LA DIFFICILE ELABORAZIONE DEL LUTTO Paolo Astorre, Teresa Crescini, Raffaele Maritati, Cataldo Mastromauro, Luca Persemoli, Olivia Bacciu, Amalia Falzetta, Luigi Pelagalli, Olivera Markovic, Maria Beatrice Rondinelli Associazione Romana Assistenza Domiciliare (A.R.A.D.) “INformazione Psicologia Psicoterapia Psichiatria”, n°36-37, gennaio agosto 1999, pagg. 76-85, Roma Introduzione Il compito di un équipe di cure palliative è quello di curare ed assistere sia i pazienti che i loro familiari, con l’obiettivo di migliorare i sintomi degli ammalati e le condizioni psicosociali di tutto il contesto familiare. Tale attività si protrae quindi anche dopo la morte della persona in cura modificandosi, ovviamente, la qualità e la quantità degli interventi che, da strettamente medici ed infermieristici, si trasformano in rapporto ai numerosi bisogni psicologici, affettivi ed emotivi dei sopravvissuti. Nelle società evolute sono venute meno strutture sociali, quali ad esempio la famiglia patriarcale, in grado di assorbire e contenere, anche mediante la ritualità, la sofferenza individuale legata al lutto. La gestione personale del lutto è difficile e quindi è necessario formare figure professionali in grado di aiutare nella elaborazione del lutto. Per lutto si intende una serie di comportamenti rituali, accompagnati da uno stato psicologico, che caratterizzano il periodo successivo alla morte della persona cara. Il cordoglio si riferisce invece alla reazione emozionale, comportamentale ed al travaglio psicologico dei superstiti. Nel lutto si concretizzano atteggiamenti, che avvicinando natura e cultura, tendono a rendere tollerabile per il nucleo familiare l’evento della morte. Infatti, con il lutto viene espressa simbolicamente la volontà di morire con chi è morto; ma grazie all’aiuto di una serie di interventi esterni (“il consolo” ad esempio) il gruppo esce dalla identificazione con il morto, viene liberato dalla colpa di voler interrompere la “condizione di morte” e ritorna alla vita. L’anticipazione del lutto E’ inevitabile che le necessità del paziente, finché è in vita, abbiano la precedenza su quelle della famiglia. I congiunti del malato, tendono a mantenere uno stretto controllo delle proprie emozioni ed una scarsa considerazione dei propri bisogni. Tale comportamento viene percepito come indispensabile per continuare a prendersi cura del proprio caro e può indurre lo staff di cure palliative a sottostimare le esigenze della famiglia e a rendere difficile il supporto prima della morte del paziente. E’ veramente paradossale che il supporto venga meno proprio nel momento del decesso, quando cioè la famiglia è più cosciente del proprio bisogno di aiuto e più disposta ad accettarlo. Pur accettando questo atteggiamento di negazione, che inizialmente può essere utile per affrontare la difficoltà della malattia e del dolore, è necessario fornire il supporto adeguato ai familiari che scelgono di esprimere il dolore anticipatamente, comunicando loro che dopo le lacrime potranno affrontare meglio il rapporto con la malattia e la comunicazione con il loro caro (Lundin, 1984). Numerosi studi mostrano che i decessi attesi e tempestivi danno origine con meno probabilità a problemi psicologici nei sopravvissuti. Esistono buone ragioni per considerare il complesso fenomeno del lutto come un processo estremamente rischioso per l’equilibrio psicofisico dell’individuo che lo sperimenta e vedere nel supporto fornito dallo staff di cure palliative una opportunità per prevenire i problemi legati a questo mostrando alle persone nuove direzioni di crescita psicologica, sociale e spirituale. Il dolore nella elaborazione del lutto: le reazioni La reazione alla scomparsa di una persona cara è complessa e può essere descritta attraverso molte prospettive. Sono state identificate tre maggiori componenti che giocano influenze reciproche e diverse, nelle varie fasi che seguono la perdita di una persona cara. La necessità di piangere e la ricerca della persona perduta Gli esseri umani condividono con gli animali a struttura sociale complessa la forte tendenza ad esprimere un sentimento di dolore per la scomparsa di una persona cara. Questo sentimento è spesso accompagnato nell’uomo dall’impulso a piangere e