INDICE 7 Prefazione (di Ubiratan D’Ambrosio) 9 Introduzione 13 Capitolo 1 Aspettative e nascita • La gravidanza • «Benarrivati in Olanda» • Lo shock e il trauma al momento della nascita • Bambini prematuri • Gli antidoti 23 Capitolo 2 L’incontro • L’empatia • I bambini con bisogni speciali • Gli sviluppi della ricerca sul cervello • Segni di autismo nel primo anno di vita 31 Capitolo 3 Lasciare andare • Il sonno e l’insonnia • Terzetti e problemi di sonno • Le babysitter • I luoghi di incontro • L’asilo e la scuola 39 Capitolo 4 Confini e comportamento • L’educazione all’uso del vasino nello sviluppo normale • Sana aggressività • Sessualità e comportamenti sessualizzati 47 Capitolo 5 Diagnosi, test, trattamento e terapia • La diagnosi • Esami, trattamento e terapia 53 Capitolo 6 Capire il tuo bambino affetto da autismo • I disturbi dello spettro autistico • Disturbi dello spettro autistico e processi di sviluppo • Fissare dei limiti con i bambini autistici 61 Capitolo 7 Il gioco e il linguaggio • Il gioco • Comunicare e parlare 69 Capitolo 8 Genitori, coppie e famiglie • Le famiglie • Lo stress per i genitori e la coppia • Le famiglie monogenitoriali • Una «famiglia con bisogni speciali» 75 Capitolo 9 Fratelli e sorelle • Le preoccupazioni dei genitori • La percezione infantile dei fratelli con bisogni speciali • Amore e interessamento • Rivalità e ostilità • Imitazione e ipercompensazione • Diversi stadi di sviluppo • I bambini con bisogni speciali e i loro sentimenti verso i fratelli sani 85 Capitolo 10 Conclusioni • «Sorpresi dalla gioia» 87 Appendice «Benarrivati in Olanda» di Emily Perl Kingsley INTRODUZIONE INTRODUZIONE Questo libro è pensato principalmente per i genitori, anche se sarà utile pure a tutti gli operatori che si occupano di bambini con bisogni speciali; per questo, quando mi rivolgerò al lettore, si può assumere che mi stia rivolgendo a un genitore. La problematica dei bisogni speciali porta molti genitori a entrare in contatto con un ventaglio di professionisti nel campo della sanità, della psicopatologia, dell’istruzione, dei servizi speciali e del volontariato. In qualche caso risponderò in modo specifico agli interessi di questi operatori. Il titolo dell’opera suggerisce l’intenzione di informare i genitori allo scopo di aiutarli a capire i loro figli con bisogni speciali e ciò richiede qualche chiarimento. Innanzitutto, nella maggior parte dei casi mi concentrerò sulla normalità più che sul carattere «speciale» del bambino. Così facendo spero di sottrarmi alla tendenza comune a fissarsi sulla disabilità e sui bisogni speciali lasciando passare in secondo piano la riflessione sul singolo bambino: la sua personalità, la vita familiare, nonché i vissuti e i comportamenti che fanno parte dei suoi processi di sviluppo normali. Ad ogni modo, cercherò di mantenere una posizione di equilibrio senza pendere troppo dalla parte delle considerazioni che riguardano i compiti e le sfide della genitorialità «normale» o di quelle più specificamente rilevanti per i genitori di bambini piccoli con bisogni speciali. Questa ricerca di obiettività rispecchia ciò che i genitori di bambini piccoli con bisogni speciali devono cercare di fare per la maggior parte del tempo. La seconda precisazione deriva dalla persuasione che la maggior parte dei genitori abbia già un rapporto intenso, e quindi una buona conoscenza, dei propri figli con bisogni speciali. Malgrado ciò, la loro fiducia nelle proprie capacità di trovare interpretazioni e risposte corrette può essere minata proprio 9 COSA SAPERE SU TUO FIGLIO CON BISOGNI EDUCATIVI SPECIALI da alcuni fattori che accompagnano gli stessi bisogni speciali. È facile cedere all’illusione che gli esperti dei propri bambini siano altri, e non i genitori stessi. Una madre, per esempio, mi ha commossa ammettendo di avere immaginato che qualcun altro possedesse «una provvista segreta