PARTE SECONDA CAPITOLO 3. II Panathlon International 3.1. Dalle origini ai giorni nostri Lo sport, alla fine degli anni Cinquanta, rappresenta un fenomeno molto importante dal punto di vista dello sviluppo sociale e culturale; è un periodo in cui si assiste all’inizio di una ripresa politica e civile, con la nascita di nuove concezioni di vita e di nuovi valori. Lo sport, dunque, non può non risentire di questa evoluzione ed in esso infatti si constata un processo di profonde mutazioni ideologiche. Cade, come è ovvio, la concezione dello sport come espressione di regime e inizia a maturare una cultura dello sport all’interno di una diversa e più complessa visione (sotto il profilo intellettuale, morale, ma anche fisiologico) della vita. Si intuisce il cambiamento che si sta verificando e, dopo aver vissuto momenti confusi e difficili, si vuol contribuire a riportare ordine, per dare allo sport la sua vera identità. Quella, cioè, di riscoprire la sua funzione fondamentale di educazione e di formazione civile e culturale, nell’ambito di quei valori antichi e preziosi che de Coubertin aveva riproposto al 63 mondo intero con le Olimpiadi dell’era moderna; ma con l’avvertita coscienza che il paesaggio sociale è profondamente mutato e che c’è bisogno non di un nostalgico, quanto sterile, conservatorismo, ma di una visione duttile e disincantata dei problemi, proprio per poter fare argine con nuovi strumenti e nuove idee agli inevitabili assalti che l’impetuoso sviluppo economico finirà per portare, con tutti gli evidenti rischi di inquinamento della qualità primaria e ideale dell’attività sportiva. In questa luce la nascita del Panathlon perde la sua natura – che pure ha, come tutte le cose che nascono su questa terra – di casualità, di battesimo conviviale, per diventare uno dei segnali quasi indispensabili (un qualcosa, cioè, che in qualche modo doveva nascere) della vitalità dell’ideale sportivo, insieme, della necessità della sua salvaguardia. Non è quindi, per caso che proprio a Venezia, città a struttura d’uomo e regione dove il senso dell’associazionismo ha una forte tradizione, forse più che in molte altre parti dell’Italia, si pensi di costruire un’associazione di sportivi in grado di proporsi quale principale interprete dei nuovi sentimenti e di una rinnovata coscienza, per trasferire il tutto in un programma promozionale da offrire alla società in genere, e non solo a quella degli sportivi. Non estranei, anzi, per certi aspetti decisivi, alla maturazione di questa idea sono gli impulsi che provengono dai paesi anglosassoni materializzatisi nei vari club-service - Rotary e Lion in testa - che pongono le loro forze economiche e culturali al servizio della società, o che, almeno, da tale finalità prendono la loro ragione primaria di esistenza. La fortuna che i vari Rotary e Lion ottengono in certi strati della società borghese (pare inutile nascondersi che la loro natura non è certo di matrice popolare: l’associazionismo popolare ha dato e darà vita ad altre e, senza dubbio, non meno importanti forme organizzative) dichiara questo bisogno diffuso di associazionismo libero e rappresenta la reazione naturale a venti e più anni di sentimenti repressi, di frustrazioni psicologiche, di ideali banditi o mortificati, che il nuovo corso deve cercare di sanare, offrendo nuova fiducia e nuove speranze e proponendo l’occasione di riempire i vuoti creatisi nel dopoguerra, che non possono essere colmati unicamente da organizzazioni di stampo politico. 64 Il Panathlon nasce ispirandosi direttamente al tipo dell’associazionismo di stampo anglosassone di cui si è detto, anche perché alcuni dei suoi fondatori sono membri attivi di tali associazioni e ad esse, al loro tipo di organizzazione, fanno esplicito riferimento nell’ideare e nel dare il primo avvio alla nuova istituzione. Fu nel periodo compreso fra l’aprile ed il giugno 1951 che un gruppo di veneziani si riunì, a più riprese, nella sede del Comitato Olimpico Nazionale Italiano a Venezia, con l’idea di costituire un’associazione ispirata ideologicamente ai valori olimpici, che avesse lo scopo di richiamare continuamente l’idea e la pratica sportiva alla purezza delle sue origini, pur negli indispensabili sviluppi e nei mutamenti che la realtà storica e sociale comportava. Lo sport, quindi, visto essenzialmente come strumento determinante per la formazione materiale, morale e spirituale dell’individuo e come mezzo di fratellanza e di relazione fra i popoli. Saranno, infatti, questi concetti di chiara ascendenza decoubertiniana che ispireranno la costituzione del futuro Statuto dell’associazione. Tutto inizia con la costituzione di un Comitato promotore ad opera di: Guido Brandolini D’Adda, Domenico Chiesa, Aristide Coin, Aldo Colussi, Antenore Marini, Costantino Masotti, Mario Viali (il primo vero ideatore e sostenitore di questo progetto). Dopo una serie di consultazioni, di riflessioni, di ripensamenti e di contatti, con le persone che Viali voleva con sé, si era giunti alla fine del maggio 1951. Il 30 maggio il gruppo promotore inviava una lettera a trenta sportivi veneziani appartenenti ad altrettante discipline sportive invitandoli ad una riunione per “Mercoledì 6 Giugno alle ore 21 e 30 precise, a S. Fantin della veste numero 2004 (sede del Comitato Olimpico Nazionale Italiano)“, di cui Viali era delegato per informarli sulle caratteristiche e sugli scopi del costituendo club allegando la bozza di statuto elaborata da Domenico Chiesa. La riunione si risolveva in un imprevedibile fallimento poiché quella sera un violento nubifragio sconvolse Venezia. Solo “nove coraggiosi”, come li definì Viali, erano presenti e dopo “quattro simpatiche chiacchiere”, la riunione veniva aggiornata a martedì 12 giugno 65 1951 e la data rimarrà storica quale nascita del Panathlon (ventiquattro dei trenta convocati parteciparono all’evento, quindi ventiquattro sono i fondatori di quello che è oggi il Panathlon International. Ventiquattro ”padri” di un’idea che sta percorrendo il mondo). Il 12 giugno 1951, quindi, alle nove e mezzo di sera nella sede del Comitato Olimpico Nazionale Italiano di Venezia il sogno di Viali si era avverato. Soltanto che il neonato club ancora non sapeva che avrebbe ricevuto un nome sontuoso, pieno di memorie classiche; per ora la sua denominazione (non ufficiale) rifletteva la nascita conviviale: “Disnar sport”.(“Disnar” stava per desinare, cenare, in veneziano)1. Il club terrà la sua prima riunione la sera del 6 luglio 1951, all’Hotel Luna, a San Marco, il locale scelto dallo stesso Viali per offrire, sul modello rotariano, il primo tocco di distinzione e di prestigio. Furono assegnate le cariche sociali e, naturalmente toccò a Viali la presidenza per acclamazione. Tema in discussione della serata: ”Problemi sportivi della provincia specie per quanto riguarda gli impianti”. È il primo argomento sportivo trattato dal Panathlon. Ma si era soltanto agli inizi. Una creatura per vivere deve crescere, svilupparsi. È il momento della prima espansione, dell’incipiente proselitismo. L’intendimento di Viali era stato chiaro e perentorio: “un club subito a Venezia, fra qualche giorno nel Veneto, o meglio nelle Tre Venezie, poi (prestissimo) in tutta Italia e, successivamente, dopo un breve periodo di esperimento in Europa e nel mondo”. Si doveva, quindi, fare presto per rispettare il suo obiettivo. Ci si avvalse esclusivamente delle amicizie personali dei soci promotori e dei fondatori per propagandare l’idea e promuovere le iniziative per la costituzione dei club nelle altre città italiane. 1 I padri fondatori ben presto si accorsero della limitatezza di questo nome, con il quale si coniugava in veneziano il concetto dello sport con quello del desinare. Tutti votarono compatti contro quel “Disnar” che rischiava di circoscrivere l’iniziativa confinandola nel Veneto senza possibilità di esportazione come, invece, era nei loro desideri. Il nome definitivo di “Panathlon” (Pan: tutti; athlon: sport) venne coniato dal Conte Ludovico Foscari con una felice intuizione. Egli si richiamò ai fasti di Olimpia e il termine greco “athlon” arrivò spontaneo ed ebbe immediatamente il suono della nobiltà storica e il vantaggio dell’internazionalità. Al termine di origine ellenica seguì, sempre per una felice intuizione dello stesso Foscari, il motto latino “LUDIS IUNGIT” (lo sport unisce), che completò sinteticamente ma efficacemente il significato e lo scopo del club. In sole tre parole il conte Foscari era riuscito ad esprimere il contenuto etico, morale e culturale del club. Era sicuramente un’ottima premessa e un valido biglietto da visita per una associazione che si accingeva ad entrare nel difficile e complesso mondo dello sport. 