Questioni di storia
del pensiero scientifico
Facoltà di Filosofia Corso 50668, a.a. 2015-16
Docente: Flavia Marcacci
NB il materiale qui disponibile è ad uso esclusivamente didattico e non va considerato come un
testo esaustivo del corso, né come materiale da citare.
Sommario
Cap. 2.1 Vitalismo e Meccanicismo tra Sei e Settecento ........................................................................................................................ 3
2.1.0 Premessa. Il dibattito rinascimentale e moderno ....................................................................................................................... 3
2.1.1 Le origini ermetiche della chimica ............................................................................................................................................ 8
2.1.2 Verso il meccanicismo chimico ............................................................................................................................................... 13
2.1.3 Sei e Settecento tra meccanicismo e vitalismo ........................................................................................................................ 16
2.1.4 Il mondo della vita ................................................................................................................................................................... 18
2.1.5 La disputa sulla generazione spontanea ................................................................................................................................... 23
2.1.6 Il Settecento e il microscopio ................................................................................................................................................... 28
2.1.7 La disputa tra due preti cattolici: Needham e Spallanzani tra epigenesi e preesistenza .......................................................... 30
2.1.8 Il Settecento tra l’ilemorfismo ateo e il materialismo biologico.............................................................................................. 34
2.1.9 Teorie della generazione: preformismo e epigenesi ................................................................................................................. 41
Cap. 2.1 Vitalismo e Meccanicismo tra Sei e Settecento
2.1.0 Premessa. Il dibattito rinascimentale e moderno
Il Cinquecento è stato il secolo dei maghi, il Seicento il
secolo dei nuovi scienziati. Soprattutto il Cinquecento è un
secolo complesso e ricco di sfumature, che vede intrecciarsi
sperimentalismo e occultismo nelle pratiche alchemiche e
magiche. La ricezione di testi di origine greca non vantava di
una tradizione filologica capace di indicare i nuclei tematici
autentici. Analogamente i testi di tradizione orientale (come il
Corpus hermeticum, gli oracoli caldaici e l’orfismo) spesso
erano presi come autentici e interpretati in chiave filosofica.
Tutto questo creava contaminazioni interessanti e articolate
tra i saperi. In particolare la magia veniva riletta in un quadro
platonico-ermetico, nel quale il concetto di “natura” è
interpretato come un “tutto-vivente”, che ha in sé un'anima; la
“materia” si considerava impregnata di divino; al
macrocosmo doveva corrispondere strettamente il
microcosmo per una totale umanizzazione del cosmo; i
filosofi andavano alla ricerca della cosiddetta pietra
filosofale, il lapis, dal quale si dovevano ottenere tutte le
trasmutazioni della materia. In questo contesto gli oggetti non
sono mai se stessi, ma sono sempre segno di altro e i principi
costitutivi del mondo materiale si identificano sempre con
elementi spirituali.
Vita e trasmutazioni, spiriti, vapori, esalazioni, morti e trasmutazioni,
uccisioni e divorazioni, semi e generazioni: il linguaggio
dell'alchimia non è mai fatto di metafore. Come ha visto bene C.
Gustav Jung, quelle metafore rinviano a un mondo verticale di soffi e
di influenze, tentano di saldare insieme la vita degli elementi e quella
dell'inconscio. La “traduzione” dei testi dell'alchimia nel linguaggio
della chimica moderna è un'impresa disperata1.
Quanti si dedicano ad astrologia ed alchimia sono coinvolti in
un’attività caratterizzata da rituali iniziatici, poiché la
conoscenza, che produce salvezza, ha carattere segreto. Il
mago è superiore e diverso dagli altri e le tecniche magiche
servono per operare sul mondo e rigenerarsi religiosamente.
L’atteggiamento che anima questa ricerca è tipicamente
rinascimentale, con i desideri di riforma tipici dell’epoca.
1 P. Rossi, Il fascino della magia e l'immagine della scienza, in Rossi (2006), 31-57, 34.
Particolarmente interessante è il ricorso all’esperienza e la
richiesta della sua ripetibilità. Agrippa di Nettesheim,
Giambattista della Porta, Paracelso (Philippus Aureolus
Theophrastus Bombastus von Hohenheim) includono e
rielaborano all’interno delle loro ricerche elementi di chimica,
idraulica, ottica, iatrochimica. È di Paracelso la definizione di
filosofia chimica, pensata come una medicina che comprende
filosofia, astrologia, alchimia, etica. In particolare la chimica
dà l’accesso alla struttura del mondo.
Proprio in questi tempi, però, Francesco Bacone accusa la
magia di essere un sapere fantastico e superstizioso. La
scienza è tutt’altro che una incomunicabile esperienza
mistica. La filosofia deve rendere le cose più comprensibili
spiegandole, eliminando l’alone misterico. Tecnica ed arte
devono migliorare la vita, prolungando il potere della natura.
