Annals ofthe Rheumatic Diseases 1990; 49: 921-925 Relation between chest expansion, pulmonary function, and exercise tolerance in patients with ankylosing spondylitis Lorna R Fisher, M I D Cawley, S T Holgate La spondilite anchilosante (AS) è una forma caratterizzata dall’infiammazione delle inserzioni legamentose alle articolazioni, particolarmente nello scheletro assiale (la gobba). Un’anchilosi ossificata si presenta nelle numerose articolazioni intorno al torace e limita i movimenti della parete toracica. TEST DI FUNZIONALITA’ POLMONARE Sono stati effettuati i seguenti test di funzionalità polmonare: massima velocità espiratoria, spirometria dinamica (volume espiratorio forzato in 1 secondo (FEV1), capacità vitale forzata (FVC), FEV1/FVC%), fattore di trasferimento del polmone per l’ossido di carbonio; spirometria statica (capacità vitale, volume residuo, capacità polmonare totale e capacità funzionale residua) utilizzando il metodo della ri-respirazione dell’elio. Sono stati calcolati i valori normali presunti per tutti questi test sulla base della statura dei pazienti prima dell’insorgenza della malattia, quando questa poteva essere ragionevolmente stimata. È stata calcolata la massima capacità di esercizio presunta in base alla formula descritta da Jones et al, che prende in considerazione l’età, il sesso e la statura del paziente: VO2max = altezza x 0.046 – età x 0.021 - 0(M)/0.62(F) – 4.314 (altezza in cm; età in anni) Associazione significativa fra espansione del torace e capacità vitale. La capacità vitale mostra correlazione significativa con la tolleranza all’esercizio, mentre l’espansione del torace non mostra questa correlazione. I pazienti attivi avevano un più elevato VO2max (83±3%) rispetto al gruppo di sedentari (58±6%). Minore, ma ancora significativa, la differenza dei valori medi di capacità vitale (p<0,02), ma l’espansione del torace era simile nei due gruppi. Questi risultati dimostrano che, anche se la riduzione dell’espansione toracica può ridurre la capacità vitale, non è un fattore determinante la tolleranza all’esercizio. In questo studio abbiamo trovato pazienti che facevano una moderata quantità di esercizio giornaliero e raggiungevano un VO2max simile ai valori normali presunti nonostante la loro capacità di espansione toracica fosse fortemente limitata. J. Physiol. (1984), 355, pp. 161-175 161 EXERCISE-INDUCED ARTERIAL HYPOXAEMIA IN HEALTHY HUMAN SUBJECTS AT SEA LEVEL BY JEROME A. DEMPSEY, PETER G. HANSON AND KATHLEEN S. HENDERSON Normalmente si ritiene che la capacità di trasportare ossigeno nel sistema polmonare sano sia più che adeguata per far fronte all’aumento delle richieste metaboliche imposto dall’esercizio costante a livello del mare. Si è visto che a livelli metabolici elevati o massimali la ventilazione rimane al di sotto della massima ventilazione volontaria, che il volume di sangue nei capillari polmonari si avvicina al limite massimo consentito dalla morfologia, che la distribuzione topografica del rapporto ventilazione/perfusione è quasi uniforme e infine che la capacità di diffusione del polmone è di gran lunga superiore a quella necessaria ad assicurare una piena saturazione dell’emoglobina all’uscita dai capillari polmonari. D’altro canto, c’è il sospetto che questa apparentemente sostanziale riserva di scambi gassosi possa venire superata e che la regolazione omeostatica a questi livelli limite possa essere imprecisa. Quindi, anche se la PO2 arteriosa durante l’esercizio è normale, è chiaro che la differenza alveolo/arteriosa di PO2 aumenta quasi linearmente con l’aumentare del consumo di O2 e della differenza arterovenosa del contenuto di ossigeno. Abbiamo quindi avuto il sospetto che l’ipossiemia indotta dall’esercizio possa essere più frequente di quanto normalmente si ritiene, in soggetti molto allenati capaci di lavorare a livelli straordinariamente elevati di richieste metaboliche. Questo studio analizza questa possibilità in sedici atleti ben allenati ed esamina alcuni fattori determinanti gli scambi respiratori a livello