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Commentary, 11 febbraio 2016
PROPAGANDA E RADICALIZZAZIONE:
ACT LOCAL, THINK GLOBAL
ALESSANDRO BURATO, MARCO MAIOLINO
D
Nel giugno 2014 il numero di foreign fighters,
intesi come giovani combattenti stranieri convertiti all’islam radicale e partiti da varie realtà
internazionali per combattere nei teatri iracheno e siriano
al fianco di organizzazioni jihadiste come Jabhat
al-Nusra e Daesh, era stimato a circa 12.000 unità provenienti da 81 diversi paesi. Nel 2015 il numero è più che
raddoppiato, raggiungendo circa i 30.000 combattenti
provenienti da almeno 86 nazioni. Questo flusso di miliziani coinvolge sette regioni del mondo dall’America
settentrionale al Sud est asiatico con numeri altalenanti,
dai 5000 combattenti originari dell’Europa occidentale ai
280 del nord America.
©ISPI2016
Il fenomeno della radicalizzazione, che di certo non si è
originato con le primavere arabe, rappresenta però ora
una delle minacce globali, originate da un conflitto di
natura locale, più significative. Per comprendere quindi
nello specifico come oggi gli effetti del conflitto siriano
iracheno colpiscano l’intero panorama internazionale
tramite la radicalizzazione, è necessario focalizzare
l’attenzione su due fenomeni macroscopici: globalizzazione e democratizzazione dell’informazione.
Società, culture ed economie diverse, nazionali e regionali (il Medio Oriente e il resto del mondo), sono sempre
più interconnesse e interdipendenti grazie alla condivi-
sione di una rete “globale” per il commercio, la mobilità e
la
comunicazione
e
alla
democratizzazione
dell’informazione che rende progressivamente sempre
accessibili a tutti, in ogni luogo e momento, idee, opinioni, conoscenza, educazione e propaganda. In tutto ciò
la tecnologia, rendendosi responsabile di uno stiramento
della tradizionale dimensione spazio temporale, crea le
condizioni perché eventi localizzati possano trasformarsi
in minacce globali come, nello specifico, il processo di
radicalizzazione.
Uno dei più recenti fattori decisivi che ha contribuito all’intensificazione dei processi di radicalizzazione,
conferendogli rilevanza globale, è sicuramente la forza
della propaganda, sviluppata in una maniera inedita da
parte di Daesh, sia in termini infrastrutturali e strutturali
che strategici. Il tema della comunicazione di Daesh pare
ormai essere passato alla storia e come tale, dimenticato o
dato per scontato. Il fatto eclatante, la minaccia diretta e
magari nazionale, le scene cruente sono ormai i pochi
aspetti che scaldano i media che si abbeverano di pillole
per documentare puntualmente quella che invece è una
strategia molto più complessa e sulla quale poggia un
disegno studiato per radicalizzare posizioni, sia ‘pro’,
nelle figure dei combattenti e sostenitori di Daesh, che
‘contro’, in quelli che da loro vengono considerati infe-
Alessandro Burato, ITSTIME, Italian Team for Security, Terroristic Issues & Managing Emergencies
Marco Maiolino, ITSTIME, Italian Team for Security, Terroristic Issues & Managing Emergencies
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Le opinioni espresse sono strettamente personali e non riflettono necessariamente le posizioni dell’ISPI.
Le pubblicazioni online dell’ISPI sono realizzate anche grazie al sostegno della Fondazione Cariplo.
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dell’aumento della disoccupazione hanno spinto molte
persone ad unirsi a Daesh in Libia in cambio di uno stipendio mensile pari a circa 500 euro al mese; marginalizzazione politica ed economica, come nel caso dei ragazzi radicalizzati nelle periferie londinesi o nelle banlieue parigine; conflitti armati come quelli in Afghanistan, Iraq e Siria; presenti e passate strategie geopolitiche,
delle quali l’accordo Sykes-Picot è solo uno dei molti
esempi; repressione politica, di cui il regime egiziano di
Sisi è rappresentativo e che sta recentemente causando la
formazione di un’ala jihadista anche nei Fratelli musulmani; e ancora identità e dinamiche etniche e religiose,
come il conflitto fra musulmani sciiti e sunniti che continua a dividere e insanguinare il Medio Oriente.
deli e che si trovano spettatori di un fenomeno al quale
non vorrebbero assistere.
