quest’ultima accezione che lo usi Mazzocchi) (CZ). 179 Khánia, sulla costa settentrionale di Creta (CZ). 180 Gelso nero (Morus Nigra). È il gelso indigeno del Mediterraneo, dove esisteva ben prima che vi si praticasse la sericoltura. Può essere usato per nutrire i bachi da seta e come tale venne impiegato sin da quando il baco da seta venne introdotto nel Mediterraneo (nel VI sec. d. C., secondo il racconto di Procopio di Cesarea e di Teofane bizantino). Agli inizi del XV secolo arrivò in Italia il gelso bianco (Morus Alba), di origine cinese, più duttile alle potature ed agli innesti, di molto più facile propagazione e più capace di addattarsi a suoli e climi diversi. Non è semplice distinguere una pianta dall’altra, un buon indizio essendo le more, più grandi ed esclusivamente viola scurissimo nel Nigra mentre possono essere sia bianche che viola nell’Alba. Il gelso bianco, di uso più semplice e di coltivazione più economica, gradualmente soppiantò i vecchi gelsi neri un po’ovunque ed ai tempi di Mazzocchi se ne potevano ancora trovare di quest’ultimi in Italia meridionale ed in qualche altra area, come in Grecia. La foglia del gelso nero, più ruvida e con una composizione nutritiva lievemente diversa, ha in effetti qualche influenza sulla qualità della bava serica del baco che, per le richieste prevalenti nel mercato del XIX secolo, ne sconsigliavano l’uso sistematico, mentre era stata molto apprezzata sino agli inizi del secolo precedente (CZ). 181 Mazzocchi si riferisce all’uso, molto discusso nella letteratura tecnica dell’epoca, di tenere artificialmente alta la temperatura nei locali di allevamento, in Italia settentrionale con stufe o caminetti (“fuoco”), altrove, come a Creta, tenendo sempre chiuse le finestre e le porte delle stanze ove si allevava Il Diario di Pompeo Mazzocchi 121 Un certo Rugardi, di Soresina, aveva portato con sé a Palma un bigattino, certo Donizetti, che presi poi al mio servizio, e non ebbi a pagargli altro che il viaggio di ritorno e 2 lire al giorno. A Pollenza quell’anno vi capitò anche un cremonese che fece pochissime sementi. La semente da me fatta a Pollensa nel 1860 mi costò circa 7 lire all’oncia; una libbra di bozzoli si pagava 7 pezzetta [pesetas], ma /94/ riuscì benissimo, e fu l’arca di Noè che ci salvò dal naufragio di quella di Candia. Nell’andata a Pollensa, in quell’anno, toccai Marsiglia, e mi recai a Nimes e a St Ambroix183 dove avevo conoscenza con alcuni semai che avevo conosciuti a Palma nel 1859. Nel 1860 ebbi d’avanzo, finita l’operazione in semente, 4.000 lire circa. All’albergo, un signore mi offerse 4 biglietti da mille della Banca di Francia; mi recai da Humbert, banchiere, per lo scambio ed egli mi disse che era un’imprudenza fare uno scambio con uno sconosciuto. Mi diede invece una credenziale sopra Parigi, che cedetti poi a Bergamo, ai fratelli Almici. Seppi poi che un semaio francese che era all’albergo scambiò danaro con questi biglietti, ma arrivato a Marsiglia, ebbe la sorpresa, nel realizzarli, di sentire che erano falsi. Guardatevi sempre dai forestieri, dalle persone che non conoscete, malgrado le apparenze più lusinghiere. /95/ Nel 1861 si credeva che la semente di Candia avesse a riuscire benissimo e costava 3 lire l’oncia, mentre la maiorchina costava 7 lire. Mi recai col bigattino Franchetti184 a Canea alla fine di marzo, per stipulare contratti anticipati. Fortunatamente feci questi contratti condizionati, e quando mi capitò in telegramma che la semente di Candia era andata male, potei incassare i danari anticipati185 e partii per Costantinopoli - Custange186 - Varna 187- Butschuk188 e mi recai in Bulgaria a Tirnova189 e Gabrova.190 Come me, fuggenti da Canea, isola di il baco. Quest’ultima pratica - condannatissima dalla bacologia scientifica, ma di fatto assai diffusa sopratutto tra i contadini poveri - rendeva minima l’aereazione dei locali (“aria”) ed era causa frequente sia di malattie dei bachi, sia di carenze ambientali che davano bachi deboli e bozzoli imperfetti (CZ). 182 Allevatore di bachi da seta (bigatti) (CZ). 183 Cosi’corretta l’errata trascrizione nel dattiloscritto (Nambroix). St. Ambroix era un noto centro sericolo, tra le Cevennes e l’Ardéche, una sessantina di km a NO di Nimes (CZ). 184 Dovrebbe trattarsi della stessa persona indicata poco sopra come “Facchetti”. Non è stato possibile identificarlo (NdR). 185 Pompeo si riferisce alla pratica di pagare un anticipo ai fornitori di bozzoli per semente, con la condizione che una piccola parte del seme appena prodotto e subito spedito in Italia, venisse colà sottoposto a prove precoci di allevamento (ovvero schiuso con molto anticipo per mezzo del calore artificiale) oppure controllato con test con il microscopio. Nel caso che queste prove fallissero - come fu il caso in quell’occasione - il denaro anticipato veniva restituito (CZ). 186 La trascrizione è dubbia: forse si tratta di Costanza, porto rumeno sul Mar Nero, salvo che Pompeo non si confonda con un viaggio precedente e allora potrebbe essere Kistanje, nella Dalmazia centrale, tra Sebenico e Knin, in zona dove si produceva un po’di seme-bachi (CZ). 187 Varna, il maggiore porto della Bulgaria, sul Mar Nero (CZ). 18 Forse Böyük, località di montagna nell’attuale Bulgaria meridionale, sotto Burgas, ai confini con la Turchia europea (CZ). 122 Il Diario di Pompeo Mazzocchi Candia, vi erano Bortolo Almici ed altri italiani che colà si erano recati colla lusinga di fare buona semente. Mio padre, da Testa, ora marito di mia sorella Violantina, aveva avuto della semente di Kilifar,191 Selvi192 e Gabrova, in Bulgaria, e mi aveva telegrafato di recarmi in Bulgaria, che sembrava la più sana e di non fare più di 2.200 once - non di più - ma se mi fossero occorsi danari per /96/ fare tale quantità me li avrebbe mandati a Kilifar. A Gabrova non trovai il sito adatto [a far seme], e mi portai a Selvi. Quella semente dava bozzoli grossi e ordinarissimi, ma fu Selvi la località in Bulgaria che resistette più alla malattia. La semente non costava da loro che 1/2 lira l’oncia, e per questo spinsi la fabbricazione in modo d’impiegare [tutti] i danari che avevo e feci circa once 5.000 e più. Siccome mio padre era persuaso d’impiegare quella tal somma (il rischio consisteva nella somma, non nella quantità di semente), mi approfittai del sito buono e della convenienza, e, come dissi, feci oltre 5.000 once. Questa semente riuscì benissimo e in media mio padre ricavò 5,5 lire l’oncia; la diede a vendita e a prodotto193. Avevo tre case per la fabbricazione e tutto andò regolarmente. Nel 1862 ripetei l’istesso viaggio; avevo messo una fabbrica a Tirnova, che levai subito per la malattia e mi attenni /97/ a Selvi. In quest’anno, oltre al signor Sacchetti [Facchetti], avevo con me Domenico Mazzocchi di Francesco, buonissimo e bravissimo giovine, ora morto.194 Mi ricordo che feci farfallare 450 pesi di bozzoli, oltre 3.200 Kg. Anche questa semente andò benissimo, costò pochissimo, 1,5 lire, e si ricavò in media non meno di 5 lire. Mio padre ne vendette circa once 2.000 a Cavons195 a 5 lire, e a 6 lire ne diede oltre mille once a Ostiano e Gabbioneta,196 a prodotto, e tutta fu venduta, o data a prodotto, con esito felicissimo. Ho messo il ricavo 5 lire, ma bene deve essere stato in media di più. Oltre [che nella] nostra filanda, 189 Tirnova, oggi Zlati-Dol, lungo la Marica, nella Bulgaria meridionale (allora conosciuta come Rumelia) (CZ). 190 Oggi Gabrovo, nelle montagne della Bulgaria centrale (CZ). 191 Kilifarevo, nelle montagne della Bulgaria centrale, piùa ovest di Gabrovo (CZ). 19 Sevlijevo (Selvi). Oggi Sevlievo. Nelle montagne della Bulgaria centrale, a ovest di Gabrovo. Selvi è citata in una circolare a stampa di Andrea Mazzocchi ai suoi clienti - v. nota 38 dell’Introduzione (CZ). 193 Anche in questo caso la resa della “speculazione” fu eccellente: contro un investimento di circa 2.500 lire per il seme, si ebbe un utile lordo di almeno 27.500 lire, senza contare la quota “a prodotto”. Vanno naturalmente detratte tutte le altre spese generali, di viaggio, trasporti, assicurazione, permanenza, salario a bigattini e servitori e le spese di pubblicità, posta e distribuzione ai committenti, oltre all’interesse sul capitale immobilizzato. Si potrebbe pertanto ipotizzare un utile netto nell’ordine di almeno 25.000 lire (CZ). 194 Deve certamente trattarsi di Domenico Mazzocchi (1828-1883), di Coccaglio, figlio di Francesco Mazzocchi e di Margherita Andreoli (NdR). 195 Località o nome di persona non identificabile (NdR). 196 Ostiano e Gabbioneta, due paesi sulle rive opposte dell’Oglio ad una ventina di Km a NE di Cremona (NdR). 197 Una delle due regioni storiche, assieme alla Moldavia, che, indipendenti e unite di fatto a partire dal 1859, costituirono nel 1861 la Romania. Tra le carte geografiche di Pompeo Mazzocchi ve n’è una, molto grande e molto dettagliata, della Valacchia e della Moldavia pubblicata nel 1861 dal servizio Il Diario di Pompeo Mazzocchi 123 Scarpetta filava a lungo per conto nostro in casa Tonelli. Pure nel 1862 lasciai i bigattini, Domenico Mazzocchi e Facchetti, a Selvi e dopo avviata la fabbricazione, [essendo] tutto in regola, mi portai in Valacchia,197 a Bucarest, dove avevo sentito esserci bellissimi bozzoli /98/ e che erano riusciti assai bene. Nel 1862 conobbi a Bucarest il signor Enrico Andreossi198 col quale acquistai una fabbrica avviata a metà.199 Gli diedi un bigattino, Donizetti, per aiutarlo, ed io ritornai in Bulgaria, a Selvi, dove trasportai il seme e feci il viaggio di ritorno coi miei bigattini, Domenico Mazzocchi e il signor Franchetti [Facchetti]. Tutta la semente fatta a Selvi, oltre 24.000 [once] e circa 21.500 [once], fatta a Bucarest, riuscì benissimo200. Ebbi anche grandissima fortuna a Bucarest di fare conoscenza col signor Enrico Andreossi. Nel 1863 ritornai a Bucarest con Begni Giovanni Maria di qui. Giovannino mio fratello si recò a Selvi con Domenico Mazzocchi e Giuseppe Facchetti. A Selvi si era tentata una coltivazione di bozzoli di Bucarest. A Bucarest [però] mi sembrava avesse progredito la malattia, [perciò] mi recai a Pitesti,201 /99/ al nord, dove vi era l’ingegnere Bellini, e feci circa once 2.000. Quella semente riuscì benissimo, quella di Bucarest andò male per once 7.000 e così quella di Selvi fatta da mio fratello, sia coi bozzoli indigeni sia coi bozzoli [per] semente introdottivi da Bucarest202. Anche questa volta la fortuna mi arrise. Nel 1864, valendomi della relazione fatta a Bucarest coll’Andreossi e vedendo che non si poteva avere la buona semente né in Europa, né nei paesi di Turchia ecc., mi cartografico austriaco e che Mazzocchi deve aver usato nei suoi viaggi in Romania del 1862 e del 1863 (CZ). 198 Su Enrico Andreossi, una delle più importanti figure di semaio e di imprenditore serico dell’epoca, vedi testo e nota 18 della Introduzione (CZ). 199 Intende un’allevamento appena avviato di bachi da seta in un edificio (“fabbrica”) costruito o addattato all’uopo (CZ). 200 Salvo che non si tratti di un errore di trascrizione nel dattiloscritto, si deve notare come il volume d’affari dei Mazzocchi si sia allora pressoché decuplicato rispetto agli anni precedenti (CZ). 201 Pitesci (Piteschi), nell’allora Valacchia. Oggi Pitesti, a N-O di Bucarest, in Romania (CZ). 202 Mazzocchi si riferisce ad una pratica molto frequente tra i semai di quel periodo, quella di provare sistematicamente a far schiudere bozzoli e/o seme-bachi proveniente da una certa zona ove si stava manifestando la malattia in una zona diversa (ad esempio per clima ed altimetria) e sana, nella speranza di evitare o ritardare la diffusione della pebrina, oppure quella di portare seme delle antiche e pregiatissime razze italiane, ormai del tutto inutilizzabili, in zone ancora immuni, nell’illusione di poterle riprodurre colà su vasta scala. In realtà furono proprio queste pratiche di trasferimento di semente, della cui sanità non si poteva davvero esser sicuri (se non con una difficile, costosa e minuziosa analisi microscopica), ad accelerare la diffusione della epidemia e ad estenderla a macchia d’olio in tanti paesi, poiché seme-bachi che all’ispezione esterna poteva sembrare ancora sano, ma che conteneva già il microrganismo patogeno, veniva introdotto nei locali di allevamento di zone non ancora infette o poco colpite, facendo scattare l’infezione generale. Uno dei motivi che concorrono a spiegare il basso grado di infezione da pebrina degli allevamenti giapponesi, è dato dalla diffidenza e dall’opposizione degli allevatori giapponesi (e delle autorità) a che i semai europei potessero scorazzare liberamente nel paese, “farsi il seme” da sé e fare esperimenti come quello qui indicato, come erano stati abituati a fare, senza alcun controllo, nei Balcani o nel Vicino oriente. Sullo specifico fallimento della semente di Bucarest 124 Il Diario di Pompeo Mazzocchi 48. I Mazzocchi nel cortile di casa. Da sinistra: Mario, Adele, Camilla, Pompeo, la governante, Tito e Cesare. Verso il 1910. Fondazione Pompeo e Cesare Mazzocchi, Coccaglio, Archivio Storico. decisi, come agente, di servire l’Andreossi nel suo primo viaggio in Giappone. Allora non vi erano strade in Bulgaria: si viaggiava a cavallo, nei tuguri detti can203 - specie d’osterie - infestate da cimici, pulci e pidocchi, cosicché, se il tempo lo permetteva, si preferiva dormire fuori dai paesi, mentre i cavalli pascolavano. In Valacchia non vi erano strade colla ghiaia, ma essendo un paese piano si poteva usare la vettura detta birgia204 dove /100/ si attaccavano al pari 3 cavalli, con molto incomodo, scosse e molta spesa. In Valacchia visitai Ploeschi,205 e a Bargis206 le saline, le cave di sale. Vicino a Bargis c’è sale mezzo nero. In questi viaggi passai alcuni giorni a Budapest e nove giorni a Vienna, dove allora si cominciava il teatro nuovo. Riassumo le località e i siti dove ho confezionati seme bachi per conto di mio padre prima di recarmi nel Giappone per l’Andreossi Enrico, [partendo] nel 1864 al 9 di gennaio. Riassunto 1855 S. Maria Hoè,207 portai i bozzoli a casa. 1856 Casarsa, Udine, Conegliano, Spilimbergo, Feltre. Portai i bozzoli di Spilimbergo e di Casarsa a casa. Spezia, Lugano208 portata a Selvi e qui sopra citato nel testo del Diario, si veda anche la nota 38 dell’Introduzione (CZ). 203 “han”, locanda, dal persiano “khan”. Mazzocchi traspone in “c” dura la “h” di tipo faringale del termine che aveva solo udito pronunciare (CZ). 204 Il termine rumeno è birjâ, vettura pubblica (con cocchiere) (CZ). 205 Oggi Ploiesti, Romania a N-E di Bucarest (CZ). 206 Località non identificata (NdR). Il Diario di Pompeo Mazzocchi 125 1857 Bursa e Adrianopoli 1858 Cattaro, Persagno 1859 Isola di Maiorca, Pollensa 1860 Isola di Maiorca, Pollensa /101/ 1861 Candia, Canea, che lasciai per Bulgaria e Selvi 1862 Selvi, Bulgaria, vicino ai [Monti] Balcani e Bucarest, Valacchia, in società col signor Enrico Andreossi 1863 Bucarest, che abbandonai per Pitesti, al Nord della Valacchia Mio padre ebbe delle sementi di Spezia anche 4 o 5 anni dopo; dopo fallì209 Ora vi racconterò qualche cosa dei miei viaggi all’Estremo Oriente: 15 viaggi in Nord China e al Giappone; Hakodadi [Hakodate],210 Yokohama: 1864, ‘65, ‘68, ‘69, ‘70, ‘71, ‘72, ‘73, ‘74, ‘75, ‘76, ‘77, ‘78, ‘79, ‘80 in tutti miglia 315.000. Segue. /102/ 27 ottobre 1893 Ho incominciato queste memorie nel 1887, e solo adesso le proseguo.Quanti cambiamenti e rovine! È morto il mio povero padre il 17 gennaio 1892 e mio fratello Gabriele il 18 agosto prossimo passato. Sono restato come una pianta senza rami, come quelle che rimangono dopo incendiato il bosco. Ho il conforto della moglie, dei figli e degli amici. Oltre a questi malanni, soffersi in ottobre 1889 e per oltre 3 anni, di un male alla gamba sinistra detto flebite. Anche adesso la sera ho la gamba più grossa e sotto il piede dei calli. Cambiai diversi medici: non credo che mi abbiano giovato molto, uno contraddiceva l’altro; il meglio si è di vivere secondo l’igiene, con regola, e se la malattia si presenta grave o con nomi nuovi, chiamare subito uno dei 207 208 S. Maria Hoè, in Brianza, una quindicina di km a S di Lecco (NdR). A Lugano confezionai circa once 400, a metà col signor Francesco Lelio Almici, ma riuscii male. Alla Spezia diedi ordinazioni a certo barone Federici e riuscì assai bene, una meraviglia: bozzoli bianchi color perla. Nota di Pompeo Mazzocchi (NdR). 209 Il seme-bachi acquistato in aree ritenute ancora immuni o da allevatori particolarmente valutati per la sanità del loro prodotto, se effettivamente sano (e solo un accurato esame campionario al microscopio poteva dare delle garanzie), avrebbe dato un primo prodotto buono, ma, di solito, veniva contagiato dall’infezione già alla successiva riproduzione. In rari casi si potevano avere più riproduzioni consecutive sane - 4 o 5 erano una vera eccezione - prima che la malattia apparisse. Tali risultati, più che derivare dalle qualità intrinseche del seme-bachi stesso, erano conseguenza della capacità - inevitabilmente limitata - di tener il seme buono totalmente isolato da quello infetto e/o da attrezzature contaminate: pochissimi ci riuscivano per più di qualche anno (CZ). 126 Il Diario di Pompeo Mazzocchi primi medici e, presente il medico curante, seguire /103/ la cura indicata. Oltre questi mali irreparabili, ne ebbi altri! Nell’invecchiare sarebbe cosa così bella il vivere tranquilli, e coi mali soli inerenti all’età. Invece, un pensiero, l’altro, dopo un male, un altro, quasiché sieno necessari per discendere nella tomba e lasciare la famiglia più rassegnata! Non basta l’età per farci morire! Mio padre era buono, bravo, istruito, assai regolato, attivo, amante dei suoi figli, un nome esemplare. Mia madre fu un modello di perfezione, non solo madre, ma fu serva per i suoi figli. Quante cure per noi! Che Iddio li benedica! Che possa rivederli nell’altra vita! Mio padre ereditò poca cosa da suo [padre]. Fabbricò la casa che confina coll’ortaglia e fece molte spese utili, ma [per] queste [spese] e per [quelle per] i buoni contratti [di acquisto e di affitto di terreni], allargandosi /104/ oltre i suoi mezzi, fece molti debiti211. Da piccolo mi prendeva insieme [a lui e mi portava] a pagare gl’interessi. Questo mi impressionò molto: non ebbi, crescendo, altro in mente che di trovare il modo di pagare debiti. Di quello che feci per la famiglia, me ne conforto adesso. Ho raccolto dei dispiaceri, dei disinganni, ma questi si dileguano, vanno perdendosi e mi resta la consolazione, direi eterna, di essere stato utile, non solo a me e quindi alla mia famiglia, ma anche ai fratelli, alle sorelle, a tutti. Ho migliorato la mia posizione e quella della mia famiglia col commercio del seme bachi, e siccome il seme bachi da me portato è sempre riuscito, ho portato la mia fortuna in un numero grandissimo di famiglie. Il pensiero che avevo dominante di pagare i debiti di mio padre non mi fece correre come volontario sotto Garibaldi. Forse avrei avuto il coraggio, vedendo che non mi è mancato in altre /105/ occasioni, ma essendo assenti i miei fratelli Giovanni e Gabriele (Giovanni ritornò presto, ammalato) restai a casa, mortificato, occupato per i bachi, per la foglia, per le viti, per le faccende domestiche, specialmente di Torbole. Come avete veduto, carissimi figli, dal 1857, [anno] nel quale mi recai a Bursa (Anatolia) e ad Adrianopoli, sino al 1880, meno due anni (1866 e 1867), sono sempre stato assente e nel tempo che ero in Patria, lo passavo quasi sempre a Torbole per aiutare il fratello Gabriele. A Coccaglio stava mio padre. Avevamo allora 30 piò [di proprietà] a Torbole con [altri] 351 [piò di] affittanze212. Ecco cosa avvenne. Mio padre, a Coccaglio, fu sempre, nelle poche faccende che aveva, coadiuvato 210 Hakodadi era una delle trascrizioni in uso ai tempi di Pompeo Mazzocchi per il porto dell’isola settentrionale di Hokkaido. Oggi si usa Hakodate. Hakodate era uno dei porti “aperti” del Giappone, strategicamente importante per le potenze occidentali e per la Russia perchè controllava lo stretto che Il Diario di Pompeo Mazzocchi 127 49. Veduta di Calcutta. Prima metà del 19° secolo. Collezione privata. dal fratello Giovanni. Mio fratello Giovanni spendeva piuttosto bene, ma si dimostrava interessato e attento. A poco a poco mio padre ebbe una certa predilezione per Giovanni, aumentata anche perché portava il nome /106/ di suo padre, Giovanni, e perché mio padre, solo, sapeva quanto io avevo guadagnato. A mio padre sembrava e credeva giusto di favorire mio fratello Giovanni perché figurava come ramo principale nella casa paterna, perché io mi ero fatto un patrimonio bastevole e perché Gabriele era solo; e gli sembrava trascurato, troppo generoso e attorniato da amici bisognosi che si approfittavano della sua bontà. [Ecco] cosa fece. Con mio fratello Giovanni che gli metteva in cattiva vista Gabriele e altri che lo consigliavano male, fece un testamento olografo, il 20 giugno 1835,213 nel quale gli lasciava tutto, meno 20.000 lire alla sorella Violantina. Io dovevo dare 26.000 lire ad Aurelia e Nina, e 2.300 lire annue a Gabriele, ed [avrei avuto] Torbole (meno la osteria214 e le [mara...]215 e vive e morte), il fienile di Bussaghe216 e la vernassa217. Mio padre allora diede la portava, senza mai essere chiuso dai ghiacci, al mar del Giappone, alla Corea e alle zone costiere della Siberia, annesse nel 1860 all’Impero russo, con il porto di Vladivostok. Era inoltre base operativa e di rifornimento per le flotte baleniere (CZ). 211 La frase originaria del dattiloscritto, assai confusa, è stata integrata in questo modo (NdR). 212 Un “piò” equivale a ca 1/3 di ettaro. V. sopra, nota 22 (NdR). 213 La data deve essere stata sicuramente trascritta sbagliata: dovrebbe essere 1855 (NdR). 214 Di questa osteria non si parla mai in alcun altro luogo del Diario, ma potrebbe trattarsi anche qui di un errore di trascrizione (NdR). 128 Il Diario di Pompeo Mazzocchi chiave della cassaforte a Giovanni, lasciandolo /107/ padrone dei suoi risparmi. Gli diede, così disse mio padre, dalle 40.000 alle 50.000 lire, non meno. Vedendo poi mio padre la mia vita regolare e come io l’amavo e lo stimavo e così [pure] mio fratello Gabriele, un poco alla volta si mortificò; alcune circostanze e, ancora, le indiscrezioni di mio fratello Giovanni che non si dimostrava contento, valsero a cambiarlo. Una sera lo trovai che piangeva, e domandandogli cosa aveva, disse: “Ho trattato te e Gabriele troppo male nel mio testamento”. Benché si fosse di sera, volle chiamare il notaio Pedrali di Rovato e alle opposizioni del notaio, che gli diceva che stava benissimo e di aspettare domani, rispose: “Morrei disperato se mi succedesse stanotte di morire, però, e non potrei dormire; più ci penso, [so] che ho fatto un’ingiustizia,e se so di farla non posso soffrirla”. /108/ Scrisse il testamento [quella] sera, di sua mano, presente il notaio. Omise il legato alla domestica Lucia Belandi ed altri piccoli legati per brevità. Il giorno dopo le estese, in regola col notaio Pedrali, con alcune modificazioni. Dopo fece altri [testamenti]: 3 Luglio 1886, annullato; 1 maggio 1887 (Notaio Pedrali di Rovato); 30 aprile 1887, un’aggiunta, un codicillo insignificante (Notaio Barcella di Chiari). Il notaio Pedrali mi disse che prima di questi ne fece otto o nove, che lesse lui, sempre incerto su cosa doveva fare e modificando sempre meglio i suoi apprezzamenti. Morto il mio povero padre, mio fratello Giovanni, Violantina e Aurelia volevano far rivalere il testamento olografo del 20 giugno 1855, ma quantunque l’avvocato Orefici mi avesse assicurato la validità dei due ultimi, per assopire (credevo di assopire i rancori), ho fatto una transazione /109/ e a mezzo di mia nipote Giulia218 e di mia sorella Violantina, ho pagato a Giovanni 4.000 lire e [gli] diedi ancora, per soprapiù, perché fosse contento, perché tutto fosse finito, la filanda dalla quale mio fratello ricavò 1.600 lire. Mio fratello Giovanni non cessò per questo di osteggiarmi. Cadde ammalato dopo sei mesi fatta la accomandazione e dopo mille differenze, mille spiaceri e sottigliezze, ho potuto finire i conti a mezzo dell’ingegner Buizza il 17 corrente. Non mi sono fatto giudice in causa mia, lasciai fare al sudetto ingegnere. La voglia di finire venne da me, che dovevo sborsare 16.200 lire (e non pagando, non ero obbligato agli interessi) e non da mio fratello che doveva riceverle. Ringrazio la Provvidenza, che malgrado i pronostici di mio fratello Giovanni a mio padre - che [avrei finito per] consumare la mia sostanza, come fece il signor Giovanni Antonio padre di Ippolito - i miei affari, come affari, andarono di bene in meglio, /110/ malgrado tutto! Peronospera e filossera in aggiunta!219 215 Correzione a matita su cancellatura a matita della parola malizie - il senso della frase e la parola restano incomprensibili (NdR). 216 Bussaghe, “contrada” di Coccaglio. In Via Bussaghe vi era l’edificio rurale che Pompeo Mazzocchi denominò “Nagasaky” in riconoscente ricordo delle origini giapponesi delle sue fortune. Dall’edificio, che ancora porta il suo nome giapponese, vennero di recente ricavati alcuni appartamentini per anziani Il Diario di Pompeo Mazzocchi 129 Quest’anno ho dovuto lasciare la mia casa di Bussaghe, dove credevo di finire i miei giorni e mi [era costata] non meno di 44.000 lire, per abitare la casa lasciatami da mio padre, dove sono nato. Quando fabbricavo la suddetta casa i miei genitori mi dicevano, specialmente la mamma: “Se tu hai una casa nuova, tua, non potrà tuo padre darti la sua, avresti due case”. Se andrò d’accordo coi fratelli, abiteremo insieme la casa paterna, altrimenti essi abiteranno la casa di mio padre. Io ho la mia. Mio padre, [in seguito] - come ho [già] esposto - sia per allontanare mio fratello Giovanni, sia per ricompensarmi in qualche modo di quanto aveva dato a Giovanni, mi diede la sua casa, che ho abbellito spendendo circa 11.000 lire, riducendo la casa verso l’ortaglia. Per non lasciare la mia casa di Bussaghe /111/ vuota, e non potendola affittare, (1893),220come galettaio,221 essendo piccola, questa primavera, ai 6 di marzo, feci un contratto coi signori Lucchini di Lugano di fabbricare a uso galettaio il fienile di Bussaghe, che alzai e fornii d’ogni occorrente con la spesa di circa 16.000 lire. Levai il tetto del fienile, appena una volta cadde la pioggia e tutto fu fatto in regola. Spero che questa fabbrica sarà giovevole per voi e per il paese. Meglio è che continui come galettaio, ma se succedesse che per un anno o due restasse vuota, potrebbe uno di voi fare una filanda a vapore, ben fatta, col consiglio del signor Gaetano Paladini222 e dei suoi figli, e servirsi così di questo galettaio. La filanda può essere in società; ad ogni modo, chi fa la filanda bisogna che per almeno un anno si impratichisca in una filanda consimile, o trovi persona sotto ogni rapporto adatta e onesta./112/ La filanda può essere un mezzo di far fortuna, una bella occupazione e può essere utile alla classe bisognosa del paese. Utile anche ai possidenti che venderebbero con comodo i bozzoli, ma può anche essere di rovina: Se si fila male. Se non è ben diretta e si è derubati. Se si arrischia troppo, o si tiene invenduta per troppo tempo la seta. Collo stesso mestiere uno fa fortuna, l’altro va in malora. Se sarete attivi, buoni, attenti, andrete avanti; se svogliati e in mano d’altri, andrete in malora. Intanto che siete piccoli, va bene essere in mano d’altri; è un bisogno, ma dopo servitevi dei consigli degli altri, delle persone oneste, ma fate voi: lavorate, lavorate. Salute, mezzi e quiete. Vi sembrano felici i fannulloni, (NdR). 217 Dialettale per il locale ove si depositavano le vinaccie residue dalla spremitura e torchiatura dell’uva (NdR). 218 Figlia di prime nozze di Violantina (NdR). 219 Due malattie della vite, la prima, abbastanza comune anche oggi, si combatte facilmente con solforazioni, la seconda, apparsa in Europa nella seconda metà del XIX secolo, era una gravissima ed allora del tutto incurabile malattia fungina, specie delle radici. La filossera causò danni immensi ai vitigni europei e costrinse a sostituire i portainnesti nostrali con portainnesti americani che alla filossera resistevano (CZ). 130 Il Diario di Pompeo Mazzocchi [ma] essi, internamente, con una vita sprecata, passiva, non sono mai contenti: che contentezza [può essere] vestirsi, mangiare /113/, bevere, andar di qua, andar di là, senza scopo, senza un’azione che nobilita e rinforza l’animo? Consumare e poi consumare: se così avessero fatto i vostri padri, quale sarebbero le vostre condizioni? Dove [sarebbero] la campagna ben coltivata e le industrie? [Agite] secondo la vostra capacità. Ho premesso questo per rendere ragione di aver aspettato tanto per proseguire il racconto dei mie viaggi; mi sono fermato a quelli di Turchia e d’Europa, ora vi dirò qualche cosa dei miei quindici viaggi al Giappone. Seguono:223 /114/ Continuo per chiarire alcune cose. Mio fratello Giovanni, quando ebbe in affitto, a Torbole, a 35 lire al piò, nel 1880, i fondi di mio padre, diede una garanzia di 20.000 lire sopra i fondi detti Fusera224 della moglie. Mio padre sborsò al fratello Giovanni le suddette 20.000 e Giovanni le ipotecò sui fondi della moglie che aveva di dote. Dopo, diede questo suo credito in garanzia a mio padre.225 Quando mio padre, [con il primo testamento], lasciò in eredità a Giovanni quello che [sarebbe] restato in cassa dopo la sua morte e diede a lui le chiavi della sua cassaforte, levò anche l’ipoteca delle 20.000 lire. Dopo aver cambiato il testamento, si fece [ridare] da Giovanni la chiave, per garantirmi, aggiunse, col nuovo testamento, che io avrei pagato mio fratello della sua quota, [solo] quando [Giovanni] avesse soddisfatto ai suoi impegni come affittuale. I cambiamenti negli ultimi suoi testamenti sono insignificanti: /115/ un aumento alla sua domestica, Lucia Belandi e quanto ho detto sopra. L’ultimo testamento non aveva annullato il secondo. Mio fratello Giovanni aveva sofferto di un incendio a Torbole e [pretendeva] che [la ricostruzione] del portico in mezzo all’aia toccasse a me. [Ci furono] altre differenze per i seminati, frumenti e trifoglio. Queste sono le cause del ritardo nell’aggiustare i conteggi di quanto [poi] ricevette - come da istrumenti del Notaio Nespoli in data 17 settembre 1893 - [ossia] lire 16.200 a saldo. Prima [di queste] ebbe - come risulta dallo stesso istrumento e dai conti dell’Ing. Buizza: In tutto fanno: Lire 50.490,86 ______________ Lire 66.690,86 220 L’anno è inserito con una notazione a matita. Probabilmente si voleva sottolineare che quanto esposto avviene nell’anno in cui Pompeo scriveva questa parte del Diario, alcuni anni dopo la morte del padre (NdR). 221 Galettaio, ossia deposito di bozzoli (galette) (CZ). 22 Gaetano Paladini era stato il titolare di una delle ditte milanesi di importazione di seme-bachi dal Il Diario di Pompeo Mazzocchi 131 Ricevette [inoltre] di regalo per non litigare con i testamenti di mio padre: Lire 4.000 Lire 1.600 ______________ e la filanda Totale Lire 5.600 ______________ Lire 72.290,86 [Totale generale] Nei tredici anni che fu / 116 / affittuale a Torbole, mio fratello pagò l’affitto tre volte [soltanto]: [sosteneva], con il testamento in mano, che le entrate nella cassa [del padre] erano [comunque] sue. Come dissi, ebbe 20.000 lire da mio padre nel 1880 senza interesse, [per cui]: Interessi per 13 anni lire 13.000 meno lire 7000 [già] computate226 [fanno un totale che] ebbe mio fratello Giovanni di lire 78.290,86 Rifacendo il conto in cifre tonde: Da mio padre senza interessi ebbe nel 1880 Erede, come testamento, imputando le suddette Interesse delle suddette 20.000 per 13 anni Regalo da me fatto in denaro (lire.4000) [più] [valore della] filanda (lire 1600 ) lire lire lire 20.000 40.000 13.000 lire 5600 ———————— lire 78.600 (poi delle 7000 lire come sopra non pagò mai l’interesse)227 /117/ Sopra una sostanza di circa 240.000 lire, [Giovanni] ne ebbe 78.600; a dividere questa sostanza vi era [anche] il povero Gabriele. [In tutto] eravamo in sei: tre sorelle e tre fratelli. Per conseguire la sostanza di mio padre ho pagato: a Nina ad Aurelia lire lire 21.255 26.413,10 Giappone (la Paladini e Goretti) per cui aveva lavorato Pompeo Mazzocchi agli inizi degli anni ’70. Nota 20 nella Introduzione (CZ). 22 In realtà il testo non prosegue con i viaggi in Giappone (NdR). 