Per questo è importante dare un’organizzazione e una
istituzionalizzazione alla scienza2.
Bacone sostiene che per accedere alla scienza non bisogna
essere degli illuminati. I suoi metodi devono essere accessibili
e non complicati. Tutti possono fare scienza: le nozioni di
base sono semplici (l’uguaglianza delle intelligenze).
Un quadro-sintesi dei concetti di “natura” cinquecenteschi
comprende:
1.
l'Aristotelismo (Pomponazzi, Zabarella)
2 P. Rossi, Le istituzioni e le immagini della scienza, in Rossi (2006), 3-30.
2. Naturalismo animistico (Telesio) - accomunati
dall'idea che la fisica viene prima della matematica,
3. la magia, le arti e i saperi tecnici (Leonardo, Vesalio).
2.1.1 Le origini ermetiche della chimica
È molto difficile individuare gli oggetti della chimica
moderna, poiché faticoso e lento è stato il processo di
individuazione dei problemi chimici, praticamente concluso
solo a fine Settecento. Anche i rapporti della chimica con
l’alchimia non sono così lineari. Sicuramente vi è un debito
alla filosofia chimica di Paracelso (nella visione “chimica”
unitaria del cosmo e idea di indagine chimica), soprattutto per
l’uso che fecero i medici della sua iatrochimica secondo la
quale l’organismo umano è un insieme di processi chimici
che la medicina deve conoscere e manipolare. Le sue idee
vennero diffuse da Gerard Dorne, Petrus Severinus e Oswald
Croll.
I tre approfondiscono i concetti di natura, forma e materia ma
in particolare Dorn usa i principi di Paracelso per negare la
dottrina aristotelica della generazione e della corruzione. Le
generazioni (produzioni) artificiali sono distinte da quelle
naturali, sebbene le forme sostanziali costituiscono un aspetto
essenziale della sua teoria: un tipo di corruzione è la
trasmutazione, durante la quale la “specie” di una sostanza si
conserva, e una trasformazione, durante la quale la specie non
si conserva poiché vi è dipendenza diretta dalla forma. Di
fatto la chimica doveva aiutare a comprendere la natura
caratteristica della sostanza, ma in Dorn restano oscuri molti
passaggi su come ciò potesse accadere.
La rilettura data da Severinus era volta invece a criticare
l’approccio logico alla medicina di Galeno. La materia è
guardata entro una dimensione vitalistica:
un principio aereo e vitale e di astra (forze degli elementi) che, uniti
agli elementi, formano i semina che si ritrovano in tutte le parti di
una sostanza. I semina astrali erano i responsabili della vita e
l’oggetto principale dell'attenzione del naturalista.3
Croll ribadisce la divisione paracelsiana degli elementi (sale,
zolfo, mercurio), dimostrabili attraverso l’esperienza ma
avente sia materia sia spirito. Croll si interessò però anche a
3 F. Abbri, Le origini della chimica moderna, in Rossi (2006), 343-373, 346.
come individuare i prodotti reali di una reazione e tentò di
produrre medicine mediante la lavorazione di metalli con
acidi. Sapeva distinguere 4 sali (salnitro, vitriolo, sale comune
e “tartaro”) e quattro acidi (solforico, nitrico, idrocloridrico e
acqua regia).
Di fondo su queste idee si consumò l’opposizione con la
visione medica tradizionale, e lo sperimentalismo dei chimici
si oppose al dogmatismo dei galenici. Ci furono anche
tentativi di mediazione, per allontanarsi dal paracelsismo (in
particolare Quercetanus a Parigi).
Ma occorre aspettare l’inizio del Seicento per una sintesi più
articolata, con Robert Fludd (Robertus de Fluctibus , 15741637). Questi aveva una visione mosaica (cf. il postumo
Philosophia mosaica, 1638), tutto trae origine dal caos dal
quale la luce divina ordina le cose in un tutto armonico. La
natura è regolata da Dio e connessa all’uomo. Fludd produsse
così un aristotelismo cristiano opposto all’aristotelismo
anticristiano. Molto presente il misticismo numerico dei
Pitagorici.
Il medico belga Jean Baptiste Von Helment segue le stesse
linee di Fludd, vedendo nell’idea di natura matematizzata un
forte limite per l'azione di Dio. Questo non significava che
non fosse utile, ma soltanto che non fosse da considerarsi la
vera essenza. Rifiuta l’astrologia e in linea con la Genesi
riduce la materia a due elementi: acqua e aria (terra=acqua
trasmutata, fuoco=strumento per analizzare le sostanze). Von
Helmont introduce anche il termine “gas”, ma su sfondo
animistico in quanto portatore spirituale del piano vitale che
dio ha in serbo per ogni oggetto. Quando un corpo libera gas
significa che sta per avvenire una trasmutazione4.