a ricercare senza sosta la persona scomparsa e in questi frangenti si possono avere crisi di grande dolore scatenate da eventi, situazioni o oggetti, che ricordano il proprio familiare. La necessità di evitare il pianto Nella cultura dei paesi industrializzati la sofferenza e la morte sono stati relegate negli ospedali e affrontate con atteggiamento tecnologico. Spesso per convenzione sociale viene posto un limite alla piena espressione delle emozioni e nei funerali si possono osservare varie forme di autocontrollo delle emozioni da parte dei protagonisti. L’individuo infatti può rispondere a questa tempesta emozionale con una diversità di comportamenti che vanno dal piangere apertamente alla inibizione delle emozioni esterne. Studi a questo riguardo suggeriscono che coloro che reprimono maggiormente il dolore e le emozioni sono a un maggiore rischio per disturbi successivi. La necessità di riesaminare e modificare i modelli interni La morte di una persona cara rimette in discussione un grande numero di assunti riguardo la visione del mondo, la modalità di pensiero e di comportamento che facevano riferimento alla persona scomparsa. Vecchie regole devono essere abbandonate e ne devono essere adottate delle nuove; i programmi devono cambiare; lo status sociale, il potere ed il controllo sono spesso persi o modificati. La transizione psicosociale che ne consegue, è ovviamente scarsamente accettata e spesso rifiutata. Può accadere che la persona scomparsa sia percepita come vicina, minimi rumori possono essere erroneamente interpretati come presenza del defunto e, nelle fasi dell’addormentamento si possono avere allucinazioni ipnagogiche. Transitorie allucinazioni di questo tipo si verificano, ad esempio, nel 50% delle vedove. Tutto questo mette in crisi il proprio senso di sicurezza; ogni pensiero, infatti, deve essere controllato e viene devoluto molto tempo nel tentativo di rendere adeguati alla nuova situazione modelli di pensiero divenuti sorpassati. Il dolore nella elaborazione del lutto: le fasi Varie componenti sono identificabili, in dinamica combinazione fra loro, nei diversi momenti dell’elaborazione del lutto. Prostrazione e perdita di lucidità Molte persone, soprattutto se impreparate all’evento, possono evidenziare, nelle immediate vicinanze della scomparsa della persona cara, una difficoltà a realizzare la piena realtà dell’accaduto e reagire con un atteggiamento di non adattamento. Le crisi dolorose Lo struggente desiderio della persona amata può portare ad episodi di pianto intervallati da periodi di ansia e tensione. Nella tempesta emozionale di questi momenti rabbia e confusione si associano ad un senso di perdita di sicurezza e di autostima. I correlati fisiologici dell’ansia sono spesso interpretati come sintomi di una malattia incipiente e l’ansia può aumentare fino a scatenare attacchi di panico e/o crisi di iperventilazione. Disorganizzazione e disperazione Con il passare del tempo l’intensità e la frequenza degli attacchi di dolore diminuisce mentre si rende più evidente apatia e disperazione. Tutti gli appetiti diminuiscono e la persona vive rivolta al presente, senza una precisa elaborazione del futuro e con una sensazione di distacco dal contesto sociale. Riorganizzazione e recupero Il primo segno di recupero è costituito dal ritorno dell’appetito per il cibo e, dopo circa un anno dall’evento luttuoso, la perdita di peso corporeo registrata nei primi due mesi di lutto viene generalmente recuperata. Lo stato d’animo migliora, iniziano attività rivolte al futuro; inizia a prevalere una nuova visione del mondo che si affianca alla precedente. Dopo anni dall’evento doloroso è però sempre possibile l’improvvisa riacutizzazione del dolore e lo struggimento per la persona amata può ritornare intenso come nelle prime settimane; ma col passare del tempo, tuttavia, tale sensazione viene sostituita dal piacere del ricordo per gli eventi del passato. Fattori culturali e demografici La scomparsa del coniuge e dei figli sono considerati i lutti più gravi. La perdita del coniuge provoca una più prolungata disorganizzazione del modello personale di visione del mondo mentre la perdita del figlio evoca la più intensa e duratura sofferenza e rabbia. Tale reazione e la