ANNALI DEGLI OSPEDALI
San Camillo e Forlanini
Volume 8, Numero 3, Luglio - Settembre 2006
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FRANCO SALVATI
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ANNALI DEGLI OSPEDALI
San Camillo e Forlanini
Volume 8, Numero 3, Luglio-Settembre 2006
Contenuto
EDITORIALE
Influenza aviaria
C. CARVELLI
Avian influenza
FOCUS SU: L’ISCHEMIA CRITICA DEGLI ARTI INFERIORI
L’ischemia critica degli arti inferiori: una sfida per il chirurgo vascolare
L. PEDRINI
The critical lower limb ischemia: a challenge for the vascular surgeon
La diagnostica ultrasonografica nell’ischemia critica degli arti inferiori
P. M. NICOSIA
Non invasive diagnosis in critical lower limb ischemia
Diagnostica radiologica TC e RM nella ischemia critica degli arti inferiori
V. BUFFA, G. REGINE, V. MIELE, L. ADAMI
MR and CT in diagnosis of lower extremity arterial disease
Procedure endovascolari di rivascolarizzazione del distretto femoro-popliteo
nel paziente critico M. MORUCCI, P. AGRESTI, L. DE’ MEDICI
Endovascular revascularization in critical patients
Analisi dei fattori che influenzano l’outcome R. BARTOLUCCI, F. NESI
Analysis of the factors influencing on outcome
L’ischemia critica nelle lesioni aorto-iliache
F. SPEZIALE, M. RUGGIERO, A. PALMIERI, D. MENNA
Critical limb ischemia in patients with aorto-iliac disease
Le procedure “ibride” di rivascolarizzazione
G. BERTOLETTI, M. MASSUCCI, A. VARRONI, V. GENOVESE, H. A. RACHED, G. IANNI, F. NAPOLI,
G. MARTINELLI, L. CAPOCCIA, E. NOTARIANNI, R. CIANNI
Hybrid revascularization procedures
Il chirurgo vascolare e l’ischemia critica: le opzioni endovascolari
S. RONCHEY, E. SERRAO, P. COSTA, C. CAVAZZIN, C. IOVINO. N. MANGIALARDI
The vascular surgeon and critical lower limb ischemia: the endovascular options
L’ischemia critica non rivascolarizzabile: ruolo della neurostimolazione midollare tecnica d’impianto E. D’AVINO
Non-reconstructable critical leg ischemia: role of spinal cord stimulation Implantation technique
L’ischemia critica non rivascolarizzabile: ruolo della neurostimolazione midollare.
Indicazioni F. DI CESARE
Non-reconstructable critical leg ischemia: role of spinal cord stimulation - Indications
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ARTICOLO ORIGINALE
Indicazioni particolari all’impiego della TCms toracica nell’ambulatorio per la terapia
del tabagismo R. PRINCIPE, F. QUAGLIARINI, G. MANCINI
Special indications to the use of the CTms in the outpatient’s department for the smoking
cessation
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CASO CLINICO
Captazione del 99MTC-MDP in un caso di amiloidosi cardiaca
A. ANNOVAZZI, G. VENTRONI, E. PICCHIO, C. AMIDEI, C. TORRINI, L. MANGO
99MTC-MDP uptake in a case of heart amylodosis
57
GESTIONE E ORGANIZZAZIONE SANITARIA
Psicoterapia di gruppo per pazienti con sclerosi multipla: specificità e metodologia
M. SPARVOLI - E. PODRASKY
Group psychotherapy for patients with multiple sclerosis: specificity and methodology
60
RECENSIONE
“Sessantesimo Anniversario 1946-2006”
F. SALVATI
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ANNALI DEGLI OSPEDALI
San Camillo e Forlanini
Volume 8, Numero 3, Luglio-Settembre 2006
Editoriale
INFLUENZA AVIARIA
AVIAN INFLUENZA
CHIARINA CARVELLI
U.O. Infezioni Ospedaliere
Azienda Ospedaliera San Camillo-Forlanini - Roma
Parole chiave: Influenza aviaria, Virus H5N1.
Key words: Avian influenza, H5N1 avian influenza virus.
STATO DELL’ARTE
In Asia, in questi ultimi anni, si è manifestata una nuova influenza epizootica
aviaria da virus A (H5N1), che ha provocato milioni di abbattimenti selettivi di
pollame finalizzati al controllo della diffusione della malattia.
Nell’uomo l’influenza aviaria, fino alla
metà del 2005, ha causato circa 50 morti
attribuibili direttamente al virus H5N1,
ma la possibilità che si verifichino mutazioni in una forma più contagiosa per l’uomo con le caratteristiche di pandemia
rappresenta il motivo di maggior preoccupazione dell’OMS e delle autorità sanitarie internazionali, che sono al lavoro per
programmare piani di prevenzione veterinaria e medica finalizzati al contenimento
di questo possibile evento. Tutti i tipi di
virus dell’influenza aviaria (AI), che appartengono
alla
famiglia
delle
Orthomyxoviridae, sono virus influenzali
di tipo A e sono suddivisi in sottotipi basati sulle differenze nelle proteine di superficie emagglutinina (H) e neuraminidasi
(N), che hanno un’importante funzione nel
ciclo replicativo virale e soprattutto nello
stimolare la risposta immune dell’organismo. All’interno dell’involucro esterno (envelope) è contenuto il genoma la cui segmentazione in caso di coinfezioni virali
permette il riassortimento genetico attraverso lo scambio di materiale genetico e
l’emergenza di ibridi virali potenzialmente pandemici. Esistono 16 tipi di H, ognuno dei quali può supportare una delle 9
variazioni della N, rendendo possibile un
totale di 144 diverse combinazioni. Tutti
gli AI-virus si suddividono in ulteriori due
tipi: bassa (LPAI) e alta (HPAI) patogenicità. Gli uccelli selvatici ed in particolare i
volatili acquatici degli ordini Anseriformi
e Charadriformi sono sensibili all’infezione, che decorre generalmente in forma
asintomatica, mentre le specie aviarie domestiche, come polli e tacchini, possono
presentare quadri clinici molto gravi con
conseguenti vaste e fulminee epidemie
per infezione da parte di sottotipi virali ad
alta patogenicità. Dei 16 tipi H conosciuti
solo i sottotipi H5, H7, e H9 sono capaci di
passare dagli uccelli alla specie umana.
Il Virus H5N1 si trasmise da uccelli ad
esseri umani nel 1997 a Hong Kong: 18 persone furono infettate e ne morirono 6 (tasso
di letalità superiore al 30%). La diffusione
fu limitata a Hong Kong. Tutti i polli nel
territorio furono abbattuti. Nel gennaio
2004 una nuova e maggiore diffusione di
questo tipo di virus apparve in Vietnam e
Thailandia e in poche settimane si diffuse
in una decina di regioni asiatiche, comprese
Indonesia, Corea del Sud, Giappone e Cina.
Più di 40.000 polli furono abbattuti e la diffusione fu contenuta, ma morirono 23 persone in Vietnam e in Thailandia.
6
Annali degli Ospedali San Camillo e Forlanini 8, 3, 2006
Nel febbraio 2004 fu individuato anche
nei maiali in Vietnam. Il 18 Marzo 2004 il
New England Journal of Medicine pubblicava un articolo in cui veniva riportata la conferma di influenza aviaria, in Vietnam, in
dieci pazienti ricoverati dal dicembre 2003
al gennaio 2004. Nove di essi avevano una
storia di contatti diretti con pollame. Nel luglio 2004 nuove segnalazioni provenivano
dalla Thailandia e dalla Cina. Nell’agosto
2004 l’influenza aviaria compariva in Malaysia, nel gennaio 2005 molte città del Vietnam venivano colpite dalla diffusione del virus per cui erano abbattuti circa 1.200.000
polli; ma si ritiene fossero morti, a causa del
virus, oltre 140 milioni di uccelli. Nel maggio 2005 un caso di malattia si riscontrava
nei maiali anche in Indonesia. Altri focolai si
registravano in Russia, in Croazia, in Slavonia, in Turchia, in Iraq, in Azerbaijan e
quindi in Egitto. Nel luglio 2005 si contavano 60 persone morte, la maggior parte in
Vietnam. In totale, dalla fine del 2003 al novembre del 2006, sono stati riportati da dieci Paesi 258 casi umani di influenza aviaria
di cui 153 sono stati letali (59,3%).
La Commissione di Consulenza sull’Influenza Umana dell’OMS (Commitee of the
World Health Organization [WHO]. Consultation on Human Influenza A/HS) pubblicava sul NEJM un documento che formalizzava le conoscenze sull’influenza
aviaria e forniva una serie di raccomandazioni suscettibili di modifica, in considerazione dei molti interrogativi aperti sul problema. È recentissima la notizia, pubblicata su Proceedings of the National Academy
of Sciences, dell’identificazione di una nuova linea differenziata di virus H5N1 nel
pollame, denominata Fujian, che sembra
essere diventata la linea dominante di virus aviario che circola attualmente in parte dell’Asia. La distribuzione geografica
dell’infezione da A.I. indica comunque che
la popolazione umana è a rischio.
MODALITÀ DI TRASMISSIONE
Gli uccelli infetti eliminano il virus con
la saliva, le secrezioni nasali e le feci, trasmettendo l’infezione attraverso il contatto con le escrezioni, con le superfici e con
l’acqua contaminate. La causa del contagio
nell’uomo, per la maggioranza dei casi, è
stato il contatto diretto con volatili da cortile malati o morti. La trasmissione avviene sia attraverso le mani, con il trasporto
agli occhi, al naso o alla bocca di materiale contaminato, sia per aerosol di origine
fecale. I clusters familiari verificatisi sono
stati attribuiti ad una comune fonte di infezione, date le scarse condizioni igieniche
e la promiscuità con volatili infetti.
La diffusione da uomo a uomo non è
stata confermata totalmente, risultando
probabilmente avvenuta solo in due casi,
rispettivamente in Tailandia e in Vietnam:
in un caso la madre di un paziente, che
morì per influenza aviaria, si ammalò e poi
morì. In un altro caso, nel marzo 2005, due
infermiere che assistettero pazienti affetti
da influenza H5N1 si ammalarono.
La trasmissibilità interumana, con l’eventuale conseguente pandemia di portata mondiale, è subordinata alla ricombinazione fra il virus aviario e quello stagionale e alla capacità del nuovo virus di
adattarsi all’uomo. Ciò è tanto più probabile quanto maggiore è l’estensione dell’epizoozia e maggiore il numero di passaggi
dall’animale all’uomo, che permettono il
riassetto genetico e il superamento della
barriera di specie. La dimostrazione di tale possibilità di mutazione è data dal fatto che il virus è stato isolato dai maiali.
Finora sono state individuate due mutazioni aminoacidiche che possono favorire
la capacità di trasmissione interumana:
una è la sostituzione di serina con asparagina nella HA, l’altra di acido glutammico
con lisina in una subunità della polimerasi virale. In particolare quest’ultima caratterizza la specificità di ospite nei mammiferi e si ritrova nei virus isolati dall’uomo.
Il controllo di contatti di pazienti, attraverso il test RT-PCR (reverse-transcriptase polymerase-chain-reaction), ha
portato alla scoperta di casi subclinici oltre che di un maggior numero di infezioni
in adulti più anziani e di clusters familiari nel Nord Vietnam; ciò suggerisce che i
ceppi locali del virus si stanno adattando
all’uomo ma con relativamente scarsa
contagiosità. Anche il rischio di trasmissione nosocomiale è basso con l’utilizzo
delle precauzioni di isolamento.
7
C. Carvelli: Influenza aviaria
La scarsa contagiosità associata all’alta virulenza dell’H5N1 è stata correlata al
tropismo per i recettori polmonari più che
per quelli delle alte vie respiratorie.
penia moderata, oltre che un incremento
lieve delle transaminasi.
MANIFESTAZIONI CLINICHE
Gli studi effettuati sul virus H5N1
hanno indicato, sin dal 1997, una sua continua evoluzione con cambiamento antigenico; la specie ospite è aviaria, ma esso ha
dimostrato la capacità di infettare i felini
e i suini; l’infezione sperimentale nei topi
e nei furetti ha aumentato la patogenicità
virale e la sua stabilità ambientale.
La replicazione virale è prolungata, si
sono ottenuti isolamenti nei tamponi nasofaringei per circa una settimana (range 116), ma più bassa che nell’influenza umana. La maggior parte dei campioni fecali
testati sono risultati positivi per RNA virale (7 su 9), accanto alla negatività delle urine. L’alta frequenza di diarrea nei soggetti
affetti e la presenza di RNA virale nei campioni di feci fanno supporre la replicazione
virale a livello del tratto gastroenterico. L’ipotesi diagnostica di influenza da H5N1
dovrebbe essere considerata in tutti i soggetti con una malattia respiratoria grave
ed acuta nei paesi con presenza di influenza aviaria, in particolare in coloro che hanno avuto contatti con pollame.
Il quadro clinico dell’influenza H5N1
nell’uomo è stato definito sulla base dei dati sui pazienti ospedalizzati e non è possibile descrivere con precisione le manifestazioni subcliniche e le presentazioni atipiche
ma solo gli elementi reperibili nei singoli
report. Il periodo di incubazione potrebbe
essere più lungo rispetto a quello di altri virus influenzali. Nel 1997 la maggior parte
dei casi si manifestò dopo 2-8 giorni dall’esposizione e i report più recenti documentano intervalli simili, ma con range fino a 8
giorni. L’esordio era caratterizzato da febbre (>38°C) e sintomi simil-influenzali con
interessamento delle basse vie respiratorie
(94-100% dei casi), mentre solo a volte erano interessate le alte vie (25-71%). Diversamente dai soggetti con influenza aviaria H7
quelli con influenza H5 raramente hanno
manifestato congiuntivite. Erano presenti
diarrea (17-70%), vomito (10-33%), dolori
addominali (17-50%) e sanguinamento dal
naso e dalle gengive; in particolare una
diarrea profusa senza sangue si manifestava con una frequenza maggiore rispetto a
quanto avviene nella normale influenza e
precedeva le manifestazioni respiratorie. Il
decorso era correlato all’infezione delle basse vie respiratorie con dispnea e tachipnea
che potevano evolvere verso un’insufficienza respiratoria e una sindrome da distress
respiratorio (ARDS) che nei casi della Thailandia si evidenziava dopo 6 giorni (range
4-13). Molti soggetti hanno richiesto una
ventilazione assistita in Unità di Terapia
Intensiva per la comparsa di un deficit
multiorgano (MOF) e ipotensione. La mortalità nei soggetti ospedalizzati era alta con
un’ampia variabilità (33-100%). Rispetto al
1997, quando le morti erano prevalenti in
giovani >13 anni, i casi più recenti di influenza aviaria hanno causato un’alta percentuale di mortalità nei bambini. La morte è intervenuta dopo 9-10 giorni dall’esordio per insufficienza respiratoria. I dati di
laboratorio più significativi evidenziavano:
leucopenia con linfocitopenia, trombocito-
PATOGENESI
DIAGNOSI E TRATTAMENTO
Sono disponibili test diagnostici antigenici che hanno una scarsa specificità. La
determinazione dell’ RNA virale in campioni di secrezioni respiratorie offre una
maggiore sensibilità ma essa dipende dai
Laboratori e dai metodi utilizzati. La conferma della diagnosi di laboratorio richiede uno o più dei seguenti esami: una coltura virale positiva, una RNA-PCR per
H5N1 positiva, un test all’ immunofluorescenza per antigeni virali con l’uso di anticorpi monoclonari anti-H5 positivo ed almeno un aumento di quattro volte il titolo
anticorpale specifico per H5 in campioni
di siero appaiati. Il test di microneutralizzazione richiede virus vivi che interagiscono con gli anticorpi del paziente ed è effettuato solo in poche strutture apposite.
Ulteriori test diagnostici rapidi sono necessari anche per le forme di presentazione atipica della malattia.
8
Annali degli Ospedali San Camillo e Forlanini 8, 3, 2006
TRATTAMENTO
L’uso di inibitori della neuraminidase,
zanamivir e oseltamivir, sono indicati in
caso di diffusione interumana di H5N1.
Dati epidemiologici dimostrativi di un
evento epidemico nella comunità o la positività di test di laboratorio rapidi o la presenza dei tipici sintomi influenzali sarebbero sufficienti per iniziare il trattamento
con tali farmaci negli adulti, soprattutto
se ad alto rischio.
Gli inibitori della neuraminidasi si devono usare entro 48 ore o, meglio, entro 12
ore dall’inizio dei sintomi. Una eccezione
può essere fatta in caso di malattia grave
in pazienti ospedalizzati nei quali la terapia può essere considerata anche oltre le
48 ore dall’inizio dei sintomi. In caso di
bambini con febbre, tosse e altri segni respiratori, poiché è possibile la coinfezione
con altri patogeni virali respiratori, è necessaria una rapida diagnosi di laboratorio ma, se ciò non fosse realizzabile, soprattutto un rapido inizio della terapia.
PREVENZIONE
Poiché la maggior parte dei casi di influenza aviaria negli uomini è avvenuta a
causa della promiscuità con pollame infetto, l’OMS ha emanato precise raccomandazioni per i Paesi in cui è stato riscontrato il
virus, tra cui le più importanti sono di evitare il contatto diretto con pollame vivo e
con tutto ciò che è venuto a contatto con esso, di vaccinare il pollame, di implementare
la vaccinazione anti-influenzale nell’uomo e
di consumare i cibi, a base di pollame, previamente cotti. In Italia sono stati elaborati, per 350.000 medici, due opuscoli; uno
sulla vaccinazione contro la normale influenza stagionale, per sensibilizzare sulla
sua utilità, ed uno contenente informazioni
sull’influenza aviaria. La strategia primaria per la prevenzione è l’immunizzazione
ma non è ancora disponibile un vaccino per
l’influenza H5. I precedenti vaccini sono
scarsamente immunogeni e per determinare una risposta anticorpale richiedono due
dosi con l’aggiunta dell’adiuvante MF59. La
terza iniezione del vaccino H5-1997 ha determinato anticorpi che hanno una cross
reazione variabile con quelli isolati nel
2004. Pertanto sono in corso studi per approntare un vaccino specifico efficace.
In mancanza del vaccino, attualmente
l’oseltamivir è indicato per uso profilattico
per tutti i contatti con pazienti o con sorgenti infette (es. pollame). Per quanto riguarda il personale sanitario sono indicate
le mascherine di protezione e, in caso di
esposizione non protetta, la chemioprofilassi con 75 mg di oseltamivir una volta al
giorno per 7-10 giorni. I contatti di pazienti infetti o sospetti tali devono monitorizzare la loro temperatura ed altri sintomi e
per loro è suggerita una contumacia per un
periodo di una settimana dopo l’ ultima
esposizione. Nei bambini di età inferiore ad
un anno di vita non è stata stabilita la non
tossicità dell’oseltamivir, infatti alcuni studi hanno evidenziato alte concentrazioni
del farmaco nel SNC per superamento della barriera emato-encefalica. In conclusione si può affermare che al momento il virus
H5N1 non ha acquisito capacità di trasmissione interumana, per la quale sono
necessarie importanti mutazioni.
Pianificazioni di interventi, nell’eventualità di una pandemia, devono essere sicuramente predisposti ma ci si augura
possano rimanere nell’ambito di pure
esercitazioni teoriche.
BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE
Ciccozzi M, Campitelli L, Rezza G. Influenza aviaria. Epidemiologia ed evoluzione di H5N1. Not Ist
Super Sanità 2006; 19(7-8):9-11
Commitee of the World Health Organization
[WHO] Consultation on Human Influenza A/H5. N
Engl J Med 2005; 353:1374-85.
Hien TT, Liem NT, Dung NT, et al. Avian influenza
(H5N1) in 10 patients in Vietnam. N Engl J Med
2004;350:1179-88.
Moscona A. M.D. Neuraminidase Inhibitors for Influenza. N Engl J Med 2005; 353:1363-73.
Ungchusak K, Auewarakul P, Dowell SF, et al. Probabile person-to person transmission of avian influenza A (H5N1). N Engl J Med 2005;352:333-40.
Per richiesta estratti:
Dott.ssa Chiarina Carvelli
U.O. Infezioni Ospedaliere
Azienda Ospedaliera S. Camillo - Forlanini
Via Portuense, 332 - 00149 Roma
ANNALI DEGLI OSPEDALI
San Camillo e Forlanini
Volume 8, Numero 3, Luglio-Settembre 2006
Focus su: L’ischemia critica degli arti inferiori
INTRODUZIONE
La malattia aterosclerotica è una patologia in costante aumento nei paesi occidentali, in assoluto ma anche per un aumento di incidenza nel sesso femminile.
L’innalzamento dell’età media, determinando un invecchiamento della popolazione, causa un aumento delle patologie degenerative quali quelle cardiovascolari.
I pazienti con arteriopatie periferiche
hanno una mortalità a 5 anni del 30-35%
a causa di importanti e coesistenti morbilità associate.
Nell’ambito della patologia obliterante
aterosclerotica degli arti inferiori l’ischemia critica è definita come quadro clinico
caratterizzato da dolore a riposo che impedisce il sonno e richiede analgesici da
almeno quattro settimane, pressione arteriosa alla caviglia inferiore a 50 mmHg e/o
pressione all’alluce < 30 mmHg, e/o presenza di lesioni trofiche tissutali; essa deve essere considerata una entità nosologica separata; rispetto alla arteriopatia
obliterante periferica caratterizzata da
claudicatio intermittens presenta differenti problematiche cliniche e peculiari
indirizzi terapeutici; anche le indicazioni
chirurgiche differiscono poiché la rivascolarizzazione anche con bypass distali rappresenta a volte l’unica possibilità di salvataggio dell’arto; tali pazienti, inoltre,
hanno una morbi-mortalità superiore rispetto ai pazienti con arteriopatia obliterante ad uno stadio meno avanzato.
Nei paesi occidentali, l’ischemia critica
degli arti inferiori si presenta con un’incidenza valutata tra i 300 ed i 500 casi / milione / anno. Il decorso clinico di tale patologia è caratterizzato da un’evoluzione che
spesso, se non trattata, può portare all’amputazione. Le opzioni chirurgiche,
d’altro canto, sono spesso complesse, ripetute ed, a volte, infruttuose.
Per ottenere dei successi clinici rilevanti è necessaria una collaborazione specialistica multidisciplinare; l’accuratezza
diagnostica, l’integrazione tra terapia medica e chirurgica, le terapie di supporto
sono momenti fondamentali nella gestione di tali pazienti. Importante, inoltre, è
la collaborazione del medico curante che
dovrà essere in grado di individuare precocemente l’esordio della malattia aterosclerotica; solo così potrà essere esercitato
un ruolo di prevenzione primaria andando
ad agire, laddove possibile, sui fattori di
rischio modificabili (abitudine di vita, tabagismo,dieta ecc.); egli potrà inoltre seguire l’andamento clinico controllando anche l’efficacia delle terapie mediche eventualmente intraprese; dovrà essere in grado di indirizzare al chirurgo vascolare i
pazienti che possono beneficiare di un intervento di rivascolarizzazione. La costante interazione tra specialista e medico di
base gioca un ruolo determinante nel garantire un’alta percentuale di successo clinico.
In base a tali premesse, nell’ incontro
monotematico svoltosi presso l’Ordine dei
Medici di Roma il giorno 26 gennaio 2006
presieduto dal Prof. Giorgio Rabitti, specialisti di rilievo hanno dibattuto sulle
possibili modalità diagnostico-terapeutiche di tale patologia:questo Focus ne è l’espressione.
FABIO DI CESARE
Unità Operativa di Chirurgia Vascolare
dell’Azienda Ospedaliera San Camillo-Forlanini - Roma
Direttore: Prof. G. Rabitti
ANNALI DEGLI OSPEDALI
San Camillo e Forlanini
Volume 8, Numero 3, Luglio-Settembre 2006
A) L’ISCHEMIA CRITICA DEGLI ARTI INFERIORI:
UNA SFIDA PER IL CHIRURGO VASCOLARE
THE CRITICAL LOWER LIMB ISCHEMIA:
A CHALLENGE FOR THE VASCULAR SURGEON
LUCIANO PEDRINI
Struttura Complessa di Chirurgia Vascolare – Ospedale Maggiore di Bologna
Parole chiave: Ischemia critica degli arti inferiori, Malattie arteriose periferiche.
