I papi e le accuse di omicidio rituale:
Benedetto XIV e la bolla Beatus Andreas*
di Nicola Cusumano
La bolla Beatus Andreas () rappresenta l’unico documento emanato
durante il pontificato lambertiniano nel quale il papa si occupava, sia pure
non direttamente, della delicata e allora attuale questione dell’accusa di
omicidio rituale rivolta agli ebrei. Con essa venivano fornite alla Chiesa indicazioni precise su come comportarsi nei casi relativi alle canonizzazioni
degli infanti “martirizzati” dagli ebrei in odio alla fede di Cristo: data la
sua rilevanza, sembra utile sottoporre ad analisi il contenuto della bolla,
non prima, però, di aver fornito alcune indicazioni su come la storiografia
ha recentemente inteso il rapporto tra Benedetto XIV e gli ebrei.
Importanti studi storici hanno inteso sottoporre a revisione critica
alcuni aspetti contraddittori della figura di Benedetto XIV; ci si è quindi
posti il problema dell’opportuna ricollocazione storica di questo papa
e di un più appropriato giudizio del suo pontificato. Nel far questo si
è inteso superare e mettere in discussione un’interpretazione eccessivamente indulgente che ha avuto come effetto quello dell’appiattimento
su argomenti noti, quali la tolleranza, l’apertura allo spirito dei tempi,
il ruolo propulsivo verso un rilancio culturale: caratteristiche che nel
Lambertini sono certamente presenti, ma in misura non maggiore di certe
chiusure culturali e religiose che hanno delineato un tratto “oscuro” del
suo pontificato ed evidenziato piuttosto un’ambiguità, questa sì costante,
nel corso della sua lunga presenza sul soglio di Pietro.
L’osservazione della Beatus Andreas pone allo storico con rinnovato
vigore ed in modo forse più pesante una serie di interrogativi. Quanto
questo singolo documento può emergere con le sue indicazioni sull’immenso corpus di opere prodotto dal Lambertini?, E sino a che punto
si può rinunciare allo sforzo di armonizzarlo all’interno di una visione
omogenea e compiuta del suo pontificato, quale è stata quella “leggendaria”, di tradizione illuministico-giansenista e poi liberale, che certa
storiografia ha tramandato?
La bolla era destinata ad assumere ben presto una funzione paradigmatica per le indicazioni che offriva sulla delicata questione; le tesi
adombrate in sottofondo nella Beatus Andreas in relazione all’omicidio
Dimensioni e problemi della ricerca storica, n. /

NICOLA CUSUMANO
rituale ebbero straordinaria longevità proprio perché suggerirono alla
Chiesa prospettive di lunga durata. Questo documento così importante,
in cui si palesava l’orientamento centralistico della Santa Sede sulle canonizzazioni, esplicitato già precedentemente con le argomentazioni del De
servorum Dei beatificatione, apre indirettamente la strada all’affermazione
che, a dispetto delle tesi sostenute da alcuni storici alquanto concilianti
nei confronti dei vertici della Chiesa romana, in età moderna i pontefici
svolsero un ruolo tutt’altro che secondario nella diffusione dell’antisemitismo cattolico, del quale ebbero il controllo e in taluni casi la gestione. Tale
argomento merita una più adeguata riflessione, in quanto di straordinaria
importanza per chi non è propenso a dare il proprio avallo all’ipotesi di
una “doppiezza strutturale” della Chiesa sul tema dell’omicidio rituale,
ipotesi a cui fa riferimento S. Levi Della Torre. Questo autore afferma
che la Santa Sede ha sempre condannato la fondatezza dell’accusa del
sangue e distingue tra una posizione – quella di Roma – tradizionalmente
critica nei confronti dell’accusa rivolta agli ebrei, e un’altra posizione,
«popolare e talvolta vescovile», che la sostenne come vera; il risultato è,
quindi, una doppiezza addirittura «strutturalmente» simile a quella che
«ha caratterizzato la cristianità nel nostro secolo di fronte alla persecuzione antisemita del nazifascismo».