66 In particolar modo Domenico Chiesa mise a profitto le relazioni che egli intratteneva con i componenti il Consiglio della Federazione Italiana Giuoco Calcio, di cui faceva parte, ed ottenere un grande successo con la costituzione dei club di Brescia, Vicenza, Milano, Napoli, Firenze, Genova e Palermo. L’idea si allargava a macchia d’olio. Il cammino era iniziato sotto i migliori auspici. Dopo appena due anni erano stati costituiti sette club e con questi si attuò la prima fase del programma di Viali: la costituzione del Panathlon Italiano avvenuta a Milano il 21 novembre 1953. Domenico Chiesa racconterà poi che la scelta di sette club per la costituzione del Panathlon Italiano non fu casuale, ma voluta, considerando il sette il numero sacro il che poteva rappresentare un motivo di buon auspicio. Per la particolare opera di un altro personaggio di grande rilievo, Aldo Mairano, il Panathlon diventerà internazionale il 14 maggio 1960, con una fastosa cerimonia nell’aula foscoliana dell’Università di Pavia. Sono trascorsi appena nove anni ed il programma di Viali è stato interamente realizzato. 3.1.1. La diffusione in Italia L’anno 1953 assume l’aspetto di una vera e propria pietra miliare nella storia dell’associazione. Erano trascorsi due anni dalla fondazione del club di Venezia e a questo se ne erano aggiunti altri sei. Sette club in tutto che potevano rappresentare un prezioso patrimonio iniziale ma che erano sorti esclusivamente attraverso rapporti di amicizie personali e che rischiavano pertanto di rimanere iniziative occasionali e provvisorie. Occorreva una organizzazione in grado di curare l’aspetto importantissimo dei collegamenti e dell’espansione, attraverso una propaganda non più affidata a iniziative personali, ma basata su metodi razionali e con concreti supporti di natura anche giuridica ed economica che permettessero di superare le inevitabili difficoltà iniziali e una buona dose di scetticismo che poteva suscitare nell’ambiente sportivo l’ingresso di una nuova organizzazione, che aveva un nome greco e un motto latino, e che poteva quindi fare pensare a qualcosa di velleitario e di pretenzioso, quasi di un’arrogante aristocrazia. Il che certamente 67 non era. Si pensò quindi di riunire i sette club, che già operavano in forma del tutto autonoma nell’ambito del loro territorio, in un’unica struttura che, oltre ai compiti di propagandare l’idea panathletica, curasse l’organizzazione generale dell’istituzione, elaborasse uno statuto e un regolamento che avessero valore per tutti i club e provvedesse, attraverso canali ufficiali, a divulgare gli scopi dell’associazione e quindi a costituire su base provinciale altri club. Forti di questo convincimento, i sette club già operanti, che scherzosamente saranno chiamati “i magnifici sette”, si riunirono a Milano e il 21 novembre del ’53 costituirono il Panathlon Italiano, alla cui presidenza venne chiamato Mario Viali e alla vicepresidenza Ferdinando Pozzani, già presidente del club di Milano. Fu questo il primo e determinante passo per la realizzazione per l’idea di Viali. “Prestissimo in tutta Italia”, aveva detto nel suo primo documento programmatico. Il Panathlon Italiano stava facendo uscire i propri club da una modesta dimensione provinciale per rilanciarli su scala nazionale, attraverso la nuova struttura che doveva offrirsi alla società italiana come una fra le più interessanti e importanti organizzazioni di volontariato sportivo fino a quel momento costituite. Gli effetti non tarderanno a farsi sentire. Il Consiglio Direttivo dell’associazione, eletto in quella riunione del 21/11/53, cercando di curare soprattutto l’aspetto della propaganda, stampò e divulgò un opuscolo mensile illustrante l’attività dei club ed i programmi della futura attività. Grazie a questa iniziativa, accomunata a un’opera capillare svolta dai membri del Consiglio Direttivo che potevano agire non più esclusivamente a titolo personale ma in nome di una organizzazione ufficialmente costituita, in due anni di vita il Panathlon Italiano si arricchì di altri diciassette club. Mario Viali fu particolarmente felice di questi primi successi ed espresse più volte la propria soddisfazione nel constatare come la sua idea si stesse diffondendo con relativa facilità. Il suo compiacimento per aver conquistato grandi e importanti città trovò la sua massima espressione con la costituzione dei club di Palermo e Catania, prime città siciliane che si allineavano ai principi panathletici. Viali si recò subito in Sicilia, una terra a lui particolarmente cara, oltre che per una visita ufficiale ai due club, per un personalissimo incontro con l’amico Edoardo Sampognaro, uno dei principali artefici della costituzione del club catanese. 68 Avevano aderito alla costituzione dei club nomi prestigiosi dello sport, della cultura, dell’industria che avevano deciso di collaborare e di assumersi responsabilità e iniziative probabilmente con diverse motivazioni e ideali personali, con una diversa esperienza di vita e di impegni sociali, ma tutti fortemente avvertiti dalla grande importanza che lo sport veniva assumendo, della straordinaria incidenza che poteva esercitare nella realtà sociale ed economica, e convinti pertanto della necessità di essere presenti con compiti sì di promozione, ma anche di controllo e di salvaguardia. Quasi tutte personalità di rango nazionale che hanno avuto perciò, una funzione essenziale nel conferire al Panathlon un’immagine di elevato prestigio, così ponendolo a livello degli altri più vecchi e autorevoli club-service, ed improntandone quindi, lo sviluppo. Uno degli aspetti più importanti di questa prima espansione fu un avvenimento al quale, forse, in quel momento, non fu prestata la dovuta attenzione, la costituzione del club di Lugano, avvenuta il 14 febbraio 1954. Attraverso contatti intercorsi con il club di Milano, fu facile entrare nella Svizzera italiana e far sentire agli amici svizzeri il calore contenuto nel messaggio panathletico, anche se le condizioni sociali, storiche ed economiche di quel paese erano sostanzialmente diverse da quelle italiane. Ma il successo, seppur insperato, fu completo; l’idea venne raccolta con entusiasmo ed il club venne costituito. Era il primo passo che il Panathlon muoveva verso quella internazionalizzazione cui Viali aveva pensato fin dall’ormai lontano 1951. Lugano aveva dato al Panathlon il passaporto che gli avrebbe concesso la possibilità di uscire dalle frontiere nazionali per farsi conoscere in Europa. Adesso, occorrevano una valida ed efficiente struttura organizzativa e gli uomini adatti in grado di approfittare di questa favorevole circostanza. Il club diventa una vera e propria palestra di discussione, di scambio di opinioni e di esperienze: un confronto attivo e spesso appassionato da cui scaturiscono inchieste, raccolta di informazioni, denunce, progetti. Il Panathlon, attraverso questa opera capillare dei club, si va affermando nella società con il volto di un movimento di opinione al servizio dello sport, come club culturale e di educazione sportiva a disposizione di tutti coloro che credono nello sport e nei suoi valori. È sorta fra i club, come era prevedibile ed auspicabile che fosse, 69 una sorta di emulazione a fare di più e a fare meglio. I club e gli uomini che li rappresentano sono ormai pienamente coscienti di essere inseriti in una organizzazione impegnata in un programma da sviluppare a medio-lungo termine. Attraverso una fitta rete di rapporti con le istituzioni politiche, amministrative e culturali, il Panathlon si pone quale punto di riferimento e di sostegno per sviluppare a livello locale i progetti e qualsiasi altra iniziativa per individuare le possibili e logiche soluzioni, e contestualmente si afferma e si rafforza la sua presenza nel territorio. Decisiva in questo compito è stata l’opera di Domenico Chiesa che, nell’allora incarico di Segretario Generale, profuse nell’organizzazione l’entusiasmo e la passione che hanno sempre contraddistinto ogni sua attività. Chiesa offriva al Panathlon Italiano la sua profonda professionalità, oltre