richiesta di supporto é più pronunciata nelle madri e nelle vedove rispetto alle controparti maschili. In contrappunto a questo dato uno studio evidenzia una maggiore capacità di recupero psicologico (misurato attraverso la valutazione del livello di ansia e di depressione) e una minore mortalità cardiovascolare delle donne rispetto agli uomini (Parkes,1986; Osterweis,1984) che possono forse correlarsi alla maggiore pressione sociale, in senso inibitorio, esercitata sul sesso maschile per quanto riguarda la manifestazione del dolore. L’età è un altro importante fattore che influenza il decorso e l’espressione del dolore. Nei bambini molto piccoli la differenza tra separazione temporanea e permanente è poco chiara, tuttavia l’inevitabile stress provocato dalla perdita della persona di riferimento tende a regredire se compaiono adeguate figure sostitutive. Nel bambino più grande le modalità di espressione e sperimentazione del dolore sono simili a quelle dell’adulto anche se le difficoltà comunicative sono maggiori. Gli adulti spesso tentano di proteggere i bambini dall’impatto della perdita nascondendo l’evento con storie magiche o impedendo al bambino di entrare nell’argomento. Nell’anziano l’evento perdita è meno spesso inaspettato e questo può spiegare il minor impatto psicologico che è osservato così spesso da essere considerato da alcuni come una normale espressione dell’invecchiamento. Tuttavia nell’anziano la fragilità fisica e i problemi di mobilità possono aggravare tutti gli aspetti negativi del lutto. Rischi per la salute fisica e mentale Dopo la morte del coniuge circa un terzo dei superstiti evidenzia un declino fisico o mentale tale da richiedere un intervento medico (Raphael, 1984). Si riscontrano in percentuale maggiore disturbi d’ansia, alterazioni del sonno, dell’appetito e della concentrazione che, nel primo mese dalla perdita, possono ancora essere considerati normali. Nel primo mese di lutto sono state documentate modificazioni endocrine (Hofer, 1977) ed una riduzione della funzionalità dei linfociti B (Scheiffer, 1983), ma le implicazioni pratiche di questi dati non sono chiare. Più rilevante l’evidenza di un incremento della mortalità cardiovascolare tra gli uomini vedovi dopo i 55 anni (Osterweis, 1984). L’evento luttuoso può scatenare qualsiasi patologia psichiatrica; una depressione clinica è stata documentata nel 47% dei vedovi durante il primo anno, mentre alcuni sintomi ipocondriaci tendono a somigliare ai sintomi della malattia di chi è morto. Alcuni sostengono un lieve incremento del rischio di suicidi tra gli uomini rimasti soli. Un gruppo interessante e caratteristico è quello rappresentato dai soggetti che sviluppano una reazione patologica al lutto e nei quali il normale decorso del lutto è distorto. Previsione del rischio di sequele psicologiche La valutazione del rischio nei componenti della famiglia che possono essere più influenzati dalla morte del paziente dovrebbe essere eseguita routinariamente come parte della valutazione del nucleo familiare. Tale compito di solito viene svolto dallo psicologo durante il colloquio con i familiari del paziente prima della presa in carico con l’assistenza domiciliare. In questa occasione un genogramma può essere molto utile. Il genogramma è un codice convenzionale utilizzato per visualizzare i vari componenti della famiglia e i relativi rapporti parentali, impiegando simboli semplici (un cerchio per le donne e un quadratino per gli uomini), uniti da linee e con l’aggiunta di ulteriori utili informazioni. Numerosi fattori sono emersi come predittivi di una cattiva elaborazione del lutto. Un evento improvviso e inaspettato per alcuni autori risulta essere un fattore di rischio elevato (Lundin, 1984), anche se altri autori non concordano con questa ipotesi (Helsing, 1981). Anche l’età della persona che muore rappresenta un fattore molto importante; la scomparsa di un anziano non é mai completamente inaspettata mentre quella di un giovane ha quasi l’aspetto di un oltraggio, ed é percepita ancor più dolorosamente quando avviene in modo inaspettato. La vulnerabilità all’evento luttuoso é maggiore nelle persone con scarsa fiducia in se stessi e/o negli altri, in quelle con precedenti psichiatrici nella