Key words: Critical limb ischemia, Peripheral arterial disease.
I pazienti con arteriopatie periferiche
sono di per sé pazienti ad elevato rischio
per la gravità delle co-patologie vascolari
e sistemiche, tanto da avere una mortalità
a 5 anni del 32%,1 superiore a quella delle
neoplasie della prostata (8%), del M. di
Hodgkin (18%), e del tumore della mammella (23%).2 I pazienti con ischemia critica presentano spettanza di vita e rischio
di amputazione estremamente più elevati
legati ad una maggiore complessità clinica e a fattori di rischio maggiori, che verranno esaminati singolarmente. Il problema è particolarmente rilevante se si considera che l’ischemia critica ha una prevalenza dell’1% nei soggetti ultra 55enni,
superiore nei diabetici e nei fumatori, che
presentano lesioni vascolari di più difficile trattamento e maggior incidenza di fattori di rischio associati (esempio policitemia). Un approccio “aggressivo”, in molte
esperienze porta a ridurre l’incidenza di
amputazione primaria per ischemia critica al 16% o meno, e a tentare in almeno
due terzi un intervento di rivascolarizzazione;3,4,5 queste percentuali non sono tuttavia riscontrabili in tutti i paesi ed in
tutti i modelli organizzativi sanitari.
SEDE ED ESTENSIONE
DELL’ARTERIOPATIA
L’ischemia critica generalmente si realizza per la concomitanza di stenosi o di
ostruzioni in più segmenti dello stesso arto, anche se in una minima percentuale di
casi la concomitanza di una occlusione del
tratto aorto-iliaco, quando è possibile una
ricostruzione aorto-femorale, rende più
semplice il trattamento con una probabilità di pervietà della rivascolarizzazione
dell’87.5% a 5 anni e con una elevata percentuale di salvataggio d’arto.6 La coesistenza di lesioni multisegmentarie può richiedere, nel paziente con ischemia critica, un trattamento sia delle ostruzioni
prossimali che di quelle distali al fine di
riportare una buona ossigenazione al piede. La combinazione più comune7 è rappresentata dalla PTA iliaca associata ad
una ricostruzione chirurgica del tratto femoro-distale, ma in alcuni casi si può eseguire un trattamento endovascolare del
tratto femoro-distale in associazione ad
una rivascolarizzazione aorto-femorale.
Le arteriopatie ostruttive del tratto femoro-popliteo sono state il “banco di prova”
dei chirurghi vascolari degli anni ’70, che
per lungo tempo hanno trattato i pazienti
allo stadio della claudicazione intermittente. I risultati non entusiasmanti, sia in
termini di pervietà delle rivascolarizzazioni, sia per l’incidenza di amputazioni,
emersi dalla valutazione dei follow-up a
lungo termine, hanno consentito di identificare numerosi fattori responsabili della
trombosi della rivascolarizzazione e fra
questi lo stato del run-off, ed hanno portato a rivedere le indicazioni restringendo il
trattamento prevalentemente a pazienti
con claudicazione invalidante o con ischemia critica. I pazienti con ischemia critica
presentano prevalentemente lesioni nel
distretto femoro-distale, più sfavorevole,
con frequenti associazioni di lesioni steno-
L. Pedrini: L’ischemia critica degli arti inferiori: una sfida per il chirurgo vascolare
ostruttive delle arterie tibiali e delle arterie del piede. I risultati di pervietà e salvataggio a questo livello sono decisamente
peggiori e sono fortemente correlati al tipo di protesi innestata.
ALTERAZIONI EMOCOAGULATIVE
Una diatesi trombotica è stata evidenziata da numerosi anni nei pazienti affetti da arteriopatie ostruttive degli arti inferiori.8 Le alterazioni più frequenti sono
rappresentate da deficit dell’Antitrombina III, mutazione del fattore V Leiden,
mutazione della protrombina, bassi livelli
di proteina C e di Proteina S, presenza di
Lupus Anti Coagulant (LAC),9 anomalie
del plasminogeno o alterazioni della funzionalità piastrinica, che probabilmente
consentono di giustificare parte delle occlusioni protesiche precoci.10,11 Il problema
è particolarmente rilevante nelle rivascolarizzazioni femoro-distali che nell’esperienza di Ray9 hanno presentato una incidenza di riocclusioni precoci del 27% nei
pazienti con alterazioni emocoagulative,
rispetto all’1.6% dei controlli. Questo stato ipercoagulativo, nei pazienti che necessitano di una rivascolarizzazione, presenta una incidenza variabile nelle varie casistiche, da valori abbastanza bassi, fino a
percentuali del 40%9 ed oltre, rilevata nei
pazienti rivascolarizzati. L’incidenza di
anticorpi antieparina supera il 3%.12 Donaldson et al.13 riportano una attivazione
piastrinica indotta dall’eparina in un 5%
dei casi; questi anticorpi sono associati ad
una aumentata incidenza di trombosi durante successive somministrazioni del farmaco. Attualmente anche l’omocisteina
viene considerata fra i fattori di rischio
delle arteriopatie periferiche; elevati livelli di omocisteina sono correlati con fenomeni trombotici, sia arteriosi che venosi.14
La disidratazione, tipica dei pazienti anziani, che costituiscono buona parte del
campione dei p. con ischemia critica, aumenta l’ispissatio sanguinis ed il conseguente rischio trombotico. Questi fattori,
associati alla tendenza a tenere l’arto declive per ridurre la sintomatologia dolorosa, favoriscono anche l’insorgenza di una
trombosi venosa profonda, che può complicare la scelta terapeutica, per l’impossi-
11
bilità di utilizzare la vena safena in questi
casi.
STADIO DELLA MALATTIA
La riduzione dell’indicazione al trattamento della claudicazione intermittente
ha portato in molte sedi ad una dilazione
estrema del trattamento tanto che in molte chirurgie vascolari attualmente i pazienti giungono di rado allo stadio della
claudicazione severa, e quelli con ischemia critica arrivano prevalentemente con
lesioni trofiche o gangrena, anziché al primo comparire del dolore a riposo. Uno stadio più avanzato della malattia è associato a peggiori risultati, ma soprattutto a
lunghi tempi di guarigione, e può portare
a escludere dal trattamento i pazienti più
compromessi, o viceversa può comportare
ripetuti trattamenti chirurgici vascolari,
demolitivi e di chirurgia plastica.
DIABETE
Il diabete aumenta l’incidenza di ulcere, dovute agli effetti combinati della neuropatia e dell’ischemia nella genesi delle
cosiddette ulcere neuroischemiche, che
rappresentavano circa il 34% in uno studio trasversale dove le ulcere puramente
ischemiche in diabetici erano presenti nel
10% del campione.15 La clinica nel paziente diabetico è spesso mascherata dalla
neuropatia e questo favorisce la tardività
del trattamento e l’errata valutazione della gravità dell’ischemia. La tipologia delle
lesioni del paziente diabetico è fondamentalmente diversa da quella del paziente
aterosclerotico ed in molti casi più idonea
ad un trattamento endovascolare. Alcuni
autori16 riportano ottimi risultati dopo angioplastica, ed una sorprendentemente
bassa incidenza di ristenosi, mentre per
altri occorrono ripetuti interventi per ottenere una elevata pervietà assistita.
PROBLEMI TECNICI NEI PAZIENTI
RIVASCOLARIZZABILI
– ENDARTERECTOMIA. – La tecnica della
tromboendarterectomia a cielo semichiuso
con anello di Vollmar, presentava frequenti insuccessi per la persistenza di difetti
tecnici o per una rapida ristenosi e per ta-
12
Annali degli Ospedali San Camillo e Forlanini 8, 3, 2006
le motivo è stata praticamente abbandonata. La ripresa di questa tecnica è stata
favorita sia dall’utilizzazione di controlli
intraoperatori più attendibili dell’angiografia, sia soprattutto per il possibile completamento endovascolare rappresentato
prima dalla tecnica di Moll, sia a livello
prossimale17 che distale,18 poi dalla applicazione di stent distali, o di endoprotesi
nel segmento disostruito.19 I risultati di
questi trattamenti non erano comparabili
a quelli di un bypass in vena safena; i risultati con i nuovi materiali sembrano essere migliorati.20
– VENA INVERTITA. – L'utilizzazione della
safena invertita consente una semplice
ed efficace rivascolarizzazione di lesioni
brevi quali quelle per ostruzione della femorale superficiale fino al canale di Hunter (eseguite prevalentemente per claudicatio intermittens) o per aneurismi poplitei trombizzati, ma raramente queste occlusioni sono responsabili di una ischemia critica, salvo non siano associate ad
occlusioni prossimali o distali. Nelle
ostruzioni femoro-poplitee sottogenicolari l’utilizzo della safena invertita può richiedere incisioni maggiori per la sua
preparazione, con maggiori complicanze
post-operatorie, inoltre in molti casi la
disparità fra i diametri dell’arteria e della vena rendono difficoltose o critiche alcune anastomosi.
– VENA IN SITU. – La tecnica del bypass in
situ, comparsa per la prima volta in letteratura nel 1962 ad opera di Hall,21 consente un ottimo accoppiamento fra i calibri
dell’arteria e della vena nelle sedi anastomotiche, ed inoltre, la sua preparazione
può essere effettuata con incisioni limitate, riducendo la deafferentazione vascolare e nervosa alla vena stessa. Una delle
maggiori casistiche sui bypass con safena
in situ, in pazienti con claudicazione o
ischemia critica, riporta una pervietà cumulativa del 91% ad 1 anno e dell’85% a 5
anni, con risultati peggiori nell’ischemia
critica.22 La preparazione a cielo semichiuso con la ricerca angiografica o eco-Doppler delle collaterali comporta la persistenza di fistole arterovenose (FAV) in numerosi casi che richiedono un trattamento
postoperatorio.23 La valvulotomia è sicuramente uno dei punti critici di questa tecnica; i valvulotomi disponibili sono molti ed
ognuno presenta vantaggi e svantaggi: il
valvulotomo di Mills è forse uno dei meno
traumatici, ma richiede una valutazione
endoscopica che comporta ugualmente una
possibile lesione endoteliale, oltre che numerosi approcci per raggiungere le varie
sedi valvolari. Altri valvulotomi come il
Cartier e l’Hall erano maggiormente responsabili di lacerazioni della vena, mentre col valvulotomo di Samuel alcune valvole rimanevano intatte. Il valvulotomo di
LeMaitre autocentrante assicura una valvulotomia più completa, ma non è utilizzabile nelle vene di minor calibro (peraltro
poco adatte ad una rivascolarizzazione) e
comporta qualche lacerazione della parete
vascolare.
Anche la valvulotomia è responsabile
del maggior numero di reinterventi, rispetto al bypass con vena invertita, per la
persistenza di lembi valvolari incompletamente strappati, per la formazione di stenosi in corrispondenza delle valvole residue e per altri problemi tecnici insiti nella metodica. Ciò nonostante i risultati sono superiori in molte casistiche; Gupta et
al.5 riportano una pervietà primaria a 3
anni dell'85% nei bypass in situ, del 62%
negli ex situ (non invertiti ma spostati di
sede) e del 57% nei bypass con safena invertita ed una maggior incidenza di revisioni/trombosi nei bypass con safena invertita rispetto a quelli in situ. Opposte
altre esperienze, con pervietà primaria a 4
anni del 77% per la safena invertita e del
68% per la vena in situ,24 per altri la differenza fra le due tecniche non è statisticamente significativa.25 Sembra esperienza
comune che i bypass con vene di diametro
inferiore a 4 mm diano risultati significativamente peggiori.26
– VENE DEL BRACCIO. – Anche le vene del
braccio vengono utilizzate per i bypass infrapoplitei con pervietà ad un anno variabili dal 49%27 al 67%28 ed anche migliori.
– PROTESI ALLOPLASTICHE. – Le ricostruzioni con protesi in poliestere nel tratto femoro-popliteo sono state generalmente
abbandonate e sostituite dalle rivascola-
L. Pedrini: L’ischemia critica degli arti inferiori: una sfida per il chirurgo vascolare
rizzazioni in PTFE; tuttavia anche questo
materiale ha evidenziato una pervietà primaria particolarmente bassa nelle ricostruzioni sotto il ginocchio (33% a 5 anni)
o sopra il ginocchio (47% a 5 anni)6. Visti
gli scarsi risultati, soprattutto nelle rivascolarizzazioni infrapoplitee, sono state
tentate molte tecniche, in particolare per
cercare di ridurre l’iperplasia intimale a
livello dell’anastomosi distale; fra queste
le più note sono la cuffia di Miller ed il
patch di Taylor. In un trial controllato e
randomizzato la cuffia di Miller ha portato ad una pervietà primaria significativamente migliore nelle rivascolarizzazioni
della poplitea sottogenicolare (52% versus
29% p=0.03), ma non ha modificato la pervietà secondaria (59% vs 35%, p= 0.14) e il
salvataggio d’arto (84% vs 62%, p= 0.08).29
Il Taylor patch30 e lo “stivale” di Wolfe31 sono altre due configurazioni che hanno consentito risultati comparabili alla cuffia di
Miller, ma necessitano conferma da trial
randomizzati e controllati.32 L’interposizione di una vena nei bypass femoro-poplitei sottoarticolari e femorotibiali aumenta la pervietà delle protesi alloplastiche.33 Le protesi in PTFE precuffiato presentano vantaggi teorici; le pervietà a 1,
234 e 3 anni35 sono risultate simili a quelle
dei bypass con la cuffia in vena.
La realizzazione di una FAV a livello
dell’anastomosi distale è un’altra tecnica
utilizzata per ridurre l’incidenza di trombosi protesica. Hingorani36 nei pazienti
senza adeguato patrimonio venoso propone una tecnica mista, con creazione di
FAV e con interposizione di un segmento
venoso, con un salvataggio d’arto del 79%
ad 1 anno e del 74% a 5 anni e con una
pervietà primaria del 51% ad un anno.
– HOMOGRAFT CRIOCONSERVATI. – Dopo gli
iniziali entusiasmi, anche le vene crioconservate hanno evidenziato una elevata incidenza di ostruzioni37 ed ora si preferisce
utilizzare le arterie di donatore, anche se
i risultati tardivi non sono ancora consolidati.
– PTA - STENTING. – Anche l’angioplastica
percutanea del tratto femoropopliteo non
è seguita da buoni risultati, con pervietà
primarie inferiori al 50%38 ad un anno e
13
con pervietà secondarie di circa il 50%.
Recenti lavori riportano un salvataggio
d’arto del 66% nei pazienti con ischemia
critica. La percentuale di ristenosi intrastent, ad 1 anno varia dal 20 al 46%; a
questo problema si devono aggiungere le
fratture degli stent40 in percentuale variabile in funzione del tipo di stent, con conseguente deterioramento clinico. Le terapie con inibitori della glicoproteina
IIb/IIIa aumentano la pervietà dei trattamenti vascolari, ma sono di frequente
complicate da una maggior morbilità e
mortalità.
L’angioplastica sottointimale secondo
Bolia ha dato buoni risultati a livello femoropopliteo nei pazienti con claudicazione;41 le prime esperienze di trattamento
delle occlusioni delle arterie tibiali per
ischemia critica hanno portato a buoni risultati ad 1 anno, con una pervietà primaria cumulativa del 53% e con un salvataggio d’arto dell’ 81%;42 per alcuni questi risultati comunque non hanno una evidenza conclamata.43 I trattamenti endovascolari aggiuntivi all’angioplastica si basano
su strumenti o tecniche quali l’aterectomia, l’uso del rotablator, la trombolisi o la
tromboaspirazione. Tutte queste tecniche
danno buoni risultati in casi selezionati,
ma non sono supportati dalla evidenza di
trials rigorosi.44,45 Il trattamento endovascolare, nei pazienti con lesioni trofiche,
riduce il rischio di infezioni protesica.
– INNESTI MIO-CUTANEI. – Gli innesti muscolo-cutanei peduncolati o liberi sono eseguiti da molti anni,46 dopo il trattamento di
rivascolarizzazione, quando le lesioni sono
particolarmente estese o quando il bypass
innestato risulta parzialmente esposto. Il
problema maggiore in questi casi è rappresentato dalle lesioni vascolari delle arterie
su cui impiantare gli innesti, che differenzia i risultati rispetto a quelli ottenibili nei
traumatizzati e per questo motivo vengono
eseguiti raramente.
TERAPIA NEI PAZIENTI
NON RIVASCOLARIZZABILI
– PROSTANOIDI. – La terapia con prostanoidi, già raccomandata nella TASC6 nei pazienti con ischemia non rivascolarizzabile,
14
Annali degli Ospedali San Camillo e Forlanini 8, 3, 2006
è risultata efficace nel ridurre le dimensioni dell’ulcera anche con trattamento topico in un RCT.47 Alcuni studi prospettici
e randomizzati avevano dimostrato la superiorità dell’iloprost verso il placebo,48
mentre una metanalisi non aveva evidenziato gli stessi risultati con la PGE1 e con
altri farmaci vasoattivi.49 Diversi i risultati riportati dal gruppo ICAI, che comunque ha anche evidenziato che i benefici a
breve con questo tipo di trattamento tendono a regredire facilmente.50 Con le prostacicline non sono comunque state dimostrate modificazioni in acuto (3 giorni) del
livello di glucosio e di lattato nei tessuti
ischemici, ma una verosimile risposta metabolica più tardiva.51
– STIMOLAZIONE SPINALE. – Questo particolare trattamento, nato per il controllo
del dolore, ed efficace nel 94% di un gruppo di 38 pazienti, si rivelò utile anche per
la guarigione delle ulcere vascolari in circa la metà dei casi.52 Da allora molti studi hanno evidenziato miglioramenti con
un incremento della microcircolazione alla capillaroscopia,53 e con un aumento
della tcpO2, anche nei pazienti diabetici
con e senza ulcere.54 Una revisione della
Cochrane Collaboration,55 valutando 6
studi comprendenti quasi 450 pazienti
con ischemia critica non rivascolarizzabile trattati con stimolazione midollare o
con terapia medica, ha evidenziato un
salvataggio d’arto a 12 mesi ed una riduzione del dolore significativamente più
alti nel gruppo degli SCS rispetto al trattamento conservativo senza significativa
differenza fra i due trattamenti per
quanto riguarda la guarigione delle ulcere. Questa revisione inserisce la stimolazione midollare fra i trattamenti da utilizzare nell’ischemia critica non rivascolarizzabile non considerati dalle linee
guida TASC.
– ALTRE TERAPIE CONSERVATIVE. – Non ancora validati i nuovi trattamenti quali: la
terapia genica o l’impianto di monociti,
utilizzati sperimentalmente nel trattamento delle ischemie critiche con lesioni
trofiche su base aterosclerotica, diabetica
ed arteritica.
TRATTAMENTO DELLE LESIONI
CUTANEE E DELLE INFEZIONI
Le infezioni protesiche rappresentano
una complicanza importante nelle rivascolarizzazioni femoro-distali ed inoltre,
le infezioni sono un fattore favorente l’amputazione anche nei pazienti con rivascolarizzazione funzionante e pertanto devono essere trattate prontamente ed efficacemente.56 Nei pazienti con ulcere neuroischemiche anche apparentemente pulite,
con tampone positivo, dovrebbe essere
consigliato un trattamento antibiotico
precoce.57 Per questi motivi, è opportuno
eseguire uno studio batteriologico della lesione ed una detersione chirurgica e/o enzimatica giornaliera, essiccando le ulcere
contenenti materiale necrotico fino alla rivascolarizzazione qualora l’asportazione
di tessuti necrotici comporti ampie toilette. Le ulcere non necrotiche possono essere ricoperte con medicazioni idrofiliche,
alginati ed idrocolloidi. Il ruolo dei fattori
di crescita topici, quali quelli derivati dalle piastrine o da equivalenti di cute non è
stato ancora completamente definito, pur
essendo riportate in letteratura numerose
esperienze positive.
– OSSIGENOTERAPIA IPERBARICA. – L’ossigenoterapia iperbarica è un’arma aggiuntiva
importante nella terapia delle ulcere ischemiche, che presentano una tensione locale
di ossigeno inferiore a quella ottimale per
la guarigione, perché stimola la proliferazione e la differenziazione dei fibroblasti,
aumenta la formazione del collagene, aumenta la neovascolarizzazione e stimola
l’azione battericida dei leucociti;58 tuttavia
non dovrebbe essere considerate una terapia sostitutiva della rivascolarizzazione.
– IMPATTO SOCIO-ECONOMICO. – Le ischemie
critiche comportano un impatto socio-economico rilevante correlato alla gravità
della malattia, alle comorbidità ed in particolare al tempo intercorso fra l’inizio della sintomatologia ed il trattamento. Spesso questi pazienti giungono tardivamente
ad una rivascolarizzazione: quando le ulcere sono complicate da sovrainfezioni o si
associano a gangrene delle dita o a lesioni
da decubito.
L. Pedrini: L’ischemia critica degli arti inferiori: una sfida per il chirurgo vascolare
In pazienti con ulcere di grosse dimensioni o con necrosi che richiedono rivascolarizzazioni distali, i tempi di guarigione
sono molto lunghi, anche di molti mesi, soprattutto quando le lesioni ischemiche
coinvolgono il tallone,59 nonostante la rivascolarizzazione diretta di una arteria
del piede. La lunga inattività o il prolungato allettamento comportano, inoltre,
una estesa riabilitazione motoria, indispensabile per i pazienti che subiscono
amputazioni maggiori, nel tentativo di
protesizzarli o di ridurne il grado di dipendenza. A causa dei prolungati periodi
di ricovero e dei lunghi periodi di medicazioni, questi pazienti comportano un grosso impegno economico e sociale, sia che i
trattamenti vengano effettuati in regime
di assistenza domiciliare integrata, sia
che costringano il paziente ad un trattamento ambulatoriale. In questo caso spesso al costo della terapia e del materiale di
medicazione si sommano i costi indiretti
del trasporto e dell’accompagnamento del
paziente, che spesso non è autosufficiente.
Sotto il profilo psicologico, inoltre, questi
pazienti presentano frequenti fenomeni
depressivi ed una scarsa sensazione della
qualità della vita legata al dolore e alla
evidente lentezza della guarigione; questo
stato si prolunga ancora qualche mese dopo la completa guarigione delle lesioni trofiche.60 Anche nei pazienti che hanno subito una rivascolarizzazione, i costi continuano nel follow-up, per i frequenti controlli ultrasonografici e per i reinterventi
necessari per mantenere elevati il tasso di
pervietà della rivascolarizzazione e per ridurre l’incidenza di amputazioni tardive,
soprattutto nei pazienti sottoposti a rivascolarizzazioni femoro-distali, che sono le
più frequenti.
CONCLUSIONI
Da quanto sopra esposto, appare chiaro
che i fattori che concorrono alla realizzazione di un insuccesso, nella cura dei pazienti con ischemia critica sono numerosi,
e costringono il chirurgo vascolare a scegliere fra le possibili terapie e le numerose tecniche quelle che in base alla sua personale esperienza sembrano meglio adattarsi al tipo di lesioni anatomiche, alla se-
15
de e alle dimensioni delle lesioni trofiche,
alle caratteristiche del microcircolo.
La scelta della tecnica difficilmente
può essere supportata pienamente dalle
evidenze della letteratura, perchè la comparazione dei risultati non è affatto semplice, soprattutto quando si paragonano i
follow-up nei pazienti al 4° stadio di Leriche-Fontaine (stadio III 5-6 della classificazione di Rutherford), in quanto è assolutamente impossibile comparare i pazienti delle varie serie in funzione della
gravità delle lesioni trofiche, anche utilizzando le classificazioni più dettagliate
quali la Wagner o quella della Texas University, che comunque non contemplano le
dimensioni della lesione trofica, la gravità
dell’ischemia e lo stato del microcircolo.