224 Vedi sopra, nota 21 (NdR) 132 Il Diario di Pompeo Mazzocchi a Violantina a Giovanni, a saldo ire 26.257 lire 16.200 _______________ lire 90.128,10 Ho [a mio carico] da pagare lire 400 annue per la domestica di mio padre, Lucia Belandi, [che] corrispondono a Lire 4000 di passività. Per l’eredità di mio padre ho pagato in tutto [una] tassa di successione di lire 3.789 e prelevai ad ognuno la quota che gli spettava. Nina aveva avuto 5.000 lire in acconto, come da sua ricevuta. /118/ Le vigne qui di Coccaglio, prima della peronospera e della minaccia della filossera,228 e della concorrenza, che pare perpetua, dei vini meridionali, valevano non meno di 3.000 lire al piò. Mio padre ricavava dalle 14 alle 22 lire alla zerla.229 Senza [contare le] spese di zolfo e solfato,230 tutte le spese [sommavano] dalle 10 alle 13 lire. Ora il formentone231 vale 13,50 lire il quintale (la soma)232. Il frumento 21 lire al quintale. Non v’è che il fieno caro. Il capitale, ovvero cantina e botti, viene ad essere assai deprezzato. Le spese di istrumenti ecc. furono tutte a mio carico, riguardo all’eredità. Breve biografia di mio fratello Gabriele.233 /119/ Nacque nell’anno 1827. Dai 7 ai 9 anni li passò con me nel collegio detto Bertacagni a Brescia, dai 9 ai 12 in casa delle sorelle Caravaggi in pensione a Chiari, pure con me. In questo tempo, con me finì le scuole elementari. A scuola imparava bene ed avrebbe preso amore alla scuola e agli studi, ma in quel tempo i maestri erano troppo severi e per [un] nulla davano sulle mani con una verga e una canna d’India. Si chiamavano “sardelle”. Questo era il meno: battevano per poco, con lunghe verghe, sul capo e sulla schiena, mettevano per un’ora e più in ginocchio, facevano fare delle croci colla lingua sui mattoni dove gli altri vi passavano coi piedi e vi sputavano, sui pavimenti della scuola. Non mancavano gli schiaffi, e le percosse sul capo. Questi cattivi trattamenti che allora si usavano in tutte le scuole, più o meno, lo inasprirono e perdette l’amore della scuola. 225 L’esposizione di Pompeo è piuttosto contorta, ma in realtà l’operazione descritta dovrebbe essere abbastanza semplce: Giovanni chiese al padre un prestito di 20.000 lire per affittare (e gestire) i terreni di Torbole ed in garanzia del prestito accese un’ipoteca sui terreni di sua moglie (NdR). 226 Non è chiaro a cosa vadano attribuite queste 7000 lire “già computate”, potrebbe trattarsi di un anticipo della quota testamentaria dato dal padre ai figli, come fu nel caso di Gabriele citato al foglio 126 del dattiloscritto (NdR). 227 Vedi nota precedente (NdR). Il Diario di Pompeo Mazzocchi 133 /120/ Mi ricordo che in terza elementare a Chiari, sotto il maestro Sbarbaro, in tempo di lezione si era dato al divertimento di prendere le mosche. Sul banco, a poco a poco, col cartellino, aveva fatto un piccolo serraglio, e sopra vi aveva messo un piccolo vetro. Tutto questo formava l’ammirazione degli altri scolari. Il maestro, accortosi che ridevano i ragazzi vicino a Gabriele, si levò dal banco ed andò a vedere. Levò il piccolo vetro che chiudeva le mosche, prese in mano alcune mosche e le fregò colle sue mani, sulle labbra e sui denti di Gabriele. Così erano quei tempi. Dopo passate le elementari a Chiari, mio fratello Gabriele fu messo con me 50. Pompeo con i tre figli nel cortile di casa a nel collegio di Desenzano. I maestri Coccaglio. Da sinistra: Mario, Cesare, Pompeo erano tutti del paese; il rettore Felice e Tito. Inizii del ‘900. Per gentile concessione Deder assai vecchio e rimbambito, la disciplina gravissima e /121/senza ordine. A Desenzano, con me, Gabriele passò 2 anni e fece la cosiddetta prima e seconda latina. Poi scrisse a mio padre che non voleva continuare gli studi, di levarlo di collegio. Mio padre, dopo essersi informato dal rettore e dai maestri e veduto che [per] carattere e temperamento era incompatibile, lo tolse di collegio. A 13 anni andò a Tórbole, dove mio padre aveva 105 piò di terra; dopo, ne prese in affitto altri 99 dalla Casa di Dio,234 che in appresso acquistò, poi [prese] in affitto altri 35 del legato Averoldi.235 Un po’a Torbole e un po’qui a Coccaglio passò dai 13 ai 19 anni. A circa 20 anni, nel 1848, essendo successa la rivoluzione contro gli austriaci, prima di essere iscritto soldato, passò volontario. Mio padre lo fece andare nel corpo degli studenti236 a Milano 228 229 230 231 232 233 Vedi sopra, nota n. 219 (NdR). “zerla”: misura tradizionale per liquidi nel Bresciano, pari a ca 49,7 litri (NdR). Per combattere le due malattie appena citate (NdR). Mais (NdR). “soma” - misura tradizionale locale pari a ca. 145,9 litri - è aggiunto a matita (NdR). Gran parte di quanto detto in questo paragrafo è già presente sopra, ai fogli 56 e segg. del dattiloscritto (NdR). 234 Il maggiore dei Pii Luoghi del Bresciano (v. sopra, nota 70) (NdR). 235Non sappiamo a chi si riferisca il “legato Averoldi” qui citato, ma è da notare che la futura suocera di Pompeo Mazzocchi, la madre di Vittoria Almici, era una Laura Averoldi (NdR). 134 Il Diario di Pompeo Mazzocchi con Frigerio Antonio di Brescia.237 Gabriele, annoiato del servizio di soldato istruttore a Milano, con Frigerio /122/ recossi nel corpo dei volontari studenti, sotto le mura del forte di Pietole a Mantova. Là venne respinto dai cannoni del forte; poi fu una ritirata generale; le nostre armi furono perdute, [Gabriele] venne a casa colla febbre. Dopo il ‘48, ritornati gli Austriaci, con [Tito] Speri e Antonio Frigerio, si diede a congiurare contro l’Austria facendo parte del Partito detto d’azione.238 Distribuiva biglietti che erano pagabili dopo [l’ottenimento dell’unità] d’Italia,239 circolari ecc., tutte cose, che, scoperte, portavano alla prigione ed alla pena capitale. Speri venne impiccato a Mantova, Frigerio Antonio subì la prigione. Gabriele, credendo di essere arrestato, invece del suo letto preferiva il fienile od altro pertugio nascosto, credendo di essere arrestato da un momento all’altro. Ebbe una perquisizione, e venne circondata la casa a Torbole dai soldati /123/ tedeschi. Per lunghi anni dopo si svegliava spaventato, dando gridi. Zanardelli, che fu poi ministro, fu da lui a Torbole.240 Nel 1866 con tre altri, da lui arruolati a Torbole, passò nei volontari sotto Garibaldi, e servì fin che fu fatta la pace coll’Austria. Fu assalito una volta dai ladri e si difese con due colpi di pistola. Uno andò via ferito, ma non furono scoperti. Fu con me a Costantinopoli nel 1857241 per i semi bachi ed insieme, in barca, andammo a Rodosto sul Mar di Marmara e di là a cavallo ad Adrianopoli. Sul Mar di Marmara la nostra barca fu assalita da due altre, si finì col prendere una e chi era a bordo di una di queste barche non ebbe il coraggio di far fuoco sopra di noi, avendo trovato la nostra molto agguerrita. Per combinazione vi erano alcuni gendarmi turchi, detti gavass; Gabriele dimostrò ardire e coraggio. /124/ Fu anche a Candia con Bortolo Almici per il seme bachi, ed ebbe molta pazienza e si comportò benissimo. Il seme bachi di Adrianopoli riuscì benissimo nel 1857; quello di Candia riuscì male nel 1861, ma non fu sua colpa né di 0mici. Era la razza che non era adatta per qui. A Torbole ridusse la campagna assai bene: si coltivavano molti bachi, assai più della nostra foglia, oltre 200 once e si acquistava grandissima quantità di foglia per nostro uso più che per vendere. Gabriele fu sempre attivo, non lasciò mai mancare la foglia; [operava]con 80 e più pelini e non successe [mai] un disordine. Era nemico dei ladri di campagna e passava delle notti sui mucchi di fieno facendo la guardia e vigilava sull’acqua. Era un podere modello, mio padre ne fu 236 In realtà in quello degli “istruttori” come si ricava da quanto dice qui in seguito e da quanto aveva già detto sull’argomento al foglio 56 del dattiloscritto (NdR). 237 Vedi sopra, nota n. 69 (NdR). 238 Il termine Partito d’Azione, di ispirazione mazziniana e coniato dopo il 1853, contraddistinse i gruppi democratici e rivoluzionari che puntavano ad insurrezioni popolari per l’unità d’Italia (NdR). Il Diario di Pompeo Mazzocchi 135 sempre contentissimo. Anch’io passai lunghi anni a Torbole. Due volte fece Gabriele la prova per /125/ accasarsi; il suo cuore amorevole, la sua vita isolata gli spiaceva, ma, fatalità, tutte due le volte andò a vuoto. La prima, certa Negroni, estrosa, innamorata di un altro, l’abbandonò dopo una pubblicazione o due. La seconda morì, mentre erano a farsi le pubblicazioni. Gabriele mi voleva assai bene ed ogni sacrificio avrebbe fatto per me. Ebbe a Torbole un’infiammazione di cervello242 20 anni or sono, e dopo diventò trascurato per i suoi interessi e di famiglia, ma sempre onesto e di cuore. Sono circa 14 anni che mio padre, dietro istanza del fratello Giovanni, lo fece venire qui a Coccaglio e qui non sapeva come passare il tempo. Avendo io bisogno di bagni e del mare per i figli, Gabriele stette sempre a casa. A mio padre non lasciò mancare nulla: [gli] fece assistenza grandissima. Con mio padre andò sempre d’accordo. /126/ Era generoso. Da mio padre ebbe 7.000 lire di quota;243 di queste, 2.000 lire le diede a me, per danari che gli avevo prestato e le altre 5.000 lire gli durarono due o tre anni. Fece imprestiti di qua e di là. Si ricordava con piacere che aveva solo 200 lire e le diede a un certo Teolotti di Endine244 che andava in America, e restò senza nulla. Questo Teolotti poi le rese. Raccolse, quando non aveva mezzi, circa 400 lire che diede a un certo sig. Polotti. Vedendo come il danaro gli era sfuggito dalle mani si era emendato un po’nell’essere troppo di cuore, [troppo] generoso. Era suo proponimento, e lo diceva a tutti, di voler spendere il reddito, ma non intaccare il capitale, per lasciarlo a me e ai miei figli. Era di temperamento impetuoso, nemico degli imbroglioni e dei ciarlatani, ma sincero, caritatevole, buono. Dimenticava il male che gli altri gli avevano fatto. Pianse perché non ho /127/ voluto ricevere una sua vincita al lotto: voleva mostrarmi il suo amore, la sua stima per me. Non mi sono approfittato di questi suoi impeti di generosità e ne sono assai contento245. Scriveva assai bene, essendosi istruito coi libri che aveva a Torbole. Scriveva con stile elegante, stringato, e [con] pensieri nuovi, suoi. Era assai pulito, anche i vestiti li teneva puliti, non avevano macchie. Era guidatore di cavalli esperto, gli bastavano due dita di spazio per passare a gran trotto in una porta o in un andito o in un [passo] stretto. A cavallo vi stava con tutta regola e saltava sui cavalli più alti tenendo con due dita il crine, senza mettere 239 I biglietti erano quelli delle sottoscrizioni per le iniziative mazziniane, emessi, clandestinamente, spesso in forma di prestito da ripagarsi dopo l’ottenimento dell’unità (NdR). 240 Giuseppe Zanardelli (1826-1903). Molto attivo nei movimenti risorgimentali, fu in seguito deputato della Sinistra e più volte Ministro con Cairoli, Depretis e Crispi. Fu Primo Ministro nel 19011903 (NdR). 241 Anche questa parte ripete in sostanza quanto già detto ai fogli 70 e segg. del dattiloscritto (NdR). 136 Il Diario di Pompeo Mazzocchi il piede nella staffa o tirarsi sopra con fatica. In Turchia, nel viaggio che fece con me da Rodosto ad Adrianopoli, fece meravigliare /128/ i Turchi, perché montava sopra quelle alte selle senza porre il piede nelle staffe. Saltava non meno di 5 sedie una contro l’altra; con un braccio levava di peso la sua persona, [era] agile, abile, destro, forte. Buon amico, buon patriota, fu assai utile nella famiglia prima della detta infiammazione di cervello che lo ridusse a Torbole in fin di vita. Fu caro a tutti. Sotto gamba gettava un sasso sorpassando la nostra torre e la Chiesa. Aveva un buon temperamento. Era un bravo cacciatore. Possa tu vivere in eterno: tranquillo, quieto, felice. Possiamo rivederci felici. Iddio lo voglia. Metà della sostanza che ereditai da mio padre apparteneva a mio fratello Gabriele e questi [la] lasciò ai [miei] figli Cesare /129/ e Tito246. Il testamento [di Gabriele] era in data 20 gennaio 1892 e mio figlio Mario è nato il 30 ottobre 1892247. Mio padre è mancato il 17 Gennaio 1892. /130/ Post scritto. 9 ottobre 1898. Per conseguire l’eredità di mio padre, Gabriele dovette dare la dote, come retro si vede, alle sorelle Aurelia, Violantina, Nina, e [una quota] a Giovannino. In tutto furono 90.121,10 lire; di queste, la metà [di quanto] spettante, toccava a Gabriele. Col fratello Giovanni si era fissato di finire i conti alla metà di ottobre 1893. Gabriele stava benissimo, voleva farmi le ricevute, presente il notaio Nespoli e varie volte me lo disse, ma sempre risposi: “Farai una carta, una ricevuta regolare, in tutta regola, quando avrò finito di fare tutti i pagamenti”, quando mancò, il 18 agosto 1893. L’eredità dunque che lasciò in fondi e case, ai [miei] figli, Cesare e Tito, sarebbe 242 243 244 245 Probabilmente una meningite (NdR). Intende quale anticipo della quota testamentaria (NdR). Endine Gaiano, in provincia di Bergamo, non lontano da Lovere (NdR). Avevo lasciato una mia obbligazione della quale gli passavo l’interesse e non volendo Gabriele riceverla, la consegnai al signor ingegner Mazzocchi. Nota a matita che dovrebbe riportare una nota di Pompeo Mazzocchi non trascritta nel dattiloscritto. Non è chiaro chi sia l’ing. Mazzocchi qui citato (NdR). 246 Cesare Mazzocchi (1883-1961), primogenito di Pompeo e Tito Mazzocchi (1886-1974), secondogenito (NdR). 247 Mario Mazzocchi (1892-1963), terzo figlio maschio di Pompeo (NdR). 248 Seguiva la frase: “colle mie disposizioni, testamento, e queste osservazioni servano a nulla” che ci è sembrata priva di significato (forse per un errore di trascrizione nel dattiloscritto) e che è stata perciò omessa (NdR). 249 I Damioli erano di Pisogne (Brescia) ed il viaggio in Cina cui Mazzocchi si riferisce è quasi certamente quello del 1863 di Diego Damioli (1832-1912), sul quale si veda Caterina Saldi Barisani, I bresciani sulla via della seta nella seconda metà dell’Ottocento in La via bresciana della seta, Fondazione Il Diario di Pompeo Mazzocchi 137 diminuita della suddetta somma di 45.060,30 lire, cioè della metà. Cosicché, nelle mie disposizioni [testamentarie] ho considerato questo e prego i figli /131/ Cesare, Tito e Mario di non far questioni fra loro, [altrimenti] perdono eredità e denari. Se hanno differenze, che non vi dovrebbero essere, possono rimetterle ad altre persone distinte che abbiano a decidere. Da parte mia, ho considerato nelle mie disposizioni come se Gabriele avesse avuto come sua la [intera] somma di 51. Planimetria delle cascine “Portone” e “Castello” di Torbole, acquistate dai Mazzocchi con i proventi della vendita di seme-bachi giapponese. Fondazione Pompeo e Cesare Mazzocchi, Coccaglio, Archivio Storico. Civiltà Bresciana, Brescia 1994, p. 127. Diego Damioli sarebbe in seguito stato tra i primi a recarsi in Giappone, prima individualmente e in seguito per Paolo Zane di Salò, per poi costituire la Zane, Damioli e C. con sede a Milano per la quale si recò ancora a Yokohama. Ci sono indicazioni di almeno sei suoi viaggi in Giappone tra il 1865 ed il 1873 (CZ). 250 Su Carlo Orio vedi nota 40 alla Introduzione (CZ). 251 G. B. Cadei, garibaldino nel bergamasco con le formazioni dei fratelli Camozzi nel 1848, era stato in Cina nel 1859 per conto della Società Bacofila della Provincia di Como assieme a Carlo Orio (v. nota precedente), in opposizione ed in concorrenza alla spedizione in Cina di Castellani e Freschi (sui quali vedi la nota che segue). Vi sono indicazioni alquanto incerte su uno o due successivi viaggi di Cadei in Giappone (CZ). 252 I friulani G. B. Gastellani e Gherardo Freschi organizzarono nel corso del 1858 una grossa spedizione per seme-bachi in Cina e in India, per la quale, nonostante i loro trascorsi insurrezionali del 1848, si fecero appoggiare dall’Arciduca Massimiliano d’Asburgo, Governatore del Lombardo-Veneto. Le indebite e assai pesanti pressioni dell’Arciduca sui comuni lombardi affinchè sottoscrivessero alla iniziativa di Castellani e Freschi causarono una vivacissima opposizione nella regione e portarono 138 Il Diario di Pompeo Mazzocchi 90.121,10 lire248. La malattia nei bachi che non permetteva di avere buona semente si era estesa non solo in Europa, ma in Asia. Nel 1863, solo la Cina ed il Giappone, perché mandavano qui molte sete, erano creduti immuni. La semente di Cina, però, portata da noi dai fratelli Damioli,249 Orio250 e Cadei,251 fece cattiva prova. Prima di questi furono in Cina e in India i conti Freschi e Castellani,252 ma la 52. Cascina “Portone” (ribatezzata “Giappone” ) di Torbole Casaglia. Veduta della corte interna. loro semente arrivò avariata. Il lontano Giappone, l’Estremo Oriente, era l’unica ancora di salute, ma il /132/ governo giapponese era geloso del suo seme da bachi e non permetteva l’esportazione.253 all’organizzazione di una contro-spedizione lombarda in Cina (guidata da Carlo Orio, v. sopra, nota precedente). Il seme-bachi cinese di entrambe le spedizioni, raccolto in gran quantità, ma in fretta e senza adeguate attenzioni, fallì però clamorosamente una volta in Italia negli allevamenti del 1860 e del 1861. Si ritenne così necessario di ricercare seme-bachi sano nell’ancor più lontano Giappone (CZ). 253 Il divieto di esportare seme-bachi venne abrogato già nel 1864. Sino ad allora il seme-bachi veniva acquistato di contrabbando. Le pene erano in teoria severissime, ma bisogna dire che le autorità giapponesi furono assai poco rigorose nell’applicarle, nel periodo in cui il blocco era in vigore, chiudendo spesso un’occhio (e anche due) di fronte ad un commercio che aiutava in maniera significativa la fragilissima bilancia commerciale del Giappone nei primi anni dell’apertura ai rapporti internazionali (CZ). 254 In realtà anche altri stati avevano dei trattati, in particolare la Francia (CZ). 255 Nagasaki (isola di Kyushu), forse la città giapponese più nota in Occidente prima dell’apertura del paese. All’interno del suo porto, sull’isoletta artificiale di Deshima, era stato sistemato un piccolo Il Diario di Pompeo Mazzocchi 139 0I porti aperti in Giappone pel commercio delle derrate comprese nei trattati colla Russia, Stati Uniti d’America, Inghilterra e Prussia (gli altri stati non avevano trattati),254 erano Nagazaki (isola di Kiossia),255 Iokohama (isola di Nipon),256 Kodadi (isola di Jesso)257 e Niigata (isola Nipon, al Nord).258 Vi era dunque speranza, in un porto o nell’altro, di avere del seme bachi e mi sono trovato a Bucarest da Valantria259 col signor Enrico Andreossi di Bergamo, dove avevo preso e messo [in piedi] una fabbrica di seme bachi insieme [a lui], nel 1863. Naturalmente, [ci] si disperava della difficoltà di provvedere seme bachi sani e vedendo il signor Andreossi che io ponevo grande speranza nel lontano Giappone, mi promise che, se costituiva una società per il Giappone, mi avrebbe accettato come suo agente viaggiatore. Difatti, da Bergamo, [Andreossi] scrisse poi a /133/ mio padre che aveva formato una società in accomandita, di tante azioni da 10.000 lire l’una. Mio padre non esitò ad accettare un’azione di 10.000 lire e colla prima posta, nella stessa giornata, gli mandò la scheda con la sua firma.260 Mio padre [condivideva] le mie speranze, ed io e l’Andreossi ne fummo assai contenti. In appresso l’Andreossi mi accettò come incaricato ed ebbi per compagno un certo Pietro Frigerio di Bergamo.261 Ora che scrivo, il 24 ottobre 1893, riposano nella tomba i signori Andreossi e Frigerio. Quando si parlava del Giappone, di questa impresa, quando si salpava, ai primi di gennaio del 1864 da Genova, quando si viaggiava insieme, chi avrebbe creduto che io, il più vecchio, avessi a sopravvivere a loro! Così volle la Provvidenza! Io qui rendo tributo di gratitudine all’Andreossi della fiducia che ebbe in me: come vedrete in appresso, io credo di /134/ essermene reso degno, di avere avuto la fortuna in mio favore e di avere corrisposto pienamente e oltre, credo, alle sue speranze. Avrei avuto difficoltà nel contrattare col signor Andreossi il mio salario, perché egli sapeva come io volentieri avrei fatto il viaggio, perciò lasciai, per il contratto, la cura a mio padre e le condizioni furono queste: 6.000 lire sicure, altre 6.000 lire qualora si fossero impiegati due terzi del capitale. Adesso, se si parla dei viaggi d’America e d’Australia, non si dà grande importanza, ma allora, malgrado quel tempo non sia molto lontano, era considerato un viaggio più pericoloso di quello che è, e se io ero contento nel viaggio di vedere cose nuove, di tentare per me la fortuna, ed essere utile al mio paese e alla famiglia, fondaco olandese, attraverso il quale passò l’unico contatto autorizzato del Giappone con l’Europa nel periodo dal 1640 al 1854 (CZ). 256 Yokohama, nell’isola di Honshû, la più grande del paese, che qui Pompeo chiama impropriamente Nipon. Il termine (correttamente: Nippon o Nihon) in realtà si riferisce all’intero Giappone (CZ). 257 Hakodate (nell’isola oggi detta Hokkaido, in precedenza chiamata Yezo, che Mazzocchi scrive Yesso) (v. sopra, nota 210 ) (CZ). 140 Il Diario di Pompeo Mazzocchi dall’altra, l’idea (un anno è lungo) di non rivedere forse la mia buona povera madre, di non rivedere il mio buon padre, mi angustiava, mi /135/ amareggiava il cuore. La mia povera madre pensò a tutto: con quanto amore, con quanta diligenza preparò i miei bauli. Mio padre mi diede mille lire perché non avessi colle mie spese private ad aggravare il signor Andreossi. Queste lire 1.000 (50 marenghi262) li consegnai al signor Andreossi. Mi scrisse l’Andreossi di raggiungerlo a Bergamo e di prendere il biglietto ai primi posti263. Mi ricordo di aver lasciato mia madre colle lacrime, così il poveLasciapassare per Pechino rilasciato a Pompeo ro Gabriele; come mi ricordo di 53. Mazzocchi nel 1864 dalle autorità cinesi per il tramite aver baciato e ribaciato la fronte di quelle britanniche. Fondazione Pompeo e Cesare Maza quella buonissima e bravissima zocchi, Coccaglio, Archivio Storico. donna di mia madre, così a mio padre. Sempre avevo paura di non rivederli o che essi avessero il dolore di non potermi riabbracciare. Quando si mosse il treno qui a Coccaglio fu un grave dolore, che confinava però, da parte mia, colla soddisfazione di vedere cose nuove e di fare fortuna. Questo /136/ pensiero più che a mia madre avrà confortato il mio povero e buonissimo padre. A Bergamo trovai e mi unii ai miei amici, signori Andreossi Enrico e Frigerio Pietro. Arrivammo a Genova la sera del 14 gennaio 1864 ed alloggiammo all’Hotel de France.264 La sera, all’istesso tavolo, mi trovai a cena coll’ingegner Simone di Ospitaletto265 col quale fui a scuola da piccolo. Era sposo nuovo e aveva accanto una bella e robusta giovane. Mi ricordo che facevo a cena il confronto fra me e l’ingegnere e non avrei cambiato la mia posizione colla sua. Mi pareva di vedere le coste e i porti dell’India, della Cina e il Giappone. Mentre i pensieri, le passioni dell’ingegnere saranno stati raggruppati intorno alla sua bella sposa, i miei vagavano da 258 Niigata (nella parte settentrionale dell’isola di Honshû) (CZ). 25 Il termine non è stato identificato, potrebbe però trattarsi di una trascrizione errata per “di Valacchia” (la regione della Romania dove sorge Bucarest) (NdR). 260 Nell’opuscolo a stampa pubblicato Bergamo a fine 1863 in cui si descrive la società costituita da Andreossi, con l’elenco degli azionisti sottoscrittori, è in effetti citato anche Andrea Mazzocchi, con una azione da 10.000 lire (CZ). Il Diario di Pompeo Mazzocchi 141 Coccaglio, dove avevo lasciato la famiglia, fino all’Estremo Oriente. Faceva freddo, era una sera oscura e si sentivano i soffi del vento, /137/ ma benché sapessi di soffrire il mal di mare, non per questo si era intiepidita in me la passione, direi la smania, del mio viaggio. Mi pareva di sognare: la mia ambizione, il mio pensiero non si era mai spinto tanto oltre: di vedere, di trovarmi al Giappone. Del viaggio n’ero poco informato: credevo di toccare Calcutta. I vapori vanno [invece direttamente] da Ceylon266 a Singapore. Non si sapeva come era il soggiorno di Yokohama, e così [pure] non pareva sicuro che vi sarei sbarcato: forse Andreossi mi avrebbe solo mandato nel Nord Cina, come [infatti] successe, e allora, chissà, avrei veduto Pechino. Tutte queste incertezze davano una certa inquetudine piacevole, romantica, a un viaggio che, fatto ora, dopo tante cognizioni, non resterebbe altro che verificare quello che si è letto e sentito. La sera del 15 gennaio del 1864 andammo a bordo di un vapore delle Messaggerie Marittime, /138/ il Fase,267 che veniva da Marsiglia e faceva le coste d’Italia fino a Messina. Soffersi un po’di mal di mare. Ci fermammo fino al 21 gennaio del 1864 a Messina, aspettando un vapore grande delle Messaggerie che ci doveva portare ad Alessandria [d’Egitto]. A Messina mi ricordo della statua di Nettuno, un Nettuno nudo, al quale promisi di vestirlo, se facevo buon viaggio. Il 21 gennaio 1864, col vapore Maris, partii coi signori Andreossi e Frigerio per Alessandria, dove arrivai il 25. Allora non vi era il canale di Suez268 e da Alessandria si andava al Cairo per ferrovia e dal Cairo [al porto di] Suez [ancora] in ferrovia. Non ebbi tempo di vedere le piramidi grandi, che sono lontane 3 o 4 miglia dal Cairo; solo dalla ferrovia ho potuto vederne le alte cime. Anche nei viaggi che feci dopo non ho avuto tempo di vedere le piramidi: /139/ nell’andata per la fretta, nel ritorno per non abbandonare le casse.269 261 Pietro Frigerio risulta essersi recato in Giappone almeno cinque volte tra il 1864 ed il 1869, in apparenza sempre per conto del bergamasco Enrico Andreossi (CZ). 262 Marengo, moneta d’oro da venti franchi francesi (pari, all’incirca, a venti lire italiane) (CZ). 263 Intende: in prima classe (NdR). 264 L’Hotel de France era situato nella zona direttamente prospicente il porto di Genova, in via Ponte Reale n. 6. Era ancora in attività alla fine dell’800 (CZ). 265 Ospitaletto, a metà strada tra Coccaglio e Brescia (NdR). 266 L’isola di Ceylon, oggi lo Stato di Sri Lanka (CZ). 267 Si trattava del piroscafo Phase delle Messageries Maritimes (CZ). 268 Inaugurato nel 1869 (CZ). 269 Intende le casse contenenti il seme-bachi, che richiedevano una particolare cura ed attenzione, sia nei trasbordi da nave a treno e da treno a treno (al Cairo), sia per controllare di continuo che non venissero esposte al cocente sole d’Egitto il cui calore poteva far schiudere le uova e far perdere, per fermentazione, l’intero contenuto (CZ). 270 Su questo viaggio di ritorno con una lunga visita all’India, non vi sono altre notizie, salvo un breve cenno più oltre nel Diario (al foglio 189 del dattiloscritto). La partenza di Pompeo Mazzocchi dal Giappone è segnalata sul Japan Weekly Mail del 22 novembre 1873, dovrebbe pertanto essere arrivato a Calcutta a fine dicembre, mentre la traversata del paese fino a Bombay, via terra, passando per 142 Il Diario di Pompeo Mazzocchi Nel 1873-74, quando feci il viaggio [di ritorno, attraversando] l’India da Calcutta a Bombay e non avevo [con me] la semente,270 [avrei] potuto soffermarmi in Egitto, ma quando fui in Egitto ebbi fretta a rimpatriare e dicevo: “L’Egitto non è poi tanto lontano, se avrò voglia vi andrò anche dopo il viaggio del Giappone”. Ora sono pentito, passata l’occasione è difficile coglierne un’altra. Il non vedere l’Egitto e le piramidi non è nulla di male, si possono avere le soddisfazioni maggiori, ma essere vicini alle piramidi e non vederle è stato un errore piramidale e sempre sono stato pentito. Il Cairo però mi interessò molto per [i suoi] costumi vari; visitai il Bajor,271 la Moschea dove vennero distrutti i Mamelucchi,272 il Museo, ecc. Il pensiero di trovarmi nel paese di Mosè, di Giuseppe, dei faraoni, di Gesù Cristo, di tante memorie antiche, mi dava una soddisfazione /140/ grandissima. Le ferrovie [in Egitto], in quel tempo, “diebus illis”, erano mal organizzate e le stazioni ingombrate [dai passeggeri già] due ore prima della partenza del treno. Si vedeva un barbiere radere la barba o i capelli accanto a un treno o a un vagone che sembrava in partenza. Dicevasi che una volta, in una stazione principale, si aspettava il treno che dal Cairo andava ad Alessandria, quando il treno passò senza fermarsi. Cosa era successo? Il treno portava dei cavalli che erano aspettati dal vicerè. A non lunga distanza dal Cairo si entra nel deserto, una sabbia bianca, rossiccia e polvere. Il treno porta un vagone o due d’acqua per alimentare la macchina.273 Che differenza [rispetto a] quando Mosè attaversava il deserto! Pochi anni orsono, si viaggiava coi cammelli, o cogli asini. L’invenzione del vapore fu assai utile dove mancavano le strade,[dove] i siti erano disabitati e nei siti barbari o semibarbari, dove introduce la /141/ civiltà e vorrei dire anche la nostra religione, e siccome il bene va frammisto al male, anche i nostri vizi, la nostra corruzione, i nostri bisogni. Nel primo viaggio tutto era oggetto di meraviglia: che differenza dopo tanti viaggi, tante noie, tanti fastidi e pensieri! Il 27 gennaio274 1864 partii da Suez per Aden con il vapore Dönnai delle Benares, deve aver richiesto due o tre settimane almeno. Èanche evidente che il seme-bachi acquistato in Giappone non viaggiò con lui, ma venne accompagnato verso l’Europa, lungo la rotta abituale, da qualche socio o collaboratore di Pompeo (CZ). 271 “Bazar” (luogo ove si tiene mercato) (CZ). 272 Si tratta della Moschea fatta costruire nella cittadella de Il Cairo, a partire dal 1830, sul luogo ove avvenne il massacro di alcune centinaia di capi Mamelucchi (da mamluk, truppe scelte dell’Impero Ottomano, in origine costituite da schiavi cristiani convertiti all’Islam). La strage venne ordinata dal Vicerè d’Egitto, Mehmet Alì, nel 1811, per bloccare una loro congiura, appoggiata da Istanbul, contro il suo potere sull’Egitto (nominalmente dipendente dall’Impero Ottomano) (CZ). 273 Si trattava di locomotive a vapore che richiedevano grandi quantità d’acqua evidentemente non rinvenibili nelle stazioni lungo il percorso dal Cairo a Suez (NdR). 274 Il testo riporta erroneamente “febbraio” (NdR). Il Diario di Pompeo Mazzocchi 143 54. Violantina Mazzocchi, figlia del fratello di Pompeo, Giovanni, con il marito. Inizii del ‘900. Per gentile concessione degli eredi. 144 Il Diario di Pompeo Mazzocchi Messaggerie Marittime francesi o, come si chiamavano allora, imperiali.275 Il vapore era [ancorato al largo,] lontano 3 o 4 miglia dall’albergo di Suez che sorgeva in riva al mare. Vi si andava con un vaporino e anche con barche. Qui la marea è [ora]assai alta e ora assai bassa. Mi ricordo che il vapore era illuminato. Allora non vi era sui vapori né il gaz, né la luce elettrica. Vi si applicavano delle candele. Il petrolio sui vapori era giudicato pericoloso. Andai a vedere la cabina dove, /142/ coll’Andreossi Enrico, il capo della nostra spedizione per la ricerca dei cartoni seme bachi al Giappone e con Pietro Frigerio presi posto. Il vapore filava a circa 10 nodi ed era circa di 2.000 tonellate, nuovo per questi viaggi. Il primo febbraio arrivai ad Aden, stupefatto di vedere quei monti che sembravano di cartone, secchi. La pioggia ci cade assai di rado, alle volte dopo un anno o due e quando cade si raccoglie nelle cisterne. Aden, [ voglio dire la città,] è discosta dal porto circa 3 Km e vi andammo sugli asini, che chiamano buriki.276 Quello dell’Andreossi cadde. L’Andreossi precipitò in avanti, ma non si fece male. Il buriko è cacciato da dietro da un giovane arabo in camicia senza nulla sul capo o al più un berretto rosso. L’asino si regola colla voce che sente o dalle percosse che riceve dal suo padrone, cosicché delle volte si ha piacere che vada /143/ adagio e invece corre. L’arabo lo regola a suo modo. L’asino è abituato ad alte voci per fermarsi e correre, voci dove sempre c’entrano molti “a”. Mi ricordo che una volta, non sapendo che gridi mandare, gridai: “Are bell, Are! [… …]”277 e l’asino fece andare le orecchie, stava attento, sembrava volesse capire qualche cosa. Forse gli asini arabi, per intuizione, possono interpretare il famoso” Pape Satan Pape Satan Aleppe!”278 Di questo viaggio ho le date degli arrivi e partenze, ma non una [delle] lettere che scrivevo ad ogni porto a mio padre con tutti i dettagli. Mio padre le aveva custodite, ma sono state distrutte da mio fratello Giovanni. Del resto, ho fatto male anch’io a non raccogliere al mio arrivo le memorie, bene o male, sopra il mio giornale, o a farmi dare le lettere da mio padre, che, scritte sotto l’impressione del sito, oltre ad essere veridiche, erano vive e per noi interessanti. Son sempre stato 275 Si tratta delle già citate Messageries Maritimes (Messageries Impériales nel periodo di Napoleone III) con base a Marsiglia, una delle pochissime linee di navigazione a collegare direttamente, in quel periodo, l’Europa all’Estremo Oriente. Prima dell’apertura del Canale di Suez, nel 1869, i piroscafi facevano scalo ad Alessandria d’Egitto ed i passeggeri e le merci raggiungevano Suez, sul Mar Rosso - dove venivano reimbarcati su di un’altro piroscafo diretto in Asia Orientale - in treno o risalendo il Nilo in battello sino al Cairo e recandosi poi di nuovo in treno sino a Suez (CZ). 