Questo è un punto che merita attenzione. Mi sembra, infatti, che si
sia osservato poco quanto, sull’argomento in questione, la realtà dell’età
moderna fosse ben diversa, e come la Chiesa di Roma esprimesse nei
confronti degli ebrei un orientamento opposto a quello protettivo prevalso nel tardo medioevo. La “doppiezza” del mondo cattolico a cui fa
riferimento Levi Della Torre, insomma, sembrerebbe essersi sciolta in
età moderna, e soprattutto dopo la Rivoluzione francese, a favore di un
orientamento più unitario, tutt’altro che atomizzato, e che fu in realtà
“dettato” dai pontefici. Quanto detto rinvia alle motivazioni storiche e
contingenti che causarono il ricompattamento del fronte cattolico dinanzi
alle forze di modernizzazione della società nel Settecento.
Qui preme di più sottolineare l’importanza di quest’ultima affermazione, e cioè che l’antiebraismo cattolico settecentesco – i cui argomenti sarebbero stati poi mutuati dal “nuovo” antisemitismo razzistico
dell’Ottocento – ebbe la sua autentica propulsione negli ambigui silenzi
dei pontefici e nei documenti da loro emanati. Sui primi, si consideri che
il “gregge” cristiano giunse spesso a dar voce all’anima silente dell’antisemitismo cattolico, esprimendo quelle posizioni di intransigenza che
la Santa Sede non sempre considerò opportuno esplicitare, pur essendo
intrinsecamente proprie. Quanto ai documenti emanati in tutto il Settecento dai pontefici in relazione alla “questione ebraica”, i più decisivi
furono quelli di Benedetto XIV e di Pio VI, entrambi estremamente duri

I PAPI E LE ACCUSE DI OMICIDIO RITUALE
nei confronti degli ebrei. L’affermazione di una condanna espressa con
sostanziale continuità dalla Chiesa in merito all’accusa del sangue è
smentita proprio da un’attenta e più appropriata analisi dell’età dei Lumi.
I recenti lavori di Marina Caffiero e di Mario Rosa hanno giustamente
insistito su questo tratto oscuro della Chiesa nel Settecento, evidenziando,
inoltre, come la forza d’urto dello scontro tra lo Stato e la Chiesa, che
travolse gli assetti consolidatisi con la Controriforma, investisse il mondo
ebraico e le sue nuove istanze. Si può dunque affermare che la “questione
ebraica” divenne funzionale ad un progetto di riconquista cattolica contro
le forze che avevano minato le basi della società cristiana. Essa, proprio
per questo, non fu però mai affrontata risolutamente dai pontefici nella
sua sostanzialità; sulle questioni più “calde”, tra cui quella dell’accusa
di omicidio rituale, il silenzio fu preferito al chiarimento definitivo e,
quando esso fu rotto, ciò avvenne con documenti a carattere repressivo
ed inclini al mantenimento degli stereotipi antiebraici.
A Levi Della Torre sembra sfuggire il salto di qualità compiuto in
età moderna dall’antiebraismo di matrice cattolica in relazione al tema
dell’omicidio rituale; ed è proprio l’analisi della Beatus Andreas a costringerci a rivedere il tema della doppia anima, che, con una sostanziale
continuità, la Chiesa avrebbe dimostrato di avere dal XII secolo alla
modernità inoltrata.