all’esperienza maturata alla segreteria del Rotary-club di Venezia. Aveva redatto uno statuto, approvato dall’assemblea costitutiva, che dettava le norme di comportamento e tracciava un programma da seguire e da sviluppare cui i club dovevano attenersi. Si trattò di un documento di grande valore perché, a parte qualche modifica ed alcuni aggiornamenti che si rese necessario apportare nel corso degli anni per le mutate condizioni della società sportiva, rimarrà valido nella sua struttura di base per lungo tempo. Nelle norme riguardanti i criteri procedurali ed organizzativi, lo statuto prevedeva periodiche assemblee dei presidenti dei club e convegni dei soci. Nelle prime si dovevano approvare i bilanci, modificare lo statuto e rinnovare le cariche sociali, mentre i convegni dei soci dovevano servire alla trattazione di temi di interesse comune, allo scambio di idee e di opinioni utile per elaborare i nuovi programmi per verificare l’attività dei club e per acquisire, da parte della struttura centrale, indicazioni, proposte ed esperienze concrete, utili ad assicurare il processo di espansione, problema questo molto sentito, al quale si doveva dedicare massimo sforzo. Passata la presidenza nelle mani di Fernando Pozzani, il processo di espansione si intensificava (nel corso del suo mandato dal 1955 al 1957 vennero costituiti 19 club) e nella seduta di consiglio del 12/6/1955, svoltasi a Milano, il Panathlon decretò la fine dell’attributo di “Rotary degli sportivi”, che qualcuno, inizialmente, aveva ritenuto potesse servirgli per meglio far 70 comprendere le motivazioni della sua costituzione, delle sue finalità, della sua organizzazione e dell’area in cui voleva operare: quella, cioè, dei club-service. Fu il passo definitivo per l’affermazione della propria identità. Con questa risoluzione il Panathlon Italiano si era posto sulla stessa linea dei grandi clubservice che operavano già con successo nel mondo, anche se per il Panathlon il mondo era ancora lontano. In quella stessa riunione di Consiglio, per la prima volta, fu ipotizzato un rapporto con il Comitato Olimpico Nazionale Italiano, che potesse servire ad intensificare l’espansione e a costituire una collaborazione per una presenza del Panathlon alle Olimpiadi invernali, in programma a Cortina nel 1956. La spinta organizzativa del presidente Pozzani, fondata su una visione pragmatica della realtà, condusse a sensibilizzare il Consiglio Direttivo sulla necessità di un confronto che non fosse più limitato a un consenso formato dai soli Presidenti dei club, ma che fosse, invece, esteso a tutti i soci, in modo da consentire a quella che era la forza vera del Panathlon di esprimersi, di fare proposte operative e di collaborare così in forma diretta alla gestione dell’associazione. Nacque così il Congresso, che si alternerà con l’Assemblea formando insieme la struttura portante dell’associazione, da cui il Consiglio Direttivo trarrà gli indirizzi per poi tradurli in provvedimenti ed azioni concrete. Trentasette club, con quasi trecento soci, rappresentavano a quel momento un potenziale ragguardevole che non poteva essere ignorato e sul quale il Presidente Pozzani riteneva di fare affidamento, affinché la sua gestione potesse proseguire su un binario di comuni intenti sostenuti da un generale consenso. Il primo congresso dei soci del Panathlon Italiano si svolse a Firenze dal 13 al 15 ottobre 1956; centotrentacinque soci, in rappresentanza di ventotto club, discussero per tre intere giornate, in un clima di grande interesse e comunitari intenti, su tre argomenti di attualità: dilettantismo e professionismo, impianti sportivi e la loro funzione, norme di prevenzione sanitaria. Il Panathlon aveva imboccato la strada giusta per realizzarsi ponendosi nei giusti termini all’attenzione della comunità sportiva. I grandi temi trattati avevano dimostrato l’attenzione che il Panathlon poneva alle vicende che interessavano 71 il mondo dello sport e ai problemi che attorno a quel mondo stavano sorgendo. Il Panathlon aveva anticipato i tempi affrontando temi che diverranno, nel corso degli anni successivi, oggetto di forti contrasti e di spesso contraddittorie soluzioni. Questa forza di prevedere in anticipo gli aspetti incerti ed oscuri delle varie problematiche, dovuta all’esperienza dei dirigenti, rimarrà negli anni a venire l’aspetto peculiare e più interessante dell’azione del Panathlon. Il 17 febbraio 1957 il Consiglio Direttivo si riunì a Milano ed elesse alla presidenza dell’associazione Aldo Mairano. La sua presidenza, che durerà per oltre undici anni, segnerà il periodo di massimo sviluppo del Panathlon con la costituzione di oltre 70 club; offrì, inoltre, l’ultimo tocco di operatività, di managerialità e di pragmatismo, elementi questi che contribuirono in maniera determinante a far maturare l’associazione sia qualitativamente sia quantitativamente, facendola uscire da una dimensione nazionale per rilanciarla, come una grande organizzazione, in campo internazionale. Già nella riunione del Consiglio Direttivo del 18 gennaio 1958 furono resi noti i primi contatti con il Comitato Olimpico Internazionale, il cui presidente Mr. Avery Brundage, aveva risposto ad una lettera di Mairano dichiarandosi entusiasta dell’iniziativa e auspicando che quanto prima il Panathlon fosse esportato in altri Paesi. I “colleghi” svizzeri, nel frattempo, entusiasti dell’idea e convinti della funzione del Panathlon anche nella loro realtà, avevano costituito nel mese di maggio il club di Losanna. Proprio i primi due club non italiani (Lugano e Losanna) sostenevano lo spirito e la volontà di Mairano, ne stimolavano la fantasia, per giungere quanto prima possibile a modificare la denominazione di Panathlon Italiano in quella di Panathlon Internazionale. Il 24 maggio 1959 si svolse a Pisa l’assemblea elettiva in cui Mairano fu riconfermato per acclamazione alla presidenza del Panathlon Italiano. Il nuovo Consiglio Direttivo, pur non trascurando la sua attività di routine al servizio dell’ideale olimpico, orientò i propri impegni su due direttrici: 1) l’intensificazione del programma di internazionalità; 2) l’elaborazione di un programma per una presenza attiva del Panathlon Italiano alle Olimpiadi che si sarebbero svolte a Roma nel 1960. 72 Sul terreno dell’internazionalità, il Panathlon ottenne un primo significativo successo: l’assegnazione da parte del Comitato Olimpico Internazionale della “COPPA OLIMPICA”, con la motivazione di aver reso grandi servigi alla causa dello sport e validamente contribuito alla propaganda dell’idea olimpica. Fu questo un determinante riconoscimento, che contribuì sostanzialmente all’apertura delle frontiere verso nuovi Paesi: era quello che Mairano aspettava per concretizzare la sua idea. 3.1.2. Il Panathlon diventa International Con il Consiglio Direttivo del 14 febbraio 1960, si riferì che tre grandi club erano in fase di avanzata costituzione: Madrid, Barcellona e Parigi. Mairano fu certo, allora, che il traguardo che si era prefisso era ormai a portata di mano. Le condizioni per trasformare in internazionale il Panathlon Italiano c’erano tutte. E Mairano partì senza guardarsi troppo intorno, senza ascoltare chi gli consigliava calma e riflessione in un momento molto importante per la vita dell’associazione. E la sua fu sicuramente una scelta e una decisione coraggiosa e saggia, perché un eventuale ritardo avrebbe compromesso l’intero programma. In una fastosa cerimonia svoltasi nell’Aula foscoliana dell’Università di Pavia, il 14 maggio 1960, il Panathlon divenne International. Era la definitiva consacrazione del programma originario di Mario Viali, concepito ormai nel lontano 1951 e di cui Mairano si era fatto entusiasta e convinto assertore. Con l’adesione al progetto del club di Parigi, il Panathlon era già divenuto una convincente realtà, anche se i nuovi club istituiti all’estero non potevano considerarsi ancora operativi. La dimensione internazionale che aveva assunto il Panathlon dopo l’assemblea di Pavia aveva modificato sostanzialmente i rapporti fino allora intercorsi con il mondo dello sport. Infatti si erano verificate divergenze di vedute con il Comitato Olimpico Nazionale Italiano, che aveva intravisto nell’azione del Panathlon una funzione concorrenziale tendente a danneggiare la struttura dello stesso Comitato Olimpico; quest’ultimo aveva male interpretato l’attività 73 istituzionale