In hoc signo vinces Il significato archetipico della Battaglia di Ponte Milvio Pontificia Università Lateranense - Roma 20 aprile 2012 Tra il 1912 e il 1913, per iniziativa del Papa Pio X, si celebrò solennemente il 1600esimo anniversario di Costantino il Grande. Le commemorazioni riguardarono due grandi avvenimenti: la vittoria di Costantino su Massenzio presso il Ponte Milvio (28 ottobre 312) e la proclamazione dell’editto di pace di Milano (maggio 313). “Allora finalmente la Chiesa militante ottenne il primo di quei trionfi che in ogni sua età tennero dietro costantemente alle persecuzioni di ogni genere, e da quel giorno sempre maggiori benefici apprestò alla società del genere umano”, affermò san Pio X, nella Lettera apostolica con cui l’8 marzo 1913 indisse un giubileo in memoria di quegli eventi, arricchendolo di speciali indulgenze1. Numerosi e pregevoli furono gli studi storici ed archeologici apparsi in quell’occasione sulla battaglia detta di Ponte Milvio, o ad Saxa Rubra: vanno ricordati in particolare quelli dei padri gesuiti Ilario Rinieri2, Fedele Savio3, Felice Grossi Gondi,4 giunti a conclusioni per molti versi definitive. Nel secolo da allora intercorso, l’evento non è stato oggetto di grande attenzione da parte degli storici, se non in relazione al problema della conversione dell'Imperatore su cui si è molto 1 Cfr. il sunto del discorso di Pio X nell’ “Osservatore Romano” del 18 marzo 1913 e il suo testo integrale nella “Civiltà Cattolica”, 64 (1913), II, pp. 3-8. Le celebrazioni si aprirono il 17 ottobre 1912 con la benedizione, da parte del card. Francesco di Paola Cassetta, della prima pietra per il nuovo tempio in onore della S. Croce (oggi in va Guido Reni). Il centenario fu ufficialmente inaugurato il 28 ottobre presso la Basilica Lateranense. Una lapide commemorativa composta dall’archeologo Orazio Marucchi, fu preparata nel 1913 per essere posta a Grottarossa sulla via Flaminia, ma l’atto commemorativo poté avvenire solo nel 1916, dopo la caduta dell’amministrazione Nathan, che vi si era opposta. 2 ILARIO RINIERI S.J., L'imperatore Costantino : l'avvenimento di Costantino e cronologia costantiniana, la liberazione di Roma, la libertà del cristianesimo, Tip. SAID Buona Stampa, Torino 1912. 3 FEDELE SAVIO S.J., La guerra di Costantino contro Massenzio e le apparizioni miracolose della Croce e del Salvatore, CC 64 (1913) II, pp. 11-32; ID. L’apparizione della croce e la conversione di Costantino Magno, Tip. Befani, Roma 1913. 4 FELICE GROSSI-GONDI S.J., La battaglia di Costantino M. a “Saxa Rubra”, “Civiltà Cattolica”, 63 (1912) IV, pp. 385-403; Id. La battaglia di Costantino a Saxa Rubra, A. Befani, Roma 1913; ID., La grande vittoria di Costantino in Letture Costantiniane per il XVI centenario, Desclée, Roma 1914, pp. 61-90. 1 dibattuto5, indagandone le ragioni interiori più che gli influssi estrinseci, come la vittoria di Saxa Rubra, e soprattutto la visione che la precedette. Per quanto riguarda la miracolosa visione, o sogno, di Costantino, la linea storiografica dominante è quella della demitizzazione, secondo un approccio metodologico ben messo in luce dal recente saggio In hoc signo vinces, di Nikolaus Staubach6 . Lo studioso tedesco prendendo le mosse dalle pagine che John Henry Newman (1801-1890), in The miracles of early ecclesiastical history7, dedica a Costantino, esamina il plurisecolare contrasto tra quella che egli definisce la Wundertheologie, di origine patristica, e la Wunderkritik, il metodo critico moderno che respinge ogni forma di presenza del soprannaturale nella storia e pretende relegare la visione di Costantino tra le leggende o, nel migliore dei casi, a trasformarla in’“intuizione” soggettiva8. Il racconto sarebbe stato inventato da Lattanzio, per motivi apologetici, da Eusebio, per cortigianeria verso Costantino, o dallo stesso Costantino, per dare un fondamento divino alla sua immagine. Così François Heim, nel suo saggio su Virtus. Idéologie politique et croyances religieuses au IV siècle, ci propone la “costruzione” del signum da parte di Costantino, come tentativo di una “représentation symbolique du Dieu dont il voulait s’assurer la ‘virtus’”9. Nella invenzione del sogno, secondo Jacqueline Amat, “l’habile propagandiste, soucieux de réaliser l’unité sur son nom, se mêle, de façon indiscernable, au mystique superstitieux”10. Ma anche chi esclude la scelta politica, per accettare l’ipotesi di un’adesione intima e convinta di 5 Tra la estesa letteratura sulla conversione di Costantino si veda: MARTA SORDI, Il Cristianesimo e Roma, Cappelli, Roma 1965, pp. 377-404; ANDREAS ALFÖLDI, Costantino tra paganesimo e cristianesimo, tr. it. Laterza, Bari-Roma, 1976; SALVATORE CALDERONE, Costantino e il cattolicesimo, I, Le Monnier, Firenze 1962, ristampato da Il Mulino, Bologna 2001; ID. Letteratura costantiniana e “conversione” di Costantino, in Costantino il Grande dall’antichità all’umanesimo, Colloquio sul Cristianesimo nel mondo antico, Atti del Convegno (Macerata 18-20 dicembre 1990) a cura di GIORGIO BONAMENTE e FRANCA FUSCO, Egle, Macerata 1992, pp. 231-252; VALERIO NERI, Medius princeps. Storia e immagine di Costantino nella storiografia latina pagana, Clueb, Bologna 1992; G. BONAMENTE, La “svolta costantiniana”, in ENRICO DAL COVOLO - RENATO UGLIONE (a cura di), Chiesa e impero. Da Augusto a Giustiniano, LAS, Roma 2001, pp. 145-170; MARILENA AMERISE, Il battesimo di Costantino il Grande. Storia di una scomoda eredità, Franz Steiner, Muenchen 2005; ANTONIO BALDINI, Il dibattito contemporaneo sulla conversione di Costantino, in “Salesianum”, 67 (2005), pp. 701-735. Più in generale, tra gli ultimi studi su Costantino e il suo tempo, cfr.: MICHAEL FIEDROWICZ, GERHARD KRIEGER, WINFRIED WEBER, (a cura di), Konstantin der Große. Der Kaiser und die Christen, die Christen und der Kaiser, Paulinus, Trier 2006; FLORIAN SCHULLER - HARTMUT WOLFF (a cura di), Konstantin der Große, Kaiser einer Epochenwende, Fink, Lindenberg 2007; HEINRICH SCHLANGE-SCHÖNINGEN (a cura di), Konstantin und das Christentum, Darmstadt 2007; KLAUS M. GIRARDET (a cura di), Kaiser Konstantin der Große. Historische Leistung und Rezeption in Europa, Habelt, Bonn 2007; ID. Der Kaiser und sein Gott.Das Christentum in Denken und in der Religionspolitik Konstantins des Grosses, De Gruyter, Berlin-New York 2010; ANDREAS GOLTZ, H. SCHLANGE-SCHÖNINGEN (a cura di), Konstantin der Große. Das Bild des Kaisers im Wandel der Zeiten, Böhlau, Köln u.a. 2008; G. BONAMENTE, GIORGIO CRACCO, KLAUS ROSEN (a cura di), Costantino il Grande tra medioevo ed età moderna, Il Mulino, Bologna 2008. 6 NIKOLAUS STAUBACH, In hoc signo vinces. Wundererklärung und Wunderkritik im vormodernen Wissensdiskurs, in “Frühmittelalterliche Studien”, 43 (2009), pp. 1-52. 7 JOHN HENRY NEWMAN, An Essay on the Miracles recorded in the Ecclesiastical History of the Early Ages, John Henry Parker, Oxford-London 1843, pp. cxxxiii-cxliii. “If any event might be said to call for a miracle, it was this; whether to signalize it or to bring it about” (p. cxxxiv). 8 Tra i tanti studi sulla linea "demitizzatrice", si vedano: FRANCESCO CORSARO, Sogni e visioni nella Teologia della Vittoria di Costantino e Licinio, in “Augustinianum”, 29 (1989), pp. 333-349; OLIVER NICHOLSON, Constantine's vision of the cross, in “Vigiliae Christianae”, 54 (2000), pp. 309-323; ALEXANDER DEMANDT, Wenn Kaiser träumen - Die Visionen Konstantins des Großen, in ID.-JOSEF ENGEMANN (a cura di), Konstantin der Große. Geschichte - Archäologie - Rezeption, Rheinisches Landesmuseum,Trier 2006, pp. 49-59. 9 FRANÇOIS HEIM, Virtus. Idéologie politique et croyances religieuses au IV siècle, Peter Lang, Berne-Frankfurt a.M. 1991, p. 19 (pp. 19-27). 10 JACQUELINE AMAT, Songes et visions. L’au-delà dans la literature latine tardive, Etudes Augustiniennes, Paris 1985, p. 208. 