276 Il termine incontrato da Mazzocchi è un probabile e casuale residuo di quella “lingua franca” utilizzata per secoli - nel Mediterraneo ed in aree contermini come i porti del Mar Rosso - da mercanti, marinai e viaggiatori, il cui lessico comprendeva molte parole di origine neolatina o italiana. Il vocabolo infatti non è arabo, mentre esistevano un “buricco” in italiano, un “burrico” in spagnolo ed un “bourriquet” in francese, derivati dalla tarda latinità e tutti più o meno obsoleti già ai tempi di Pompeo Il Diario di Pompeo Mazzocchi 145 trascurato, ed è /144/ così poca cosa, ad avere un po’di ordine: quanti pensieri di meno, e spese, e quante soddisfazioni! Dico [anche] spese, [perchè], per mancanza di note, vi sono [poi] questioni e falsi apprezzamenti! Da Aden si proseguì il viaggio per Ceylon, Point de Galle.279 A metà strada si ruppe la macchina e il cosidetto “arbre de couche” [albero motore] quello che muove le eliche e restammo quasi fermi. In 15 giorni si fecero sole 60 miglia. Ecco come avvenne. A metà strada vi era bonaccia ed erano gli ultimi giorni di carnevale. Sul ponte capitò il macchinista vestito da donna, in maschera con due altri e ballarono sul ponte con altri. Si fece un po’di musica e di baccano. Vi erano a bordo tre gesuiti che andavano a Macao, uno di essi, il padre Virgilio, disse (era un romano): “Che cagnara! Temo assai ci succeda qualche malanno”. Nello stesso momento si ruppe una macchina e, come dissi, restammo fermi per /145/ 15 giorni. Si lavorò giorno e notte per accomodar la macchina e si fecero salire sul ponte dei grossi pezzi. Tutta la notte si vedevano lumi nella macchina, si sentiva il rumore dei martelli e degli argani della macchina. Ci capitò un bastimento in vista, col quale si confrontò la latitudine e la longitudine. Erano mancanti di carne da 3 mesi e dal nostro vapore vi mandarono due pecore. Il nostro capitano diede una lettera a quello del bastimento perché, se aveva la fortuna di arrivare prima a terra, la facesse recapitare alla società dei vapori - la Peninsulare280 - per essere caricati [da loro]. L’acqua era misurata ai passeggeri, per paura che si rompesse anche la macchina che distillava; del vino si poteva berne fin che si voleva. A Point de Galle, non vedendo capitare il vapore, si pensava male, soprattutto perchè aspettavano molti milioni in /146/ argento e poiché il cambio saliva281, mandarono un vapore per rintracciarci, ma [il riuscire] a trovarsi sotto l’equatore o ai tropici è difficile, perché l’orizzonte è ristretto, come una cerchia nera circonda e restringe l’orizzonte. Grazie a Dio, la macchina, se fu rotta per trascuranza, fu aggiustata dopo grande e difficilissimo lavoro e [il vapore] poté muoversi a circa 5 miglia l’ora. Arrivammo felicemente in porto. Ripartimmo lasciando il Donnai semirotto e proseguimmo il viaggio sopra un vapore inglese. Ritorno ancora indietro, quando il vapore Donnai era fermo in mare colla macchina rotta, per passare il tempo si cercava di prendere i pescecani che ci seguivano. Uno grosso era quasi sempre in vista e sul capo aveva sempre due o tre pesci, detti piloti. Si tentò di prenderlo coll’amo, che si fece scendere attaccato ad Mazzocchi (che infatti non lo riconosce). Vi sono inoltre indicazioni che “buricco” venisse usato, nello specifico significato di asinello, ancora agli inizi del Novecento, anche in Egitto (CZ). 277 “Vai bello, vai!” L’espressione dialettale, con piccole varianti, è in uso in molte parti dell’Italia settentrionale per spronare gli asini a muoversi. Ad essa seguono qui due parole, probabilmente trascritte male, cui non è stato possibile dare alcun significato (NdR). 278 Il significato del verso di Dante (Inferno, VII, 1) è stato oggetto di innumerevoli e mai con- 146 Il Diario di Pompeo Mazzocchi una corda, ma il pescecane inghiottì l’esca ed anche l’amo, avendo reciso /147/ coi denti la corda. Allora si fece avanti un marinaio pratico di questa pesca: fece discendere l’amo, attaccato in fondo ad una catenella, il pescecane l’agguantò di nuovo, si tirò fortemente la corda ed il pesce era quasi fuori dall’acqua. Il marinaio in quel momento fece discendere un laccio intorno al pesce, ma sia per il peso che per la forza o che si sia rotta la catena o l’amo o la ganascia, il pesce fuggì, ma con sorpresa di tutti si sentì tirare la corda. Fra le nostre gambe e le nostre mani - tirando noi fortemente la corda - venne fuori il pesce dall’acqua col capo in giù essendo la corda allacciata intorno alla coda che era assai larga e forte, a ventaglio. (Continuo oggi, 9 ottobre 1898, dopo diversi anni) Il pesce dai marinai, per la coda, con le corde, venne tirato a prora. Un ufficiale di bordo avvisò i passeggeri di guardarsi /148/ dai colpi che dava colla coda: un colpo solo poteva spezzare le gambe. Il dottore di bordo cacciò un coltello nella testa del pesce, che si scosse e spezzò la lama. Dopo, i marinai e i mori fuochisti, lo spaccarono e colle viscere uscirono degli stracci ed un amo che aveva tagliato cluse diatribe interpretative (NdR). 279 Point de Galle (oggi Galle), sull’isola di Ceylon (Sri Lanka), allora principale scalo e stazione di rifornimento per i piroscafi che attraversavano l’Oceano Indiano diretti a Singapore ed oltre (CZ). 280 Si tratta della Peninsular & Oriental, nell’Ottocento la maggiore compagnia di navigazione britannica in Asia. È ancora oggi in attivitànel campo crocieristico con la sigla P&O (CZ). 281 Il Donnai trasportava ingenti quantità di argento in monete, molto usate per gli scambi commerciali in India e in Asia Orientale. I commercianti confluiti a Point de Galle per acquistarne contro oro o titoli di credito su banche europee, erano costretti a pagare di più per la scarsezza dell’argento a causa del mancato arrivo del Donnai (CZ). 282 Saigon, nel Viet Nam meridionale (allora sotto dominio francese). Dal 1975 ha assunto il nome di Ho Chi Minh (City). (CZ). 283 L’Astor House, gestito da Mr H. W. Smith, sorgeva al n. 8 del Hongkew Bund, nella città cinese ed era indicato come uno dei migliori alberghi di Shanghai (CZ). 284 Pari a 25 lire italiane di allora (CZ). 285 Nella trascrizione attuale Tianjin. (v. oltre, la nota 293 su Taku) (CZ). 286 Con l’idea che la Corea, essendo da lungo tempo quasi ermeticamente isolata dai rapporti con l’estero, possedesse seme-bachi particolarmente robusto e lontano da contagi, vi furono svariati tentativi da parte di semai, allora e negli anni successivi, di penetrarvi, tutti senza esito. Per un’altra iniziativa bresciana in proposito, nel 1868, si veda testo e n. 64 dell’Introduzione (CZ). 287 Importante scalo e porto “aperto” sulle coste settentrionali della penisola dello Shantung (Shandong). Cefoo, nella trascrizione attuale Zhifu, fa oggi parte dell’agglomerato urbano di Yantai (CZ). 288 Gli annuari dell’epoca segnalano tra i residenti esteri di Cefoo un certo J. Pignatel, magazziniere, che potrebbe essere collegato alla omonima ditta Pignatel & Co di Nagasaki, francese. Nulla vieta di pensare - come pare dal testo di Mazzocchi - che si trattasse di italiani “protetti” dal consolato francese, dato che allora né in Giappone né a Cefoo vi erano autorità consolari del nostro paese. Quanto alla inesatta dizione del cognome, gli errori di trascrizione erano assai frequenti (CZ). 289 Secondo la tradizione Confucio nacque nel 551 a. C. nel Principato di Lu, situato appunto Il Diario di Pompeo Mazzocchi 147 alla corda e inghiottito. Si cambiò vapore a Point de Galle. Il vapore China da Point de Galle, senza gravi incidenti, toccò Singapore e, [da qui], rimontando [a bordo] del Donnai, arrivai a Saigon;282 da Saigon ad Hong Kong e quindi a Shanghai! Era il 21 marzo 1864. A Shanghai alloggiammo all’albergo Astor House,283 dove si pagava una sterlina cadauno284. A Shanghai l’Andreossi, che io servivo, credette bene di mandarmi a Tientsin285 e di là a Pechino, per vedere se io potessi avere sementi dalla Corea.286 L’Andreossi con Frigerio partirono per Yokohama ed io partii per Tientsin col vapore Nankin. Il giorno 3 aprile 1864 arrivai a Cefoo287, dove conobbi il signor Pignatelli e la sua signora.288 In questa provincia /149/ è nato Confucio289: [Cefoo] è un bel sito sano che si sporge nel Golfo detto di Pikilì,290 nella provincia di Shantung291. Da Cefoo, che pronunciasi Cifu, col vapore […]292 mi trovai davanti ai forti di Takoo, che pronunciasi Taku, dei quali avevo sentito tanto parlare293. Vicino ai forti cinesi sbocca il Beiho. Rimontai col vapore il Beiho, un fiume che non va diritto, ma fa molte girivolte. Le sponde, i fondi vicini sono sabbiosi, di sabbia minuta e di quando in quando, il vapore investiva le sponde e conveniva discendere a terra e coll’argano distaccarlo. In questi casi conoscevo molta gente curiosa e ad uno di questi feci capire se avevano dei bozzoli. Me ne portò e sopra il bozzolo vi era una pittura, una figurina. Ero così contento di vedere un bozzolo che gli regalai una piccola moneta d’argento e dopo ne ebbi diversi e mi feci un idea della qualità. Non erano belli; inoltre, lungo il /150/ fiume non venne dato di vedere un gelso. Arrivai a Tientsin il giorno […],294 e mi feci condurre alla casa del signor Teobaldo Sandri, dove ero raccomandato. Trovai un signore gentilissimo (era Piemontese, di Alba) e trovavasi in Cina fino dal 1858, quando questo porto venne aperto al commercio degli europei.295 Faceva freddo, malgrado si fosse in aprile ed era il primo vapore che rimontava il fiume. Nel rimontare il fiume, alle nella provincia storica dello Shandong (vedi oltre) (CZ). 290 Oggi Golfo di Bohai (CZ). 291 Shantung, nella trascrizione attuale Shandong, una delle province storiche della Cina settentrionale, la cui omonima penisola, protesa verso la Corea, separa il Mar Giallo dal Golfo di Bohai con il porto fluviale di Tianjin (Tientsin) e l’accesso a Beijing (Pechino) (v. anche la succesiva nota 293) (CZ). 292 Manca il nome nel dattiloscritto (NdR). 293 Taku, nella trascrizione attuale Dagu. Si trattava delle fortificazioni costruite dal Governo imperiale cinese alla foce del Beiho per proteggere la principale via d’accesso al grande scalo di Tianjin (Tientsin) e, più a monte, a Pechino. Vennero espugnate dagli occidentali nel 1858, ma poi rioccupate dai cinesi. Nel 1859, violando lo spirito e la lettera degli accordi che concludevano la prima fase (1856-1858) della “Seconda Guerra dell’Oppio” (1856-1860), una flotta internazionale aveva cercato di forzare l’accesso al Beiho per portare a Pechino i plenipotenziari occidentali incaricati di concludere la pace. L’attacco ai forti di Taku (Dagu) era tuttavia questa volta fallito, con pesanti perdite europee e gli occidentali ne avevano preso pretesto per riaprire le ostilità, saccheggiare Pechino stessa ed imporre 148 Il Diario di Pompeo Mazzocchi volte, occorreva fermare il vapore, per delle barche pescareccie che ne imbrogliavano il corso: sapete cosa faceva il capitano per farsi strada? I marinai gettavano di spalla dei pezzi di carbone addosso a quei poveri pescatori, che se fossero stati presi nel capo sarebbero caduti morti. Mi spiaceva di vedere questo atto prepotente e barbaro 55. Fabbricato denominato “Nagasaky”, Coccaglio. Una delle proe lo dissi al capitano, che prietà in origine acquistate dai Mazzocchi ed a cui Pompeo diede nome giapponese in riconoscimento dei proventi realizzati con mi rispose: “Dovete sapere un le vendite di seme-bachi giapponese. che io sono uno di quelli che li tratta più bene e conviene far così con questa gente”. /151/ Potete capire e dar ragione ai cinesi quando ci chiamano barbari: essi invece, davanti a noi, ed anche fra di loro, si fanno inchini e complimenti, anche fra le persone dell’infima plebe, come qui usano le persone più civili. Ora, successe un fatto assai doloroso. Il macchinista era obbligato ora di girare a destra, ora a sinistra, soffermandosi, rallentare e per far questo moveva una [specie di] stanga di ferro alta.296 Successe che, non facendo attenzione, non avendo levato questo ferro, nel discendere, gli capitò fra il collo e la testa e rimase morto schiacciato. Ho veduto gli spruzzi di sangue. Si portò il marinaio di sopra, si coperse con una stuoia, un tappeto. Ebbi in mano il suo orologio e mi serrava il cuore di vedere le sue robe ed il pensiero mi correva alla sua famiglia. Era un bel giovine di circa 30 anni. Arrivando a Tientsin venne disceso a /152/ terra. Questo poveretto fu vittima dell’impazienza del suo capitano. Dal signor Sandri seppi la storia dei francesi e inglesi che si spinsero sotto le mura di Pechino e vi entrarono, mi pare nel 1858, sotto il barone Gros.297 Non è stata una campagna gloriosa, i cinesi erano impreparati, i nostri fecero dei macelli anziché dei combattimenti ed abbruciarono il Palazzo d’Estate, che conteneva ricchezze accumulate in molti secoli, interessanti, ricchissime, curiose. È inutile che vi dica la condizioni di resa alla Cina assai più gravose (Convenzione di Pechino, 1860). La Russia in particolare ne avrebbe approfittato per portare i suoi domini siberiani, già ampliati con i trattati del 1858, oltre l’Amur e sino all’Oceano, di fronte al Giappone (CZ). 294 Manca nel testo (NdR). 295 Le notizie di Mazzocchi su Sandri, piemontese di Alba, commerciante in Cina, sono confermate da sporadici riferimenti sui periodici cinesi in lingue occidentali dell’epoca. Un suo viaggio in Giappone è registrato nel 1868. Appare molto probabile che a Sandri si siano rivolti anche i bresciani Il Diario di Pompeo Mazzocchi 149 storia, che potete leggere precisa. Fu una barbarie per intimorire i cinesi, che avevano in mano dei prigionieri inglesi, fra i quali Sir Harry Parkes,298 che conobbi, e con il quale feci il viaggio da Hakodate a Yokohama nel 1865. Ora, 2 ottobre 1899, sopra un giornale illustrato, “La Domenica del Corriere”, trovai una illustrazione su come si viaggiava una volta da Taku a Pechino. Quale /153/ rapido cambiamento deve succedere in così vasto impero! Col signor Teobaldo Sandri fu conchiuso un contratto di 50 Kg di seme bachi299, non più, ed egli si era obbligato di usare la preferenza al signor Enrico Andreossi nel caso ne volesse dell’altro. Limitai la quantità, malgrado avessi 100.000 lire disponibili, perché mi sembravano i bozzoli vecchi che avevo veduti, troppo scadenti. I bozzoli erano gialli e colla punta da un lato. Feci questo ragionamento: se la semente riesce, la società Andreossi perderà il credito per la qualità scadente dei bozzoli, se non riesce, peggio, perciò non era sicuro impiegare [tutto] il suddetto capitale. Ebbi la fortuna grandissima di far conoscenza con un certo signor Furgeson300 che mi consigliò di lasciare il Nord della Cina e di recarmi ad Hakodate, nel Nord del Giappone, sull’isola di Yesso. Mi assicurava, come successe, che avrei avuto facilmente la semente per essere il sito lontano dal /154/ governo. Così non avrei avuto paura per la qualità dei bozzoli e la società Andreossi avrebbe avuto semente sicura di diversa provenienza. Il sito al Nord [del Giappone] mi sembrava più adatto di Yokohama, [perché si trova] sulla nostra latitudine301 e poi a Yokohama vi erano [già] l’Andreossi e Frigerio. L’anno scorso, o il corrente, lessi sul giornale il “Corriere” che Ferguson si era trovato coi capitani dei vari bastimenti tedeschi di guerra e assicurava che la Baia Nord del Golfo di Pichelì, leggesi Picelì, sarebbe la più adatta per una colonia. Ora si è verificata questa occupazione per consigli del signor Ferguson, e fu anche la mia fortuna che la semente del Nord Cina non riuscì e quella del Nord GiapLuigi Cicogna e Cesare Bresciani nel corso del loro tentativo, solo in parte riuscito, di raggiungere la Manciuria e la Corea alla ricerca di seme-bachi nel 1868 (CZ). 296 Dovrebbe essere l’asse del timone (NdR). 297 J.-B. Gros (1793-1870), Commissario straordinario per la Francia in Cina nel 1857, durante la “Seconda Guerra dell’Oppio” (v. sopra, nota 293), ed in seguito Ambasciatore (CZ). 298 Sir Harry Parkes (1828-1885), Ministro Plenipotenziario britannico in Giappone nel 1865. Ambasciatore a Tokyo sino al 1883. Grande esperto dell’Asia Orientale (aveva abitato in Cina sin dal 1841 ed era stato Console britannico a Canton nel 1856), fu uno dei maggiori artefici della politica estera inglese in Cina e Giappone (CZ). 299 Corrispondenti a 2000 once da 25 grammi (CZ). 300 Si tratta sicuramente di T. T. Fergusson della Fergusson & Co con sede a Cefoo (CZ). 301 Pompeo rifletteva allora una perplessità comune a molti bacologi dell’epoca: che i bachi allevati in zone più meridionali delle nostre, o comunque più calde ed umide, fossero meno adatti ad ambientarsi nella Val Padana. Oltre ad avere molte eccezioni, questa “regola” non si sarebbe comunque applicata agli acquisti effettuati a Yokohama, poichè i bachi non erano allevati nei suoi dintorni, ma in zone di alta collina poste parecchio più a Nord, come verificherà di persona Pompeo stesso quando 150 Il Diario di Pompeo Mazzocchi pone riuscì benissimo e fu l’ultima che resistette alla malattia dei bachi, che in appresso invase il Giappone. Prima di lasciare Tientsin e il Nord Cina continuai il viaggio, dopo alcuni /155/ giorni, per Pechino, per informarmi dai Missionari sopra la coltivazione bachi del Nord Cina e se potevo penetrare in Corea. Il signor Teobaldo Sandri, gentilissimo, mi trovò due carrette e l’interprete e sopra una larga strada fangosa, pernottando in un villaggio, arrivai a Pechino. Il luogo dove pernottai aveva il letto sopra un volto; sotto, si vede che nell’inverno accendevano il fuoco.302 Portai con me pane, sardelle, forchette ecc., e il signor Sandri mi disse: “Non vi è grave pericolo, scorazzano rare volte delle truppe, piccole squadre di ribelli, i taipin, e avrai facile a conoscerle per essere a cavallo con lunghissime picche”303. Aggiungeva che il caso è assai difficile; poi, se volevo andare, non c’era da pensarci troppo. Presi con me un grosso revolver e la smania, la febbre che avevo di veder Pechino - mi sembrava un sogno - mi fece nel viaggio quasi dimenticare i taipin. Il secondo giorno che ero in viaggio /156/ incontrai circa quaranta persone a cavallo con lunghissime picche. Guardai il conduttore e l’interprete, che parlava un inglese rotto (Picen English)304: la loro espressione era tranquilla, mi dissero che potevano essere guardie imperiali, soldati dell’Imperatore, difatti mi passarono accanto, mi guardarono attentamente e non mi fecero alcun atto ostile. Arrivai a Pechino e alle porte mostrai il passaporto che conservo ancora (passaporto cinese),305 che ebbi a mezzo dell’ambasciata inglese a Shanghai. Forse 400 persone mi attorniarono: a quel tempo, nel 1864, un europeo era un oggetto di curiosità. Per essere più libero, non ho creduto di recarmi all’ambasciata inglese. Non vi era albergo fatto per europei ed alloggiai in un albergo perfettamente cinese. Nell’albergo ero oggetto di curiosità. La sera venne da me l’albergatore, pregandomi, a mezzo dell’interprete, con molti cincin,306 saluti che danno gentilmente, un po’piegati, con le due mani in guisa /157/ di pugno, in posizione di chi prega (i pugni non sono uniti, ma alla distanza di circa 30 ai 40 cm), se avevo la bontà di ricevere alcuni signori che desideravano vedermi da vicino. Finite le mie scarse provvigioni mangiai il pane cinese, che era quasi della diverrà più pratico dei luoghi (CZ). 302 Mazzocchi descrive una tipica stufa-forno delle abitazioni della Cina del Nord, il “kang”, la cui parte superiore, piana, era usata in effetti anche come letto (riscaldato) nei rigidissimi inverni delle province settentrionali della Cina (CZ). 303 Il riferimento è alla lunga e vastissima rivolta agraria dei Taiping che sconvolse gran parte della Cina Centrale per oltre quindici anni e portò alla creazione di un forte governo, alternativo a quello imperiale, giungendo, a volte, a minacciare militarmente anche Pechino. Nell’estate del 1864, comunque, i ribelli erano già stati più volte sconfitti e la loro capitale Nanjing (Nanchino), nella Cina centrale, espugnata. Il rischio, tanto più a Nord, poteva forse essere per qualche gruppetto di sbandati, ma sembra assai poco probabile (CZ). 304 “Pidgin English”: sorta di “lingua franca” o gergo da bazar, comprendente molti termini inglesi più o meno storpiati, usato nei contatti ordinari tra cinesi ed inglesi (o altri stranieri) (CZ). Il Diario di Pompeo Mazzocchi 151 forma del nostro (non delle pagnocchine) e aveva l’aspetto del nostro quando lo mettono nel forno; sopra il pane vi erano tre o quattro zobbie (giuggiole). Il pane aveva il gusto dei nostri gnocchi, ma era friabile, abbastanza buono. Visitai quanto vi era in Pechino e il Palazzo d’Estate e i Missionari. Il padre Adossio mi aveva invitato a fare insieme una gita alla Gran Muraglia, ma non avevo il tempo. Ho veduto la grossa campana cinese che battevano con un legno. Come tutte le [loro] campane [era] senza battacchio e coperta tutta di caratteri. Nel refettorio dei Missionari un cinese leggeva un libro cinese. I Padri avevano /158/ [i capelli raccolti a] coda.307 (1) Mi ricordo del prof. Ghibellini che ebbi a maestro al Ginnasio, rinomato per le sue cognizioni geografiche, che parlando di Pechino disse: “Se a Pechino vi andassi con questa velada308 che ha i bottoni dorati, i cinesi, sono sicuro, sono tanto furbi che mi ruberebbero tutti i bottoni”. Allora avevo 14 anni. A Pechino 35. Come mi ricordo le cose da ragazzo! Il prof. Ghibellini non [avrebbe potuto] viaggiare in un paese più sicuro se [quei bottoni] fossero stati d’oro, immaginarsi poi se falsi! Tutti conoscono a vista, al tatto, al peso, l’oro più o meno buono e così l’argento. Non è come qui che, abituati a questi valori mancati, non vi si bada e pochi, al suono o alla vista, sanno giudicare il valore. Lasciai Pechino assai contento di quanto avevo veduto e spiacente di essere impossibilitato, per le informazioni dei Missionari, di recarmi in Corea. Ritornai a Tientsin, in casa del signor /159/ Sandri e, curioso, ho speso 5 lire, ovvero un dollaro, per vedere un piede piccolo storpio chinese.309 Da Sandri ebbi aneddoti e informazioni preziose riguardo alla guerra franco-inglese contro i cinesi nel 1858310. Quando i soldati europei partirono vi furono fuochi artificiali dall’allegria in tutta la Cina: la nuova si propagò come un lampo e [ci furono] luminarie e spari. Adesso gli europei si impongono ai cinesi disarmati, ma in brevi anni i cinesi si faranno rispettare. È un Impero in sfacelo, ma è troppo vasto e ricco e loro sono troppo amanti delle loro istituzioni, della loro razza, per lasciarsi imporre dall’estremo occidente. 305 306 Il passaporto è stato rinvenuto tra le carte di Pompeo Mazzocchi (NdR). In cinese odierno “qing-qing” espressione dialettale di risposta ad un ringraziamento o ad un saluto, già rilevata dai viaggiatori europei del XIII secolo, ma oggi in disuso. È all’origine del nostro “cin-cin” ai brindisi (CZ). 307 Sotto la dominazione della dinastia mancese dei Qing (1644-1911), i sudditi di etnia cinese erano obbligati a portare i capelli raccolti in un lungo codino. I missionari si erano adeguati a questa costumanza (CZ). (1) Non posso dilungarmi, ché sarebbe troppo lungo. Mancai di spiccioli, e feci spezzare dei dollari americani per dare un pezzetto d’argento a pagamento dei piccoli servigi. Nota di Pompeo Mazzocchi (NdR). 308 Soprabito (NdR). 309 Ad una parte delle donne delle classi sociali più elevate venivano fasciati i piedi sin da piccole in maniera tanto stretta da impedirne la crescita in lunghezza, deformandone l’arco plantare. Il piede così accorciato era apprezzato esteticamente e considerato segno di distinzione sociale, pur provocando 152 Il Diario di Pompeo Mazzocchi 56. Giovanni Mazzocchi, fratello di Pompeo, con la moglie ed i cinque figli, ritratti a Travagliato (Brescia) verso il 1905. Per gentile concessione degli eredi. Prima di partire per Shanghai, scrissi al signor Andreossi i motivi che mi persuasero di lasciare il Nord Cina e di recarmi ad Hakodate e lasciai il signor Sandri - un gentiluomo di Alba, Piemontese, cucinava all’italiana - dove stavo benissimo. /160/ Ero fiero di lasciare il Nord Cina, malgrado l’interesse che avevo di rimanere; interesse mio privato, visto che ero spinto dal dovere di meritare la stima e la preferenza che mi era stata data. Cari figli, dovete conoscere il contratto che avevo coll’Andreossi per apprezzare questa mia risoluzione. L’Andreossi mi avrebbe dato di stipendio 12.000 lire, [oltre a] tutto pagato [in prima classe], se la società impiegava nell’[acquisto di] seme bachi due terzi (2/3) del capitale sociale; diversamente, 6.000 lire. Ora, se rimanevo a Tientsin, non avevo tanta responsabilità, [avevo] tutti i comodi e colle 100.000 lire che avevo ero sicuro che venivano impiegati i 2/3 [del capitale sociale].311 Invece badai solamente all’interesse della società e di Andreossi, e sono partito. Con tanti disinganni e ingratitudini che soffersi non so se sarei capace di fare altrettanto ora. Questo fu il principio della fortuna di Andreossi e della mia. /161/ Persuadetevi, cari figli, che non si sbaglia mai a tenere la strada - se la conoscete - dritta. sofferenze gravi e rendendo difficilissima la deambulazione. La pratica, comunque limitata, stava già cominciando a sparire al tempo in cui la constata Mazzocchi, ma restava oggetto di inorridita meraviglia per gli occidentali e qualcuno, a pagamento, era disposto ad esibire loro la deformazione (CZ). Il Diario di Pompeo Mazzocchi 153 In tutti i casi la vostra coscienza è quieta, orgogliosa e vi assicurate un credito che vi sarà utile per sempre. Il signor Sandri, dopo vari anni, venne a Coccaglio e si soffermò 2 o 3 giorni, poi recossi a Parigi, ora non so se è vivo. Si era recato in Cina per dispiaceri domestici e fece fortuna in commercio. Era uomo assai simpatico, bravo ed onesto. La semente di Cina riuscì male, quella del Nord Giappone, Isola Yesso - Hakodate, dove mi sono recato, riuscì assai bene. La Società Andreossi e C. fu salva 312e il mio credito stabilito e riconosciuto. Ora, ritornando al mio viaggio da Pechino, arrivai a Tientsin, dove, con una carretta, arrivai ai forti di Taku costeggiando il fiume Beiho. A Taku mi fermai un paio di giorni e visitai i forti cinesi alle foci del fiume, forti decantati, ma ridicoli in confronto dei nostri. A Taku pagai /162/ 1.00 dollari. Arrivò il vapore Febona, il 23 aprile 1864, che mi condusse a Cefoo, leggesi Cifù, al Nord dello Shantung, dove feci conoscenza con un certo signor Pignatelli e sua signora, unica [europea] in quel sito. Da Cefoo arrivai felicemente a Shanghai e nel ripassare guardavo i monti ed ero contento quando ne scorgevo alcuni che avevano l’aspetto del monte di Coccaglio. Mi fermai a Shanghai, aspettando un vapore che si recasse al Giappone per portarmi ad Hakodate. Per combinazione, un inglese si recava con un vapore detto London a Nagasaki per venderlo. Era il 14 maggio1864 e mi recai [a Nagasaki] su questo. Arrivai felicemente a Nagasaki il 17 maggio 1864, ero il solo passeggero a bordo. Alloggiai all’Hotel Bel Vue, condotto da madame Green313 e la sera, con un certo signor Mancini, feci una passeggiata per la città. Parlavo inglese col Mancini, poi francese, credendolo francese. Finalmente mi accorsi che era italiano di Ancona.314 Feci vari /163/ acquisti col mio compagno di oggetti di curiosità. Vi soggiornai 14 giorni e pagai all’albergo 45 dollari per giorni 14. All’Astor House a Shanghai si pagava, escluso il vino, una sterlina al giorno.315 La città era interamente bellissima, non la descrivo per brevità. Feci una passeggiata coi Missionari francesi sopra un monte che discendeva a picco sul mare, dove dicesi precipitarono i giapponesi che non volevano abiurare la 310 311 La cosidetta “Seconda Guerra dell’Oppio” (1856-1860) (CZ). Se ne ricava che il capitale sociale impiegato nell’impresa fosse di 150.000 lire. Sembra però inverosimile che Pompeo, che va ad operare su di un mercato poco sicuro e poco valutato come quello cinese, avesse in mano 2/3 del capitale e gli altri due, tra i quali il capo della spedizione, ne avessero solo 1/3 per fare acquisti sul mercato più appetiibile e più rinomato. La stranezza si può risolvere pensando che Andreossi, oltre al capitale della Società in accomandita per cui agiva, avesse portato con sé altri rilevanti capitali, in conto proprio o in conto terzi (CZ). 312 Mazzocchi pecca qui di un certo autocompiacimento. Se i suoi meriti nell’operazione furono indubbi, va però ricordato che anche il seme-bachi raccolto da Pietro Frigerio e da Enrico Andreossi si mostrò di buona qualità (CZ). 154 Il Diario di Pompeo Mazzocchi religione cristiana.316 Là sopra vi era un pagoda, forse prima era una chiesa cristiana. I Missionari mi dissero che era il loro pellegrinaggio, ma nell’andarvi sbagliammo strada. In una passeggiata che feci poi, solo, sulle colline stupende che contornano Nagasaki, di quando in quando vedevo una biscia. Quando sparì il sentiero, per timore di schiacciarne sull’erba, ritornai. Avendo dopo veduti i Missionari, raccontai loro delle bisce che avevo vedute e dissi: “Non /164/ devono essere velenose, perché ho veduto poco discosto giapponesi scalzi che lavoravano nelle piccole risaie ai piedi del monte, come noi abbiamo le vigne”. Mi rispose uno: “Va bene, sarà così, ma il ne faut pas se fier (perbacco, dei serpenti non mi fido)”. Finalmente, un piccolo shooner a vela di 200 tonnellate, il Berlino,317 partiva per Hakodate e così pagai per il passaggio 60 dollari. Collo schoneer sono partito il 31 maggio 1864 da Nagasaki (isola di Kyushu) e arrivai a Hakodate il 14 giugno. Il viaggio fu buono. A Nagasaki andai tardi a bordo, e domandai al capitano quando partiva. Mi disse: “Domani di buon’ora”. Il bastimento era piccolo, dormii benissimo e mi alzai tardi. Fuori della cabina trovai il capitano e gli dissi: “Sono le 8 o le 9, non è ancora partito?” Mi rispose: “Venite sul ponte”. Mi trovai in alto mare fuori della vista di Nagasaki. Abituato coi vapori che fanno rumore /165/ prima di partire, restai sorpreso, contento. Avevo un sol compagno di viaggio; mi ricordo che era miope. In alto mare, fra la Corea ed il Giappone, malgrado sia sito dove regnano i venti, trovai la bonaccia. Il piccolo bastimento, invece di andare avanti, si fermò e pareva che indietreggiasse. Ad un [certo] momento ci trovammo in mezzo ad un branco di pesci, [simili alle] aringhe. Erano tante che sembrava che quelle di sotto alzassero quelle di sopra. L’acqua e i pesci facevano delle piccole onde. Un cinese che era a bordo disse: “Troverò il mezzo di pescare anche se non vi sono reti. Lasciate fare a me” e capitò con un cesto legato con una corda e dentro un sasso. Lasciò discendere la cesta nell’acqua, la quale fu coperta piena di pesci. Poscia tirò la corda. Ne saltavano fuori molti, ma un buon numero si videro saltellare sulla coperta. La coperta era piena di aringhe e ne avremmo prese di più se il passeggero miope non avesse voluto pescare: tirava la corda [a sproposito] e così si rovesciava /166/ la cesta e molte fuggirono. Un po’di vento ci tolse di mezzo ai pesci. 313 Il Bellevue Hotel di Nagasaki risulta effettivamente gestito in quegli anni da una “Mrs. M. Green” (CZ). 314 Nicola Mancini (1832-1880), di Pesaro. Risulta esser stato un tecnico specializzato, impiegato, nel 1871, al laminatoio della Zecca governativa di Kawasaki. Su di lui e sui suoi familiari vi sono casuali riferimenti nella stampa periodica in lingue straniere del Giappone. Muore in Giappone nel 1880 (CZ). 