del Panathlon che aveva dichiarato la propria volontà di assoluta indipendenza e autonomia. Questa nuova immagine di internazionalità consentiva al Panathlon di allargare la propria sfera e di allungare lo sguardo oltre i confini italiani, per conoscere le problematiche che pesavano sullo sport internazionale, compararle con quelle italiane e proporre così programmi di intervento comuni. L’attenzione maggiore, chiaramente, era rivolta alle Olimpiadi, massima espressione dello sport mondiale. Bisognava seguire l’evoluzione tecnica e culturale dei Giochi Olimpici attraverso uno studio sistematico dei rapporti fra i Giochi e la società, mettere in parallelo lo sviluppo dei processi economici e sociali con quelli dello sport per carpirne i meccanismi che li governavano e procedere in conseguenza. Il Panathlon fu tra i primi a capire che le Olimpiadi avevano imboccato una strada irta di pericoli. Dopo Roma, Tokyo e Città del Messico avevano evidenziato, anche se in forma ancora latente, i problemi che sarebbero poi diventati macroscopici, quali il gigantismo (troppe discipline ammesse e una mastodontica organizzazione il cui costo aveva sconsigliato molte Nazioni a candidarsi), la politicizzazione (che esploderà clamorosamente a Monaco ’72, a Mosca ’80 e a Los Angeles ’84), la commercializzazione ed il conflitto dilettantismo – professionismo. Il Panathlon percepisce i pericoli che dalla nuova situazione possono scaturire e inizia una serie di consultazioni al fine di valutare in profondità le cause di tali sconvolgimenti per trarne deduzioni ed ipotesi da proporre agli organi competenti al fine di trovarne le soluzioni adeguate. Questo particolare aspetto della sua attività, farà del Panathlon International una delle organizzazioni al servizio dello sport accrescendone la stima da parte del Comitato Olimpico Internazionale, sino ad essere considerato un movimento di forte incisività nel quadro della promozione olimpica. La società sta cambiando velocemente e lo sport con essa. Mutano le condizioni della vita e crescono, con il benessere, la necessità e le esigenze della gente; e lo sport non rimane escluso da questo processo. Entrano a far parte del linguaggio sportivo parole prima sconosciute quali sponsor e doping. Il Panathlon, sempre attento a questi mutamenti, non perderà l’occasione di 74 esercitare la sua peculiare funzione di osservatore, per entrare nel vivo dei processi e per fare opinione laddove si rende necessario intervenire per un chiarimento e una decisione. È il volto vero del Panathlon che viene offerto al mondo sportivo e alle istituzioni ed è l’immagine di una associazione efficiente, che giorno dopo giorno, conquisterà posizioni e consensi, creandosi spazi notevoli ed importanti per lo svolgimento dei propri compiti istituzionali. Gli anni che seguirono furono dedicati in gran parte alla revisione dello statuto e alla ristrutturazione dell’organizzazione interna per rendere il tutto quanto più possibile adeguato al nuovo aspetto internazionale che il Panathlon aveva assunto a Pavia. Nel campo dei club, che nel 1961 erano già oltre settanta, l’attività era intensa e proiettata in una dimensione nazionale e, in qualche caso, internazionale (per esempio nella campagna anti-doping, già iniziata su scala mondiale, il Panathlon tentò di inserirsi sensibilizzando al riguardo l’azione dei club). Le difficoltà, purtroppo, non mancavano, specie per i club appartenenti ai grossi centri urbani; la costituzione dei club si presentava, infatti, molto più facile nei centri di provincia, dove le conoscenze e la cerchia delle amicizie più ristretta favorivano quel contatto immediato che consentiva di aggregarsi con relativa facilità. Le grandi città, fondamentalmente dispersive ed inclini a ritrovarsi in gruppi limitati ed esclusivi, presentavano notevoli complicazioni che potevano essere superate soltanto trovando la disponibilità dei personaggi di grande notorietà e carismaticamente inseriti nel tessuto cittadino. Questo particolare aspetto aveva ritardato l’affermazione dell’idea panathletica in alcuni centri urbani ma aveva, di contro, offerto il vantaggio di aver potuto inserire nei ranghi del Panathlon illustri protagonisti della cultura e dell’industria, che potevano aprire al Panathlon le porte d’accesso ai vari settori della vita sociale. A Mairano, nel 1968, succedette Saverio Giulini che, durante il suo mandato, prestò attenzione in particolar modo all’organizzazione generale del Panathlon e alla sua ristrutturazione organica ed amministrativa, sfruttando e mettendo in pratica le sue esperienze professionali. Si concluse, dunque, il ciclo Mairano: un periodo intenso, caratterizzato da una feconda e qualificata attività, fatta di progetti portati a termine, di programmi densi di contenuti, elaborati con lungimiranza, ma strettamente aderenti ai 75 problemi reali e quotidiani ed in linea con i principi ispiratori dell’ideale panathletico che Viali rappresentava ancora con la sua costante presenza all’interno dell’associazione. La grande capacità di Giulini fu quella di essere riuscito a riallacciare stretti rapporti con i massimi organi sportivi e non. Significativa fu, infatti, la decisione del Comitato Olimpico Nazionale Italiano di includere i Presidenti dei Panathlon Club nei Comitati provinciali dei “Giochi della Gioventù”, a quel tempo organizzati dallo stesso Comitato Olimpico, ed il Presidente Internazionale nel Comitato Centrale. Fu un avvenimento che fece svanire le residue riserve che, ancora in qualche modo, potevano sussistere nei confronti del Panathlon, che entrava così, con pieno riconoscimento, nel giro sportivo più delicato, ma più importante: quello giovanile. L’idea fissa di Giulini rimaneva però quella dell’organizzazione, che cominciò a prendere forma nella seduta del Consiglio Generale del 20 settembre 1969, quando si cominciò a parlare concretamente di suddividere i club in Distretti. A Roma, nella seduta del 13 dicembre 1969, il Consiglio Centrale approvò la ripartizione territoriale del Panathlon International in sei Distretti, così ripartiti: 1° Distretto: Emilia Romagna, S. Marino, Tre Venezie; 2° Distretto: Lombardia, Piemonte e Valle d’Aosta; 3° Distretto: Liguria, Toscana, Marche, Umbria; 4° Distretto: Lazio, Abruzzo e Molise, Sardegna, Campania; 5° Distretto: Puglia, Lucania, Calabria, Sicilia, Malta; 6° Distretto: Svizzera, Austria, Lussemburgo. Un Distretto Presidenziale si sarebbe interessato dei club non compresi nelle nazioni e nelle regioni sopra indicate. Il Panathlon aveva assunto una nuova e più moderna struttura. L’innato senso organizzativo di Giulini aveva prevalso sulle immancabili perplessità manifestatesi anche in questa occasione. L’organizzazione a struttura verticistica che era stata costituita vedeva i Governatori (erano coloro i quali presiedevano ad ogni Distretto) nella posizione intermedia tra il Consiglio Centrale e i club e quale punto di riferimento per entrambi. Oltre cento club costituiti rappresentavano già un lavoro gravoso per la Segreteria Generale 76 che, tramite i Governatori, avrebbe potuto delegare parte della sua attività, sia amministrativa che organizzativa. Inoltre, i Governatori avrebbero assicurato al Consiglio Centrale una visione più immediata e realistica della vita dei club, con possibilità di interventi diretti laddove se ne fosse presentata la necessità. Con questo nuovo assetto, che ricalcava quello degli altri club-service di origine anglosassone, ai quali si era fatto ancora riferimento, il Panathlon si era assicurato una ulteriore disponibilità di risorse che si rileveranno, nel corso degli anni, indispensabili per lo sviluppo del movimento panathletico. I Governatori, eletti dai presidenti dei club facenti parte delle aree distrettuali, assumevano, inoltre, una funzione di coordinamento e di direzione dei club stessi e, nei loro confronti, rappresentavano il potere del Consiglio Centrale, specialmente per particolari interventi sui quali erano state emanate specifiche deleghe. Questo complesso di attribuzioni affidava ai Governatori un notevole bagaglio di responsabilità, che i primi eletti accettarono con entusiasmo e con la certezza di rappresentare un primo esempio di decentramento amministrativo, degno di una grande organizzazione che aveva tessuto una fitta rete di contatti. I Governatori, quindi, si sentivano protagonisti di un sistema che li rendeva da un lato partecipanti alla determinazione dei criteri di gestione e dall’altro coordinatori dei soggetti preposti all’applicazione di quei criteri. Una duplice funzione, quindi, che li poneva in una posizione estremamente importante nello scacchiere strategico della politica panathletica, configurandoli come una struttura a sostegno dell’intera organizzazione. Il terzo Congresso dei soci, che si svolse a Sanremo dal 4 all’8 giugno 1969, ebbe notevole risonanza in campo internazionale, perché fu impostato sul problema del rapporto gioventù-sport. Due relazioni presentate, aventi per titolo “L’avviamento allo sport della gioventù” e “Gioventù e sport”, diedero un ampio spaccato della situazione giovanile italiana e non, con interessanti punti di raffronto che furono ripresi e commentati con un’ampia rassegna stampa. Fu questo il primo movimento concreto del Consiglio Centrale sul nuovo programma impostato da Giulini orientato sul problema dei giovani. Un programma che negli anni a venire non verrà più perduto di vista e che verrà intensificato e arricchito di nuove ed ancora più interessanti iniziative. 