2 Costantino al Cristianesimo, ritiene che la visione sia stata creata ad arte per suggellare l’evento con un prodigio celeste11. Per non parlare di chi riprende vecchie tesi, come quelle di Johann Albert Fabricius (1688-1736), che agli inizi del XVII secolo riduceva la visione costantiniana ad un fenomeno meteorologico12. E’ bene ricordare che la polemica anticostantiniana nasce nei circoli culturali umanistici e protestanti, soprattutto come attacco condotto alla "donazione di Costantino", per poi estendersi, in chiave razionalista, con il deismo e l'illuminismo, alla visione di Saxa Rubra13. Staubach descrive alcune fasi di questo processo di desacralizzazione che giunge a considerare la apparizione della Croce come un puro "stratagemma" politico (“Kriegslist”)14. Da parte mia, non intendo ripercorrere il dibattito storiografico, ma soffermarmi piuttosto in quello che mi sembra un punto cruciale: il significato archetipico che la battaglia di Saxa Rubra, inscindibilmente legata alla visione di Costantino, ha assunto nel corso dei secoli e tuttora mantiene. La visione di Costantino I fatti sono noti, ma può essere utile ricordarli. Il 28 ottobre 312 Costantino riporta a Ponte Milvio una vittoria così travolgente su un nemico a lui tanto superiore che i contemporanei, sia cristiani che pagani, la giudicano miracolosa. Il racconto di una visione che precedette la battaglia è riportato da due autori cristiani che costituiscono le principali fonti relative all’evento: Lattanzio nel De mortibus persecutorum e soprattutto Eusebio nella Vita di Costantino. Il De mortibus persecutorum ha il vantaggio di essere stato composto a ridosso degli avvenimenti: sia che risalga al 314- 315, sia che si dati tra il 317 e il 321, quando Lattanzio dimorava a Treviri nelle Gallie. Nel suo opuscolo Lattanzio racconta che nel mese di ottobre del 312, Costantino, che si trovava nella zona di Ponte Milvio, alle porte di Roma, per attaccare Massenzio, ebbe nella notte una visione. Secondo Lattanzio, “commonitus est in quiete Costantinus, ut caeleste signum dei notaret in scutis atque ita proelium committeret. Facit ut iussus est et trans versa X littera, summo capite circumflexo, Christum in Scutis notat. Quo signo armatus exercitus capit ferrum”. “Costantino fu avvertito in sogno ad iscrivere il celeste segno di Dio negli scudi e di affrontare così il combattimento. Lui fa come gli è stato ordinato e iscrive sugli scudi il (segno di) Cristo, una X attraversata dalla lettera I con una curva in cima. Inalberando questa insegna, l’esercito attacca battaglia” 15. Fecit ut iussum est: Costantino eseguì un ordine venuto dal Cielo e fece apporre sugli scudi il simbolo divino prima di attaccare battaglia. Il signum disegnato sugli scudi era espresso da un chi 11 Così ad esempio ARNALDO MARCONE, Costantino il Grande, Laterza, Bari 2000, pp. 41-43; Id. Pagano e cristiano. Vita e mito di Costantino, Laterza, Bari 2002, pp. 179-194. 12 JOHANN ALBERT FABRICIUS, Dissertatio de cruce Constantini Magni qua probatur eam fuisse phænomenon in halone solari, quo Deus usus, sit ad Constantini Magni animum promovendum, Hamburgi 1706. Sulla linea “astronomica”: PETER WEISS, The vision of Constantine, in "Journal of Roman Archeology", 16 (2003), pp. 237-259 e, in chiave più divulgativa, BRUNO CARBONIERO-FABRIZIO FALCONI, In Hoc vinces. La notte che cambiò la storia dell’Occidente, Mediterranee, Roma 1911 13 Si veda, oltre a N. STAUBACH, op. cit., GIOVANNI MARIA VIAN, La donazione di Costantino, Il Mulino, Bologna 2004, pp. 91 e sgg.; ID., Usare l’imperatore: l’immagine di Costantino fra protestanti e cattolici, in “Mediterraneo antico”, 6 (2003), pp. 274-296. 14 N. STAUBACH, op. cit. p. 20. 15 LATTANZIO, De mortibus persecutorum, 44, 4-5, tr. it. Come muoiono i persecutori, Introduzione, traduzione e note a cura di MARIO SPINELLI, Città Nuova, Roma 2005, pp. 115-116. 3 posto di traverso, obliquo, la cui asta verticale, arricciata in punto (summo capite circuflexo) formava un rho: quella che gli archeologi chiamano croce monogrammatica16. Come rileva Zecchini, l’opuscolo di Lattanzio “è in senso assoluto il primo titolo storiografico della letteratura latina dopo l’età antonina”17. La sua narrazione, osservava Pio Franchi de’ Cavalieri potrà forse essere definita tendenziosa o di parte, ma non è mai stata dimostrata irrispettosa della verità storica. In questo caso sembra difficile che egli possa avere inventato un fatto recentissimo, del quale i testimoni dovevano essere innumerevoli18. La critica razionalista, indulgente con Lattanzio, anche per la sobrietà della sua narrazione, si è concentrata soprattutto contro Eusebio19 che nella vita di Costantino ci offre una dettagliata ricostruzione storica della vicenda, riferitagli dall'Imperatore in persona sotto giuramento20. Eusebio racconta che Costantino, mentre era in viaggio alla testa delle sue truppe, “intorno all’ora meridiana, quando il giorno comincia a declinare, riferì di aver visto con i propri occhi in mezzo al cielo un trofeo luminoso a forma di croce che sovrastava il sole, e accanto ad esso una scritta che diceva: "Vinci con questo!". L’esercito vide lo stesso segno e ne rimase sbigottito, come l’imperatore, che si domandava cosa mai potesse significare questa apparizione. Allora, durante la notte gli apparve in sogno Cristo, che gli ordinò di fare eseguire un’ immagine simile a quella che aveva visto nel cielo e di servirsene di difesa contro i nemici”21. Eusebio distingue dunque due fatti prodigiosi diversi: l’apparizione diurna della Croce e l’apparizione notturna di Cristo. Il fatto che lo storico tenga a precisare che il suo racconto si basa su ciò che Costantino gli ha riferito sotto solenne giuramento è importante sotto diversi aspetti. In primo luogo fa comprendere perché Eusebio abbia taciuto questo episodio nella Storia ecclesiastica. A quell'epoca le voci sul prodigio circolavano nell'Impero, ma il rigore che caratterizza il metodo storiografico di Eusebio non gli permetteva di accreditare un fatto su cui non aveva testimonianze né dirette né 16 Per una ricostruzione del signum, cfr., tra i tanti contributi: JOSEPH VOGT, Die Konstantinische Frage, in X Congresso Internazionale di Scienze Storiche, vol. VI, Firenze 1955, pp. 733-779 e e HENRI IRENÉE MARROU, Autour du monogramme constantinien , in Mélanges offerts à Etienne Gilson, J. Vrin, Toronto-Paris 1959, pp. 403-414. 17 GIUSEPPE ZECCHINI, La storiografia da Lattanzio ad Orosio, in I cristiani e l’Impero nel IV secolo, Colloquio sul Cristianesimo nel mondo antico, Atti del Convegno (Macerata 17-18 Dicembre 1987), a cura di G. BONAMENTE e ALDO NESTORI, Egle, Macerata 1988, p. 172 (pp. 171-180). 18 PIO FRANCHI DÉ CAVALIERI, Constantiniana, Biblioteca Apostolica Vaticana, Città del Vaticano 1953, p.11. Franchi de’ Cavalieri dimostra nel suo studio la debolezza delle tesi di HEINRICH SCHRÖRS (Konstantins des Großen Kreuzerscheinung, Eine kritische Untersuchung, Peter Hanstein, Bonn, 1913, pp. 496 e sgg.), WILLIAM SESTON (La vision païenne de 310 et les origines du chrisme constantinien, in Mélanges Franz Cumont, I, Institut de philologie et d'histoire orientales et slaves, Bruxelles 1936, pp. 373-395), e HENRI GRÉGOIRE (La “conversion” de Constantin, in “Revue de l’Université de Bruxelles”, 36 (1930-1931), pp. 231-272), che hanno cercato di inficiare il racconto di Lattanzio. 19 Cfr. ad esempio H. GRÈGOIRE, La “conversion” de Constantin, cit ; ID. Eusèbe n’est pas l’auteur de la “Vita Constantini” dans sa forme actuelle et Constantin ne s’est pas “converti” en 312, in “Byzantion”, XIII (1938), pp. 561-583; ID., La vision de Constantin “liquidée”, in “Byzantion”, 14 (1939), pp. 341-351. Un noto autore cattolico di area modernista come mons. Pierre Batiffol, ad esempio, rigettando le tesi di H. SCHRÖRS, sosteneva la storicità del racconto di Lattanzio che qualificava “très solide”, contrariamente a quello di Eusebio nella Vita Constantini (PIERRE BATIFFOL, La paix constantinienne et le catholicisme, V. Lecoffre, Paris 1914). 20 EUSEBIO, Vita Constantini 1, 28, 2. Utilizziamo la traduzione di LAURA FRANCO dalla Vita di Costantino, a cura della stessa BUR, Milano 2009, pp. 119-121 (l’edizione critica è stata curata da FRIEDHELM WINKELMANN nel 1975). Si veda anche LUIGI TARTAGLIA, Sulla Vita di Costantino, M. D’Auria, Napoli 1984. Su Eusebio e il suo tempo, cfr. ROBERT M. GRANT, Eusebius as Church Historian, Oxford University Press, Oxford 1980; TIMOTHY D. BARNES, Constantine and Eusebius, Harvard University Press, Cambridge (Mass.) 1981; S. CALDERONE, Storia e teologia in Eusebio di Cesarea, in Chiesa e Impero, cit., pp. 171-184. 21 EUSEBIO, Vita Constantini, XXIX. 4 dettagliate, tanto più che l'Imperatore, pur avendo spesso alluso ad esso, non si era mai pronunciato ufficialmente in proposito. La dichiarazione che Eusebio ricevette dall'Imperatore è tanto più significativa in quanto Costantino non si limitò a riferirgli il sogno notturno, ma gli confermò che l’apparizione della Croce era avvenuta, durante il giorno, davanti a tutto l’esercito. Non si può ammettere che l’Imperatore rischiasse di essere smentito da quei tanti che nel 311-312 avevano fatto parte delle sue legioni e che vivevano ancora quando, tra il 324 e il 337, egli narrava quegli avvenimenti ad Eusebio. Questa circostanza ci dà il diritto di considerare quella di Eusebio come una seconda testimonianza, dopo quella di Costantino, perché se l’Imperatore gli avesse raccontato un fatto non vero e che poteva essere facilmente smentito da altri testimoni, certamente lo storico non lo avrebbe preso in considerazione, proprio a riguardo della stima e dell’amicizia che aveva verso di lui e dell’interesse che aveva a non screditarlo. Va ricordato infine che Eusebio pubblicò il racconto dopo la morte dell’Imperatore. Basterebbe questa considerazione, per far cadere l’accusa a lui rivolta di inventare un episodio per adulazione e per cortigianeria. Se così fosse, Eusebio avrebbe dovuto parlare di tale avvenimento nella sua Storia ecclesiastica, pubblicata quando Costantino era vivo, e non nella Vita, quando questi era morto. Il racconto di Eusebio è a prima vista discordante da quello di Lattanzio, perché quest’ultimo non parla dell’apparizione diurna, ma solo di una visione notturna e la dà avvenuta nei pressi di