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____
Per richiesta estratti:
Prof. Luciano Pedrini
Struttura Complessa di Chirurgia Vascolare - Ospedale Maggiore - 40100 Bologna
ANNALI DEGLI OSPEDALI
San Camillo e Forlanini
Volume 8, Numero 3, Luglio-Settembre 2006
B) LA DIAGNOSTICA ULTRASONOGRAFICA
NELL’ISCHEMIA CRITICA DEGLI ARTI INFERIORI
NON INVASIVE DIAGNOSIS IN CRITICAL LOWER LIMB ISCHEMIA
PIO MAURIZIO NICOSIA
U.O.C. Angiologia – Azienda Ospedaliera San Camillo-Forlanini – Roma
Parole chiave: Ischemia critica degli arti inferiori, Ultrasonografia.
Key words: Critical limb ischemia, Ultrasonography.
La valutazione strumentale delle arteriopatia periferiche è essenzialmente
quella dell’ecocolorDoppler sia nel primo
approccio che nella valutazione più approfondita per l’indicazione di procedure
chirurgiche o di radiologia interventistica.
VALUTAZIONE CLINICA
La valutazione strumentale dell’arteriopatia periferica si avvale dell’ultrasonografia e deve essere guidata da corretti
criteri d’orientamento emodinamico e clinico. A questo riguardo è sempre valida la
classica suddivisione in stadi clinici di
Fontaine:
• I stadio
asintomatico
• II stadio: claudicatio (A>100mt>B)
ischemia relativa
• III stadio: dolori a riposo
• IV stadio: lesioni trofiche
ischemia assoluta
Il concetto di ischemia critica degli arti
è questionabile (qualcuno ha scisso l’ischemia critica come quadro cronico da una
ischemia acuta degli arti) ma al di là della
sua reale consistenza si deve constatare
l’indubbia fortuna del termine vuoi per
moda culturale o per intrinseca utilità.
Riteniamo di una certa utilità conservare il concetto intendendo l’ischemia critica degli arti come un quadro d’ischemia
assoluta d’insorgenza sia acuta che cronica in fase di rapida evolutività e che necessita di un approccio terapeutico medico
e interventistico-chirurgico immediato
Attribuiamo al termine “critica” il significato non tanto di grave in sé ma piuttosto quello etimologico di richiedente
scelta e ciò implica che l’esame va condotto e refertato col proposito di offrire elementi utili alla scelta di una condotta terapeutica
Nella visita angiologica anamnesi,
ispezione, esame fisico e strumentale Doppler sono intimamente connesse all’uso
dell’ultrasonografia Doppler alla luce di
elementari regole di emodinamica
• Il primo stadio è quello asintomatico
che ben prima dell’introduzione dell’ecoDoppler aveva un significato questionabile mentre adesso è di sicura ricognizione ultrasonografica.
• Il secondo stadio è quello dell’ischemia
relativa all’esercizio con discrimine interno di autonomia di 100 metri nel
senso di una più o meno rapida propensione verso il III stadio quando si varchi detta soglia.
• Classificazione di Fontaine III stadio:
dolore a riposo. Nell’anamnesi il paziente lamenta dolori a riposo (anche se
il dolore può mancare nel diabetico). Il
dolore si esacerba la notte e in clinostatismo e precorre di poco l’insorgenza di
turbe trofiche con assunzione di peculiari posizioni antalgiche quali flessione del ginocchio e arto pendente. All’esame obiettivo ispettivo può essere presente pallore e replezione venosa nelle
forme d’ischemia acute recenti per
trombosi o embolia oppure eritrocianosi declive e replezione venosa in parti-
P.M. Nicosia: La diagnostica ultrasonografica nell’ischemia critica degli arti inferiori
colare nelle forme a decorso cronico. Il
colore della cute è alterato in relazione
alla postura con pallore clinostatico e
cianosi dell’arto declive oppure in relazione a manovre (allungamento del
tempo di riempimento del plesso subpapillare dopo digitopressione dei polpastrelli).
• Classificazione di Fontaine IV stadio: lesioni trofiche. Esame obiettivo ispettivo:
distinguiamo un quadro reversibile (pallore, ipotermia con lesioni di continuo
iniziali) e un quadro irreversibile (ipossia stagnante, ulcerazioni o necrosi, sepsi, osteomielite, gangrena gassosa)
VALUTAZIONE STRUMENTALE
• Valutazione del livello emodinamico e
della riserva funzionale
• Diagnosi di natura dell’affezione
• Valutazione di altri distretti
• Valutazione del livello emodinamico e
della riserva funzionale: non sempre
v’è correlazione tra entità di dolore e
anomalie ispettive da un lato e gravità
ed evolutività del quadro emodinamico
dall’altro.
Spesso la sintomatologia è una modesta parestesia e i segni sono lievi pallore e ipotermia anche in quadri di severo impegno emodinamico rivelabile soltanto dall’esame Doppler
• Diagnosi di natura dell’affezione: elementi ultrasonografici possono essere
utili, insieme all’anamnesi e all’esame
clinico generale, a stabilire la probabilità di natura embolica o di trombosi locale; la genesi cardiogena o da tromboembolia a partenza da lesioni vascolari di placca o aneurismatiche o da
dissecazione
• Valutazione di altri distretti: è di vitale
importanza per il trattamento una valutazione di condizioni a rischio in altri
distretti, in particolare epiaortico, viscerale
19
Winsor permette di valutare l’entità
funzionale dell’arteriopatia considerando una forma lieve per un I.W.> 0,8
una forma di media gravità per
0,8>I.W.>0,4 una forma severa per
I.W.<0,4
• EcocolorDoppler:
Permette una vera e propria “angiografia funzionale” con una valutazione morfologica, di natura, del quadro funzionale e
di evolutività clinica delle lesioni.
• Aree d’attenzione: le biforcazione arteriose, le arterie con criticità del circolo
collaterale (femorale comune, poplitea).
L’immagine ecografica di per sé documenta la presenza di aneurismi, trombi,
placche, mediocalcinosi (prevalentemente
sottopoplitea nel diabetico).
La velocimetria Doppler soprattutto se
di tipo colorDoppler permette di vagliare i
parametri illustrati nelle figg. 1, 2, 3 e 4.
ESAMI STRUMENTALI
• Doppler a onda continua: è il fonendoscopio dell’angiologo. Permette valutazioni anatomiche e funzionali con la
tensiometria segmentale. L’indice di
Figura 1 - Valutazione del regime delle resistenze
di un distretto, ridotte nell’arteriopatia per la dilatazione dei vasi di resistenza.
20
Annali degli Ospedali San Camillo e Forlanini 8, 3, 2006
Figura 2 - Valutazione dell’entità della stenosi in
base alla velocità di picco.
Figura 3 - Valutazione del circolo collaterale (attivazione ed entità).
Figura 4 - Valutazione della caduta di energia,subito a valle della lesione (turbolenze, demodulazione).
Alcuni quadri specifici di arteriopatia
periferica, diversi dall’arteriosclerosi, a
frequente esordio acuto ischemizzante sono rappresentati nelle figg. 5, 6 e 7.
Figura 5 - Morbo di Buerger.
Figura 6 - Malattia polianeurismatica.
P.M. Nicosia: La diagnostica ultrasonografica nell’ischemia critica degli arti inferiori
21
3. Valutazione del circolo collaterale
4. Valutazione di lesioni emodinamiche a
monte e a valle della principale
5. Coesistenza di lesioni viscerali e sopraortiche
BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE
Figura 7 - Microembolie periferiche, sindrome del
dito blu con indennità dei rilievi ecoDoppler sui vasi tronculari.
In conclusione lo studio ecocolorDoppler deve appurare:
1. Valutazione della lesione principale
(trombo-embolo, placca, dissecazione,
emorragia subintimale)
2. Ricerca di aneurisma aortico o in altre
sedi (iliache, femoro-poplitee) come focolaio emboligeno
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____
Per richiesta estratti:
Dr. P.M. Nicosia
U.O.C. Angiologia - Ospedale S. Camillo
Circonvallazione Gianicolense - 00152 Roma
ANNALI DEGLI OSPEDALI
San Camillo e Forlanini
Volume 8, Numero 3, Luglio-Settembre 2006
C) DIAGNOSTICA RADIOLOGICA TC E RM
NELLA ISCHEMIA CRITICA DEGLI ARTI INFERIORI
MR AND CT IN DIAGNOSIS
OF LOWER EXTREMITY ARTERIAL DISEASE
VITALIANO BUFFA, GIOVANNI REGINE, VITTORIO MIELE, LOREDANA ADAMI
Radiologia Generale - Azienda Ospedaliera San Camillo-Forlanini - Roma
Parole chiave: AngioTAC, AngioRMN, Patologie arteriose.
Key words: CT angiography, MR angiography, Arterial disease.
La valutazione diagnostica strumentale delle arteriopatie periferiche si avvale
della Risonanza Magnetica già da alcuni
anni e, più recentemente, della Tomografia Computerizzata.
Il ruolo di queste metodiche è definire
la diagnosi e la localizzazione anatomica
delle lesioni vascolari, la selezione dei pazienti ai fini di uno specifico trattamento,
la pianificazione preoperatoria, il followup, sostituendo, grazie alla minore invasività, l’angiografia digitale.
La Risonanza Magnetica (RM) è metodica matura, ampiamente documentata
dalla Letteratura scientifica. Attualmente
vengono usati magneti ad alto campo (1 3 T) e sequenze specifiche (3D-SPGR) che
rilevano il segnale proveniente dal mdc
paramagnetico all’interno dei vasi. L’acquisizione dei dati riguarda un volume
corporeo, di norma l’addome e gli arti inferiori inclusi i piedi, attraverso 3 diverse
fasi in cui viene studiata l’aorta e le arterie iliache, i vasi di coscia e quelli di gamba e piede attraverso lo spostamento del
lettino all’interno del magnete. Le immagini dei vasi ottenute sono visualizzate su
workstation di elaborazione e possono essere ruotate per evidenziare i punti di interesse. La rappresentazione vascolare è
analoga a quella ottenuta dall’angiografia
tradizionale, con un’accuratezza nell’identificazione delle stenosi che è stata definita da alcune metanalisi del 94-96%.1,2,6 È
possibile inoltre effettuare uno studio dinamico di uno specifico segmento arterioso,
tecnica detta time-resolved, con visualizza-
zione del passaggio del bolo di mdc. Questa
tecnica fornisce informazioni sul flusso
ematico, in maniera analoga all’angiografia tradizionale, consentendo una valutazione soggettiva di quantità e velocità di
flusso e elimina la sovrapposizione delle
immagini provenienti dalle vene.
La RM consente quindi principalmente
la valutazione del lume vasale (la luminografia). La valutazione morfologica delle
pareti vasali richiede l’impiego di ulteriori sequenze e per motivi tecnici è limitata
alle pareti dei vasi di maggior calibro (aorta, arterie iliache: figg. 1 e 2) in quanto lo
studio dettagliato dei vasi di minor calibro
richiederebbe un tempo molto maggiore e
l’impiego di bobine dedicate. Anche le calcificazioni sono scarsamente visualizzabili con la RM. Complessivamente la scarsa
esplorabilità delle pareti vasali e delle
calcificazioni è un limite della metodica.
La TC viene utilizzata da pochi anni ed
è quindi metodica recente rispetto alla
RM. L’uso della TC è stato reso possibile
dall’introduzione della tecnica di acquisizione multistrato e dalla diffusione di programmi informatici di ricostruzione d’immagine. L’aumento di risoluzione spaziale
(vengono ottenute immagini di risoluzione
sottomillimetrica) e la possibilità di rappresentare in maniera panoramica i vasi
degli arti inferiori, di piccolo calibro e a
decorso tortuoso, hanno reso la TC uno
strumento molto accurato, versatile e
scarsamente invasivo.3,4,5
L’esame TC necessita della somministrazione di mdc iodato in quantità di-
V. Buffa et al.: Diagnostica radiologica (TC e RM) nella ischemia critica degli arti inferiori
screta (100-120 cc) per consentire la visualizzazione arteriosa di tutto l’addome e
degli arti inferiori; la scansione è molto
rapida (20-30 secondi) e con l’impiego di
programmi di riduzione automatica della
dose l’esposizione del paziente è contenuta e considerata inferiore a quella dell’angiografia tradizionale. A fronte di una breve durata di scansione e di uno scarso periodo di permanenza del paziente in sala
TC, il tempo di elaborazione delle immagini multiplanari e tridimensionali angiografiche (figg. 3, 4 e 5), indispensabili per
la diagnosi e la corretta rappresentazione
dei vasi, può essere relativamente lungo.
Il vantaggio della TC rispetto alla RM
è la possibilità di visualizzare sia il lume
del vaso, producendo con i programmi
suddescritti immagini angiografiche, sia
la parete vasale, consentendo una valutazione diretta delle placche ateromasiche
di cui può essere misurata la lunghezza, lo
spessore e le caratteristiche strutturali
essendo la metodica in grado di identificare le parti molli (fibrolipidiche), le calcificazioni e le irregolarità superficiali. In
particolare la densità delle parti fibrolipidiche e della trombosi di parete è molto
bassa ed è ben differenziabile dall’elevata
densità del sangue circolante, iperdenso
23
per la presenza del mdc. Sono quindi riconoscibili facilmente, anche in relazione alla elevata risoluzione spaziale, le piccole
irregolarità e le ulcerazioni superficiali
delle placche. Le calcificazioni hanno densità molto elevata e possono, quando molto diffuse e grosse, ridurre la visibilità del
lume vasale. Inoltre la documentazione
delle dimensioni, dell’estensione e delle
caratteristiche strutturali degli aneurismi
è agevole e molto accurata.
Le raccomandazioni delle società scientifiche (ACC/AHA, TASC, SIAPAV) (Tab. 1, 2,
3), disponibili attualmente, affidano a queste metodiche un ruolo complessivamente
meno rilevante della angiografia. Tuttavia
bisogna tener presente che le innovazioni
tecnologiche che hanno riguardato le apparecchiature diagnostiche, e particolarmente
la TC, sono di introduzione molto recente. È
verosimile quindi che le stesure successive
delle linee guida possano tenere conto di
una maggiore quantità di lavori scientifici e
studi di metanalisi decretando per queste
metodiche un ruolo più incisivo nella diagnostica. È già opinione comune tuttavia
che queste metodiche siano in grado di sostituire l’angiografia, nel futuro a breve da
utilizzare solo nell’ambito di procedure interventistiche.
Tabella 1. - Linee guida ACC/AHA sull’impiego di TC e RM nelle arteriopatie periferiche.
Recommendations
CT ANGIOGRAPHY
Class IIB
1.
2.
CTA of the extremities may be considered to diagnose anatomic location and presence of significant stenosis in patients with
lower extremity PAD. (Level of Evidence: B)
CTA of the extremities may be as a substitute for MRA for those patients with contraindications to MRA.
(Level of evidence: B)
MR ANGIOGRAPHY
Class I
1.
2
3.
MRA of the extremities is useful to diagnose anatomic location and degree of stenosis of PAD. (Level of Evidence: A)
MRA of the extremities should be performed with Gadolinium enhancement. (Level of Evidence: B)
MRA of the extremities is useful in selecting patients with lower extremity PAD as candidated for endovascular intervention.
(Levl of Evidence: A)
Class IIb
1.
2.
MRA of the extremities may be consider to select patients with lower extremity PAD as candiddated for sugical bypass and to
select the istes of surgical anastomosis. (Level of Evidence:B)
MRA of the extremities may be consider for postrevascularization (endovascular and surgical bypass) surveillance in patients
with lower extremity Pad. (Level of Evidence: B)
24
Annali degli Ospedali San Camillo e Forlanini 8, 3, 2006
Tabella 2. - Linee guida TASC sull’impiego di RM e TC nelle arteriopatie periferiche.
Magnetic Resonance Angiography (MRA).
The other possible future scenario is that MRA may become the preferred imaging technique, as a pratical compromise between duplex imaging and angiography, although with current techniques it tends not to distinguish well between tight stenoses and complete occlusion. However, for at least aortoiliac disease, some studies have shown that the best MRA techniques are adequate for stenosis qualification and discriminating between stenosis and occlusion.
In some cases MRA (especially with contrast enhancement) may be as good as conventional angiography.
Further studies are needed to determine to what extent Mra may replace angiography.
Spiral Computed Tomography (CT)
Spiral CT is also being used for the noninvasive evaluation of proximal, that is, aortoilliac occlusive, disease.
CRITICAL ISSUE 4: Alternative investigations to angiography
Further studies are needed to determine to what extent duplex scanning, magnetic resonance angiography, or other new imaging
modalities may replace angiography for many applications in the future.
Tabella 3. - Linee guida SIAPAV relative alla diagnostica radiologica.
La diagnostica radiologica
Raccomandazione 10:
L’angiografia deve essere riservata ai pazienti nei quali, sulla base della sintomatologia clinica, dell’esame obiettivo e degli accertamenti non invasivi, si ipotizzi un trattamento chirurgico o una terapia endovascolare.
La presenza di stenosi renali emodinamiche in pazienti con arteriopatia degli arti inferiori, per le quali è prevista una terapia farmacologica trova giustificato uno studio angiografico, per un eventuale trattamento percutaneo o chirurgico.
Nei pazienti con assenza di lesioni significative dei tronchi sovraortici, documentata da uno studio con ecodoppler, non risulta indicato procedere ad una panangiografia.
Raccomandazione 11:
Lo studio vascolare con angio-TC o con angio-RMN è indicato nei pazienti con associazione di arteriopatie ostruttive ed aneurismatiche, nei pazienti con difficoltoso accesso vascolare e nei pazienti con sospettata dissecazione.
L’angio-RMN è indicata nei pazienti con controindicazione all’uso di mezzi di contrasto iodati.
Figura 2 - AngioRM. Si evidenzia occlusione dell’iliaca comune di sinistra e stenosi severa dell’iliaca
comune destra.
Figura 1 - AngioRM aorto-iliaca e delle arterie degli arti inferiori (sequenza GE con mdc paramagnetico).
Occlusione dell’iliaca comune sinistra
all’origine.
V. Buffa et al.: Diagnostica radiologica TC e RM nella ischemia critica degli arti inferiori
25
Figura 5 - Angiografia TC, immagine tridimensionale.
Occlusione della femorale superficiale destra con evidenza di circoli collaterali.
Figura 3-4 - Angiografia TC (stesso
caso), immagini tridimensionali.
Si evidenziano chiaramente le stenoocclusioni e i circoli collaterali.
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with diabetes: comparison of MR angiography
and digital subtraction angiography. AJR 2005,
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____
Per richiesta estratti:
Dr. Vitaliano Buffa - Radiologia Centrale
Ospedale S. Camillo - Circonvallazione Gianicolense - 00152 Roma
ANNALI DEGLI OSPEDALI
San Camillo e Forlanini
Volume 8, Numero 3, Luglio-Settembre 2006
D) PROCEDURE ENDOVASCOLARI DI RIVASCOLARIZZAZIONE
DEL DISTRETTO FEMORO-POPLITEO NEL PAZIENTE CRITICO
ENDOVASCULAR REVASCULARIZATION PROCEDURES
OF BELOW-THE-KNEE ARTERIES IN CRITICAL PATIENTS
MAURIZIO MORUCCI, PAOLO AGRESTI, LORENZO DE’ MEDICI
U.O.C. di Radiologia Vascolare ed Intervensitica
Azienda Ospedaliera San Camillo-Forlanini - Roma
Parole chiave: Ischemia critica, Procedure endovascolari, Rivascolarizzazione.
Key words: Critical Ischemia, Endovascular procedure, Revascularization.
La Malattia Aterosclerotica (MA) è una
patologia sempre più frequente, soprattutto in conseguenza dell’odierno stile di vita
e per il maggiore protrarsi dell’età media
della popolazione. La MA può presentarsi
sia in modo solo distrettuale o segmentario
(segmenti aorto-iliaco e femoro-popliteo,
rami tibio-poplitei, tronchi sopra-aortici,
circolo cerebrale, aa renali, aa coronarie)
che pluridistrettuale. L’interessamento
contemporaneo di più distretti, pone problematiche terapeutiche spesso difficilmente risolvibili, ovvero ai limiti delle classiche terapie sia mediche che chirurgiche
ed anche interventistiche. Ciò è particolarmente vero quando i distretti interessati
sono posti sullo stesso asse vascolare, come
nel caso degli arti inferiori. Ulteriore elemento di aggravamento è la frequente presenza di patologie associate, fra le quali assume particolare importanza la presenza
di diabete, patologia che agisce anch’essa
sul territorio vascolare (periferico).1,2 Fra le
altre patologie associate di particolare importanza, ricordare le coagulopatie, l’ipertensione ed il tabagismo.1,2
Generalmente la sola correzione dell’inflow prossimale iliaco-femorale può essere
sufficiente per ristabilire un adeguato flusso periferico, anche nei pazienti critici.1,3,4,5
Ma in alcuni casi questo può non bastare e
deve essere associato ad un trattamento anche del segmento sotto-popliteo.3,6,7
La storica classica divisione fra trattamento squisitamente chirurgico “a cielo
aperto” o con le metodiche “interventisti-
che” è stata ultimamente superata, anche a
livello semantico, con la individuazione di
quella che è stata chiamata “terapia endovascolare”. Un ulteriore evoluzione pratica
è stata conseguita dalla presa di coscienza
del fatto che la terapia chirurgica a cielo
aperto ed il trattamento endovascolare non
sono necessariamente alternativi, ma possono essere spesso utilizzati in associazione
combinata (procedure “ibride”),8 per ottenere un trattamento “su misura” per ogni paziente, in rapporto alle specifiche esigenze
di ogni singolo caso. 2,4,7 Questo consente,
inoltre, di limitare in modo significativo la
morbilità e la mortalità riducendo al minimo lo stress per il paziente.2
La terapia interventistica (o endovascolare), più della terapia chirurgica a cielo aperto, ha beneficiato in questi ultimi
anni di una notevole spinta innovativa,
dovuta principalmente ad una formidabile evoluzione tecnologica dei materiali a
disposizione (in primo luogo degli “stent”
vascolari, nelle loro ormai innumerevoli
varianti, dei palloncini da angioplastica e
di nuove “guide” angiografiche idrofiliche
e con supporto rigido, introduttori vascolari dedicati, etc).8,9,10 Ma molta importanza ha avuto anche lo sviluppo di nuove
tecniche di ricanalizzazione, fra le quali
riveste particolare importanza pratica, la
tecnica di ricanalizzazione periferica sotto-intimale secondo Bolia.11,12 Altro capitolo altrettanto importante è la terapia fibrinolitica selettiva loco-regionale. Questa metodica è in grado di ottenere spesso
M. Morucci et al.: Procedure endovascolari di rivascolarizzazione del distretto femoro-popliteo nel paziente critico
gli stessi risultati della embolectomia chirurgica a livello iliaco-femorale (ma utilizzabile anche nei pazienti con alterazioni
aterosclerotiche), e con risultati spesso
sorprendenti nei segmenti sotto-poplitei,
area spesso problematica per la chirurgia.
Da menzionare anche la notevole evoluzione tecnologica nel campo degli Aterotomi,13 Laser,14 Trombolizzatori e Tromboaspiratori15 e l’introduzione dei “Cutting
Balloon”8,16 e della Crioplastica (angioplastica effettuata con palloncino morfologicamente simile a quelli usuali, ma con
temperatura superficiale di circa meno
50-60°C15. Queste metodiche, di notevole
complessità tecnica (che richiedono una
notevole esperienza specifica) e di alto costo economico, vanno considerate inevitabilmente di secondo livello rispetto alle
metodiche di angio-plastica stent e di fibrinolisi locoregionale.
La ricanalizzazione sub-intimale, introdotta da Bolia ed il suo gruppo negli anni
’90,11 è stata accolta inizialmente da forti
perplessità, se non scetticismo, ma in breve
tempo si è imposta come una metodica preziosa, in particolare nei pazienti critici12,17.