315 I dollari cui fa riferimento Pompeo Mazzocchi sono i dollari “messicani” d’argento (coniati in Messico con l’argento di quelle miniere), detti anche “americani”. Fu moneta corrente in tutta l’Asia Orientale per i commerci internazionali per più secoli. Il dollaro valeva ca. 5 lire. Il prezzo dell’albergo di Nagasaki risulta Il Diario di Pompeo Mazzocchi 155 57. Il matrimonio di Camilla Mazzocchi con Giacomo Prandelli a Coccaglio nel 1919. Per gentile concessione degli eredi. Allo stretto per entrare a Hakodate, mi pare lo stretto di Stugar318, vi è corrente e se non vi è il vento è difficile entrarvi. Trovai là l’Andreossi, arrivato da Yokohama, che ebbe [la mia] stessa idea [di andare a Hakodate, ma che] ripartì dopo pochi giorni sopra un vapore di guerra. Alloggiai in casa di un certo signor Duus, agente della Casa Lindsay319. Col signor Duus mi trovai benissimo. Appena partito l’Andreossi, sorse un tifone e si credeva il vapore perduto; un vapore partì per vedere se trovava traccie di naufragio. L’Andreossi potè sfuggire, ma arrivò tardi a Yokohama. A Hakodate l’Andreossi mi diede comunicazione [dell’arrivo] di un buon numero di cartoni, [per i quali aveva] dato un acconto, [ma] non sapevano se ci fosse [mescolato anche del seme di bachi] bivoltini. Che fortuna, [invece]! Li ricevetti tutti annuali, e riuscirono benissimo.320 Tutte le mie lettere [spedite dal Giappone] vennero distrutte, ma trovai una mia carta delle spese e sopra questa trovo notato /167/ che il 25 giugno morì di morte improvvisa il comprador 321del signor Duus, un cinese. Mi ricordo le strane cerimonie. Morì anche improvvisamente un comandante di una nave. quindi di circa 16 lire/giorno, contro le 25 lire (una sterlina) dell’albergo di Shanghai (CZ) 316 Il riferimento dev’essere a un episodio del 1597 in cui vennero giustiziati 26 giapponesi convertiti (CZ). 31 “Schooner”, termine inglese per un particolare tipo di veliero, di non grande stazza, a due o più alberi (NdR). 318 Pompeo storpia nel ricordo il nome giapponese - Tsugaru - dello stretto (CZ). 319 John Henry Duus. La Lindsay & Co era tra le maggiori ditte commerciali britanniche in Asia Orientale. Nella spedizione in Giappone del 1865 Mazzocchi tornerà a cercare appoggi presso la Lindsay & Co e presso Duus (vedi oltre e anche Caterina Saldi Barisani, Pompeo Mazzocchi, cit., p. 137, trascrizione delle lettere di Mazzocchi e di Dusina del 19 giugno e del 12 luglio del 1865 a Gaetano Facchi, Sindaco di Brescia) (CZ). 320 Sul seme bachi dei bivoltini (pochissimo quotato in Italia e a rischio fermentazione nel lungo viaggio da Yokohama al nostro paese) e su quello “annuale” si veda la n. 75 all’Introduzione (CZ). 321 Il termine, di origine portoghese, indicava un uomo di fiducia, indigeno, che si occupava degli acquisti sui mercati locali per conto di qualche funzionario o mercante occidentale e, più in generale, della gestione dei rapporti di afffari con i locali (ed è in questo senso che qui Pompeo lo usa). La parola ebbe in seguito, per i movimenti 156 Il Diario di Pompeo Mazzocchi Venne posto alla lotteria un [suo] fucile, valutato 600 lire, che guadagnai con un numero [che avevo acquistato] e [che] regalai al signor Duus. Ho messo a debito di An-dreossi il numero che avevo giocato, ma sarebbe stato meglio se avessi tenuto il fucile per farne regalo al mio povero fratello Gabriele al mio ritorno. Era della fabbrica Devisma di Parigi. Il 1 agosto feci una gita a cavallo col console francese nell’isola di Yesso [Hokkaido]; ho veduto bozzoli e farfalle. Ad Hakodate vi erano pochissimi europei, forse 12 o 20 e, fra gli altri il capitano Blakiston, che scrisse un’opera sopra un viaggio nell’interno della Cina,322 e il capitano Wise, console inglese.323 Col capitano Wise sono stato a teatro e con una scala a mano salimmo sul palco, dove diede lo shampagne al giapponese e agli europei che aveva invitati a vedere i giuochi dei /168/ prestigiatori giapponesi. Era stato capitano a Londra delle guardie della regina. Disse e parlò degli Aïnos, indigeni dell’isola, mezzo selvaggi, pelosi, e [fece] mandarne degli scheletri al Museo di Londra. Venne poi traslocato in un altro sito per acquietare gli Aïnos.324 Finalmente, messi insieme i cartoni, ultimati i conti, colle casse partii col City of Nantes, piccolo vapore, per Shanghai.325 Dal capitano comperai la carta geografica dove si vede dove passò il vapore e le burrasche avute. Sull’istesso vapore era certo Alpiger,326 che credevo morisse dal mal di mare. Anch’io soffersi assai, [ma] fu l’ultima volta. Le onde avevano rotto i grossi vetri che davano chiaro sul salottino. Vi avevano inchiodato delle assi, ma di quando in quando le onde che battevano sopra il ponte mandavano getti d’acqua nel piccolo salottino dove acqua e altre provvigioni, vestiti ecc. ondeggiavano e si perdevano sotto. 28 febbraio 1901, dico 1901 /169/ Continuo a memoria, senza avere delle note di viaggio. Arrivai a Nagasaki ed alloggiai coll’Alpiger all’istesso albergo dove ero stato nell’andata a Hakodate, il Bel Vue Hotel, e dormii nella stanza con Alpiger. La sera levai il materasso e lo misi in terra: così mi pareva di esser fermo e di mettere a posto la testa che mi girava. Mi fermai a Nagasaki 2 o 3 giorni, intanto che si nazionalisti e indipendentisti dell’Asia Orientale, una connotazione fortemente negativa, ad indicare le persone (indigene) asservite agli interessi di sfruttamento degli imprenditori stranieri o delle potenze coloniali (CZ). 322 Si tratta del capitano d’artiglieria Thomas Wright Blakiston (1832-1891), inglese, autore di Five months on the Yang-tsze..and notices of the present rebellions in China, Murray, London 1862, che parla del Fiume Azzurro e della rivolta dei Taiping. Il libro è citato da Mazzocchi anche più oltre, al foglio 188 del dattiloscritto. Blakiston avrebbe in seguito scritto sull’isola di Hokkaido e, naturalista di un certo valore, avrebbe anche compilato un fortunato Birds of Japan (in collaborazione con H. Pryer) (CZ). 323 Si tratta di John Howard Wise della ditta Holliday, Wise and Co. Era uso frequente che il consoli fossero scelti tra i membri della comunità mercantile o imprenditoriale (CZ). Il Diario di Pompeo Mazzocchi 157 riparava il vapore e partii per Shanghai. Anche in questa attraversata sono stato preso dal cattivo tempo e dalla burrasca. Nella relazione del [mio] giornale di [viaggio], al nostro arrivo a Shanghai, vi è la parola tremenda, mare [in burrasca]. Con tutto questo, con mia meraviglia, non soffersi nulla, mentre l’Alpiger sofferse come prima. Con questa attraversata chiusi il tempo che soffrivo il mal di mare; dopo, cioè dal 1865 al 1880,(1) non soffersi nulla, mentre vi sono molti /170/ che mai non possono abituarsi. Ebbi la fortuna grandissima che non ho avuto avaria nei cartoni, altrimenti, con questa disgrazia, sarebbe stata per me chiusa la via ad altri viaggi, senza [contare] il 58. Adele Mazzocchi, figlia di Pompeo, nella dispiacere immenso. La mia vita sarebbe casa paterna in parte arredata con oggetti orientali. Inizii del ‘900. Per gentile concesstata cambiata. sione degli eredi. A Shanghai alloggiai all’Astor House. Dopo, col signor Frigerio capitò il signor Andreossi da Yokohama colle loro casse [di seme-bachi] e il signor Andreossi con me fu gentilissimo e rimediò alle parole che mi aveva detto quando lasciai Tientsin per Hakodate.327 In quell’anno 1865 [in realtà: 1864 NdR] vennero esportati [dal Giappone]circa 400.000 o 500.000 cartoni. Dalla Cina non vi furono che i miei 40 o 50 Kg di sgranato328 che avevo ordinato al signor Teobaldo Sandri di Tientsin. Se fossi restato a Tientsin e avessi portato [molta] di quella semente, la Società Andreossi avrebbe sfigurato in confronto degli altri che avevano tutte le loro esportazioni di cartoni giapponesi. Aggiungo la fortuna, che ebbi grandissima, che la semente giapponese, sia /171/ di Yokohama che di Hakodate riuscì benissimo, mentre quella del Nord Cina andò male e i [pochi] bozzoli [ottenuti] furono più scadenti. 324 Ainu, la popolazione aborigena dell’arcipelago giapponese. Ai tempi di Mazzocchi era già enormemente ridotta ed abitava solo una parte della più settentrionale isola di Hokkaido, alcune delle Curili e parti di Sakhalin, mantenendosi prevalentemente con la caccia e la pesca. Oggi gli Ainu superstiti sono poche migliaia. I musei ed i collezionisti privati in Occidente chiedevano spesso scheletri o cranii di individui delle popolazioni “primitive” e molti viaggiatori non si fecero scrupolo di saccheggiare i luoghi di sepoltura degli indigeni. Così evidentemente fece Wise, causando delle violente proteste tra gli Ainu (CZ). 325 In realtà, come anche si ricava dal testo che segue, per Nagasaki, per poi ripartire per Shanghai (CZ). 326 Nel 1864, F. Alpiger e G.B. Biava vengono indicati nella stampa specialistica quali “commessi” 158 Il Diario di Pompeo Mazzocchi Dopo felice viaggio arrivai a Genova circa il 9 gennaio [1865]. Quante cose avrei a dire se avessi le mie lettere! Allora non c’era il taglio dell’istmo [di Suez], né i vapori erano celeri e con le comodità di adesso. Arrivato, ebbi la fortuna di abbracciare i miei genitori e fratelli e di trovare tutti contenti. Nel primo viaggio al Giappone del 1864, come scrissi, eravamo in tre: il promotore, signor Enrico Andreossi di Bergamo, Frigerio Pietro di Bergamo ed io. Eravamo in tre ed io ero [stato] destinato, occorrendo, per la Cina e Corea. Nel suddetto primo viaggio, avendo veduto che la semente di Cina era riuscita male, non vi era altro che il Giappone. [L’anno seguente] all’Andreossi bastava Frigerio: essendo il secondo anno [ed essendo ormai] pratici del Giappone, non avevano bisogno di altro personale. Il signor Andreossi mi regalò, oltre lo /172/ stipendio di 12.000, altre 1.200 lire. Nel 1865 si costituì una società bacologica a Brescia, la Società Bacologica Bresciana per l’acquisto del cartone al Giappone329, dal signor Gaetano Facchi, sindaco330 e dal signor Luigi Mazzuchelli, assessore331, sotto il patrocinio del Municipio. Dopo, aperta la sottoscrizione dell’acquisto dei cartoni, vennero chiamati i sottoscrittori e gli azionisti della Camera di Commercio per eleggere quelli che dovevano recarsi al Giappone, o [più precisamente] per eleggere il capo, il responsabile che doveva recarsi al Giappone, e questo capo aveva il diritto di scegliere due compagni, sempre coll’approvazione del sindaco e del signor Mazzucchelli, ecc. Sono stato eletto quasi all’unanimità ed il sindaco Gaetano Facchi mi chiamò per sentire cosa pretendevo. Restammo d’accordo per 6.000 lire e mi pare anche [altre] 6.000 lire se venivano impiegati i due terzi del capitale sociale, [oltre in Giappone del grossista bergamasco di seme-bachi Ing. Francesco Daina. Alpiger, residente a Bergamo e verosimilmente membro della comunità evangelica svizzera di quella città’, si recherà più volte in Giappone negli anni successivi (CZ). (1) Ho detto: dal 1865 al 1880 sono stato al Giappone negli anni 1864, ‘65, ‘68, ‘69, ‘70, ‘71, ‘72,’73, ‘74, ‘75, ‘76 ‘77, ‘78,’79,’80. Dopo il ritorno nel 1864 non soffersi il mal di mare. Nota di Pompeo Mazzocchi (NdR). 327 Evidentemente Andreossi, quando s’incontrò con Mazzocchi a Hakodate, lo rimproverò di aver lasciato la Cina per venire in Giappone. Di questo rimbrotto non c’è traccia nelle pagine che precedono (NdR). 328 Seme-bachi sciolto, non attaccato su cartoni o su pannolini. V. sopra, nota 135 (CZ). 329 Su questo episodio si veda in particolare il citato volume della C. Saldi Barisani, Pompeo Mazzocchi…, pp. 70 e segg. e appendici. Sul viaggio in Giappone del 1865 esiste, presso l’Archivio di Stato di Brescia, un “libro-giornale” compilato da Pompeo Mazzocchi per i suoi committenti. Numerosi estratti di questo sono stati riportati nel volume della Saldi Barisani sopra citato (NdR). 330 Gaetano Facchi (1812-1895), imprenditore nel settore del ferro e proprietario terriero con forti interessi in bachicoltura. Fu Sindaco di Brescia dal 1862, mostrando grandi capacità organizzative ed innovative, specie nel settore fiscale. Aggravatasi la crisi della pebrina, fu tra i fondatori e gli animatori della Società Bacologica Bresciana. Suo fratello, Giovanni, sposò Camilla Fè d’Ostiani, sorella di Alessandro Fè d’Ostiani, futuro Ambasciatore italiano in Giappone ed anch’egli, assieme ai fratelli Il Diario di Pompeo Mazzocchi 159 a] alcuni centesimi per cartone, mi pare 15, se /173/l’operazione fosse riuscita benissimo. Proposi per compagno il signor Antonio Dusina di Brescia332; mi disse che già era nella loro mente: riuscì galantuomo e capace. Non sapevo chi scegliere per terzo. Una mia seconda cugina, Pellegrini, maritata Ghisenti333, mi raccomandò un certo Gattinoni334, ma il sindaco non lo volle, perché era stato diversi anni a S. Francisco di California, credo 7 anni, ed era ritornato senza danari, con pochi mezzi. Temeva il capo di affidargli somme rilevanti, potendo succedere [qualcosa]. Questo Gattinoni venne da me, mi disse che dai 6 agli 8 anni eravamo stati in collegio insieme, al collegio Bertacagni (io non mi ricordavo, né potei rissovenire) e volle che ci dessimo del tu. Sembrava giovine serio, istruito e lo raccomandai al signor Facchi. La signora Pierina335 mi ripeteva le buonissime informazioni. Finalmente persuasi il signor Facchi e fu accettato. Gli volevano dare 3.000 lire e lo persuasi di non accettarle, /174/ e di dargli [invece] 6.000 lire perché i stipendi sono alti al Giappone [e lui], dopo, non sarebbe [stato] contento, e infine, se tutto andava bene, col capitale di oltre 300.000 lire non vi era da sofisticare. Il Gattinoni era impiegato all’Ufficio Ipoteche con 600 o 800 lire annue. Il signor Facchi Gaetano, sindaco di Brescia, mi domandò come doveva fare i crediti al Giappone: gli feci osservare che sarebbe bene di comperare a Marsiglia i dollari messicani che hanno corso al Giappone336 (i pagamenti si fanno in urgente337 e i crediti sono in sterline) perché, sia per le sete sia per i cartoni, sarà facilissimo che il corso dei dollari in argento abbia a rialzarsi. Per questo il signor Facchi mi diede 100 biglietti da mille, che allora valevano come oro, per cambiarli a Marsiglia. Diedi a Dusina 50.000 lire e altrettante le ho cucite nella tasca interna del gilè. Il mese di gennaio 1864 partii col signor Antonio Dusina per Genova e da Genova per Marsiglia /175/ A Marsiglia, dal banchiere Pascal Fils et Compagnie feci cambiare le 100.000 lire in tanti dollari e per essere sicuro che erano buoni li feci esaminare da un assaggiatore e li feci mettere a bordo in tante cassette. Coll’argento non c’è bisogno di assicurarlo per avaria.338 Da Marsiglia arrivammo felicemente ad Alessandria e da Alessandria, colla ferrovia, Pietro e Marc’Antonio, grandemente interessato al commercio di seme-bachi. Suo figlio, Paolo Facchi (1833-1924), si recò svariate volte in Giappone per acquistare seme-bachi (CZ). 331 Luigi Mazzucchelli era Presidente della Camera di Commercio di Brescia e, in quella veste, si era occupato più volte del tema bacologico. Alla fine degli anni ’50 aveva personalmente partecipato alla ricerca e commercio di seme-bachi nel Vicino Oriente assieme al Conte Ignazio Lana (CZ). 332 Antonio Dusina (Brescia, 1833-1906). Sarà uno dei più attivi semai bresciani in Giappone, lavorando, oltrechè per l’Associazione Agraria ed il Comizio Agrario di Brescia, per la Alcide Puech di Brescia (sulla quale v. Introduzione). A partire dal 1870 gli si affiancherà Giuseppe Mazzoldi, anche lui bresciano. Più tardi, la Dusina e Mazzoldi agirà anche in proprio e risulta ancora in attività nel 1883. Di Antonio Dusina sono segnalati almeno 10 viaggi in Giappone tra il 1864 ed il 1874 (CZ). 160 Il Diario di Pompeo Mazzocchi 59. Veduta del porto fluviale di Calcutta. Prima metà del 19° secolo. Collezione privata. 60. Pianta della città e porto di Yokohama in una delle prime stampe giapponesi del sito. Circa 1865. Cm. 74x150. Fondazione Pompeo e Cesare Mazzocchi, Coccaglio, Archivio Storico. Il Diario di Pompeo Mazzocchi 161 andammo al Cairo. Mi pare alloggiammo all’Hotel d’Orient. Al Cairo infieriva il colera e partimmo il giorno dopo per Suez. Allora non vi era il canale e tutte le merci traversavano l’Egitto. Arrivammo a Suez con un caldo eccessivo; deve essere stato in giugno. L’albergatore dell’Hotel Suez era un marchese che parlava l’italiano; gli abbiamo raccontato che eravamo diretti al Giappone per l’acquisto del seme bachi. Dopo 15 giorni partì il Gattinoni da Brescia; partì dopo [di noi] per vedere l’ammontare [finale] delle sottoscrizioni e portarmi altre /176/ credenziali.339 Le credenziali erano tutte al mio nome, a vista, a 15 giorni, a 3 mesi o a 6 mesi. Fece lo stesso viaggio ed arrivato il Gattinoni ad Alessandria, circa 15 giorni dopo che noi eravamo partiti, lesse i giornali [del luogo]340 e con sua meraviglia non ci trovò nel numero di quelli che erano notati. [Gattinoni non sapeva che] il giornale aveva notato quelli che si fermavano in Egitto, non quelli che proseguivano per Suez e l’Estremo Oriente. Che fece egli? Sapendo che noi avevamo 100.000 lire, telegrafò a Brescia al signor Facchi che Dusina ed io non eravamo arrivati in Egitto. Questo l’ho saputo dopo che ritornai a casa dal Giappone. Il signor Facchi, in pensiero che, senza avvisarlo, avessimo perduto il vapore a Marsiglia, mandò a Coccaglio, in casa di mio padre, l’ingegner Bellini, allora presidente del Comizio341 (il Comizio si era unito alla [Società] Bacologica Bresciana), per sentire se mio padre aveva /177/ nostre nuove. Trovò mio padre allegro e quei di famiglia pure, in paese nessuna nuova in contrario. Per delicatezza, [Bellini] non palesò [le sue preoccupazioni], non si dimostrò allarmato. Ecco il compenso di aver giovato al Gattinoni! Allo stesso Gattinoni, [qualche tempo] dopo, domandai un giornale bresciano per leggere: mi disse che potevo farmelo spedire. [Avendo domandato] ad uno di Brescia che lo conosceva, se era stato grato ai suoi genitori, mi disse che vivevano in ristrettezze e che fu ingratissimo. Ad altri ho giovato assai di più, ed ebbi assai peggio! Mi è rimasta una [grande] sfiducia, dopo tanti disinganni [inenarrabili]! Se ho fatto del bene - perché soffrivo, avendo dei mezzi e [essendo] senza figli, a non farlo - lo feci, ma sempre senza sperare di essere corrisposto. Per dovere, per amore, per stima, per amicizia, non col pensiero [che] avrò la soddisfazione che avrò delle persone che mi vorranno [un] bene grato. Proseguo. Col signor Antonio Dusina arrivo /178/ a Point de Galle e ricevo un dispaccio dal sindaco signor Facchi, di rispondere se ho fatto buon viaggio. Ero d’accordo che se mi succedeva qualche fatto di qualche entità l’avrei avvisato per telegrafo. Il dispaccio costò al signor Facchi un centinaio di lire e più, altrettante occorrevano per la risposta. Avrei fatto bene a telegrafare, ma credo che non ho 333 Come dice Pompeo all’inizio del suo Diario (foglio 2), Maddalena Armanni, sorella di sua nonna paterna, aveva sposato un Pellegrini di Brescia (NdR). 162 Il Diario di Pompeo Mazzocchi telegrafato, [perchè] quasi indispettito di ricevere un telegramma di così poca importanz a . Ho dimenticato di dire, o ripeto, che il Gattinoni telegrafò che Dusina ed io non eravamo arrivati ad Alessandria, ma quando seppe a Suez dall’albergatore che eravamo passati, che i passeggeri che attraversavano l’Egitto non erano nominati sul giornale, allora il Gattinoni, invece di smentire con telegramma quanto aveva telegrafato ad Alessandria, si contentò di una lettera, che per il colera arrivò più tardi del solito a Brescia. /179/ Da Suez per l’Italia vi era il 6 1 . telegrafo. Fra il Cairo e Suez si fermò il Vi t t o r i a Almici Maztreno e i fili telegrafici che attraversavano la zocchi, mo-glie di ferrovia, essendo per qualche causa [caduti in terra], Pompeo. Circa 1881. Per genvennero strappati dal treno. Vi fu allarme fra i passeg- tile concessione degli eredi. geri, che scesero cogli altri dal vagone. Cos’è, cosa non è? Andai cogli altri a vedere la [locomotiva]: il macchinista dormiva appoggiato al vagone e il fuochista fece capire che era ubriaco, che lui non era pratico e che conveniva aspettare che si svegliasse. Chi passeggiava sulla sabbia rossiccia del deserto, chi sedeva. Avevo un po’di pane in tasca che mangiai con piacere, invidiato dagli altri. Per strana combinazione, sul treno vi era uno con un orso di quelli da spettacolo; tirò fuori l’orso, che ci fece ridere e passare il tempo. Allora le strade [ferrate] in Egitto non erano bene ordinate, i fuochisti erano reclutati fra gli europei scappati dal /180/ loro paese. In quel tempo, diebus illis, i vapori sostavano a Shanghai sette giorni ed anche quindici, aspettando il vapore che partiva per Yokohama. Un anno, non so quale, vi era il colera fortissimo. Ero alloggiato come il solito all’Astor House ed i cinesi, 334 Vincenzo Gattinoni, bresciano (1830-1908). Operò in Giappone per l’Associazione Agraria ed il Comizio Agrario di Brescia ed inoltre per la Zane, Damioli e C. (sulla quale vedi sopra, nota 249 su Diego Damioli). Fu in Giappone non meno di otto volte tra il 1865 ed il 1873. La domanda di Gattinoni al Sindaco di Brescia per partecipare al viaggio del 1865, conservata presso l’Archivio di Stato di Brescia, è parzialmente riprodotta a p. 78 del volume sopracitato della C. Saldi Barisani (CZ). 335 Pierina Pellegrini in Ghisenti, figlia di Vincenzo Pellegrini, cugino del padre di Pompeo (NdR). 336 V. sopra, nota 315 (CZ). Il Diario di Pompeo Mazzocchi 163 62. Xilografia giapponese (Nishiki-e). Veduta panoramica della città e del porto di Hakodate nell’isola di Hokkaido (Giappone settentrionale), acquistata da Pompeo Mazzocchi nel corso della sua permanenza a Hakodate nel 1865. Cm. 72x34. Fondazione Pompeo e Cesare Mazzocchi, Coccaglio, Archivio Storico. per scongiurare il colera, portarono in processione il genio cattivo, il diavolo, che aveva la bocca aperta. Il terreno di Shanghai, formato dal limo del grande fiume, copriva poco i morti. Si vedevano molti mucchi scoperti di qua e di là, anche attigui ai fossi, essendosi in Cina la libertà di farsi sepellire dove vogliano -chi ha mezzi-. Se non fanno la buca, per non mettere il morto nell’acqua, lo coprono sopra facendo un mucchio [di terra]. Vi è sempre l’aria puzzolente. Questi mucchi sono assai rispettati e quando perdono il terreno, lo ricoprono. Ne ho veduti molti di questi tumoli, come forse /181/ avrò accennato quando l’anno [precedente] rimontai il Beiho. Feci questo viaggio col signor Demas, spagnolo, ministro alle Filippine342 e col barone Roche, ministro a Pechino per la Francia343. Morì il console spagnolo Fortuny di colera. Era nell’istesso albergo. Col signor Antonio Dusina partii per Yokohama. Presi una casa assieme al Prete Zilioli di Trento,344 un galantuomo, buonissima persona. A Trento [vi è] una contrada [strada] che porta meritevolmente il suo nome. Sapendo che doveva arrivare Gattinoni e che in tre eravamo troppi a Yokohama, essendo io pratico di Hakodate, partii per questo porto nell’isola di Yesso dove ero stato l’anno prima per conto del signor Enrico Andreossi. 337 338 Forse intende “contante” (NdR). Le monete d’argento venivano assicurate per il loro valore, non per gli eventuali (e assai poco probabili) danni subiti nel viaggio, mentre nel caso del seme-bachi ci si assicurava anche per i possibili danni (avarie). Tra le carte di Pompeo Mazzocchi sono sopravissute alcune polizze d’assicurazione, stipulate in Giappone e relative ad invii di seme-bachi in Europa (CZ). 339 Intende: lettere di credito, da scontare presso qualche filiale di case bancarie europee in Giap- 164 Il Diario di Pompeo Mazzocchi Diversi anni trovai il colera [nei miei viaggi]: nel 1865 in Egitto, in Cina e in Giappone; al Giappone infierì per molti anni e fortunatamente fui illeso. Un anno ne morirono 800 a Yokohama. A casa scrivevo sempre che non credessero ai giornali, che erano esagerazioni. Ricevevano sempre, per molti anni, le lettere /182/ coi tagli per i sofimigi345 a cui andavano soggette. Mi recai quindi a Hakadate [Hakodate] con un vaporetto e come l’anno prima entrai in casa del signor Duus, agente della casa Lindsay. Nell’albergo vi era un povero giovine, ufficiale di Marina, pieno di piaghe: la testa era una crosta, aveva le gambe raggrinzite, non le poteva distendere e dalla camera usciva un odore che infettava il piccolo albergo. A mezzo del signor Duus e del signor Blakiston, feci istanza al Governatore di Hakodate che mi diede una casetta ad un’altezza [rispetto alla città] come la nostra madonnina.346 Mi ricordo che quel giovine russo mi diede champagne; non sapevo come beverlo, per l’odore che c’era in camera. Si saliva dalla città, dietro un bel sentiero, alla mia casetta e lungo il sentiero, contro una pianta, vi era /183/ inchiodata e legata con spaghi, un’assicella con sopra dei mazzolini di stecchetti, con accanto una cassettina. Mai ho veduto rotta o manomessa questa mostra: chi prendeva stecchetti, senza alcuna guardia, depositava l’importo, quel che credeva, nella cassetta.347 Per di là passavano, andando a scuola, molti ragazzi: nulla toccavano ed arrivati alla mia porta, se mi trovavo di fuori, si inchinavano e mi davano il buon giorno: Ohaio, Ohaio.348 Mi pare di vedere gli inchini, sentire le voci! Allora, qui credevano [i giapponesi dei] semibarbari, barbari! La sera, quantità immense di corvi passavano sopra la mia casetta; non mi arrischiavo ad alzare la testa per non arrischiarmi come quello della Bibbia, mi pare Tobia.349 Cadevano gli escrementi -le schitte350- come quando comincia, rara e poi più spessa, a cadere la neve. Non potendo contenere nella mia casa le casse [per il seme-bachi] vuote, per fare un piccolo portico (prima mia fabbrica) lo copersi /184/ di assi e mi sembrava che riuscissero meglio delle assicelle sottili dei giapponesi. Il sole e l’acqua lo danneggiarono curvandolo e peggio, e dovetti rifare il tetto come i giapponesi. La prima notte che vi alloggiai dormii sopra alcune casse; sopra vi avevo disteso pone (CZ). 340 Ad Alessandria si pubblicavano svariati quotidiani in italiano ed in francese, quali Il Progresso d’Egitto e Le Phare. Come per i quotidiani europei di allora, vi era sempre una rubrica di “Arrivati e partiti” che segnalava il movimento dei passeggeri nel porto o i pernottamenti in albergo (CZ). 341 Intende: il Comizio Agrario di Brescia. Per l’esattezza, l’Ing. Giovanni Bellini era Direttore del Comizio Agrario. V. C Saldi Barisani, Pompeo Mazzocchi.., op. cit., pp. 131-132 (NdR). 342 Dovrebbe trattarsi, in realtà, dell’Ambasciatore spagnolo a Pechino - de Mas - che forse proveniva dalle Filippine, allora colonia spagnola (CZ). 343 Vuol forse dire Leon Roches, Ministro plenipotenziario francese in Giappone (NdR). Il Diario di Pompeo Mazzocchi 165 una specie di materasso. Il mio koskai, servo giapponese,351 dormiva sulle stuoie vicine. Dormivo benissimo, sognavo, quando, [venendo] un po’scosso, mi sveglio. Il mio letticciolo era circondato da giapponesi armati, colle loro lanterne: le guardie della pattuglia notturna. Chiamai il servo. La pattuglia non sapeva che la mia casa era occupata, credeva fosse vuota, e [inoltre] non sapeva capire come entro non v’era un lumicino. I giapponesi, la notte, tengono un lumicino, pur essendo pericoloso e malgrado gli incendi e i terremoti. Nel 1864 e 1865, la città di Hakodate, di circa 45.000 abitanti, non conteneva, coi consoli, [che] una quarantina di europei: Duus; un missionario russo, padre Nicola; gli inglesi Capitain Wise e Blakiston; Veure, console francese,352 ecc. Vi era anche certo Gérard che aveva una bottega di [ogni genere di] chincaglieria. A questo Gérard gli mostrai un mio revolver bellissimo d’avorio e gli dissi che non si poteva smontarlo. Mi rispose: “Sono negoziante di revolver, li conosco” Come fece, maneggiandolo, partì un colpo. Ero nella contrada principale, fortunatamente non successe nulla. Era passata la palla entro una casa di fronte, le pareti essendo di assi sottili Un’altra volta mi successe che era arrivato un vapore o bastimento di balenie353 ri e due o tre erano venuti a trovarmi, o li avevo trovati, e mi ero unito a /185/ loro per guidarli per la città.. Avevano con loro un cane, mi pare fosse di quella razza che proviene dal fiume Amur. Sono cani intelligenti, taciti. Passarono due o tre ufficiali (yakonin),354 che portavano due spade e [il cane], non so come - [forse erano] le prime figure nuove che /186/ vedeva - senza che loro facessero nulla, ad uno gli prese una gamba morsicandola. Esso estrasse la spada e, evitandola il cane, batté contro un sasso che mandò scintille. A quel tempo, chi estraeva la spada era obbligato di adoprarla come punto d’onore e venne contro di noi. Estrassi il revolver che avevo nella cintura e gli dissi che non sapevamo che il cane morsicasse. Mille scuse. Ci fu un po’di parole violente, finalmente l’ufficiale yaconin ripose la spada nel fodero e ci lasciarono inaspriti. Dietro mio consiglio, quei signori ritornarono a bordo, ed io entrai nella prima casa europea [che trovai], per sottrarmi alla loro 344 Si tratta in realtà di padre Giuseppe Grazioli di Rovereto (vedi Introduzione testo e nota 4). Mazzocchi, scrivendo a tanti anni di distanza, confonde, per assonanza, Grazioli con Ziglioli, un altro semaio coinvolto con il Giappone (ove si recò almeno tre volte) che forse aveva incontrato personalmente, ma di cui conosceva di sicuro il socio, Giuseppe Gandolfi (sul quale v. oltre, nota 370) e, ovviamente, la ditta, la Ziglioli e Gandolfi di Milano, molto attiva con il seme-bachi giapponese (CZ). 345 In periodi di epidemie, tutta la posta veniva aperta e sottoposta a fumigazioni disinfettanti (suffumigi) (CZ). 346 Il riferimento è alla chiesa - detta popolarmente “madonnina” - situata sul Monte Orfano, sopra Coccaglio (NdR). 347 La descrizione è molto stringata, ma potrebbe trattarsi di un piccolo altarino di strada e gli “stecchetti” essere bastoncini d’incenso che i fedeli acquistano, depositando del denaro nella cassetta, 166 Il Diario di Pompeo Mazzocchi vendetta. Un console russo, senza motivo, venne tagliato in due pezzi, a Hakodadi, l’anno dopo la mia partenza, nel 1866, senza alcun motivo, per fanatismo politico. Assassinavano degli europei credendo di stancheggiarli che avessero a lasciare il Giappone. Erano yakonin fanatici, che anche /187/ di dietro, senza affrontare, tagliavano a metà uno o lo ferivano mortalmente. Il governo per il console russo fece pagare una vistosa somma; dopo, negli anni seguenti, chi si recava a Yokohama o a Tokio conveniva si facesse portare, anche per Tokio, da 4 persone a cavallo o a piedi; il governo voleva così per far vedere che non era responsabile e non pagare indennità gravissime. Anche il ministro inglese fu assalito 63. Xilografia giapponese (Nishiki-e) rappresentante a Tokio e fu un miracolo che non due occidentali che trattano l’acquisto di matasse di di seta con un grossista giapponese. Circa 1880. l’abbiano assassinato in mezzo alle sue filo Collezione privata. guardie. Ritorno a Hakodate. Passeggiando fuori di Hakodate, nell’interno dell’isola, ho veduto gli Ainu.355 Non molto distante da Hakodate entrai in un castello. Non avevo veduto guardie, lo credevo sito privato, quando mi trovai in mezzo ad alcuni soldati yakonin. Fortunatamente, da quelle poche parole che sapevo, capirono il mio sbaglio e non mi successe nulla. Acquistai una grandissima pelle di orso che vendetti a Milano al signor Bear, proprietario del/188/l’Hotel de Ville. La pagò bene perché il suo nome [in inglese] vuol dire orso. Ho un libro sull’Yansekiam (Yantse-kiang)356, grandissimo fiume che passa per poi accenderli davanti all’altare (CZ). 348 “O-hayô”, formula di saluto usata il mattino (CZ). 349 Tobit (Tobia padre) venne reso cieco dagli escrementi caldi di alcuni uccelli cadutigli sugli occhi mentre dormiva all’aperto (l’episodio è descritto in Tobia, 2) (NdR). 350 “Schite” - dialettale per le deiezioni dei volatili (NdR). 351 Il termine giapponese è “kozukai”, inserviente (CZ). Il Diario di Pompeo Mazzocchi 167 per Hankou357 e sbocca a Shanghai, donatomi dall’autore, Blakiston.358 Ad Hakodate sono stato a tavola diverse volte da un capitano russo che aveva un figlio e moglie e possiedo la sua fotografia. Si chiamava Kosteroff. Una volta mi trovai con quello che tradusse dal cinese i classici cinesi. Dopo tavola, una volta, con molta aspettativa e meraviglia, capitò un piatto assai stimato, goloso: erano more e vi mescevano il latte. Io vi ho messo un po’di vino. I russi, [a Hakodate], vi tenevano un ospedale, più per i giapponesi che per gli europei; gli europei erano pochissimi, credo nessuno sia mai andato all’ospedale, lo tenevano per filantropia politica, per affezionarsi la popolazione. Il russo tiene assai ad Hakodate, per /189/ svernare le navi di Vladivostok del fiume Amur359 e poi per avere un piede nel Giappone. Col signor Alister, che trovai a Benares, feci insieme il viaggio da Benares a Bombay nell’anno 1873-74.360Ho scritto questo essendomi con fatica ricordato di questo signor Alister, col quale mi trovai benissimo. Continuo. Scrivo nel 1904, luglio 15. Nel 1864 ritornai da Hakodate per Shanghai col vapore City of Nantes. Ebbi tempo pessimo, mi trovavo a bordo con un solo passeggero, il signor Alpiger di Bergamo361. Dal capitano acquistai la carta dove era segnato l’itinerario e sulla quale copiai quanto si scrisse del nostro arrivo sopra un giornale di Shanghai. Rotti i vetri che danno luce sul ponte del salottino, nei primi posti, per ogni gravissima ondata, entrava un diluvio di acqua, che cadeva a secchi sopra il ponte. Il falegname aveva inchiodato alla meglio delle assi dove erano /190/ i vetri spezzati. Ci ritirammo nel porto di Nagasaki; alloggiai al Green Hotel362, levai il materasso e lo misi in terra. Mi pareva così di star meglio: in alto, sul letto, mi pareva che [tutto] girasse. L’Alpiger era un po’ammalato e insieme lo condussi da un dottore francese. In questo viaggio soffersi assai il mal di mare; dopo questo, non lo soffersi più, malgrado che ebbi nuova burrasca tra Nagasaki 352 A Hakodate c’era in quegli anni solo un vice-console francese, H. Weim. Mazzocchi si riferisce probabilmente a Le Veuve, segretario ed interprete della Legazione francese a Edo (Tokyo), che veniva forse saltuariamente a Hakodate in mancanza di un console (CZ). 