2.1.2 Verso il meccanicismo chimico
Nell’alveo di queste ricerche maturarono esperimenti sugli
elementi e teorie chimico-mediche che permisero
l’individuazione di acidi5, alcali6, sali; tali studi furono
applicati anche allo studio di processi vitali come la
digestione.
Ma il Seicento fu segnato sempre più e progressivamente
dalla diffusione del meccanicismo. L’idea di una materia
4
Queste linee, avvicinate alle misteriose vicende della letteratura rosacrociana di carattere filoprotestante e anticattolico, si dispersero
sempre più in una più massiccia pratica della chimica e della iatrochimica a fini farmacologici.
5
Sostanze che rilasciano in acqua ioni H+.
6
Sono le basi, sostanze cioè generalmente corrosive.
corpuscolare formata da minima fu ripresa anche in quadri
aristotelici. Il nome associato alla nascita della chimica
“meccanicamente” intesa è quello di Robert Boyle (16271691), filosofo naturale autore del noto The Sceptical Chymist
(1661). La storiografia ha messo in discussione questa
attribuzione7, sebbene sia vero che Boyle ritenesse la chimica
capace di rendere ragione dell’idea meccanica di natura
grazie all’ipotesi corpuscolare e allo studio del movimento
delle particelle materiali. Come fisico e teorico elaborò
esperimenti e nuovi metodi di analisi per lo studio delle
reazioni chimiche. Soprattutto questi esperimenti e questo
metodo volevano contestare l’impostazione aristotelica e
paracelsiana. Tutto è ricondotto al corpuscolarismo dinamico
7 Soprattutto perché l’idea di “elemento” non sembra così innovativa in Boyle. Cf. Abbri cit.
(The Origins of Forms and Qualities According to the
Corpuscolar Philosophy, 1666).
Questa visione viene applicata da Boyle a tutta la natura, fino
a spiegare le proprietà terapeutiche delle pietre, non dovute a
magiche proprietà ma alla trasmissione di fasci di particolari
particelle.
Altro genere di visione atomistico-meccanica della natura è
quella del francese Nicolas Lémery (1645-1715), sicuramente
meno pretenzioso. Le particelle avevano senz’altro forme (a
punta, rotonde,...), che però non potevano essere osservate
bensì dedotte in base alle manifestazioni macroscopiche delle
sostanze.
2.1.3 Sei e Settecento tra meccanicismo e vitalismo
La chimica meccanicistica si imbatteva in gravi difficoltà
quando doveva dimostrare il legame tra principi e reazioni
sensibili e impercettibili particelle corpuscolari. Permaneva
tra i chimici una profonda indecisione tra l’idea di una natura
guidata da principi e quella di una natura ridotta ad elementi.
Il medico e botanico olandese Herman Boerhaave (16681738) scrisse nel 1732 gli Elementa chemiae, dove sosteneva
una visione del vivente riducibile al meccanico. Questo testo
ebbe una grande influenza nella nascita della chimica come
scienza fisico-quantitativa.
Riprendendo molte idee di Boyle, Boerhaave non crede che
l’approccio chimico sia in grado di scomporre la materia fino
ad ottenere gli ultimi elementi. Elementari sono solo i
corpuscoli. Come tutti i suoi colleghi, si concentra molto sullo
studio della combustione e del fuoco, da lui concepito come
un fluido imponderabile capace di penetrare e dilatare tutti i
corpi. Il contrasto tra il fuoco e la materia spiega tutti i
passaggi di stato.
In netta opposizione troviamo i lavori di Georg Ernst Stahl
(1659-1734) che distingueva nettamente anima/corpo e
vivente/non vivente. Il movimento era solo l’effetto della
presenza dell'anima, che lo usava come strumento delle
attività vitali. Il corpo è il ricettacolo delle attività dell’anima
e la chimica poteva servire soprattutto in sede metallurgica,
mineralogica e simili. Niente a che fare con la farmacologia e
tanto meno con l’alchimia. Stahl non abbandonò l’idea di una
materia corpuscolare ma propose di tornare all’idea che gli
elementi fossero portatori di qualità. Senza tali proprietà
qualitative, infatti, la chimica del suo tempo non riusciva ad
arrivare a spiegazioni esaustive.
Riprendendo alcune idee del medico tedesco J.J. Becher,
Sthal elabora una completa teoria della combustione basata
sull’idea del flogisto8.
2.1.4 Il mondo della vita
Dovremmo aver capito che la nascita della scienza moderna
non si ha come un generale e netto rifiuto ad Aristotele.
Tutt’altro. Il passaggio ad una nuova immagine di natura fu
lento e complesso e molto spesso si continuò ad utilizzare il
pensiero aristotelico, sebbene riletto e rielaborato. In ambito
8 Cf. S. Poggi, L’anima e l’anatomia, in Rossi (2006), vol. 2,177-198
medico, sebbene con molte rielaborazioni, continuava a
dominare l’impostazione finalistica galenica.