In questi pazienti, la complessità e molteplicità delle lesioni, generalmente multiple
ed estese a gran parte dell’albero arterioso
presenta grandi difficoltà sia per la chirurgia tradizionale che per la rivascolarizzione endovascolare classica trovando nella
scarsità del run-off la principale causa di
insuccesso. La ricanalizzazione sub-intimale può essere invece abilmente estesa sino in sede molto periferica (tibio-peroneale,
se non più distale).11,12 La base teorica e
pratica è data dalla possibilità offerta dalla media “rovesciata” di creare un by-pass
“vivente” in situ, in qualche modo vergine,
ovvero non ancora interessato dalle alterazioni aterosclerotiche.11 La metodologia di
“entrata” all’interno della media è tanto ingegnosa quanto semplice: creare intenzionalmente una estesa dissezione nel vaso da
trattare. Dopo aver dissecato il vaso (o i vasi) da ricanalizzare in tutta la sua-loro
estensione, si dovrà “rientrare” all’interno
dell’albero arterioso in un tratto sano e con
adeguato run-off. Il tramite virtuale creato
andrà poi ampliato con adeguata angioplastica su tutto il percorso da trattare, possi-
27
bilmente, senza uso di stent.11 Quanto esposto, pur nella apparente semplicità, richiede una notevole perizia tecnica ed una adeguata esperienza specifica. Alla abilità necessaria per le manovre di “entrata” subintimale e “rientro”, si aggiunge la perizia
di “navigare” nella media senza uscire dal
vaso (rottura esterna), ma soprattutto la
capacità di gestire le non rare ed inevitabili complicanze immediate (embolia distale,
rottura vascolare, etc.). Per trattare con
successo queste complicanze è necessaria
la più ampia conoscienza e consuetudine
con le altre procedure di rivascolarizzazione quali la fibrinolisi locoregionale e la
tromboaspirazione. I risultati di medio termine possono essere ritenuti molto buoni,
trattandosi di pazienti generalmente critici e spesso altrimenti destinati all’amputazione. Le casistiche importanti cominciano
ad essere numerose, con successo tecnico
immediato di oltre il 95%, risultati di pervietà primaria a 2 anni ben oltre il 50%,
con punte del 70-80% e salvataggi d’arto di
oltre l’80%.12,17 Molto alta (oltre il 90% dei
successi tecnici) è la regressione delle lesioni ulcerative.17 Curiosa constatazione è che
questa tecnica ha maggiore successo nei
pazienti che presentano ostruzioni cronicizzate, ovvero da almeno 3 mesi,17 in questo assolutamente simmetrica con la angioplastica tradizionale che richiede invece occlusioni recenti, meglio se ricanalizzabili
con la fibrinolisi. 6
La restenosi è un annoso problema della
angioplastica trans-luminale, e dopo l’introduzione degli stent, forse è la unica problematica ancora non risolta. La ricerca ha
battuto le strade più disparate: stent ricoperti da farmaci (anti-trombotici, anti-aggreganti, con azione anti-fibroblastica),
stent contenenti materiali radioattivi betaemittenti, stent al carbonio, stent riassorbibili, etc.8,9,10 Ogni strada ha presentato i suoi
vantaggi, le sue difficoltà, i suoi limiti. Per
il momento l’unica soluzione praticabile è
stata lo sviluppo di stent forniti di una piccola lama (cutting-balloon) e quindi capaci
di “tagliare” la restenosi, ovvero la superficie fibrosa altrimenti resistente alla dilatazione.16 Anche questi presidi, apparentemente di semplice utilizzo, presentano le loro difficoltà ed i loro tranelli, ed hanno
28
Annali degli Ospedali San Camillo e Forlanini 8, 3, 2006
quindi le loro specifiche indicazioni ed andranno utilizzati congiuntamente alle altre
metodiche endovascolari.
Altro curioso aspetto dell’angioplastica-stent nei pazienti critici è la constatazione che il risultato clinico è spesso migliore da quello morfologico. Ovvero l’ottenere quadri morfologici anche imperfetti
si associa spesso ad una condizione clinica
molto più favorevole.2 Fatto questo ancora
più conclamato in caso di re-ostruzione,
talora non seguita da un peggioramento
clinico significativo o correlato con il peggioramento del quadro iconografico.2,18
Da ricordare, infine, come la comorbidità diabetica, per il coinvolgimento di territori vascolari molto periferici, e spesso in
concomitanza con un interessamento cardiaco e renale, faccia di questi pazienti
una popolazione ad alto rischio e di grande
complessità terapeutica sotto molti punti
di vista. Spesso questi pazienti arrivano
ad uno stadio clinico particolarmente
avanzato, eccezionale nei pazienti non diabetici. Questo accade anche a causa della
frequente associazione con una neuropatia, che riducendo la percezione del dolore,
porta questi pazienti a ritardare e rimandare l’aiuto del medico. Inoltre, la oggettiva complessità e perifericità delle lesioni
(anche queste sconosciute a pazienti non
diabetici) pone problematiche tecniche assolutamente proprie solo di questa malattia. Il trattamento di questi pazienti, quindi, costringe gli operatori ad utilizzare sino agli estremi le metodiche di rivascolarizzazione e le terapie mediche, sino ed oltre i loro limiti, ed forzando la loro utilizzazione combinata. I risultati clinici conseguiti sono spesso buoni, per quanto spesso
solo, di breve o medio termine.
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____
Per richiesta estratti:
Dr. Maurizio Morucci
U.O.C. Radiologia Vascolare e Interventistica
Osped. S. Camillo, Roma - E-mail [email protected]
ANNALI DEGLI OSPEDALI
San Camillo e Forlanini
Volume 8, Numero 3, Luglio-Settembre 2006
E) ANALISI DEI FATTORI CHE INFLUENZANO L’OUTCOME
ANALYSIS OF THE FACTORS INFLUENCING ON OUTCOME
ROBERTO BARTOLUCCI, FABRIZIO NESI
U.O.C. di Chirurgia Vascolare - Dipartimento di Cardioscienze
Azienda Ospedaliera San Camillo-Forlanini - Roma
Parole chiave: Ischemia critica arti inferiori, Fattori influenzanti i risultati.
Key words: Critical limb ischemia, Factors influencing, Outcome.
Una maggiore comprensione dei fattori
che possono limitare il successo del trattamento chirurgico del paziente affetto da
ischemia critica degli arti inferiori (ICAI)
comporterebbe necessariamente una migliore selezione dei pazienti ad alto rischio
di fallimento dell’ impianto protesico e di
perdita dell’arto od addirittura della vita.
Nel 1954, Fontaine et al.1 elaborarono
una classificazione clinica dei pazienti affetti da AOAI (arteriopatia obliterante arti inferiori), articolata in 4 stadi di gravità
crescente, in cui gli stadi III e IV rappresentano rispettivamente quello dei pazienti con dolore a riposo senza lesioni cutanee, e quello dei soggetti con dolore a riposo associato a perdite di tessuto (ulcere
o gangrena) a livello degli arti inferiori.
In base a tale classificazione clinica i
pazienti con ICAI possono essere considerati come appartenenti agli stadi III e IV.2
Tuttavia, si comprende facilmente che
negli stadi III e IV di Fontaine può essere
compresa un’ampia gamma di pazienti,
con quadri clinici assai diversi con differenti prognosi, percentuali di rischio operatorio e possibilità di trattamenti terapeutici.
Il termine “ischemia critica” fu coniato
a Londra nel 1981 e da oltre venti anni a
questa parte, diversi sono stati i tentativi
di definire parametri di valutazione univoci ed oggettivi dei pazienti affetti da
ICAI.2,3,4
Poiché si avverte sempre più la necessità di identificare e caratterizzare un
gruppo di pazienti ad alto rischio di am-
putazione d’arto, con valori pressori di
perfusione molto bassi, è stato recentemente suggerito di assumere come parametri di riferimento la pressione arteriosa
alla caviglia inferiore ai 50-70 mmHg e/o
una ridotta pressione all’alluce inferiore a
30-50 mmHg e/o una riduzione della TCPO2 (pressione parziale transcutanea di
O2) al di sotto di 30-50 mmHg. 5
È stato chiaramente dimostrato che
anche i pazienti con un’età superiore ai 75
anni possono essere sottoposti ad interventi di rivascolarizzazione degli arti inferiori, con risultati, in termini di pervietà
dei by-pass e percentuali di salvataggio
d’arto, paragonabili a quelli ottenuti in
pazienti di classe d’età più giovane.6,7
Alcuni Autori descrivono una percentuale di mortalità, dopo intervento per
AOAI (arteriopatia obliterante arti inferioriI) o/e per ICAI (ischemia critica arti
inferiori), significativamente più elevata
nelle donne rispetto agli uomini (44.5%
vs. 29.2%).8,9,10
I risultati di uno studio prospettico,
multicentrico e randomizzato13 condotto in
Italia su 1560 pazienti con ICAI ha evidenziato come la patologia coronarica rappresenti un importante fattore predittivo
della mortalità, a sei e dodici mesi, nei
soggetti sottoposti a rivascolarizzazione
infrainguinale; allo stesso tempo, essa
non condiziona, in maniera statisticamente significativa, i risultati della chirurgia
ricostruttiva arteriosa.
I pazienti con ICAI, con condizioni generali di salute peggiori ed una più estesa
30
Annali degli Ospedali San Camillo e Forlanini 8, 3, 2006
patologia aterosclerotica, manifestano forme più avanzate di patologia coronarica
e/o cerebrovascolare, associate frequentemente a disordini endocrinologici quali soprattutto il diabete.12,13
È stato dimostrato14 che i pazienti con
AOAI sono ad elevato rischio di stroke nel
postoperatorio, in particolare coloro che
hanno già sofferto di ischemia cerebrale.
Una storia clinica di stroke rappresenta
un fattore predittivo indipendente della
mortalità postoperatoria (2 anni).15
Il diabete è associato ad elevate percentuali di mortalità dopo intervento di
rivascolarizzazione degli arti inferiori, così come affermato in alcuni studi, ma in
contrasto con quanto riportato in altri.16,17
ll diabete tuttavia non modifica negativamente le percentuali di pervietà protesica; al contrario, alcuni studi riportano i
migliori risultati proprio nel gruppo di pazienti affetti da tale disordine endocrino.18,19,20
In relazione all’osservazione di percentuali più alte di amputazione d’arto in
soggetti diabetici, è necessario considerare che la causa di tali amputazioni non è
riconducibile al fallimento delle protesi
impiegate, quanto all’insorgere di importanti stati infettivi, difficilmente controllabili, che evolvono rapidamente verso la
necrosi tissutale.21
Una corretta valutazione dell’estensione della lesione ischemica ed, eventualmente, del grado d’infezione a carico dell’arto sembra essere di fondamentale importanza.22
Sfortunatamente, nessun esame clinico
o diagnostico sembra in grado di stimare
adeguatamente l’entità dell’infezione a carico dei tessuti molli e, soprattutto, dell’interessamento delle strutture ossee ed
articolari.23,24
La PCR (proteina C-reattiva) rappresenta un marker di infiammazione acuta
e è inoltre riconosciuta come un indice di
infiammazione cronica, coinvolta nello
sviluppo delle lesioni aterosclerotiche e
delle loro complicanze.25
É stato dimostrato che, nel postoperatorio, un aumento della concentrazione
sierica della PCR al di sopra dei 50mg/l è
predittivo dell’insorgenza di complicazioni
in pazienti con ICAI sottoposti ad intervento chirurgico di rivascolarizzazione degli arti inferiori.26 I pazienti candidati a
tale procedura chirurgica con livelli preoperatori di PCR uguali o superiori a 100
mg/l hanno un rischio aumentato di perdita d’arto ad un anno.27
Il fallimento dei tentativi di salvataggio d’arto, mediante il confezionamento di
bypass distali, in soggetti con elevati livelli sierici di PCR sembra suggerire, così
come evidenziato in pazienti con ischemia
acuta degli arti inferiori,28,29 l’esistenza di
una correlazione tra la PCR e l’entità delle lesioni proprie della ICAI.27
L’insufficienza renale cronica è associata ad un elevato rischio di sviluppo di lesioni aterosclerotiche.30 In particolare, il
dismetabolismo del calcio e del fosforo viene ritenuto la causa di una rapida progressione delle lesioni aterosclerotiche
con deposizione di calcio lungo le pareti
vasali (calcifilassi).31
È stato inoltre suggerito che un aumento della concentrazione sierica di
omocisteina, in pazienti uremici, costituisca un importante stimolo metabolico allo
sviluppo di lesioni steno-occlusive delle
arterie degli arti inferiori.30
In pazienti affetti da insufficienza renale cronica, con lesioni ischemiche e/o infette a carico degli arti inferiori, emerge la
tendenza ad una difficoltosa riepitelizzazione ed ad una progressione dello stato
infettivo; ciò costituisce la principale causa delle elevate percentuali di morbidità e
perdita d’arto registrate in tali soggetti.31
Probabilmente, la ridotta presenza di
tessuto di granulazione a livello delle lesioni ulcerate, asssociata ad una carenza
di collagene in particolare in pazienti uremici e diabetici, può essere giustificata
dalla coesistenza di ipoalbuminemia, malnutrizione, anemia ed eventualmente
somministrazione di farmaci steroidei;
inoltre, in soggetti uremici si assiste ad
una depressione dell’immunità cellulomediata, con linfocitopenia e riduzione
dell’attività fagocitica e chemiotattica.32
Tutti questi fattori, in pazienti con
ICAI sottoposti a dialisi, spesso determinano il fallimento dei tentativi di salvataggio d’arto.33
R. Bartolucci et al.: Analisi dei fattori che influenzano l’outcome
In effetti, se una strategia chirurgica
aggressiva di rivascolarizzazione può determinare percentuali di pervietà protesica e salvataggio d’arto all’incirca del
90%,34,35 solamente pochi pazienti sopravvivono oltre il terzo anno di followup.36,37
È sempre più evidente che uno stato
ipercoagulativo, spesso misconosciuto,
può determinare una trombosi arteriosa
od un’accelerazione della PAOP, che richiede il più delle volte un trattamento
chirurgico.38,39,40,41
La deficienza di antitrombina III, proteina C ed S, l’iperomocisteinemia, la sindrome da anticorpi antifosfolipidi, rappresentano le principali cause di stati ipercoagulativi ereditari ed acquisiti coinvolti
nella patogenesi di lesioni steno-occlusive
arteriose e venose.5,40
La maggior parte di tali stati trombofilici costituisce inoltre un fattore predittivo
indipendente del possibile fallimento di
un impianto protesico di rivascolarizzazione arteriosa38,39,40 ed anche della mortalità postoperatoria39.
Diversi studi42,43 hanno evidenziato che
l’esperienza del chirurgo riveste un ruolo
chiave ai fini dell’ottenimento di buoni risultati nella chirurgia mirata al salvataggio d’arto.
Una limitata esperienza nell’utilizzo
delle tecniche chirurgiche e soprattutto
una scarsa dimestichezza con gli algoritmi decisionali propri del trattamento dei
pazienti con ICAI possono essere responsabili del conseguimento di scarsi risultati, in termini di percentuali di pervietà
protesica e salvataggio d’arto.
In correlazione con quanto affermato, è
stato dimostrato che anche le dimensioni
ed i carichi di lavoro della struttura ospedaliera di riferimento possono influenzare
le percentuali di amputazione d’arto, suggerendo quindi che una centralizzazione
dei servizi specialistici di chirurgia vascolare può ottimizzare i risultati conseguiti
dopo il trattamento chirurgico dei pazienti affetti da ICAI.
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outcome. Cardiovasc Surg 1998; 6: 351-7.
____
Per richiesta estratti:
Dr. Roberto Bartolucci
U.O.C. di Chirurgia Vascolare Ospedale San Camillo, Roma
Tel: 06 58704535, e-mail: [email protected]
ANNALI DEGLI OSPEDALI
San Camillo e Forlanini
Volume 8, Numero 3, Luglio-Settembre 2006
F) L’ISCHEMIA CRITICA NELLE LESIONI AORTO-ILIACHE
CRITICAL LIMB ISCHEMIA IN PATIENTS
WITH AORTO-ILIAC DISEASE
FRANCESCO SPEZIALE, MASSIMO RUGGIERO, ARMANDO PALMIERI, DANILO MENNA
Scuola di Specializzazione in Chirurgia Vascolare II
Università degli Studi La Sapienza - Roma
Parole chiave: Ischemia critica degli arti inferiori, Rivascolarizzazione degli arti inferiori.
Key words: Critical limb ischemia, Lower extremity revascularization.
L’arteriopatia ostruttiva nel segmento
aorto-iliaco spesso coesiste con lesioni anche al di sotto del legamento inguinale. Nonostante la natura diffusa della malattia
arteriosclerotica questa situazione si presenta di solito con una distribuzione segmentaria delle lesioni, potendo essere suscettibile di un trattamento chirurgico risolutivo. Nei pazienti che presentano lesioni
diffuse, a carico del distretto aorto-iliaco e
femoro-popliteo la sola correzione delle lesioni prossimali (inflow) dà spesso un miglioramento clinico soddisfacente per quel
che riguarda i sintomi ischemici. È di fondamentale importanza, quindi, valutare
correttamente l’adeguatezza dell’inflow arterioso. Dall’inizio degli anni ’50, con l’introduzione nella pratica chirurgica dei primi metodi di rivascolarizzazione come la
tromboendoarterectomia e, successivamente, la sostituzione protesica omologa, sono
stati fatti grandi progressi nel trattamento
chirurgico delle arteriopatie periferiche. La
ricerca scientifica dei materiali protesici,
delle tecniche chirurgiche e del trattamento
perioperatorio ha contribuito a migliorare
notevolmente i risultati riducendo le complicanze sia in termini di morbilità che di
mortalità. Le indicazioni al tipo di intervento al quale sottoporre il paziente sono
oggi standardizzate, con la possibilità di effettuare gli approcci chirurgici e le rivascolarizzazioni in maniera diversa a seconda
delle varie situazioni. Pertanto, valutando
correttamente il rischio del paziente ed eseguendo un’appropriata tecnica chirurgica si
può ottenere un buon esito dell’intervento
di rivascolarizzazione con un limitatissimo
stress per il paziente.
La sintomatologia e la storia naturale
della malattia aterosclerotica aorto-iliaca
e femoro-poplitea è influenzata in modo
significativo sia dalla distribuzione delle
lesioni, che dalla loro estensione. Classicamente la si può suddividere in tre tipi a
seconda delle localizzazioni delle lesioni
ateromasiche. Il tipo 1 (5-10%) presenta
lesioni ostruttive limitate alla parte distale dell’aorta addominale ed all’origine delle arterie iliache comuni. Raramente si
manifesta con una sintomatologia ischemica grave. Il tipo 2 (25%) presenta lesioni più diffuse ma limitate alla regione addominale. Il tipo 3 (65%), invece, presenta
una localizzazione molto estesa sia sopra
che sotto il legamento inguinale. I pazienti portatori di quest’ultimo tipo con estese
lesioni plurisegmentarie sono più anziani,
maschi con un rapporto di 6/1, diabetici ed
ipertesi. Hanno, inoltre, un interessamento aterosclerotico multidistrettuale (arterie cerebrali, coronarie e viscerali). Si
tratta di pazienti che presentano una sintomatologia ischemica a carico degli arti
inferiori più grave, con dolore a riposo o
con presenza di lesioni tissutali. In questi
pazienti l’intervento viene effettuato per il
salvataggio d’arto. Si tratta, pertanto, di
pazienti con una spettanza di vita minore
rispetto a quelli con lesioni localizzate
aorto-iliache. I metodi di rivascolarizzazione aorto-iliaca diretta sono quelli che
34
Annali degli Ospedali San Camillo e Forlanini 8, 3, 2006
presentano una pervietà a distanza maggiore. La tecnica più utilizzata è il bypass
aorto-femorale (mono o bi) anche se, in un
certo numero di casi, può essere eseguita
un’endoarterectomia aorto-iliaca. Gli interventi di rivascolarizzazione extra-anatomica in genere vengono riservati ad un
gruppo di pazienti ad alto rischio che non
possono essere sottoposti ad una rivascolarizzazione convenzionale. La scelta dell’intervento più idoneo si basa sulle condizioni generali del paziente, sull’estensione
della malattia aterosclerotica e sull’esperienza del chirurgo. L’endoarterectomia
aorto-iliaca può essere effettuata in un
numero cospicuo di pazienti con un’estensione delle lesioni esclusivamente aortoiliaca (tipo 1). Offre dei vantaggi in quanto non viene adoperato materiale sintetico, per cui l’eventualità d’infezione è praticamente inesistente, ma per essere effettuata necessita di una accurata selezione
delle lesioni. Dalla fine degli anni ’60 è
stato introdotto il bypass che viene utilizzato nella quasi totalità dei pazienti che
necessitano di rivascolarizzazione aortofemorale. Questa procedura è ormai ben
standardizzata nella sua esecuzione. Per
quanto riguarda l’anastomosi prossimale
(termino-terminale o termino-laterale),
più che il tipo di anastomosi, è di fondamentale importanza il principio di effettuarla il più possibile in vicinanza delle
arterie renali perchè questa zona è in genere risparmiata dal processo aterosclerotico. È indispensabile assicurarsi che vi
sia un’adeguato outflow prima di effettuare l’anastomosi femorale specialmente nei
casi in cui l’arteria femorale profonda presenti una stenosi o l’arteria femorale superficiale risulti ostruita. In questi casi si
può effettuare, prima dell’anastomosi,
una plastica della femorale profonda con
eventuale patch di allargamento.
La problematica che ci riguarda più da
vicino è quella di valutare se nei pazienti
con arteriopatia plurisegmentaria diffusa
di tipo 3, con ischemia critica o lesioni trofiche, possa essere sufficiente il solo tratta-
mento della lesione aorto-iliaca. Le prime
esperienze pubblicate che si riferivano a pazienti con questo tipo di arteriopatia, trattati con rivascolarizzazione aorto-femorale,
facevano vedere come nella quasi totalità
dei casi la sintomatologia si risolveva solo
con la rivascolarizzazione prossimale. Rimane comunque una certa quota di pazienti, anche se di difficile identificazione, che
necessitano di una rivascolarizzazione distale combinata. A questo proposito un nostro studio effettuato su 91 pazienti portatori di una arteriopatia aorto-iliaca e femoro-poplitea, operati nel nostro Istituto tra il
1977 ed il 1979, metteva in evidenza come
solo in 4 (4%) pazienti fosse stato necessario
effettuare un intervento combinato di rivascolarizzazione femoro-poplitea per assicurare una sufficiente irrorazione distale. È
quindi necessaria un’accurata valutazione
del paziente in funzione del tipo di trattamento da eseguire, considerando che con
un’appropriata tecnica chirurgica eseguita
correttamente si può prevedere un esito favorevole con un rischio limitato per il paziente, soprattutto in termini di mortalità e
morbilità.
BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE
Atti I Congresso Nazionale della Società Italiana di
Patologia Vascolare, 1979, Roma.
Brewster DC, Darling RC: Optimal methods of aortoiliac reconstruction. Surgery. 1978 Dec; 84(6):
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Malone JM, Moore WS et al: Life expectancy following aortofemoral arterial grafting. Surgery.
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Moore WS, Cafferata HT et al: In difense of grafts
across the inguinal ligament. An evaluation of
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grafts. Ann Surg. 1968 Aug;168(2): 207-14.
____
Per richiesta estratti:
Prof. Francesco Speziale - Chirurgia Vascolare II Università La Sapienza - Viale Policlinico - Roma 00185
ANNALI DEGLI OSPEDALI
San Camillo e Forlanini
Volume 8, Numero 3, Luglio-Settembre 2006
G) LE PROCEDURE “IBRIDE” DI RIVASCOLARIZZAZIONE
HYBRID REVASCULARIZATION PROCEDURES
GIOVANNI BERTOLETTI, MARCO MASSUCCI, ALESSANDRO VARRONI,
VINCENZO GENOVESE, HADI ABI RACHED, GIULIA IANNI, FILIPPO NAPOLI,
GIACINTO MARTINELLI, LAURA CAPOCCIA, ERMANNO NOTARIANNI1, ROBERTO CIANNI1
U.O.C. di Chirurgia Vascolare
U.O.C. di Radiologia Vascolare - Ospedale S. Maria Goretti - Latina
1
Parole chiave: Ischemia critica degli arti inferiori, Rivascolarizzazioni ibride.