77 La gestione Giulini volle inoltre esprimere con un’altra iniziativa l’aspetto essenzialmente organizzativo che l’aveva sempre contraddistinta: la costituzione delle Commissioni di lavoro, ognuna delle quali doveva occuparsi di uno dei tanti programmi in corso di elaborazione: le riforme statutarie, la propaganda, l’espansione, il notiziario, la rivista ufficiale, ecc. Questa nuova e moderna organizzazione dei metodi di lavoro si dimostrerà come una delle più indovinate forme di gestione per conseguire la massima efficienza e l’acquisizione di importanti risultati. Nella seduta del Consiglio Centrale del 28 ottobre 1972 un’altra pietra fu aggiunta alle fondamenta sulle quali il Panathlon poggiava la propria struttura: il prof. Sisto Favre, già eletto alla vicepresidenza nel giugno dello stesso anno, incaricato di progettare una manifestazione in grado di suscitare un richiamo in campo internazionale sull’esistenza e sulla funzione del Panathlon, organizzò a Roma un convegno durante il quale sarebbero stati assegnati a tre personalità, particolarmente distintesi nel campo dell’organizzazione e della cultura con azioni ed opere in favore dell’ideale olimpico, gli “Heracles d’oro”. Il Consiglio Centrale accettò la proposta e istituì il “Premio Panathlon International Fiaccola d’oro”, da assegnarsi ogni quattro anni; il termine “Heracles” fu sostituito con quello più accessibile di “Fiaccola” che sarà poi, a sua volta, modificato nel francese “Flambeau”, per dare al premio stesso un significato più incisivo di internazionalità. Fu istituita un’apposita commissione per l’elaborazione di un regolamento, per l’approvazione di un programma comprendente la divulgazione a mezzo stampa dell’istituzione del premio, per l’organizzazione della prima edizione e per la scelta dei premiandi. Tale commissione dopo appena tre mesi rese il premio “Fiaccola d’oro” una realtà. Il 29 gennaio 1973, a Roma, si svolse la prima edizione del “Premio Panathlon International”. Nella riunione di consiglio del 4 dicembre 1976 a Firenze, Favre dette inizio al suo mandato presidenziale con un’ampia esposizione in cui furono posti allo studio due problemi particolari: la revisione e la ricomposizione delle commissioni di lavoro e la ristrutturazione dei Distretti. Con l’Assemblea di Viterbo nel 1977, si aprì l’era Cappabianca, il quale, nel corso degli undici anni di presidenza, darà una svolta determinante al 78 Panathlon; nel rispetto ormai della consolidata tradizione panathletica, porterà un alito fresco di modernità, che consentirà di rinnovare e consolidare i rapporti, di istituirne di nuovi e di aprire su nuovi versanti, verso i quali il Panathlon fino a quel momento si era rivolto con grande cautela. Era il caso dei rapporti con i politici. Cappabianca sostenne che da parte del Panathlon un colloquio con i politici e, quindi, con le istituzioni, era necessario ed indispensabile. Le direttive di Cappabianca, protese al miglior funzionamento dell’ormai complessa macchina organizzativa, si basavano essenzialmente su due linee programmatiche: prosecuzione degli sforzi per una sempre maggiore internazionalità; miglioramento dello standard dei club. A queste direttrici se ne aggiunse una terza, e questa fu la prima importante e rivoluzionaria novità: l’istituzione del “tema dell’anno”, un argomento deciso dal Consiglio Centrale, che ciascun club tratterà in una specifica riunione le cui conclusioni saranno raccolte dalla Segreteria Generale che, a sua volta, le elaborerà per un congresso, la cui risoluzione finale verrà divulgata quale precisa posizione del Panathlon sul tema proposto. Un’idea brillante, strettamente connessa alle finalità del Panathlon, subito approvata all’unanimità, che si dimostrerà negli anni a venire determinante per il futuro dell’associazione quale movimento culturale e di opinione. Tema concordato per l’anno 1978: “Il futuro delle Olimpiadi”. In riferimento a questo l’assemblea dei presidenti affermò l’importanza fondamentale dell’ideale olimpico come componente della civiltà dell’uomo; ribadì il suo totale appoggio all’azione del Comitato Olimpico internazionale per la difesa di tale ideale così come esso viene definito nella Carta Olimpica, che ha il fine di mettere lo sport al servizio della persona umana; espresse la sua piena fiducia nell’avvenire del movimento olimpico e dei Giochi Olimpici; esortò il Comitato Olimpico Internazionale a moltiplicare i propri sforzi in comunità d’intenti con i pubblici poteri e con quanti sono responsabili dello sviluppo dello sport e della formazione educativa dei giovani, per eliminare i pericoli sempre maggiori che i Giochi Olimpici si trovino a fronteggiare, pericoli che particolarmente si identificano nel gigantismo, nell’esasperato nazionalismo, nella deleteria tendenza a forzare i limiti della personalità psicofisica dell’atleta; decise di associare sempre più direttamente il 79 Panathlon International a questi sforzi così come a quelli intrapresi per la salvaguardia dell’ideale sportivo in generale e del fair play ,sforzi che corrispondono esattamente all’ideale panathletico; impegnò, infine, a questo fine tutti i Panathlon club ad orientare concretamente la loro azione perché siano realizzati i suddetti obiettivi e ciò attraverso tutti i mezzi che essi crederanno più opportuni nell’ambito del loro territorio. I club intanto erano cresciuti in qualità e in quantità. Cappabianca non aveva mai perduto di vista il problema dell’espansione che rappresentava sempre l’aspetto determinante della vita e della sopravvivenza dell’associazione. I dati ufficiali comunicavano, a quel momento, 161 club, anche se il numero doveva essere ridotto di alcune unità a causa di club che non divennero mai completamente operativi. In quegli anni si addensavano sullo sport nubi minacciose. Segni evidenti e particolari erano l’eccesso di politicizzazione e la crescente violenza. Il Panathlon fu tra i primi a cogliere le avvisaglie del rischio cui lo sport andava incontro. La politica andava sempre più accorgendosi dell’importanza dello sport, del suo peso nel tessuto sociale e della sua incidenza su esso, quale mezzo diretto e immediato di comunicazione con le masse. La violenza calava sullo sport, e più specificamente sugli stadi di calcio, tanto da divenire un problema serio e minaccioso, che minava al cuore l’essenza stessa dello sport e non era più un fenomeno di cronaca occasionale. Il Panathlon promosse due convegni, per capire al meglio, il fenomeno stesso, per determinarne le motivazioni e, possibilmente, indicarne le soluzioni. Il primo fu sulla politicizzazione; il secondo fu sulla violenza, che venne prescelto dal Consiglio Centrale come tema dell’anno 1979. In merito a quest’ultimo si riconobbe che il problema della violenza nel campo dello sport, nelle sue varie e disparate forme, risultava più che mai grave e che necessitava da parte degli sportivi di un contributo concreto e costante; si raccomandò alle autorità pubbliche un più severo intervento a tutela dell’ordine pubblico nel settore delle manifestazioni sportive, ai mass media un’opera di educazione e di rivalutazione dei valori essenziali dell’atto sportivo, alle organizzazioni sportive iniziative atte a isolare la violenza e a distrarvene gli spettatori. La Rivista