Certamente grande impatto avevano avuto i lavori di Andrea
Vesalio (1514-1564), che mediante ripetute e metodiche
autopsie e redazione di schede anatomiche esemplari (De
humani corporis fabrica libri septem – citato spesso come
Fabrica, 1543) aveva aperto la strada ad una nuova
considerazione del lavoro sul corpo umano.
Fu però soprattutto William Harvey (1578-1657) a segnare il
passaggio decisivo alla moderna fisiologia, con
l’individuazione dell’intero sistema circolatorio (De motu
cordis, 1628). L’idea del circolo era mutuata da un’intuizione
fortemente filosofica. Ma a questa intuizione unì due prove
sperimentali: 1) il calcolo della quantità di sangue che il cuore
spinge nell’aorta per unità di tempo, per cui il sangue deve
aver per forza origine da se stesso, passando continuamente
dal sistema venoso al sistema arterioso; 2) le legature
vascolari operate negli animali dimostrano che se lego arterie
sopraggiunge la morte per congestione del sangue nel cuore;
se si legano le vene il cuore si svuota e ugualmente
sopraggiunge la morte.
Il transito dalle vene alle arterie avviene nel polmone,
dimostrato da Harvey sperimentalmente. Ma per il passaggio
dalle arterie alle vene, Harvey adoperò una scoperta del suo
maestro Girolamo Fabrici d’Acquapendente, ovvero le
valvole venose unidirezionali. Harvey le collegò all'idea di un
andamento centripeto del flusso sanguigno.
Non meno importanti i risultati di Harvey per la generazione
animale: si stava ancora di fatto bloccati dentro l’alternativa
aristotelica (dallo sperma l’elemento attivo e dal sangue
mestruale l’elemeno passivo) e galenica (fusione del seme
maschile e di quello femminile, riprodotti dai “rispettivi”
testicoli – le ovaie come testicoli femminili). Harvey
dissezionando animali femmine dopo il coito notò che lo
sperma non entrava nell’utero e additò ad una sorta di azione
a distanza ad uno spirito volatile emesso dallo sperma9.
Di fianco a questo non bisogna dimenticare la presenza del
meccanicismo biologico di Descartes e l’idea dell'hommemachine. Il meccanismo puro divideva nettamente organico e
9
Bernardi, Il problema della generazione, in Rossi (2006), vol. 2, 145-176.
inorganico. Ma per questo rimandiamo agli studi citati in
bibliografia10.
Tale determinismo stava stretto a quanti facevano ricerca
biologica e la tendenza illuministica sarà di fatto antimeccanicistica. A Montpellier nella facoltà universitaria di
medicina si concentrarono molti sforzi per studiare gli
organismi viventi senza ricorrere a “motori” spirituali.
Esperimenti come quelli di von Haller (Elementa
physiologiae corporis humani, 1757-1766) che avevano
individuato nelle fibre muscolari una capacità reattiva
autonoma denominata poi irritabilità, lasciavano infatti ben
sperare. Vincente (e resa celebre da Diderot) fu la ricerca di
10 Bernardi, Fisiologia e mondo della vita, in Rossi (2006), 375-400.
Bordeu sulle ghiandole e i tessuti mucosi, che mostrarono di
avere una attività indipendente dal cervello sebbene
l’organismo continui a funzionare secondo una unità
organica.
L’uomo-macchina della tradizione meccanicistica, che funzionava come
un orologio mosso da un centro spirituale trascendente o più
semplicemente dal cervello, si era ormai trasformato in un’individualità
complessa. Il tema delle interazioni tra il “fisico” e il “morale” avrebbe
rappresentato, da quel momento in poi, la frontiera avanzata delle scienze
della vita.11
2.1.5 La disputa sulla generazione spontanea
Nel De contagione et contagiosis morbis et curatione (1546)
11
Bernardi, Scienze della vita e materialismo nel Settecento, in Rossi (2006), vol. 2, 135
Girolamo Fracastoro affermava che le malattie infettive
avvenivano per contagio, e non per degenerazione degli
umori. Un contagio “vivente” fatto da “seminaria”, “virus”
invisibili agli occhi. Quando nel Seicento si provò con il
microscopio l’esistenza di microorganismi vitali Fracastoro
ottenne le sue ragioni. Era nata l’epidemiologia. Fu il gesuita
Athanasius Kircher a insistere sul lato sperimentale di questa
nuova disciplina, concentrandosi sullo studio degli agenti
patogeni e virali della peste.
Ma fu Francesco Redi (1626-1698) il vero fondatore della
parassitologia sperimentale. Questi scoprì la connessione tra
gli acari e la scabbia, e riuscì a negare la generazione
spontanea degli insetti. Quest’argomento era di origine greca:
mediante il metodo sperimentale Redi diede un bel colpo alla
teoria. Inoltre diede un contributo importante alle teorie oviste
(= nascita attraverso le uova, ex ovo omnia), dimostrando che
gli insetti nascono da uova, e che la materia organica
putrefatta costituisce solo l’ambiente migliore per essi.