polmonare durante esercizi massimali Abbiamo documentato importanti livelli di ipossiemia arteriosa nell’esercizio intenso a livello del mare nella maggior parte degli atleti. Questi risultati significano che le abbondanti riserve di scambio gassoso disponibili al sistema polmonare sano non sono sufficienti a soddisfare le straordinarie richieste metaboliche che molti soggetti ben allenati possono raggiungere. L’insorgere dell’ipossiemia arteriosa con un aumento del gradiente A-a per l’O2 durante lavoro intenso può essere dovuto 1) a forte aumento della diseguaglianza ventilazione /perfusione (VA:QC), 2) a cortocircuiti veno-arteriosi, oppure 3) al mancato equilibrio alveolo-capillare per l’ossigeno. I fattori che determinano la diffusione alveolo capillare sono più che adeguati ad assicurare l’equilibrio all’uscita dai capillari: a) il tempo di transito dei globuli rossi nei capillari polmonari si riduce con l’aumento del flusso polmonare, ma il volume di sangue in più contenuto nei polmoni rimane maggiore della gettata sistolica del ventricolo destro e pertanto il tempo di transito resta sufficiente ad assicurare l’equilibrio (>4 s); b) il gradiente di diffusione (ΔPO2 alveolo-capillare) aumenta nell’esercizio, rendendo non necessari una PAO2 particolarmente alta o un aumento della capacità di diffusione; c) la distanza di diffusione che è già brevissima in condizioni basali rimane invariata perché il volume del liquido interstiziale nel polmone non aumenta nemmeno nell’esercizio molto intenso (non c’è edema) In realtà, la causa principale dell’ipossiemia arteriosa indotta dell’esercizio intenso stava in un aumento non adeguato della ventilazione. In quasi tutti i casi di ipossiemia grave vi era una risposta iperventilatoria nulla o scarsa. L’acidosi respiratoria, l’ipossiemia e l’esercizio di per se sono ben noti stimoli ventilatori che, quando combinati insieme esercitano un potente effetto sinergico sulla ventilazione totale. Ciononostante, in molti casi durante esercizi molto intensi nei nostri atleti l’iperventilazione compensatoria era minima o assente e non correlata con l’entità dell’acidosi metabolica e/o dell’ipossiemia. Accade dunque che in determinate circostanze diventi più importante un risparmio della meccanica della gabbia toracica a scapito dell’omeostasi dell’ossigenazione arteriosa e della compensazione dell’acidosi metabolica. Does gender affect pulmonary function and exercise capacity? Craig A. Harms∗ 1A Natatorium, Department of Kinesiology, Kansas State University, Manhattan, KS 66506, USA Accepted 21 October 2005 Possibili differenze della funzione polmonare e della tolleranza all’esercizio legate al sesso dipendono da due fattori: gli ormoni (specialmente estrogeni e progesterone) e differenze strutturali o morfologiche. Durante il ciclo mestruale normale possono verificarsi piccole variazioni del volume di sangue, della ventilazione, della termoregolazione e dei substrati usati per il metabolismo. Il progesterone provoca fra l’altro una relativa iperventilazione con alcalosi respiratoria parzialmente compensata ed un aumento sia della risposta ventilatoria all’ipercapnia a riposo sia della risposta ventilatoria all’ipossia. Il progesterone aumenta anche l’attività respiratoria centrale (a livello del SNC) che può modificare la risposta ventilatoria all’esercizio. Quando aumentano i livelli di estrogeni c’è ritenzione di liquido e quindi aumenta il volume plasmatico e questo può modificare gli scambi gassosi a livello polmonare. Morfologia: a parità di età nei maschi è maggiore il diametro delle vie aeree e il volume dei polmoni e quindi delle superfici di diffusione, rispetto alle femmine. È stato proposto che le differenze legate al sesso di capacità di diffusione dei polmoni siano legate ad un minor numero di alveoli (ridotta superficie di scambio) e ad un più piccolo diametro delle vie aeree in rapporto al volume dei polmoni nelle femmine. Genere e chemiosensibilità: è nozione comune che gli atleti di endurance abbiano normalmente una stimolazione