Giovanni Miccoli ha riportato un episodio che si ricollega alla Beatus
Andreas, svoltosi a cavallo dei secoli XIX e XX, e di cui non possiamo tacere
l’importanza: alla fine del , l’arcivescovo di Westminster ed alcuni
esponenti cattolici di spicco del panorama politico inglese avevano rivolto
a papa Leone XIII e al cardinale Rampolla la richiesta di esprimere una
dichiarazione di condanna nei confronti dell’accusa di omicidio rituale
rivolta agli ebrei. Ancora una volta, la pratica fu girata al Sant’Uffizio,
come di norma per tutte le questioni che riguardavano gli ebrei. La presa
di posizione più recente sull’argomento era la famosa Relazione di Lorenzo
Ganganelli del , con la quale il futuro Clemente XIV aveva liquidato
come il frutto di un pregiudizio antiebraico l’accusa di omicidio rituale.
L’unico documento ritrovato dal Miccoli è un breve manoscritto del 
luglio , che introduce la risoluzione della congregazione, dal quale
emerge come le posizioni espresse da Benedetto XIV nella Beatus Andreas
avessero condizionato, in materia, le future scelte della Santa Sede. Infatti,
dopo aver asserito che le ricerche presso il Sant’Uffizio e la Segreteria
di Stato non avevano dato esito alcuno relativamente al ritrovamento di
documenti su tale accusa, si affermava risolutamente, però, che:
pure è storicamente certo l’assassinio rituale, e ne parla Benedetto XIV; e la Santa
Sede l’ha canonizzato con mettere sugli altari un bambino da essi ucciso in odio

NICOLA CUSUMANO
alla fede. [...] Stante ciò la Santa Sede non può dare la chiesta dichiarazione, la
quale, se conterebbe i pochi illusi d’Inghilterra, solleverebbe proteste e scandali
per tutto altrove.
Nessun riferimento, dunque, alla Relazione di Ganganelli, e il motivo di
ciò appare al lettore smaliziato sin troppo ovvio. Di estrema rilevanza
appare anche il fatto che il Sant’Uffizio contrapponesse ai «pochi illusi
d’Inghilterra» la totalità dell’opinione pubblica cattolica europea, ma
soprattutto il modo in cui, attraverso l’autorità di Benedetto XIV, l’assassinio rituale venisse definito «storicamente certo».
Il Lambertini, dunque, ancora agli albori del XX secolo continuò ad
essere il principale punto di riferimento di un Sant’Uffizio chiaramente
volto al passato. Nulla di più chiaro di questo pronunciamento novecentesco della Santa Sede può definire l’importanza della bolla del .
Eppure, la perentorietà, ma anche la chiarezza, delle indicazioni fornite
da Benedetto XIV su come comportarsi in materia di beatificazione e
di canonizzazione dinanzi alla specificità della santità e del “martirio”
operato dagli ebrei ai danni degli infanti cristiani, hanno posto solo sullo
sfondo, per scelta del pontefice, il tema dell’accusa di omicidio rituale
rivolta agli ebrei. L’atteggiamento del Lambertini fu infatti evasivo dinanzi
alla questione della “pratica” dell’omicidio rituale ebraico, considerata
evidentemente acquisita già in precedenza, e una volta per tutte, e invece
preciso, tanto da fungere da riferimento sino agli albori del Novecento,
relativamente alla disciplina dei casi analoghi per il futuro. Lungi dal
mettere in dubbio la realtà dell’omicidio rituale, quindi, il problema,
così come viene posto dall’abile canonista, verteva unicamente sull’utilizzabilità o meno dei bambini “martirizzati” come modelli di santità.
Ma sugli aspetti più importanti della bolla e sull’analisi dettagliata di
essa tornerò più avanti.