di risposte» dalla quale lei avrebbe voluto attingere! Io non vorrei alimentare quest’idea. Spero quindi che alla mia voce si intreccino quelle dei genitori che allevano bambini con bisogni speciali, arricchendola con le loro conoscenze ed esperienze. La terza puntualizzazione ha a che fare con l’intrinseca difficoltà di comprendere i bambini piccoli che hanno una mente o un corpo più o meno menomato da una disabilità. Come per loro è difficile esprimersi e comprendere il mondo, così è un compito ambizioso per noi cercare di comprendere la loro esperienza. La descrizione dei bambini con bisogni speciali avrebbe poco valore se non fosse accompagnata dall’ammissione che a volte, inevitabilmente, tocchiamo il limite delle nostre possibilità di comprensione. Eppure, per sentire di avere un contatto umano con i bambini e con le altre persone che ci stanno a cuore, dobbiamo cercare di capire. Questo libro, come gli altri della stessa collana, si basa sulla teoria psicoanalitica e pertanto dà valore all’idea che certi sentimenti potenti e pensieri indesiderati, quando non vengono riconosciuti, possano intralciare le nostre relazioni e i nostri sforzi. Secondo un principio psicoanalitico fondamentale, più siamo in grado di capire noi stessi, meglio possiamo sperare di capire gli altri e comunicare con loro. Ciò richiede di avere uno spazio e del tempo per osservare la nostra esperienza e rifletterci. Si tratta di qualcosa di differente dall’acquisire nozioni fattuali sullo stato di salute. Riconoscerne l’importanza significa enfatizzare la natura profondamente personale e intrinsecamente affettiva dei complessi legami fra sé e gli altri e, in modo particolare, fra il genitore e il bambino. Grazie alla mia esperienza di lavoro con i genitori di bambini piccoli portatori di bisogni speciali posso dire che possono essere molti i fattori che ostacolano quest’attività di riflessione su di sé. Alcuni sono di natura pratica e dipendono 10 INTRODUZIONE dalla pressione esercitata dalle richieste quotidiane associate alla disabilità del bambino. Altri derivano dai vissuti interiori, e in modo particolare dalla paura di essere sopraffatti da sentimenti difficili e spaventosi. Spesso sono compresenti fattori di entrambi i generi. La madre di un bambino a cui di recente era stata diagnosticata una condizione di salute gravemente menomante mi confidò che non osava soffermarsi troppo a lungo sui propri sentimenti. «Sono così tanti gli appuntamenti e i moduli da riempire che mi aspettano, per non dire dell’altro figlio a cui devo provvedere, che ho paura che se comincio a pensare a ciò che provo potrei non riuscire ad andare avanti». È necessario trovare un compromesso fra compiere il proprio lavoro di genitore, descritto a volte dagli interessati con il termine «lottare per andare avanti», e il fermarsi a riflettere sulla propria situazione e l’impatto che essa ha su di sé. Le famiglie e i loro componenti hanno modi diversi di affrontare le cose. In ogni caso, la profondità dei rapporti dei genitori con il bambino e della loro comprensione della sua situazione può essere arricchita avendo l’opportunità di conoscere ciò che pensano di lui, che fanno con lui, come reagiscono. Ciò a sua volta porta a un senso di maggiore benessere. Questo libro pertanto non è uno strumento per trasmettere insegnamenti e consigli, bensì un tentativo di riflettere sull’esperienza dei genitori con un bambino piccolo con bisogni speciali, fondato sulla conoscenza dello sviluppo infantile e degli stati emozionali di genitori e bambini. Spero che questo processo aiuti i lettori a trovare modi creativi per «fare i genitori», che siano fatti su misura per loro e ai quali si sentano emozionalmente connessi. Un’ultima nota sull’antica questione della terminologia. Una mia collega, la psicoanalista e psicoterapeuta infantile Valerie Sinason, ha osservato spesso