→ Lettura dei testi
(cf. http://www.liberliber.it/mediateca/libri/r/redi/esperienze_intorno_alla_generazione_etc/pdf/esperi_p.pdf
pp. 9-12)
L’introduzione del microscopio nella pratica delle scienze
della vita comportò l’osservazione di una moltitudine di
nuovi microorganismi, aprendo uno scenario nuovo ed
impensato. A. van Leeuwenhoeck (1632-1723) aveva
rivelato al microscopio l’esistenza di spermatozoi (gli
“animalculi”, dotati di un ciclo fisiologico di nascita,
sviluppo, morte e collegati subito con la funzione
riproduttiva) e infusori scoprendo nell’intimità della natura un
mondo variegato e popolato. Alcune opere aveva segnato la
coscienza collettiva dei naturalisti: la Historia insectorum
generalis (1669) di Swammerdam e il postumo Biblia
naturae (1737) o l’anatomia microscopica del De bombice
(1669) di Marcello Malpighi che descriveva il sistema
respiratorio del baco da seta.
In effetti il mondo degli insetti sembrava promettere molto
per comprendere anche le strutture organiche superiori. Per di
più, gli insetti erano considerati le forme di vita più prossime
alla materia inorganica, al punto da pensare che si
producessero per generazione spontanea.
Testi di notevole celebrità come i sei volumi delle Mémoires
pour servir à l’histoire des insects (1734-1742) di E.-A.
Ferchault de Réaumur contribuirono anche al successo della
teologia naturale: alcuni risultati sperimentali furono letti in
difesa del finalismo in natura e quindi (erroneamente12) del
creazionismo. È interessante notare che tra Sei e Settecento
fiorì tutta una letteratura di taglio teologico volta a dimostrare
l’esistenza di Dio partendo da basi naturalistiche e a
posteriori (es. The wisdom of God manifested in the works of the
Creation 1691 di John Ray, Physico-Theology e Astro-Theology di
“Erroneamente” perché, come abbiamo detto più volte, per ammettere il finalismo nella natura è
sufficiente un principio ordinatore coeterno alla materia prima: il finalismo non è condizione
sufficiente per ammettere una divinità personale creatrice.
12
William Derham, Existence de Dieu démontrée par les merveilles
de la nature 1717 di Bernard Nieuwentijdt, Spectacle de la nature
in 6 volumi 1732-1750 dell’abate Pluche). Tutto veniva usato per
dimostrare la benevolenza di Dio, lontano da tendenze
ateistiche. Il meccanicismo si sposava con il creazionismo in
una mescolanza a volte interessante, a volte ossessiva.
2.1.6 Il Settecento e il microscopio
Tutt’altro che semplice apparivano i meccanismi della natura,
ben lontani dal riduzionismo meccanicista che i filosofi della
natura del Seicento – Descartes in primis – avevano preteso
sostenere.
L’ordine dell’universo non pareva consistere tanto nell’assolutezza di
un corpo di leggi inviolabili, quanto nella capacità di dare a ogni
problema soluzioni specifiche, valide solo in determinati ambiti e
non generalizzabili per analogia a tutto il resto del mondo vivente.13
Intorno al 1740 due allievi di Réamur fecero due grandi
scoperte: la partenogenesi degli afidi delle pianti (=
riproduzione asessuata dei pidocchi delle piante, detti anche
gorgoglioni) da parte di Bonnet, la riproduzione per
gemmazione del polipo di acqua dolce (una sorta di pianteanimali che, se divise orizzontalmente o verticalmente in
qualsivoglia parti, si rigeneravano in un perfetto organismo) e
la produzione di “nuovi” stranissimi polipi da parte di
13 W. Bernardi, Scienze della vita e materialismo nel Settecento, in Rossi (2006), vol. 2, pp. 121-144, 122
Trembley. Poco dopo Needham compì delle osservazioni
sulle anguille del grano (che rese inattive per essicazione
durante anni, potevano riacquistare vitalità mediante
umidificazione) riproponendo la questione della generazione
spontanea.
2.1.7 La disputa tra due preti cattolici: Needham e
Spallanzani tra epigenesi e preesistenza
Dopo le esperienze di Redi si pensava che gli infusori fossero
generati da uova o germi trasportati in aria o deposti da insetti
in acqua. Needham non concordava con questa opinione,
pensando piuttosto ad una soluzione epigenetica per cui gli
infusori si pensavano prodotti dalla materia organica in
decomposizione. Needham riteneva che nella materia fosse
presente una “forza vegetativa” capace di assemblare le
molecole organiche fuoriuscite dalle sostanze animali e
vegetali: tali molecole, macerate nell’acqua, potevano
riaggregarsi in forme vitali inferiori, ma determinabili con
leggi costanti e sempre identiche. In questo modo Needham
riteneva di aver trovato l’anello di congiunzione tra la materia
morta e la materia viva: tanto più quando osservò che dal
grano macerato emergevano filamenti capaci di muoversi, e
soprattutto nell’esperimento del “sugo di vitello arrostito”14.