Key words: Critical limb ischemia, Hybrid revascularizations.
INTRODUZIONE
L’aterosclerosi è spesso caratterizzata
dal contemporaneo interessamento di distretti arteriosi diversi e talvolta a carattere sequenziale.
L’ischemia critica in particolare comporta un interessamento sia del distretto
aorto-iliaco che di quello femoro-popliteotibiale.
La diffusione della chirurgia endovascolare ha comportato la modifica alle indicazioni di trattamento delle lesioni combinate.1,2,3
L’approccio ibrido, endo-vascolare e
chirurgico, consente il trattamento di lesioni a più livelli nello stesso tempo o in
maniera sequenziale, limita il numero
delle vie di accesso da realizzare,permette
il risparmio di tempo, mantiene inalterata l’efficacia dell’intera procedura.4
Tale approccio consente la ricanalizzazione di segmenti arteriosi a monte o a
valle dell’impianto protesico migliorandone la pervietà.5,6,7
È importante identificare il timing chirurgico in caso di lesioni associate aortoiliache e femoro-poplitee e valutare quali
siano le metodiche di trattamento convenzionale o endovascolare più appropiate in
questi pazienti.
MATERIALI E METODI
Tra Dicembre 2002 e Maggio 2005 abbiamo eseguito presso l’Unità Operativa
di Chirurgia Vascolare dell’Ospedale Civile S. Maria Goretti di Latina 393 rivascolarizzazioni degli arti inferiori (IIb, III e
IV stadio). Di queste 38 (9.6 %) con procedura ibrida. I dati relativi a questa popolazione di pazienti sono riportati nella Tabella 1.L’indicazione all’intervento è stata
l’ischemia critica in 32 casi (84,2 %) e una
claudicatio invalidante in 6 casi (15,8 %)
.Tutti i pazienti sono stati studiati con
ecocolordoppler ed angiografia. Nella tabella II sono riportate il tipo e la sede anatomica delle lesioni. Tutti i pazienti hanno
ricevuto una anestesia periferica. Il follow-up a 1,3,6,12 mesi è stato clinico e
morfologico (ecodoppler e misurazione
dell’indice di Windsor).
RISULTATI
La mortalità peri-operatoria è stata pari a 0. Nel follow-up 2 pazienti sono deceduti per IMA a distanza di 6 e 8 mesi rispettivamente.
Un ematoma localizzato in 2 casi e la
deiscenza di una ferita inguinale costituiscono il gruppo delle complicanze minori.
Il miglioramento dell’inflow è stato ottenuto con metodica chirurgica in 8 pazienti (21,1%) e endovascolare nei rimanenti
30 (78,9 %).
Sono stati eseguiti 4 by-pass iliaco-femorali, 10 Tea (tromboendoarteriectomia)
+ patch d’ampliamento della biforcazione
femorale e 21 rivascolarizzazioni periferiche mediante by-pass. In 3 pazienti è sta-
36
Annali degli Ospedali San Camillo e Forlanini 8, 3, 2006
to confezionato un by-pass femoro-femorale associato a PTA dell’iliaca donatrice.
Come procedure endovascolari sono state eseguite 30 PTA (angioplastica percutanea) stent dell’ iliaca, 5 PTA dell’ AFS (arteria femorale superficiale) di cui 3 con
stent e 3 PTA delle arterie tibiali. Le tabelle 4, 5 e 6 riassumono i dati sopra elencati.
Il follow-up medio è stato di 6 mesi
(min 6, max 18). A livello iliaco si è verificata la trombosi di 2 stent (2/30= 6.6%)
nel follow-up con pervietà della Tea femorale associata.
A livello della AFS si è avuta la trombosi di 2 PTA con stent (Haemobhan)
(2/3=66%) nel primo mese con un quadro
di grave ischemia e confezionamento di
due by-pass femoro-poplitei in VSAI (vena
safena autologa invertita).
Si è verificata la trombosi precoce di 2
by-pass femoro-poplitei trattati con successo mediante trombectomia. In 2 casi il
deterioramento del run-off nel follow up
ha comportato il fallimento delle procedure di rivascolarizzazione con esito in amputazioni maggiori.
La pervietà primaria delle procedure
combinate è stata del 78 %, la pervietà secondaria dell’ 84%.
DISCUSSIONE
La diffusione delle metodiche endovascolari ha permesso l’utilizzo di un approccio combinato, endovascolare e chirurgico, a estese e complesse lesioni
ostruttive aorto-iliache e femoro-poplitee.
L’associazione di lesione aorto-iliaca e
femoro-poplitea viene riportata frequentemente in letteratura con una incidenza
che arriva fino al 70%.8
Naturalmente non tutti i pazienti necessitano di una correzione simultanea ai
due livelli ed è quindi necessaria una selezione accurata dei pazienti. Il ruolo delle singole metodiche nelle lesioni aortoiliache resta controverso in quanto sia il
trattamento endovascolare che chirurgico
presentano indicazioni e controindicazioni
che sono in relazione al singolo caso,9 alle
sue condizioni generali, allo stato anatomico delle lesioni quali l’estensione o la
presenza di calcificazioni.
Il trattamento migliore deve essere
quindi individualizzato e il successo dipende dall’appropiatezza delle metodiche
di indagine e dalla selezione delle lesioni
trattabili.10
A sostegno di questo approccio vanno i
numerosi report pubblicati negli ultimi
anni.1-7
Il by pass aorto-femorale è stato a lungo
considerato come la procedura di scelta per
ottenere un in-flow ottimale11,12,13 nei pazienti con ischemia critica degli arti inferiori.
La mortalità e morbidità associata a
questo tipo di trattamento ne restringe
tuttavia l’indicazione ai pazienti a basso
rischio chirurgico.
Nel corso degli ultimi anni hanno trovato larga diffusione le metodiche endovascolari.
La PTA isolata non è spesso sufficiente
per ristabilire un adeguato in-flow a causa delle complicanze legate alla procedura
(dissezione, embolizzazionre o recoil della
lesione stessa).
L’uso dello stent ha comportato un
profondo cambiamento nell’ approccio alle
lesioni iliache.
Un recente studio retrospettivo su 288
pazienti ha mostrato una pervietà a due
anni del 84%,14 e una metanalisi di Bosch
sull’utilizzo dello stent nelle lesioni aortoiliache mostra un miglioramento della
pervietà primaria e secondaria riducendone i fallimenti tardivi del 39%.15
Brewster nell’89 ha riportato una pervietà a 5 anni del 76% combinando una
PTA femorale ad una ricostruzione distale
infrainguinale.4
Nelson ha utilizzato questo approccio
verso lesioni con morfologia tipo C della
classificazione TASC,16 eseguendo una
PTA + stent dell’arteria iliaca esterna e
una Tea della femorale comune. I risultati evidenziano un miglioramento clinico
nel 97% dei pazienti e una pervietà primaria ad un anno dell’84%.10
A fronte di questi risultati promettenti
con l’ approccio combinato , un recente lavoro di Timaran evidenzia come la ricostruzione vascolare infrainguinale non
migliori la pervietà dello stent iliaco in pazienti in cui le lesioni iliache sono associate a un run-off scarso.17
37
G. Bertoletti et al.: Le procedure “ibride” di rivascolarizzazione
Le lesioni aterosclerotiche a più livelli
e bilaterali possono essere trattate con
una PTA + stenting iliaco associata a bypass femoro-femorale cross-over. Questo
tipo di trattamento trova la sua indicazione in pazienti definiti ad alto rischio e con
addome ostile. La pervietà primaria per
questo tipo di approccio è stata del 96% ad
un anno e dell’85% a 2 e 3 anni per lesioni classificate come tipo B, mentre per lesioni di tipo C la pervietà è stata rispettivamente del 46%, 46% e 31% ad 1, 2 e 3
anni. Gli autori ritengono che la PTA percutanea + stenting associato con il by-pass
femoro-femorale sia una procedura fattibile e con risultati duraturi se la stenosi
dell’asse iliaco donatore è inferiore ai 5 cm
(lesione tipo B), mentre nella lesioni di tipo C l’associazione del by-pass non trova
utilità. Tale approccio è stato utilizzato in
tre casi.
Dall’analisi della nostra esperienza il
timing tra procedura classica ed endovascolare è influenzato dalla necessità di ottenere come primo atto un adeguato inflow: la correzione primaria di lesioni
prossimali è successivamente seguita dalla procedura in grado di ottenere un migliore run-off.
Per le lesioni iliache la PTA con stent è
stata la metodica utilizzata nel 78% dei
casi.
La percentuale di complicanze delle
procedure endovascolari è stata del 10,5%:
due pazienti hanno richiesto la conversione chirurgica in urgenza (trombosi della
AFS su Hemobahn), i by-pass realizzati
hanno evitato interventi demolitivi.
Quattro (4) rivascolarizzazioni chirurgiche sono andate incontro ad occlusione,
2 amputazioni dell’arto inferiore sono state in seguito eseguite in questo gruppo di
pazienti con letto vascolare distale deteriorato.
Nel loro complesso i dati presentati sono incoraggianti: infatti la pervietà complessiva della metodica ibrida è sovrapponibile alle percentuali di pervietà delle singole metodiche utilizzate nel trattamento
di lesioni isolate iliache e femoro-poplitee,
come viene riportato in letteratura.12
CONCLUSIONI
Il migliore trattamento per lesioni complesse arteriose che interessano più livelli
è tuttora oggetto di discussione. Tuttavia,
selezionando i pazienti in base alle caratteristiche anatomiche delle lesioni e al
quadro clinico, è possibile ottenere il miglior risultato combinando il trattamento
tradizionale e quello endovascolare.
Tabella 1. - Dati demografici e fattori di rischio
Maschi
Femmine
Età media
Cardiopatia ischemica
Diabete
Ipertensione
IRC
Fumo
34 (89%)
4 (11%)
72+5,8
27 (71%)
18 (47,3%)
29 (76,6%)
12 (31,5%)
24 (63,3%)
Tabella 2. - Indicazione all’intervento chirurgico
Ischemia critica
Claudicatio invalidante
Totale
32 (84,2 %)
6 (15,8 %)
38
Tabella 3. - Sede delle lesioni e caratteristiche
anatomiche
Iliaca comune
Iliaca esterna
Femorale comune
Femorale profonda
Femorale superficiale
Popliteo-distale
N°
29
8
6
4
19
10
stenosi
22 (75,8 %)
5 (62,5 %)
4 (66,6 %)
4 (100 %)
2 (10,5 %)
7 (70 %)
occlusione
7 (24,2 %)
3 (37,5 %)
2 (33,4 %)
17 (89,5 %)
3 (30 %)
Tabella 4. - Tipo di intervento chirurgico
eseguito
By-pass iliaco-femorale
By-pass fem-fem
Tea femorale
By-pass fem-pop-distale
Totale
4 (10.5 %)
3 (7.9 %)
10 (26,3 %)
21 (55,3 %)
38
38
Annali degli Ospedali San Camillo e Forlanini 8, 3, 2006
Tabella 5. - Tipo di intervento endovascolare
eseguito
PTA e stent iliaco
PTA fem. Sup.
PTA fem. Sup. e stent
PTA vasi infrapoplitei
Totale
30 (78,9 %)
2 (5,3 %)
3 (7,9 %)
3 (7,9 %)
38
Tabella 6. - Tipo di trattamento in base alla
lesione
Iliaca comune
Iliaca esterna
Femorale comune
Femorale profonda
Femorale superficiale
Popliteo distale
N° Trattamento
chirurgico
29 4 (13,8%)
8 3 (37,5%)
6 6
4 4
19 14 (73,6%)
10 7 (70%)
Trattamento
endovascolare
25 (86,2%)
5 (62,5%)
/
/
5 (26,4%)
3 (30%)
P< 0.001
P= NS
P<0,001
P<0,001
BIBLIOGRAFIA
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____
Per richiesta estratti:
Dr. Giovanni Bertoletti
Direttore U.O.C. di Chirurgia Vascolare Ospedale S. Maria Goretti
Via Guido Reni - 04100 Latina
ANNALI DEGLI OSPEDALI
San Camillo e Forlanini
Volume 8, Numero 3, Luglio-Settembre 2006
H) IL CHIRURGO VASCOLARE E L’ISCHEMIA CRITICA:
LE OPZIONI ENDOVASCOLARI
THE VASCULAR SURGEON AND CRITICAL LOWER LIMB ISCHEMIA:
THE ENDOVASCULAR OPTIONS
SONIA RONCHEY, EUGENIA SERRAO, PIERLUIGI COSTA,
CARLO CAVAZZIN, CELESTE IOVINO, NICOLA MANGIALARDI
U.O.C. Chirurgia Vascolare – Ospedale San Filippo Neri - Roma
Parole chiave: Chirurgia endovascolare, Ischemia critica degli arti inferiori.
Key words: Endovascular surgery, Critical limb ischemia.
L’ ischemia critica rappresenta una vera e propria sfida per il chirurgo vascolare: il paziente giunge all’osservazione in
condizioni gravi, di urgenza terapeutica; è
necessario nella gran parte dei casi un approccio multidisciplinare a causa dell’elevata incidenza di comorbidità, per il controllo del dolore ed il trattamento di eventuali infezioni
La scelta terapeutica dipende dal bilancio di diversi fattori, primo fra tutti la
sede delle lesioni quasi sempre multiple;
in secondo luogo bisogna valutare la presenza di procedure pregresse che possono
modo ostacolare il successivo trattamento,
ma soprattutto il rischio operatorio che è
sempre elevato, trattandosi di pazienti
con una sopravvivenza del 50% circa fra i
3 ed i 5 anni dalla diagnosi.1-4
MATERIALE E METODO
Riportiamo la nostra esperienza relativa a 59 pazienti con ischemia critica trattati inizialmente con successo in modo endovascolare.
Tutti i pazienti sono stati valutati con
eco-doppler preoperatorio, l’angiografia è
stata eseguita intraoperatoriamente al
momento della procedura endovascolare.
In 20 casi erano presenti importanti lesioni aorto-iliache associate ad ostruzione
o stenosi dei vasi a valle.
In 39 casi le lesioni arteriose erano localizzate a livello femoro-popliteo e distale; nella gran parte dei pazienti erano pre-
senti lesioni associate: 12 pazienti presentavano lesioni della femorale superficiale
associate a lesioni delle arterie di gamba;
18 lesioni associate della femorale superficiale e della poplitea; 8 occlusioni complete della poplitea in 3 casi associate a lesioni delle arterie di gamba ed 1 paziente,
dializzato, stenosi serrata della poplitea
sottoarticolare e lesioni di tutte le arterie
di gamba.
Il trattamento medico è consistito in una
eparinizzazione intraoperatoria e nei primi
giorni succesivi all’intervento ed in una
doppia antiaggregazione per il primo mese
dopo la rivascolarizzazione (ASA+clopidogrel/ticlopidina), quindi in antiaggregazione semplice.
I pazienti sono stati controllati intraoperatoriamente con angiografia ed ecodoppler e quindi con eco-doppler ad 1,3,6 e
12 mesi dall’intervento. I successivi controlli sono stati stabiliti sulla base della
clinica e dell’eco-doppler. Il follow-up medio è stato di 30 mesi (min. 1 – max. 64).
RISULTATI
Per quanto riguarda le lesioni aortoiliache in 18 pazienti è stata effettuata
una sola ricanalizzazione iliaca mentre in
due casi è stata associata una procedura
di ricanalizzazione della femorale superficiale. In tutti i casi la procedura ha consentito la risoluzione del quadro clinico.
Durante il follow-up si sono verificate 3
occlusioni: in due casi è stato possibile
40
Annali degli Ospedali San Camillo e Forlanini 8, 3, 2006
eseguire una nuova procedura endovascolare mentre in uno è stato effettuato un
bypass femoro-femorale. La pervietà primaria è stata quindi del 81.2%, la pervietà secondaria del 94.4%. Non ci sono
state amputazioni a distanza.
Nel distretto sottoinguinale sono state
effettuate numerose procedure associate
(58.9%): sono sempre state trattate le lesioni poplitee associate, in 5 casi sono state eseguite angioplastiche a livello delle
arterie di gamba. Durante il follow-up si
sono verificati 3 decessi, in 10 casi si è
avuta una occlusione (27.7%): in 4 pazienti è stata eseguita una nuova procedura
endovascolare, in un caso è stato eseguito
un bypass femoro-popliteo ed in 3 un bypass femoro-distale, una paziente non è
stata trattata chirurgicamente per l’elevata comorbidità ed un paziente ha rifiutato
la chirurgia: entrambi sono stati amputati rispettivamente ad 1 e 3 mesi dalla procedura. La pervietà primaria è stata del
72.2% (26/36), la pervietà secondaria del
77.7% (28/36), il salvataggio d’arto dell’83.3% (30/36).
DISCUSSIONE
Nonostante la classificazione TASC
pubblicata nel 2000 abbia sancito la superiorità del trattamento chirurgico tradizionale rispetto al trattamento endovascolare nei pazienti con lesioni lunghe ed
estese, il miglioramento delle tecniche e
dei materiali e la maggiore esperienza degli operatori hanno portato sempre più
spesso negli ultimi anni a trattare in modo endovascolare queste lesioni soprattutto nei pazienti con ischemia critica. Tali
procedure hanno infatti l’indubbio vantaggio di poter essere effettuate in anestesia locale, con minimo trauma chirurgico,
minore morbilità e breve ospedalizzazione
senza compromettere, almeno nella maggioranza dei casi, un eventuale successivo
intervento chirurgico. D’altro canto la chirurgia tradizionale prevede di eseguire
nella gran parte di questi pazienti dei bypass estremi, femoro-distali che necessitano di una assoluta perfezione tecnica, che
sono gravati da un elevato tasso di morbilità, da una lunga degenza postoperatoria
e comunque non sono sempre fattibili per
la mancanza in alcuni casi di una vena di
lunghezza e calibro adeguati.
La selezione anatomica dei pazienti da
trattare rimane uno dei punti cardine del
trattamento: tanto più lunghe ed estese sono le lesioni, tanto più esiste un rischio di
insuccesso e comunque un minor tasso di
pervietà a distanza. Quest’ultimo particolare potrebbe non costituire un problema di
rilievo significativo in questo particolare
gruppo di pazienti che presenta un elevato
rischio di mortalità a breve termine.
Come per la chirurgia i risultati sono
migliori per il trattamento delle lesioni
aorto-iliache: Kudo5 in uno studio effettuato su 138 pazienti con ischemia critica
trattati in modo endovascolare riporta
una percentuale di pervietà secondaria
del 97.8% per le lesioni aorto iliache, del
76.4% per le lesioni femoro-poplitee e del
46.1% per le lesioni distali.
Nel distretto femoro-popliteo la percentuale di successo e di pervietà a distanza
è strettamente legata alla estensione della lesione e, come per la chirurgia, alla
presenza di una adeguato run-off. Molloy6,
in uno studio condotto su 110 pazienti ha
rilevato che la lunghezza media della lesione nei casi trattati con successo era di
19.7 cm mentre era di 28.6 nelle procedure che non erano state seguite da successo
e che il run-off medio era di 1.71 vasi nel
primo gruppo e di 1.29 nel secondo.
Tuttavia in questi pazienti, come del
resto avviene anche per quelli trattati mediante bypass, la pervietà non costituisce
il parametro fondamentale di valutazione;
infatti il salvataggio d’arto a distanza è
abitualmente più alto del tasso di permeabilità.
La tecnica di ricanalizzazione va eseguita in modo transluminale, questo in
realtà nelle occlusioni lunghe si verifica in
una percentuale molto limitata dei casi,
per cui di fatto circa l’80% delle rivascolarizzazioni avviene per via subintimale.
Questa tecnica si rivela particolarmente
utile nel trattamento di lesioni lunghe di
vecchia data, ove consente di creare e
mantenere più facilmente un lume pervio,
nelle lesioni particolarmente calcifiche,
anche se brevi, in caso di fallimento di
S. Ronchey et al.: Il chirurgo vascolare e l’ischemia critica: le opzioni endovascolari
una chirurgia di bypass. Essa garantisce
comunque in mani esperte una elevata
percentuale di successo e di pervietà a distanza. Nella nostra esperienza uno stent
viene impiegato quasi sempre per bloccare gli estremi della dissezione; a livello
iliaco e lungo il decorso della femorale superficiale utilizziamo abitualmente stent
autoespandibili, a livello delle pieghe di
flessione preferiamo utilizzare stent elicoidali che sembrano garantire nel tempo
una maggiore permeabilità ed un minor
tasso di fratture. Il follow-up clinico ed ultrasonografico è fondamentale per individuare precocemente eventuali restenosi
in modo da trattarle prima che si arrivi ad
una nuova occlusione.
In conclusione le tecniche endovascolari hanno risultati a breve e medio termine
soddisfacenti anche se a lungo termine la
letteratura riporta risultati inferiori rispetto alla chirurgia tradizionale;7 tuttavia un eventuale fallimento non sembra
compromettere in modo significativo la
possibilità di un successivo trattamento
chirurgico e l’occlusione del vaso ricanalizzato non sempre coincide con il ritorno
della sintomatologia.
Riteniamo quindi che un tentativo di
ricanalizzazione endovascolare, anche in
considerazione della bassa morbilità di
41
queste procedure, possa essere considerata come prima scelta nei pazienti con
ischemia critica.
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____
Per richiesta estratti:
Dott.ssa Sonia Ronchey - U.O.C. Chirurgia Vascolare
Ospedale S. Filippo Neri - Piazza S. Maria della Pietà, 5 - 00135 Roma
ANNALI DEGLI OSPEDALI
San Camillo e Forlanini
Volume 8, Numero 3, Luglio-Settembre 2006
I) L’ISCHEMIA CRITICA NON RIVASCOLARIZZABILE: RUOLO DELLA
NEUROSTIMOLAZIONE MIDOLLARE - TECNICA D’IMPIANTO
NON-RECONSTRUCTABLE CRITICAL LEG ISCHEMIA:
ROLE OF SPINAL CORD STIMULATION - IMPLANTATION TECHNIQUE
EMILIO D’AVINO
U.O.C. Anestesia e Rianimazione. Dipartimento Cardiovascolare
Azienda Ospedaliera San Camillo-Forlanini - Roma
Parole chiave: Neurostimolazione spinale. Ischemia cronica arti inferiori, Dolore ischemico degli arti inferiori, Dolore neuropatico, Mappa di Barolat.
Key words: Spinal cord stimulation, Chronic leg ischemia, Ischemic limb pain, Neurophatic pain,
Barolat’s map.
INTRODUZIONE
La soluzione terapeutica del dolore
rappresenta una sfida che l’uomo affronta
fin dall’antichità e ad esso si correla, ancora oggi, la gran parte dei motivi di richiesta di consulto medico. Anche se qualcosa resta da definire a proposito dei meccanismi anatomo-fisiologici che sottendono al generarsi del dolore, soprattutto di
quello cronico, molti sono i passaggi definitivamente chiariti.
L’utilizzo delle correnti elettriche a scopo terapeutico ha radici lontane e, molto
prima che si arrivasse alla produzione artificiale di energia elettrica, sono state impiegate le torpedini allo scopo più vario
con applicazioni su muscoli, apparato uditivo, sistema nervoso, cuore etc. Nel controllo del dolore è stata utilizzata l’elettrostimolazione applicata a vari livelli del sistema nervoso: sui nervi periferici,1 nelle
aree subcorticali dell’encefalo2 e naturalmente sul midollo spinale.