Benedetto XIV e gli ebrei: la storiografia recente
Già Mario Rosa, autore di notevoli studi sul Lambertini, in un suo lavoro
del  dedicato a Benedetto XIV, dopo aver tracciato un profilo storico
mirante a ricostruire la genesi e lo sviluppo di quella che chiama la «leggenda» formatasi attorno a questo pontefice, si soffermava a conclusione
del testo su quello che rappresenta uno dei nodi cruciali del suo intero
pontificato: la relazione con gli ebrei. L’autore sottolineava quanto sia
stata scarsa, in materia, l’innovazione di questo papa, che preferì attenersi
alle misure emanate dai suoi predecessori, «mantenendo il tradizionale
linguaggio antiebraico e la legislazione restrittiva in vigore nello Stato

I PAPI E LE ACCUSE DI OMICIDIO RITUALE
pontificio»; e ciò, in apparente contrasto col ritratto che ne ha fatto
la storiografia, che ha sottolineato a più riprese e «non senza ragioni, le
aperture verso la società civile e le qualità di lungimirante tolleranza»
di Lambertini. Ma quali furono, realmente, i rapporti tra questo papa,
considerato benevolo e tollerante, e gli ebrei? La questione è aperta e
di fondamentale importanza e, alla luce di essa, andrebbero forse rivisti
almeno alcuni tra i più entusiastici giudizi sul suo pontificato.
Se è facile – scrive in proposito M. Rosa – far cadere definitivamente, [...] la tesi
di un papa e di un pontificato “religioso” contrapposto ai pontificati “politici”
dei successori – poiché [...] preoccupazioni religiose e politiche in Benedetto
XIV si intrecciano e strettamente si condizionano – meno facile, ma opportuna si
presenta l’esigenza di ridimensionare storicamente la celebre tolleranza lambertiniana. La quale trova i suoi limiti in una valutazione pur sempre ecclesiastica e
istituzionale dei rapporti tra le confessioni cristiane o in “politici” adattamenti
a situazioni di fatto.
Altri autori hanno insistito sulla svolta avvenuta nel corso del pontificato
lambertiniano, vera e propria cesura tra una stagione riformista, collocabile intorno agli anni Quaranta del Settecento, e la successiva involuzione
dello slancio riformatore, caratterizzata dal divieto delle traduzioni in
volgare dei testi sacri, dalla messa all’indice di Montesquieu, dalla condanna della massoneria e dai toni duri espressi nei confronti del nemico
luterano ed ebreo.
Elisabeth Garms-Cornides scrive di un intento chiaro ed inequivocabile, di natura apologetica, a proposito della fondazione del Museo
Cristiano in Vaticano, cui fa da sfondo la ripresa del tema dell’infallibilità
papale, operata dal Lambertini, e passata attraverso le argomentazioni
del De servorum Dei beatificatione relative alla beatificazione e alla
canonizzazione, nonché attraverso la decretazione di S. Pietro come
luogo eletto alla celebrazione del rito delle canonizzazioni, a ribadire
che «anche nelle canonizzazioni si evidenzia il magistero infallibile del
romano pontefice».
Ma ancora più interessante è il rilievo posto dalla studiosa sulla
formazione di una vera e propria storiografia antilluministica di matrice lambertiniana, che diede i suoi primi esiti attraverso l’operato di
Orsi (la cui figura si erge dietro la condanna della Encyclopédie), ma
anche di uomini come Tommaso Emaldi (all’origine della condanna di
Montesquieu) e Michelangelo Giacomelli (vero promotore della prima
bolla papale contro l’ateismo del , la Christianae Reipublicae salus),
vicini al papa e interpreti del suo sentimento, corifei della crociata da
intraprendere contro l’ateismo dilagante. «Vista questa ondata pubblicistica – scrive ancora la Garms – le singole misure contro la massoneria,

NICOLA CUSUMANO
contro Montesquieu […] si rivelano come componenti organiche di una
cultura difensiva in atto sin dall’inizio del pontificato lambertiniano».
L’attenzione dell’autrice, più che sulle svolte, sembra concentrarsi su
questo tratto costante del lungo pontificato del «conservatore riformista
sulla cattedra Petri».