Roma, quasi alla vigilia dell’ultima battaglia, mentre Eusebio la pone qualche tempo prima nelle Gallie. Lattanzio poi non parla del labaro, ma solo dell’inserzione della croce negli scudi, della quale Eusebio non riferisce. Le apparenti divergenze tra i due autori sono però facilmente spiegabili. Innanzitutto si può ritenere che i due racconti, quello di Eusebio e quello di Lattanzio, come osservava Leclercq nella esauriente voce dedicata al Labarum nel Dictionnaire d’archéologie, appartengano a due fasi diverse della guerra: il primo alla sua preparazione, il secondo al suo momento conclusivo22. E’ possibile che entrambe le visioni riferite da Eusebio avvenissero in Gallia, mentre a Roma sia accaduto solo quanto riferisce Lattanzio, ovvero l’impressione della croce negli scudi. Costantino, che già inalberava il labaro, potrebbe aver preso questa decisione in seguito a un’ulteriore visione o, più semplicemente, dopo aver visto gli effetti prodigiosi del signum Crucis nelle quattro grandi battaglie da lui vinte di Susa, Torino, Brescia e Verona. A Eusebio non interessava parlare dell’inserzione della croce negli scudi avvenuta a Roma, perché a lui bastava raccontare i fatti più importanti: cioè la visione e il comando di Cristo, eseguito da Costantino nella realizzazione del Labaro. D’altra parte, Lattanzio che scriveva a pochi anni dal fatto e probabilmente a Nicomedia, cioè lontano dagli avvenimenti prima di essere entrato in relazione con Costantino, non poté sapere quel che era accaduto se non dalla voce pubblica, e non in maniera precisa riguardo al tempo, al luogo e alle circostanze. Charles Lebeau (1701-1778), lo storico settecentesco del Basso Impero, già osservava che Lattanzio, autore non di una opera storica, ma di un opuscolo apologetico, parla solo dell’ordine ricevuto in sogno da Costantino, alla vigilia della battaglia, di imprimere il monogramma di Cristo, sugli scudi del suo esercito, perché omette tutto ciò che era accaduto dall’inizio della guerra fino ad allora; il che non significa che gli fosse sconosciuto23. Il silenzio è infatti un puro argomento negativo che sul piano storico la maggior parte delle volte non ha valore. Chi poi nega il sogno giudicandolo se non una menzogna deliberata, una allucinazione onirica di Costantino, forse 22 H. LECLERCQ, Dictionnaire d’archéologie chrétienne et de liturgie, Letouzey et Ané, vol. VIII/1, Paris 1928, col. 949 (coll. 928-962). 23 CHARLES LEBEAU, Histoire du Bas-Empire, en commençant de Constantin-le-Grand, Desaint et Saillant, 29 voll., Paris 1757-1817, vol. I, p. 60. L’opera è una continuazione della Histoire romaine (1738-1741) di Charles Rollin (1661-1741). 5 ingannato da straordinari eventi metereologici, si avventura sul terreno delle ipotesi indimostrabili e delle intenzioni soggettive, non degne di un autentico metodo storico24 Le testimonianze di Lattanzio e di Eusebio sono suffragate inoltre da una serie di fatti storici di cui non si può non tener conto. L’anno stesso della battaglia di Ponte Milvio Costantino donò al vescovo di Roma, papa Milziade, la Domus Faustae, presso la quale farà erigere la grandiosa basilica del Salvatore, detta poi Costantiniana. Due monumenti furono innalzati in onore dell’Imperatore dopo la vittoria, per iniziativa del Senato romano: una statua nel Foro, in cui egli impugnava l’insegna crucigera25; e l’arco di trionfo, tuttora esistente, in cui si celebra la vittoria come effetto di una ispirazione divina: instinctu Divinitatis26: una frase, mai prima di allora utilizzata, che riceve maggior rilievo dal fatto che il Senato era ancora, nella sua maggioranza, pagano. E’ questo un punto importante. Il Senato era il centro della resistenza anticristiana e Costantino fu costretto ad autocensurarsi per non perdere il suo potente appoggio. L’uso della simbologia solare pagana, che non va vista come antitetica alla simbologia solare cristiana ma come momento di passaggio ad essa, conferma questo compromesso. Tutti già parlavano a Roma della miracolosa visione, ma i tempi non erano ancora maturi perché Costantino potesse pubblicamente manifestare quella verità storica che poi rivelò sotto giuramento ad Eusebio. Non sbaglia Eusebio quando, dopo aver riferito il racconto giurato delle due apparizioni fattogli da Costantino, si appella agli avvenimenti che seguirono come ad una delle più forti testimonianze per la verità del suo racconto: “Chi potrebbe diffidare al punto di non prestar fede a racconto? “Tanto più che anche gli eventi successivi testimoniarono la fondatezza di quelle dichiarazioni”27. Gli eventi successivi possono essere riferiti sia alle numerose imprese militari da cui, nel corso di 25 anni, Costantino uscì sempre vincitore, facendosi precedere dal labaro, sia soprattutto all’opera legislativa, profondamente innovatrice, da lui intrapresa come reggitore dell’Impero, a partire dall’Editto di Milano28. La principale prova della verità del racconto di Eusebio è data proprio dalla condotta di Costantino dopo la battaglia di Saxa Rubra. Paul Veyne fa sua l’affermazione di Klaus Girardet, in Die kostantinische Wende, secondo cui tutte le decisioni più importanti, “letteralmente tutte”, prese da Costantino a partire dall’inverno 212-213, “mirano a porre le basi di un avvenire cristiano per il mondo romano”29. Conferma eloquente ce la offre l’iconografia che attesta il diffondersi in quest’epoca del monogramma, segno distintivo cristiano raffigurato nei sarcofagi, nelle gemme, nelle lampade e nelle più umili iscrizioni30. E il fatto che nei coni monetari si riscontri un’ambivalenza di simboli cristiani e pagani costituisce un’ulteriore conferma della cautela di Costantino di fronte al potere senatorio. 24 Stupisce che alla tesi della suggestione onirica inclini anche uno storico serio come PAUL VEYNE (Quando l’Europa è diventata cristiana (312-394). Costantino, la conversione l’Impero, tr. it. Garzanti, Milano 2008, pp. 64-67). 25 Cfr. anche Historia ecclesiastica, IX, 9, 10. 26 F. GROSSI-GONDI, L’arco di Costantino, in “Civiltà Cattolica”, vol. 64 (1913), II, pp. 179-199. 27 EUSEBIO, Vita Constantini, XXVIII, 1 (tr. it., p. 119). 28 Per un quadro di questa opera legislativa, cfr. Il Cristianesimo nelle leggi di Roma imperiale, a cura di ALBERTO BARZANÒ, Paoline, Milano 1996, pp. 59 e sgg. 29 K. GIRARDET, op. cit. p. 48; P. VEYNE, op. cit. p. 15. 30 F. GROSSI- GONDI, La battaglia di Costantino M. a “Saxa Rubra”, cit., p. 393; più in generale JULES MAURICE, Numismatique constantinienne : iconographie et chronologia description historique des émissions monétairas, Culture et Civilisation, Bruxelles 1965 (1908-1911). 6 Tutto ciò tralasciando la lunga serie di testimonianze del IV secolo, dai due panegirici pagani tenuti, il primo nel 313 davanti a Costantino da un ignoto retore, e il secondo nel 321 da un altro retore poi convertito, Nazario, per proseguire con le Storie ecclesiastiche di Rufino31, di Socrate32, di Filostorgio33. Solo un pregiudizio ideologico può negare che questa svolta radicale e improvvisa, possa essere avvenuta in seguito a un evento straordinario, quando questo evento è attestato da testimoni coevi e dal suo stesso protagonista. Appare singolare dibattere sull’itinerario psicologico della conversione di Costantino, ovvero sul suo foro interno, trascurando ciò che la storia ad extra ci mette in evidenza. Il che ovviamente non esclude che la conversione interiore abbia conosciuto fasi diverse e progressive di maturazione e di consapevolezza e soprattutto che la professione esterna del Cristianesimo sia avvenuta con gradualità da parte dell’Imperatore. Il significato archetipico dell’evento Sia come sia, mi sembra sterile riaprire la discussione su un punto su cui tutto è stato detto e nessuno storico, negli ultimi anni, ha apportato nulla di nuovo. Quel che a me interessa non è stabilire la veridicità delle fonti e/o la realtà delle apparizioni miracolose, ma comprendere il significato archetipico che alla visione di Costantino e alla sua vittoria venne dato dalla tradizione cristiana nei secoli successivi. Uso la parola archetipo nel senso platonico di modello che trascende la realtà e non nel significato che a questo termine attribuisce oggi il linguaggio psicanalitico, soprattutto junghiano. L’archetipo non è una immagine che nasce dall’immaginario collettivo, ma una categoria dello spirito espressa attraverso signa, da un linguaggio simbolico. Il linguaggio medievale è simbolico e archetipico per eccellenza. “Creaturae possunt considerari ut res vel ut signa” dirà san Bonaventura34. Come ogni altra creatura, gli eventi storici possono essere considerati come res e come signa: “cose” con una loro specifica struttura, ma anche “segni” e simboli di un mondo invisibile. Il “signum” esprime una realtà visibile e invisibile al tempo stesso. Occorre però, come rileva Alois Dempf nel suo Sacrum Imperium, una “spiritualis intelligentia”: “una comprensione sacrale, spirituale e religiosa di tutte le cose e di tutti gli eventi nel significato totale della vera realtà”35. Accade che un evento, entrando nella memoria storica, perda i suoi caratteri reali, per assumere un significato che, pur non contraddicendo la storia, in qualche modo la trasfigura. Non è necessario un miracolo perché un evento storico assuma un significato archetipico. Le battaglie di Poitiers e di Lepanto costituiscono, ad esempio, un momento archetipico della storia della civiltà occidentale, senza essere accompagnate da miracoli spettacolari. Nel caso di Saxa Rubra invece il trionfo militare e politico è inscindibile dalla visione miracolosa di Costantino. Il significato archetipico, o assiologico più che alla battaglia in sé, è legato al sogno o ai sogni che la precedettero. Cercherò di spiegarne le ragioni. 