L’ elettrostimolazione del midollo è stata introdotta per la prima volta in pratica
clinica nel 1967 da Shealy3 il quale, basandosi sugli studi precedentemente condotti da Melzack e Wall4 in cui era stata
messa a punto la teoria del cancello (Gate
Control Theory), ha posizionato a cielo
aperto, attraverso una laminectomia, degli elettrodi sul midollo spinale. Il princi-
pio era quello di abolire il passaggio dello
stimolo doloroso attraverso la stimolazione di fibre mieliniche (Aß) di grosso calibro che avrebbero attivato, appunto, la
chiusura del “cancello” alle fibre amieliniche (C) di piccolo calibro. La metodica non
ebbe molta fortuna in quegli anni per diversi motivi tra i quali la non adeguatezza dei materiali e l’incostante successo
nell’applicazione clinica. D’altra parte c’era ancora molto da rivedere sui meccanismi della trasmissione nervosa che sosteneva i diversi tipi di dolore e sul ruolo dei
neurotrasmettitori a livello spinale. Dai
primi anni ’80 si è riattivato l’interesse
verso la stimolazione anche grazie alla
possibilità di introdurre l’elettrodo stimolatore con tecnica percutanea evitando
pertanto l’intervento chirurgico5. Ai giorni
nostri, dopo diverse migliaia d’impianti
(15.000/anno c.ca) eseguiti in ogni parte
del pianeta e per numerosi tipi di patologie dolorose, la stimolazione elettrica midollare ed i suoi precisi meccanismi d’azione rimangono ancora in una zona di
penombra pur dimostrando in un’elevata
percentuale di casi un’efficacia non realizzabile con altri presidi terapeutici.
Fisiopatologia della stimolazione cordonale: La stimolazione elettrica dei cordoni posteriori (SCS o Spinal Cord Stimulation), che si è sviluppata come diretta
E. D’Avino: L’ischemia critica non rivascolarizzabile: ruolo della neurostimolazione midollare - Tecnica d’impianto
conseguenza della teoria del sistema di
controllo sull'ingresso spinale, ha seguito
l'ipotesi che la iperstimolazione elettrica
attivi i sistemi neuronali di inibizione dell'
input. Questa ipotesi a sua volta è stata
confermata da una discreta quantità di ricerche soprattutto in ambito animale che
hanno evidenziato:
• Inibizione dei neuroni nocicettori del
corno spinale posteriore;6
• Eccitazione degli interneuroni della sostanza gelatinosa del corno posteriore
con istituzione di un circuito locale inibitorio per l'ingresso degli stimoli nella
via spino-talamica.7
• Inibizione, nell’uomo e nella scimmia,
di neuroni nocicettivi del midollo dorsale, in particolare quelli ad ampio
spettro dinamico (WDR – wide dynamic range) all’interno della lamina V,
con riscontro registrabile tramite potenziali evocati somato-sensoriali.8
Nel 1975 vengono effettuati i primi studi clinici osservazionali per valutare l’effetto della SCS sulla percezione di stimoli
dolorosi e non: si realizza, in caso di stimolazione efficace, un aumento della soglia al tatto ed alla vibrazione ma non
quella al dolore cutaneo.9 Per avere i primi trial con gruppo di controllo si deve
giungere ai primi anni novanta, quando
viene documentata, da parte dell’elettrostimolazione, un’attività antalgica quantificabile.10 Sono stati invocati anche meccanismi di attivazione sovraspinale ma che
sono carenti nello spiegare il protrarsi dell’analgesia dopo la fine della stimolazione11 e anche la possibile attivazione dei
peptidi oppioidi sarebbe da escludere in
quanto l’analgesia non viene antagonizzata dal naloxone.12
Secondo le più recenti teorie, che vedono
coinvolte nella trasmissione del dolore, numerose sostanze neuromodilatatrici, la
SCS ecciterebbe, con meccanismo GABAmediato, la sostanza gelatinosa del corno
posteriore istituendo un circuito locale inibitorio per l’ingresso degli stimoli nella via
spinotalamica.13 La liberazione di acido
gamma-amino-butirrico (GABA) e di glicina (GLY) è uno dei meccanismi di inbizione
locale metamerico che intervengono nel
43
complesso meccanismo di neuromodulazione metamerica della trasmissione dolorosa
confermato da numerosi studi sperimentali e clinici: l’azione della SCS viene rapidamente annullata da somministrazione, nel
ratto, di GABA-antagonisti14 mentre nell’uomo e nel modello animale l’infusione intratecale di Baclofen, agonista GABAB, potenzia l’azione della SCS.15
Ulteriori meccanismi chiamati in causa
possono essere:
• l’attivazione di vie analgesiche discendenti a partenza dalla sostanza grigia
periacqueduttale (PAG)16 e
• un rilascio di sostanze neuromodulatrici quali la serotonina (5-HT) e la sostanza P.17
Indipendentemente dai meccanismi
coinvolti il dato certo è che la sovrapposizione delle parestesie indotte sulle aree
dolorose è un requisito indispensabile per
il funzionamento della stimolazione cordonale.18
Altrettanto complessa rimane l'interpretazione fisiologica dell'effetto della SCS
sulla vascolarizzazione periferica: sono allo studio diverse ipotesi ma nessuna di
queste ha dato ancora un esito sufficientemente esplicativo. Un elemento accertato
è l’azione sul bilancio fornitura/fabbisogno
di ossigeno a favore del primo ovvero un’effetto ”antischemico”.19
I tipi di dolore predominante nella malattia vascolare periferica sono:
• un dolore ischemico profondo con componente “neuropatica” dovuta al danno
tessutale nervoso
• un dolore superficiale proveniente dall’area delle aree ischemiche, ulcerate e
non.
Entrambi i tipi di dolore sono sensibili
agli oppioidi, il dolore profondo viene alleviato dalla SCS come la gran parte dei dolori neuropatici mentre quello superficiale
viene mascherato dalle parestesie. Il primo risponde in alcuni giorni e non riappare immediatamente dopo la sospensione
del trattamento mentre il secondo risponde in pochi minuti ma la sua durata è contestuale alla stimolazione.
44
Annali degli Ospedali San Camillo e Forlanini 8, 3, 2006
Gli impulsi dello stimolatore midollare
si distribuiscono sia in senso ortodromico
(parestesie) che antidromico (inibizione
delle vie nocicettive A-∂ e C). Quest’ultima
azione potrebbe interessare, a livello segmentario i tratti autonomici dell’ area grigia periacqueduttale che regolano il tono
simpatico periferico e pertanto contrastare l’attività vasocostrittrice. A sostegno di
questa interpretazione ci sono evidenze
sperimentali (effetto abolito dalla simpaticectomia) che contrastano con dati clinici (effetto mantenuto in pazienti precedentemente simpaticectomizzati).
Un secondo effetto di vasodilatazione
documentato, in particolare con stimolazione ad alta soglia, è legato al rilascio di sostanze vasoattive, in particolare di Calcitonina-gene related peptide (CGRP) che agirebbe favorendo la produzione locale di ossido nitrico (NO) potente vasodilatatore.20
Le molteplici carenze interpretative
hanno determinato, nel passato, un duplice effetto negativo:
• ad un iniziale eccessivo entusiasmo circa
l'efficacia di questo strumento che ha inevitabilmente comportato un utilizzo esteso e a volte non esattamente congruo, con
un’elevata incidenza di insuccessi ha fatto seguito, un diffuso scetticismo al riguardo con un lungo periodo di sottoutilizzo.13 La selezione accurata dei pazienti
rimane uno dei momenti cruciali nel realizzare gli obbiettivi della procedura.21
La malattia vascolare periferica non
suscettibile di trattamento chirurgico rimane a pieno titolo tra le indicazioni alla
SCS soprattutto nei paesi europei dove
rappresenta il campo principale di applicazione. Numerosi studi confermano un
ottimo recupero delle lesioni trofiche, un
documentato aumento della perfusione
capillare, una significativa riduzione delle
amputazioni ma soprattutto nel 60-100%
dei pazienti un deciso miglioramento della sintomatologia dolorosa (pain relief).22
COMPONENTI E METODICA
DI POSIZIONAMENTO
Lo stimolatore midollare è costituito
dall’assemblaggio di più componenti:
1. L’ elettrocatetere che viene alloggiato
nello spazio peridurale con la sua estremità fornita di un numero variabile di
elettrodi (da 4 a 8) e attraverso il quale
si realizza la stimolazione elettrica del
midollo spinale. Può essere inserito per
via percutanea, attraverso un ago di
Thuoy, oppure con accesso chirurgico
mediante laminectomia.
2. L’estensione da collegare al catetere, di
lunghezza variabile, che verrà tunnellizzata nel fianco del paziente e dalla
quale ci si potrà connettere al generatore di impulsi temporaneo o definitivo.
3. Il generatore di impulsi (IPG) che può
essere di due tipi: completo di batteria
o a radio frequenza. Il sistema completo di batteria è totalmente impiantabile e certamente più comodo per il paziente che può variare alcuni parametri o spegnerlo con sistema telemetrico.
L’inconveniente è legato all’esaurirsi
della batteria che ne impone la sostituzione entro 3-6 anni.
4. Il sistema Ricevitore/Antenna fa parte
solo dei sistemi a radio-frequenza. Il ricevitore, di morfologia simile alle batterie impiantabili e connesso all'elettrocatetere dall'estensione, viene posizionato in una tasca sottocutanea; l'antenna, a sua volta collegata ad un trasmettitore esterno, viene “indossata”
dal paziente sulla zona di cute sovrastante il ricevitore. Vengono impiegati
in casi in cui si prevede un grosso consumo energetico che richiederebbe frequenti sostituzioni.
L'impianto di uno Stimolatore Midollare avviene in tre fasi distinte:
• I fase: in camera operatoria, dopo la
somministrazione di antibioticoprofilassi, si effettua, in anestesia locale, il
posizionamento dell'elettrocatetere.
Il paziente viene posizionato prono su
tavolo radiotrasparente in modo da poter sopportare la postura per il tempo
necessario. La posizione laterale è certamente più comoda per il paziente ma
lo è un po’ meno per l’operatore, viene
riservata di solito alla puntura del tratto cervicale.
Con ago di Thuoy e la tecnica del man-
E. D’Avino: L’ischemia critica non rivascolarizzabile: ruolo della neurostimolazione midollare - Tecnica d’impianto
drino liquido viene rilevato lo spazio
epidurale nel tratto che interessa la
stimolazione e, sotto guida fluoroscopica, si fa avanzare il catetere di stimolazione. L’accesso allo spazio epidurale
può essere effettuato per via mediana o
laterale paramediana, nel primo caso
può risultare difficoltosa la guida del
catetere verso la regione che interessa
stimolare mentre nell’altro approccio,
meno agevole, si deve inserire l’ago da
uno spazio più in basso a quello che si
vuole raggiungere.
Nelle vasculopatie degli arti inferiori
con dolori e ulcere a carico dei piedi la
regione da stimolare (“sweet spot placement”) è di solito tra T11 e L1 con
una posizione leggermente spostata
dalla linea mediana verso il lato interessato. In caso di malattia estesa ad
entrambi gli arti si dovrà optare per la
posizione mediana con una possibile
perdita di efficacia.
Per aver un risultato soddisfacente è
indispensabile rifarsi alle indicazioni
fornite dal paziente in modo da avere
sovrapposizione delle parestesie indotte sulla distribuzione del dolore.
In caso di elettrocateteri piatti multipolari, riservati di solito a forme di dolore cronico complesso, si deve ricorrere ad intervento chirurgico.
In questo caso, se non è possibile eseguire l’anestesia locale, si dovrà collocare l’elettrodo su indicazioni anatomiche riservandosi di agire sulle possibili
combinazioni tra gli elettrodi. Il vantaggio indiscutibile dell’approccio chirurgico sta nella stabilità dell’elettrocatetere.
Qualsiasi tipo di catetere (percutaneo o
piatto) viene allocato di fronte alle colonne dorsali, con il raggio di azione parallelo alla corda spinale, essendo il
target da stimolare le fibre A-ß che ivi
decorrono. Oltre che sulle colonne dorsali si può avere una stimolazione a carico delle radici dorsali la quale, oltre a
non evocare parestesie segmentarie,
può generare sensazioni sgradevoli e
contrazioni muscolari riflesse, all’aumentare del voltaggio. Questo voltaggio costituisce una sorta di soglia di di-
45
scomfort e definisce il punto più alto
del range terapeutico il quale a sua volta inizia al valore di soglia di percezione delle parestesie.
Più è ampio il range terapeutico e migliore è la qualità della stimolazione.
Due fattori incidono sull’ampiezza di
questo valore: la separazione anodo-catodo nel catetere e la distanza di questo
dal cordone midollare. Uno spazio ravvicinato tra i dipoli migliora la precisione della soglia contenendo la dispersione dello stimolo alle radici dorsali: a
questo scopo sono stati prodotti cateteri con distanza interpolare di 6-7 mm
in aggiunta a quelli più comuni con distanza di 9-10 mm.
La distanza tra catetere e midollo ha
una grande variabilità intersoggettiva
e risente anche della regione anatomica in cui viene posizionato l’elettrodo.
Purtroppo non ci sono linee guida in
letteratura ma dal lavoro di Law e Miller23 si deriva la necessità di realizzare
la parestesia per avere un’efficacia di
risultato. Su questa base s’inserisce l’originale ricerca di Barolat24 mirata a costruire una mappa cui far riferimento
per posizionare l’elettrodo sulla zona in
cui si ricerca l’effetto.
È interessante notare, in questo lavoro
effettuato su più di cento pazienti sottoposti a SCS, la particolare variabilità
anatomica per cui, posizionando un
elettrocatetere nello stesso punto in
due pazienti diversi, non sempre si possono evocare le stesse parestesie.
Dalla frequenza con cui ciò avviene Barolat, dopo aver diviso le aree del corpo
in venti sottozone, ha disegnato una
“mappa” (Fig.1) con aree di colore diverso corrispondenti alla percentuale
con cui si realizza la stimolazione di
una determinata zona.
Dalla semplice osservazione di questa
mappa si può rimanere sorpresi notando che, seppure occasionalmente, con
un catetere che stimola a livello toracolombare si può evocare una parestesia
del braccio. La sorpresa è decisamente
minore in coloro che hanno alle spalle
una discreta esperienza nella pratica
della SCS.
46
Annali degli Ospedali San Camillo e Forlanini 8, 3, 2006
Una volta effettuato il test di stimolazione intra-operatorio, l'operatore raccorda con l'elettrocatetere l'estensione
temporanea, che viene tunnellizzata
nella regione postero-laterale del fianco
e collegata ad un generatore esterno.
• II fase: Il paziente può essere dimesso
in regime di day-hospital dopo avergli
fornito alcune raccomandazioni sulla
necessità di non effettuare piegamenti,
torsioni del busto o sforzi fisici. Questa
è la cosiddetta fase di trial provvisorio
durante la quale viene monitorizzata la
reale efficacia del presidio: durante i
controlli si può agire sullo stimolatore
esterno modificando l’ampiezza (in genere da 1.0 a 2.5), la frequenza (tra 70
e 120) e la durata della pulsazione (di
solito tra 180 e 450 microsec).
Si può istruire il paziente in tal senso
poiché al variare della posizione, ad
esempio da seduto a supino, lo stimolo
può aumentare di ampiezza e diventare fastidioso oppure la notte, se il paziente non ha dolore, può decidere di
spegnere il device.
Il trial può durare da 1 a 4-5 settimane,
a seconda delle abitudini del centro di
terapia, di solito si preferisce un periodo superiore ai 15 giorni.
• III fase: impianto definitivo in quei pazienti che abbiano risposto con successo
e soddisfazione alla stimolazione. È fondamentale che il paziente condivida
questa soddisfazione ed accetti la convivenza con le parestesie quando queste
sono in grado di ridurre od eliminare il
consumo di analgesici. L’impianto viene
effettuato in camera operatoria in anestesia locale ed eventuale ausilio di una
lieve sedazione. Va prestata la massima
attenzione durante la manipolazione
del cavo temporaneo ad una possibile
dislocazione dell’elettrocatetere, verificare che le nuove connessioni siano efficaci e soprattutto eseguire tutta la manovra in una rigorosa asepsi.
CONTROINDICAZIONI
Fattori che controindicano l'impianto
di uno stimolatore midollare possono essere le affezioni psichiatriche (disturbi della
personalità, disordini psicologici maggiori, tossico- o farmacodipendenza, i disturbi della coagulazione, le sindromi da immunodeficienza, gli obbiettivi di risarcimento. La presenza di altri stimolatori
elettrici quali il PMK cardiaco non è più
una controindicazione assoluta se vengono prese alcune misure di cautela. È fondamentale per l'ottimizzazione del trattamento, che la selezione dei pazienti si incentri, oltre che sulla diagnosi e l'esame
obbiettivo, anche sulla loro valutazione
psicologica25 e che il trattamento a lungo
termine preveda anche un follow-up da
parte di uno psicologo specializzato in terapia del dolore.
Già nel 1981, Long sosteneva che i fattori psicologici costituiscono la principale
ragione di insuccesso dello SM26. Spesso
nella terapia del dolore cronico, le aspettative del paziente (e, a volte, quelle del
medico) possono influenzare profondamente l'esito del trattamento; per questo,
fin dall'inizio, deve essere chiaro al paziente e al medico che la SCS non cura la
patologia responsabile del dolore, ma mira ad interferire con le anomalie di conduzione e di trasmissione dello stesso; l'obbiettivo può non essere la completa risoluzione della sindrome dolorosa, bensì il
raggiungimento di un livello di dolore sopportabile, la possibilità di svolgere le normali attività quotidiane e, se possibile,
una riduzione/sospensione del supporto
farmacologico.
COMPLICANZE
La vita media degli impianti varia da
Centro a Centro e anche nelle diverse patologie: tra i motivi più comuni di rimozione si annotano le infezioni e l’insuccesso
terapeutico per dislocazione del catetere.
Quando non si verificano queste due condizioni si può sviluppare un fenomeno descritto come tolleranza. Si parla di tolleranza quando, pur continuando le parestesie nella zona bersaglio, il sollievo del
dolore, inizialmente presente in grado
soddisfacente, risulta in seguito ridotto o
perfino assente. La tolleranza può insorgere dopo i primi 2 anni ma il suo meccanismo fisiopatologico non è ancora stato
esaustivamente descritto.
E. D’Avino: L’ischemia critica non rivascolarizzabile: ruolo della neurostimolazione midollare - Tecnica d’impianto
Kumar13 individua essenzialmente 2
principali processi fisiopatologici:
• evoluzione fibrotica del tessuto connettivo intorno alla punta dell'elettrocatetere, che viene così isolata dalla dura;
• neuroplasticità delle vie ascendenti nocicettive e riorganizzazione delle vie di
percezione del dolore.
L'eventuale assunzione di farmaci, di
per sé, non depone contro l'efficacia di questa procedura, in quanto una problematica
complessa come il dolore cronico necessita
di un approccio terapeutico multimodale e
l'evidenza clinica di sinergismo fra SM e
terapia farmacologica è ormai accettata.
CONCLUSIONI
Quando si analizza la SCS si tende a
semplificare parlando di stimolazione
della corda dorsale ma è evidente che
quello che si realizza è qualcosa di più
complesso. Sulla sua reale efficacia nel
trattamento dell’ischemia critica non rivascolarizzabile si esprime una rassegna
recente della Cochrane Library26 che conclude affermando un reale vantaggio sulla terapia tradizionale per quel che riguarda il sollievo dal dolore e il salvatag-
47
gio d’arto malgrado ci siano molti studi
retrospettivi e pochi trial randomizzati.
Sull’altro piatto della bilancia si attestano i costi (che sono più elevati) e gli insuccessi (che sono ancora molto frequenti). Per quello che riguarda questi ultimi
il revisore attribuisce una certa responsabilità alla frammentazione della procedura (tanti Centri con casistiche esigue)
e consiglia di riservarla a Centri specializzati.
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26. Ubbink DT, Vermeulen H Spinal cord stimulation for non-reconstructable chronic critical leg
ischaemia. Issue 3 The Cochrane Library 2003.
____
Per richiesta estratti:
Dr. Emilio D’Avino - Ospedale S. Camillo - U.O.C. Anestesia e Rianimazione - A.O. San Camillo-Forlanini
Circonvallazione Gianicolense - 00152 Roma
ANNALI DEGLI OSPEDALI
San Camillo e Forlanini
Volume 8, Numero 3, Luglio-Settembre 2006
L) L’ISCHEMIA CRITICA NON RIVASCOLARIZZABILE:
RUOLO DELLA NEUROSTIMOLAZIONE MIDOLLARE.
INDICAZIONI
NON-RECONSTRUCTABLE CRITICAL LEG ISCHEMIA:
ROLE OF SPINAL CORD STIMULATION - INDICATIONS
FABIO DI CESARE
Unità Operativa di Chirurgia Vascolare
Azienda Ospedaliera San Camillo-Forlanini - Roma
Parole chiave: Ischemia critica arti inferiori, Stimolazione midollare.
Key words: Critical leg ischemia, Spinal cord stimulation.
INTRODUZIONE
Il trattamento dell’ischemia critica degli arti inferiori (CLI) rappresenta un capitolo della chirurgia vascolare molto
complesso. I pazienti, affetti da localizzazione pluridistrettuale della malattia aterosclerotica, sono spesso ad alto rischio
chirurgico per la presenza di multiple patologie associate, di età avanzata e con
quadro anatomo-chirurgico complesso. Il
10-30% dei pazienti con CLI muoiono in
media a 6 mesi dalla diagnosi ed un altro
25-35% andrà incontro ad amputazioni
maggiori (Trans Atlantic Inter-Society
Consensus 2000).1
La terapia di scelta della CLI è la rivascolarizzazione chirurgica, la sola spesso in
grado di risolvere la sintomatologia dolorosa invalidante e la guarigione e/o delimitazione delle lesioni ischemiche necrotiche.
Esiste una categoria di pazienti per i
quali la scelta chirurgica è infruttuosa e la
terapia medica non sufficiente ad alleviare la sintomatologia dolorosa; alcuni pazienti, inoltre, non possono essere proposti per l’intervento chirurgico per le estese
localizzazioni anche periferiche della malattia aterosclerotica. Per un sottoinsieme
di pazienti affetti da ischemia critica apparentemente non è individuabile una valida possibilità terapeutica in grado di liberarli dal dolore profondo per lo più persistente e che possa garantire un buon risultato a medio termine. Un 20% circa di
pz con CLI non sono rivascolarizzabili per
impossibilità tecnica o per presumibile insuccesso chirurgico.2
La neurostimolazione midollare (spinal
cord stimulation – SCS) è stata per prima
descritta nel 19653 e successivamente accettata per il trattamento del dolore neurogenico. La prima pubblicazione che riguardava l’uso della SCS per il trattamento della
CLI risale al 19764. In seguito diverse esperienze sono state proposte, alcune con rilievi
positivi, altre con riscontri meno ottimistici
(riduzione nell’assunzione di antidolorifici
orali - Spieglmann (1991)5; Mingoli (1993)6;
Tesfaye (1996)7; miglioramento nell’autonomia di marcia - Tallis (1983)8; incremento
della temperatura cutanea (termografia) Augustisson (1985)9; Broseta (1986)10; miglioramento nella qualità di vita - Fiume
(1989)11; Spiegelmann (1991)5; Linderoth
(1992)12; Rickman (1994)13; Tesfaye (1996)7.
MECCANISMO D’AZIONE
DELLA NEUROSTIMOLAZIONE
L’uso della SCS si basa più su osservazioni empiriche che su dimostrazioni fisiopatologiche avvalorate da riscontri sperimentali.
Il dolore ischemico riconosce due componenti:
- dolore profondo, da sofferenza ischemica nervosa sensoriale
- dolore superficiale, dalle aree delle zone necrotiche
50
Annali degli Ospedali San Camillo e Forlanini 8, 3, 2006
Il dolore profondo sarebbe alleviato
dalla stimolazione elettrica, quello superficiale mascherato dalle parestesie.
L’azione antiischemica della stimolazione midollare sarebbe determinata da
un’azione modulante sul sistema nervoso
simpatico (vasodilatazione)
Una ipotesi è quella del Gate Control:
la stimolazione elettrica delle fibre nervose di grande diametro inibirebbe la trasmissione dello stimolo doloroso a livello
superiore.
Jacobs et al.2 hanno studiato un possibile effetto della SCS sul microcircolo tramite osservazione con la microscopia capillare.
- Il numero dei capillari perfusi incrementa notevolmente dopo SCS mentre
il diametro dei capillari non varia.