Le idee metafisiche sottostanti erano la continuità della
natura, la monadologia leibniziana (che permetteva di fare
14
Bernardi, cit., 128
delle particelle organiche i centri vitali della natura, appunto
le monadi), la propensione era quella tipicamente illuminista
del vitalismo. Contro – ovviamente – le idee preformiste e
creazioniste di naturalisti come Bonnet, il quale si trovò
costretto a mettere in dubbio l’esecuzione dell’esperimento
per contestare i risultati di Needham.
Lazzaro Spallanzani iniziò a controllare personalmente i
risultati di Needham, e pubblicò nel 1765 il Saggio di
osservazioni microscopiche concernenti il sistema della
generazione de’ Signori di Needham, e Buffon: i risultati
smentivano Needham e l’approccio epigenetico. Spallanzani
era un abile sperimentatore e approntò esperimenti liberi da
errori tecnici, contro quelli di Needham che invece avevano
difetti come sigillature troppo instabili. Secondo Spallanzani
non era affatto certo che non ci potessero essere uova
all’origine della generazione delle forme vitali osservate da
Needham. Needham rispondeva dicendo che l’eccessiva
bollitura operata da Spallanzani distruggeva la forza
vegetativa delle sostanze organiche infuse. Per questo
Spallanzani
ripeté
gli
esperimenti
ricontrollando
sistematicamente e con scale quantitative le misurazioni di
temperatura pressione e durata. Il dibattito durò anni e si
concluse con il saggio di Spallanzani del 1776 Opuscoli di
fisica animale e vegetabile: avendo carbonizzato dei semi
vegetali e avendoli messi in infusione, Spallanzani notò il
ripresentarsi di forme vitali che invece nell’ipotesi di
Needham non si sarebbero dovuti produrre.
Di fatto si era dimostrato che gli infusori si riproducevano in
molti modi ma sempre da individui simili a loro. Ma la
disputa sulla generazione spontanea non era affatto conclusa.
→ Lettura dei testi
(link a Spallanzani, pp. 5-10)
2.1.8 Il Settecento tra l’ilemorfismo ateo e il materialismo
biologico
Il Seicento era stato il secolo del determinismo, riletto in
chiave creazionista con il dio orologiaio di Newton. Il
Settecento, incapace di usare questa prospettiva per spiegare i
nuovi mondi che l’osservazione microscopica aveva svelato,
rielabora in chiave ilemorfista sia la gravitazione newtoniana,
ricondotta all’interno della materia vivente, che la
monadologia leibniziana con le monadi come centri
propulsori di vita. La realtà era quindi concepita come vitale e
l’organizzazione della vita non richiedeva più l’intervento di
Dio. Studiare la vita era possibile, ma andava elaborata una
epistemologia capace di orientare questo studio.
P.-L. M. de Maupertuis (1698-1759) fu tra i biologi che,
sebbene nutriti di formalismo matematico e conoscenza
fisica, rivendicò l’assoluta indipendenza della biologia dalla
fisica. Matematica e fisica non possono spiegare la vita.
L’idea metafisica di sottofondo è quella della discontinuità tra
mondo organico e inorganico.
Rafforzò questa tendenza fino a esserne un simbolo GeorgeLouis Leclerc de Buffon (1707-1788), autore di una sola e
monumentale opera: Histoire naturelle, générale et
particulière in 36 volumi (9 per gli uccelli, 5 per i minerali, 7
per i supplementi) tra il 1749 e il (postumo) 1789.
Ammiratore del metodo induttivo e oppositore dello
scetticismo à la Gassendi, Buffon pensava che la scienza non
dovesse solo osservare e descrivere ma anche spiegare le
cause e rappresentare le leggi che regolano il mondo, fino a
concepire una storia naturale che si intrecciava con la
cosmologia, la geologia e la cosmogonia fino allo scontro con
la teologia.
Ma il suo ilozoismo fu diverso da quello di Maupertius.
Buffon non attribuiva alle molecole organiche qualità
psichiche di ordine vitalistico, ma semplici “forze penetranti”
(es. il peso) capaci di aggiustarsi negli “stampi interni” alla
materia organica per formare gli esseri viventi. Questi stampi
interni servivano a trasmettere nel tempo le caratteristiche
della specie e dei genitori, mentre le forze penetranti
assegnavano plasticità ed energia alla materia vivente.
Per difendere l’indipendenza della biologia, Buffon fonderà
tutto il suo lavoro sul concetto di molecola organica. Questa è
radicalmente distinta dall’atomo fisico. L’atteggiamento
fondamentalmente speculativo di Buffon era, però, intriso di
errori sperimentali (es. gli spermatozoi non erano di tipo
animale e non possedevano un peculiare “stampo interno”).