storia personale (tentativi di suicidio). Il tipo di relazione con il morente (di grande attaccamento oppure di ambivalenza) influenza chiaramente il risultato dell’elaborazione del lutto, come anche l’atteggiamento di accoglienza o di censura dell’ambiente famigliare nei confronti della manifestazione della sofferenza. In alcuni centri vengono utilizzati questionari per quantificare il rischio e quindi indirizzare determinati familiari al counselling, ma solo un accurato colloquio, al momento dell’ingresso nell’unità di cure palliative, può svelare determinati fattori di rischio. L’elaborazione anomala del lutto E’ difficile correlare un determinato fattore di rischio con un tipo particolare di anomala elaborazione del lutto. Si possono distinguere fattori di rischio non specifici (ansia, depressione, abuso di alcool) che comunque complicheranno il decorso elaborativo e si calcola che circa la metà dei pazienti che ricorrono ad uno psichiatra dopo la scomparsa di un familiare rientrano in questo gruppo. Il restante 50% realmente manifesta un determinato tipo di lutto patologico. E’ comunque basso il numero di persone che richiedono un supporto psicologico rispetto a quante realmente ne avrebbero il bisogno. Sono stati identificati tre principali tipi di lutto patologico, complessivamente legati ad una mancata elaborazione (riparazione) del proprio mondo interno: la perdita traumatica, il lutto conflittuale e il lutto cronico (Parkes, 1983). Queste tre categorie di lutto patologico non si escludono vicendevolmente, ma anzi, spesso coesistono ed interagiscono reciprocamente. Perdita traumatica Eventi luttuosi improvvisi, inaspettati, associati alla scomparsa di più persone, che hanno messo in pericolo di vita il sopravvissuto o che ne hanno determinato gravi mutilazioni, danno origine ad un meccanismo che tenta di evitare o di reprimere il dolore della scomparsa per molto tempo, ma non impedisce alti livelli di ansia e tensione emotiva. Gli eventi passati sono ricordati con grande chiarezza, al punto che suoni oppure oggetti che ricordano l’evento possono scatenare sintomi di ansia o attacchi di panico. La prima fase di reazione al lutto è caratterizzata da intensa prostrazione e può persistere per un periodo più lungo del normale; il processo di elaborazione del lutto é ritardato e spesso il sopravvissuto può mantenere una relazione immaginaria con la persona scomparsa e mostrare difficoltà di relazione con il contesto sociale. Lutto conflittuale Si verifica per la perdita di una persona con la quale il sopravvissuto aveva un rapporto ambivalente. La prima reazione emozionale è quasi di sollievo e non si verifica l’ansia e la prostrazione del lutto traumatico. Successivamente la persona si ritrova perseguitata dalla memoria della persona scomparsa. Rabbia e senso di colpa si aggiungono alla sensazione di non avere diritto alla felicità, poiché questa deriva dalla perdita del proprio congiunto e questo favorisce lo sviluppo di una forte sensazione di mancanza della persona cara. L’ambivalenza solitamente si estende anche ai rapporti con altri membri della famiglia; ad esempio, relazioni difficili con i genitori possono trasferirsi anche nel rapporto con il coniuge o con i fratelli. Lutto cronico Un rapporto di dipendenza può essere interpretato in maniera biunivoca: la persona che muore può essere o l’elemento forte del rapporto, quello cioè dal quale dipendeva l’altro, oppure la parte debole, che dipendeva da colui che é sopravvissuto. In entrambi i casi, con motivazioni diverse, si sviluppa una intensa e prolungata sofferenza nel superstite di questo rapporto comunque complementare e simbiotico. Il gruppo sociale di appartenenza tende comunque a proteggere la persona in lutto e a concedergli il tempo necessario a riorganizzare ed elaborare nuovi ruoli, ma questo meccanismo può portare ad un cordoglio patologicamente prolungato nel tempo e nell’intensità. Il piano di cura Il supporto al familiare che sperimenta una perdita deve iniziare prima che l’evento luttuoso si verifichi poiché la prevenzione dei disturbi psichici è molto più efficace della loro cura. Il supporto offerto alla famiglia rappresenta una preziosa possibilità per rivedere i rapporti con la persona morente e