- La velocità media dei globuli rossi incrementa in maniera significativa dopo
SCS (0,088 mm/sec vs 0,496 mm/sec
p<0,001)
Gli insuccessi della terapia sono in relazione all’assenza di un letto capillare
idoneo; tale situazione non è modificabile
dalla SCS.
Anche secondo Ubbink et al.14 la stima
del microcircolo a livello cutaneo è predittiva della possibilità di un’imminente amputazione nella CLI. I pazienti che possono beneficiare della SCS è il sottogruppo
con una circolazione “intermedia”.
Il rilievo della ossimetria transcutanea
TcpO2 è stata da molti proposta come metodica per la selezione dei pazienti, in particolare da Amann et al.15 I criteri di selezione per SCS sono:
- TcpO2 10-30 mmHg; TcpO2 < 10
mmHg ma responsivi al periodo di test
stimulation
- Positività della risposta clinica dopo
periodo di test stimulation
Con questa selezione è stato raggiunto
un 78% di salvataggio d’arto in pazienti
non rivascolarizzabili.
La TcpO2 può indicare la presenza di un
microcircolo ancora relativamente valido.
CRITERI DI INCLUSIONE
I pazienti candidati all’impianto di
neurostimolatore midollare devono essere
affetti da CLI di natura aterosclerotica
non rivascolarizzabile; assenza di lesioni
ischemiche gangrenose estese; assenza di
dipendenza da alcool e droghe; assenza di
controindicazioni per l’impianto (sepsi,
coagulopatie, ecc.); consenso informato del
paziente.
Sono esclusi i pazienti con disordini vascolari di natura non aterosclerotica, la
presenza di problematiche psichiatriche
e/o psicologiche di rilievo, la possibilità di
adottare terapie alternative meno invasive e meno costose, l’impossibilità tecnica
di impiantare l’elettrodo epidurale, la presenza di patologie quali sepsi, coagulopatie, neoplasie o condizioni che riducano
l’aspettativa di vita a meno di un anno, il
rifiuto da parte del paziente.
Per il raggiungimento di elevate percentuali di successo è importante seguire una
corretta metodica d’impianto e un’attenta
monitorizzazione durante il periodo di prova. Tale periodo può durare 15-30 giorni e
serve a valutare la reale efficacia clinica
della SCS; se l’impianto dell’elettrodo sortisce effetti positivi con remissione della sintomatologia dolorosa, si procede all’impianto del neurostimolatore definitivo. È necessario selezionare accuratamente i pazienti
agli stadi CLI con ulcere di diametro minore ai 3 cm per attendersi percentuali di successo nel 50 - 70% dei casi trattati e con microcircolo ancora “presente”
L’impianto dell’elettrocatetere deve essere corretto (parestesie nella zona algica);
bisogna accertarsi che il paziente abbia lo
stimolatore esterno di prova sempre acceso. La selezione dei pazienti deve essere accurata; i pazienti devono essere allo stadio
di CLI e con ulcere < 3 cm; solo in tal modo
è possibile attendersi percentuali di successo nel 50 - 70% dei casi trattati.
La riduzione della sintomatologia dolorosa di almeno il 50% con demarcazione
delle aree da amputare, con conseguente
salvataggio d’arto, può essere considerato
un successo terapeutico.
RISULTATI
Lo studio più significativo è quello della Cochrane review: Spinal cord stimulation for non-reconstructable chronic critical leg ischaemia. Ubbink DT, Vermeulen
H – 200316.
F. Di Cesare: L’ischemia critica non rivascolarizzabile: ruolo della neurostimolazione midollare. Indicazioni
Si tratta di una review su trial randomizzati controllati e trial clinici controllati aventi
• Obiettivio primario: salvataggio d’arto;
• Obiettivi secondari: riduzione del dolore, guarigione delle ulcere, complicanze
dell’SCS, qualità della vita, costi.
Il criterio di inclusione è stato la malattia aterosclerotica allo stadio CLI non
rivascolarizzabile. U e D > 18 anni.
Dalla review dei lavori, di cui 5 studi nazionali (Belgio - Suy 1994, Svezia - Jivegard
1995, Germania - Claeys 1996, Danimarca
– 1 ESES 2 Spincemaille 2000) e 1 studio
internazionale – SCS EPOS Amann 2003,
per complessivi 444 pazienti, i risultati
emersi sono stati i seguenti:
- Gli studi Svedese, Belga, Tedesco,
ESES non hanno rilevato differenze
statisticamente significative, nel salvataggio d’arto, dopo 12, 18, 24 mesi di
follow-up anche se vi è stata una tendenza positiva vs SCS group. Questa
tendenza è risultata più importante nel
sottogruppo di pazienti selezionati in
base alla TcpO2.
- Nello studio SCS-EPOS la differenza
cumulativa nel salvataggio d’arto è stata significativamente migliore nell’SCS
group (p=0,003); in particolare nel sottogruppo dei pazienti selezionati in base alla TcpO2 e responsivi al periodo di
stimolazione di prova (p=0,002)
- Il trattamento del dolore è risultato significativamente migliore nell’SCS
group. In particolare, l’SCS group ha necessitato di minore quantità di farmaci
analgesici narcotici e non narcotici.
- Negli studi di Claeys e Suy i pz passati
dallo stadio di CLI allo stadio di claudicatio sono risultati più numerosi nell’SCS rispetto al trattamento conservativo (p=0,0014)
- Due studi hanno riportato una migliore
guarigione delle ulcere ischemiche nell’SCS group (Claeys p=0,013), in particolare nei pz normotensivi.
- Costi:
- L’ESES studio ha confrontato i costi
considerando l’ospedalizzazione, la riabilitazione, lo stimolatore, le procedure
chirurgiche di impianto, le medicazioni
in 2 anni:
51
- SCS group 36.500 Euro
- conservative group 28.600 Euro
p<0,009
Le conclusioni dei revisori sono state
che c’è evidenza che la SCS è migliore del
trattamento conservativo nel ridurre il rischio d’amputazione d’arto, la remissione
della sintomatologia dolorosa ed il miglioramento clinico nei pazienti con CLI non
rivascolarizzabile. L’effetto positivo della
SCS appare essere migliore nei pazienti
con accettabile TcpO2 e dopo buona risposta al periodo di stimolazione di prova. In
tal senso, la SCS dovrebbe essere limitata
ad un sottogruppo ristretto di pazienti con
CLI non rivascolarizzabile.
In particolare Amann, nel suo SCSEPOS study del 2003 15 ha evidenziato
l’importanza della determinazione della
TcpO2. Ha trattato 112 pz con CLI; 52% al
III° stadio 48% al IV° stadio, non rivascolarizzabili, secondo i seguenti criteri di selezione per SCS:
- TcpO2 10-30 mmHg; TcpO2 < 10
mmHg ma responsivi al periodo di test
stimulation
- Positività della risposta clinica dopo
periodo di test stimulation
Con questa selezione è stato raggiunto
un 78% di salvataggio d’arto in pazienti
non rivascolarizzabili. La TcpO2 può indicare la presenza di un microcircolo ancora
relativamente valido.
CONCLUSIONI
In categorie di pazienti non rivascolarizzabili e non rispondenti alla terapia
medica può essere presa in considerazione
la neurostimolazione midollare.
La selezione dei pazienti è fondamentale per ottenere buoni risultati a medio
termine.
Un criterio di selezione si può basare
sulla TcpO2 (valutazione indiretta del letto capillare) in aggiunta alle considerazioni di carattere clinico.
L’elettrostimolazione midollare può essere utile nel trattamento di pz selezionati con ischemia critica non candidabili all’intervento di rivascolarizzazione
• Non comporta alcuna interruzione
temporanea o permanente del percorso
nervoso
52
Annali degli Ospedali San Camillo e Forlanini 8, 3, 2006
• La procedura è reversibile e la risposta
del pz può essere verificata prima dell’impianto permanente
• I criteri per determinare l’efficacia della
metodica sono clinici (scomparsa del dolore e guarigione, anche parziale, delle
lesioni trofiche). Di solito si assiste anche
ad un miglioramento della TcpO2
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16. Ubbink DT, Vermeulen H. Spinal cord stimulation for non-reconstructable chronic critical leg
ischaemia. Issue 3, The Cochrane Library.
____
Per richiesta estratti:
Dr. Fabio Di Cesare - U.O.C. di Chirurgia Vascolare
Ospedale S. Camillo - Circonvallazione Gianicolense - 00152 Roma
ANNALI DEGLI OSPEDALI
San Camillo e Forlanini
Volume 8, Numero 3, Luglio-Settembre 2006
Articolo originale
INDICAZIONI PARTICOLARI ALL’IMPIEGO DELLA TCms TORACICA
NELL’AMBULATORIO PER LA TERAPIA DEL TABAGISMO
SPECIAL INDICATION TO THE USE OF THE CTms
IN THE OUTPATIENT’S
DEPARTMENT FOR THE SMOKING CESSATION
ROSASTELLA PRINCIPE, 2FRANCESCO QUAGLIARINI, 3GIORGIO MANCINI
1
III U.O.C. Pneumologia, 2U.O.C. Radiologia Generale, 3U.O.C. Fisiopatologia Respiratoria
Azienda Ospedaliera San Camillo-Forlanini - Roma
1
Riassunto. Per valutare l’utilità della TCms(Tomografia Computerizzata multistrato) nella diagnostica delle malattie polmonari, in fumatori con normali indici delle funzioni respiratorie e negatività
della radiografia del torace 17 pazienti inseriti nell’ambulatorio per la terapia del tabagismo hanno
seguito il corso antifumo per un anno ed al controllo finale hanno ottenuto un’alta percentuale di sospensione (76%): questa percentuale è più alta di quelle presenti in letteratura (approssimativamente 30%). È da ritenere che l’alta incidenza di patologie, anche se in fase iniziale, che la TCms ha
permesso di identificare ha rafforzato la motivazione a smettere di fumare. Questa evidenza implica uno studio numericamente ampio per definire il costo-beneficio della TCms, peraltro da destinare soltanto a fumatori decisi a seguire una terapia antifumo.
Parole chiave: Fumo, Cessazione dal tabagismo, Tomografia Computerizzata Torace.
Summary. To estimate the usefulness of the CTms (Computed Tomography) in the diagnostic assessment of smokers with or without clinical symptoms of pulmonary diseases but with normal indexes of respiratory functionality and X ray thorax negative, 17 patients smokers were introduced
to the “ therapy of the tabagism Departement” and followed the antismoking course for 1 year and
in follow-up examination they obtained an high percentage of suspension (76.2%); this rate is higher
than literature percentages (approximately 30%) . We think that the high incidence of pathologies,
even in the early phases, that the CTms has allowed us to identify, has strengthened the patients’
motivation to stop smoking. This evidence deserves a wider numerical study in order to justify the
cost-benefit of the CTms: however this exam should be proposed only for smokers confirmed to follow the antismoking therapy.
Key words: Smoking, Tobacco-use cessation, Tomography, X-Ray Computed, Chest.
INTRODUZIONE
Ridurre oggi a metà il consumo di sigarette vuol dire prevenire nell’anno 2020
almeno di 1/3 le morti correlate al fumo:
entro il 2050 tali morti verrebbero dimezzate, praticamente evitando fra i 7 ed i 10
milioni di morti previsti per l’anno 2025 in
Europa.
Aumentare i tassi di disassuefazione
dal fumo è perciò l’elemento critico per migliorare la salute della comunità nel breve
e medio periodo poiché i fumatori muoiono
per malattie fumo-correlate, prevalentemente nell’età compresa fra i 35 ed i 69
anni, calcolata dagli epidemiologi in base
all’intervallo di tempo dall’inizio dell’abitudine tabagica e lo sviluppo di una malattia grave, in media 25-30-anni di fumo.
Le comuni strategie di sospensione dal
fumo si basano solitamente:
- rafforzare la motivazione a smettere (il
danno alla salute è sicuramente il motivo più frequente riferito dai pazienti);
54
Annali degli Ospedali San Camillo e Forlanini 8, 3, 2006
- ridurre le manifestazioni di astinenza
(terapia farmacologica);
- mantenimento della sospensione (idealmente per tutta la vita).
PAZIENTI E METODI
Al fine di ridurre le percentuali di insuccessi dei pazienti che provano a smettere di fumare abbiamo selezionato 17 fumatori, (10 maschi e 7 femmine) età media 48 anni, afferenti al nostro ambulatorio per la terapia del tabagismo, che fossero ancora negativi ai seguenti esami non
invasivi per le malattie cardio-respiratorie fumo-correlate: radiografia del torace,
prove di funzionalità respiratoria con
broncodilatatore e diffusione al CO, pletismografia, emogasanalisi, elettrocardiogramma.
Sei pazienti non riferivano sintomi respiratori, 5 riferivano tosse discontinua, 3
pazienti avevano una dispnea di grado 1
secondo la scala MRC(Medical Research
Council modified 2000), 3 pazienti avevano
tosse discontinua e dispnea grado 1 MRC.
In tali pazienti abbiamo calcolato il
Pack/Year (N. sigarette fumate/die x anni
di fumo / 20)ottenendo un valore medio di
39 ed abbiamo proposto loro, in presenza
di negatività di precedenti esami diagnostici la Tomografia Computerizzata multi
strato (TCms) all’inizio della terapia antifumo, al fine di rilevare danni anatomici
polmonari non documentabili con i precedenti esami.
TCms: Apparecchio Siemens Zoom Volume permette di acquisire l’intero volume polmonare in 25-30 sec. L’esame è
stato eseguito in massima inspirazione,
in unica apnea. I parametri utilizzati sono stati 120Kv, 100mA con spessore di
strato in acquisizione di 5 mm che permette ricostruire sia ad 1,25mm per lo
studio in alta risoluzione che a spessori
maggiori.
Per il calcolo del volume polmonare
sono stati inclusi tutti i pixel compresi
fra -400 e -1024, mentre i valori soglia
utilizzati per quantificare l’enfisema sono compresi fra -900e -1024. Ciò ha permesso di calcolare il volume polmonare
totale (CPT) ed il volume occupato da zone patologiche (ipodense) dovute alla
presenza di enfisema o ad aree di intrappolamento aereo. Sia nel calcolo del volume polmonare che nel calcolo della percentuale di enfisema non si è evidenziata
una significativa differenza fra spessore
di strato a 5 mm e spessore di strato a
10mm, mentre rilevante era la differenza
se la percentuale di enfisema veniva calcolata utilizzando spessore di strato ad
1,25mm.
La radiografia del torace era stata refertata negativamente in tutti i pazienti
selezionati ed i valori di alfa1antitripsina
controllati a tutti i pz erano nella norma.
Il BMI body mass index era molto ridotto in un solo paziente mentre nella media era nella norma. Di tutti i tests respiratori abbiamo selezionato (tabella1)
quelli più importanti ai fini diagnostici
delle broncopneumopatie croniche ostruttive; il FEV1, nella norma come valore di
base, non mostrava variazioni significative dopo l’uso del broncodilatatore; buone
erano le correlazioni dei valori di TLC misurati con l’elio, la pletismografia e con la
TCms. Il DLCO ha mostrato valori normali nella media. Quindi si sarebbe concluso che tali pazienti fumatori non avevano sviluppato danni all’apparato respiratorio.
Tabella 1
Parametri
minimo
ETÀ
40
Pack/years
20
DispneaMRC
0
BMI (body mass index) 19
DLCO (%t)
66
TI (%)
70
FEF 25-75(%t)
47
RV pl (tot)
37
TLC He (%)
57
TLC PL (%t)
60
TLC ms(ml)
3800
Score-emph%
0
massimo
70
60
1
34
128
85
125
158
127
142
8600
45
media
48,5
39,06
0,1
26,1
97,2
77,2
79,5
112,1
107
107,2
5374,7
20,2
RISULTATI E CONCLUSIONI
La possibilità offerta dall’apparecchiatura radiologica di “ricostruire” anche in
R. Principe et al.: Indicazioni all’uso della TC ms nell’ambulatorio per la terapia del tabagismo
alta risoluzione ha permesso di definire
quando presente il tipo di enfisema (e di
calcolare anche lo score attraverso il calcolo della TCms), nonché altre patologie,
non evidenti alla radiografia standard
del torace come bronchiectasie, ispessimenti delle pareti bronchiali, noduli di
alcuni millimetri, (questi sono stati ricontrollati a distanza di 3 – 6- e 12 mesi:
solo per un nodulo sospetto si è proceduto ad asportazione chirurgica con esame
istologico positivo per amartocondroma).
Presenti anche frequenti ispessimenti
delle pareti bronchiali e lesioni a “vetro
smerigliato” (figg. 1, 2 e 3) tipiche delle
forme di interstiziopatia polmonare del
gruppo RB-ILD (respiratory bronchiolitis
with an interstitial lung disease); in un
paziente è stato evidenziato e misurato
anche Air Trapping.
Solo un paziente è risultato completamente negativo alla TCms. (Vedi tab. 2)
55
Figura 1 - Pz con lesione a sin. tipo “ground class”.
Tabella 2 – Alterazioni evidenziate
alla TCms
Pazienti
A) ScoreE
B)Gro-glas
C)Bronch.
D)Wall-thic
1
8,5%
3
30%
4
36%
5
20%
6
10%
°
*
x
10 mm
°
°
16%
9
x
x
x
x
32%
Figura 2 - Pz. con enfisema lobi superiori, centrolobulare e parasettale.
x
x
7
10
F)Air-tra
5 mm
2
8
E)Nodules
3 mm
x
11
12
33%
13
45%
14
41%
15
22%
x
16
15%
x
17
33%
°
°
x
8mmAm4m
x
x
°
°
x
I pazienti sono stati informati dei danni riscontrati con la TCms ed hanno iniziato tutti il corso antifumo che si articola in un incontro settimanale per due mesi quindi un incontro ogni quindici giorni
Figura 3 - Pz con bronchiectasie lobo superiore sinistro.
per 2 mesi ed un incontro al mese per un
anno dalla cessazione dal fumo (per controllare le eventuali ricadute). Durante
56
Annali degli Ospedali San Camillo e Forlanini 8, 3, 2006
tali incontri si svolge la terapia comportamentale-farmacologica come da Linee
Guida. I farmaci usati sono stati i sostituti della nicotina (nelle diverse formulazioni) e/o il bupropione. Con tali trattamenti si ha una sospensione dal fumo, in
media del 30-40% ad un anno (solo il 23% invece quando il pz. affronta il problema da solo), come documentato nella
letteratura scientifica e come si ottiene
abitualmente anche nel nostro ambulatorio per la terapia del tabagismo. Al contrario nei 17 pazienti sottoposti anche a
TCms ad un follow-up a un anno si è ottenuto una sospensione del fumo nel
76,2%, dato molto il più alto rispetto alle
percentuali sopra citate, per cui è da ritenere al riguardo che l’alta incidenza di
patologie respiratorie, anche se in fase
iniziale, che la TCms ha permesso di
identificare e quindi di comunicare ai pazienti, ha rafforzato in loro la motivazione di sospensione del tabacco. Questa
evidenza necessita certamente di studi
numericamente più alti, per giustificare
il costo-beneficio della TCms, che comunque andrebbe proposta non a tutti i fumatori ma almeno a coloro che iniziano
la terapia del tabagismo con determinazione. I Centri sanitari di II livello per la
terapia del tabagismo dovrebbero pertanto insistere, oltre che su una terapia
comportamentale – farmacologica anche
sulla ricerca diagnostica mirata delle patologie fumo-correlate; poiché questa può
essere in molti casi la motivazione più
forte per portare alla decisione non solo
di iniziare ma anche di proseguire la terapia del tabagismo.
____
Per richiesta estratti:
Dott.ssa R. Principe - III U.O.C. di Pneumologia
Ospedale Forlanini - Via Portuense, 332 - 00149 Roma
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ANNALI DEGLI OSPEDALI
San Camillo e Forlanini
Volume 8, Numero 3, Luglio-Settembre 2006
Caso clinico
CAPTAZIONE DEL 99MTC-MDP
IN UN CASO DI AMILOIDOSI CARDIACA
99MTC-MDP UPTAKE IN A CASE OF HEART AMYLOIDOSIS
ALESSIO ANNOVAZZI, GUIDO VENTRONI, EDO PICCHIO1,
CLAUDIA AMIDEI, CLAUDIO TORRINI, LUCIO MANGO
Servizio di Medicina Nucleare e Reparto Scompenso-II Cardiologia1
Azienda Ospedaliera San Camillo-Forlanini - Roma
Riassunto. Gli autori descrivono un caso clinico di una paziente affetta da carcinoma mammario e
amiloidosi cardiaca da accumulo di tiretina, sottoposta a scintigrafia ossea per la ricerca di lesioni metastatiche, in cui si osserva un intenso accumulo cardiaco di 99mTc-Metilendifosfonato (99mTc-MDP).
Vengono poi passati in rassegna i principali radiofarmaci utilizzati nello studio dell’amiloidosi.
Parole chiave: Amiloidosi, Scintigrafia ossea, 99mTc-MDP.
Summary. The authors describe a clinical case of a patient affected by breast carcinoma and heart
amyloidosis due to tiretin deposits, who performed a bone scan for the evaluation of bone metastases, in which an intense cardiac uptake of 99mTc-MDP was observed. All the principal radiopharmaceuticals for the study of amyloidosis are discussed in the text.
Key words: Amyloidosis, Bone scanning, Technetium Tc 99mMDP.
INTRODUZIONE
Con il termine amiloidosi ci si riferisce
ad un gruppo di patologie diverse, tutte
caratterizzate dalla deposizione extracellulare di proteine fibrillari insolubili. Tali
proteine mostrano la classica configurazione secondaria a foglietto b e dopo colorazione al Rosso Congo presentano un colore verde al microscopio ottico a luce polarizzata. Si distinguono alcune forme acquisite che possono essere associate ad accumulo delle catene leggere delle immunoglobuline (AL) o della proteina sierica
dell’amiloide A (AA). Un’altra forma acquisita è quella legata alla beta microglobulina che si può osservare nei pazienti in
corso di trattamento emodialitico. Le forme familiari possono essere dovute a deposito di fibrinogeno, lisozima, apolipo-
proteine, transtiretina. L’incidenza dell’amiloidosi è valutata intorno a 8-10 casi/1.000.000 di abitanti1, tuttavia è sicuramente sottostimata, data l’elevata incidenza di forme asintomatiche.
La diagnosi definitiva viene ottenuta
mediante biopsia dell’organo interessato
dalla patologia. I depositi di amiloide possono osservarsi virtualmente in qualsiasi
organo o tessuto e generalmente sono più
comunemente localizzati in sede peri-vascolare.
Il 99mTc-metilendifosfonato (99mTcMDP) è un radiofarmaco utilizzato per la
scintigrafia ossea dato il suo elevato tropismo per l’osso in corso di rimodellamento,
ma può accumularsi in modo aspecifico
nei tumori, nei focolai di infiammazione,
nelle calcificazioni distrofiche e metastatiche e nell’amiloidosi.
58
Annali degli Ospedali San Camillo e Forlanini 8, 3, 2006
CASO CLINICO
La paziente D.M. di 55 anni è stata ricoverata presso il nostro nosocomio per il peggioramento di una condizione di scompenso
cardiaco da cardiomiopatia restrittiva dovuta ad amiloidosi primitiva familiare da
accumulo di transtiretina. La paziente è
stata inserita in lista d’attesa per trapianto
duplice di cuore-fegato. Un’ecocardiogramma metteva in evidenza un versamento di
moderata entità in assenza di segni di tamponamento cardiaco. Nella norma gli indici
di funzione sistolica globale e segmentaria,
mentre il ventricolo sinistro appariva di ridotte dimensioni con notevole incremento
degli spessori parietali ad aspetto granulare. Nel corso del ricovero la paziente è stata
sottoposta a scintigrafia ossea total-body
con 99mTc-MDP per la ricerca di possibili
lesioni metastatiche da recidiva locale di
carcinoma mammario dx. Le immagini
scintigrafiche non evidenziavano la presenza di localizzazioni ossee metastatiche,
mentre è stato osservato un intenso e diffuso accumulo del 99mTc-MDP in corrispondenza dell’aia cardiaca (figura 1). Quale reperto occasionale si è osservata la localizzazione pelvica del rene destro già precedentemente diagnosticata ecograficamente.