31 RUFINO, Historia ecclesiastica, IX, 9, 1. 32 SOCRATE, Historia ecclesiastica, I, 3. 33 FILOSTORGIO, Historia ecclesistica, I, 6. 34 S. BONAVENTURA DA BAGNOREGIO, I Sent. 3, 3 ad 2. 35 ALOIS DEMPF, Sacrum Imperium, tr. it. Le Lettere, Firenze 1988 (1933), p. 169. 7 Nei primi tre secoli dopo Cristo l’Impero romano aveva negato ogni forma di libertà e di riconoscimento alla Chiesa nascente, ma i cristiani non avevano cessato di manifestare il loro lealismo nei confronti dell’Impero, anche nelle fila dell’esercito36; fatto degno di nota se si considera che il servizio militare nell’Impero romano non era né universale né obbligatorio, salvo situazioni eccezionali. Malgrado le opinioni in senso contrario di Tertulliano, le cui posizioni riflettono la sua evoluzione verso l’eresia montanista37, nessun atto del Magistero aveva proibito il servizio militare nel corso dei primi tre secoli. Al contrario, è noto che in questo periodo storico, molti cristiani servirono come ufficiali o soldati nelle legioni romane, senza che la Chiesa rivolgesse loro alcun rimprovero per questo motivo. Molti di questi furono martirizzati; essi però non furono messi a morte per aver rifiutato come cristiani di servire nell’esercito, ma per aver rifiutato di partecipare a cerimonie pagane imposte dai persecutori, ossia per aver rifiutato di compiere atti di idolatria e di apostasia. Tale è l’esempio di sant’Eustachio, di san Sebastiano, di san Maurizio e della Legio XII Fulminata sotto Marco Aurelio, così come della Legione Tebea sotto Diocleziano e Massimiano. Il labaro cristiano inalberato da Costantino non solo non contraddiceva questa tradizione, ma introduceva un elemento nuovo e inaspettato. I cristiani erano stati buoni soldati, ma nessuna guerra era mai stata condotta sotto il segno della Croce. Ora Cristo stesso chiedeva a Costantino e alle sue legioni di combattere in Suo nome, stabilendo con ciò il principio per cui è lecito combattere in nome di Dio, quando la causa è giusta e la guerra è dichiarata santa. La battaglia del 28 ottobre non dimostrava solo la liceità per i cristiani di militare nell’esercito, ma proclamava, istinctu divinitatis, la prima guerra santa dell’era cristiana. La battaglia di Saxa Rubra rappresenta sotto questo aspetto una “svolta” archetipica. Poco importa la consapevolezza che di questa guerra religiosa ebbero i protagonisti, Costantino e Massenzio in primis. Ciò che vale è che la croce di Cristo non fu posta in contrasto con i vessilli militari, ma divenne essa stessa simbolo di lotta e di vittoria. Il motto in hoc signo vinces lega il Signum crucis, il simbolo della croce, ad una vittoria che non è solo quella interiore sulle passioni disordinate e sul peccato, ma è una vittoria pubblica, armata, militare38. Da allora il Cristo comincerà ad essere rappresentato come vittorioso39 e la Croce, non più insegna del servile supplicium, sormonterà il labaro imperiale e brillerà sugli elmi e sugli scudi delle legioni Di tutti gli organismi pubblici dell’Impero, l’esercito fu il primo ad avere un’impronta spiccatamente cristiana. Il III canone del Concilio di Arles, tenutosi nell’agosto del 313, pochi mesi dopo l’Editto di Milano, sancisce la prima condanna del pacifismo, stabilendo che “quelli che gettano le armi vengano scomunicati”40. Il giuramento militare (sacramentum) se non sotto Costantino, probabilmente già 36 Yves DE LA BRIÈRE s.j., Le droit de guerre juste. Tradition théologique, adaptations contemporaines, Pedone, Paris 1938, pp. 14-15. Una discutibile interpretazione pacifista del Cristianesimo dei primi secoli è proposta dalla raccolta di testi I cristiani e il servizio militare. Testimonianze dei primi tre secoli, a cura di ENRICO PUCCIARELLI, Nardini, Firenze 1987. Contra, cfr. tra l’altro M. SORDI, I cristiani e l’Impero romano, Milano 1983; ID., Il Cristianesimo e Roma, cit., pp. 481-483. 37 H. LECLERCQ, op. cit. coll. 1122-1126. 38 RAFFAELE FARINA S.D.B., in L’Impero e l’imperatore cristiano in Eusebio di Cesarea. La prima teologia politica del Cristianesimo, Pas-Verlag, Zürich 1966, definisce Eusebio “il primo teologo politico del Cristianesimo” (p. 279). Sulla “teologia della vittoria”, cfr. F. HEIM, La théologie de la victoire de Constantin à Théodose, Paris 1992 ; MICHAEL MCCORMICK, Vittoria eterna. Sovranità trionfale nella tarda antichità a Bisanzio e nell’Occidente altomedievale, tr. it., Vita e Pensiero, Milano, 1993. 39 Sul Christus Victor, a partire dal racconto di Eusebio, cfr. GERTRUD SCHILLER, Ikonographie der christliche Kunst, Gerd Mohn, Gütersloh 1971, vol. III, pp. 32-41. 40 KARL JOSEF VON HEFELE, Histoire des Conciles d’après les documents originaux, Letouzey et Ané, Paris 1907, vol. I, pp. 282-283. 8 nel IV secolo si faceva nel nome della SS. Trinità e della Maestà imperiale41. Il labaro col segno della Croce nel monogramma di Cristo divenne lo stendardo delle Legioni. Eusebio descrive in maniera dettagliata questo labaro, che affermava di aver visto con i propri occhi molti anni dopo, per cortesia dell’imperatore42. Esso era costituito da “una lunga asta rivestita d’oro con un braccio trasversale che formava una croce”43. Sulla sommità dell’asta era fissata una corona d’oro e di pietre preziose racchiudenti le due prime lettere del nome Cristόs intrecciate in modo che l’asta del rho era tagliata nel centro del chi. All’antenna trasversale fissata all’asta era appeso un drappo regale intarsiato d’oro e pietre preziose di indicibile bellezza; sotto il trofeo della croce l’asta verticale recava medaglioni di Costantino e dei suoi figli. Eusebio termina il suo racconto ricordando come “l’imperatore fece sempre ricorso a questo segno salvifico come baluardo contro ogni forza avversa e nemica e ordinò che copie di esso fossero messe alla testa di tutti i suoi eserciti”44. Naturalmente Eusebio non descrive il labaro originale di Ponte Milvio, ma quello che gli mostrò Costantino nella reggia di Costantinopoli, quindi con l’aggiunta dei semibusti aurei dei Cesari allora viventi. La parte essenziale del labaro, cioè l’asta crucigera coronata dal monogramma restava però sempre quella del 31245. Il labaro che più tardi descriverà Prudenzio differisce un po’ nella forma da quello raffigurato da Eusebio46, ma non nell’essenziale, rappresentato dal monogramma, in cui emergono con chiarezza le due prime lettere di Cristós. È logico che le numerose riproduzioni del labaro fossero diverse tra loro nei particolari (come diverse erano per esempio le aquile delle legioni) e che il monogramma fosse talora raffigurato in mezzo al drappo, come attesta Prudenzio, anziché vicino all’asta, come riferisce Eusebio47. Né Prudenzio né Eusebio conobbero il labaro originale, e lo immaginarono simile a quelli che avevano visto. Né si deve dimenticare che, secondo Sozomeno48, 41 VEGEZIO, L'arte della Guerra (Epitoma Rei Militaris), Oscar Mondadori , Milano 2001, II, 5. 42 EUSEBIO, Vita Constantini, lib. I, c. XXI, 1-2. Sul “labarum”, oltre alla voce cit. di H. LECLERCQ, si veda: J. P. DESROCHES, Le Labarum, étude critique et archéologique, démontrant que les prodiges de 312... s'accomplirent dans le voisinage de Chalon-sur-Saône, H. Champion, Paris 1894; FRANZ KAMPERS, Vom Werdegange der abendländischen Kaisermystik, Teubner, Leipzig-Berlin 1924; ANDREAS ALFÖLDI, The helmet of Constantine with the Christian monogram, in “Journal of Roman Studies”, 22 (1932), pp. 9-23; MICHAEL I. ROSTOVTZEFF, Vexillum and victory, in “Journal of Roman Studies”, 32 (1942), pp. 92-106; RUDOLF EGGER, Das Labarum - Die Kaiserstandarte der Spätantike, in “Sitzungsberichte der Österreichische Akademie der Wissenschaften, Philosophisch-Historische Klasse”, 234 (1960), pp. 1-26; GEORGE PITT-RIVERS, The riddle of the 'labarum' and the origin of Christian symbols, George Allen & Unwin, London 1966, pp. 92-106; H. GRÉGOIRE, L'éthymologie de Labarum, in “Byzantion”, 4 (1929), pp. 477-482; HENK W. SINGOR, The labarum, shield blazons, and Constantine's caeleste signum, in The Representation and Perception of Roman Imperial Power, proceedings of the Third Workshop of the International Network Impact of Empire (Roman Empire, c. 200 B.C. - A.D. 476), Netherlands Institute in Rome, 2002, pp. 481-500. 43 EUSEBIO, Vita Constantini, XXXI, 1 (tr. FRANCO, p. 121). 44 Ivi, XXXI, 3 (tr. FRANCO, p. 123). 45 P. FRANCHI DE’ CAVALIERI, op. cit., p. 27. 