quanto sia problematica la terminologia della disabilità. Sembra che nella nostra cultura non ci siano parole o espressioni destinate ad essere accettate a lungo, 11 COSA SAPERE SU TUO FIGLIO CON BISOGNI EDUCATIVI SPECIALI il che è senza dubbio un sintomo di una nostra difficoltà più profonda a vivere con la disabilità e con ciò che essa rappresenta per noi. La prima versione di questo libro, pubblicata nel 1993, portava il titolo Capire tuo figlio handicappato, un titolo che oggi, trascorsi solo quattordici anni, sembra antiquato. «Spastico», «con difficoltà di apprendimento» e «affetto da handicap mentale» sono tutte espressioni che a loro volta hanno ceduto il campo ad altre formule, che per un certo periodo possono sembrare più accettabili, fino al momento in cui anch’esse, un giorno, verranno reputate offensive e non più utilizzabili. Come ha affermato Stoller (1985, p. 5), «le nuove parole vengono contaminate da vecchi significati». Attualmente, anche l’espressione «bisogni speciali» viene a sua volta sostituita da altre denominazioni. Per il momento, tuttavia, spero che i lettori accettino il mio uso delle espressioni «bambino con bisogni speciali» o «bambino con una disabilità», assicurando che quando le adopero non ho intenzione né di denigrare né di offendere nessuno. Tutte le storie contenute in questo libro si basano su incontri con famiglie e bambini realmente esistenti. Naturalmente la loro vera identità non verrà rivelata per ovvi motivi di privacy. 12 ASPETTATIVE E NASCITA 1 ASPETTATIVE E NASCITA La gravidanza La relazione dei genitori con il proprio figlio comincia molto prima del momento in cui lo reggono fra le braccia per la prima volta. Anche prima del concepimento, i pensieri e i sentimenti sul bambino che avranno un giorno possono essere parte del loro mondo interno in cui il bambino viene a trovarsi. Il nascituro può essere associato nella loro mente a un parente, magari a un genitore amato. In alcune culture vige ancora l’usanza di battezzare i bambini con il nome dei nonni o di altri parenti. Questa pratica può essere carica di significati e a volte esprime di desiderio di creare una connessione tra le generazioni o di vedere sopravvivere nel bambino le migliori qualità di un congiunto. Un caso particolare si ha quando un bambino voluto è associato nella mente dei genitori a un familiare deceduto, una situazione particolarmente pregnante dal momento che sul nascituro possono essere proiettati molti sentimenti, speranze e aspettative. Man mano che la gravidanza progredisce, la relazione fra genitori e figlio si sviluppa. La madre è fisicamente vicina al feto e comincia a farsi un’idea più chiara delle sue caratteristiche. Certe pratiche mediche moderne, come l’ecografia, rafforzano la sensazione dei genitori di conoscere il figlio che verrà. A volte durante l’ecografia vengono scattate delle fotografie — le prime immagini della creatura in arrivo. 13 COSA SAPERE SU TUO FIGLIO CON BISOGNI EDUCATIVI SPECIALI Un nuovo figlio rappresenta un nuovo inizio. A volte vorremmo trasmettergli le belle esperienze che noi stessi abbiamo vissuto da bambini, altre volte vorremmo agire diversamente e ci piacerebbe che vivesse un’esperienza migliore della nostra. In entrambi i casi, una nuova vita simboleggia una nuova speranza e nuove possibilità. La gravidanza mette altresì i genitori in contatto con il grande valore e la precarietà della vita. La vulnerabilità del feto, il cui benessere dipende completamente dalla madre che lo porta in grembo, è qualcosa di cui si può essere più o meno coscientemente consapevoli. Quando le fu chiesto se preferisse un maschio o una femmina, Janet diede una risposta tipica di molte madri in attesa: «Se avrà tutte le dita delle mani e dei piedi, sarò comunque felice». Questo è un modo per alludere alla possibilità di malattie o disabilità, l’esito indesiderato di una gravidanza. Laddove