353 Hakodate ospitava spesso navi baleniere di varie nazionalità (CZ). 354 Il termine giapponese è “yakunin” ed indica un funzionario pubblico (in questo caso, dato che siamo nel 1865 e quindi ancora sotto il regime shogunale dei Tokugawa, si tratta di ufficiali di un signore feudale). Gli yakunin erano incaricati di numerose mansioni tra le quali quella del mantenimento dell’ordine publico. Erano scelti tra i samurai e, come tali, avevano il diritto a portare le due spade (nessun altro suddito giapponese poteva farlo (CZ). 355 Vedi sopra, nota 324. 356 Yantse-kiang era la vecchia trascrizione per il nome del Fiume Azzurro (in cinese, oggi, Chiang Jiang o Yangzi) (CZ). 168 Il Diario di Pompeo Mazzocchi e Shanghai.363 La guerra che ora, nel 1904, strazia e si combatte fra Russia e Giappone mi fece venire in mente di continuare a sbalzi le mie vecchie memorie. Il nome di Alister mi viene in mente in questa occasione, che Tito progettò di recarsi a Londra per approfittarsi del tempo delle vacanze per saper meglio l’inglese. 14 ottobre 1905 Ho sempre creduto che i giapponesi avrebbero finito col perdere contro /191/ la Russia, invece, per le rivoluzioni e sommosse in Russia, per mancanza d’ordine e di generali e, all’opposto, per l’ordine, unione, incredibile coraggio dei soldati e generali impareggiabili, il Giappone ne uscì vittorioso.364 Il Barzini,365 incaricato dal Corriere della Sera, scrisse benissimo di questa guerra. Il Giappone è [ora] diventato la seconda potenza marittima, ha preso posto fra le maggiori potenze ed è entrato nel mare magno della nostra civiltà. Invece delle feste per la vittoria e la pace, per tutto il Giappone ne successe un 357 Hankou o Hankow, importante scalo fluviale sullo Yangzi (Fiume Azzurro) nella Cina centrale, oggi incluso nell’agglomerato urbano di Wuhan (CZ). 358 Su Blakiston vedi sopra, nota 322 (NdR). 359 L’area della costa siberiana del Pacifico, in mano russa dal 1860 (v. sopra, nota 293), ove era stato edificato il porto di Vladivostok e dove sbocca l’Amur, era chiusa al traffico marittimo d’inverno a causa dei ghiacci ed i vascelli di legno, a rischio di restarne stritolati, dovevano svernare in qualche porto relativamente vicino, come Hakodadi, dove un ghiaccio del genere non si formava mai (CZ). 360 V. sopra, nota 270 (NdR). 361 V. sopra, nota 326 (NdR). 362 In realtà all’Hotel Bellevue di Mme Green, come Pompeo aveva detto al foglio 162 del dattiloscritto (NdR). 363 Gli episodi che precedono sono già raccontati, con qualche piccola discrepanza, al foglio 168 del dattiloscritto (NdR). 364 Il riferimento è alla guerra russo-giapponese del 1904-1905. Contro tutte le aspettative degli occidentali, i giapponesi vinsero in maniera netta sia per mare (attacco alla flotta russa a Port Arthur, base russa in Cina, e battaglia navale di Tsushima), che per terra, penetrando nel cuore della Manciuria cinese, allora sotto controllo militare russo. Con il trattato di Portsmouth (1905) i russi dovettero sgomberare la Manciuria, cedere al Giappone le proprie basi in Cina, consegnare ai giapponesi metà dell’isola di Sakhalin e acconsentire al protettorato giapponese sulla Corea (CZ). 365 Luigi Barzini (1874-1947). Famose le sue corrispondenze dalla guerra anglo-boera e da quella russo giapponese qui citata, sulla quale scrisse anche un libro (NdR). 366 Cesare Cantù (1804-1895), tra i maggiori storici italiani dell’Ottocento. Scrisse in particolare una Storia Universale in 35 volumi. Cantù era nativo di Brivio e possedeva una casa di campagna a Rovato, a poca distanza da Coccaglio. La famiglia di Pompeo e quella di Cantù si conoscevano bene e tra le carte sopravvissute di Pompeo vi è un bigliettino di Cesare Cantù in cui questi gli chiede di portare con sé in Giappone il figlio di suo fratello Ignazio, che operava nel campo della seta (NdR). 367 Felice Orsini (1819-1858). Figura di rilievo nei moti risorgimentali sin dagli anni ’40, mazziniano, andò in esilio a Londra. Fu autore di un clamoroso attentato a Napoleone III nel 1858, fallito, ma per il quale venne ghigliottinato (NdR). 368 L’episodio è raccontato al foglio 86 del dattiloscritto (NdR). Il Diario di Pompeo Mazzocchi 169 malcontento per le condizioni accettate; si vede proprio che l’appetito vien mangiando: prima erano contenti del pochissimo, ora che si trovano in alto vogliono toccare il cielo. La gentilezza, l’educazione buona, innata, il rispetto grande per tutti e per l’ordine va cambiandosi in violenze, in scortesie contro i poveri e contro quelli che condussero in porto il paese coll’avere assicurato la fine gloriosa /192/ della guerra e la pace. /193/ Persone celebri da me conosciute e che ebbi occasione di parlare insieme: = Cesare Cantù366 1857-‘58= Felice Orsini367 a Londra, al Caffè Toriani 1858 = Principe Danilo del Montenegro, in una campagna vicina a Cetigne con i signori Lanzani, Farina, Scarpetta368 64. Toyokuni. Xilografia giapponese (Nishiki-e) che mostra un tratto della Tokyo-Yokohama, una delle prime linee ferroviarie giapponesi. In primo piano personaggi con costumi occidentali. Seconda metà del 19° secolo. Cm. 74x24,5. Fondazione Pompeo e Cesare Mazzocchi, Coccaglio, Archivio Storico. 369 Dovrebbe quasi certamente trattarsi del semaio cuneese, residente a Milano, Giuseppe Gandolfi, già collaboratore di Ferdinando Meazza (v. Introduzione, n.13) e poi socio della ditta per l’importazione di semebachi dal Giappone Ziglioli e Gandolfi, con sede a Milano. Sono segnalati almeno tre suoi viaggi in Giappone dal 1869 al 1871 (CZ). 370 Dovrebbe trattarsi di Brigham Young, il leader temporale e spirituale dei Mormoni americani che guidò i suoi fedeli perseguitati nel territorio che più tardi assunse il nome di Utah e fondò del 1846 Salt Lake City. Pompeo lo incontrò nel 1870 (e non nel 1871) durante un suo viaggio attraverso gli Stati Uniti per andare in Giappone come citato nella lettera del 1870 a Paolo Tonelli qui riprodotta in Appendice (NdR). 371 Ulysses S. Grant (1822-1885). Uno dei maggiori strateghi nordisti durante la guerra civile americana. Fu Presidente degli Stati Uniti per due volte, dal 1868 al 1876 (CZ). 372 Con tutta probabilità si riferisce a Giuseppe Sapeto (1809-1895), missionario in Africa ed in seguito docente di arabo all’Università di Genova (CZ). 373 Ferdinand de Lesseps (1805-1894), protetto di Napoleone III, fondò e diresse la Compagnia che 170 Il Diario di Pompeo Mazzocchi 65. Hiroshige. “Acquazzone sull’Ôhashi”. Xilografia giapponese (Ukiyo-e) che mostra alcuni popolani che si proteggono dalla pioggia con cappelli e mantelline di paglia intrecciata. Metà del secolo 19°. Collezione privata. Il Diario di Pompeo Mazzocchi 171 NOTERELLE DI CHIOSA AL DIARIO Non si può negare che questo diario, ma più propriamente bisognerebbe definirlo un promemoria familiare, abbia un valore non solo autobiografico, ma anche di documento importante, nella sua spontaneità e grezza confezione, per i tempi di svolta decisiva nella storia economica e sociale dell’800 Bresciano, in quanto riflette la formazione di una classe imprenditoriale nuova e di una nuova agricoltura. La famiglia Mazzocchi certamente fu tra le più antiche di Coccaglio, con le vicende del quale la sua storia si è in gran parte intrecciata. Natale Partegiani1 ha scritto come, “dai documenti del 1100, tra i più antichi ritrovati fino ad ora relativi al nostro paese, risulta che la famiglia dei “Masoc” era già presente come proprietaria di terre a Coccaglio e, forse, aveva ragione Pompeo Mazzocchi quando scriveva sul suo diario che i suoi antenati erano già nel paese dall’anno Mille” e soggiunge “si è anche affermato senza prove che sia venuta nel Bresciano dal Napoletano”. Sicuro è il riconoscimento della cittadinanza di Brescia il 3 maggio 1645 nelle persone di Giovanni, don Gabriele, Pietro Maria e Gaudenzio. È vero inoltre quanto sostiene il Partegiani che “nei secoli di cui abbiamo una documentazione scritta risulta che componenti della famiglia Mazzocchi sono presenti nel paese come consoli, consiglieri, parroci, cappellani del Luogo Pio di Carità. Come notai, medici anche illustri, amministratori della congrega di Carità, confratelli delle Confraternite e commercianti non da poco”.2 L’identikit dei Mazzocchi che si intravede nel Diario è quello di una famiglia borghese che costruisce da sè la propria fortuna, fra rischi e fatiche, e non la ricava affatto da un’improvvisa fortuna dovuta alle spogliazioni giacobine del 1797-1798 come storici locali3 hanno indicato riferendosi ad un presunto acquisto favorito di grosse proprietà dal monastero di S.Faustino Maggiore, soppresso in quegli anni dal Governo Provvisorio Bresciano. Confrontando infatti il catasto napoleonico del 1805 con quello austriaco del 1852, risulta chiaramente come i Mazzocchi fossero completamente assenti nel primo e comparissero con Andrea Mazzocchi del fu Giovanni (padre di Pompeo) solo nel secondo, come proprietari4 di 351,68 pertiche - all’ottavo posto come entità nella proprietà non nobiliare. Il dato poi non è nemmeno tra i più rilevanti rispetto ad altre la proprietà di Pompeo, con 65, 1 Partegiani, N., Dalle diaconie al centro diurno Gasparo Monauni di Coccaglio, Coccaglio s.d., p. 112. 2 Fappani, A., Enciclopedia Bresciana, vol.IX, Brescia 1992, ad vocem; inoltre Partegiani, N., op.cit., e Saldi Barisani, C., Pompeo Mazzocchi: la vita e i viaggi, Brescia 1999, pp.12-18. 3 Gamba, A., Torbole Casaglia, cenni storici, Brescia 1933, p. 56; Mussio, I., Aquis turbulis. Storia di Torbole Casaglia, Brescia 1992, p. 58; Lechi, F., Le dimore bresciane in cinque secoli di storia, I, Brescia 1973, p. 355. 4 Calini Ibba, P., La proprietà fondiaria del territorio bresciano nei catasti napoleonico, austriaco e del Regno d’Italia, vol. II, Brescia 2000, pp. 603-604. 172 Il Diario di Pompeo Mazzocchi NOTERELLE DI CHIOSA AL DIARIO 50.50 ettari, nel successivo catasto del Regno d’Italia del 1898. Anche da questi pochi dati, si indovina come la fortuna accumulata da Pompeo sia derivata più che altro dai suoi fortunosi e fortunati viaggi di semaio, con un’avvertenza però: tale sua attività fu in profondità legata all’essersi trovato, a Coccaglio e Torbole, al centro di vaste migliorie della gelsibacchicoltura. Purtroppo poco è stato scritto al riguardo. Ma bastano le statistiche fornite dal Moioli per rilevare come il distretto di Chiari, nel quale si trovava in epoca austriaca Coccaglio, abbia, assieme a quello di Lonato, primeggiato in tutta la Provincia raggiungendo una densità di 15 gelsi per ettaro nel 1828, sopravanzando, infine, nel 1838 con 110.624 piante, le 107.330 di Lonato5. Grazie anche allo sviluppo della gelsicoltura, la bachicoltura era andata sviluppandosi oltre ogni speranza, tanto da far scrivere a Giovan Battista Pagani6 che essa da sola aveva superato per rendita, secondo il catasto austriaco, quella stimata per tutta la Provincia e i guadagni erano tali da compensare la diminuizione delle rendite dei cereali e del vino. Questa fonte di introiti fu però improvvisamente sconvolta dal diffondersi della pebrina, che si abbattè sul Bresciano, come altrove in Lombardia, a partire dal 1855. La pebrina non era la prima malattia a colpire l’allevamento del baco: l’avevano preceduto il calcino, detto anche mal del segno, e il negrone (il cui nome verrà inizialmente applicato erroneamente alla pebrina dal conte Ignazio Terzi Lana), entrambe dovute a metodi sbagliati di allevamento dei bachi, lasciati in ambienti troppo chiusi o eccessivamente riscaldati. Il calcino, diffusosi dal 1820, riduceva i bachi dell’allevamento ad una specie di calcina mortifera e il negrone produceva nel baco una nera cancrena che lo rendeva una poltiglia. Fu la pebrina però, più di tutte, a provocare una vera e propria devastazione nelle colture di bachi, mettendo in crisi tutto il comparto ad esso collegato e mettendo in ginocchio l’economia bresciana. Infatti col diffondersi dell’epidemia la produzione scese da tre ad un milione di chilogrammi di bozzoli che, collegandosi con la crisi della produzione di vino, gettò sul lastrico molte aziende agricole e le famiglie che vi lavoravano. Contemporaneamente entrarono in crisi le filande, che vennero ridotte in pochi anni di oltre un terzo, passando dalle 1011 del 1853 alle 686 del 1856. Si creò inoltre una paurosa disoccupazione, soprattutto femminile, cancellando quell’integrazione di redditi familiari proveniente dalla bachicoltura, sia pur aggiuntivi, ma tali da portare un considerevole sollievo alle misere condizioni delle classi contadine. 5 Moioli, A., La gelsicoltura nella Lombardia orientale nella prima metà dell’Ottocento in Romani, M., Le campagne lombarde tra Sette e Ottocento. Alcuni temi di ricerca, Milano 1976, pp. 304-305. 6 Pagani, G.B., Materiali per un quadro statistico topografico della Provincia di Brescia 1835, Biblioteca Queriniana di Brescia, manoscritto, sezione K. N. II, 10. Il Diario di Pompeo Mazzocchi 173 NOTERELLE DI CHIOSA AL DIARIO Alla crisi vennero sacrificati anche i gelsi, tagliati per far posto, come scrive il Mazzocchi, alle coltivazioni cerealicole e specialmente al mais. Gli alberi più giovani vennero utilizzati per produrre funi e carta e le foglie come mangime per gli animali, oltre che olio da cucina e grappe da trarre dai mori o dalle more7. Sui riflessi in Franciacorta di questa drammatica e prolungata crisi, esiste un’interessante documentazione nell’archivio Ignazio Terzi Lana8 esistente presso l’archivio Ragnoli di Borgonato. Il 28 maggio 1855, scrivendo a Carlo Ferrari a Bergamo, egli tesseva l’elogio delle partite di semi di bachi, di circa 80 once inviate al Ferrari, prodotte in buona parte “da quella tale famosa galettina rossa”, commentando che il paese “non ebbe a patire brina, circostanza da calcolare assai [positivamente] dai filatoi”, esaltando la “sublime qualità della partita offerta” 9. Alle sucessive lamentele però del Ferrari, il 24 giugno, il Lana doveva registrare il risultato, solamente discreto, della sua partita di sementi, e doveva ammettere che il raccolto in Franciacorta non era stato abbondante anche se “nei nostri paesi era ritenuto soddisfacente”, confessando che la seconda semente era andata “al diavolo” e che dei negozianti avevano “gettate delle mille e mille oncie”. Il nostro nobile imprenditore, scrivendo ad un autore di opuscoli di Torino sull’allevamento dei bach,i nello stesso 1855, il 4 luglio, sottolineava “In qualche località della provincia di Brescia in quest’anno si è sviluppata la malattia delle farfalle” soggiungendo come “Qui nessuno ne sa nulla ed i nostri scienziati sin ora non hanno trovato che il nome negrone a tale malattia. Perfino i ciarlatani non sono comparsi ancora con i loro specifici. Sono ansioso di sentire la scienza teorica pratica parlare di tale grave argomento [...] La pregherei di darsi la pena di farmi anche sapere se tal malattia ha invaso anche il Piemonte e anche che cosa si dice della riuscita e del valore della semente, poichè in quest’anno io ne fabbricai più del solito”. Pochi giorni dopo, il 17 luglio 1855, il Lana tornava sull’argomento, scriveva, con toni ansiosi, a Giorgio Clerici in Milano “Saresti abbastanza gentile di scrivermi subito se la malattia delle farfalle (negrone) domina molto in Brianza? Ciò mi interessa per avere [io] in fabbrica una certa quantità di semente che mi riuscì bene”. Continuò tuttavia a vendere semente di Bione, garantendola “dalla malattia dominante del Negrone” e sottolineando, in una lettera del 17 7 Venturi, C.A., Dei prodotti del gelso, in “Commentari dell’Ateneo di Brescia per gli anni 1852-57”, pp. 227-229. 8 Sul conte Ignazio Lana vedi D. Fossati, Il conte Ignazio Lana di Borgonato in “Geremia Bonomelli vescovo di Cremona nel XXV anniversario della morte”, Brescia 1939; per la sua attività di imprenditore vedi anche Fappani, A., Enciclopedia Bresciana, vol. II, Brescia 1987, ad vocem. 9 Archivio Lana Ragnoli, fascicolo 47. 174 Il Diario di Pompeo Mazzocchi NOTERELLE DI CHIOSA AL DIARIO luglio 1855, al Conte Cipolla d’Arco “Le Bione son veramente sceltissime”. E continuò a decantare la sua semente di Bione mentre, in un sopralluogo compiuto nella Bergamasca, aveva trovato “ovunque una spaventevole infezione”. Anche il conte Lana si sarebbe dovuto poi arrendere. In un promemoria, del gennaio 1856, doveva ammettere “Premesso che io ignoro se la malattia del negrone sia originata o no dalle foglie in cui nasconsi i filugelli, alterata per l’influenza crittogama od altro ovvero che non sia una nuova malattia che si aggiunge a molte altre che per ragioni atmosferiche più o meno spiegate recan morte a questo prezioso bruco, io sono del parere che in quest’anno la Lombardia a causa della più o meno quasi tutta pregiudicata semente che trovasi in commercio avrà scarso raccolto”. E già preannunciava la necessità di cercare semente nei “paesi asiatici ove tale malattia è fortunatamente per quegli abitanti e per noi tuttora sconosciuta”. In un promemoria del novembre 1855 lo stesso conte Lana riassumeva la situazione annotando come “In Italia e specialmente nel Lomb.Veneto la malattia detta il negrone che paralizza le farfalle nel bozzolo infermandole in modo che presto muojono producendo poca semente e che questa di qualità sì pregiudicata che i bachi che dà van poco a poco morendo nelle varie mute od allorchè raggiungono l’epoca di fare i bozzoli”. Il problema dell’allevamento dei bachi in presenza della pebrina divenne di tale entità che, nel 1866, in piena III guerra di indipendenza, il conte Lana affermava “Qui poco si parla di guerra e molto di bachi”10. Il microscopio La documentazione raccolta nell’archivio Lana-Ragnoli è molto ampia, come è folta la corrispondenza sulla bachicoltura del Conte apparsa sulle colonne della Sentinella Bresciana, ma forse merita una parentesi un argomento di cui non si parla nel Diario del Mazzocchi, ma che fu risolutivo nella lotta alla pebrina: quello dell’uso del microscopio per la selezione della semente ammalata11. Nel 1875, alla domanda di rivoltagli in qualità di socio del Comizio Agrario se fosse “ben persuaso della utilità dell’uso del microscopio per ben scegliere 10 Archivio Lana Ragnoli, ibidem. 11 Tra i vari tentativi espletati per far fronte alla malattia e risultati vari merita ricordare quello suggerito da C.A. Venturi (“Della coltivazione del Bombyx cynthia e dell’ailanto” in “Commentari dell’Ateneo di Brescia per gli anni 1862-1864” pp. 187-189) che proponeva l’utilizzo al posto del baco “classico” di un altro tipo di farfalla proveniente dalla Cina, il Bombyx cynthia, che dava buone rese in termini di seme e bozzoli e che per ottimizzare la produzione richiedeva al posto delle foglie di gelso quelle della pianta “da giardino” detta ailanto. Il Diario di Pompeo Mazzocchi 175 NOTERELLE DI CHIOSA AL DIARIO la partita di bozzoli meglio atta alla riproduzione” rispondeva “Pel passato faceva esaminare tanti cartoni seme bachi originari sino a che n’aveva ritrovati due immuni da corpuscoli. Questi li coltivavo separatamente ed in località possibilmente isolata d’altre coltivazioni e se ne ottenevo prodotto immune o quasi lo facevo sfarfallare. Ora poi che il seme originario non è meno infetto del riprodotto, m’attengo al risultato e non più mi curo dell’origine. Tengo d’occhio li vari allevamenti e di quelli che più promettono vo facendo microscopizzare i bachi, poscia le crisalidi e se m’avviene di trovare uno che sia immune o quasi da corpuscoli questo scelgo per confezionare i bozzoli da far sfarfallare. La partita la colloco in istanza fresca quando però asciutta, prelevandone un centinaja di bozzoli che pongo a più elevata temperatura e ciò per avere la sfarfallazione anticipata onde con la microscopizzazione, sempre certa, delle farfalle, conoscere se la partita è tale da darmi buon seme o no nel qual ultimo caso la scarto e la passo al filandiere.” Il Conte prosegue con ulteriori dettagli e conclude: “Lei vede signore che non è poi una fatica d’Ercole quella di prepararsi da sé il seme senza ricorrere ad altri per averlo e non sempre con conoscenza confezionato. Se il consigliassi a farsi da sé un orologio convengo che potrebbe trovarsi non essendo dell’arte impacciato, ma per farsi da sé un po’di seme cellulare... non vi posson essere difficoltà: me lo faccio anch’io. E se non sa e non vuole imparare la microscopizzazione e non ha la pazienza di star per delle ore piegato sul microscopio faccia come faccio anch’io e paghi una brava e coscienziosa microscopizzatrice che farà come lei sa fare le sue vigne”. Con tutta probabilità il Mazzocchi conobbe e utilizzò il microscopio e sicuramente, lo utilizzasse o meno non era tra quelli che si meritarono la dura reprimenda a certi proprieari-allevatori che il Conte Lana, nel 1877, passata la bufera, appuntava sotto il titolo “Segreti di Pulcinella”. Questi scriveva: “Per ottenere lo scopo d’aver buona semente non basta, o Signori proprietari, dar ordine al bigattino od al fattore, od alla serva di casa, di far così e così, ma bisogna darsi la pena di abbandonare la vita del caffè, delle visite, di dormir tardi, delle passeggiate ecc. ecc. e sorvegliare coi propri occhi la confezione, onde non avvengano confusioni... ed il tutto sia fatto con diligenza e precisione. Il tempo dei miracoli è passato. Non so il perché, ma il fatto è che di miracoli Iddio non ne vuol far più e ricusa a tutti di far procura per farne... La manna non fiocca più e per mangiarla bisogna guadagnarla. E guadagnarono e guadagnano e molto coloro che, cacciata la neghittosità e compresi per tempo delle osservazioni microscopiche, non perdettero il tempo coi se e i ma e si preparano il loro seme cellulare dal quale poi ricavano il seme per la loro e altrui coltivazione. Molti mi obietteranno che di seme cellulare essendone molto in vendita si può comperarlo. Io non contrad- 176 Il Diario di Pompeo Mazzocchi NOTERELLE DI CHIOSA AL DIARIO dico ma solo osservo che per aver un’oncia di seme a zero [infezione], cioè che sia sana perfetta tanto la femmina che il maschio... bisogna fare delle osservazioni microscopiche non poche...”. Il Lana si dilungava poi sui suoi esperimenti e suggerimenti, prendendo infine per il bavero gli allevatori, ammonendo che “non valga la scusa di non saper fare poiché per farlo è facilissimo, quando s’abbia attenzione e precisione e per far poi microscopizzare le farfalle vi sono microscopizzatrici che per poco prezzo fanno l’operazione ed io ne conosco di brave e coscienziose…”. Battitore libero Dalla documentazione conosciuta, emerge una caratteristica che sembra fondamentale della figura del Mazzocchi: quella di un battitore libero. L’unico incarico a carattere pubblico che emerge è quello del viaggio del 1865, promosso un’apposita società sostenuta dal Municipio e dalla Camera di Commercio di Brescia12. Lo spoglio di alcune delibere della Camera di Commercio lo vedono sempre assente, anche quando vengono prese decisioni importanti come quelle che qui vale la pena rilevare: nei verbali del 31 marzo 1871 emerge la proposta dell’ing. Cesare Deretti della istituzione di un “dock” (sic) di bozzoli, in seguito alla quale la Camera di Commercio “nomina un’altra commissione a comporre la quale sono eletti il cons. Giangiacomo Baebler, che la propose e il consigliere Felice Fortunato, con l’incarico ad essa di studiare il progetto in ogni sua parte, rivolgendosi pure per nuove nozioni e per schiarimenti al proponente, e riferire poi alla Camera. Nella seduta del 28 aprile 1971 la commissione si pronunciava sul progetto sottolineando come “coll’istituzione di un grandioso magazzino di depositi dock, al quale facciano corpo i produttori per vendere, i consumatori per acquistare, bozzoli si renderebbe minore lo squilibrio fra la produzione della materia prima e la trasformazione manifatturiera della medesima e la consumazione della merce finita poiché a questa sarebbe dato mezzo di realizzare in modo sicuro l’importo del raccolto, a questi di far compere a mano a mano secondo il bisogno e quindi senza l’impiego di un pronto ingente di capitali; e conseguenza di ciò sarebbe al certo lo sviluppo dell’industria serica e specialmente di quella parte di essa, ancora tanto difettosa fra noi, che si occupa della tessitura della seta…” 13. 12 Saldi Barisoni, C., I bresciani sulla via della seta nella seconda metà dell’Ottocento in La via bresciana della seta, cit. 13 Camera di Commercio di Brescia, Processo verbale della seduta del giorno 28 Aprile 1871, n. 462. Il Diario di Pompeo Mazzocchi 177 NOTERELLE DI CHIOSA AL DIARIO In un’altra occasione, il 7 dicembre 1871, si discute circa il “concorso della Camera di Commercio nelle spese di impianto e di mantenimento annuale dell’Istituto Bacologico, istituito al giardino Brozzoni”. La Camera medesima, oltre che decidere la somma di 1500 lire all’anno per gli anni 1872,1873 e 1874 quale quota di concorso a vantaggio dell’Istituto Bacologico ne affida ai consiglieri, nella commissione amministratrice “il mandato di concretare nel più breve tempo possibile” con rappresentanti della Provincia e del Comune “il programma ed il regolamento dell’Istituto… ritenuto che scopo precipuo di questi debbano essere gli studi scientifici sulle malattie dei bachi da seta e sui modi per combatterle”. Il 18 dicembre 1871 una commissione composta per la provincia da Gabriele Rosa, per il Comune da Basilio Maffezzoli e dal nob. Annibale Brognoli mettevano a punto il programma ed il regolamento della Stazione bacologia stilata su progetto del consigliere Faustino Gaza. Sul tutto in seguito sorsero dubbi e opposizioni ma l’iniziativa fu sostenuta con forza dalla Camera di Commercio. Se questo era l’atteggiamento fattivo dell’istituzione bresciana, molto più altalenante e negativo fu quello Governo italiano del quale il prof. Zanier scrive con precisa documentazione nella sua introduzione al Diario. In proposito può essere illuminante una caustica nota del Lana. Nel 1867 il egli scriveva “Ognuno sa, meno forse il Signor Berti [Ministro dell’Agricoltura] ed i Ministri che il precedettero, qual grave disgrazia sia stata per l’agricoltura italiana l’atrofia del baco da seta ed ognuno sa compreso il Sign. Berti e i suoi predecessori, che il governo non s’è mai dato pensiero per trovare un rimedio, un alleviamento a tanto male, quantunque con un po’di buona volontà avrebbe potuto far molto bene od almeno tentando di farlo provare a chi questi signori paga che la buona volontà di giovare era pensier loro. Questo Governo che ha sprecati milioni e miliardi non n’ebbe due, non n’ebbe uno per inviare persone pratiche, non teoriche nei più lontani ed inesplorati paesi setiferi per vedere pure di trovare qualcuno immune dell’atrofia per indicarlo poscia ai negozianti di seme che non possono, isolati, sobbarcarsi le pese di lunghi e costosi viaggi nell’incertezza di trovare il paese che può fornir seme sano da importare in Italia... in queste condizioni critiche delle finanze nostre, il Governo invia bensì una nave a girovagare nei mari dell’India e della China e del Giappone a far salamelecchi alle autorità di quei paesi Barbareschi, ma non manda una nave al Giappone perché ci riporti con tutte le cautele un seme da bachi che sarebbe ancor produttivo se non subisse avarie in viaggio sui bastimenti che non avendo il solo scopo del trasporto di questa delicata quanto preziosa merce una volta a bordo lo trattano come se fosse zuccaro o fasci di canne d’India per far 178 Il Diario di Pompeo Mazzocchi NOTERELLE DI CHIOSA AL DIARIO bastoni. E si che lo scopo ne varebbe la pena come il risultato la spesa. Devesi aggiungere che malgrado le esagerate concepite speranze d’abbondante raccolto [quest’anno] sia in Italia come in Francia questo sarà ben meschino, sia perché il baco giapponese mangiando poca foglia tesse un bozzolo che dà poca seta, sia perché molto seme riprodotto è gravemente affetto da malattia, sia perché molto d’originario soffrì avarie che quanto anche non l’abbiano ucciso, nulla meno son causa che i bachi nati sian deboli da non resistere alla coltivazione... La Provincia di Bursa tanto ricca per produzione setifera fu la prima dei paesi del Levante invasa dall’atrofia, che poscia si dilatò in Nicomedia, Bulgaria, principati danubiani ecc. di modo che il Levante propriamente detto è in oggi tutto perduto e già da qualche anno non farebbe raccolto se non si fosse provveduto per la coltivazione del seme, nei paesi caucasici ove la malattia penetrò solo da pochi anni seguendo quella marcia progressiva che suole ovunque tenere. Ed infatti il Caucaso e la Persia fornirono sementi da bachi ai paesi del Levante che perciò avranno un miserissimo prodotto insufficiente per l’uso dei paesi stessi di produzione e per la stessa ragione sarà il raccolto ben scarso anco nel Caucaso e nella Persia ove la malattia infierisce quasi come nei nostri paesi. L’India già da tempo pur essa invasa dalla malattia andò sempre diminuendo i suoi invii di seta in Europa e così varie province della Cina ove la malattia esisteva non so se prima, ma certo sin dal 1858. Dei paesi esplorati e sino ad ora posti a contribuzione per aver sete d’alimentare le nostre fabbriche solo rimane il Giappone che abbia un raccolto normale, quantunque anche in qualche provincia di quella regione siasi mostrata la malattia... ma l’enorme quantità di seme che vi si confezionerà in quest’anno, di molto o fors’anco del tutto, scemerà gl’invii di sete da noi. Il lusso sempre crescente vuol seta... è... non è più come una volta che l’abito non faceva il monaco, ognuno meno è ricco più vuole sembrar d’esserlo nel vestito come negli addobbi dell’appartamento, perciò la seta in oggi è diventata una necessità per lo che... i prezzi delle sete non ponno rimanere quali sono ma devono sempre aumentare. E da che l’atrofia è tanto diminuito il raccolto della seta in Europa, i nostri negozianti si spinsero in molti paesi setiferi dell’Asia onde acquistarvi bozzoli e sete, e negli anni scorsi, mettendo a contribuzione l’Anatolia, il Caucaso, la Persia, l’India, la China, il Giappone e tanti altri paesi, poterono in qualche modo trovar di che sostituire ai falliti raccolti quel bravo e capace quanto onestissimo Commendatore Cerutti, parlando della poca lealtà, colla quale da cert’uni si fa il commercio del seme da bachi da seta, suol dire che abbisogne- Il Diario di Pompeo Mazzocchi 179 NOTERELLE DI CHIOSA AL DIARIO rebbe per un tanto delitto, causa di tante rovine per l’agricoltura, aggiungere un paragrafo al codice penale. Io vorrei anco che chi vuol dedicarsi a questo importante commercio fosse obbligato sottoporsi ad un esame d’idoneità, così mentre la minaccia della galera scemerebbe gl’inganni, l’esclusione delle incapacità scemerebbe i malanni cagionati dall’imperizia nella fabbricazione, confezione, trasporti di questa merce sìfacilmente alterabile. Che non si spaventino però né gl’imbroglioni né gl’imperiti giacchè il Governo Italiano, come non si è mai occupato degli interessi agricoli, non vorrà occuparsene nemmeno ora che a Ministro dell’Agricoltura siede il canonico quasi Lateranense Sig. Berti il quale d’agricoltura come di tante altre cose che servono a prevenire [i suoi malanni poco] ne sa. Signor Berti: anco i clericali coltivan bachi”. L’eredità Certo il rimpianto espresso da Mazzocchi nel Dario di non aver potuto, a differenza del fratello Gabriele, partecipare alle vicende patriottiche del suo tempo, non elimina l’influsso che su di lui ebbe la temperie politico-sociale del tempo. Grazie alla parentela con Andrea Tonelli già prigioniero dello Spielberg, alla frequentazione a Coccaglio degli Ugoni, dei Dossi, che gli atti del processo a Tonelli documentano, quelle battaglie risorgimentali non devono essergli state estranee, anche perché tutti questi patrioti non solo di congiure antiaustriache e di sogni unitari parlavano, ma anche di agricoltura, di bachi da seta, impegnati come erano a condurre cascine e colture bacologiche: gli Ugoni al campazzo di Pontevico, i Dossi a Leno; da essi dovette essere preso perfino lo stesso Giuseppe Saleri che pur dedicandosi si problemi socio-educativi ebbe a comporne studi sul monopolio dei grani, sui dazi sulla carne ecc. Assente dalle stesse istituzioni provinciali di interesse bacologico, Mazzocchi non compare nemmeno in altre attività amministrative pubbliche. La formazione culturale ristretta, come egli stesso documenta nel Diario, l’orizzonte chiuso dell’azienda paterna, con tutte le tribolazioni e i debiti da pagare, sui quali ritorna più volte e come pure i lunghi viaggi di semaio lo estraniarono da altri interessi e presenze. Non abbiamo trovato il suo nome, infatti, tra i promotori del movimento dell’istruzione agraria, come nelle iniziative di beneficenza e di solidarietà sociale, anche se nel Diario non mancano richiami all’attenzione verso i poveri. A quanto si sa, Mazzocchi rimase fuori anche da quel trend imprenditoriale che ha avuto figure rappresentative nei Dandolo, nei Lana, nei Maggi e, per stare alla categoria degli stessi semai franciacortini, nel conte Ignazio Lana a Borgonato, in Giovanni Inselvini e in Giovan Battista Tonelli. E tanto più 180 Il Diario di Pompeo Mazzocchi NOTERELLE DI CHIOSA AL DIARIO sembra escluso da quei salotti di cultura ed arte dei Torri, dei Monti e di altri che vennero frequentati da Carducci e Fogazzaro o da artisti di spicco, nei quali si incontravano personalità ecclesiastiche, come Mons. Bonomelli, e della politica, come Zanardelli. La distanza fra Pompeo Mazzocchi e la società in cui visse e i suoi problemi più vitali, al di là di quelli e economici produttivi ai quali diede pure un contributo rilevante, fu però colmata con il testamento del figlio Cesare, che rendendo concreta anche la volontà di Pompeo, lasciò tutta la sostanza accumulata da lui e dal padre ai poveri e bisognosi di Coccaglio e di Torbole. Veniva meno in questa occasione una separatezza con la società locale che un cronista, ma anche diretto spettatore, quale fu Cesare Esposito, ha espresso con efficacia quando si incominciò a parlare del testamento che diede poi origine alla Fondazione Pompeo e Cesare Mazzocchi: “Perdura a Coccaglio più viva che mai l’impressione suscitata dalla notizia del testamento di Cesare Mazzocchi e si sentono i più disparati commenti che traggono alimento sia dal ricordo del carattere bizzarro del testatore, sia dall’ammontare quasi favoloso dell’eredità. Bizzarria ed ammontare che non hanno certo meravigliato il sottoscritto che ha frequentato per lunghi anni casa Mazzocchi godendo fiducia e confidenza, più a lungo di molti altri, dello scontroso e suscettibile signor Cesare. Il notaio che sta facendo l’inventario al ritmo di un giorno alla settimana dichiara del tutto prematura ed avventata la precisazione di qualsiasi cifra, che solo si potrà stabilire ad inventario completato, ma di una cosa possiamo essere certi, penso io, che la sola entità del lascito è tale che non ha mai avuto l’uguale nella nostra plaga e fa annoverare il Mazzocchi fra i maggiori benefattori, dei quali sembra essersi persa la semente in questo nostro mondo che pare immergersi sempre più nell’egoismo e nell’indifferenza per tutto ciò che è bello e buono.” 