del Panathlon sostenne la 80 campagna di promozione antiviolenza pubblicando tutte le relazioni e i dibattiti che sull’argomento si svolgevano nei club. L’iniziativa venne promossa da Giorgio Bazzali, che aveva assunto l’incarico di Direttore Responsabile nel 1980. Bazzali metteva così al servizio del Panathlon International la sua professionalità di giornalista sportivo; sotto la sua guida e la sua spinta, la rivista non si limiterà alla pura e semplice informazione, ma diverrà un mezzo di opinione e di relazione informativo-culturale fra il Panathlon e le istituzioni preposte alla programmazione della politica e della pratica sportiva. Il programma era teso anche al miglioramento della qualità del prodotto, pur nei limiti finanziari da sempre esistenti in un’associazione avente, quali unici introiti, le quote sociali. L’Assemblea Generale del gennaio 1980 si concluse con una tavola rotonda sul “Fair play nello sport”, un argomento che si impose all’attenzione generale come terzo dei grandi temi di interesse mondiale che il Panathlon, dopo il “Futuro delle Olimpiadi” e la “Violenza nello sport”, aveva diffusamente dibattuto e propagandato. La filosofia panathletica, di una lotta per uno sport più confacente allo spirito di cittadinanza e rispetto delle istituzioni, infatti, portava ad abbracciare automaticamente lo spirito del fair play come norma di comportamento; pertanto, la maggior parte dei distretti si dotava di una commissione speciale per il fair play, che aveva il compito di organizzare iniziative quali conferenze sul tema esortanti la divulgazione del gesto del fair play durante manifestazioni e competizioni sportive. Un argomento, questo del fair play, sul quale il Panathlon ritornerà spesso con ampie monografie pubblicate sulla sua rivista. Il Consiglio Centrale, nella seduta del 4 ottobre ‘80 a Milano, rinnovò i membri delle Commissioni nominando Vittorio Wyss delegato del Panathlon International presso le Associazioni Internazionali e deliberò quale tema dell’anno 1981 “Sport e famiglia”, da riprendere e concludere nel Congresso che si sarebbe svolto a Losanna. A Losanna per la prima volta il Panathlon riuniva i suoi soci in una città non italiana e i lavori che i vari relatori fecero a proposito del tema “Sport e famiglia” diedero i seguenti frutti: lo sport poteva contribuire enormemente alla coesione e allo sviluppo familiare; le autorità locali 81 dovevano facilitare lo sviluppo dello sport quale elemento di svago; il ruolo dei genitori era quello di avviare i figli verso la pratica dello sport concepito come elemento di gioia, di fiducia in se stessi, di scoperta degli altri, d’equilibrio fisico e psichico e sboccio della personalità; la scelta degli sport praticati doveva conformarsi al bilancio familiare e non diventare mai una spesa insopportabile, oggetto di rancore, di gelosia e anche di rottura nell’ambito familiare. Cappabianca aveva impresso alla gestione del Panathlon un ritmo notevole; aveva spronato i suoi collaboratori a non perdere di vista neppure i minimi avvenimenti, perché anche questi potevano offrire materia di studio e di discussione, per fare opinione e per intervenire in modo opportuno e conveniente. L’attenzione doveva essere rivolta anche agli eventi di natura non sportiva, sui quali il Panathlon doveva testimoniare la sua presenza per dimostrare di essere parte integrante della società (fu il caso del terremoto dell’Irpinia del 1980; il Panathlon, nello slancio di solidarietà dei suoi club, raccolse una somma consistente di denaro che destinò, in borsa di studio, a cinque studenti dell’ISEF di Potenza; esemplare fu anche la posizione che il Panathlon assunse nei confronti del boicottaggio americano alle Olimpiadi di Mosca. Il Panathlon fu apertamente favorevole alla partecipazione delle rappresentative di tutti i Paesi. Fu un esempio di grande coerenza, apprezzato dal Comitato Olimpico Internazionale, che dette la spinta finale per il riconoscimento ufficiale del Panathlon International quale organizzazione sportiva di interesse olimpico. Come nuovo tema dell’anno, nel 1982, fu proposto “Lo sport nella vita della città” e i club si misero nuovamente all’opera interessando all’argomento le società sportive, gli enti di promozione e le istituzioni. A questo tema seguì “La promozione umana attraverso lo sport”. Nell’Assemblea di Montecatini Terme, che si svolse dal 25 al 27 maggio 1984, fu trattato il tema “Il fenomeno sponsor nello sport”, da cui emersero i vantaggi ma anche i pericoli incombenti nel connubio sport-industria. La mozione conclusiva pose in luce avvertimenti validi tutt’oggi che il fenomeno ha assunto proporzioni rilevanti. In corso d’opera infatti, si osservò che lo sport aveva sempre avuto ed aveva necessità di supporti economici e che queste necessità 82 erano in costante aumento; che esisteva una sostanziale coincidenza di interessi tra mondo sportivo e le nuove vie di comunicazione del mondo economico, il quale individuava nello sport il mezzo di comunicazione di maggior efficacia; che tale reciprocità di interessi, un tempo manifestatasi come mecenatismo (cioè come maniera che apportava riconoscimenti sociali al suo promotore) presentava sempre più la tendenza a trasformarsi in una concezione globale interessata che prendeva il nome di sponsoring; che il fenomeno predetto doveva servire lo sport e non servirsi di esso, osservando che lo sponsor ideale era quello che capiva lo sport aiutandone l’affermazione e la diffusione dei valori umani, morali e sociali. Il tema dell’anno 1985 fu “Come promuovere l’educazione sportiva quale parte importante della cultura giovanile”. Un tema di estremo interesse, che dimostrava ulteriormente l’azione del Panathlon per lo svolgimento dei propri programmi culturali, particolarmente orientati verso la gioventù e fu il primo e decisivo passo, nella realtà italiana, per un contatto con la scuola. La presidenza assunta da Cappabianca aveva dato un’ulteriore spinta all’evoluzione del Panathlon grazie a nuovi e più razionali criteri di gestione sui quali l’associazione era stata impostata, grazie ad una più ampia e qualificata autonomia dei club e alla maggiore responsabilizzazione dei presidenti nella partecipazione attiva alla vita del Panathlon. Una amalgama di maggiore positività tra i club e vertici dirigenziali, nel comune intento di un Panathlon più efficiente e di club più impegnati, più rappresentativi nelle loro aree e maggiormente allineati in una politica di espansione culturale. Nel maggio del 1987 si svolse la prima convention nell’America Latina, più precisamente a San Paolo, dove il tema discusso fu “Lo sport nel 2000”. Tale scelta fu il frutto di una riflessione approfondita che tenne conto delle ansie e delle domande che il mondo intero si poneva in vista dell’approssimarsi dell’inizio del terzo millennio. Si scelse di indagare, attraverso le varie opinioni dei rappresentanti dei club, su come lo sport sarebbe potuto entrare nel nuovo secolo; si parlò - tenuto conto del 2000 in qualità di anno olimpico - dell’apporto fondamentale di un’educazione specifica che, dalle famiglie, passando attraverso la scuola, gli enti e le istituzioni, avrebbe lasciato inalterato l’ideale 83 sportivo nei giovani; si parlò ancora una volta del sempre più pressante problema del rapporto sport e sponsor, dell’annosa questione dilettantismoprofessionismo, risolvendola con la soluzione che la via del professionismo era sì imprescindibile per uno sportivo, date le crescenti necessità economiche, ma che il dovere di ogni atleta era quello di conservare lo spirito del dilettante dentro di sé; infine si mise in luce il problema dilagante del doping, per il quale fu invocato un intervento massiccio della medicina sportiva la quale non doveva mettersi a servizio del risultato, ma doveva tutelare la salute dell'atleta affinché la persona, nella sua integrità fisica e psichica, non cessasse mai di essere soggetto autonomo e oggetto unico di ogni progetto. Lo sport al servizio dell’uomo, quindi, e non viceversa. Quando nel 1988, sotto la guida dell’avvocato Antonio Spallino, furono eletti un nuovo Consiglio Centrale e un nuovo comitato di presidenza, alla prima riunione per la presentazione dei nuovi membri ci si pose subito una questione: quali erano gli obiettivi del Panathlon e che tipo di associazione era diventata. In quella riunione si arrivò a una conclusione unanime, alla