alcuni genitori in attesa di un bambino pensano e parlano apertamente di questa possibilità, per altri questo è un argomento da evitare, in una sorta di gesto scaramantico. Quando arriva un bambino con gravi problemi di salute o affetto da una disabilità, quindi, l’impatto emozionale sui genitori deve essere compreso nel contesto di tutte le normali speranze e fantasie aggregatesi attorno all’idea del bambino ancora prima del concepimento. È inevitabile. «Benarrivati in Olanda» Molti genitori mi hanno segnalato un testo di Emily Perl Kingsley, madre di un bambino con bisogni speciali, che coglie e descrive molto bene la loro esperienza. Nell’articolo, l’autrice paragona le sue aspettative sulla nascita del figlio all’esperienza di salire su un aereo pregustando una meravigliosa vacanza in Italia. Quando arriva però scopre di essere in Olanda, non in Italia. Non è, dice l’autrice, che l’Olanda sia un posto orribile; 14 ASPETTATIVE E NASCITA solo che si era preparata all’Italia e a tutti i suoi caratteristici piaceri. Ma tutte le persone che conosci sono indaffarate ad andare e venire dall’Italia… e non fanno che vantarsi di quanto se la spassino lì. E per il resto della vita tu dirai: «Sì, è lì che immaginavo di andare. È per quello che mi ero preparata». E il dolore per questo non passerà mai, mai e poi mai… perché la scomparsa di quel sogno è una perdita molto, molto significativa. Ma… se passi tutta la tua vita rimpiangendo il fatto di non essere andata in Italia, non potrai mai essere libera di apprezzare gli aspetti molto speciali, molti belli… dell’Olanda. (Tratto da Benarrivati in Olanda, e riprodotto con il permesso di Emily Perl Kingsley) Agli occhi di molti genitori, questa descrizione coglie certi aspetti essenziali della loro esperienza: lo shock di arrivare «in Olanda»; il graduale processo di adattamento al cambiamento di programma; l’apprezzamento e il godimento finali della destinazione inattesa; e, accanto a questi sentimenti, il senso doloroso e permanente della perdita. Il testo di Emily Perl Kingsley è riprodotto per intero in Appendice. Lo shock e il trauma al momento della nascita Purtroppo molti genitori di bambini con bisogni speciali hanno avuto un’esperienza di parto traumatica. I sentimenti vissuti in quelle circostanze possono continuare a ripercuotersi su ciò che accade in seguito. Eppure continua a sorprendermi come spesso i genitori siano talmente presi dai loro mille impegni da non trovare né il tempo né lo spazio emozionale per assimilare gli effetti psicologici di quegli eventi accaduti intorno al momento della nascita. Una madre raccontò che sua figlia, alla nascita, era «bianca come il marmo». I medici la portarono via, e, 15 COSA SAPERE SU TUO FIGLIO CON BISOGNI EDUCATIVI SPECIALI benché lei si fosse accorta che qualcosa non era andato per il verso giusto, non sapeva che cosa fosse accaduto. Pensò che la figlia fosse morta. Quest’immagine di assenza di vita continuò ad accompagnarla e talvolta le impedì in parte di rendersi conto chiaramente di quanto quella piccolina stesse diventando vivace. Spesso il sentimento che resta impresso nei genitori è l’impotenza. Alcune circostanze familiari possono renderlo ancora più acuto. Maria mi raccontò piangendo di avere avuto un figlio con bisogni speciali quattro anni prima. Lei e suo marito erano rifugiati politici in Gran Bretagna e conoscevano poco l’inglese. Durante il travaglio, Maria soffrì moltissimo ma, a causa dei problemi con la lingua, non riuscì a spiegarsi con lo staff dell’ospedale, cosa vissuta con grande senso di impotenza. Alla nascita si scoprì che il bambino aveva risentito di una mancanza di ossigeno nelle ultime fasi del parto. Ricordare il senso di impotenza e rivivere il panico provato nei momenti intorno alla nascita del bambino, quando il piccolo le fu improvvisamente portato via, fu una sofferenza per