46 Cfr. PRUDENZIO, Contra Symmachum, I, pp. 487-489. Prudenzio si mostra indipendente sia da Lattanzio, che tace del labaro, che da Eusebio, che ignora i clipei insigniti del monogramma e del labaro fa una descrizione diversa. Si può convenire con Franchi de’ Cavalieri che fra la testimonianza di uno storico contemporaneo che ebbe la possibilità di esaminare il labaro nella reggia di Costantinopoli, e quella del poeta spagnolo vissuto tra il IV secolo e l’inizio del V, il testimone più attendibile sia il vescovo di Cesarea. Ma la descrizione di Prudenzio si attaglia perfettamente ad alcuni vessilli delineati nei nummi di Costantino e dei suoi successori. Sappiamo in verità da Eusebio che, accanto al labaro, esistettero numerose insegne fatte ad imitazione di esso ed assegnate da Costantino ai vari corpi d’esercito (P. FRANCHI DE’ CAVALIERI, op. cit., pp. 45-46) 47 CFR. LOUIS SÉBASTIEN LE NAIN DE TILLEMONT, Histoire des empereurs... qui ont régné durant les six premiers siècles de l'Histoire, F. Pitteri, Venise 1732-1739. vol. IV, p. 127. 48 SOZOMENO, Historia Ecclesiastica, 9, 4, in PG, 67, col. 160A. 9 i successori di Costantino utilizzarono due diversi labari – l’uno per l’imperatore d’Oriente, l’altro per l’imperatore d’Occidente – mentre quello ritenuto originario era riposto, quale prezioso cimelio storico nella reggia di Bisanzio come ci informa Socrate49. Nel cielo delle Gallie e/o di Roma non si staglia solo una Croce, ma un motto, difficilmente confondibile con un alone solare, che racchiude non solo un appello al combattimento, ma l’aspirazione a una pace ordinata. Ogni guerra infatti trae il suo ultimo significato dalla pace a cui tende. Non si cerca la pace per fare la guerra, spiegherà sant’Agostino, ma si fa la guerra per conseguire la pace50. La guerra santa costantiniana va intesa in stretta connessione con quella pax cristiana, descritta da Eusebio nel capitolo VII della Demonstratio Evangelica51. Una pace che si identifica con il Regno di Cristo che inizia ad attuarsi sulla terra, mentre l’Impero, come osserva il card. Farina, “si avvia a trasformare la sua universalità di diritto in universalità di fatto”52. Pax romana e pax cristiana si identificano nella pax costantiniana, che annuncia il nuovo Impero romano-cristiano. Gli storici fanno generalmente risalire la formazione dell’idea di crociata all’età carolingia53, ma l’archetipo risale a Saxa Rubra e non sbaglia chi rintraccia l’idea di una prima cavalleria cristiana nella decisione di Costantino di costituire un gruppo di guardie scelte, per custodire e difendere il labarum54. Il Signum crucis sulle vesti dei crociati implica questa teologia della storia che va al di là della contingenza storica della liberazione del Santo Sepolcro, ma diviene una categoria dello spirito, disciplinata da una legge canonica che affida alla Chiesa, e solo ad essa, il diritto di proclamare la Guerra Santa. Gli studi del cardinale Stickler approfonditi dal suo allievo Castillo Lara nel volume su Coacción eclesiastica y Sacro Romano Imperio, hanno messo in luce gli aspetti anche simbolici dell’idea di guerra santa riconducibile, sotto l’aspetto canonico, alla potestas coactiva della Chiesa55. Carl Erdmann in un capitolo che costituisce il cuore del suo studio fondamentale su L’idea di crociata, sottolinea come nell’XI secolo si diffonde l’uso del vexillum Sancti Petri, l’insegna conferita dal Papa a un condottiero da lui prescelto che combatteva per il bene della Chiesa56. Il vexillum è un segno di investitura temporale legato ad un’impresa bellica. Esso, soprattutto durante il Pontificato di Gregorio VII, si afferma come simbolo insieme papale e 49 Quando SOCRATE scrive che ai suoi giorni il labaro di Costantino si conservava nel palazzo imperiale (Historia ecclesiastica, 1, 2), lascia supporre che l’insegna avesse cessato di accompagnare l’imperatore nelle spedizioni belliche e nelle parate solenni. 50 AGOSTINO D’IPPONA, 51 soprattutto in Epistula al conte Bonifacio 189, in PL, 33, coll. 885-886. EUSEBIO, Demonstratio Evangelica, VII, 2, 19-23. 52 Cfr. RAFFAELE FARINA, Concezioni della pace. A proposito di Costantino il Grande ed Eusebio di Cesarea, in Concezioni della pace, a cura di PIERANGELO CATALANO e PAOLO SINISCALCO, Herder, Roma 1988, p. 131 (pp. 123-132). 53 Cfr. ad esempio JEAN FLORI, La guerra santa. La formazione dell’idea di crociata nell’Occidente cristiano, tr. it. Il Mulino, Bologna 2003; FRANCO CARDINI, Studi sulla storia e sull’idea di crociata, Jouvence, Roma 1993. 54 Cfr. FOLCHINO SCHIZZI, Sulla milizia costantiniana. Memoria storica, Gaspare Truffi, Milano 1828, pp. 11-21; LUIGI ANGELI, PIETRO GIACCHIERI, Memorie storiche sull’antichità ed eccellenza dell’ordine armato, ossia dello Speron d’oro, Tip. Antonio Mugnoz, Roma 1841, pp. 21 e sgg. Il Codice Teodosiano dedica un capitolo de praepositis Labarum (Cod.. Theod., VI, 25, 1 dell’11 novembre 416), per indicare alcuni ufficiali della corte preposti a guardia dello stendardo imperiale. 55 Card. ROSALIO CASTILLO LARA, Coacción eclesiastica y Sacro Romano Imperio, Pontificio Ateneo Salesiano, Torino 1956. 56 CARL ERDMANN, Alle origini dell’idea di crociata, tr. it., CISAM, Spoleto 1996, pp. 149-200. 10 imperiale, per poi costituire il presupposto dell’idea di crociata, concepita, anche se non attuata dal grande Pontefice57. Il vexillum Sancti Petri, è il simbolo del gladius materialis della Chiesa, il suo potere di coazione anche in temporalibus58 che si esprime nelle Crociate, ma che ha il suo primo archetipo nella battaglia di Saxa Rubra. Ciò che mi sta a cuore sottolineare è che questa teoria della guerra santa, includente una nuova concezione della sovranità, non è una teologia politica bizantina59, come spesso si ritiene, ma latina e romana. Il labaro costantiniano di Saxa Rubra non contiene, in nuce, il cesaropapismo di Giustiniano, ma piuttosto la celebre distinzione di Papa Gelasio tra i due poteri, la sacrata auctoritas e la regia potestas, poi raffigurata nell’immagine del grande triclinio Lateranense, in cui si vedrà Gesù che dà le chiavi a S. Pietro e lo stendardo a Costantino, e dal lato opposto S. Pietro che dà il pallio a Leone III e lo stendardo a Carlo Magno. Questa teologia politica prende forma nel mezzo secolo che intercorre tra gli Editti di Milano del 313 e di Tessalonica del 380 (o se si preferisce di Costantinopoli dell’8 novembre 39260), ovvero tra la libertà accordata al Cristianesimo e quella definitiva proscrizione del paganesimo, che corona il processo legislativo avviato da Costantino. La nuova concezione della sovranità cristiana si intreccia con una teologia della guerra che a sua volta può essere racchiusa tra gli eventi bellici di Saxa Rubra e del Frigido, la battaglia con cui, alla fine del IV secolo il Cristianesimo regolò definitivamente i conti con il paganesimo. La croce – ci ricorda Teodoreto – guidava sulle Alpi l’esercito di Teodosio61: “Cristo, intessuto in oro gemmato, – canta a sua volta Prudenzio – era l’insegna del purpureo labaro, le insegne degli scudi di Cristo aveva tracciato, ardeva la Croce aggiunta all’alto delle creste degli elmi”62. Aurelio Prudenzio è il più illustre poeta della Roma cristiana di quel tempo. Se il suo Peristephanon è un inno di vittoria, è soprattutto nel Contra Symmachum che risuona il suo canto guerriero63 e il suo “patriottismo romano e cristiano”64. In quest’opera, pubblicata fra il 402 e il 57 ROBERTO DE MATTEI, Il “Dictatus Papae” di Gregorio VII nella storia della Chiesa in Il Papato e i normanni. Temporale e spirituale in età normanna, a cura di EDOARDO D’ANGELO e CLAUDIO LEONARDI, Sismel - Edizioni del Galluzzo, Firenze 2011, pp. 9-22. 58 ALFONS MARIA STICKLER, Il potere coattivo materiale della Chiesa nella Riforma gregoriana, secondo Anselmo di Lucca, in “Studi Gregoriani”, II (1947), pp. 235-285; ID., Il “glaudius” nel Registro di Gregorio VII, in “Studi Gregoriani”, III (1948), pp. 89-103. 59 JEAN-MARIE SANSTERRE, Eusèbe de Césarée et la naissance de la théorie “césaropapiste”, in “Byzantion”, XLII, (1972), pp. 131-195 e 532-593. Sulla distinzione tra la concezione dell’Impero romana e quella bizantina rimangono sempre attuali le pagine di PIETRO DE FRANCISCI, in Arcana Imperii, Giuffré, Milano 1948, vol. IV, pp. 86-237. 60 Cod. Theod., XVI, X, 12. Cfr. GERHART EGGER, Das Edikt des Kaisers Theodosius von 380 und das Ende der Konstantinischen Religionspolitik, in OTTO BRINNA, EHRL FRIEDRICH (a cura di), Echo. Beiträge zur Archäologie des mediterranen und alpinen Raumes : Johannes B. Trentini zum 80. Geburtstag, Institut für Sparchwissenschaft der Universität Innsbruck, Innsbruck 1990, pp. 99-103. 61 TEODORETO, Historia ecclesiastica, V, 24. 62 PRUDENZIO, Contra Symmachum, 1, 464 sgg. (tr. it. nell’edizione a cura di GIOVANNI GARUTI, Japadre, L’AquilaRoma 1996, p. 113). 63 F. HEIM, op. cit., p. 272. Sulla teologia politica di Prudenzio, cfr. FRANÇOIS PASCHOUD, Roma aeterna. Etudes sur le patriotisme romain dans l’Occident latin à l’époque des grandes invasions, Institut Suisse de Rome, Neuchatel 1967, pp. 222-233; MICHAEL ROBERTS, Rome Personified, Rome Epitomized: Representations of Rome in The Poetry of the Early Fifth Century, in “American Journal of Philology”, 122 (2001) pp. 533-565. 