Se è vero che è da ricercare negli anni Settanta del XVIII secolo l’effettivo mutamento operato dalla Chiesa nei confronti del mondo ebraico,
è tutt’altro che fuori luogo trovarne le radici già negli anni Quaranta,
che ponevano fine, come ha giustamente fatto notare Mario Rosa, alla
relativa tolleranza che aveva contraddistinto gli anni precedenti. Il celebre
Editto sopra gli Ebrei del , non a caso, riprese in più punti tre decreti
emanati nel pontificato lambertiniano, richiamando la loro esemplarità
nella legislazione sugli ebrei:
In sequela di quanto si prescrive […] nel Decreto della san. mem. di Benedetto
XIV de’  agosto , non possano gli Ebrei né in loro nome, né sotto quello
di qualche Cristiano, o di altra persona tenere, o fare appalti, affitti o società,
tanto pubblica che privata, de’ beni di qualsiasi sorta, spettanti a chi che sia
[…] e perciò si ordina a’ cristiani da qui avanti di astenersi dal contrattare in
simili materie con gli Ebrei. Gli Ebrei dell’uno e dell’altro sesso non possano
abitare fuori del Ghetto, e star nelle Ville, Terre, […], o altrove per qualunque
pretesto, ancora per quello della necessità di mutar aria, e quando gli occorrerà
andar fuori, e starvi ancora per un sol giorno, procurino, secondo il Decreto
della Sagra Congregazione del  maggio , in conferma di altro consimile di
Alessandro VII del  settembre , ottenerne l’opportuna licenza per iscritto
[…] che debbano gli Ebrei portare il segno al cappello […] che non coabitino co’
cristiani, né conversino familiarmente co’ medesimi, e che ritornati restituiscano
al Tribunale [la licenza]. In caso che gli Ebrei vogliano andare alle Fiere, siano
parimenti obbligati ottenere la licenza in scriptis dal Vescovo, o dall’Inquisitore, o Vicario locale senza emolumento veruno, e tre giorni dopo terminate le
medesime a tenore del Decreto de’  giugno , debbano immediatamente
partire. Essendo la predica il mezzo più possente, e più efficace per ottenere la
Conversione degli Ebrei […] ordiniamo ai Rabbini, che ponghino ogni loro cura,
e diligenza nel fare intervenire alla Predica, che si fa nel Sabbato, o in altro giorno
della settimana quel numero di Uomini e Donne, che secondo la diversità dei
Ghetti sarà stato o verrà prefisso a tenore della citata Costituzione . della sen.
mem. di Gregorio XIII del Decreto della Santità Sua de’  agosto  e della
lettera circolare del  aprile .
Il  fu l’anno della bolla del  settembre, Apostolici Ministerii munus,
con la quale il pontefice dichiarava la rottura del matrimonio tra ebrei nel
caso in cui si fosse verificata la conversione di uno dei coniugi. Lo stesso
anno, il , fu quello della pubblicazione dell’anonima Dissertazione
apologetica sul martirio del beato Simone da Trento, prima opera storica

I PAPI E LE ACCUSE DI OMICIDIO RITUALE
di un francescano di nome Benedetto Bonelli, più noto come Benedetto
da Cavalese, destinato a svolgere un ruolo di spicco nella «polemica
diabolica» sorta intorno alla metà del XVIII secolo in Italia e a scontrarsi
con gli autori che volgevano l’attenzione verso una più appropriata valutazione della stregoneria e più in generale della superstizione. Se eruditi
come Muratori e Tartarotti sentirono l’esigenza di fare chiarezza su questi
temi, il pungolo della loro critica trovò una forte resistenza nella figura
di Bonelli, autorevole rappresentante della cultura cattolica trentina più
intransigente. Questo frate beneficiò della menzione di Benedetto XIV che,
in apertura della Beatus Andreas, lungi dal prendere le distanze dal «più
retrivo degli eruditi trentini», come ha scritto di lui Franco Venturi, ne
indicava l’aberrante opera come sua fonte di riferimento. La Dissertazione
apologetica, scriveva Lambertini, benché anonima «per umiltà dell’erudito
autore, si sa però esser del Padre Benedetto di Cavalesio [appunto, P.