ferma presa di posizione che il Panathlon era un’associazione di club di servizio e, ancor più importante, il Panathlon era un ente d’azione. Nonostante molti club, in Europa come in America, avessero già portato a termine iniziative che si inquadravano nelle caratteristiche di quello che stava emergendo come obiettivo principale, il Panathletismo si identificava per la maggior parte ancora in un atteggiamento più contemplativo, o si concentrava soltanto sulle riunioni. Dal centro partirono tutte le misure direttive per enfatizzare il bisogno d’azione, l’importanza di iniziative che risultassero nella trasformazione delle istituzioni e nel miglioramento della realtà che stava attorno. L’esempio d’azione, che simboleggiava questo cambiamento di atteggiamento, partì dallo stesso Panathlon International, allora sotto la guida di Spallino: su sua iniziativa si ebbe la modifica degli statuti, avvenuta nel 1991. I club, poco a poco, cominciavano a interiorizzare il principio che esortava a interagire con la comunità, con le scuole, con le federazioni sportive e a organizzare manifestazioni. Lo stesso Panathlon International diede l’esempio avvicinandosi a enti di livello mondiale come il Comitato Internazionale per il 84 Fair Play, l’Organizzazione delle Nazioni Unite, l’Ente Internazionale del Diritto Sportivo, nonché intensificando le relazioni con il Comitato Olimpico Internazionale. Lo sviluppo che ne derivò, come conseguenza di questa scelta d’azione quale obiettivo prioritario, fu talmente accelerato che il Panathletismo fece il suo ingresso negli anni della tecnologia e di Internet (come esempio si veda la costituzione del sito informativo sull’associazione, disponibile in più lingue per venire incontro all’interesse su scala internazionale assunto nel corso degli anni) in qualità di realtà al passo coi tempi, libera da conservatorismi, accompagnando le dinamiche quotidiane e dimostrando in ogni momento una maggiore presenza vicino alla comunità e allo sport regionale e nazionale. I Congressi tenutisi a partire dagli anni ’90 vanno inquadrati da un marcato punto di vista dell’azione in quanto queste manifestazioni, rispetto a quelle precedenti, miravano ad una rapida attuazione di quanto deliberato in assemblea2. Tale nuova linea di pensiero ebbe inizio con il Congresso di Avignone, svoltosi nel 1995. In quell’occasione, il Panathletismo si sensibilizzò riguardo all’importanza della questione dell’educazione fisica e della pratica sportiva per i giovani, approvò la Carta dei Diritti del bambino nello Sport e cominciò a collaborare in modo più stretto con le scuole; si intensificarono quindi ulteriormente i rapporti fra il movimento e la scuola e i giovani e nell’ambito di questo tema le iniziative più importanti si ebbero nei campi della ricerca (con l’obiettivo di determinare le caratteristiche proprie della gioventù), dell’incentivo allo sport e alla cultura fra gli studenti, della divulgazione del vincolo scuolasport attraverso gli organi panathletici. Il Congresso di Vienna nel 1997 andò ad integrare il processo di avvicinamento alle attività sportive svolte nelle scuole e si fece promotore di un’importante ricerca che consentì, attraverso il metodo comparativo, di analizzare le differenze di aspirazioni e comportamento del giovane sportivo nelle diverse realtà socio-economiche in cui era presente il Panathletismo. 2 I congressi hanno la funzione inoltre di promuovere la conoscenza e l’amicizia tra i soci portando all’esame e alla discussione questioni e tematiche culturali di particolare rilevanza ed attualità. Sono indetti ogni due anni dal Consiglio Centrale che ne fissa località, data e tema. 85 Ancor più caratteristico del cambio di direzione dei congressi verso l’ambito dell’azione fu quello di Palermo nel ‘99. Dopo l’analisi del fenomeno doping in tutte le sue sfaccettature, la deliberazione finale attribuì ai club e persino ai panathleti il dovere di agire contro questa frode, una scorrettezza e un attacco verso la salute e la vita. A Venezia nel 2001, per il cinquantenario dell’associazione, si tenne un Congresso sul tema “Sport, Etica e Cultura”. Nella deliberazione finale, non ci si accontentò di giungere a una constatazione ma si stabilì la rotta da seguire e la posizione da prendere: la missione del Panathlon era quella di dare priorità ad un obiettivo etico, impegnandosi cioè a lottare affinché la dignità continuasse ad accompagnare lo sport . Ogni gara doveva essere uguale, giusta e corretta per tutti i concorrenti. L’ultimo Congresso del Panathlon si è riunito a Basilea nel luglio del 2003 ed ha dibattuto il tema “Educazione attraverso lo sport e nello sport” (tema al quale l’Unione Europea ha dedicato l’anno 2004). Nella delibera finale si sottolinea come funzione dello sport quella di strumento al servizio dello sviluppo integrale della persona e della pace dei popoli; viene espressa una grande preoccupazione dinanzi al fenomeno della crescente divaricazione tra il processo positivo di accettazione delle regole mondiali dello sport e il processo negativo di una evoluzione di incontrollata globalizzazione mercantile (questo secondo fenomeno ha provocato nelle società emergenti l’aggravamento degli squilibri socio-economici creando vaste aree di povertà: di conseguenza si esortano i club e i distretti a battersi per la riaffermazione del primato dell’etica in tutte le azioni dell’uomo); si conferma la convinzione che l’istituzione scolastica sia il centro essenziale di diffusione della cultura anche mediante l’insegnamento dell’attività sportiva e, conseguentemente, viene evidenziato il gravissimo problema costituito dalla tendenza alla riduzione progressiva del numero delle ore destinate all’attività fisico-motoria e all’educazione sportiva (per questa ragione viene raccomandato ai club di farsi interlocutori privilegiati delle istituzioni scolastiche, ad ogni livello, per cooperare alla diffusione dei valori etico-pedagogici dello sport nella formazione dell’individuo e della società); si rileva lo squilibrio esistente tra gli indici di partecipazione della 86 donna alla pratica sportiva di ogni livello e gli indici di rappresentanza femminile negli organi dirigenziali (in particolare, si impegnano i club a coltivare assiduamente il processo in corso nel Panathlon International per l’incremento della presenza femminile anche in ruoli dirigenziali); ed infine, viene riaffermata l’importanza dello sport come strumento di sviluppo della personalità e delle potenzialità individuali dei soggetti diversamente abili nonché come veicolo di maggior presa di coscienza della realtà. Per concludere si può ravvisare che i cinque decenni di vita del Panathlon hanno visto un continuo movimento verso strade impensate per coloro che diedero il via a questa iniziativa; con il passare del tempo, gli avvenimenti storici facevano sì che venissero inclusi nuovi obiettivi, nuove missioni, senza che quelli precedenti fossero mai messi da parte. I temi più recenti, l’etica e l’educazione allo sport, frutto di una costante attenzione rivolta all’aggiornamento, non rappresentano che due scalini di una scala che punta al massimo impegno verso il mondo dei giovani e lo sport. La difesa di ogni singolo obiettivo non viene effettuata con un atteggiamento conservativo ma con una presa di posizione pubblica; il Panathlon non è solo amicizia, cultura, azione e difesa dell’etica ma anche un movimento d’opinione che si indirizza verso l’intera collettività, approntando un tipo di comunicazione che, per quanto relazionato nelle pagine di questa tesi, può a pieno titolo definirsi sociale. 