Così la vita organica sarebbe emersa da una peculiare
congiuntura di condizioni geologiche, avvenute sulla Terra
primordiale e non più ripetibili: di fatto la vita tornava ad
essere una proprietà fisica della materia.
Denis Diderot (1713-1784) fu la voce illuminista che elabora
una alternativa a creazionismo e meccanicismo. Innanzitutto
Diderot coglie pienamente l’idea che l’unica traccia plausibile
di un ordine divino nella natura era il finalismo. Ma
abbandonò ben presto l’impronta deistica basata su questo
argomento quando si soffermò su argomenti che mettevano in
dubbio l’idea di una natura provvidenzialistica: si trattava
della questione dei mostri, a lungo dibattuta da preformisti e
epigenetisti. Diderot optò per un mondo governato dal caso,
dove resistono solo quelle forme vitali non disadatte e il
divenire procede senza uno scopo.
→ Lettura dei testi
Diderot, De l’interprétation de la nature, 1753
Diderot produrrà su questa linea una biologia di tipo ilozoista
e panteista:
- Le particelle elementari costitutive dei corpi organici e
non organici non si distinguono solo per estensione e
movimento, ma anche per differenti gradi di sensibilità;
- Anche le particelle inorganiche sono dotate di proprietà
psichiche;
- Tutto il mondo è pervaso da una diffusa vitalità;
- Nell’uomo le attività superiori di memoria e coscienza si
raccolgono intorno al cervello e al sistema nervoso;
- C’è una continuità profonda tra mondo dello spirito e la
materia;
- Dopo la morte dagli organismi in decomposizione si
attivano miriadi di “animalunculi”.
L’io è come uno “sciamo d’ape” o come “un ragno al centro
della tela”: in Diderot questo non avrà mai un esito
pessimistico, ma sempre improntato ad un umanesimo laico.
Il caso non è indomito: permane una spontanea tendenza
all’ordine, sebbene tale ordine non sia mai definitivo. Diderot
resta lontano dagli intenti speculativi egemonici di Newton o
Buffon: l’intelletto può approssimarsi alla realtà fin quanto
può e in modo multiforme.
La filosofia della natura torna ancora una volta ad assumersi il
compito di battistrada in un terreno inesplorato per la scienza
sperimentale. Attraverso il “delirio di Saunderson” e il “sogno di
D’Alembert” Diderot sembrava aver trovato una mediazione
stilistica particolarmente efficace per presentare ipotesi e
anticipazioni, avanzare intuizione e suggestioni che non potevano
trovare un controllo immediato nell’esperienza. Il destino della
scienza e quello della filosofia si presentavano, al crepuscolo dell’età
dei lumi, ancora strettamente uniti.15
2.1.9 Teorie della generazione: preformismo e epigenesi
Al tempo di Leeuwenhoeck si configurò un acceso dibattito
tra animalculisti, che sosteneva che negli animalculi
spermatici ci fosse già in miniature l’omuncolo, ovvero
15 Berardi, in Rossi (2006) vol. 2, 143
l’individuo interamente formato, e gli ovisti, sostenitori della
formazione dell’uovo nel grembo femminile e in un numero
maggioritario a livello internazionale.
Fino alla metà del 600 l’embriologia epigenetica (per cui
dalla materia seminale dei due sessi di producevano
successive formazioni organiche), sia di tradizione aristotelica
che galenica e poi ripresa da Harvey, non aveva trovato
opposizioni. Al massimo in alternativa c’era l’epigenetica
cartesiana, che attribuiva alle leggi del movimento la capacità
di dirigere lo sviluppo ontogenetico.
Dall’altra parte il preformismo reputava che un organismo si
accresce soltanto, essendo già interamente tutto dato in forma
di germe: come si originava il germe? Il germe è creato
direttamente da Dio? Se si, “generazione” è un termine che va
a indicare solo lo sviluppo embrionale e non la produzione di
nuova vita nel tempo. Da un punto di vista teologico questa
teoria era molto più fruibile e semplice.
Sembrarono dare ragione ai preformisti le osservazioni di
Marcello Malpighi (De formatione pulli in ovo, 1673) che
reputò di aver osservato nelle uova di gallina già fecondate
ma non incubate l’embrione già completo nei suoi organi
fondamentali: “gli abbozzi del pulcino preesistono
nell’uovo”, scriveva Malpighi. Soltanto che non osservò nulla
nelle uova virginali: da cosa dipendesse non poté dirlo, fatto
sta che sia i preformisti che gli epigenetisti citavano ognuno a
proprio piacimento Malpighi.