Maria. Il suo racconto era vivido come se i fatti narrati fossero accaduti soltanto il giorno prima. Tuttavia, parlarne le servì a relegare quell’esperienza a un passato ormai concluso e l’aiutò a sentirsi più capace di continuare a cercare l’aiuto e le risorse migliori possibili per suo figlio. Spesso i sentimenti di impotenza sono accompagnati da un forte senso di colpa. È come se i genitori avessero la profonda convinzione di dovere essere sempre in grado di proteggere i figli dal male. Quando un trauma o una disabilità la mettono in crisi, provano un senso di colpa che talvolta può essere molto difficile assorbire mentalmente. Nei film sulla nascita di bambini normali con parto regolare, vediamo come i genitori comincino a prendere confidenza con il loro piccolo (Macfarlane, 1980): fanno un «inventario» delle 16 ASPETTATIVE E NASCITA parti del suo corpo e commentano le somiglianze con qualche parente, spesso il padre. In questo modo si rafforzano i legami affettivi all’interno del coppia e con il nuovo venuto. Per contro, l’arrivo di un neonato affetto da una disabilità complessa, che magari comprende anche qualche malformazione fisica, può essere un’esperienza spaventosa. A volte i medici e gli infermieri devono portarlo via d’urgenza per sottoporlo a un intervento, probabilmente per salvargli la vita. In queste circostanze, ai genitori verranno a mancare le normali esperienze di prima esplorazione e accoglienza del neonato. Questa può essere la prima circostanza, e probabilmente non sarà l’ultima, in cui i genitori avranno l’impressione di non possedere le competenze necessarie per prendersi adeguatamente cura del bambino, e che queste appartengano invece a certe figure professionali. Bambini prematuri Grazie ai progressi della medicina oggi è possibile mantenere in vita neonati venuti al mondo sempre prima. Mentre alcuni di loro compiranno progressi sorprendenti, altri avranno problemi medici o lesioni cerebrali irreversibili. Cathy mi ha raccontato di aver visto sottoporre la sua minuscola bambina pretermine a molti interventi medici dolorosi; non poteva prenderla in braccio e la sua voce era coperta dal ronzio dei macchinari che la circondavano. Quando le chiesi quale fosse il suo ricordo più vivido di tutti quei mesi con la figlia in ospedale, mi rispose: «La paura». Poi mi domandò ansiosamente se la piccola, che di fatto aveva compiuto buoni progressi sia dal punto di vista medico che da quello evolutivo, avrebbe sofferto per il ricordo di quelle prime esperienze. Joanne, madre di una bambina nata dopo ventiquattro settimane di gestazione, avviò un giardino d’infanzia per ex-prematuri poiché sapeva per esperienza diretta quanto fosse difficile lasciare un bambino come sua 17 COSA SAPERE SU TUO FIGLIO CON BISOGNI EDUCATIVI SPECIALI figlia in un giardino d’infanzia normale, insieme ad altri bambini più grandi e robusti. In un opuscolo rivolto ad altri genitori descrisse quel che provò quando sua figlia era ricoverata nel reparto di cure speciali: «Avevo il terrore che potesse morire in qualunque momento, sia quando ero lì che mi occupavo di lei, sia quando non c’ero». Molti genitori descrivono vividamente lo stato di acuta vigilanza mentale ed emozionale in cui vissero i giorni successivi alla nascita del bambino; sperimentarono uno stato mentale in cui tutto il loro essere era concentrato sulla sopravvivenza del neonato, spesso in bilico fra la vita e la morte. Come in altre crisi della vita, in questi stati emozionali si trova in qualche modo l’energia quando serve. Tuttavia, quando la situazione esterna cambia, può essere difficile lasciarseli alle spalle e uscirne ed essi possono continuare a condizionare i genitori anche se non servono più. La madre di Lewis, un bambino di sette anni, raccontò della sua veglia nel reparto di cure intensive neonatali accanto al piccolo nato dopo ventisei settimane di