Benedetto Bonelli]».
Curioso personaggio, Bonelli, che nell’arco di un quinquennio si
occupò dapprima di omicidio rituale, dipingendolo a fosche tinte e non
risparmiando nessuno dei cliché che la storiografia ecclesiastica antiebraica
aveva consolidato da tempo immemore, per poi dedicarsi alla questione della stregoneria, dimenticando quanto scritto precedentemente
proprio contro la superstizione e la credenza nelle streghe. Lo scopo di
tale mutamento era quello di potersi meglio scagliare contro Girolamo
Tartarotti, l’irriducibile rivale che aveva schernito l’integrità morale del
francescano, impegnandosi in un’aspra polemica che non fu immune da
accenti personali. Nella Dissertazione apologetica del , infatti, Bonelli
aveva fatto gli elogi del francescano Alfonso de Spina:
L’antica superstiziosissima, non che crudelissima costumanza degli Ebrei d’uccider nella Pasqua, o settimana Santa, un fanciullo cristiano, può comprovarsi
da ciò che ne narrano gli scrittori degni di fede, [tra questi] Alfonso Spina, non
solamente perché, come testimonio di pio e dotto ebreo fatto cristiano maggior
fede riscuoter dee dal Wagenselio, ch’esige simili testimoni; ma eziandio perché dimostrassi molto lontano dall’appigliarsi a narrazioni fondate nella mera
volgar opinione e tradizione del popolo ignorante, nonché su di false confessioni
spremute a tormenti; come si dichiarò nel punto delle Streghe, de’ loro ideali,
danze, conviti, e de’ fantastici loro trasporti e notturni congressi.
Soltanto quattro anni dopo, nelle anonime Animavversioni critiche sopra
il notturno congresso delle Lammie, il testo con il quale Bonelli prendeva
posizione nella «polemica diabolica» innescata dal Congresso notturno
di Girolamo Tartarotti, egli sosteneva, al contrario, la realtà della stregoneria. La svolta bonelliana, così improvvisa (sono pochi quattro anni, per
mutare teologia), non può però esser esclusivamente letta come l’esito

NICOLA CUSUMANO
di vicende personali, legate ad astio tra studiosi che si contendevano il
medesimo argomento. L’analisi della polemica antitartarottiana del frate
ci indica anche altro: egli fu in contatto costante con le autorità trentine,
e addirittura indotto da esse a comporre alcune opere, come nel caso
della vicenda legata alla santità di Adalpreto. L’intransigenza delle sue
posizioni è da ricondurre al fatto che egli fu portavoce degli interessi
del Capitolo di Trento, interessi che passavano anche dalla difesa della
tradizione storico-ecclesiastica trentina, attaccata dal «demolitore» di
leggende, appunto Tartarotti, nelle sue opere di critica storica. Prima
della rottura del loro sodalizio – collocabile intorno al  – Tartarotti
e Bonelli ebbero comunque un rapporto continuo e duraturo, costituito
da un frequente scambio di materiali e risalente agli anni Quaranta del
Settecento.
Molto meno noto, anzi addirittura ignorato dalla recente storiografia,
è il fatto che al centro della loro relazione epistolare ci fosse il comune
interesse per il tema dell’omicidio rituale. Tartarotti fornì al frate cospicuo
materiale preparatorio per la stesura della sua Dissertazione apologetica,
approvandone l’impostazione e, addirittura, in taluna corrispondenza, rallegrandosi del fatto che il Bonelli «abbia preso a confutare il Wagenselio»,
l’autore protestante che aveva negato la realtà dell’accusa del sangue. La
posizione di Tartarotti sul tema dell’omicidio rituale appare, comunque,
meno netta e ben più articolata di quanto queste scarne informazioni in
mio possesso potrebbero far dedurre.