La propaganda scorre, ininterrotta, come un flusso dal
quale gli interessati possono prendere ciò di cui hanno
bisogno per radicalizzare o radicalizzarsi. Facendo solo il
caso dei magazine, Dabiq, la pubblicazione ufficiale di
Daesh, funge da ‘omogeneizzatore’ delle tematiche che
trasversalmente caratterizzano il jihad: l’egira verso la
Siria, la glorificazione dei martiri, la lotta agli infedeli, la
rivendicazione degli attacchi, le prospettive di una vita
all’ombra della bandiera nera. Tutte argomentazioni che
forniscono materiale altamente ricco di appeal ad uso di
potenziali sostenitori che vedono in Daesh una risposta
credibile.
Tuttavia, le motivazioni specifiche dei contesti locali che
portano un individuo a radicalizzarsi, necessitano di essere interpretate alla luce degli aspetti generali che una
certa propaganda ‘globale’, che non si declina così marcatamente in maniera puntuale nello spazio geografico,
fornisce come spunti d’ispirazione per un’attività più
localizzata e in grado di portare argomentazioni più ‘vicine’ al pubblico specifico di riferimento e quindi più
efficaci nel processo di reclutamento.
A questo main stream si affiancano sempre più frequentemente versioni ‘locali’ dei magazine che, sia per motivi
linguistici che culturali, fanno da trait d’union tra le
istanze più sirianocentriche e quelle delocalizzate dei
diversi bacini di reclutamento. Infatti, a Dabiq, lanciato il
5 luglio 2014, fa seguito cinque mesi dopo Dar-al-Islam,
magazine interamente in francese che nelle ultime edizioni ha dedicato molta attenzione ai temi di interesse
dell’Europa centrale. Seguono poi, quasi contemporanee
tra maggio e giugno dell’anno scorso, le prime edizioni di
Konstantiniyye, redatto in turco che ha a ‘cuore’ Erdoğan
e la questione curda, e del periodico in lingua russa Istok,
altro bacino interessante per Daesh.
Ma la crescita della radicalizzazione, anche in termini
numerici di radicalizzati, non si limita all’aumento di
coloro che sostengono Daesh. Quella che è stata definita
“doppia radicalizzazione” infatti è ugualmente un risultato della propaganda Jihadista, che questa volta è diretta
verso i nemici. Sempre più frequenti sono, infatti, spinte
xenofobe e islamofobe ma anche processi di radicalizzazione interni ai musulmani a seguito delle violenze perpetrate da Daesh nei loro confronti. Ancora quindi, a 5
anni dell’inizio delle primavere arabe, risorgono come
dopo un lungo inverno e sempre più insistentemente anche sulla propaganda quale mezzo di radicalizzazione
quelle fazioni contrapposte che si celavano dietro la vetrina del cambiamento delle primavere.
©ISPI2016
A queste pubblicazioni bisogna aggiungere la distribuzione di opuscoli e manuali, debitamente tradotti, e di
prodotti multimediali sottotitolati o direttamente realizzati in lingua locale che fanno leva su aspetti prettamente
nazionali o regionali, quali stimoli radicalizzanti.
Le cause scatenanti del processo di radicalizzazione sono
molto eterogenee e spesso necessitano di essere rintracciate all’interno di fenomeni ‘locali’ che, grazie
all’interdipendenza globale sopradescritta, assumono
importanza internazionale: povertà e ineguaglianza, che
in Tunisia, a seguito della profonda crisi economica e
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