14 Il fascino del diario tuttavia, oltre ad ogni considerazione, permane immutato: nella grezza ma spontanea confezione con la quale si presenta, si può avvertire, con forza, una filigrana inconsapevole, ma suggestiva di una realtà socio-economica alla radice di quanto, ancora oggi rende il Bresciano una regione pilota della cultura e dell’imprenditorialità agricola. Antonio Fappani 14 Esposito, C., Scontroso e suscettibile, il signor Cesare si è sempre dimostrato assai generoso, “Il Giornale di Brescia”, 29 Dicembre 1961. Il Diario di Pompeo Mazzocchi 181 66. Scampagnata a Villa Guzzi, Coccaglio. In primo piano Cesare Mazzocchi. Verso il 1910. Per gentile concessione degli eredi. 182 Il Diario di Pompeo Mazzocchi Indice dei Nomi INDICE DEI NOMI Avvertenza: L’indice si riferisce ai nomi di persone, di luoghi o altro presenti nel solo Diario e nelle relative note a piè di pagina. Abdul Megid I (Sultano), 170. Abrante (padre), 108. Aden, 140,145. Adossio (padre), 150. Adrianopoli (Edirne), 108, 109, 110n, 111n, 112, 113, 115, 125, 127, 135, 136. Africa, 169n, Ainu (popolazione), 154, 156n, 166. Alba, 121, 148, 148n, 152. Alessandria d’Egitto, 142, 143, 143n, 160, 160n, 162 ,169. Alister, 167, 168. Almici, Agostino, 114. Almici, Bortolo, 89, 89n, 119, 121, 122, 135. Almici (famiglia), 83, 85, 89, 90. Almici (fratelli), 122. Almici, Giulia, 129. Almici, Lelio, 101, 101n, 140, 125n. Almici, Mario, 89n. Almici, Ottavio, 114. Almici, Pietro, 101, 108n, 109, 109n. Almici, Teodosio, 102. Almici, Tito, 114. Almici, Vigo, 101. Almici, Vincenzo, 121. Almici, Vittoria (moglie di Pompeo), 79n, 89, 89n, 103, 134n. Alpiger, F., 157, 157n, 167, 168. Alzano Lombardo, 91, 91n. America, 79, 106, 108, 136, 140. Amur (fiume), 148n, 166, 167, 167n. Anatolia, 108, 108n, 127. Ancona, 154. Andreoli, Margherita, 123n. Andreossi, Enrico, 88n, 106, 106n, 123, 123n, 124, 125, 139, 140, 140n, 141, 142, 143, 147, 149, 150, 152, 152n, 153, 153n, 155, 156, 157, 157n, 158, 163. Andreossi & C., 150, 158. Angelini, 101. Antegnate, 80, 80n. Archivio di Stato di Brescia, 158n, 159n. Ardéche, 121n. Armanni, Aurelia, 81, 82. Armanni, Basilio, 80. Armanni, Carlo, 80. Armanni (famiglia), 80, 85. Armanni, Giulia (in Quartari), 8. Armanni, Maddalena (in Pellegrini), 80, 159n. Armanni, Pompeo, 80. Armanni, (Vico) Violante, 80, 81, 83, 84, 85. Artá, 118, 118n. Asia, 105n, 137, 146n, 169n. Asia Orientale, 146n, 149n, 154n, 155n, 156n. Associazione Agraria (Brescia), 159n. Astor House (Hotel), 147, 147n, 154, 157, 163. Atene, 108. Ateneo di Brescia, 81. Averoldi, Laura, 134n. Averoldi (legato), 134, 134n. Australia, 140. Austria, 96, 102, 103n, 111n, 117, Il Diario di Pompeo Mazzocchi 185 INDICE DEI NOMI 134, 135. 186 Balcani, 82n, 109n, 110n, 124n. Balcani (monti), 125. Baleari (isole), 117. Baltaggi (banchiere), 112. Banca di Francia, 122. Barbariga, 116, 116n. Barcella (notaio), 129. Barghe, 102, 102n. Bargis, 124. Bargnano, 116, 116n. Barzini, Luigi, 168, 168n. Basilea, 106. Bassa (Basse) Bresciana (e), 116. Baroni, Caloandro, 105n. Bear, 166. Begni, Giovanni Maria, 124. Beiho (fiume), 147n, 148, 148n, 153, 163. Beiran, 170. Belandi, Lucia, 129, 131, 132. Belfiore, 103n. Bellevue (Hotel), 154, 154n, 157, 168, 168n. Bellini, Giovanni, 124, 162, 162n. Belloni, 81. Benares, 142n, 167. Bergamo, 80n, 84, 88, 91n, 108n, 109, 190n, 113, 122, 136n, 139, 140, 140n, 157n, 167. Berlingo, 84. Berlino (veliero), 154. Berna, 106. Bertacagni (collegio), 93, 93n, 133, 159. Biava, G. B., 157n. Bibbia (La), 165. Bione, 113, 113n. Blakiston, Thomas Wright, 156, 156n, 164, 165, 166, 166n. Il Diario di Pompeo Mazzocchi INDICE DEI NOMI Boemia, 82n. Bois de Boulogne, 108. Bombay, 142, 142n, 167. Bonafous, Matthieu, 105n. Bonaparte, Eugenio Luigi Napoleone, 105n. Boschetti, 88. Böyük, 122n. Breda Lunga, 86. Breno, 80n. Brescia, 79, 80, 81, 82, 82n, 84n, 93, 97, 98, 99, 100, 101n, 103n, 116n, 133, 134, 137n, 141n, 158, 158n, 159, 159n, 160. Brescia (Municipio di), 155. Brescia (Sindaco di), 155n, 160. Bresciani, Cesare, 148n. Brianza, 104, 105, 125n. Brighton, 107. Brindisi, 169. Brivio, 169n. Bucarest, 123, 124, 124n, 125, 139, 139n. Budapest, 125. Buizza, 129, 131. Bulgaria, 122, 122n, 124, 125. Burdin (famiglia), 105n. Burdin, François, 105n. Burdin Maggiore & C., 105n. Burdin (stabilimento), 105,106. Burgas, 122n. Bursa (Brussa), 108, 108n, 109, 109n, 110, 110n, 111n, 112, 112n, 113, 115, 125, 127. Bussaghe, 128, 128n, 129, 130. Butschuk, 122. Cadei, G.B., 137, 137n. Caffè Toriani (Londra), 169 Cairo (Il), 142, 142n, 143, 143n, 160, 162. Cairoli, Benedetto, 135n. Calcutta, 141, 142. Caleppio Bertoglio, Giuditta, 88n. Caleppio, Andrea, 89. Caleppio, Angelina, 80, 88. California, 159. Calvary (Calvario), (monte), 118. Camelli, Lorenzo, 97. Camera di Commercio di Brescia, 159, 159n. Camozzi (fratelli), 137n. Canada, 105, 106. Candia (città’), 119, 119n, 122. Candia (Creta), 119, 119n, 121. Candia (Creta),125, 135. Canea (Khánia), 119, 121, 122, 125. Canossi, Vincenzo, 102. Canton, 149n. Cantù (famiglia), 169n. Cantù, Cesare, 169, 169n. Cantù, Ignazio, 169n. Caravaggi (sorelle), 93, 94, 96, 133. Caravaggi, Teresa, 94. Caravaggio, 80n. Carcaiente (Caracagente), 117, 117n. Carlo Alberto di Savoia, 102. Casa di Dio (Opera Pia), 134. Casarsa, 125. Castellani, G. B., 137n, 138,138n.. Cativa (Jativa), 117, 117n. Cattaro (baia di), 115n. Cattaro (Kotor), 114, 114n, 115, Il Diario di Pompeo Mazzocchi 187 INDICE DEI NOMI 117, 125. Cavons, 123. Cazzago S. Martino, 97, 97n, 101. Cazzani, 94. Cefoo (Zhifu), 147, 147n, 150n, 153. Centro Diurno Gaspare Monauni (Coccaglio), 116n. Ceresoli, 98. Cerigo (Kíthira), 108. Cernuschi (Museo), 170n. Cernuschi, Enrico, 170, 170n. Cetigne (Cetinje), 117, 117n, 169. Cetti Ottavia (in Domenighini), 84, 88. Cevennes, 121n. Ceylon (Sri Lanka), 141, 145, 145n. Chambery, 105n. Chiang Jiang (Yangzi / Fiume Azzurro), 166n. Chiari, 80, 80n, 82, 84, 91, 93, 94n, 96, 99, 116n, 129, 133. China (vapore), 147. Cicogna, Luigi, 148n. Cina, 105, 126, 137, 137n, 138, 138n, 141, 147n, 148, 148n, 149n, 150, 150n, 152, 153, 156, 157, 157n, 158, 163, 166n, 168n. City of Nantes (vapore), 156, 167. Claremont Square, 107n. Claremont Terrace, 107, 107n. Coccaglio, 80, 80n, 82, 84n, 85, 87, 89n, 91, 94n, 97n, 116n, 127, 128n., 133, 134, 135, 140, 141, 141n, 153, 154, 160, 163n, 169n. Cognano, 101. Cologne, 80, 80n, 84, 85. Comitato d’ istruzione, 81. 188 Comizio Agrario di Brescia, 159n, 162, 162n. Conci (famiglia), 91. Conegliano, 125. Confucio, 147, 147n. Congrega (di carita’), 101. Congregazione di carita’(Coccaglio), 101n. Convenzione di Pechino, 148n. Corea, 126n, 147, 147n, 148n, 150, 152, 155, 158, 168n. Corriere della Sera, 168. Cortenuova, 94n. Corzano, 101n. Cossirano, 116, 116n. Costantinopoli, 108, 109, 110, 111, 112, 113, 122, 135, 170. Costanza, 122n. Cremona, 123n. Creta, 119n, 121n. Crimea (guerra di), 112. Crimea, 112. Crispi, Francesco, 135n. Crna Gora (Montenegro),115n, 117, 117n. Curili (isole), 156n. Custange, 122. Custoza, 103n. Il Diario di Pompeo Mazzocchi INDICE DEI NOMI Daina, Francesco, 157n. Daina, Vincenzo, 108, 109, 110. Dalmazia, 114, 114n, 116n, 122n. Damioli (famiglia), 80, 80n. Damioli (fratelli), 137, 137n. Damioli, Diego, 80n, 137, 137n, 159n. Dandolo, Vincenzo, 116, 116n. Danilo II di Montenegro, 117, 117n, 169. Dante Alighieri, 145n. De Mas (Demas), 163, 163n. De Pretis, Agostino, 135n. Dea, Eva, 77. Deder, Felice, 95, 133. Dello, 116, 116n. Demerdch (Demirtas), 109, 109n. Deretti, Filippo, 104. Desenzano, 91, 95, 96, 97, 98, 99, 133, 134. Deshima, 139n. Devisma (fabbrica d’ armi), 156. Dieppe, 107. Dionigi (Albergo), 88. Dionigi, 82. Domenighini, Bortolo, 84, 92. Domenighini, Giulia (in Mazzocchi), 84, 92. Domenighini, Giulia (in Rodolfi), 84, 84n, 87, 87n, 88. Domenighini, Maria (in Ferrazzi), 84, 87, 88. Domenighini, Vincenzo, 84, 87, 87n, 88, 92. Donizzetti, 121, 123. Donnai (vapore), 143, 146, 146n, 147. Dotti, Tommaso, 92. Dubrovnik (Ragusa), 114n. Ducato Di Modena, 103. Ducato di Parma e Piacenza, 103. Dusi, 111. Dusina e Mazzoldi, 159n. Dusina, Antonio, 155n, 159, 159n, 160, 162, 163. Duus, John Henry, 155,155n, 156, 164, 165. Il Diario di Pompeo Mazzocchi 189 INDICE DEI NOMI Edirne (Adrianopoli), 110n. Edo (Tokyo), 165n. Egitto, 93n, 142, 142n, 145n, 160, 162, 163. Endine Gaiano, 136, 136n. Estremo Oriente, 105, 126, 138, 141, 143n, 160. Europa, 93n, 99, 105n, 124, 129n, 130, 137, 139n, 142n, 143n, 160n. 190 Facchetti (Franchetti / Sacchetti), Giuseppe, 119, 121, 122, 122n, 123, 124. Facchi, Gaetano, 155n, 158, 158n, 159, 160, 162. Facchi, Giovanni, 158n. Facchi, Paolo, 159n. Falsina, 84,87. Falsina, Antonio, 87. Falsina, Carlo, 84, 84n, 86, 87, 87n, 91. Falsina, Domenica, 87. Farina, Pietro, 117, 169. Fase (Phase) (vapore), 141, 141n. Fè d’ Ostiani, Alessandro, 158n Fè d’ Ostiani, Camilla, 158n. Fè d’ Ostiani, Marc’ Antonio, 159n. Fè d’ Ostiani, Pietro, 159n Febona (vapore), 153. Federici (barone), 125n. Feltre, 125. Fergusson & Co, 150n. Fergusson, T. T., 150, 150n. Ferrari, 108, 108n. Ferrari, A., 109n. Ferrari, Speriale, 105. Ferrazzi, 84, 87. Ferreri, Casimiro, 109n. Ferreri, Sebastiano, 109n. Filippine, 163, 163n. Fiume Azzurro (Yangzi), 156n, 166n. Fondazione Civiltà Bresciana, 137n Fondazione Pompeo e Cesare Mazzocchi, 79n, 107n. Fortuny, 163. Francesano (Frontignano), 116, 116n. Francia, 116n, 139n, 149n, 163, Il Diario di Pompeo Mazzocchi INDICE DEI NOMI 170, 170n. Freschi, Gherardo, 137n, 138, 139n. Frigerio, Antonio (Brescia), 98, 98n, 102, 103, 103n, 134. Frigerio, Antonio (Milano), 98n. Frigerio, Pietro, 98n, 140, 140n, 141, 142, 143, 147, 150, 153n, 157, 158. Friuli, 96n, 104, 105. Fusera, 131. Gabbioneta, 123, 123n. Gabrova (Gabrovo), 122, 122n. Gandolfi, Giuseppe, 163n, 169. Garda (lago di), 102n. Garibaldi, Giuseppe, 103n, 127, 135. Gatti, 116, 117. Gattinoni, Vincenzo, 159, 159n, 160, 162, 163. Genova, 104n, 111n, 140, 141, 141n. Genova, 158, 160. Genova, Università di, 169n. Gérard (commerciante), 165. Gérard, P. M. (padre), 170, 170n. Germania, 93n. Gesù Cristo, 142. Ghibellini (professore), 98, 151. Ghisenti, 159, 159n. Giappone, 79n, 88n, 98n, 105, 108, 108n, 109n, 124, 125, 126n, 130, 130n, 137, 137n, 138, 138n, 139, 140, 140n, 141, 142, 143, 147n, 148n, 149n, 150, 153, 154, 154n, 155, 155n, 157, 157n, 158, 158n, 159, 160, 160n, 163, 164, 166, 167, 168, 168n, 169n, 170n. Giappone, Mar del, 126n. Giuseppe (padre di Gesù), 142 Governo Provvisorio di Brescia, 81, 81n, 99n. Governo Provvisorio di Milano, 102. Grande Muraglia, 151. Grant, Ulysses S., 169, 169n. Grazioli, Giuseppe (don), 163n. Grecia, 121n. Green, M., (Mrs), 154, 154n, 168n. Gros, J-B. (barone), 149, 149n. Il Diario di Pompeo Mazzocchi 191 INDICE DEI NOMI Guarneri, Maria (in Domenighini), 84, 87, 92. Guimet (Museo), 170n. Hakodate (Hakodadi), 126, 126n, 139, 139n, 149, 150, 152, 153, 154, 155, 156, 157, 157n, 158, 163, 164, 165, 165n, 166, 167, 169. 192 Hankow, 166, 166n. Ho Chi Minh (City), 147n. Hokkaidô (Yezo / Yesso), 126n, 139n, 156n. Holliday, Wise & Co, 156n. Hong Kong, 147. Honshû, 139n. Hotel d’ Orient, 160. Hotel de (la) Ville, 166. Hotel de France, 141, 141n. Hotel Loschi, 108. Hotel Suez, 160. Humbert (banchiere), 122. Humbert (ditta), 118. Il Diario di Pompeo Mazzocchi INDICE DEI NOMI Idro, 102, 102n. Inca, 118, 118n. Incirne, 108. India, 79, 93n, 105, 108, 138, 138n, 141, 142, 142n, 146n. Inghilterra, 93n, 108, 116n, 121, 138. Inselvini (famiglia), 91. Ionie (isole), 108n. Iráklion, 119n. Islam, 142n. Islington, 107, 107n. Ismit (Izmit), 108, 108n. Istanbul, 108, 110n. Istanbul, 142n. Itaca (Itháki), 108, 108n. Italia (Regno di), 116n. Italia, 86n, 93n, 96n, 99n, 103, 104n, 18n, 110n, 112n, 119, 121n, 134, 134n, 138n, 141, 145n, 155n. Játiva (Cativa), 117n. Jugoslavia, 117n. Kawasaki, 154n. Khánia, 119n. Kilifar (Kilifarevo), 122, 122n. King’s Cross, 107n. Kistanje, 122n. Kíthira, 108n. Knin, 122n. Koch, Robert, 93n. Kosteroff (Capitano), 167. Kotor (Cattaro), 114n. Kyûshû, 139, 139n, 154. Il Diario di Pompeo Mazzocchi 193 INDICE DEI NOMI La Spezia, 104, 104n, 105, 125. Lana (famiglia), 80, 80n. Lana de’ Terzi, Ignazio, 80n, 159n. Lanfranchi, Isacco, 109, 112, 113. Langley (Lunglay) (famiglia), 107, 107n. Langley, Briddy (Bridget), 108, 108n. Langley, Dolly, 107. Langley, Fanny, 108. Langley, Henry, 108. Lanzani, Luigi, 117, 169. Lazzaroni (famiglia), 84. Lecco, 125n. Legazione di Francia (a Edo / Tokyo), 165n, 170, 170n. Lesseps, Ferdinand de, 169, 169n. Levante, 109n. Lindsay & Co, 155, 155n, 164. Lombardia, 102n. Lombardo-Veneto, 103, 138n. London (vapore), 154. Londra, 106, 107, 108, 108n, 116, 156, 168, 169, 169n. Lorenzini (ditta), 116. Lovere, 136n. Lu (principato), 147n. Lucchini, 130. Lugano, 104, 105, 125, 125n, 130. 194 Macao, 145. Madagnà (Mudanya), 112, 112n. Maderno (Toscolano-Maderno), 102. Madonna del Sasso (Bg), 94, 94n. Magenta (battaglia di), 119, 119n. Majorca (isola di), 118n, 119, 121.. Majorca (isola di), 125. Majorca (Mallorca), 117, 117n. Mamelucchi, 142, 142n. Manacor, 118, 118n. Mancini, Nicola, 154, 154n. Manciuria, 148n, 168n. Manerbio, 116n. Mangano, Vicolo del (Bs), 97. Mantova, 102n, 103, 103n, 134. Mar Giallo, 147n. Mar Nero, 122n. Mar Rosso, 143n. Margola, 115. Marica (fiume), 122n. Maris (vapore), 142. Marmara (Mar di), 108n, 110, 110n, 111, 112, 112n, 113, 135. Marsiglia, 119, 121, 122, 141, 143n, 169. Massa, 101. Massimiliano d’ Asburgo (arciduca), 138n. Mastai Ferretti, Giovanni Maria, 170n. Mazzini, Giuseppe, 103. Mazzocchi (famiglia), 80n, 83, 88, 89, 104n, 114n, 115n, 116n, 124n. Mazzocchi (ingegnere), 136n. Mazzocchi, Andrea* (XVIII sec.), 80, 84, 88. Mazzocchi, Andrea** (1802- Il Diario di Pompeo Mazzocchi INDICE DEI NOMI 1892), 80, 80n, 83, 88, 88n, 122n, 140n. Mazzocchi, Aurelia (sorella di Pompeo), 92, 128, 129, 132, 137. Mazzocchi, Camilla, 170, 170n. Mazzocchi, Caterina (di Giov. Antonio) in Caleppio, 89. Mazzocchi, Cecilia (di Andrea*), 80, 82, 88. Mazzocchi, Cesare, 77, 79n, 136, 136n, 137. Mazzocchi, Domenico (di Andrea*), 80, 83, 88. Mazzocchi, Domenico (di Francesco), 123, 123n., 124. Mazzocchi, Domenico (di Giov. Antonio), 89, 96n. Mazzocchi, Domenico (XVII sec.), 79. Mazzocchi, Francesco, 123n. Mazzocchi, Gabriele (di Andrea*), 80, 81, 82, 88. Mazzocchi, Gabriele (di Giov. Antonio), 89, 90. Mazzocchi, Gabriele (don) (XVII sec), 79. Mazzocchi, Gabriele (fratello di Pompeo), 92, 93, 94, 95, 97, 99, 100,102, 103, 103n,104, 109, 110, 111, 112, 113, 117, 119, 126, 127, 128, 132, 132n, 133, 134, 135, 136, 136n, 137, 140, 156. Mazzocchi, Gabriele, medico, (1760-1835), 80, 81, 81n, 82, 84, 88. Mazzocchi, Gaudenzio (di Andrea*), 80, 82, 88. Mazzocchi, Gaudenzio (di Giov. Antonio), 89, 89n. Mazzocchi, Gaudenzio (XVII sec.), 79. Mazzocchi, Ginevra, 80. Mazzocchi, Giovanna Giulia, “Nina,” (sorella di Pompeo), 92, 109n, 128, 132, 137. Mazzocchi, Giovanni (di Andrea*), 80, 81, 83, 88, 127. Mazzocchi, Giovanni (fratello di Pompeo), 86, 92, 99, 100, 103, 107, 115, 117, 124, 127, 128, 129, 131, 131n, 132, 137, 145. Mazzocchi, Giovanni Antonio (di Domenico), 80, 81, 82, 88, 89, 90, 91, 129. Mazzocchi, Giovanni Giacomo (XVII sec.), 79. Mazzocchi, Giulia, in Saracineschi, 80, 88, 96n. Mazzocchi, Grazia, 80. Mazzocchi, Ippolito (di Giov. Antonio), 82, 89, 90, 129. Mazzocchi, Ippolito (Don), 80. Mazzocchi, Marietta (di Giov. Antonio), 89. Mazzocchi, Marina (di Andrea*), 80, 82, 88. Mazzocchi, Mario, 137, 137n. Mazzocchi, Marta (di Andrea*), in Tonelli, 80, 82, 88. Mazzocchi, Pietro Maria (XVII sec.), 79. Mazzocchi, Pompeo, 79n, 81n, 82n, 83n, 84n, 85n, 87n, 88n, 89n, 92, 93n, 94n, 96, 96n, 97n, 98n, 101n, 102n, 104n, 105n, 107n, 108n, 109n, 110n, 111n, 112n, 114n, 115n, 116n, 119n, 121n, 122n, 123n, 124n, 125n, 126n, 128n, 130n, 131n, 134n, Il Diario di Pompeo Mazzocchi 195 INDICE DEI NOMI 136n, 137n, 139n, 142n, 143n, 145n, 147n, 148n, 150n, 151n, 152n, 153n, 154n, 155n, 156n, 157n, 158n, 159n, 160n, 163n, 165n, 169n, 170n. Mazzocchi, Rosina (di Giov. Antonio), in Almici, 89. Mazzocchi, Tito, 136, 136n, 137, 168. Mazzocchi, Violantina (sorella di Pompeo), in Almici, poi in Testa, 92, 108n, 109, 109n, 110, 112, 122, 127, 129, 129n, 132, 137. Mazzoldi, Giuseppe, 159n. Mazzucchelli, Luigi, 158, 159, 159n. Meazza, Ferdinando, 169n, 170n. Mediterraneo, 86n, 93n, 111n, 121n, 143n. Mehmet Alì, (Vicerè), 142n. Meiji (era imperiale), 170n. Mermet de Cachon, L. (Abbé), 170, 170n. Messagerie Impériales, 143n. Messaggerie Marittime (Messageries Maritimes), 141, 141n, 142, 143, 143n. Messico, 154n. Messina, 142. Miguel (domestico), 118. Mikado (titolo), 170. Milano, 88, 98n, 102, 105, 105n, 106, 106n, 107n, 108n, 116, 134, 137n, 166, 169, 169n, 170n. Millhouse, John, 107n. Millin e Sbuttega, 115. Minelli, 95. Moldavia, 123n. Molossi, 81. 196 Monauni, Gaspare, 116, 116n. Mondalla, Girolamo, 97. Monte Orfano (Coccaglio), 164n. Montenegro (Monte Nero / Crna Gora), 114n, 117, 117n, 169. Montijo, Eugenia de, 108, 108n. Mormoni, 169n. Mosè, 142 Mosè, 143. Murcia, 119. Mutsuhito (Imperatore), 170n. Nagasaki, 139, 139n, 147n, 154, 154n, 155, 157, 157n, 168, 53n, 170. Il Diario di Pompeo Mazzocchi INDICE DEI NOMI Nagasaky (edificio), 128n. Nanchino (Nanjing), 150n. Nankin (vapore), 147. Napoleone III, 108, 108n, 117, 117n, 143n, 169n. Napoli, 85. Napoli, Re di, 103. Negroni, 135. Nespoli (famiglia), 93. Nespoli (notaio), 131, 137. Nespoli, Carlo, 93, 102. Nespoli, Stefano, 93. Nettuno (divinità), 142. Nicola (padre), 165. Niigata, 139, 139n. Nilo (fiume), 143n. Nimes, 121, 121n. Nipon (Nippon / Nihon), 139, 139n. Noè, 121. Oceano Atlantico, 106. Oceano Indiano, 145n. Oceano Pacifico, 148n, 167n. Oglio (fiume), 116n, 123n. Olimpo (Olimpio), monte, 108. Orefici (avvocato), 129. Orio, Carlo, 137, 137n., 138n. Orsini, Felice, 169, 169n. Orzinuovi, 84n, 101n, 116n. Ospitale (Monauni, Coccaglio), 116. Ospitaletto, 141, 141n. Ostiano, 123, 123n. Ottomano, Impero, 110n, 142n, 170n. Ôyama Kôsuke, ambasciatore, 170, 170n. Il Diario di Pompeo Mazzocchi 197 INDICE DEI NOMI Padova, 79. Paladini e Goretti, 130n. Paladini, Gaetano, 130, 130n. Palazzo d’ Estate (Pechino), 149, 151. Palma di Majorca, 118, 121. Parigi, 106, 107, 108, 122, 153, 156, 170n. Parkes, Harry, Sir, 149, 149n, 169, 169n. Partegiani, Natale, 80n. Partito d’ Azione, 98n, 134, 134n. Pascal fils et Compagnie, 160. Pechino (Beijing), 141, 147, 147n, 148n, 149, 150, 150n, 151, 152, 153, 163, 163n, 170. Pedrali (notaio), 128, 129. Pellegrini (marito di Maddalena Armanni), 80. Pellegrini, 101. Pellegrini, Aurelia, 82. Pellegrini, Giulietta, 82. Pellegrini, Pierina, in Ghisenti, 82, 159, 159n. Pellegrini, Vincenzo, 82, 159n. Pellico, Silvio, 82, 82n. Peloponneso, 108n. Peninsular & Oriental, 146, 146n. Pentonville Road, 107n. Pentonville, 107, 107n. Persagno (Perzagno / Perçani), 115, 115n, 125. Pesaro, 154n. Petroviç-Njegos (dinastia), 117n. Phare (Le) (giornale), 160n. Pheasant (famiglia), 107. Pheasant, Mrs, 107. Piemonte, 117. Pietroburgo, 169. 198 Piettole (Pietole), 102, 134. Pignatel & Co, 147n. Pignatel, J., 147n. Pignatelli, 147, 153. Pii Luoghi (Bs), 99, 134. Pikilì (Pichelì / Bohai), golfo, 147, 147n, 150. Pini, 98. Pio IX, 170, 170n. Pisogne, 137n. Pitesti (Piteschi), 124, 124n, 125. Ploeschi (Ploiesti), 124, 124n. Point de Galle (Galle), 145, 145n, 147, 162. Pollenza (Pollensa), 118, 118n, 119, 121, 125. Polo Nord, 106. Polotti, 136. Pontoglio, 91. Pordenone, 104n. Port Arthur, 168n. Porta, 97. Portsmouth (trattato di), 168n. Princess Royal (nave da guerra), 169. Procopio di Cesarea, 121n. Progresso d’ Egitto (Il) (giornale), 160n. Provaglio, 97. Prussia, 138. Pryer, H., 156n. Pudiano, 116n. Puech (Alcide Puech), 159n. Puig (monte), 118. Il Diario di Pompeo Mazzocchi INDICE DEI NOMI Qing (dinastia), 151n. Quartari, 80, 80n. Ragusa (Dubrovnik), 114. Rampinelli (droghiere), 101. Rampinelli (marito di Camilla Tonelli), 82. Regent Street, 107. Roches, Léon, 163, 163n, 170, 170n. Rodolfi, 84, 87. Rodosto (Tekir Dag), 110, 110n, 111, 113, 135, 136. Roma, 170, 170n. Romania, 123n, 124n, 139n. Rovato, 84, 86, 101, 128, 129, 169n. Rovereto, 163n. Rudiano, 116, 116n. Rugardi, 121. Rumelia, 122n. Russia (Impero di), 126n. Russia, 93n, 126n, 138, 148n, 168. Il Diario di Pompeo Mazzocchi 199 INDICE DEI NOMI Sabbia (Val), 102n. Saigon (Ho Chi Minh City), 147, 147n. Sakhalin (isola), 156n, 168n. Saldi Barisani, Caterina, 81n, 100n, 137n, 155n, 158n, 159n, 162n. Salò, 102n, 113n, 137n. Salsomaggiore, 170. Salt Lake City, 169n. Salvi (famiglia), 83. San Francisco, 159. San Gottardo, 106. Sandri, Teobaldo, 148, 148n, 149, 150, 152, 153, 158. Santa Maria Hoè, 125, 125n. Santo Stefano (Istanbul), 110. Sapeto, 111. Sapeto, Giuseppe, 111n, 169, 169n. Saracineschi (cugino di Pompeo), 96, 96n. Saracineschi, 80, 88. Sardegna (Regno di), 111n. Savoia (casa reale), 111n. Sbarbaro, 94, 133. Sbarbaro, Tito, 94. Scarpetta, Paolo, 82n, 115, 117, 123, 169. Sebenico, 122n. Sentinella Bresciana, La, 109n. Sevlijevo (Sevlievo / Selvi), 122,122n, 123, 124, 124n., 125. Shanghai, 147, 151, 152, 154, 154n, 157, 157n, 163, 166, 167, 168, 170. Shantung (Shandong), 147, 147n, 153. Shinell, 121. Siberia, 126n. 200 Signoroni, 90. Simone (ingegner), 141. Singapore, 141, 145n, 147. Smith, H. W., 147n. Società Bacofila della Provincia di Como, 137n. Società Bacologica Bresciana, 158, 162. Società Operaia di Mutuo Soccorso, 98n. Soletti, 97. Solferino (battaglia di), 102, 102n, 119, 119n. Soller, 118, 119n. Soresina, 121. Spagna, 117. Spalato (Spalatro / Split), 114, 114n. Spallenza, 101. Speri, Tito, 98, 98n, 103, 103n, 134. Spielberg, 82, 82n. Spilimbergo, 104, 104n, 125. Sri Lanka, 141n. 145n. St. Ambroix, 121, 121n. Stati Uniti d’ America, 105, 105n, 106, 116n, 138, 169n. Stato Pontificio (“Stati Papalini”), 103. Storia Universale (di Cesare Cantù), 169n Strasburgo, 106. Sud Africa, 108n. Suez (porto), 108n, 142, 143, 143n, 160, 162, 170. Suez, canale di, 142, 142n , 143n, 158, 169n. Svizzera, 104, 106. Il Diario di Pompeo Mazzocchi INDICE DEI NOMI Taborini, Enrico,102. Taiping, 150, 150n, 156n. Taku (Dagu), 147, 147n, 149, 153. Tekir Dag, 110n. Teofane Bizantino, 121n. Teolotti, 136. Terraneo, 108, 111n. Testa, Benedetto, 108n. Testa, Giuseppe, 108, 108n, 109, 109n, 110, 110n, 122. Tientsin (Tianjin), 147, 147n, 148, 149, 150, 152, 153, 157, 158. Tirnova (Zlati-Dol), 122, 122n, 123. Tirolo, 102. Tobia (Libro di), 165n. Tobia (Tobit), 165, 165n. Tokugawa, 166n. Tokyo, 149n, 166, 170. Tonelli (famiglia), 123. Tonelli Paolo, 169n. Tonelli, Andrea, 82, 82n, 101, 101n, 115. Tonelli, Anì, 82. Tonelli, Bortolo, 82. Tonelli, Camilla (in Rampinelli), 82. Tonelli, Giovanni, 83, 91. Tonelli, Lucia, 81. Torbole (Torbole Casaglia), 84, 84n, 85, 91, 92, 99, 102, 103, 127, 128, 131, 131n, 134, 135, 136. Torino, 105n. Toscana, 107. Toscolano (Toscolano-Maderno), 102, 102n. Travagliato, 82, 84, 84n, 86, 91, 92. Trentino-Alto Adige, 102n. Trento, 103n, 163. Trieste, 113. Tsugaru (stretto di), 155, 155n. Tsushima (isola, battaglia di), 168n. Turchia, 79, 108n, 110n, 114n, 122n, 124, 130, 136. Il Diario di Pompeo Mazzocchi 201 INDICE DEI NOMI Udine, 125. Ufficio Ipoteche, 160. Ulisse, 108n. Ulu Dag, 108n. Utah, 169n. Val Padana, 150n. Val Sabbia, 102n. Val Sabbia, 113n. Val Seriana, 91n. Valacchia, 123, 123n, 124, 125, 139n. 202 Valantria, 139. Valcamonica, 80, 98n. Valenza (Valencia), 117, 117n, 119. Valli (famiglia), 84. Valsecchi, Caterina, 97, 98. Valsecchi, Luigi, 97, 98 Varna, 122, 122n. Venezia (Repubblica di), 111n. Venezia, 97. Veure (Le Veuve), 165, 165n. Vicari, 80. Vicino Oriente, 105, 109n, 110n, 124n, 159n. Vienna, 125. Viet Nam, 147n. Villafranca (armistizio di), 102n. Viola, 80. Virgilio (padre), 145. Vladivostok, 126n, 167, 167n. Washington,169. Weim, H., 165n. Wise, John, Howard, 156, 156n, 165. Wuhan, 166n. Il Diario di Pompeo Mazzocchi INDICE DEI NOMI Yangzi (Yantse Kiang / Fiume Azzurro), 156n,166, 166n. Yantai, 147n. Yezo (Yesso / Hokkaido), 139, 139n, 150, 153, 156, 163. Yokohama, 126, 137n, 139, 139n, 141, 147, 149, 150, 150n, 155, 155n, 157, 158, 163, 164, 166, 169, 170. Young, Brigham, 169. Zambelli, 82. Zanardelli, Giuseppe, 135, 135n. Zanchi, Giovan Battista, 109, 109n. Zane, Damioli e C., 137n, 159n. Zane, Paolo, 137n. Zante (Zákinthos), 108, 108n. Zara (Zadar), 114, 114n. Ziglioli (Zilioli), 163, 163n. Ziglioli e Gandolfi, 163n, 169n. Zlati-Dol (Tirnova), 122n. Zulu, 108. Zululand, 108n. Il Diario di Pompeo Mazzocchi 203 Appendici 67. Prima facciata della lettera autografa di Pompeo Mazzocchi scritta da Yokohama il 6 settembre 1870. Cm. 21,5x26. Fondazione Pompeo e Cesare Mazzocchi, Coccaglio, Archivio Storico 206 Il Diario di Pompeo Mazzocchi APPENDICE I Lettera1 da Yokohama di Pompeo Mazzocchi a Paolo [Tonelli?]2 datata 6.9.1870 Yokohama 6 settembre 1870 Carissimo Paolo, il penultimo del p.p.m. ricevetti la gratissima vostra datata 11 luglio e mi fu gratissima e vi ringrazio immensamente: così ringrazio assai la vostra gentilissima signora, benchè assai tardi abbia adempito ai vostri ordini. Con sommo spiacere ho sentito la perdita della vostra amabilissima Giulietta - il giorno stesso, il 30 [agosto], che ricevetti la tristissima notizia - mi ricordavo di lei, dei suoi progressi e avevo contrattato per lei, con un giapponese, un piccolissimo ventaglio d’avorio e non lo presi perché al momento non avevo moneta. Ai miei compagni in casa, leggendo questa tristissima notizia ho dovuto dire: è mancata quella ragazzina che volevo regalare di un piccolo ventaglio. Disgrazia è grandissima e non immagino il dolore che voi avete provato con la vostra signora e che adesso senza badare, vi rinnovo. Fortunato voi che potete confortarvi con altri figli e Giulietta adesso cederà il suo nome ad un’altra se non preferite quello di Virginia. Spero voi e tutta la vostra famiglia godrete perfetta salute - uguale alla mia - non sono mai stato, malgrado tutto, così bene. Nei vostri interessi siete alcune volte sfortunato e non si può incolpare né voi, e molto meno la vostra signora e, come potete pensare, mi è spiaciuto assai che non abbiate fatto il maggior raccolto [dei] bozzoli. I cartoni bivoltini3 da voi avuti erano misti buoni e cattivi e fortuna ha voluto che nelle prove precoci4 (Nespoli a Milano) si provarono i buoni e così, mio malgrado, credendo essere sicuro, ho 1 La trascrizione della lettera (sei fogli scritti, anche di traverso), rinvenuta in tempi recentissimi e ora conservata negli archivi della Fondazione Pompeo e Cesare Mazzocchi, è integrale. Sono state sciolte alcune abbreviazioni e adattate la punteggiatura, le maiuscole ed alcune forme verbali, all’uso corrente. Le integrazioni del redattore sono in parentesi quadra. Come già detto nell’Introduzione e come Pompeo sottolinea con amarezza nel suo Diario (al foglio 144), le lettere scritte da Pompeo a casa durante i suoi viaggi furono tutte distrutte da suo fratello. Lo stesso è avvenuto, forse dopo la sua morte, per tutta la restante corrispondenza, di cui rimangono solo pochi bigliettini personali. Oltre a ciò che sussiste all’Archivio di Stato di Brescia - alcune comunicazioni e lettere d’affari relative al viaggio in Giappone del 1865 - in gran parte già edito da Caterina Saldi Barisani nella sua citata biografia di Mazzocchi, le due lettere in queste appendici sono, per ora, le unica lettere autografe personali di Pompeo Mazzocchi che si conoscano (NdR). 2 L’identificazione del destinatario nel figlio di Andrea Tonelli è molto probabile, ma non è ancora definitivamente accertata (NdR). 3 Per i termini “cartoni” e “bivoltini” si vedano le note 10 e 75 dell’Introduzione (CZ). 4 Un piccolo campione del seme-bachi acquistato veniva fatto nascere artificialmente (mediante il calore) in laboratori specializzati qualche mese prima della consegna del seme agli acquirenti, per verificarne lo stato di salute e la qualità (CZ). Il Diario di Pompeo Mazzocchi 207 APPENDICE I danneggiato e voi e il mio compare ed amico Facchetti.5 Come avrete capito sarà bene che non mi diate ascolto quest’anno riguardo ai cartoni e che non voliate [sic] affidarvi alla mia fortuna nella scelta due anni di seguito. Vuol dire che sono sfortunato e che in questo interesse con me, voi lo siete ugualmente. Temevo che gli annuali6 non corrispondessero al caro prezzo [richiesto], mi fidavo nei bivoltini e [nelle] promesse dei negozianti giapponesi e mi sono ingannato. Dei cartoni bivoltini marcati P avevo promesso al negoziante giapponese, se bene riuscivano, un “bus”7 - quasi due lire italiane - per cartone, ed avevo rilasciato un obbligazione regolare. Adesso l’ho veduto e mi confessò ancora che sapeva che erano misti buoni e cattivi e non so capire perché volle ingannarmi pregiudicandosi lui pure. Il bivoltino è qualità inferiore ed i giapponesi per fare semente devono adoperare i più scadenti. Solamente la carestia negli animali e la mancanza di [semente giapponese] riprodotta buona poteva consigliar[ci] questa qualità. L’anno scorso i giapponesi guadagnarono immensamente, così due anni fa, [così] che ognuno nel corrente anno avrebbe pensato all’abbondanza [di offerta], invece è opinione generale che il Giappone quest’anno non darà più di cartoni 800.000 annuali, cioè circa 50.000 più dell’anno scorso. Il prezzo sarà superiore e così avranno perdita e quelli che vennero al Giappone ed i sottoscrittori. Aggiungete l’aggio che sarà fortissimo fra l’oro e la carta.8 Le condizioni sono pessime. La guerra che adesso arde in Europa9 rovina tutto, si spendono miliardi per ammazzarsi, il commercio è arenato, tutti i valori ne soffrono e chi sa quanto durerà questo stato di cose. Il progresso l’abbiamo nelle macchine, in molti comodi, ma il vero progresso è lento e pare una cosa chiara che l’ammazzarsi, con immensi sacrifizj, per l’ambizione di alcuni, non può essere profittevole: ma è inutile, tutto va lentamente e [noi] siamo appena uniti. Le lunghe guerre, per essere queste abolite, [dovrebbero essere] aborrite dall’opinione pubblica e considerate barbare. L’egoismo, l’ambizione, lo spirito militare ha grande parte, l’egoismo di considerare se stessi e non gli altri, [ne] soffrono molte volte quelli che dovrebbero essere portati in celo [sic]. Appena qui scoppiate le nuove di guerra tutto il commercio ne risentì, succedette la calma, il ribasso, solo i cartoni si sostengono, la domanda essendo 5 Dovrebbe trattarsi del Giuseppe Facchetti citato ai fogli 92 e 97 del Diario (NdR). 