DISCUSSIONE
Il primo lavoro che ha descritto l’accumulo del 99mTc-MDP nell’amiloidosi è da
attribuire a VanAntwerp2. Il meccanismo
preciso dell’accumulo del 99mTc-MDP nei
depositi di sostanza amiloide non è stato
identificato, ma l’intensità della captazione nelle sedi interessate non può essere
spiegata semplicemente con un meccanismo di accumulo aspecifico, come quello
osservato nei tessuti infiammati per iperemia ed aumento del volume interstiziale. La scintigrafia con 99mTc-MDP è stata
proposta come tecnica non invasiva per
determinare l’estensione dell’amiloidosi
in tutti i distretti corporei, in pazienti già
diagnosticati3. Dai diversi studi effettuati,
emerge tuttavia la bassa sensibilità della
metodica rispetto all’ecocardiografia nello
studio del coinvolgimento cardiaco.
Altri radiofarmaci sono stati efficacemente utilizzati nello studio della amiloido-
PIXIE Info Box
ID: CARD 2 OSS
Acq: 11/3/2005
12:42:42
Whole Body
Tc-99m
Activity: 18.0 mCi
Acq Matrix: 256x1024
Collimator: LEHR-Par
Mag: 1.13
File: R2
Image ID: Raw Data
Acq ID: WholeBody
View: Post
Organ: Ossea
Slice 2.06 mm
Len: 180 cm 14.6 cm/min
Win: 83.0% Bas: 0.0%
Forlanini
Roma
Figura 1. Scintigrafia ossea (99mTc-MDP)della paziente in proiezione anteriore.
si. La proteina serica dell’amiloide P (SAP)
è stata marcata con iodio-131 ed impiegata
nello studio di molte forme di amiloidosi.
Questo radiofarmaco tuttavia non ha riscosso un grande successo, dato lo scarso
accumulo nella amiloidosi cardiaca, che è
quella più importante da un punto di vista
prognostico. Le non ottimali caratteristiche
di questo radiofarmaco sono da ricercare
nell’elevato peso molecolare (254.62 KDa),
che ne ostacola il passaggio attraverso i capillari endoteliali cardiaci4 e nelle scarse
qualità fisiche dello iodio-131 (emissione
gamma ad alta energia, 364 KeV). Un radiofarmaco alternativo è rappresentato dalla aprotinina, una piccola proteina di 6.5
KDa estratta dal polmone bovino, marcata
con il tecnezio-99m. Questa proteina interagisce con le fibrille della sostanza amiloide
attraverso un’interazione tra i foglietti b
che caratterizzano entrambe le proteine; on
questo radiofarmaco sono stati studiati più
A. Annovazzi et al.: Captazione del 99mTc-MDP in un caso di amiloidosi cardiaca
di 200 pazienti con diverse forme di amiloidosi5. La 99mTc-aprotinina è in grado di visualizzare il coinvolgimento amiloidosico di
tutti i parenchimi, con l’eccezione del rene
dove viene eliminato fisiologicamente6. In
particolare, nella valutazione del coinvolgimento cardiaco, la 99mTc-aprotinina mostra un’accuratezza diagnostica di 0.96, che
è superiore a quella raggiunta dallo studio
elettro- ed ecocardiografico7. Questi risultati promettenti sono stati recentemente confermati da un gruppo danese su 23 pazienti con amiloidosi sospetta o già diagnosticata8. In particolare questo radiofarmaco è
stato in grado di identificare alcune lesioni
occulte in 5 pazienti che successivamente
hanno sviluppato la sintomatologia clinica.
Altri radiofarmaci sono stati impiegati nello studio dell’amiloidosi, come la beta-2-microglobulina e l’acido dimercaptosuccinico
pentavalente (DMSA-V)9,10. Infine, recentemente è stata osservata una intensa captazione del 18F-Fluorodessosiglucosio (18FFDG) in una lesione amiloidosica del polmone nel corso di un esame PET11. Questa
recente osservazione potrebbe suggerire
l’impiego della PET come tecnica promettente anche nello studio dell’amiloidosi.
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____
Per richiesta estratti:
Prof. Lucio Mango - Servizio di Medicina Nucleare
Ospedale Forlanini - Via Portuense, 332 - 00149 Roma
ANNALI DEGLI OSPEDALI
San Camillo e Forlanini
Volume 8, Numero 3, Luglio-Settembre 2006
Gestione e organizzazione sanitaria
PSICOTERAPIA DI GRUPPO PER PAZIENTI
CON SCLEROSI MULTIPLA: SPECIFICITÀ E METODOLOGIA
GROUP PSYCHOTHERAPY FOR PATIENTS
WITH MULTIPLE SCLEROSIS: SPECIFICITY AND METHODOLOGY
MARCO SPARVOLI - ELISABETTA PODRASKY
Servizio di Diagnosi e Cura, Ospedale Forlanini.
Azienda Ospedaliera San Camillo-Forlanini - Roma
Riassunto. Scopo di questo articolo è descrivere come nel trattamento di pazienti con sclerosi multipla le terapie psicologiche, individuali e di gruppo, siano efficaci nel migliorare lo stato emotivoaffettivo del paziente e la capacità di prendersi attivamente cura della malattia. Il lavoro si è basato principalmente sulla possibilità di favorire l’accettazione della malattia da parte del paziente.
Questo ha permesso di facilitare la compliance con il sistema medico e un’assunzione di ruolo più
responsabile e attivo, con conseguente miglioramento dei sintomi depressivi. L’orientamento psicoterapeutico utilizzato è di tipo analitico, ma prevede delle specifiche variazioni del setting elaborate sulla base della presenza di una patologia organica e agli specifici problemi legati ad essa.
Parole chiave: Sclerosi multipla/terapie psicologiche, Psicoterapia, Terapia di gruppo.
Summary. The aim of this study is to describe how, in the treatment of multiple sclerosis, psychological individual and group therapy can have good effects on depression and can improve the patient’s capacity of taking actively care of himself. Work was particularly based on the acceptance of
the illness by the patient. This has facilitated the compliance with the medical caregiving system
and a more responsable and active role, with consequent benefits in depressive symptoms. Psychological treatment was analytically oriented, with specific variations in the setting in agreement
with the organic illness and its related problems.
Key words: Multiple sclerosis/psychology, Psychotherapy, Psychotherapy group.
La sclerosi multipla, malattia organica
che minaccia la vita, si ripercuote sull’intera esistenza, cambiandola a volte radicalmente. Nei casi meno sintomatici il paziente deve sottoporsi a continui esami e
trattamenti medici e convivere con il fatto
di avere una patologia organica attualmente inguaribile. Nei casi più sintomatici il paziente deve abbandonare molte delle attività precedenti alla malattia o cambiare completamente stile di vita (ad
esempio lasciare il posto di lavoro o muoversi con la sedie a rotelle).
Diversi studi confermano una maggiore prevalenza di disturbi della sfera emotiva-affettiva in pazienti affetti da sclero-
si multipla rispetto alla popolazione generale. I pazienti con sclerosi multipla presentano una maggiore frequenza di sintomi depressivi rispetto alla popolazione sana1 ed elevati livelli di ansia2. Una ricerca
condotta da Mohr su persone affette da
sclerosi multipla evidenzia una prevalenza del 14-57% di sintomi depressivi, 63%
di euforia e 19-34% di disturbi d’ansia3.
Il modo in cui i pazienti gestiscono lo
stress e i problemi sociali sembra influire
decisivamente sui sintomi depressivi. Le
strategie di evitamento sono infatti correlate con sintomi depressivi più elevati,
mentre l’uso di strategie di problem solving e di coping attivo è correlato con sin-
M. Sparvoli et al.: Psicoterapia di gruppo per pazienti con sclerosi multipla
tomi minori4. Alcuni studi indicano inoltre, che lo stress psicologico può rappresentare un fattore di rischio per l’aggravamento della malattia5. Una buona conoscenza della malattia e una diminuzione
dei sintomi sono correlati ad un miglioramento dello stato emotivo6. Da questo studio emerge inoltre, che la soddisfazione rispetto al sistema curante e il coinvolgimento in attività terapeutiche per la cura
della sclerosi multipla, influiscono positivamente sullo stato emotivo. Diverse ricerche7,8 hanno evidenziato che le psicoterapie hanno effetti positivi sui pazienti
con sclerosi multipla. Da queste ricerche
emerge che i pazienti appaiono meno rassegnati, meno disperati, e fisicamente rinvigoriti, riportando la sensazione di avere
una maggiore energia fisica a disposizione. La psicoterapia di gruppo in particolare evidenzia cambiamenti significativi
nell’area relazionale e in questa sede viene descritto come le terapie psicologiche
razionalmente organizzate e condotte possano diminuire i sintomi depressivi e migliorare la compliance con il sistema medico. Scopo della terapia psicologica è favorire l’accettazione della malattia, aiutando il paziente ad affrontare i problemi
e i vissuti emotivi legati ad essa.
METODOLOGIA PER LA FUNZIONE
DI UN GRUPPO TERAPEUTICO
Il gruppo per pazienti con sclerosi multipla, ad orientamento gruppoanalitico,
deve prevedere la partecipazione di un
massimo di 8 - 10 partecipanti. Gli incontri, della durata di un’ora e mezza, si svolgono ogni 15 giorni e sono condotti da uno
psicoterapeuta. Nel caso si ritenesse opportuno vengono affiancati incontri individuali. Al gruppo, di tipo monosintomatico, partecipano solo pazienti affetti da
sclerosi multipla, senza distinzione in base alla forma o alla gravità dei sintomi. È
un gruppo aperto (slow-open), ovvero possono essere inseriti nuovi partecipanti. La
durata del percorso non ha un tempo prestabilito, bensì è valutato in base al singolo paziente e nel corso del trattamento.
La scelta di un formato terapeutico
gruppale, nasce dalla possibilità di offrire
61
in gruppo una maggiore condivisione empatica e cognitiva dei diversi aspetti della
malattia. Poter parlare e condividere con
altri permette al paziente di sentirsi meno
solo, incompreso ed unico. Questo aiuta ad
uscire dal senso di isolamento e fa emergere nuove energie che rendono possibile
il prendersi attivamente cura di sé.
Il paziente sente a volte di dover celare
a familiari e conoscenti temi penosi legati
alla malattia e emozioni ad essi connessi.
Teme di generare preoccupazione, di non
essere compreso o di venire giudicato. Le
paure e le emozioni negative in questo
modo non possono essere liberamente sfogate e vanno affrontate in solitudine. È
per questo importante poter disporre di
uno spazio nel quale affrontare questi temi senza sensi di colpa e senza il timore di
ferire l’altro. Il paziente può sentirsi sollevato dal fatto che gli altri partecipanti del
gruppo comprendono il suo stato d’animo
e lo condividono.
Alcune difficoltà specifiche della malattia (come ad esempio disturbi motori, disfunzioni sessuali, problemi di minzione)
sono trattate con riserbo e vergogna e a
volte condivisibili solo con persone che
stanno vivendo problemi analoghi.
La scelta del gruppo nasce anche dalla
possibilità di aumentare la conoscenza dei
singoli rispetto alla malattia. Ogni partecipante porta infatti la sua conoscenza ed
esperienza, ed è in grado di volta in volta
di aggiungere qualcosa al sapere dell’altro
o di imparare qualcosa dall’altro. La maggiore conoscenza della malattia può aiutare il paziente ad avere un ruolo più attivo
e responsabile rispetto ad essa, sia nel
rapporto con i medici che nelle possibili
terapie da seguire.
Inoltre, data la natura ancora sconosciuta della sclerosi multipla e soprattutto della cura, è di sostegno e aiuto poter
condividere con gli altri le incertezze che
contraddistinguono la patologia.
La diagnosi della malattia e le informazioni ad essa connessa possono generare intense reazioni emotive. Il paziente in
questa fase può essere incapace di ricevere altre informazioni e di agire conseguentemente. Questo stato emotivo può
durare a lungo e diminuire le capacità di
62
Annali degli Ospedali San Camillo e Forlanini 8, 3, 2006
accedere ad un atteggiamento attivo nella
cura (in questo caso il paziente adotta uno
stile di coping passivo centrato sull’informazione). L’elaborazione dei vissuti interiori e delle emozioni, possibile nel corso
di una terapia di gruppo, aumenta la consapevolezza del paziente e la capacità di
fronteggiare la situazione in modo più attivo, passando ad uno stile di coping centrato sul problema. Lo stile di coping centrato sul problema viene facilitato in
gruppo dalla presenza e degli altri partecipanti, dai quali è possibile osservare modi diversi di reagire e apprendere ad utilizzare quello più utile nelle diverse situazioni e con i quali è possibile confrontarsi.
La conoscenza degli altri diventa inoltre un valido aiuto anche nel trovare soluzioni ai problemi materiali e concreti che
la sclerosi multipla implica. Il gruppo è un
luogo nel quale ricevere informazioni rispetto all’assegno di invalidità, il permesso per la macchina, le strutture provviste
delle attrezzature per disabili, etc. È dunque una fonte di informazioni per affrontare meglio i disagi che la malattia può
comportare.
La terapia di gruppo per pazienti con
patologia organica, a differenza del classico setting gruppoanalitico, sollecita il sostegno ed i legami anche fuori dal gruppo.
La malattia comporta a volte un ritiro sociale, dovuto allo stato emotivo-affettivo
oppure alle difficoltà motorie. Proseguire
le relazioni anche fuori dal gruppo può
dunque essere un’importante fonte di sostegno. È inoltre importante riportare in
primo piano la progettualità in relazione
al ciclo di vita. La presenza della malattia
va desaturata, per dare spazio ai compiti
esistenziali che il ciclo di vita rende necessario affrontare. In altri casi sembra
invece che la malattia sia fortemente evitata, con conseguenze pericolose per la vita del paziente. È fondamentale poter fare
un’analisi realistica della situazione con il
paziente. In questo modo è possibile trovare le soluzioni più utili al suo progetto
di vita e all’attuale ciclo di vita.
In gruppo il paziente può inoltre sperimentare se stesso come persona capace di
aiutare l’altro, scoprendosi quindi possessore di alcune competenze. Questa possi-
bilità di assumere un ruolo competente, di
Io ausiliario, consente di riappropriarsi
degli aspetti positivi e generativi del sé,
che spesso la malattia sembra aver distrutto. A dimostrazione di quanto si debba organizzare e gestire al meglio questo
settore viene illustrato il caso di G. che
partecipa ad un incontro di gruppo. È una
donna di 40 anni, sposata, casalinga, con
una bambina piccola partorita alcuni anni
dopo aver appreso di essere malata di
sclerosi multipla. L’esordio della malattia
risale ad 8 anni fa. Cammina con difficoltà, aiutandosi con un bastone. Ha
smesso di andare dal medico da un anno.
“Non mi dava fiducia e comunque le cure
non sono state d’aiuto, anzi stavo peggio.
Non ho alcuna intenzione di iniziare un
nuovo trattamento o di consultare un altro medico.” Parallelamente sembra mancare un investimento generale nelle attività della vita. La stessa gestione della figlia è in parte delegata alla famiglia d’origine. Il suo atteggiamento è contraddistinto da rassegnazione ed apatia. Non
torna agli incontri successivi di gruppo e
non contatta la terapeuta. Invitata telefonicamente a venire in gruppo, spiega, adducendo varie scuse, che non le è possibile in questo momento. Le si propone un
incontro individuale, pensando che questo
tipo di setting possa essere più rassicurante e meno esposto al confronto con la
malattia. Anche in questo caso G. rifiuta
cordialmente.
Riflettiamo a lungo con l’equipè terapeutica su cosa sia possibile fare per non
perdere G. dal campo terapeutico. Decidiamo di allargare il setting terapeutico ai
familiari. In questo modo anche se G. si rifiutasse di venire all’incontro, si avrebbero altri interlocutori con i quali dialogare
per comprendere meglio cosa le stia succedendo e come sia possibile aiutarla. Chiamata nuovamente, G. accetta l’incontro.
Al primo colloquio appare confusa. Spiega
che la malattia la rende molto debole. Appare stanca, meno oppositiva rispetto alle
cure mediche, come se questo incontro
rappresentasse un primo difficile passo
nell’accettazione della malattia e spiega
che ha sentito i nostri interventi forti, ma
non intrusivi. G. ha percepito l’autentica
M. Sparvoli et al.: Psicoterapia di gruppo per pazienti con sclerosi multipla
preoccupazione e lo sforzo per non perderla dal campo terapeutico. Dopo questo incontro abbiamo intrapreso un percorso terapeutico.
Adesso G. è seguita da un neurologo,
per una terapia e segue regolarmente una
fisioterapia. Questo diverso atteggiamento nei confronti della malattia ha condotto
ad una maggiore cura di sé, dei rapporti
sociali e della gestione familiare. Il suo
tentativo di fuggire al gruppo e alle cure
mediche ha probabilmente rappresentato
il suo modo per evitare di entrare realmente in contatto con le emozioni suscitate dalla malattia. Accettare la sclerosi
multipla per G. è stato doloroso, ma le ha
permesso lentamente di gestire la sua vita in modo più attivo.
CONCLUSIONI
Diverse ricerche confermano una correlazione tra sclerosi multipla e disturbi della sfera emotiva-affettiva. L’esperienza di
un gruppo ad orientamento gruppoanalitico indica che la psicoterapia produce un
miglioramento dello stato emotivo-affettivo, al quale corrisponde una maggiore
aderenza ai trattamenti medici. Queste
due variabili appaiono intimamente connesse. Lo stato affettivo infatti influisce
sulla capacità del paziente di prendersi
cura di sé e il coinvolgimento in attività
terapeutiche soddisfacenti influisce a sua
volta positivamente sullo stato affettivo.
Appare quindi fondamentale per il paziente poter accettare la malattia e farsi
carico della responsabilità di prendersene
cura. In questo modo può nuovamente
percepirsi come soggetto attivo, nonostante le difficoltà che possono emergere a
causa della malattia. La psicoterapia di
gruppo può essere uno strumento molto
utile nel favorire l’accettazione della malattia e nel migliorare lo stato emotivo, in
quanto permette la condivisione con altri
dei problemi e delle emozioni legati ad essa. Offre inoltre la possibilità di uscire dal
senso di isolamento e di unicità che spesso accompagna una patologia organica. In
gruppo è possibile riscoprirsi capace di ricevere e dare aiuto e di essere possessori
di competenze. In questo modo le parti del
63
sé, rese fragili dalla malattia, si possono
riappropriare degli aspetti positivi. Altro
elemento importante per la psicoterapia
con pazienti con sclerosi multipla è la possibilità di mantenere un setting variabile,
che si possa costruire intorno al paziente
e alle sue necessità. Il paziente deve percepire l’autentico interesse del terapeuta
al suo stato psicofisico e alla sua responsabilità di prendersi cura di sè. Il terapeuta deve mantenere una certa flessibilità e scegliere, a seconda del caso e del
corso della terapia, quale tipo di intervento proporre per mantenere il paziente all’interno del campo terapeutico.
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Per richiesta estratti:
Dott. Elisabetta Podrasky
Via G. B. Falcone, 10 - 00149 Roma
Tel. 06 5503481
ANNALI DEGLI OSPEDALI
San Camillo e Forlanini
Volume 8, Numero 3, Luglio-Settembre 2006
Recensione
“SESSANTESIMO ANNIVERSARIO”
I tre volumi con i quali è stato celebrato il
“Sessantesimo Anniversario” (1946-2006) di
Recenti Progressi in Medicina (Il Pensiero
Scientifico Editore, Roma , ottobre-dicembre
2006, pagg. 294) titolano rispettivamente,
“Il Mondo, Il Medico, le Persone”, “Sanità:
Ricerca, Tecnologia” e “Medicina Domani”.
Nei 39 articoli che si presentano in realtà
come veri e propri capitoli, vengono trattati
(ad opera di prestigiosi Autori nelle rispettive competenze) argomenti che percorrono
sostanzialmente tutto il campo della Sanità,
da quello clinico-ospedaliero a quelli della
prevenzione, della medicina palliativa, della
telemedicina, dell’etica, ecc..
Nel primo Roberto Bertollini, Direttore
Programma speciale Salute ed Ambiente,
OMS, Ufficio Regionale per l’Europa, sottolinea quanto siano necessarie strategie di sanità pubblica che, oltre ad utilizzare in modo
realmente efficace le soluzioni sperimentate
per affrontare i problemi ambientali che l’Autore definisce “tradizionali” (il trattamento
delle acque di scarico, l’accesso a fonti sicure
di acqua potabile, ecc.), si impegnino alla realizzazione di interventi multisettoriali ed efficaci per affrontare i rischi “emergenti” (quali
gli effetti a breve e lungo termine dell’inquinamento chimico ambientale diffuso, ecc.),
e per riempire di contenuti il Piano di azione
per l’infanzia, la salute e l’ambiente delineato
sin dal 2004 alla 4ª Conferenza Interministeriale tenutasi a Budapest.
Nel secondo degli articoli sopraccitati, Elio
Guzzanti già Ministro della Sanità ed attualmente Direttore Scientifico di IRCCS, dopo
aver tracciato il lungo percorso degli eventi
più significativi delle origini e delle evoluzioni
degli ospedali in Italia e in altri paesi industrializzati, sottolinea di poter ravvisare in
prospettiva “la tendenza verso l’ospedale
quale componente di un complesso e articolato sistema sanitario che sia sicuro, efficace,
centrato sul paziente, tempestivo, efficiente
ed equo”. A giudizio di un grande esperto
quale Guzzanti la risposta migliore per indirizzare con certezza il futuro assetto della
sanità è quella di contenere il numero degli
ospedali e di costruire i nuovi con criteri che
siano rispettosi della centralità del paziente e
caratterizzati da adeguata flessibilità mirata
ad agevolare la destinazione degli spazi verso
le esigenze del futuro. Tutto dovrà essere integrato con i servizi dell’assistenza territoriale attraverso il potenziamento di quella
domiciliare e residenziale in modo da ricomporre, utilizzando i progressi della tecnologia,
dell’informazione e della comunicazione, quella continuità assistenziale sinora assai
sbandierata, ma non altrettanto realizzata.
Nell’articolo sulle “false novità della ricerca
clinica” le voci congiunte di Silvio Garattini e
Vittorio Bertelè dell’Istituto di Ricerche farmacologiche “Mario Negri” sostengono, sulla
base di oggettive evidenze che l’area farmacologica non è così ricca di innovazione come
possono far credere i clamori mediatico-pubblicitari creando in tal modo una falsa immagine di novità nel settore farmaceutico. Ne
consegue che l’obiettivo prioritario dello
sviluppo di un farmaco (cioè l’interesse dei
pazienti) spesso viene orientato verso quello
commerciale delle imprese che, pur legittimo,
deve rimanere subordinato a quello della
salute pubblica. Sulla base di documentati esempi al riguardo, gli AA. concludono che gli
svariati condizionamenti che influenzano il
vero ed il falso in medicina (quali conflitti di
interesse finanziario e di altra natura, ecc.)
trovano un punto nodale nella dipendenza politica ed economica dell’EMEA (European
Medicine Agengy), che è l’Agenzia che decide
l’autorizzazione, la revoca e quant’altro abbia
a che fare con la politica del farmaco in Europa e che attualmente dipende dal Dicastero
Europeo dell’Industria e non già da quello della Salute.
I tre volumi dedicati al “Sessantesimo Anniversario” – raccolti coerentemente in uno
spartano quanto elegante contenitore – rappresentano una preziosa fonte di informazione,
di aggiornamento e forzanche di autocritica
non soltanto per quanti hanno collaborato per
decenni, in diversi ruoli, con l’entourage della
prestigiosa Rivista diretta da Francesco De
Fiore, ma anche per tutti coloro che hanno a
cuore il futuro della salute individuale ed il
futuro della sanità pubblica.
Franco Salvati
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Numero 3 Luglio - Settembre - Azienda Ospedaliera S.Camillo