respiratoria modificata, con riduzione delle risposte ventilatoria all’ipossia (HVR) e all’ipercapnia (HCVR). Questi adattamenti sono probabilmente favorevoli perché aumentano meno la ventilazione durante l’esercizio (finché questo non provoca desaturazione arteriosa) e quindi diminuiscono la sensazione soggettiva di dispnea che può essere un fatto che limita la performance massimale e nello stesso tempo permette di continuare l’esercizio nonostante l’insorgenza di ipossiemia. Si sa che ci sono differenze legate al sesso di HVR che variano col ciclo ovarico. Si è supposto che l’aumento di progesterone nel ciclo mestruale possa avere un effetto negativo sulla performance modificando questi stimoli respiratori. Sia il progesterone sia gli estrogeni aumentano la ventilazione alveolare e l’HVR con meccanismi centrali e periferici mediati da recettori. Genere e scambi gassosi: un numero adeguato di studi su giovani adulti maschi porta alla conclusione che i soggetti non allenati aumentano il gradiente A-a O2 da due a tre volte da riposo all’esercizio massimale e che iperventilano in modo da aumentare la PO2 nell’esercizio intenso abbastanza da impedire la caduta della PaO2 al di sotto dei livelli di riposo. Al contrario, ormai da diversi anni si è visto che in alcuni atleti ben allenati durante esercizi intensi vi è una riduzione notevole della pressione parziale dell’ossigeno nel sangue arterioso (PaO2 <90 mmHg), che è stata chiamata exercise induced arterial hypoxemia (EIAH). Date le differenze strutturali nei polmoni fra maschi e femmine si può pensare che queste siano più esposte all’EIAH. Tuttavia ad oggi vi sono pochi dati disponibili sul confronto fra generi per quel che riguarda gli scambi gassosi polmonari. Respiratory muscle work compromises leg blood flow during maximal exercise CRAIG A. HARMS, MARK A. BABCOCK, STEVEN R. MCCLARAN, DAVID F. PEGELOW, GLENN A. NICKELE, WILLIAM B. NELSON, AND JEROME A. DEMPSEY J.Appl. Physiol. 82(5): 1573–1583, 1997 Abbiamo studiato l’ipotesi che durante esercizio al massimo consumo di O2(V˙ O2max), l’elevata richiesta di ossigeno per i muscoli respiratori (Q˙ ) provochi vasocostrizione dei muscoli locomotori e comprometta il flusso agli arti. Sette ciclisti maschi (V˙ O2max 64 ± 6 ml· kg-1·min-1) hanno effettuato 14 ripetizioni di 2,5 min al V ˙ O2max al cicloergometro in due sessioni. Il lavoro dei muscoli respiratori (WB) era 1) ridotto con una pompa a controllo proporzionale, 2)aumentato con resistenze graduate o 3) invariato (controllo). Abbiamo raccolto campioni di sangue arterioso (brachiale) e venoso (femorale) e abbiamo misurato la pressione arteriosa, il flusso della gamba (termodiluizione) la pressione esofagea e il consumo d’ossigeno. I risultati mostrano un effetto significativo del WB durante esercizio massimale sulla perfusione dei muscoli locomotori e suo loro V ˙ O2 nell’uomo sano allenato. La retta di regressione fra il flusso della gamba e WB era significativa per ogni soggetto e fra soggetti. Le variazioni di flusso non si accompagnavano a modificazioni dell’estrazione dell’ossigeno, per cui il V ˙ O2legs si riduceva insieme al flusso, in funzione di WB. La liberazione di noradrenalina dall’arto che lavorava indicava alterazioni attive mediate dal simpatico delle resistenze vascolari dell’arto, dovute all’aumento del lavoro dei muscoli respiratori e forse legate ad un meccanismo chemiocettivo nei muscoli respiratori. Anche altri esperimenti hanno confermato un’associazione significativa fra il lavoro dei muscoli respiratori e il flusso alla gamba durante esercizi massimali. Ancora, le variazioni del flusso alle gambe e delle resistenze vascolari erano indirettamente sostenute da variazioni di segno corretto della liberazione di noradrenalina dai muscoli in lavoro. Effects of respiratory muscle work on cardiac output and its distribution during maximal exercise. Harms, Craig A., Thomas J. Wetter, Steven R. McClaran, David F. Pegelow, Glenn A. Nickele, William B. Nelson, Peter Hanson, and Jerome A. Dempsey. J. Appl. Physiol. 