gestazione. Descrisse in modo toccante tutto il lungo periodo trascorso seduta accanto all’incubatrice, giorno e notte. Era fermamente convinta che se avesse distolto lo sguardo da lui per qualche tempo sarebbe morto. Credeva che la sua «attenzione» gli avesse letteralmente salvato la vita. Quando la incontrai molti anni dopo, suo figlio aveva fatto ottimi progressi e secondo i medici il decorso era stato sorprendente. Tuttavia, madre e figlio continuavano ad avere difficoltà a separarsi, cosa che si manifestava nelle abitudini connesse al sonno e nella riluttanza del bambino ad andare a scuola. Anche il piccolo Sean nacque dopo 24 settimane di gestazione. Purtroppo la sua giovane madre, tossicodipendente, non andò a trovarlo nel reparto di cure speciali neonatali. Venne accudito dalle infermiere, che notarono quanto fosse irrequieto e quanto fosse difficile tranquillizzarlo quando era angosciato. Le 18 ASPETTATIVE E NASCITA sue condizioni fisiche risentivano pesantemente delle sostanze assunte dalla madre. Oltre a ciò, non poteva contare sulla presenza costante di una persona che si prendesse cura di lui. Lo psicoanalista William Bion scrive dell’importanza della «rêverie materna» per il benessere emozionale del bambino (Bion, 2009). Con questa espressione l’autore si riferisce alla capacità di chi si prende cura del neonato di fornirgli uno spazio mentale e affettivo riservato a lui. La capacità di creare uno spazio dentro la propria mente in cui assorbire l’impatto del bambino sul genitore fornisce una sorta di contenimento psicologico che accompagna e rispecchia il contenimento fisico che, secondo recenti scoperte, fa molto bene ai bambini prematuri; infatti, oggi sappiamo che i bambini prematuri tenuti stretti al petto della madre o del padre, secondo la cosiddetta pratica del kangarooing, ne traggono diversi benefici (Wahlberg, Alfonso e Persson, 1992). Per noi è difficile sapere in che modo queste esperienze scioccanti per i genitori vengano vissute dai neonati stessi. Sappiamo che i neonati provano dolore e che per loro il dolore è stressante tanto quanto per i bambini e gli adulti. Una bambina piccola, che aveva subito un danno cerebrale durante il parto, continuava a ripetere la filastrocca di Humpty Dumpty. La madre alluse alla possibilità che in qualche modo fosse consapevole del suo grosso «capitombolo» e che esprimesse il timore, come il personaggio della filastrocca, di non poter mai più essere «rimessa insieme». Naturalmente questa considerazione era molto dolorosa e facendola la madre rivelava un grande coraggio. Un altro bambino, Sam, aveva, secondo il suo ergoterapista, delle difficoltà di «integrazione sensoriale», ovvero un problema a dare ordine e a interpretare le informazioni che provengono dai sensi, e tali difficoltà condizionavano la sua esperienza fisica e sensoriale del mondo. Secondo i genitori, probabilmente gli interventi 19 COSA SAPERE SU TUO FIGLIO CON BISOGNI EDUCATIVI SPECIALI subiti — molte iniezioni e l’alimentazione attraverso un sondino — avevano interferito con lo sviluppo della sua capacità di percepire e distinguere normalmente le esperienze fisiche. Gli antidoti Sigmund Freud adottò il termine «trauma» mutuandolo dal greco antico, lingua in cui significava perforamento, trafittura. Le esperienze di nascita che ho descritto fin qui sono state in una certa misura traumatiche, avendo minacciato temporaneamente di disturbare l’equilibrio mentale dei genitori, o di perforarne la pelle psichica che il più delle volte riesce a contenere la nostra esperienza soggettiva. Esistono tuttavia dei fattori che possono agire da antidoti rispetto al trauma, mitigando l’intensità e la durata dei suoi effetti. Senza tali antidoti, i sentimenti di impotenza e relativa colpa sperimentati alla nascita possono continuare a esercitare effetti potenti, minando l’idea di sé dei genitori in quanto centro