Di fatto però epigenetisti e preformisti continuarono la
contesa ancora per molto. Fanno pensare le seguenti
riflessioni di Bernardi (pp. 165-166):
La teoria della preesistenza dei germi aveva risolto il problema della vita spostandolo dal
piano naturale a quello divino, dalla scienza alla metafisica. Secondo questa impostazione
non poteva esserci spiegazione “naturale” della vita, perché in natura non esisteva
produzione ma solo svilupo di vita. La vita non era un fenomeno naturale, ma un
miracolo operato direttamente da Dio all’atto della creazione del mondo. Il problema
della vita si identificava, in sostanza, col problema della natura; non era possibile
risolvere l’uno attraverso l’altro, ma bisognava risalire a chi avesse creato allo stesso
tempo e la natura e la vita. La natura veniva in questo modo esautorata dei suoi poteri
vitali e relegata a una condizione di pura passività. Essa era solo lo scenario nel quale si
svolgeva l’attività creatrice di Dio. Tra Dio e la materia inerte sembrava non esistere più
alcuna mediazione, nessuna forza o agente autonomo.
Si tratta sicuramente di passaggi importanti, per la scienza ma
anche per la teologia. Liberata dall’esigenza (a volte pretesa)
di spiegare il mondo fisico la teologia potrà essere più libera
di rivolgersi alla metafisica per approfondire la propria logica
interna e contemporaneamente di rivolgersi alla scienza per
acquisire contenuti con i quali far sviluppare la propria
dimensione critica.
Le riflessioni di Bernardi sembrano portare al dialogo tra
scienza e teologia: occorre invece muoversi verso una cornice
articolazionista. Questo soprattutto perché non si producano
aberrazioni, come quella della biologia del Settecento, quando
un argomento come il finalismo sembrò dapprima utile a
usare l’ipotesi “dio” per spiegare il mondo e poi invece per
rifiutarla per spiegarlo compiutamente.
Lasciando alla lettura del saggio di Bernardi le considerazioni
sulle specificità dell’embriologia settecentesca, concludiamo
questo excursus ricordando i risultati di Spallanzani: questi
tra il 1767 e il 1781 pubblicò solo una piccola parte dei suoi
esperimenti sulla generazione degli anfibi. Aveva disperso
sperma di rana in acqua e, filtrandola, aveva notato la
diminuzione del potere fecondativo di tale miscela. Solo
rimettendo in acqua il filtro la miscela riassumeva potere
fecondativo. Di fatto questo accadeva perché gli spermatozoi
erano rimasti sul filtro: ma i pregiudizi anti-animalculisti di
Spallanzani gli impedirono di avvalorare l’ipotesi. Furono
quasi quarant’anni dopo i biologi Prévost e Dumas a
proporre questa idea ripetendo esperimenti analoghi:
finalmente la fecondazione veniva spiegata grazie all’incontro
dello spermatozoo con l’uovo, e gli animalculi liberati dal
dubbio di esseri i parassiti dello sperma.
Per risolvere l’enigma della fecondazione bisognerà però
aspettare la seconda metà dell’800: dapprima con
l’applicazione dell’idea di cellula all’uovo e allo spermatozoo
(Kölliker), e poi soprattutto con l’idea della fusione dei due
nuclei (Hertwig).
Se l’ovismo privilegiava la riproduzione per via materna e
l’animalculismo quella per via paterna, le nuove strade della
sperimentazione aprivano la via all’idea della completa parità
nella partecipazione del maschio e della femmina nella
generazione del nuovo essere vivente. Von Baer, considerato
padre della moderna embriologia, poté così elaborare la teoria
dei “foglietti germinali”: trionfava l’epigenesi, dimostrando
che non ci sono germi preesistenti, ma che lo sviluppo
dell’embrione è una complicata sequenza di processi (i
“foglietti” di volta in volta sovrapposti). Ma non era neanche
un’epigenesi totale, poiché il piano ordinato che emergeva
non era esterno, ma interno alla memoria “biologica” del
materiale organico.
Come avveniva questa trasmissione nella memoria biologica?
Come era possibile la constatata continuità tra specie, genitori
e nascituro? Occorrerà aspettare la scoperta di geni e
cromosomi.
Bibliografia
Darwin, L'origine delle specie per selezione naturale o La preservazione delle razze privilegiate nella lotta per la vita (tit.
or. On the Origin of Species by Means of Natural Selection, 1859), introduzione di P. Omodeo, traduzione di C.
Balducci, in Darwin, Newton Compton Editori, Roma 2011, 521-861
L. Galleni, Evoluzione, in «Documentazione interdisciplinare Scienza e Fede», http://www.disf.org/Voci/64.asp
M. Georgiev, Charles Darwin oltre le colonne d'Ercole. Protagonisti, fatti, idee e strategie del dibattito sulle origini e
sull'evoluzione, Gribaudi, Milano 2009
P. Rossi (ed.), Storia della scienza, 9 voll., vol. 1: La rivoluzione scientifica: dal Rinascimento a Newton, Gruppo
Editoriale L'Espresso, Roma 2006
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Questioni di storia del pensiero scientifico