85(2):609–618, 1998. Questa ricerca analizza gli effetti del lavoro della respirazione sulla gettata cardiaca (CO) nell’esercizio massimale. Otto ciclisti maschi [massimo consumo di O2 (V˙ O2max): 62±5 ml·kg-1 ·min-1] hanno eseguito scatti di 2.5-min alla bicicletta al V ˙ O2max. Il lavoro dei muscoli respiratori era 1) a livelli di controllo [pressione esofagea inspiratoria (Pes): 227.8 ± 0.6 cmH2O], 2) ridotto con una pompa proporzionale (Pes: 216.3 ± 0.5 cmH2O), o 3) aumentato con delle resistenze (Pes: 235.6 ± 0.8 cmH2O). Il volume sistolico, CO e V˙ O2 erano uguali con carico respiratorio normale e aumentato, ma erano minori (28, 29, and 27%, rispettivamente) con carico ridotto. La differenza artero-venosa di ossigeno non cambiava. Si conclude che il lavoro dei muscoli respiratori normalmente prodotto durante l’esercizio massimale ha due importanti effetti sul sistema cardiovascolare: fino al 14-16% della gettata cardiaca è diretta ai muscoli respiratori e una vasocostrizione locale riflessa compromette in modo significativo il flusso ai muscoli locomotori. Effects of respiratory muscle training versus placebo on endurance exercise performance David A. Sonetti, Thomas J. Wetter, David F. Pegelow, Jerome A. Dempsey Respiration Physiology 127 (2001) 185–199 Non vi è accordo circa gli effetti dell’allenamento dei muscoli respiratori (RMT) sulle performance dell’esercizio in soggetti sani. Abbiamo studiato gli effetti di 5 settimane (25 sessioni di 30-35 min/dì per 5 dì/sett.) di RMT su nove ciclisti maschi competitivi. Il disegno sperimentale consisteva in allenamento di forza inspiratoria (3-5 min/sessione) e allenamento di endurance con iperpnea (30 min/sessione); un gruppo di controllo usava una macchina ipossica fasulla (n=8). Si eseguivano 3 test di performance all’esercizio, comprendenti un percorso a tempo di 8 km altamente riproducibile. L’intensità dell’RMT, misurata una volta alla settimana in termini di pressione inspiratoria accumulata e resistenza all’iperpnea, era significativamente aumentata dopo 5 settimane (+64% e + 19%, rispettivamente). Nel gruppo RMT la massima pressione inspiratoria aumentava significativamente (P<.05) dell’8%, mentre nel gruppo placebo l’aumento era solo del 3.7%, non significativo. Entrambi i gruppi, RMT e controllo hanno aumentato significativamente la performance (tempo) nel test di endurance a lavoro costante (+26% e +16%, rispettivamente) e nel lavoro massimale raggiunto durante test incrementale per il massimo consumo d’ossigeno (+9% e +6% rispettivamente). La performance nel percorso a tempo di 8 km aumentava del 1.8±.2% (or 15 ± 10 sec; P<.01) nel gruppo RMT in 8 soggetti su 9; nel gruppo di controllo le variazioni erano irregolari e non significative in 5 su 8 soggetti (−0.3 ± 2.7%, P=0.07). Tuttavia, le variazioni nei tre test non erano significativamente diverse fra il gruppo RMT e quello di controllo. La frequenza cardiaca, la ventilazione e il lattato venoso a parità di lavoro nel test incrementale o a parità di tempo nel test a carico costante non erano significativamente diversi in queste prove in nessuno dei gruppi. Concludiamo che gli effetti dell’RMT sulla performance all’esercizio di ciclisti bene allenati non sono diversi da quelli del gruppo di controllo. Bisogna prendere in considerazione possibili effetti placebo e di familiarizzazione in disegni sperimentali di esercizio basati su test di performance che dipendono in maniera critica sugli sforzi volontari dei soggetti. Confronto del tempo a esaurimento nel test a carico costante in tutti i soggetti prima (pre) e dopo (post) 5 settimane di RMT o placebo Effetti di 3 e 5 settimane di RMT o placebo sul tempo di percorso di 8 km Effetti di 5 settimane di RMT o placebo sulla frequenza cardiaca e sulla ventilazione nel test incrementale Effettidi 5 settimane di RMT o placebo su frequenza cardiaca, ventilazione, frequenza respiratoria e lattatonel test a carico costante Confronto dell’indice di dispnea nel test a carico costante e negli 8 km prima e dopo 5 settimane di RMT o placebo