Il  – anno dell’editto papale del  settembre e del decreto del
Sant’Uffizio datato  maggio, entrambi estremamente duri nei confronti
della comunità ebraica romana – fu caratterizzato dalla definitiva rottura della Santa Sede rispetto alla cultura illuministica; l’Esprit des lois
fu condannato dalla congregazione dell’Indice in marzo, ed in maggio
una seconda bolla papale condannò la massoneria (Providas Romanorum
Pontificum).
Quanto alla bolla Beatus Andreas, l’anno della sua emanazione fu
il : anno in cui fu emessa anche la dichiarazione di insolvenza della
comunità ebraica, che suggellava – come ha fatto notare M. Rosa – la serie
di interventi repressivi contro gli ebrei susseguitisi dal .
Ancora a partire dalla metà degli anni Quaranta del XVIII secolo,
insieme con le suddette misure adottate dalla Santa Sede, si assiste anche ad un riaffiorare della pubblicistica antiebraica, che coincise con la
precisa volontà di congelare lo slancio riformista che contraddistinse i
primi anni del pontificato lambertiniano. Il reiterarsi di una singolare
concomitanza tra l’emanazione di editti di orientamento antiebraico e la
stampa di pubblicazioni di polemica antiebraica provenienti dal mondo
cattolico esplicita la sinergia tra la Santa Sede e alcuni uomini di punta

I PAPI E LE ACCUSE DI OMICIDIO RITUALE
della cultura cattolica italiana.
Già Marina Caffiero ha evidenziato la coincidenza cronologica tra
l’emanazione dell’editto piano del  e la pubblicazione del Ristretto
della vita e martirio di S. Simone, di Francesco Rovira Bonet: un opuscolo
sul “martirio” di Simone da Trento. Circostanza certamente ascrivibile a
un clima ben diverso, quale fu quello venutosi a creare in seguito all’ascesa
al soglio papale di Pio VI, caratterizzato dalla marginalizzazione delle «forze intellettuali riformatrici e più tolleranti», dopo il brevissimo momento
di apertura verso gli ebrei operato da Clemente XIV. Ma ciò che preme
qui sottolineare sono le analogie tra l’età lambertiniana e quella piana
relativamente al comune indirizzo antiebraico (sebbene meno esplicito
in Lambertini) e a quella sinergia tra Santa Sede e mondo erudito cattolico, tesa al ricompattamento del fronte romano dinanzi alle forze che lo
minacciavano: fossero esse un razionalismo che gettava nell’inquietudine
la Chiesa a mano a mano che si intravedevano i suoi pericolosi sviluppi
verso l’ateismo, all’inizio, o il consolidarsi della cultura delle Lumières,
che andrà sprigionando tutta la sua forza dirompente nella critica alla
religione, più tardi.
Nel caso del Ristretto su Simone di Rovira Bonet prevalse l’istanza
pedagogica e catechetica recepita dai suoi promotori, tra i quali, ricordiamolo, il domenicano Tommaso Agostino Ricchini, maestro del Sacro
Palazzo, che era stato fidato collaboratore di Benedetto XIV; tale istanza
risulta chiara dalla lettura della dedica rivolta ai giovani fedeli, spinti a
leggere l’opuscolo perché possano «far[si] cauti, guardando[si] dalle
insidie de’perfidi Giudei». Rovira Bonet è indicato da M. Caffiero come
un esponente di punta della strategia di riconquista cattolica del secondo
Settecento sul versante dei rapporti tra Chiesa ed ebrei; nel suo ruolo
di Rettore della casa dei catecumeni di Roma rivolse le sue attenzioni
al rilancio di un devozionalismo penitenziale e riparatorio, che faceva
leva sul simbolismo della passione di Cristo e sul sacrificio espiatorio.