3.2. La struttura organizzativa Il Panathlon International è l’associazione non governativa, senza fini di lucro, aconfessionale, apartitica, senza distinzione di razza o sesso di tutti i Panathlon Club. È un’associazione di sportivi convinti della rilevanza dello sport per la promozione integrale della persona e della sua funzione sociale nella costruzione della comunità di cittadini; le sue direttive fondanti sono: cultura, etica, fair play. Riconosciuto giuridicamente dallo Stato Italiano e dal Comitato Olimpico Internazionale, fa parte dell’Associazione Generale delle Federazioni Internazionali Sportive (AGFIS) e del Comitato Internazionale del Fair Play 87 (CIFP); è inoltre in relazioni sistematiche con l’UNESCO e con l’Associazione Nazionale Comitati Olimpici Europei (COE). È un’associazione costituita al fine di affermare l’ideale sportivo ed i suoi valori morali e culturali quale strumento di formazione ed elevazione della persona e di solidarietà tra gli uomini ed i popoli. Attualmente il Panathlon International, la cui sede centrale è in Italia a Rapallo (GE), è presente in oltre 30 nazioni rappresentanti tre continenti. Il Panathlon International è retto dal Presidente Internazionale, da un Consiglio Centrale ed un Comitato di Presidenza assistiti dal Segretario Generale; i suoi club sono riuniti in distretti (come in seguito si vedrà più in dettaglio) il cui territorio può comprendere un’intera nazione o parte di essa. Continuando con la parte organizzativa, a livello centrale e periferico possono essere costituite delle Commissioni per studiare problemi connessi con gli obiettivi statutari e per offrire soluzioni a questi propositi; attualmente operano le seguenti Commissioni: Culturale; Fair Play; Comunicazione ed Immagine; Giovani; Diversamente abili. Il Panathlon riunisce tutti i club inseriti nello strato sportivo della regione, della città. Grazie a questo, crea un legame tra gli uomini e le donne di ogni età, attori e coordinatori della vita sportiva locale. Ogni club deve riunire, per cooptazione, le forze vive degli sport praticati nella città. Il Panathlon è ricco delle differenze che caratterizzano i paesi da cui provengono i suoi soci. Internazionale per nome e per essenza, permette la mutua conoscenza, il confronto delle culture, l’affermazione delle identità. Vuol essere attuale e tradizionalista, dinamico nella promozione degli sport e dell’ideale sportivo, ma anche rispettoso delle usanze, difensore dell’originalità dei popoli e delle loro tradizioni gestuali, agonistiche e ludiche. Il Panathlon International desidera coniugare la cultura con le culture. Secondo l’origine greca del suo patronimico, il Panathlon riunisce l’insieme dei settori sportivi e delle attività fisiche. Tutti i settori legati allo sport interessano i suoi soci, la sua azione, la sua riflessione, il suo intervento. 88 Dinamizzatore ed attore nel campo dello sport, questa è la sua ragione d’essere. Le missioni che si dà possono riassumersi nelle seguenti parole: amicizia e convivialità, dialogo, cultura, servizio e solidarietà. 1) Amicizia e convivialità: proprio nell’amicizia tra i suoi soci, nata dalla convivialità delle riunioni di club, il Panathlon attinge le forze necessarie per portare a termine le sue ambizioni statutarie; 2) Dialogo: perché intende promuoverlo a tutti i livelli della società (tra gli sport e gli sportivi di ogni club; tra le generazioni; tra i responsabili - dirigenti, allenatori, giornalisti, medici, ecc. - ; con quelli che sono al di fuori dello sport - pubblici poteri, tifosi, educatori, genitori, uomini di imprese -); 3) Cultura: in quanto ogni sport ha un suo modo diverso di comportarsi nello spazio e nel tempo, di confrontarsi con gli altri e con se stesso. Perché lo sport è estetica, ritmo, dinamica, armonia, gesti e colori, istanti fugaci, creazioni spontanee, accordi perfetti all’origine di emozioni, di sensazioni, di visioni. Gli sport sono anche rigore, solidarietà, sforzo, ordine e disciplina, elementi educativi, filosofici, culturali e di saper vivere; 4) Servizio e solidarietà: servire gli altri e non farsi servire, in ogni circostanza, in ogni occasione, in ogni tempo. Collaborare attivamente in tutte le iniziative sociali. Possono essere soci dei club persone maggiorenni che si siano dedicate o si dedichino alle attività sportive siano esse agonistiche o amatoriali, dirigenziali, promozionali o culturali. Al fine della costituzione di un club sono necessari un minimo di dodici soci in rappresentanza di sette discipline. I club indicono riunioni conviviali mensili, durante le quali vengono trattati argomenti in rapporto agli obiettivi statutari (che si descriveranno successivamente). A queste riunioni si affiancano iniziative operative sistematiche per realizzare studi od azioni di propria scelta, conformemente agli indirizzi del Panathlon International. I club sono anche tenuti ad organizzare riunioni pubbliche, aperte alla cittadinanza, sui temi attinenti le finalità del movimento panathletico. Ogni socio ha l’obbligo morale di partecipare alle riunioni e di cooperare attivamente ad ogni iniziativa promossa dal club. 89 Più club (almeno otto) costituiscono un Distretto che generalmente corrisponde al territorio di una nazione. Il Distretto è retto da un Governatore, che ha il compito di stimolare e di coordinare le azioni dei club e di orientarne le azioni secondo gli indirizzi del Consiglio Centrale. I Distretti costituiti nel territorio di unico Stato compongono un Multidistretto; quelli costituiti in territori di più Stati nel medesimo continente possono costituire uno o più Multidistretto. Distretti e Multidistretto I-IX Italia / Repubblica di San Marino: I Veneto, Friuli, Trentino Alto Adige II Lombardia III Piemonte, Valle d’Aosta IV Liguria, Sardegna V Emilia Romagna, Marche, San Marino VI Toscana, Umbria VII Lazio, Molise, Abruzzo, Campania VIII Puglia, Basilicata, Calabria IX Sicilia X Svizzera, Liechtenstein XI Perù, Cile, Uruguay, Paraguay XII Brasile XIII Messico, Guatemala XIV Spagna, Portogallo XV Argentina XVI Austria, Germania XVII Francia, Belgio, Lussemburgo Fuori Distretto: Aree Russa ed Asiatica. 90 Gli obiettivi del Panathlon International, e, quindi, a cascata, dei singoli club appartenenti, sono: favorire quanti operano nella vita sportiva; agire per la diffusione dello sport ispirato all’etica, alla solidarietà ed al fair play; promuovere studi e ricerche sui temi dello sport e dei suoi rapporti con la società; collaborare con la scuola, le università e le altre istituzioni culturali; attuare forme concrete di partecipazione nell’elaborazione di progetti e leggi per lo sport; adoperarsi per garantire a tutti la possibilità di una sana educazione sportiva; instaurare rapporti permanenti con le istituzioni pubbliche ed i responsabili dello sport; appoggiare il Movimento Olimpico nelle azioni concordanti con le proprie finalità; in quanto club di servizio, incentivare e sostenere le attività a favore dei diversamente abili, per la prevenzione della tossicodipendenza e per il recupero delle sue vittime, le iniziative di solidarietà con i veterani sportivi, la promozione e la realizzazione dei programmi di educazione alla non violenza e di dissuasione dal doping. “Di tutte le attività, su tutti i continenti e che interessano i giovani o i meno giovani, al di là di tutte le segregazioni, quali esse siano, di opinione, di età, di status, di sesso, lo sport è probabilmente l’attività più praticata, quella che unisce maggiormente, quella che smuove più in profondità le passioni umane. La si trova alla confluenza dell’entusiasmo popolare, della gioia di scoprire il proprio corpo, della fratellanza negli spogliatoi ma anche, purtroppo, delle operazioni finanziarie e delle perversioni (droga, violenza, inganno, ecc.). Lo sport brilla sotto la luce dei media, avvenimento tra gli avvenimenti, religione tra le religioni, mito quanto realtà, sacralizzato, ma anche sacrificato. È realmente una delle poste più contese e più ambite di questo tempo. Accanto alle passioni esuberanti, alle lotte titaniche e agli interessi spesso sordidi che lo caratterizzano, c’è posto per l’educazione del ragazzo e la passione dell’educatore, per la solidarietà della squadra, per il ritorno alla vita del disabile, per la spigliatezza ed il sorriso del vincitore, per lo sforzo e la tristezza del vinto, per la fatica salvatrice, le sensazioni cocenti e la bellezza del gesto, per la soddisfazione, infine, di sapersi corpo e spirito e di godere della vita. Così come di attori, lo sport ha bisogno di esteti, di poeti, di appassionati, di difensori. La sua integrità e la sua sopravvivenza ne dipendono. Non di meno quelle 91 dell’uomo libero. Accanto ai suoi legittimi interessi, alla sua gerarchia funzionale, alle sue dispute territoriali, lo sport deve avere la sua oasi di serenità, i suoi momenti di riflessione, di divisione e di aiuto reciproco, di amicizia e di gioia”3. Il Panathlon International ha l’ambizione di raggiungere questa meta. 3 Per il riferimento della citazione, si confronti il sito ufficiale dell’associazione (http://www.panathlon.net) nella parte concernente “La sua ragione di essere”. 92