6 In contrapposto a bivoltini, vedi la nota 3, sopra (CZ). 7 Intende dire un ichibu, moneta giapponese equivalente, come specificato poco dopo, a poco meno di due lire italiane di allora (CZ). 8 Vuol dire lo sconto che si perdeva nel cambiare la valuta cartacea (lettere di credito) in moneta aurea (NdR). Si riferisce alla guerra franco-prussiana del 1870 che in realtà era finita da qualche giorno (il 2 settembre) con la totale sconfitta della Francia, ma in Giappone la notizia non era evidentemente ancora arrivata (NdR). 208 Il Diario di Pompeo Mazzocchi APPENDICE I ingente in ragione della quantità, ed i venduti si sono pagati più cari dell’anno scorso, causa essere stato preparato, disposto prima, questo capitale.10 So che costì si è fatta molta riprodotta11 e così nessuno coltiverà bivoltini e quelli che non [si] sono sottoscritti non vorranno pagare i cartoni più cari dell’anno scorso. Cartoni per speculazione, annuali, se si mantengono a questi prezzi, cari, non ne verranno in Europa: nessuno vuol arrischiare una somma considerevole per piccolo guadagno incerto. Intanto i giapponesi domandano di un cartone dalle lire italiane vent’una alle lire 30.12 La differenza di L. 9 è grande fra qualità seconde e prime - comperando seconde qualità si è sicuri che sono seconde scadenti, comprando sempre prime qualità si può cadere bene e male. Costì un cartone, se all’apparenza è uguale, è considerato uguale a un altro - ma è naturale che se vi era differenza da noi quando non esisteva la malattia, e per esempio i cartoni di Bione - dei siti alti - erano apprezzati più di quelli del Basso Bresciano per la galetta e posizione13, questa differenza esiste [pure] qui al Giappone e non v’è altro scampo che fidarsi nei giapponesi e nella propria vista e fortuna. Come vedete qui uno non è un mago e voi ne avete la prova maggiore che mi sono sbagliato: mi conforto che i cartoni da me portati, presi tutti insieme, sono riusciti abbastanza bene e la mia Società si è dichiarata contenta: nei bivoltini ho avuto un ottavo di scadenti, e voi, [di]sgraziatamente avete - ho preso per voi di questi. Credo di essere sicuro che riterrete questo per errore, e che per evitare la sfortuna, avrete fatto benissimo a provvedervi altrove. - Mi scrivete di cinque marche di bivoltini incrociati14, se vi voglio dire la verità, a queste incrociature non ci credo, è un invenzione. Al tempo che ci sono le farfalle annuali, non vi sono le bivoltine e credo siasi trovato questo termine per non dire bivoltino chiaro e netto. Vi sono razze dette dai giapponesi “saide”, ora bivoltine, ora annuali, forse secondo della stagione, sono le più sane, ma sono rari questi cartoni, l’aspetto, il carattere di questa semente è uguale alla bivoltina. I cartoni marcati M li avevo presi, mi erano stati dati per “saide”. Mi sono dilungato troppo sugli affari 10 Si riferisce al fatto che gli ingenti capitali destinati all’acquisto dei cartoni giapponesi venivano raccolti (per sottoscrizione di un vasto pubblico) molti mesi prima che i semai li portassero in Giappone (CZ). 11 Intende: si è riprodotta molta semente (annuale) giapponese importata l’anno precedente e quindi vi sarà meno richiesta anche di quella bivoltina (meno cara). Queste riproduzioni, tuttavia, anche se fatte con molta attenzione, garantivano solo in parte una riuscita favorevole (e pertanto bisognava, prima o poi, ricorrere di nuovo a seme-bachi originario giapponese, annuale o bivoltino) (CZ). 12 Il prezzo riportato da Mazzocchi era altissimo, ma si trattava dei primi acquisti e non corrisponde a quella che fu - alla fine del periodo degli acquisti, in novembre - la media generale del prezzo di tutti i cartoni di seme-bachi annuali comperati in Giappone, anche se la stagione del 1870 fu una delle più care in assoluto (CZ). 13 Nella foga del discorso Mazzocchi parla di cartoni di seme-bachi italiano in analogia a quelli giapponesi, ma in realtà in Italia ed in Europa in generale, il seme-bachi era depositato su panni di lino e non su cartoni (CZ). 14 Intende dire frutto di incroci tra bachi bivoltini e bachi annuali. Esperimenti in tal senso vennero effettivamente eseguiti, ma senza particolari risultati (CZ). 15 Intende un monopolio delle vendite agli stranieri del seme-bachi controllato dal Governo come quello Il Diario di Pompeo Mazzocchi 209 APPENDICE I semenzicoli e credo sarete saltato avanti per vedere dove finivo sì lunga cantilena e chiudo questo soggetto per me importante col dirvi che non trovo altro rimedio sicuro (utile per noi) alle sempre crescenti pretese, angherie dei giapponesi che [se] fosse possibile [fare] una Società [per] riprodurre la semente del Giappone in China - dove v’è sanità - paese immenso che dà di esportazione dalle 50.000 alle 70.000 balle di seta di kg. 60 l’una e dove un monopolio15, essendo il paese aperto, immenso [e] il Governo nullo, è impossibile. La difficoltà si è di costituire una società per questo, di radunare un capitale (per riprodurre la semente del Giappone in China occorre una grave spesa) e nessuno vuole esporre considerevole capitale e fatiche per fare buon letto agli altri.16 Le grandi società che hanno guadagnato molto, troppo, dovrebbero farlo - ma fino che durano le sottoscrizioni, Yokohama è più comoda, più sicura della China. Il Conte Marcantonio Fè è partito per la China [di] Nord-Est troppo tardi dopo fatto la semente.17 Della China abbiamo razze al Nord Est e immense province, [grandi] come l’Italia, [che] in questo paese restano inesplorate. Sandri ha corso grave pericolo ed è salvo.18 Schnell19 mi domandò di voi e si ricorda benissimo di voi - vi saluta. Vi ho scritto da Parigi e prima di scordarm[elo vi dico che] mi sono dimenticato di avere quelli indirizzi che gentilmente mi avete favorito. Difficilmente ritornerò per la via [d’] America e se mi troverò a Parigi farò tutto quello che mi avete suggerito. - Negli spiriti un poco ci credo anch’io - mi dispiace a non potervi dissuadere, perdonatemi - e mi sono toccate di quelle cose, che veramente un qualche spirito maligno vi deve essere entrato. Alcuni angeli e diavoli bisogna dire che in certi momenti l’abbiamo adosso, altrimenti non si potrebbero spiegare certi fenomeni. Questi saranno i medium, ma sono rari.20 Non bisogna pensare a queste cose che sono superiori alle nostre viste e non possono appagarci, ma solamente non scoraggiarsi, sfiduciarsi e pensare che [se] v’è che è bene deve finir bene e tutto per il meglio e se va bene una cosa, va male un’altra e non bisogna pretendere troppo - come sapete, tutto il male non viene per nuocere. Mi dimenticavo: che vi era a Yokohama (CZ). 16 È molto probabile che Mazzocchi abbia in mente il tentativo - con scarsi esiti - fatto l’anno precedente da Cicogna, Bresciani ed altri di Brescia per impiantare un solido commercio di seme-bachi con la Cina settentrionale e la Corea, tentativo di cui si è detto nella Introduzione (CZ). 17 Si tratta di Marc’Antonio Fè d’Ostiani che aveva accompagnato il fratello maggiore Alessandro in Cina nel corso del viaggio di quest’ultimo per assumere la carica di Ambasciatore italiano in Giappone. Come già notato nella Introduzione (alla nota 12 e oltre), i Fè d’Ostiani erano fortemente coinvolti nel commercio del seme-bachi (CZ). 18 Si tratta di Teobaldo Sandri, piemontese, residente in Cina, di cui Pompeo parla più volte nel Diario. Qui si riferisce a disordini scoppiati in Cina che avevano messo in pericolo vite e averi dei residenti stranieri (CZ). 19 Personaggio non identificato (NdR). 20 Lo spiritismo stava andando assai in voga in quegli anni, specie a Parigi, ed è probabile che Paolo Tonelli abbia chiesto a Pompeo di informarsi sui luoghi dove si svolgevano incontri di quel tipo (NdR). 21 Di Vincenzo Almici, che aveva felicemente collaborato con Pompeo a Majorca nel 1860 e del suo 210 Il Diario di Pompeo Mazzocchi APPENDICE I vi ho promesso da lungo tempo una lunghissima mia riguardo al mio viaggio e adesso, bene o male, vi dirò qualcosa e così finirà questa mia all’incontrario di quel che doveva essere - troppo tardi - non v’è nulla d’importante sia che abbiate o non abbiate la pazienza di leggermi. A Parigi mi sono fermato poco e mi interessava di più di perdere i giorni che avevo [a disposizione] a Liverpool e così, contento, lasciai questa Babilonia e felicemente traversai la Manica e mi trovai a Londra. Non avevo l’indirizzo della casa dove si trovava la famiglia che conoscevo, né m’interessava sapere la storia di Vincenzo Almici21 e appena arrivato a Londra partii per Liverpool. Da Londra a Liverpool trovai la campagna bellissima, bellissime praterie e dappertutto di quei alti “fumaioli”, come quello del gaz a Brescia. Dapertutto officine e fumo e movimento, come deve essere un paese che vive d’industria che fornisce tutti i mercati del mondo ed apresso l’agricoltura. Liverpool da pochi anni contava centomila abitanti, ora oltre mezzo milione e nei suoi porti vi sono più bastimenti che a Londra. Il movimento, l’attività è tale che voi stesso sareste trasportato e dimentichereste il vostro male. Né per questo trascurano i comodi e belle comode case e passeggi bellissimi che superano l’immaginazione e popolate da Miss che più del movimento rumoreggiante vi farebbero - non dico guarire, ma ammalare di più. Nelle strade vi sono le spranghe di ferro a doppio binario e sopra continuamente vi corrono immensi omnibus22 sempre pieni e non bastano: vi sono moltissime vetture celerissime - il tempo, in Inghilterra è moneta e nessuno lo perde. Il vapore sul quale dovevo partire è partito al minuto fisso, benchè piovesse fortemente e sarei restato a terra se mi fossi fidato.23 Nel porto, fra parecchie centinaja d’immensi vapori e parecchie miliaja [sic] di grossissimi bastimenti24, in un piccolo angolo, vi era un umile barchetta lunga 17 piedi che tutti guardavano - con due marinai - era appena arrivata da Nuova York sfidando l’Oceano sempre burascoso [sic] e nebbioso. Due marinai e un cane in una piccola barchetta traversarono l’oceano e adesso non posso vantarmi di avere io fatto qualche cosa attraversandolo sopra [il] vasto ponte [di un] vapore. Sul vapore che mi trovavo vicino, seicento emigrati che fuggivano dalla vecchia Europa, uomini, donne, ragazzi, alcuni allegri altri pensierosi, piangenti: così si popola l’America destinata a divenire grande e migliorare quelli che vi portano ad abitarla. Arrivai a Nuova York il 10 alle sei pomeridiane dopo 10 giorni di traversata e successivo “guastarsi” nel lungo soggiorno in Inghilterra, si parla brevemente nel Diario, al foglio 93 del dattiloscritto (NdR). 22 Il foglio si interrompe con la nota: “leggete attraverso primo foglio” e la lettera prosegue con le righe scritte perpendicolarmente ai fogli 1,2,3 e 4 (NdR). 23 Vuol dire: se si fosse fidato che per la pioggia il vapore avrebbe ritardato la partenza (NdR). 24 Per “bastimenti” Pompeo intende, qui e altrove nella lettera, velieri, in contrapposizione a “vapori” (NdR). 25 Si riferisce agli ascensori che allora potevano funzionare a vapore (NdR). Il Diario di Pompeo Mazzocchi 211 APPENDICE I benchè in giugno, soffersi il freddo ed ho veduto la neve sotto le [manca un pezzo della frase NdR] che liquefava toccando il vapore. In questa stagione alle volte discendono dal mar glaciale pezzi immensi di ghiaccio portati dalle correnti e, con le nebbie che dominano, mettono in pericolo e vapori e bastimenti. Arrivai a Nuova York raffredato [sic] sotto una pioggia fittissima ed alloggiai in uno dei primi alberghi, non già per fare il grande, ma per farmi un’idea di questi immensi alberghi, del lusso e [del] vivere americano e ne restai sorpreso. A Parigi, a Londra [e] costì non v’è nulla d’eguale. Avendo il raffredore dovevo tenere scoperta la testa e così questo lusso mi costò molto di tasca e di salute. Saloni immensi, coi tappeti, per conversazione, lettura, ecc. Nella sala per il pranzo potevano sedere comodamente quattrocento forestieri. Sale per colazione, merenda, caffè, the, ecc. Macchina a vapore sempre in movimento per portare sù e giù i passeggeri.25 Servizio completo - a tavola non avete la fatica nemmeno di rompere gli uovi sudati [?] o di mettervi la sedia sotto il sedere. Nei saloni superbamente ammobigliati passeggiavano delle signore, alcune assai avvenenti - e pare che il miscuglio delle razze le migliori. Le signore, in America (Stati Uniti), sono assai rispettate ed occupano il posto che meritano. Nell’albergo vi era il telegrafo, posta, tutto. Anche negli uffizj ed alberghi secondarj vi sono i telegrafi ed in America, come in Inghilterra, non si conosce il dolce far niente e non vi sono caffè e riunioni per passare il tempo. Nelle contrade [ = strade] vi è un movimento da stordire ed in Nuova York e nelle città anche secondarie ci sono dappertutto binarj per gli omnibus e fili telegrafici dapertutto. Il vivere è caro, carissimo. Alcuni palazzi imensi sono di ferro interamente, le contrade [ = strade] sono larghe, parallele e portano il numero e così l’indirizzo è più chiaro, spedito. Le strade ferrate appartengono a società private e queste vanno a gara per attirarsi i passeggeri e dapertutto avvisi e carte ed in questo per noi è una Babilonia. Per questo le [strade] ferrate non sono tenute così bene, troppa speculazione e nascono disgrazie più frequenti che in Europa. A queste disgrazie provvedono le assicurazioni e mentre corre il treno, alcune volte entra uno con un libretto per vedere se alcuno vuole assicurarsi - [ vi sono] assicurazioni - società d’ogni sorta. Non ho avuto disgrazie sulla [strada] ferrata, solamente si distaccarono alcuni vagoni attaccati al vagone sul quale mi trovavo ed avvisato, il macchinista si fermò e senza disordine si riattaccarono. Ho veduto lungo la linea una macchina ed alcuni vagoni spezzati. Tre giorni prima della mia attraversata sulla ferrovia, un centinajo di indigeni indiani a cavallo si fermarono sulla ferrovia nell’idea, pare, di fermare il convoglio. Il macchinista che vidde [sic] la strada incombrata invece di fermarsi, se era possibile spinse la macchina a tutta forza ed ammazzò 26 Vuol dire rimpianto, dall’inglese “to regret” (NdR). 27 “Abituato”, anche questo dall’inglese “ to be used to” (NdR). 212 Il Diario di Pompeo Mazzocchi APPENDICE I una ventina di indiani. Le macchine l’avanti hanno una macchina per sbarrare la strada. Ho veduto la cascata del Niagara e l’iride che fa nascere l’umidità in alto ed il vicino ponte di fil di ferro, i boschi immensi del Canada e viste magnifiche di una natura vergine grandiosa e campagne immense coltivate con ogni sorta di macchine e truppe di bestiami della migliore razza. Come questo paese è grande, come è incamminato bene. A voi che piace il vivere tranquillo, secondo natura, trovereste siti, sareste incantato di quelle campagne senza confine (non come quelle che vedete costì dalla Palazzina, tutte frastagliate, ogni pezzetto di terra occupato, diviso), di vedere terreni fertilissimi che aspettano i coltivatori. In mezzo all’America molto paese è deserto, solitario ed il rumore del convoglio faceva levare branchi di camosci pelosi, lepri: ho veduto pochi uccelli. La ferrovia monta lentamente all’altezza di 10.000 piedi e vedete le nevi vicine, altipiano immenso. Alcune piccole tribù vaganti di indigeni, facevano compassione, paura, sembrava dovessero morir arse dal sole, di fame e sete, a noi costumati con tanti bisogni. Ho veduto molti treni lunghissimi di emigrati. Sulla strada ferrata si dorme in letti comodi e si mangia come all’albergo. Quasi in mezzo a questo vasto deserto e solitudine vi è il Lago salato ed il paese detto Hutah [Utah], magnifico e stupendo sito che manca di nulla e venne scelto dai Mormoni dove speravano di condurre vita a loro modo, indipendenti. Ma in appresso, la California si unì agli Sati Uniti, la strada ferrata riunì paesi lontanissimi e così, contro loro voglia, si trovarono assorbiti, fusi. Essi hanno ancora il loro Profeta, ma se non abbandonano la poligamia saranno cacciati via e dicesi cercheranno un nuovo asilo nelle immense isole dell’Australia. Gli americani (Stati Uniti), non vogliono saperne di poligamia, malgrado rispettino qualsiasi religione. Essendo passato vicino al Lago Salato, ad Ogden ho lasciato la grande linea e dopo due ore di ferrovia arrivai a Salt Lake City. Ho veduto il tempio vecchio ed il nuovo in costruzione. La città è bellissima con acqua buona in tutte le contrade [ = strade], industriosa e quieta. Ho fatto una visita al Profeta Brigham Young e sono stato accolto molto gentilmente, suo figlio John fu pure assai gentile e siccome coltiva un po’di bachi, avrò da lui un cartone, forse più, ed un cartone col primo vapore sono d’accordo di spedircelo, purchè provi le sementi giapponesi. Questo John [ è il] figlio primogenito del Profeta; il Profeta ha 17 mogli e 43 figli, è, come dissi, assai gentile e simpatico e di aria modesta - con tutto questo costì non credo che farebbe proseliti almeno nelle signore. A Salt Lake City vi fu un meeting delle signore e dopo molti speech [= discorsi] convennero in favore della poligamia, come forse sapete dai giornali. Ad ogni modo in America e Stati Uniti le donne vogliono che abbiano a godere dei loro veri diritti e la famiglia sia condotta secondo il progresso dei tempi. Quando ci vedremo vi regalerò il ritratto del Profeta - se non Il Diario di Pompeo Mazzocchi 213 APPENDICE I è troppo antipatico alla vostra signora. Sono passato nei terreni auriferi e fra le montagne dove si cerca l’oro e la California ha campagne fertilissime e manca di nulla e clima buonissimo che quasi tutto l’anno si mantiene alla stessa temperatura. I lavori per cercare l’oro sono grandissimi e gli acquedotti per lavare le terre. Vi sono viste bellissime, indiscrivibili e ponti altissimi fatti così leggeri, di legno, ed economici ed alla svelta, che pare il treno dovrebbe cadere giù, e difatti sopra vanno adagissimo. Del resto voi non avete nulla da invidiare e sta in voi a vivere bene che nulla vi manca ed alcune volte siete assai allegro e vi dimenticate, stando in piedi e camminando, della vostra malattia. E scommetto che se voi aveste fatto il mio viaggio avreste sempre regrettato26 la vostra Palazzina, i vostri comodi. Siete usato27 troppo bene, vi siete viziato e per questo desiderate, pensate, molte cose, ma ringraziate la vostra fortuna e, lasciate che ve lo dica, mettetevi in testa di guarire - sforzatevi - fate una cura buona e guarirete - se non siete [già] guarito. Per voi vi vorrebbe un viaggio di mare, aria, vita differente e nello stesso tempo una cura buona ed in voi costanza e buona persuasione. Gli altri, molti sono stati sfortunati, perché stanno troppo male, voi perché state troppo bene e non potete tollerare una vita un po’disagiata e nuova. Venitemi incontro ad Alessandria d’Egitto od a Nuova York e ritornerete guarito. Ho trovato S. Francisco di California una bellissima città, dove non si vive così caro come a Nuova York ed il primo di luglio sono partito per qui ed arrivai il 24 sopra superbo vapore. Dovevo arrivare qui il 23 invece, come sapete, arrivai il 24 - si perde un giorno - cioè i giorni passati prima essendo stati [complessivamente] più lunghi di 24 ore si perdette un giorno. Sono passato agli antipodi, cosa che sembra impossibile e questo globo, slanciato in aria, abitato dapertutto, ci fa credere che gli altri globi pure siano abitati dapertutto e così potessi visitali in buona compagnia - e adesso per la semente non sappiamo più,28 dopo il Giappone, in che paese capitare. Questa mia è troppo lunga: ho tenuto la parola che ho data a Gabriele di scivervi a lungo. Guarite e scrivetemi che siete guarito. Spero di rivedere voi e la vostra famiglia in perfetta salute e vi prego dei miei complimenti e rispetti alla vostra gentilissima Signora. Salutatemi il Signor Andrea Caleppio29 e così la Signora Angelina30 e famiglia e quelli che sapete mi sono amici. State bene, così la vostra famiglia 28 segue la notazione “leggete attraverso del foglio che segue - p. 5 “ (NdR). 29 Marito di Caterina Mazzocchi (NdR). 30 Dovrebbe essere Angelina Caleppio, sorella di Andrea e moglie di Giovanni Antonio Mazzocchi, cugino del padre di Pompeo (NdR). 214 Il Diario di Pompeo Mazzocchi APPENDICE I credetemi Vostro affezionato amico Pompeo Mazzocchi Settembre 6. Ad oggi cartoni arrivati a Yokohama: annuali e bivoltini no. 524.484 venduti 97.539 anno scorso: arrivati No 404.307 venduti 198.146. I cartoni venduti potete considerarli al prezzo dalle Italiane lire venti alle ventisei - spero in un qualche ribasso. Il Diario di Pompeo Mazzocchi 215 68. Polizzino di carico (Bill of Lading) per 44 casse di seme-bachi (pari, al lordo, a 3432 libbre, ossia 1557 kg.), spedite da Pompeo Mazzocchi da Yokohama il 4 novembre 1877 per mezzo della Pacific Mail Steam-ship Co. (sino a S. Francisco) e, in proseguimento per ferrovia, con la Central Pacific Railroad Co. (da S. Francisco a New York). A New York le casse sarebbero state reimbarcate per l’Europa. Cm. 36x22,5. Fondazione Pompeo e Cesare Mazzocchi, Coccaglio, Archivio Storico. 216 Il Diario di Pompeo Mazzocchi APPENDICE II Lettera da S. Francisco di Pompeo Mazzocchi datata 12 settembre 18791 S. Francisco, 12 7bre 18792 Carissimo cugino,3 ti ho scritto, sai, anche da Kingston4 ed ora ti mando ancora i miei cordiali saluti prima di lasciare l’America - domani alle 12 parto sul vapore Oceanic, spero arrivare a Yokohama ai primi del p[rossimo] m[ese].5 Èl’ultimo tratto del mio viaggio, 4700 miglia di Pacifico.6 A Kingston volevo continuare il viaggio sul Lago Ontario per Toronto, ma per evitare la spesa di circa L. 20, avendo la ferrovia pagata, presi la ferrovia. Volevo fermarmi a Toronto, poi, per il cattivo tempo che sopravvenne impensato, continuai il viaggio. Volevo fermarmi a Sarnia,7 sul Lago Huron per vedermi Petrolia,8 [ma] 1 La lettera, in fotocopia, ma di sicura mano di Pompeo, è stata rinvenuta tra le carte di Pompeo Mazzocchi dove è pervenuta, in tempi evidentemente recenti, a mano di qualche discendente del cugino di Pompeo cui risulta indirizzata. Non è stato sinora possibile appurarne la precisa origine (NdR). 2 Come precisato nell’Introduzione e come ampiamente esposto nella biografia di Pompeo Mazzocchi di Caterina Saldi Barisani, i viaggi del nostro semaio - come quelli di molti altri - per e da il Giappone si svolsero in parte via Suez/Oceano Indiano, in parte via Atlantico/Stati Uniti/Pacifico. In questo specifico caso tuttavia, Mazzocchi sembra aver scelto un itinerario particolare, in alternativa a quello tutto ferroviario e tutto statunitense più usuale, da New York a S. Francisco, scegliendo un percorso che lo porta a risalire in vapore il S. Lorenzo e ad attraversare in ferrovia un lungo pezzo del Canada. Non è noto se si trattasse di una reale alternativa (in termini di costi e di tempo) alla via NewYork / S. Francisco o se questa sia una diversione “turistica” che si concede Pompeo, ormai affermato, ricco e vicino a concludere i suoi viaggi al Giappone. Un “itinerario americano” a uso dei semai e compilato da un semaio piemontese, G.B. Imberti, è stato pubblicato di recente: si veda Memorie per un viaggio da Torino a Yokohama per la via d’America (1883), Famija Piemonteisa, New York 1990 (CZ). 3 Non si è potuto appurare a chi di preciso fosse indirizzata la lettera. I saluti apposti alla fine ed indirizzati anche ad un (o una) P. Andreoli, potrebbero far pensare che si tratti di Domenico Mazzocchi di Francesco, un lontano parente di Pompeo, la cui madre era una Andreoli. Su questo Domenico Mazzocchi si veda la nota 192 al testo (NdR). 4 Cittadina canadese sul Lago Ontario, vicino al luogo ove nasce, come emissario, il S. Lorenzo (NdR). 5 Il periodico in lingua inglese di Yokohama, Japan Weekly Mail, segnala l’arrivo di Mazzocchi il 4 ottobre del 1879 (CZ). 6 I primi semai a percorrere la via del Pacifico per tornare in Italia furono alcuni lombardi, recatisi in Cina nel 1859 a raccogliere seme-bachi. A quell’epoca non erano ancora completate le linee ferroviarie trans-americane. Giunti a S. Francisco si proseguiva via mare sino all’istmo di Panama (il canale non esisteva ancora), lo si attraversava via terra e si proseguiva sino a N. York per poi trasbordare per Marsiglia. Si veda in proposito Zanier, C., “Rerouting the Silk Road via S. Francisco. Italian Entrepreneurs and the Silk Crisis of the 1850s.” Storia Nordamericana, 1990, 7, II, pp. 105-116. 7 Centro canadese ai bordi meridionali del Lago Huron, stazione ferroviaria di confine con gli Stati Uniti, poco lontana da Detroit (NdR). 8 Petrolia è oggi una piccola cittadina canadese ad una trentina di km a sud di Sarnia, ma fu allora, agli Il Diario di Pompeo Mazzocchi 217 APPENDICE II ancora causa il cattivo tempo continuai il viaggio. In viaggio, leggendo un giornale, ho saputo che un vapore sul Lago Ontario si è perduto la notte dal 3 al 4 - si salvarono i passeggeri. Non essendomi potuto fermare, tirai di lungo per essere qui in tempo di recarmi a Calavera, dove sono gli alberi grossissimi detti “big tree” - grossi alberi.9 Hanno più’di 30 piedi di diametro, alti più’di 300,10 ma a Sacramento City,11 lasciai la ferrovia,[e] non avendo meglio a scegliere per variare, presi il vapore sul fiume Sacramento (Sacramento river) e venni qui - nell’istesso modo che sono arrivato in questo immenso paese. Il St Lorenzo è un fiume immenso di acque limpidis[sime] fino a Quebec - il Sacramento in confronto è un rigagnolo con acque assai torbide - /2/ Infine son finito, coi miei progetti, alla città di Sacramento ed al fiume dell’istesso nome. Ho lasciato Sacramento […] alle 9 ant[imeridiane], dovevo arrivare qui alle 7 pom[eridiane]. Ma nel fiume si arenò e nei movimenti per liberarsi ebbe la macchina rotta - arrivai qui, invece delle 7, alle 11, il vapore andò con una sola ruota. Le rive di questo fiume sono assai belle e si vedono campagne bellis[sime] e villaggi che [vi] sorgono. Sembra un sogno, [quando si pensa] di trovarsi in un paese dove vi sono campagne immense fertilis[sime] incolte - mentre qui si contende un palmo di terra a prezzo alto. Il clima, qui, è quasi uguale tutto l’anno, da Gennaio a Luglio c’è poca differenza: la California è il paese migliore d’America per il clima, per i prodotti del suolo-frutti, uva, di tutto - e per le miniere. Qui la stagione è come da noi ai primi di Aprile: sempre tutto l’anno vi sono le fragole, i sparagi con altri frutti. La mano d’opera, per l’arrivo continuo degli Europei - tedeschi, Inglesi generalmente - diminuisce di valore, ma è cara più del doppio in confronto di costà - ed il vitto vale quasi la metà. L’alloggio è caro, da Cent. 25 di Doll. (una lira e mezza) a un Dollaro (a lire sei circa). Mi trovo qui in un albergo, [comodato?] come - /3/ un principe; se venisse qui tuo padre, i nostri vecchi, cosa direbbero?- mi trovealbori dello sviluppo di questa industria, una delle primissime “capitali” dell’estrazione del petrolio (colà scoperto in grande quantità nel 1865-66). Nel 1880 vi venne costituita la Imperial Oil Company che diverrà in seguito uno dei colossi dell’industria petrolifera mondiale (CZ). 9 La “Calaveras Bigtree National Forest “ si trova nella Contea di Calaveras, in California, a Ovest di Sacramento (CZ). 10 Il piede è pari a circa 30,48 cm (NdR). 11 Attuale capitale della California (NdR). 12 Pompeo spendeva quindi dalle 18 alle 24 lire al giorno in quell’albergo. Si confronti questa cifra con 218 Il Diario di Pompeo Mazzocchi APPENDICE II rebbero fuori di posto. L’albergo è costato circa 25 milioni, il lusso che vi è, le comodità, è incredibile; in Europa, nel “vecchio mondo” non c’è sicuramente nulla che vi rassomigli. In tutto si paga dai 3 ai 4 Dollari (il Doll. circa lire 6 in carta).12 Da noi, con meno comodità, si pagherebbe di più. Vi è qui un altro albergo che costò oltre 16 milioni di lire = 3,500,000 Doll. La città è bellis[sima], di oltre 250/m[ila] abitanti ed è sorta dopo il 1848: è una razza di giganti, ma hanno tutti i mezzi, tutte le 69. La sede originaria della Imperial Oil Company a fortune. Petrolia nel Canada fotografata verso il 1880. La cittadiHo fatto il viaggio con uno di na, che Pompeo intendeva visitare nel suo viaggio verso il Giappone attraverso il continente americano nel 1879, Cheyenne (Colorado) che aveva ven- fu uno dei primi centri di sfruttamento sistematico del duto 57 buoi a Chicago, a peso. petrolio. Da: Horizon Canada, Centre d’études en Einsegnement du Canada, Université Laval, Québec, s.d., Aveva ricavato Doll. 3.70 ogni cento Vol. I, pp. 180 -181. libbre inglesi, circa ogni 50 kili13 peso lordo. Qui vi saranno circa 5,000 Ital[iani], la maggior parte Genovesi, negozianti di pesci, pescatori, negozianti di verdure, di frutte, ortaglioli. Godono stima, fanno buoni affari, sono i soli in America ([tra gli] Italiani)in una buona posizione. Quasi tutti i banchetti di frutta sono italiani. Qui avevano cominciato a coltivare [e a] tenere i bachi, ma la mano d’opera è troppo cara - il clima sarebbe buonis[simo]. Ho portato nel ’68 [in Italia] di questo seme[-bachi], fece nulla - avevano elevato [allevato] semente infetta qui venuta dalla Francia. - /4/Da qui mandano frutta per tutti gli Stati Uniti, fino al Giappone e in China: il Giappone è un paradiso terrestre, [ma] non per i frutti che valgono nulla, sono senza sapore - i fiori al Giappone sono bellis[simi], ma senza odore, col tempo, le 25 lire al giorno che spendeva 15 anni prima (quando la lira valeva anche di più) all’Astor House di Shanghai - v. nota 315 al testo del Diario (CZ). 13 Una libbra inglese è pari a 453,6 grammi (NdR). 14 Il ricordo di Mazzocchi è parzialmente buono: anguria si dice infatti suika in giapponese. Si noti anche che nella relazione del 1874 (riportata nella precedente appendice) Pompeo aveva lodato i kaki. Il Diario di Pompeo Mazzocchi 219 APPENDICE II quelli che vengono d’Europa, dicono che lo perdono. È una terra fertilis[sima], [ma] un po’umida: non sarà sicuramente adatta [per la frutta]. Ma il Giappone è grande e vi saranno siti buoni: ma in gran parte [la frutta] vale nulla, almeno nei siti da me visitati. Mi ricordo solo delle angurie buonis[sime] che chiamano siga14 in Giappone. Gli avvisi, il reclame, qui non manca. Ieri vi era una carrozzella con 4 cavallini che tirava due cartelloni [pubblicitari], uno per lato della carrozzella. Come a Londra, vi sono uomini che passeggiano con cartelloni avanti e dietro della persona: avvisi ambulanti. Con tanto lusso, vi sono moltis[simi] che masticano tabacco, che si nettano il naso, mettendovi un dito, soffiando, che per comodità mettono le gambe in alto. In una chiesa cattolica, raccomandavasi di non masticare tabacco. In generale sono “parvenu”, [e] non è la gente più pulita. Per quanto [a] noi, non ho che a lodarmi assai di tutti, li ho trovati gentilis[simi]. Assieme alla tua Sig. Bigia15 ti saluto cordialmente, mi saluterai P... Andreoli. Spero starai bene con tutta la tua famiglia Tuo amico e cugino aff[ezionato] Pompeo Mazzocchi Comunque, anche oggi, l’opinione degli stranieri è che la frutta giapponese, in generale, sia poco gustosa (CZ). 15 Vezzeggiativo locale per Luigia (NdR). 