legittimo del mondo del figlio. Uno di tali antidoti è un solido senso di sicurezza interiore, che deriva in parte dalle esperienze infantili dei genitori stessi. La capacità di appellarsi a questa utile risorsa interiore li aiuterà a sopportare l’impatto della spaventosa minaccia che il loro mondo si disintegri. La qualità dei legami con la famiglia e gli amici intimi e la presenza di un partner soccorrevole sono altri fattori che danno forza ai genitori di fronte allo smarrimento e al dolore. Anche la fede religiosa può sostenerli nel naturale tentativo di dare un senso all’arrivo di un bambino con bisogni speciali. Hassam era il quarto figlio di una donna nordafricana. Nacque con una malattia genetica che ne comprometteva la vista e non era in grado di alimentarsi succhiando, così gli dovettero inserire un sondino gastrostomico. Nel corso di una visita, quando il bambino aveva due settimane, sua madre fu trovata seduta accanto al 20 ASPETTATIVE E NASCITA lettino doveva giaceva addormentato. Parlando dei suoi problemi con il visitatore scoppiò in lacrime. La nonna, che non parlava inglese, era venuta dal suo paese natale per farle compagnia. Dondolava il capo e piangeva insieme alla figlia. I movimenti di Hassam si fecero più agitati e cominciò a piangere anche lui, prima con un flebile lamento, poi sempre più forte. Girava la testa ora su un lato ora sull’altro. La madre gli parlava dolcemente e gli diceva che era in grado di sentirlo. Gli accarezzò la pancia e gli toccò la mano e lui si quietò un po’ prima di riprendere a piangere. Si piegò sul lettino e lo prese in braccio, sostenendolo in modo da metterlo in contatto con il suo corpo e di stringerlo al petto. Poco alla volta il pianto si placò. La donna gli parlava ritmicamente, dondolandosi lentamente per cullarlo. Si asciugò le lacrime con il dorso della mano e continuò a parlargli. Sua madre, la nonna, rimase lì a guardarli piangendo in silenzio. La madre di Hassam aveva una straordinaria capacità di sperimentare profondamente i propri sentimenti, senza lasciarsarsene completamente sopraffare. Sebbene possa apparire paradossale, questa capacità sembra essere un altro antidoto rispetto agli effetti potenzialmente dannosi dello shock e del dolore psicologico. 21 CAPIRE IL TUO BAMBINO AFFETTO DA AUTISMO 6 CAPIRE IL TUO BAMBINO AFFETTO DA AUTISMO I disturbi dello spettro autistico Non ha senso fare confronti fra le varie disabilità, come se il loro impatto potesse essere misurato e giudicato maggiore o minore. Ciò nonostante, la possibilità che un bambino con autismo provochi grande tristezza e sofferenza ai suoi genitori è sicuramente considerevole. Spesso i genitori vanno dritti al nocciolo della questione. Qualcuno dice che non sa se, nel caso in cui morisse domani, suo figlio se ne accorgerebbe. Altri dicono: «Lo so che può sentirmi, ma è come se fosse sordo». Ciò che queste persone descrivono è il dolore di sentire che, nonostante il loro amore e la loro dedizione, è come se per il figlio essi non fossero nulla di speciale, non esistessero neppure. Sono utili se serve una mano per aprire una porta o raggiungere un oggetto, ma la loro natura di persone, ciò che le rende quel che sono, non viene percepita o riconosciuta dal figlio autistico. Vivere questa esperienza può essere snervante, può straziare il cuore. Alcuni autori la definiscono «traumatica» (Alvarez e Reid, 1999, p. 33). Il fatto di non sentirsi amati, unito allo sfinimento di cercare di intendersi con il bambino dovendo magari anche affrontare i suoi problemi di sonno e alimentazione, può essere veramente estenuante. Alì, un bambino di tre anni, correva per la stanza colpendo i giocattoli che stavano sul tavolo e gettandoli 53 COSA SAPERE SU TUO FIGLIO CON BISOGNI EDUCATIVI SPECIALI per terra. Quando la madre lo chiamò per nome per attrarne l’attenzione, non rispose. Quando cercò di stabilire un