per prepararsi a fronteggiare la realtà del distacco da questa, per quanto doloroso possa essere. Le forme di intervento dell’équipe devono quindi essere pianificate in anticipo, tenendo conto della cultura e della condizione sociale del contesto familiare e di alcuni fattori che, come si è visto, possono influenzare l’evoluzione del cordoglio come, ad esempio, la modalità del decesso, le realtà e i rapporti interpersonali preesistenti, i fattori creati dal decorso della malattia. La regolare discussione, nell’ambito dell’équipe, dei problemi del nucleo familiare è un modo importante per assicurare attenzione verso la famiglia nella sua interezza e crescita nella capacità di affrontare problematiche di tipo psicologico. La collaborazione di varie figure come assistenti sociali, psicologi, psichiatri è molto importante ma non elimina la necessità da parte di tutti i componenti dell’équipe di imparare a sapersi muovere flessibilmente nei vari ambiti (psicologico, spirituale, sociale) che l’interazione con la famiglia ed il malato induce. L’organizazzione dei servizi Le attività di supporto alle famiglie che si trovano ad affrontare il lutto si caratterizzano per numerosi aspetti come la modalità di selezione, il tempo dedicato all’intervento, il tipo di operatore interessato, la sede del servizio, la sua affiliazione, la sede dove avviene l’intervento, la tipologia dell’unità di cura (hospice, unità di cure palliative, équipe di assistenza domiciliare) il tipo di supporto erogato e la durata dell’intervento. Si possono distinguere servizi attivi, che intervengono spontaneamente dopo una valutazione del rischio di lutto patologico e servizi a chiamata, contattati dal familiare, generalmente informato della sua esistenza tramite un opuscolo oppure durante il colloquio con un membro dell’équipe. Le unità di cure palliative a domicilio infatti predispongono visite regolari alla famiglia dopo il decesso del malato. Indipendentemente da chi ed in quale contesto venga effettuata la valutazione del rischio di lutto patologico, essa deve condurre ad una chiara risposta riguardo la necessità o meno di supporto successivo; tutta l’équipe quindi deve avere un adeguato training nella conoscenza dei fattori di rischio e nella loro valutazione. La visita alla famiglia viene svolta tra le tre e le otto settimane dal lutto; prima sarebbe troppo coinvolta, mentre successivamente è possibile che i componenti della famiglia abbiano in qualche modo “smesso di piangere” e in questo caso può essere faticoso ritornare a parlare di ciò che è accaduto. Nell’intervallo invece la famiglia é spesso isolata, chiusa in se stessa ed il dolore è ancora molto vivo. Esistono posizioni diverse nell’identificare le figure che devono erogare il supporto alla famiglia. Alcuni sostengono che, dopo appropriata selezione, istruzione e supervisione, gli stessi membri dell’équipe (medici, infermieri, assistenti sociali) possono fornire un adeguato supporto; altri invece vedono nelle figure dello psicologo e dello psichiatra gli specialisti più adeguati. La localizzazione ideale di un servizio di supporto al lutto é costituita ovviamente dall’ospedale o dall’hospice dove di solito opera anche l’équipe di cure palliative, con il limite però che potrà essere servita soltanto l’area limitrofa alla struttura sanitaria. La maggior parte degli interventi sono erogati al domicilio della famiglia; nei primi periodi del lutto, infatti, può essere molto pesante per i familiari recarsi in ospedale o in hospice, luoghi spesso associati al dolore ed alla morte. A nostro avviso il supporto può essere erogato da varie figure, purché adeguatamente qualificate con un opportuno training, che vanno dal volontario, all’infermiere professionale, al medico all’assistente sociale, sino allo psichiatra ed allo psicologo. La durata dell’intervento deve essere più breve possibile. In alcuni casi una sola visita é sufficiente a rassicurare i familiari della normalità delle emozioni che stanno vivendo; più spesso cinque o sei incontri ad intervalli sempre più dilazionati rappresentano il tempo adeguato per monitorizzare un regolare decorso dell’elaborazione del lutto. Ruoli, formazione e supervisione dei componenti dell’equipe Il supporto al lutto