220 Il Diario di Pompeo Mazzocchi APPENDICE III Relazione del signor Pompeo Mazzocchi alla R. Legazione d’Italia a Tokio1 Yokohama, 22 Settembre 1874 Illmo Signor Incaricato d’affari,2 In obbedienza al desiderio espressomi dalla S. V. Illma, scrivo un cenno di quanto ho veduto nell’interno del Giappone nella mia gita del Nord, grazie al permesso che la S. V. Illma mi ha procurato, nelle provincie3 di Koriamo,4 Yanagawa,5 Yonesawa6 e nel Cimonegai7 fino ad Arato,8 malgrado le mie imperfettissime cognizioni e benché lo scopo del mio viaggio fosse rivolto unicamente a vedere quali proprietari coltivino i migliori bozzoli e le bellezze del paese, che non potrebbe essere più curioso, interessante e pittoresco. Vi sono diverse qualità di gelsi; sono preferiti quelli di forte getto a foglie grandi e lucide ben frastagliate, come la nostra non innestata,9 e quelli a foglie non frastagliate, o assai poco; i primi li credono ottimi per la seta, i secondi per il seme,10 e di questi ve ne sono che vegetano precocemente, altri tardi, al sicuro dalle brine. 1 Pubblicato originariamente su Bollettino Consolare, Vol. XI, Parte I (Marzo 1875), pp. 174-179. Per la presente edizione, oltre alla correzione di qualche svista tipografica, si è modificata soltanto la punteggiatura e si sono inseriti in parentesi quadre pochi termini esplicativi (NdR). 2 Si trattava del Conte Balzarino Litta, che reggeva la sede diplomatica in assenza del titolare, Alessandro Fé d’Ostiani, bresciano, recatosi l’anno prima in Europa dove aveva accompagnato i membri giapponesi diretti all’Esposizione Universale di Vienna ed accolto in Italia la Missione Diplomatica giapponese del Conte Iwakura. Fé d’Ostiani sarebbe rientrato a Tokyo proprio in quei giorni (CZ). 3 Non si tratta di province (che oggi si indicano come “prefetture” e che sono equivalenti alle nostre regioni), ma di “contee” (gun) ossia “circondarii” (CZ). 4 Kôriyama nell’attuale prefettura di Fukushima, a Nord di Tokyo (CZ). 5 Nella prefettura di Fukushima, più a Nord di Kôriyama, quasi al confine con l’attuale prefettura di Miyagi (Sendai) (CZ). 6 Da Yanagawa Pompeo Mazzocchi si dirige a occidente, a Yonezawa, nell’area montagnosa dell’attuale prefettura di Yamagata (CZ). 7 Verosimilmente: (Shimo) Nagai, rinomato centro sericolo nella prefettura di Yamagata, più a Nord di Yonezawa (CZ). 8 Piccola località a nord ovest di Yonezawa (CZ). 9 Nonostante il gelso non innestato o “selvatico” fosse molto meno produttivo in termini di quantità di foglia prodotta, se ne mantenvano un certo numero destinandoli a nutrire i bachi nelle prime età, essendo la foglia del “selvatico” più nutriente e più adatta per i bachini ancora molto piccoli. Le foglie dei “selvatici” erano spesso lobate e con bordi frastagliati (rassomiglianti, anche se più piccole, a quelle del fico o della vite) (CZ). 10 In molte aree del Giappone si allevavano separatamente i bachi i cui bozzoli erano destinati alla riproduzione da quelli i cui bozzoli erano destinati a far seta, nutrendoli anche con foglie di differenti gelsi. Da noi era largamente prevalente l’allevamento unico, con la successiva cernita dei bozzoli più belli e meglio strutturati destinati a far seme, tutti gli altri per seta. Solo dagli anni ’70 in poi alcune aree si specializzeranno decisamente nella sola produzione del seme, specie in zone di alta collina o montagna (come in Abruzzo o nelle Marche), ma non si userà mai distinguere anche i gelsi (CZ). Il Diario di Pompeo Mazzocchi 221 APPENDICE III Solo nelle vicinanze di Yonesawa ho veduto gelsi come i nostri grossi e con foglia pressoché uguale a quella del basso Bresciano;11 tutti si attengono ai gelsi bassi piccoli, la foglia dei quali è più forte lucida e grande, sono posti alla distanza circa un metro a due, tagliati all’altezza di circa mezzo metro e sporgono diversi rami e frondi spesse bellissime: sia per la bontà del suolo terreno leggero, non argilloso, ad assai atto, sia per la buona qualità del gelso. Vegetano straordinariamente; sono tenuti netti dall’erba, e ben custoditi, ma assai mal tagliati e pieni di secco. Il terreno migliore per i gelsi non è per loro il più grasso, ma quello leggero con minuta sabbia, sedimento dei fiumi, come quello inondato dal Mella, dal Serio, e perciò queste nostre località dovrebbero provarsi a preferenza per il seme. I vari colori che alle volte ha il seme verde12 li attribuiscono sia alla qualità del terreno sia alla foglia, ma molto più all’ingrasso [concime]; la varietà del colore per essi è indizio piuttosto buono che cattivo.13 È inutile far osservare di che utilità sarebbero da noi le varie qualità bellissime di foglia di gelso, per l’abbondanza e per il miglior nutrimento. I gelsi piccoli sarebbero assai adatti nei terreni mancanti di fondo o nel suolo esausto dai gelsi grandi fino alla terza muta e con molta economia potrebbero servire benissimo anche dopo. I migliori gelsi sono quelli di Simamura (Giosciu)14 e di Yanagawa, questi ultimi li preferisco, in nessun sito avendo io veduto gelsi così belli come a Yanagawa. È proprio una meraviglia; un bosco basso densissimo dove non può penetrare il sole e foglie bellissime. Ho preso un po’ di questa terra per curiosità. Di tre qualità, la migliore per essi, è quella più magra. Specialmente nei primi anni che si venne qui per il seme di bachi, si commissionò e si trasportò molta semente di gelsi e [molte] pianticelle; ma in quanto alla semente, sia per gelosia (perché doveva servire agli Europei) o per far presto, i frutti per estrarre la semente, invece di essere posti a seccare lentamente all’ombra, pare fossero posti al sole, perché i grani rompendosi perdessero il proprio succo, 11 Nell’Ottocento, tradizionalmente, i gelsi in Italia (e nell’intero Mediterraneo) erano tenuti a fusto singolo con i rami e la chioma a circa 1,50-2,0 m dal suolo. Questo era il risultato di una secolare opera di graduale riduzione della taglia del gelso e di una sistematica opera di potature razionale, tali da ottimizzare la produzione di foglia e da facilitarne la raccolta. Più in basso col fusto non si scese per evitare il rischio che il bestiame grosso, le capre e le pecore mangiassero le foglie passando vicino ai gelsi e per permettere che i carri vi potessero passare vicini, i gelsi essendo in genere piantati ai bordi dei campi o lungo le strade ed i sentieri. In Cina ed in Giappone vi fu un analoga discesa del fusto, ma non essendovi i rischi degli animali nei campi, si passò a forme molto più basse, spesso a cespuglio o con tre o quattro getti dal suolo. Il clima estivo più umido in Asia Orientale non rendeva inoltre necessarie radici profonde. Vi era così una maggiore facilità di raccolta ed una resa media in foglia per ettaro più elevata (CZ). 12 Intende: seme (uova) del baco che produce un bozzolo color verdino, molto apprezzato allora dagli allevatori italiani che acquistavano seme-bachi giapponese (CZ). 13 Da noi si valutava molto, invece, l’uniformità del colore del seme (CZ). 14 Shimamura, allora nel Jôshu, fa oggi parte dell’agglomerato urbano di Sakai-machi nella Prefettura di Gunma (CZ). 15 Le coltivazioni di gelsi ed allevamenti di bachi poste a poca distanza da Yokohama - ad esempio nell’attuale 222 Il Diario di Pompeo Mazzocchi APPENDICE III insomma era semente morta che da noi risultò di nessun profitto. Le pianticelle poi arrivarono bene, ma queste provenivano dalle vicinanze di Yokohama, e diedero una quantità di foglia sempre pregevole, ma non la migliore.15 Nel Sud fanno seta col baco selvaggio detto jama-mai, baco di montagna, che dà bozzoli verdi, farfalle grosse, come con specchi nelle ali, a varii colori.16 Nella China si coltiva anche nel Nord ed ottengono bozzoli grossi, color castagno.17 Qui nel Nord, a Yanagawa, mi mostrarono un baco quasi nero alla quarta età, piccolo come un trivoltino,18 e dicono che si nutre di foglia di gelsi, ma fa un bozzolo piccolo scadente, del quale non si curano. Questo baco si trovava in mezzo ai gelsi, e me lo portai a casa all’albergo sovra un ramoscello per esaminare meglio, ma all’indomani non l’ho più trovato, non aveva mengiato foglia, né mi accorsi che se ne fosse nutrito sul campo. I bachi vengono coltivati nelle case abitate, né vi sono, in generale bigattiere,19 solo ne ho viste a Scimamura e Ueda, e queste hanno il culmine del tetto aperto un metro; disopra, all’altezza di circa mezzo metro, è coperto d’altro tetto, chiuso da telai, che girano paralleli negli incastri. Le pareti della bigattiera, che non potrebbe essere più arieggiata, sono chiuse da telai che girano pure negli incastri; [hanno] per vetri la carta. I migliori bozzoli sono quelli di Yanagawa, specialmente i bianchi, i bachi dei verdi di questa provenienza sono un po’più lenti, più pigri degli altri. Da noi le montagne, i siti assai montuosi danno credito al seme, ed alcune provenienze [di seme-bachi] si denominavano dai monti. I Balkani, il Montenegro diedero nome al seme, invece qui sono i fiumi. I gelsi piantati nelle vicinanze dei fiumi sono coltivati a preferenza ed assai apprezzati, come apprezzate sono le case, poste in queste località, nelle quali si coltivano i bachi. Gli abitanti tengono sobborgo di Hachioji di Tokyo - non erano particolarmente apprezzate (CZ). 16 Si tratta della Saturnia Yamamai - in giapponese “Yama Mayu”, ovvero baco di montagna - uno dei tanti bachi “selvatici” che si nutre delle foglie di una varietà di quercia. Dà una seta piuttosto fine e delicata, anche se non all’altezza di quella del baco “ordinario”, il Bombyx Mori. Era utilizzato in Giappone per sete impiegate in particolari rituali. Venne studiato dagli europei sin dagli inizii degli anni ’60, nella speranza di poterlo affiancare al Bombyx Mori o magari di sostituirlo ad esso se la pebrina non si fosse potuta bloccare. Inoltre la possibilità di poterlo nutrire con le querce fece sperare di poter fare seta anche in regioni europee più settentrionali rispetto all’area dove vegeta il gelso. Tutte queste speranze andarono comunque deluse perché la “selvaticità” del Yamamai impedisce di allevarlo su vasta scala (CZ). 17 Si tratta in realtà di una razza di baco diversa, pur se anche questa si nutre con foglie di quercia. Mazzocchi comunque si sbaglia a pensare che lo Yamamai vivesse solo nel Sud del Giappone: era presente anche nelle aree che lui visita, pur essendo curato molto poco (CZ). 18 I bachi che compiono il ciclo vitale più volte entro l’anno sono detti multi- o polivoltini. In particolare “bivoltini” quelli che lo compiono due volte e “trevoltini “ quelli che lo compiono tre volte. I polivoltini sono in genere più piccoli degli “annuali” e danno anche un bozzolo molto più piccolo (ed assai poco stimato dai filandieri di allora) (CZ). 19 Intende dire: locali appositamente costruiti per allevarvi il baco da seta (CZ). 20 Questo era il caso in particolare di Shimamura, posta a cavallo del Tonegawa (CZ). Il Diario di Pompeo Mazzocchi 223 APPENDICE III a mostrare sempre il seme preparato sulle rive del fiume con bozzoli prodotti con gelsi posti in riva o fra due fiumi.20 In generale i bozzoli qui sono più leggeri, più piccoli che da noi e danno meno seta, forse perché si nutriscono i bachi con troppa frugalità, una foglia però non va perduta. Ora che il paese si può scorrere [percorere], ed i semai potranno vedere dove si fa il seme, i giapponesi potranno stabilire i prezzi non solo in ragione della bellezza del seme, ma più ancora della bellezza dei bozzoli. Vi sarà una scelta migliore, e se qualche razza speciale, come fu già la nostra di Bione21 e quella Giapponese avuta dal Ruspini,22 si troverà atta per la riproduzione, vi sarà la sicurezza di poterla avere anche in seguito e propagarla, e così finalmente i bachicultori da noi si sentiranno più assicurati per la qualità del seme. In ogni caso si fanno morire i propri bozzoli,23 oppure si vendono secondo la convenienza: non ci sono filande grosse ma soltanto di poche bacinelle, ognuno fila i suoi. Il congegno consiste in una piccola pentola,24 un piccolo meccanismo,25 tutto movibile. Chi fila fa anche andar l’aspo26 e pare impossibile che si possano fare delle sete così belle in ragione dei mezzi che si adoperano. Nell’esterno di alcune case, si vedono bozzoli secchi in vendita. I privati cominciano ad industriarsi per far seta migliore, ed adottano i nostri ultimi sistemi, essendovi modelli di filatura in Yeddo27 (a vapore28 vi è solamente la grande filatura a Tamioka [Tomioka], che va per conto del sovrano29). 21 Vedi la nota 137 del Diario (NdR). 22 Il Ruspini, bresciano, fu uno dei primi ad allevare in Europa il seme-bachi giapponese, sin almeno dal 1860, con risultati assolutamente eccellenti, fino a divenire quasi leggendarii. Fu basandosi su esperienze come quelle del Ruspini che si costruì in brevissimo tempo la clamorosa fama del seme-bachi giapponese ed iniziarono le importazioni di massa (CZ). 23 Intende: ognuno degli allevatori (giapponesi) fa perire le crisalidi entro i bozzoli (che lui stesso ha prodotto) per poterli poi filare da sé (CZ). 24 Per poter scaldare l’acqua destinata a far sciogliere la colla naturale che tiene insieme le volute del filo del bozzolo. Da noi si usava un’apposita capace bacinella metallica, nelle case giapponesi spesso si usava una vera pentola (CZ). 25 La parte meccanica della trattura, comprendente l’aspo su cui si avvolge la matassa del filo che esce dalla bacinella. Era fatta di solito tutta in legno e di dimensioni estremamente ridotte, incluso l’aspo (CZ). 26 L’uso in Italia era che la maestra si dedicasse solo alla delicata operazione di comporre il filo dai bozzoli e di mantenerne costante lo spessore; l’aspo veniva girato da un’assistente/apprendista (anche se in alcune regioni italiane la maestra poteva far girare l’aspo con un pedale apposito). Bisogna dire però che si trattava di un’attrezzatura molto più grande di quella giapponese (CZ). 27 Mazzocchi usa ancora il termine Yeddo (Edo) per Tokyo, così ribatezzata dopo il 1868 (CZ). 28 Va ricordato che l’uso del vapore nelle filande, per primo proposto dal francese Gensoul intorno al 1805, era principalmente non come forza motrice, ma per riscaldare l’acqua nelle bacinelle (CZ). 29 Si riferisce alla grandiosa filanda a vapore governativa di Tomioka, anch’essa nell’attuale prefettura di Gunma, costruita da maestranze francesi, con macchinari untramoderni tutti francesi ed inaugurata nel 1873. Pur servendo da modello e da scuola di addestramento professionale, la filanda di Tomioka era assolutamente fuori della portata dei capitali disponibili agli imprenditori giapponesi e delle tecniche costruttive allora impiegabili in Giappone. Nei successivi 15-20 anni le filande “moderne” costruite in Giappone si avvarranno di tecnologie e di macchinari infinitamente meno costosi, ma non per questo inefficenti, anzi (CZ). 30 A Nord-Est di Tokyo (CZ). 224 Il Diario di Pompeo Mazzocchi APPENDICE III Nel Yoaki,30 nei possessi del Giapponese Sig. Biosako,31 ho veduto una piccola filanda di poca spesa, con poco ferro, sul sistema del Sig. Morlani di Bergamo.32 La seta era bellissima: invece [che usare] la bateuse, scopini delicatissimi.33 Due altre quasi uguali ne ho viste a Nakamaci34 del Sig. Koana Shebi35 ed a Yonesawa e queste fanno vergogna alle nostre di sistema antico. Nella provincia di Yanagawa, in generale, attorno ed anche fra in mezzo ai campi di gelsi cresce la pianta la cui corteccia serve per fare la carta;36 questa pianta viene tagliata al piede a dà un mazzo di getti; la foglia assomiglia a quella del gelso, ma però è un poco più bruna e meno lucida. La carta fatta colla corteccia di questa pianta è assai soffice, né stropicciandola colle mani si rompe: essa serve per scrivere, per fazzoletto da naso, per il sudore, ed oliata per mantello ed ombrello. Si imitano le nostre pelli marocchine, il cuojo di Russia, perfino il crêpe e si fanno molte belle cose che colla nostra non possiamo fare. Nelle vicinanze di Yonesawa, oltre mille piedi sul livello del mare, fra i monti, sito di minore latitudine, ma freddo come da noi in Brianza, cresce un albero che dà una vernice bella, lucente, duratura: essa resiste all’acqua bollente: con questa vernice si dipingono le scodelle di legno per tavola che tengono luogo di quelle di porcellana.37 Queste piante sono alte, a vari rami, come le nostre di mandorlo, ma però più basse del pino: le più grosse sono di circa trenta centimetri di diame31 Il nome è sicuramente trascritto in maniera non corretta (CZ). 32 Il Morlani in questione era Ottavio Morlani, ingegnere e grande proprietrio terriero e filandiere di Bergamo. A partire dal 1850 aveva progettato innovativi sistemi di costruzione di filande “a fuoco diretto”, ovvero secondo il sistema antico, in cui l’acqua della bacinella veniva scaldata con un fornelleto a legna sottostante e non per mezzo dell’imissione di vapore bollente, con un tubicino, nelle singole bacinelle. Il modello qui citato è quello da lui brevettato nel 1868, diffuso in molti esemplari nel bresciano, nel bergamasco e nell’area di Lecco. La conferma che si tratti di questo modello viene dalla testimonianza resa dal Morlani stesso di fronte alla Commissione d’Inchiesta Parlamentare sull’Industria nel settembre del 1872, nel quale egli cita il fatto che una delle sue nuove filande era stata appena costruita in Giappone. Filande come quella di Morlani consentivano, tanto in Italia quanto in Giappone, di ottenere filo di seta di qualità quasi eguale a quello delle filande a vapore, ma con un costo d’impianto molto meno elevato di quello necessario per mettere in piedi una filanda a vapore (che includeva una dispendiosa caldaia e decine di metri di tubazioni allora difficili da trovarsi e di non facile manutenzione) (CZ). 33 La bateuse o “scopinatrice meccanica” era uno strumento, in genere azionato da una qualche forza motrice ed i cui primi brevetti risalgono alla ditta Gavazzi negli anni ’20, utilizzato per cercare meccanicamente il capofilo dei bozzoli per mezzo di spazzole rotanti. Poteva far risparmiare molto tempo, ma finiva alle volte per trattare i bozzoli in maniera troppo rude, specie se questi ultimi erano molto diseguali (cosa non rara nel Giappone di allora). Da qui l’ammirazione di Mazzocchi per il lavoro fatto invece a mano con scopini “delicatissimi” (CZ). 34 Potrebbe trattarsi della Nakamachi, nell’attuale prefettura di Ibaraki, a Nord-Eest di Tokyo (CZ). 35 Anche questo nome risulta storpiato dalla trascrizione (CZ). 36 Si tratta della Brussonetia Papyrifera (o Morus Papyrifera) detta da noi anche “gelso della carta”, molto simile all’apparenza al gelso, ma non utilizzabile per il nutrimento dei bachi. Fu una delle prime piante utilizzate in Cina per la produzione della carta (CZ). 37 Si tratta della Rhus Vernicifera, pianta tipica del Giappone centro-settentrionale e la più pregiata delle varietà di Rhus utilizzate in Asia Orientale per la produzione della lacca (CZ). 38 Si tratta del frutto della Dyospiros Kaki, pianta ormai ben nota e diffusa in Italia anche grazie al trasporto di Il Diario di Pompeo Mazzocchi 225 APPENDICE III tro, e lungo il fusto biancastro o sui grossi rami si incidono alla distanza di circa 20 centimetri gruppi di linee, perfino sette nello stesso gruppo, che circondano un terzo del fusto; queste linee si fanno di quando in quando con apposito ferro e si ritira subito il succo in un vaso; esso ha l’aspetto del rosolio. Non vi sono boschi di quest’albero prezioso e bello: si vede che è un albero delicato, giacché in generale esso cresce vicino alle case e negli orti, dove il fondo è più pingue e ben coltivato. I tagli che si fanno per avere il succo anneriscono e più tardi sembrano fatti per ornamento. Credo che quest’albero importato in Italia potrebbe forse creare una nuova industria e sarebbe una nuova pianta di abbellimento. Il castagno cresce bellissimo come da noi e dà bellissimi frutti: vi sono molte piante come le nostre, ma altre molte vi sono che noi non abbiamo e che sarebbero utilissime per opera, per ornamento e per frutto: una pianta nuova è sempre assai profittevole, perché, trovando da noi terra vergine, avrebbe tutto l’alimento, e molte ripe e boschi che danno poco perché vecchi si vedrebbero ringiovaniti e verdeggianti di nuove frondi. Piante del genere del pino, del salice etc., etc., crescono superbe ad altezza straordinaria: il legno non è intieramente uguale al nostro; havvene di forte e di facilissimo lavoro e non è ricercato dagli insetti: esso si conserva mondo come il ferro. Per il clima umido, i frutti sono senza sapore e col tarlo, e per ripararli da questo, i giapponesi coprono sull’albero stesso i frutti migliori in un sacchetto di carta oliata. Hanno un frutto rosso, molle, grosso come la mela, e che matura come la nespola – il Kaki – che è già molto conosciuto ed è il miglior frutto in confronto degli altri, ed essendo qui abbastanza buono, credo che da noi sarebbe buonissimo.38 Non si coltiva molta uva, e quella che si coltiva è soltanto per mangiare, ed è discretamente buona. Le patate, specialmente a Yonesawa, sono buonissime, ma si fanno le meraviglie come sieno ricevute dagli Europei, essendo da loro non stimate. Il terreno che non è atto alla coltivazione del riso è generalmente trascurato, e molte plaghe e colline fertili sono boschi densi. Del legno si ha qui grande bisogno per le case, che è pericoloso di costruire in pietra per i terremoti, ed è il consumo grande per gli incendi, non avendosi qui nessun riguardo per il fuoco. Il riso è buonissimo ed anche riscaldato è buono, forse migliore del nostro, bianco, ugualmente grosso, nutriente. Lo ripiantano, e lasciano scorrere l’acqua da una risaja all’altra, senza lasciarla stagnare e quindi le febbri sono rarissime.39 Non ho veduto né capre né montoni: sono oggetti di curiosità, eppure sarebbero numerose pianticelle dal Giappone fattone da molti semai (CZ). 39 La scarsità delle febbri malariche nelle zone risicole di tutta l’Asia Orientale era dovuta sia alla continua circolazione dell’acqua (qui citata dal Mazzocchi) sia alla presenza abituale di numerosi pesci in risaia che divoravano le larve delle zanzare (CZ). 40 Sino agli anni 1830-1840 l’unico produttore-esportatore mondiale di thè era la Cina. Da quel periodo gli 226 Il Diario di Pompeo Mazzocchi APPENDICE III utili, ma forse danneggerebbero i boschi che sono per i Giapponesi tanto necessari. I terreni sono lavorati quasi interiamente a mano, i buoi sono pochi e servono come i cavalli da fatica a trasportare la roba e le mercanzie. Del latte non si tiene conto. Si ha invece ogni cura del concime e lo si economizza perché non vada perduto, ed in ogni casa e perfino lungo gli stradali ci sono vasi e serbatoi per raccogliere gli escrementi. Non si fa nessuna attenzione alle esalazioni, però i giapponesi sono pulitissimi nelle loro case tutte abbellite con piccoli giardini, tenuti con molta cura. Il canape cresce benissimo: la semente di questo sarebbe forse utile per noi per fare qualche esperienza. Essi preparano con acqua fredda e calda la corteccia, che dà fili come seta. Il bambù pure non è a dimenticarsi, canna utilissima ad usi infiniti: ho osservato nel parco di Usito a Yeddo [Tokyo] il bambù quadrato. Del frumento ne coltivano pochissimo; serve loro per fare delle paste, tagliatelli, e ne fanno grande uso ancora per delle leccornie con uova e zucchero. Di pane non usano, ma danno il nome di pan a quello che noi chiamiamo pan di Spagna. Il pan di Spagna ed il tabacco fu introdotto dai Portoghesi e conservano il nome portoghese di pan, tobacco. Il Giappone manda all’estero maggior quantità di thè della China, ma più scadente.40 La maggiore esportazione si fa per l’America. Se il clima da noi non è troppo secco, dovrebbe essere coltivabile dalla Sicilia alla Toscana. Ritornando al riso, devo aggiungere che esso qui viene anche all’asciutto, ma scadente, da noi invece non alligna per mancanza di pioggie e di umidità. Coltivano appositamente un’erba a foglie sottili e lunghe (come le nostre cannegge che si trovano nei siti umidi) per fare dei cappelli. Ne fanno anche col bambù ed altre piante; sono leggierissimi, grandi fino a 45 centimetri di diametro. Stanno bene all’aspetto, costano pochissimo, sono di sicuro riparo per sole e pioggia e non stringono la fronte come i nostri. Mancanti come sono di bestiame, qui vi è poco cuoio e poche pelli, ma nessuno va scalzo e tutti camminano benissimo. Non hanno piedi offesi, né storpie le dita, che sono senza callosità, cosicché per esempio un uomo che tira il piccolo calessino detto ginrikisha41 corre talvolta dieci miglia di seguito. Per scarpe portano un sotto suola di paglia di riso o di altre erbe, ben compatta inglesi impiantarono la coltivazione del thè su vasta scala nelle regioni nord-orientali dell’India (Darjeeling) e nelle aree di alta collina interna di Ceylon (attuale Sri Lanka). Il thè giapponese appare sui mercati solo dopo l’effettiva apertura, nel 1858-59, ai commerci con l’occidente. Negli anni in cui scrive Pompeo, la Cina non si era ancora pienamente ripresa dalle devastazioni subite dalle zone produttrici di thè nel corso della repressione della rivolta contadina dei Taiping (1850-1866) (CZ). 41 Si tratta del ben noto “riksciò” (CZ). 42 Il giardino di casa Mazzocchi a Coccaglio rifletteva in buona parte, con le sue numerose piante giapponesi, Il Diario di Pompeo Mazzocchi 227 APPENDICE III e forte. L’attaccano al piede facendo passare il pollice in un lacciuolo, e l’assicurano con altri legami. Queste calzature non stanno male, sono ben fatte e costano due o tre centesimi. Hanno inoltre ogni altra sorta di zoccoli, ma non goffi e pesanti come quelli che portano i nostri contadini. Con questi possono anche correre e lo fanno con grandissima facilità: questi zoccoli sono ottima garanzia contro il fango. Queste scarpe economiche servirebbero anche da noi dove ci sono molte piante con spine, pezzi di vetro etc., etc.: non sarà per certo una scarpa di lusso, ma il piede vi si accomoda benissimo e coloro che per mancanza di mezzi vanno scalzi ci guadagnerebbero assai. Anche pei cavalli suppliscono ai ferri con scarpe fatte di giunchi o paglia di riso: è semplicissima ed ingegnosa la maniera colla quale le allacciano alle unghie con sicurezza e senza impedire l’andamento: questo sistema di calzatura cavallina potrebbe servire per casi eccezionali, per esempio per i cavalli che hanno l’unghia ammalata, delicata, assottigliata, mentre cresce e si indura. Ho detto forse molte cose inutili e certamente molto più di quelle che mi ero proposto, e ne domando quindi scusa alla S. V. Illustrissima. Riassumendo, credo che, stante il permesso di recarsi nell’interno sarebbe cosa facile ed utile di far incetta delle varie qualità di gelsi, di altre piante e di semi vegetali, importarle in Italia e tentare l’esperienza di un giardino con piante tutte del Giappone, scegliendo le località più acconcie.42 Si avrebbe così una cosa originale ed un utile semenzaio. Questo paese, che ci insegnò il modo di fare seme serico sui cartoni e così bene, merita certamente per la varietà delle sue industrie e dei suoi prodotti d’esser visitato e studiato. Avendo noi presso a poco la stessa agricoltura e la stessa vegetazione, non potremmo che avvantaggiarcene. questa aspirazione di Pompeo (NdR). 228 Il Diario di Pompeo Mazzocchi Indice delle illusrazioni INDICE DELLE ILLUSTRAZIONI 1. Goseda Horiyû. Ritratto su seta di Pompeo Mazzocchi. pag. 6 15. Foto-tessera di Pompeo Mazzocchi. 1880. pag. 29 2. Copertina del Catalogo della mostra al Nippon Silk Centre di Gunma. 2001. pag. 7 16. Carta dei Balcani con la costa dalmata. Circa 1860. pag. 30 3. Vittoria Almici Mazzocchi. Dipinto su seta e carta. Circa 1880. pag. 8 4. Vittoria Almici Mazzocchi. C. Prada, Ritratto postumo di Pompeo Mazzocchi. pag. 10 5. Spedizione del giugno del 1869 del Conte La Tour nelle regioni sericole del Giappone. Xilografia. pp. 12-13 6. Lasciapassare del Consolato Italiano di Yokohama del 1869. pag. 15 7. C. Prada. Ritratto di Cesare Mazzocchi. pag. 16 8. Tito Mazzocchi. pag. 19 9. Autorizzazione per un trasbordo della dogana di Kanagawa. pag. 24 10. Cernita dei bozzoli nel Bresciano. Fine 19° secolo. pag. 25 11. Bollo dei produttori di seme-bachi di Iwashiro. Annata 1881-82. pag. 26 12. Bollo dei produttori di seme-bachi della società Nakashima. Annata 1881-82. pag. 26 13. Cartone di seme-bachi giapponese. Annata 1881-82. pag. 26 14. Busta intestata Ditta Pompeo Mazzocchi. pag.28 230 17. Carta della Tracia e della Turchia europea. Circa 1860. pag. 34 18. Passaporto di Pompeo Mazzocchi.1865. pag. 36 19. Polizza della Sun Fire Office.Yokohama, 1879. pag. 37 20. Lettera di credito della Banca Generale di Milano. 1876. pag. 39 21. Polizza della Scottish Imperial Insurance Company. Yokohama, 1877. pag. 42 22. Telegramma per Pompeo Mazzocchi a okohama. Yokohama, 1870. pag. 45 23. Polizza della Phoenix Assurance Company. Yokohama, 1869. pag. 47 24. Ôsai Fusatane. Trattura e tessitura della seta. Xilografia. Circa 1870. pag. 50 25. Timbro “Pompeo Mazzocchi / Coccaglio” 1881. pag. 53 26. Ingresso della cascina “Portone” di Torbole. pag. 55 27. Marchio della società Kangyô Kaisha. Circa 1878. pag. 57 28. Casa Mazzocchi a Coccaglio. pag. 59 Il Diario di Pompeo Mazzocchi INDICE DELLE ILLUSTRAZIONI 29. Risshô. Il Consolato italiano di Yokohama. Xilografia. 1869. pag. 63 45. Opuscoletto con i timbri dei cartoni di seme-bachi giapponese.pag. 113- 30. Chikanobu. “Visita importante”. Xilografia, 1877. pag. 64 46. Cesare Mazzocchi. 31. Copertina del Diario di Pompeo Mazzocchi. pag. 76 32. Fogli 158 e 159 del Diario di Pompeo Mazzocchi. pag. 76 33. Eva Dea moglie di Cesare Mazzocchi. pag. 78 34. Lasciapassare ottomano per Edirne. 1861. pag. 80 35. Quadernetto dei produttori di seme-bachi di Akita. pag. 83 36. Carta dei dominii inglesi in India. Circa 1860. pag. 86 37. Camilla Mazzocchi. pag. 89 38. Cesare e Tito Mazzocchi. pag. 90 39. Adele e Camilla Mazzocchi. pag. 93 40. Carta della Moldavia e della Valacchia. Circa 1860. pag. 95 41. Biglietto Cantù. autografo di Cesare pag. 98 42. Uscita dei Mazzocchi per la Messa. pag. 102 43. Carta generale dell’ Asia. Circa 1860. pag. 105 44. Gruppo di famiglia. pag. 109- pag. 117 47. Ritratto di Gabriele Mazzocchi. pag. 120 48. Gruppo di famiglia. pag. 125 49. Veduta di Calcutta. pag. 128 50. Pompeo e i figli. pag. 134 51. Planimetria delle cascine “Portone” e “Castello” di Torbole. pag. 138 52. Cascina “Portone” di Torbole Casaglia. Corte interna. pag. 139 53. Laciapassare cinese del 1864. pag. 141 54 Violantina Mazzocchi, figlia di Giovanni, con il marito. pag. 144 55. Fabbricato denominato “Nagasaky”, Coccaglio. pag. 149 56. Giovanni Mazzocchi con la moglie ed i cinque figli. pag. 153 57. Matrimonio di Camilla Mazzocchi. pag. 156 58. Adele Mazzocchi. pag. 158 59. Il porto fluviale di Calcutta. pag. 16160. Pianta della città di Yokohama. Circa 1865. pag. 16161. Vittoria Almici Mazzocchi. Circa 1881. pag. 163 Il Diario di Pompeo Mazzocchi 231 INDICE DELLE ILLUSTRAZIONI 62. Veduta panoramica di Hakodate. Xilografia. Circa 1865. pag. 164 63. Due occidentali trattano l’ acquisto di seta. Xilografia. Circa 1880. pag. 167 64. Toyokuni. La ferrovia TokyoYokohama. Xilografia. pag. 170 65. Hiroshige. “Acquazzone sull’Ôhashi”. Xilografia. Circa 1850. pag. 171 66. Scampagnata a Villa Guzzi. pag. 182 67. Lettera di Pompeo Mazzocchi da Yokohama. 1870. pag. 204 68. Polizzino di carico per 44 casse di seme-bachi. Yokohama, 1877. pag. 214 69. Sede della Imperial Oil Company a Petrolia nel Canada. Circa 1880. pag. 217 232 Il Diario di Pompeo Mazzocchi Bibliografia delle opere citate BIBLIOGRAFIA DELLE OPERE CITATE Arminjon, V., Il Giappone e il viaggio della Corvetta Magenta nel 1866, Genova 1869. Bavier, E. de, La sericiculture, le commerce des soies et des graines et l’industrie de la soie au Japon, Georg, Lyon 1874. Beretta, L., Due piacentini in Giappone, in Buon Natale Piacenza, Piacenza 1996. Blakiston, T. W., Five months on the Yang-tsze..and notices of the present rebellions in China, Murray, London 1862. Calini Ibba, F., La proprietà fondiaria del territorio bresciano nei catasti napoleonico, austriaco e del Regno d’Italia, Brescia 2000. Camporese, C., La Missione Iwakura in Italia: gli interessi sericoli, scientifici e commerciali (1870-1873), Tesi di Laurea, Corso di Lurea in Lingue e Letterature Orientali, UniversitàCa’Foscari, Venezia 1997/1998. 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Francisco (1879) pag. 217 Appendice III - Relazione alla Legazione di Tokyo (1874) pag. 221 Indice delle illustrazioni pag. 229 Bibliografia pag. 233 Il Diario di Pompeo Mazzocchi 239 Finito di stampare nel mese di novembre 2003 presso La Compagnia della Stampa srl in Roccafranca (Brescia)