64 F. PASCHOUD, op. cit.,p. 223. 11 403, ma composta forse alcuni anni prima65, egli rammenta all’imperatore Onorio che la vittoria delle sue armi fu dovuta non agli dei pagani, né alle vecchie superstizioni, ma alla fede cristiana. Teodosio il Grande, nel canto di Prudenzio, si rivolge alla personificazione di Roma con queste parole: “Agnoscas, regina, libens mea signa necesse est, /in quibus effigies crucis aut gemmata refulget/ aut longis solido ex auro praefertur in hastis” (“È giusto che tu, o regina, riconosca in piena volontà le mie insegne nelle quali o rifulge l’effigie gemmata della Croce oppure essa è avanti portata in oro massiccio sulle lunghe aste” )66. La effigies crucis era quella inalberata già da Costantino nel 312 a ponte Milvio, come dichiara solennemente il poeta: “Hoc signo invictus transmissis Alpibus ultor/ servitium solvit miserabile Constantinus,/ cum te pestifera premeret Maxentius aula” (“Invitto sotto questo segno, attraversate le Alpi, quale vendicatore Costantino sciolse la miserevole schiavitù mentre ti opprimeva Massenzio con la sua rovinosa corte”)67. La concezione dell’Impero romano-cristiano di Prudenzio non è diversa da quella che, negli stessi anni, propone sant’Ambrogio68. Nel De obitu Theodosii, pronunziato di fronte alla Corte di Milano, sant’Ambrogio collega l’Inventio Crucis di sant’Elena alla corona di Teodosio e di Onorio, che è quella dell’Impero romano. Egli tace sulla visione di Costantino, perché il ritrovamento della vera Croce era per lui un fatto molto più importante, tanto più che l’intento del vescovo di Milano era quello di sostituire come modello di imperatore cristiano Teodosio a Costantino, di cui san Girolamo denunciava in quegli anni l’indulgenza verso l’arianesimo. Anche per sant’Ambrogio però il labaro costantiniano, che nel 388 definisce Christi sacratum homine69, è il simbolo di quell’Impero romano-cristiano a cui aspira con tutte le sue forze. Le vicende storiche del V secolo frantumeranno questo ideale, ma mentre l’Impero d’Occidente si dissolve, l’archetipo di Saxa Rubra viene ritrasmesso dagli storici cristiani ai secoli successivi70. Marco Aurelio Cassiodoro, nella sua Historia tripartita descrive il labarum in crucis vexillum transformatur71, fondendo le testimonianza di Lattanzio e di Eusebio. La sua opera è il 65 Così ritiene ANTONIO G. AMATUCCI, Storia della letteratura latina cristiana, Laterza, Bari 1929, p. 245, nota 24. Il Contra Symmachum sarebbe stato composto negli anni della controversia per l’altare della Vittoria, mentre il poeta si trovava a corte, sotto l’influsso dello scritto di Ambrogio; rimaneggiato poi nel 402- 403, allorché Prudenzio pensò d’includerlo nel corpus delle sue poesie. Secondo una ipotesi di AIMÉ PUECH (Prudence: étude sur la poésie latine chrétienne au IV siècle, Hachette, Paris 1888, p. 195), dopo la morte di Teodosio (395) e di sant’Ambrogio (397), Simmaco avrebbe ripresentato la sua relatio del 384 all’imperatore Onorio, ottenendo che la Vittoria fosse ricollocata nella curia senatus. Questo fatto avrebbe riaccesa la lotta fra cristiani e pagani, offrendo a Prudenzio l’occasione di intervenire (cfr. UMBERTO MORICCA, Storia della letteratura cristiana, Soc. Ed. Internazionale, Torino 1923-1926, 2,2, p. 941). Cfr. anche P. PELOSI, La doppia redazione delle opere di Prudenzio, in “Studi italiani di filologia classica”, 17 (1941), p. 141. 66 Cfr. PRUDENZIO, Contra Symmachum, I, 464 sgg. (tr. it. cit. p. 112). 67 Ivi, 467 sgg. (tr. it. cit. p. 112). 68 Si leggono sempre con profitto le pagine di JEAN-RÉMY PALANQUE, Saint Ambroise et l’Empire Romain. Contribution à l’histoire des rapports de l’Eglise et de l’Etata à la fin du quatrième siècle, H. de Boccard, Paris 1933. 69 S. AMBROGIO, Epistula 40, in PL, 16, col. 1152. 70 Cfr. EUGEN EWIG, Das Bild Constantins des Grossen in den ersten Jahrhunderten des abendlandischen Mittelalters, in “Historisches Jahrbuch”, 75 (1956), pp. 1-46; AMNON LINDER, The Myth of Constantin the Great in the West: Sources and hagiographic commemoration, in "Studi Medievali", XVI (1975), pp. 43-95: T. GRÜNEWALD, «Constantinus novus»: Zum Constantin-Bild des Mittelalters, in Costantino il Grande, in Dall’Antichità all’Umanesimo, cit. 71 “Admiratus imperator prophetias de Christo ita promissas, jussit viros eruditos ex auro et lapidibus pretiosis in vexillum crucis transformare signum quod Labarum vocabatur. Hoc enim signum bellicum interalia pretiosus erat, eo quod imperatorem praecedere, et adorari id a militibus moris esset” (M. AURELII CASSIODORII, Historia Trypartita, I, V, in PL, 69, coll. 888-889). 12 punto di confluenza tra tradizione greca e tradizione latina e anche il punto di giuntura tra la cultura romana e quella medievale72. Da essa dipende la Leggenda aurea73, di Jacopo da Varazze, che non è una raccolta di pie invenzioni, come superficialmente si ritiene, ma un compendio delle tradizioni trasmesse dai primi secoli dell’era cristiana o, più precisamente, come ha osservato Emile Mâle, una volgarizzazione del lezionario liturgico74 . Essa così ci tramanda l'episodio di Saxa Rubra: “Avendo Massenzio invaso l'impero romano, l'imperatore Costantino stava per entrare in conflitto con Massenzio al ponte Albino; agitato da una grande ansia alzava spesso gli occhi al cielo per chiedere aiuto, quando vide come in sogno risplendere nel cielo verso oriente, un segno luminosissimo e accanto vi erano degli angeli che gli dicevano "Costantino, in questo segno vincerai". Poi, come dice l'Hystoria tripartita, mentre Costantino cercava di capire che cosa fosse quel segno, Cristo gli apparve nella notte con lo stesso segno che aveva visto in cielo e gli disse di riprodurlo, perché lo avrebbe aiutato nello scontro. Costantino allora, felice e ormai certo della vittoria, tracciò sulla sua fronte il segno di croce che aveva visto in cielo, trasformò le insegne militari in forma di croce e tenne nella mano destra una croce d'oro”75. Il fatto che la visione di Costantino si trasferisca dalle Gallie, come vuole la più esatta versione storica di Eusebio, a Ponte Milvio, come indica Lattanzio, ha poca importanza. La rappresentazione non contraddice la realtà, ma la trasfigura, riassumendo in un atto semplice, la complessità di un evento. Il racconto del sogno di Costantino si accompagna nella Leggenda aurea a quello del ritrovamento della Croce da parte di sant'Elena76. Dalla Leggenda aurea, che fu il libro più popolare 72 Cfr. MARIO MAZZA, La Historia tripartita di Flavio Magno Aurelio Cassiodoro Senatore, Metodi e scopo in Flavio Magno Aurelio Cassiodoro, Atti della settimana di studi, Squillace 19-24 settembre 1983, Rubettino, Soveria Mannelli 1986, pp. 210-244; PIER FRANCESCO BEATRICE, De Rufin à Cassiodore. La réception des Histoires ecclesiastiques grecques dans l’Occident latin, in L’historiographie de l’Eglise des premiers siècles, a cura di BERNARD POUDERON e YVES-MARIE DUVAL, Beauchesne, Paris 2001, pp. 237-257. La Historia tripartita, portata a termine da Epifanio sotto la guida di Cassiodoro, è il compendio della storiografia ecclesiastica dei primi tre secoli. Essa avrebbe dovuto offrire ai latini quelle conoscenze che i greci si vantavano di possedere in esclusiva. 73 Cfr. IACOPO DA VARAZZE, Legenda aurea, Edizione critica a cura di GIOVANNI PAOLO MAGGIONI, II ed. riv., Sismel Edizioni del Galluzzo, Firenze 1998, cap. LXIV, De Inventione Sanctae Crucis (vol. I, pp. 458-470). 74 EMILE MÂLE, L’art religieux du XIII siècle en France. Etude sur l’iconographie du Moyen Age et sur ses sources d’inspiration, Librairie Armand Colin, Paris 1910, p. 320 e, più in generale il capitolo sulla Légende dorée, pp. 313-386. 75 “Ait enim quod, cum Maxentius Romanum imperium invasisset, Constantinus imperator iuxta pontem Albinum cum Maxentius conflicturus advenit. Cum igitur anxius multum esset et pro sibi mittendo auxilio ad coelum oculos crebro levaret, vidit per soporem ad orientis partem in coelo signum fulgore igneo rutilare angelosque adstare et sibi dicere : Costantine in hoc vinces. Et, ut dicitur in Hystoria tripartita, dum Costantinus, quid hoc esset, miraretur, Christus nocte superveniente eidem apparuit cum signo, quod vidit in coelo, jussitque ut fieret ejus signi figuratio, quod foret auxilium in congressibus proeliorum. Tunc Constantinus laetus redditus et de victoria jam securis signum crucis, quod in coelo viderat, in sua fronte designat, vexilla mitaria in signaculum crucis transformat et in manu dextra auream crucem portat” (Legenda Aurea, De Inventione Sanctae Crucis, cap. LXVIII). 76 Fonti in RUFINO, Historia ecclesiastica, X, 7-8; SOCRATE SCOLASTICO, Historia ecclesiastica, I, 17; SOZOMENO, Historia ecclesiastica, II, 1-2; TEODORETO, Historia ecclesiastica, I, 18; AURELIO AMBROGIO, De obitu Theodosii, 40-49; PAOLINO DA NOLA, Lettere, XXXI, 4-5; Cronaca, II, 22-34. Sulla “leggenda”: STEFAN HEID, Der Ursprung der Helenalegende im Pilgerbetrieb Jerusalems, in “Jahrbuch für Antike und Christentum”, 32 ( 1989), pp. 41-71; M. SORDI, Dall’elmo di Costantino alla Corona ferrea in Costantino il Grande. Dall’antichità all’umanesimo, cit., pp. 883-892; JAN WILLEM DRIJVERS, Helena Augusta: The Mother of Constantine the Great and her Finding of the True Cross, Leiden, 1992. 