è troppo importante per essere lasciato alla iniziativa individuale. Sono molti i membri dell’équipe che hanno un ruolo ben preciso in questo ambito, per cui è necessario riportare, sulla documentazione riguardante il paziente, i dati relativi a tutte le visite di ordine clinico e di relazione con i membri della famiglia. Questi dati così raccolti rappresentano una preziosa fonte di informazioni sulla località di residenza della famiglia e sulla sua accessibilità, sulla possibilità di rivedere ogni interazione tra équipe e famiglia, rendendo così possibile la riflessione critica sulle problematiche di diverso ordine emerse durante la cura, ma possono essere anche valida fonte di elementi per la ricerca. La famiglia dovrà essere informata dell’esistenza di tale documentazione e rassicurata sulla confidenzialità del suo utilizzo. Sarà comunque diritto dei familiari poter accedere in qualsiasi momento a questo materiale. Esaminiamo ora, per ogni figura professionale, il ruolo che essa può sostenere nel supporto al lutto. Infermieri professionali ˙ supporto alla famiglia, prima del decesso; ˙ valutazione del rischio di lutto patologico; ˙ supporto alla famiglia al momento della morte; ˙ visita dopo la morte da parte di infermieri che hanno seguito il malato in assistenza domiciliare, sia per esprimere la propria vicinanza, ma anche per valutare la necessità di ulteriore supporto. In alcune strutture, infermieri specificamente istruiti e seguiti da un supervisore forniscono l’intero supporto al lutto, se richiesto. Medici ˙ supporto alla famiglia e al paziente durante il periodo di cura; ˙ incontro con la famiglia in occasione della morte o dopo il lutto (ad esempio per la consegna del certificato di morte) per rispondere a qualunque quesito sulla modalità di decesso o per fornire supporto emotivo. Il medico é la figura più adeguata per rassicurare la famiglia che tutto il necessario é stato eseguito; ˙ il medico di famiglia può visitare i familiari due o tre settimane dopo l’evento luttuoso, rassicurarli che il dolore e la tempesta di emozioni che lo seguono non sono segno di un crollo nervoso. Egli stesso può ravvisare gli elementi per consigliare un supporto adeguato per il lutto ˙ gli specialisti in varie branche devono tenere in considerazione il rapporto esistente tra il lutto ed una serie di disturbi ed evitarne l’eccessiva medicalizzazione. Psicologi e Psichiatri ˙ Lavorano in stretta collaborazione con i servizi di supporto al lutto e con le équipe di cure palliative; ˙ rassicurano la maggior parte delle persone che accedono alla loro consulenza comunicando la normalità della reazione al lutto e sono figure chiave per l’individuazione precoce dei fattori di rischio; ˙ hanno un ruolo di primo piano nella formazione e nella selezione delle altre figure che opereranno nell’ambito del supporto al lutto. Assistenti sociali ˙ Hanno la possibilità di interagire profondamente con la famiglia prima e dopo la morte; sono quindi nelle condizioni ideali per valutare il rischio di lutto patologico e di erogare essi stessi, adeguatamente istruiti e supervisionati, il necessario supporto. Assistenti spirituali ˙ Sono le figure che hanno tradizionalmente erogato questo tipo di supporto; ˙ i cappellani degli ospedali hanno l’opportunità di incontrare le famiglie prima e dopo la morte del proprio caro; ˙ i funerali e le occasioni di suffragio permettono ai sacerdoti l’opportunità di vivere con la famiglia momenti di grande significato psicologico e spirituale; ˙ questa grande potenzialità è, ovviamente, meglio fruita dalle persone con un credo religioso. Volontari ˙ se adeguatamente istruiti possono valutare il rischio di lutto patologico ed avviare i membri della famiglia al supporto; ˙ possono essere addestrati a riconoscere, spiegare e rassicurare i familiari circa la normalità di molti dei sintomi fisici e delle emozioni legate alla elaborazione del lutto. ˙ possono riconoscere precocemente la necessità di un intervento medico; ˙ nella loro veste di gratuità facilitano ed incoraggiano l’espressione del dolore, ma quando al momento adatto, sottolineano anche la necessità dell’apertura alla vita ed al futuro. Le figure di supporto al lutto: (reclutamento, e selezione) E’ necessaria