contatto visivo con lui guardandolo negli occhi, lui lo evitò e rivolse il suo sguardo vitreo verso nulla e nessuno in particolare. Quando gli misero in mano una palla, la tirò sopra la testa e dietro di sé. Poi sembrò dimenticarsene del tutto. Non andò a recuperarla e quando sua madre gliela riallungò, si girò dall’altra parte con aria incurante. Il suo corpo era come una piccola auto blindata, il suo volto serio e indifferente. Sono stati scritti molti libri sull’autismo, o sui disturbi del più ampio spettro autistico. Da quando la malattia venne descritta per la prima volta da Kanner, nel 1943, sono stati fatti molti tentativi per capire esattamente di che sorta di disturbo si tratti, quali siano le sue cause e quali gli interventi più benefici per i bambini che ne sono affetti. Anche se resta ancora in parte misteriosa, in generale si ritiene che i fattori genetici svolgano un ruolo importante nella sua comparsa. Ancora sappiamo pochissimo di come i fattori ambientali interagiscano con quelli genetici in ciascun singolo individuo. Sembra probabile che molte combinazioni diverse di fattori causali producano lo spettro dei disturbi autistici. A seconda dei genitori la descrizione dell’autismo dei figli cambia. Alcuni diranno di essersi resi conto subito che qualcosa non andava nel figlio: era difficile tranquillizzarlo; mostrava poco desiderio di essere allattato ed era faticoso alimentarlo; era irrequieto, agitato e difficile da confortare, e sembrava più felice quando se ne stava da solo nel lettino piuttosto che quando veniva preso e tenuto in braccio. Chi ha un figlio per la prima volta può faticare a capire se questa «stranezza» sia comune a tutti bambini. Un genitore che ha già esperienza può invece attribuire il comportamento alla personalità e al carattere di questo particolare bambino ed è soltanto col senno di poi che queste difficoltà vengono intese in modo differente. 54 CAPIRE IL TUO BAMBINO AFFETTO DA AUTISMO Le storie di altri genitori sono molto diverse. Qualcuno dice che il bambino sembrava seguire un percorso di sviluppo normale nel primo anno. Magari aveva anche già cominciato a balbettare e a indicare le cose e le persone in modo comunicativo. Tuttavia a un certo punto, nel corso del secondo anno di vita, c’è stato un peggioramento: ha smesso di balbettare e di sorridere e apparentemente ha perso interesse per il mondo circostante. I genitori ripercorrono queste storie molte volte per cercare di dare un senso alla loro esperienza. Qualunque causa abbiano queste difficoltà, la loro manifestazione nella vita del bambino imprime un segno profondo. Non è raro sentir dire dai genitori, specialmente nei primi anni di vita del bambino, che l’autismo è immutabile, come se fosse un grosso camion che falcia tutto ciò che incontra sul suo cammino; forse la ragione di ciò è che di solito l’autismo viene descritto come una malattia che dura tutta la vita, o magari che, per la sua natura, può facilmente far sentire i genitori spersonalizzati e inutili. Questi sentimenti di fatalismo e disperazione non aiutano a rapportarsi con il bambino e a influire sul suo sviluppo. I bambini a cui è stato diagnosticato un disturbo dello spettro autistico hanno in comune fra loro la difficoltà a socializzare e a comunicare, con le parole o i gesti, e a giocare usando l’immaginazione, come abbiamo visto nel caso di Alì: i giocattoli per lui non erano altro che oggetti di buttare in terra, non li investiva di significati e potenzialità diverse. Molti tendono anche a fissarsi su certi modelli di comportamento che assomigliano di più a rituali vuoti e ripetitivi che a giochi comunicativi. Se i rituali vengono interrotti, possono agitarsi molto. Disturbi dello spettro autistico e processi di sviluppo Sebbene le difficoltà nel campo del linguaggio, dell’immaginazione e del gioco e la tendenza alla ripetizione e alla rigidità, 55