13 del Medioevo, dipendono le rappresentazioni pittoriche del XV e del XVI secolo: i celebri affreschi di Piero della Francesca ad Arezzo77 e di Giulio Romano e Francesco Penni in Vaticano78. Verso l’epoca moderna Non è mio compito seguire la diffusione iconografica del modello costantiniano dai primi seoli all’età della Contro-riforma. Quel che è certo è che la battaglia di Saxa Rubra, riassunta dal monogramma di Cristo e dal motto In Hoc signo vinces, ha ormai assunto un significato archetipico che vediamo affiorare con forza nei momenti epici della storia della Chiesa79. Uno per tutti è rievocato in questi termini da Hubert Jedin : “Se le insegne medievali, indicanti la sovranità, esprimono molto delle caratteristiche ideali della sovranità medioevale – scrive lo storico tedesco – ciò vale anche per i vessilli sotto i quali combatté la Lega a Lepanto. Quando Marcantonio Colonna l’11 giugno 1571 prestò giuramento nella cappella papale, ricevette dalle mani del Papa, oltre al bastone del comando, una bandiera di seta rossa. Su questa bandiera era impresso il Cristo crocefisso tra i principi degli apostoli Pietro e Paolo; sotto di essi vi era lo stemma di Pio V e come motto: In hoc signo vinces. Il Cristo crocefisso non è una semplice immagine di Cristo, ma la croce dei crociati: Pietro e Paolo simbolizzano non solo che il Colonna comanda il contingente papale, ma che la Chiesa romana e il suo capo, il Papa, si identificano nell’impresa. Il motto In hoc signo vinces mostra come la guerra sia una guerra di fede”80. Conserviamo una dettagliata descrizione dello stendardo consegnato da san Pio V a Marcantonio Colonna, duca di Paliano e Gran Connestabile della corona di Napoli, il giorno in cui egli fu nominato capitano generale dell’Armata Pontificia e ne ricevette dal Papa lo stendardo. Il biografo di Pio V, Giannantonio Gabuzio, racconta che il labaro recava dipinto sul fondo di damasco rosso cremisi (vexillum ex damasceno serico rubro confectum) il Crocifisso fra gli apostoli Pietro e Paolo con in alto il motto costantiniano in hoc signo vinces81. Anche dal diario di Cornelio Firmiano, cerimoniere della Corte pontificia, si ha un’esatta descrizione del labaro consegnato dal 77 Cfr. MARCO DELLA RATTA – PIERANGELO MAZZESCHI, La Storia e la Croce. La leggenda della vera croce di Piero della Francesca ad Arezzo, Società Editrice Fiorentina, Firenze 2011. Nell’opera di Piero della Francesca, l’artista raffigura Costantino con il volto dell’Imperatore Giovanni VIII Paleologo di Bisanzio che, impugnando la Croce, mette in fuga l’esercito nemico di Massenzio. In un successivo affresco vediamo combattere l’Imperatore Eraclio per riappropriarsi della Vera Croce trafugata dal re persiano Cosroe. 78 Sulla diffusione iconografica nei primi secoli, cfr. CARLO CECCHELLI, Il trionfo della Croce. La Croce e i santi segni prima e dopo di Costantino, Edizioni Paoline, Roma 1954; su quella successiva LOUIS REAU, Iconographie de l’art chrétienne, Presses Universitaires de France, Paris 1958, vol. III/I, pp. 341-344; G. SCHILLER, op. cit., vol. III, pp. 165-169. Cfr. anche MARC FUMAROLI, Cross, Crown and Tiara: The Constantin Myth between Paris and Rome (1590-1690) in Piero della Francesca and His Legacy, a cura di Marilyn Aronberg Lavin, National Gallery of Art, Washington 1995, pp. 89-102; MARIA ANDALORO, SERENA ROMANO, Arte e iconografia a Roma : da Costantino a Cola di Rienzo, Jaca Book, Milano 2000. 79 Sull’immagine di Costantino tra Rinascimento e Contro-Riforma, cfr. VINCENZO AIELLO, Aspetti del mito di Costantino in occidente: dalla celebrazione agiografica alla esaltazione epica, in “Annali della Facoltà di Lettere e Filosofia. Università di Macerata”, XXI (1988), pp. 87-116 e JACK FREIBERG, In the Sign of Cross: The Image of Constantine in the Art of Counter-Reformation Rome, nel volume Piero della Francesca and His Legacy, cit., pp. 67-87. 80 Cfr. HUBERT JEDIN, Papa Pio V, la Lega Santa e l’idea di crociata, in Chiesa della fede. Chiesa della storia, tr. it. Morcelliana, Brescia 1972, pp. 703-723. Questo stendardo non deve confondersi con quello consegnato a Don Juan il 14 agosto 1571, conservato nella cattedrale di Toledo (LUDWIG VON PASTOR, Storia dei Papi dalla fine del Medioevo, Desclée, Roma 1926-1963, pp. 555-556). 81 GIANNANTONIO GABUZIO, De vita et rebus gestis Pii V libri sex, Typ. A. Zannetti, Romae 1605, p. 127. 14 Papa a Marcantonio Colonna: “In ipso vexillo erant imago sanctissimi Crucifixi et figurae apostolorum Petri et Pauli. Supra figuram Crucifixi et figurae apostolorum Petri et Pauli. Supra figuram Crucifixi erat scriptum: in hoc signo vinces”82. Marcantonio Colonna, dirigendosi verso Messina, sostò a Gaeta, dove fece voto di donare lo stendardo al Duomo se fosse tornato vittorioso. Mantenne la promessa e lo stendardo fu trasformato in una pala d’altare e posto sull’Altar maggiore della cattedrale. Il dipinto del Duomo di Gaeta, recentemente restaurato, corrisponde esattamente alla descrizione dello stendardo che Pio V consegnò al Colonna, con una sola differenza: nel quadro di Gaeta il motto costantiniano è al di sotto del Crocifisso, mentre nello stendardo di Marcantonio era certamente al di sopra. È facile tuttavia pensare che quando il drappo di seta cremisi fu trasformato in pala d’altare, aggiungendovi al di sopra una lunetta con la figura di Dio Padre, dovette sembrare cosa logica mutar di posto al motto costantiniano, affinché tolto l’equivoco che potesse riferirsi alla figura del Padre Eterno, e posto sotto la croce, avesse un più chiaro significato83. La bandiera innalzata da Marcantonio Colonna sulle acque di Lepanto è lo stesso vexillum Sancti Petri, che sventolò sui campi delle crociate: quella bandiera della Chiesa, da non confondersi con quella della Città del Vaticano, la cui forma variò, ma il cui colore fu sempre rosso e sul cui fondo sempre campeggiò l’immagine del Crocifisso o le chiavi di San Pietro84. Essa traeva le sue origini dal labaro costantiniano ornato della Croce di Cristo. In un articolo apparso il 22 aprile 1962 su "L'Osservatore Romano", con il titolo La bandiera dell'Impero romano sventola presso il Papa85, l'anonimo autore osservava che la bandiera purpurea che, fino a Giovanni XXIII, faceva apparizione per Pasqua per la benedizione Urbi et Orbi, rappresentava “l'estremo vestigio del vessillo che i legionari di Roma piantarono sulle torri del "limes" dalla Britannia, al Danubio, al deserto della Siria. Solo, alla forma quadrata classica, è stata sostituita la forma rettangolare e bifida del Medioevo”. Questa bandiera, custodita dai marchesi Patrizi Naro Montoro, Vessilliferi di Santa Romana Chiesa, aveva nel labaro di Saxa Rubra il suo archetipo, se non la sua remota origine storica. Un altro episodio, tra i tanti, merita di essere ricordato. Quando una nuova minaccia si abbatté sull’Europa, quella della Rivoluzione francese, e l’esercito di Bonaparte invase l’Italia, la riconquista del Regno di Napoli venne operata da un cardinale guerriero, Fabrizio Ruffo. L’8 febbraio 1799, soltanto due settimane dopo la conquista francese della capitale, il cardinale sbarcò sulla spiaggia di Catena, in Calabria, per organizzare la resistenza sul continente. Il suo biografo Domenico Sacchinelli racconta che egli aveva con sé soltanto pochi compagni e “tutto il suo corredo consisteva in una bandiera, che da una parte rappresentava lo Stemma Reale, e dall’altra il 82 CORNELIO FIRMANO, Diaria Pii V., Roma, Bibl. Chig. L – II – 27. C. 186 B sgg. La descrizione dello stendardo, oltre che da G. GABUZIO, op. cit., e da C. FIRMANO, op. cit., ci è data da GIROLAMO CATENA in Vita del gloriosissimo Papa Pio V, Stamp. V. Accolti, Roma 1586, pag. 153 83 PIETRO FEDELE, Lo stendardo di Marc’Antonio Colonna a Lepanto (1903), Nuova Collana Minturnese, Minturno 1971, ricostruisce la storia del dipinto. 84 GAETANO MORONI, Bandiera, in Dizionario di erudizione storico-ecclesiastica, Tip. Emiliana, Venezia 1840, vol. III, pp. 86-90; P. LUDOVICI, L’origine e il significato storico del Vessillo di Santa Romana Chiesa in “L’Illustrazione Vaticana” 7 (1936), pp. 207-211; NICOLÒ DEL RE, Vessillo e Vessillifero di Santa Romana Chiesa, in Mondo Vaticano, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1995, pp. 1077-1078. 85 LAZZ., La bandiera dell'Impero romano sventola presso il Papa, in "L'Osservatore Romano", 22 aprile 1962. 