una forte motivazione da parte di coloro che propongono se stessi come potenziali figure di supporto al lutto (counsellor). E’ possibile identificare tali figure tra i volontari o tra quei professionisti (medici, infermieri, psicologi) che desiderano acquisire questa nuova competenza. L’intervista è la modalità migliore di selezione. Si indaga sulla presenza nella storia personale di lutti o di altri eventi dolorosi di rilievo e si analizzano le ragioni della scelta di accompagnare le persone nella elaborazione del lutto. E’ importante saper comprendere se chi si ha di fronte potrà condividere emozioni e pensieri, non senza una risonanza interiore, ma evitando di farsi sopraffare dal dolore proprio e da quello dell’altro. E’ necessario che i candidati a tale attività di formazione partecipino sia alla parte teorica, ma anche a quella pratica, costituita da visite di supporto sotto adeguata supervisione. Principi di counseling Ogni situazione di supporto ha la sua specificità e non esistono quindi regole generali valide per tutti i contesti. Il primo e più importante atteggiamento da assumere è quello di prendere tempo, di non avere fretta di avvicinare la famiglia che ha subito il lutto; la prima visita può durare sino a due ore. E’ necessario non parlare tanto e mettere a proprio agio l’interlocutore spiegando in maniera empatica e rilassata il motivo dell’incontro. L’elaborazione del lutto consiste nel rendere reale al proprio interno ciò che è già avvenuto all’esterno. Nel chiedere al sopravvissuto di raccontare la propria storia, si chiede a questa persona, in realtà, di mostrarsi, di spiegarsi a se stessa. Le parole di partecipazione e vicinanza devono essere l’espressione reale dei sentimenti che l’operatore sperimenta al sua interno. La comunicazione non verbale rappresenta in questo contesto un prezioso strumento. Se la tensione o l’ansia si fanno forti il modo migliore per ridurle è di avvicinarsi all’interlocutore e toccarlo o sorridergli anche se questo può essere poco tollerato da alcuni. Non bisogna essere mai troppo frettolosi nel momento dello sfogo doloroso e saper attendere adeguatamente prima di riprendere il colloquio. Spesso è necessario rassicurare sulla normalità del dolore e delle sensazioni che sono connesse alla perdita. Sono inopportuni atteggiamenti di critica e di biasimo, e tantomeno accordi su affermazioni distorte della realtà, ma partecipazione profonda. Il counsellor deve essere in grado di affrontare momenti difficili come l’interruzione della comunicazione per stanchezza, sentimenti troppo intensi, rabbia o sfiducia. Egli deve incoraggiare implicitamente ed esplicitamente le persone che ha di fronte a vivere pienamente il dolore e le reazioni alla scomparsa del proprio caro in modo tale da permettere alla persona che ha subito la perdita di rientrare nella pienezza della propria progettualità e del suo rapporto con il mondo (Shut, 1994). Bibliografia Lundin T., Morbidity following sudden and unexpected bereavement. British Journal of Psychiatry, 144, 1984, pp. 84-81 Parkes C. M., Bereavement: studies of grief in adult life, Routledge, 3rd edition., London, 1986 Osterweis M, Solomon F, Green M., Bereavement: reaction, consequences and care, National Academy Press, Washington DC, 1984 Raphael B., The anatomy of bereavemnet: a handbook for caring professions, Hutchinson London, 1984 Schleiffer S.J., Keller S.E., Camerino N., Thornton J.C., Stein M., Suppression of lymphocyte stimulation following bereavement, Journal of the American Medical Association, 250, 1983; pp. 344-7. Hofer M, Wolff C, Friedman S, Mason PW. A psycho-endocrine study of bereavement, Psychosomatic Medicine, 39, 1977, pp.481-504 Johansen C., Olsen J.H.; Psychological stress, cancer incidence end mortality from non malignant disease, British Journal of Cancer, 75 (1)1997, pp. 1448. Helsing K.J., Szklo M., Mortality after bereavement, American Journal of Epidemiology, 114, 1981, p. 41. Parkes C.M., Weiss R.S., Recovery from bereavement, New York, 1983. Schut H.W., de Keijser J., van den Bout J., Short-term inpatient therapy groups, Proceedings of the Fourth International Conference on Grief and Bereavement in Contemporary Society, Swedish Association for Mental Health, 1994.