15 segno della nostra Redenzione con quella iscrizione apparsa al gran Costantino In hoc signo vinces”86. La memoria costantiniana era cara ai sovrani delle Due Sicilie da quando nel 1713 l’ultimo dei Farnese aveva trasmesso al principe Carlo di Borbone, sovrano di Parma e poi di Napoli e Sicilia, un ordine dinastico che si diceva discendere dalla milizia armata di Costantino. Secondo la tradizione, infatti, il gruppo di cavalieri che nel 1190, sotto l’Imperatore di Costantinopoli Isacco Angelo Flavio Comneno, si riunì in religione sotto la regola di San Basilio e fu detto di San Giorgio dal protettore della Cavalleria, si considerò erede e successore dei primitivi cavalieri istituiti da Costantino87. L’Ordine si chiamò costantiniano e fu detto Sacro Militare per il suo carattere religioso e guerriero; Imperiale perché istituito, approvato e conferito dagli Imperatori d’Oriente; e Angelico perché fondato dalla dinastia degli Angeli Flavi Comneni. Dopo la caduta di Costantinopoli, i Comneno emigrarono in Occidente e poi, estinguendosi, trasferirono, nel 1697, il Magistero dell’Ordine ai Farnese88. L’ultimo di questi, lo ritrasmise a sua volta ai Borbone delle Due Sicilie, loro eredi89. Quando nel 1913, il Papa san Pio X decise di promuovere le speciali celebrazioni per l'anniversario costantiniano, il conte di Caserta, Gran Maestro dell’Ordine, non solo volle che fosse indetto un pellegrinaggio a Roma di tutti i Cavalieri costantiniani, ma in accordo con la Santa Sede costituì una commissione storica allo scopo di riprodurre fedelmente il labaro che Costantino il Grande aveva innalzato contro Massenzio e volle che questo labaro fosse la nuova insegna dell’Ordine90. Il contesto storico in cui, agli inizi del Novecento, si svolse il XVI centenario costantiniano è molto diverso dall’attuale. Tuttavia la battaglia di Saxa Rubra si presenta agli storici come il vero spartiacque tra l’età antica e quella cristiana: una svolta che trova la sua espressione insieme simbolica e concreta nel vessillo costantiniano, che recava impresso il monogramma di Cristo, e nel motto celeste In hoc signo vinces. Sotto questo aspetto ha ragione, a mio parere, Paul Veyne quando vede nella battaglia di Saxa Rubra del 28 ottobre 312, e non nell’Editto di Milano del 313, il momento di passaggio dall’antichità pagana all’epoca cristiana91. 86 DOMENICO SACCHINELLI, Memorie storiche sulla vita del cardinale Fabrizio Ruffo, Tip. Carlo Cataneo, Napoli 1836, p. 92; cfr. anche FRA’ ANTONINO CIMBALO, Itinerario di tutto ciò che è avvenuto nella spedizione dell’eminentissimo signor D. Fabrizio Cardinal Ruffo alla riconquista del regno di Napoli, a cura di Mario Battaglini, A. Borzi, Roma 1967. 87 FERRUCCIO PASINI FRASSONI, Il Sacro Angelico Aurato Imperiale Ordine Costantiniano di S. Giorgio nel ducato di Parma, in “Rivista del Collegio Araldico”, 6 (giugno 1913), pp. 321-329. 88 Si conosce la cessione del Gran Magistero Costantiniano fatta a Venezia da Giovanni Andrea Flavio Comneno il 27 luglio 1697 a favore della famiglia Farnese nella persona del Duca di Parma Francesco I, approvata col diploma Agnoscimus et notum facimus concesso a Vienna il 5 agosto 1699 dall’Imperatore Leopoldo I e confermata dalla Bolla Sincerae fidei di Innocenzo XII del 24 ottobre dello stesso anno. 89 Dopo che il governo dell’ordine passò a Carlo III di Borbone, sovrano delle Due Sicilie, il Magistero fu poi ereditato dai successivi re borbonici e dai loro discendenti Ferdinando I (1759-1825), Francesco I (1825-1830), Ferdinando II (1830-1859), Francesco II (1859-1894). La Monarchia borbonica ebbe termine nel 1861 con la annessione forzata dei territori meridionali al Regno di Italia. In seguito sono divenuti Capi della Real Casa e Famiglia delle Due Sicilie e hanno assunto il Gran Magistero dell’Ordine, S.A.R. Alfonso di Borbone Sicilia, conte di Caserta (1841-1934), fratello di Francesco II, e i suoi successori. 90 In quest’occasione, il 29 dicembre 1913 san Pio X ricevette in solenne udienza una rappresentanza di Dame e di Cavalieri condotta da S.A. R. il Duca di Calabria, Don Ferdinando di Borbone-Due Sicilie, e benedisse il Vessillo dell’Ordine. Cfr. gli articoli sulla “Rivista del Collegio Araldico”, ANON, Il labaro Constantiniano, 11 (1913), pp. 193-197; GIOVANNI MINI, Intorno al labaro e all'ordine Constantiniano, ivi, pp. 267-273. 91 P.VEYNE, op. cit, p. 13. 16 L’archetipo di Saxa Rubra, che prefigura la teologia politica della Civiltà cristiana nascente, si inserisce a pieno titolo in quelli che Maurice Halbwachs chiama i “quadri della memoria”92, ovvero quelle cornici di pensiero che permettono, attraverso il ricordo, la trasmissione di un ordine di valori. L’archetipo non ha il suo fondamento in un passato che non è più, ma in un modello perenne che ci permette di restituire vita e realtà al passato, ancorandolo ad una dimensione che trascende la temporalità. La memoria storica dei popoli e delle civiltà tende ad essere atemporale e anistorica, perché conserva il ricordo degli avvenimenti storici nella misura in cui li trasforma in modelli archetipici93. L’identità storica è il significato assiologico che nel presente attribuiamo alla memoria del passato. In questa prospettiva, sarebbe auspicabile che l’anno costantiniano non sia solo occasione di esercitazioni storico-filologiche, ma momento di seria riflessione storiografica, tesa a ricomprendere alcuni temi forti della nostra eredità cristiana e romana. Mi sia permesso, a questo punto, ribadire quale deve essere la posizione dello storico cristiano. Egli deve respingere quell’approccio naturalista che tende ad espungere, di principio o di fatto, la presenza del soprannaturale dalla storia. La dimensione soprannaturale non è infatti una sovrastruttura prodotta dal cervello umano, ma una realtà che conduce la storia e dà il suo senso ultimo alle vicende umane. Lo storico cristiano non ha autorità per pronunciarsi sulla autenticità delle manifestazioni soprannaturali, ma quando esse sono un'evidenza storica e hanno una incidenza sociale, egli deve comprenderne il significato metastorico e misurarne l’impatto e le conseguenze. Sotto questo aspetto la visione di Costantino è tutt’altro che “liquidata”, al contrario di quanto riteneva Henri Grégoire94, ripetendo negli anni Trenta del Novecento le logore tesi di Jakob Burckhardt (1818-1897)95. Queste tesi sono state abbondantemente confutate, agli inizi del Novecento, come lo furono quelle di derivazione illuministica e deistica ad opera degli storici e degli apologeti del Settecento96. Il saggio di Staubach è ricco di informazioni a questo proposito, ma individuando John Henry Newman come “der letze prominente Theologe, der den Wundercharakter dieser Konversiongeschichte ohne Vorbehalt vertreten hat”97, non mostra un’adeguata conoscenza della storiografia cattolica. Basti ricordare che dopo il saggio del Newman, che è del 1843, anteriore di due anni alla sua conversione al cattolicesimo, apparvero gli Essais sur le naturalisme contemporain di dom Prosper Guéranger (1805-1875), il grande restauratore della vita monastica in Francia. Dom Guéranger, esaminando la poderosa opera di Albert de Broglie (1821-1901) su L’Eglise et l’Empire Romain98, dedica un capitolo dei suoi saggi alla miracolosa visione di Costantino, criticando la poca apertura al soprannaturale di Broglie, di cui pure riconosce la piena ortodossia cattolica. I miracoli spiega dom Guéranger possono appartenere alla storia ogni qual 92 MAURICE HALBWACHS, I quadri sociali della memoria (1925), tr. it. Ipermedium, Napoli 1997. 93 MIRCEA ELIADE, Il mito dell’eterno ritorno, tr. it. Borla, Torino 1968, pp. 56-85. 94 H. GRÉGOIRE, La vision de Constantin “liquidée”, cit. Al Grégoire rispondevano J. ZEILLER, sulla stessa rivista (Quelques remarques sur la “vision” de Constantin, ivi, pp. 331-339) A. ALFÖLDI, The conversion of Constantine and Pagan Rome, Clarendon Press, Oxford 1948, pp. 16-17 e P. Franchi de’ Cavalieri in Constantiniana cit. 95 JACOB BURCKHARDT, Die Zeit Constantins des Grossen (Stuttgart 1852, poi Kröner, Leipzig, 1880). 96 Cfr. ad esempio JEAN-BAPTISTE DUVOISIN (1744-1813), Dissertation critique sur la vision de Constantin, Dupuis, Paris 1774. 97 N. STAUBACH, op. cit., p. 2. 98 ALBERT DE BROGLIE, L’Eglise et l’Empire Romain au IV siècle, Didier, Paris 1857-1866, 6 voll. (poi Librairie Académique, Paris 1877-1900, 6 voll. 17 volta non abbiano soltanto portata individuale e suscitino vasta eco. “Perciò – conclude – l’apparizione della croce a Costantino può a ben diritto figurare negli annali del IV secolo”99. Il miracolo di Saxa Rubra non appartiene alla Rivelazione pubblica della Chiesa e come tale non costituisce oggetto di fede. Tuttavia, nel corso di 1700 anni, dalla storiografia cristiana dei primi secoli fino a quella dell’Ottocento e del primo Novecento è stato considerato come una realtà ed è entrato a far parte della tradizione della Chiesa. Di questa tradizione voglio essere l’eco, nella convinzione che le manifestazioni soprannaturali accompagnano la storia e sono il segno visibile della presenza di Dio nel cammino dell’umanità. “Voi storici – ammonisce dom Guéranger – dovete tenerne conto, e se le ritenete vere, è vostro dovere registrarle e determinarne il ruolo e la portata”100. E' quanto ho cercato di fare in questa mia relazione. 99 DOM PROSPER GUÉRANGER, Essai sur le naturalisme contemporain, Delacroix, s.l. 2003 (Paris 1858), p. 374. 100 Ivi, p. 375. 18