Pratiche religiose, queste, lontane dalla «regolata devozione» di stampo
muratoriano, e collegate invece alla polemica antiebraica. Nell’opuscolo
di Rovira si faceva riferimento a numerosi scritti di autori che avevano
sostenuto come reale l’omicidio rituale ebraico. Evidentemente, nelle sue
intenzioni, fondare storiograficamente l’argomento equivaleva a spazzare
via ogni dubbio circa la veridicità degli episodi. Quanto al giusto peso da
dare alle fonti, questo non sembra un problema preso in considerazione
dagli scrittori che si occuparono di omicidio rituale; dalla lettura dei testi
antiebraici del Settecento emerge un perenne scambio di citazioni da uno
scrittore all’altro, un circolo vizioso il cui numero di adepti, soprattutto
nella seconda metà del secolo, crebbe in modo esponenziale.
Al pari del Ristretto del Rovira, la Dissertazione apologetica del Bonelli

NICOLA CUSUMANO
di ventotto anni prima recava in nota un’innumerevole quantità di testi
a favore della realtà dell’omicidio rituale ebraico. In cima ai desideri
del francescano v’era l’esigenza di corroborare con le fonti un racconto
ormai cristallizzato, al fine di conferire totale credibilità agli episodi
dei numerosi “martirii” di cui si occupava, ma anche per contrapporre
l’enorme mole della produzione storiografica cattolica alle tesi sostenute
dagli autori protestanti che, come Wagenseil, già citato, e J. Basnage,
negavano l’accusa ritenendola un infamante frutto della superstizione.
Più in generale, il Bonelli metteva in guardia dai «libri Oltramontani fautori degli ebrei», contenenti «l’ascoso veleno», affinché non si potessero
rinnovare «gli antichi misfatti» commessi contro i cristiani.
Nelle opere di polemica antigiudaica di autori cattolici, l’insistenza
sul tema di una «cattiva letteratura» proveniente dal mondo protestante,
qual era ai loro occhi quella degli scrittori non allineati sulle posizioni
prevalenti nell’ambito curiale romano, sembra alludere, seppur indirettamente, ad un fronte storiografico cattolico compatto, che aveva
come suo precipuo compito quello di resistere agli attacchi, sostenendo
l’autorità della Chiesa e la sua tradizione dottrinaria. Non è un caso se,
nelle opere citate, l’acritica e noiosa ripetizione delle medesime storie,
tutte evidentemente intrise di un pervicace irrazionalismo e di una visione
dogmatica della realtà, costituisca la trama del racconto; se un autore
come Wagenseil aveva riferito l’opinione dei neofiti da lui interpellati,
che si erano tutti pronunciati contro la verità dell’accusa del sangue,
Bonelli assicurava di aver raccolto testimonianze a suo favore «non di
uno solo, ma ben di quattro in cinque convertiti», e che «ragion vuole
creduti vengano bastantemente dotti e pii». Il primo fra questi, era a suo
dire, «per Opere da lui date in luce, al mondo notissimo»: si trattava
di Paolo Medici, un neofita ex rabbino, di cui la storiografia più recente
non ha mancato di sottolineare il ruolo svolto nel proselitismo cattolico
e nella storia dell’antiebraismo del XVIII secolo.
In realtà, la lettura della Dissertazione apologetica, prima opera
storica di Bonelli, tenuta in gran conto da papa Lambertini, ci sembra
supporti quanto affermato da Elisabeth Garms a proposito della storiografia ecclesiastica sorta intorno a Benedetto XIV: «nella mente delle
stesse persone così attente alla storiografia ecclesiastica», scrive ancora
la Garms, «maturano i primi frutti della apologetica antiilluministica»;
cosicché, accanto ad opere in volgare che intendevano arginare l’ateismo
dilagante, fuoruscite dall’entourage del Lambertini, tra cui i cinque libri
del Concina, Della religione rivelata contro gli ateisti, deisti, materialisti,
indifferentisti, che negano la verità dei misteri (), va collocata pure
quest’opera di più basso profilo, anch’essa in volgare. La Dissertazione,
che riprendeva uno dei più fortunati stereotipi del sentimento antiebraico

I PAPI E LE ACCUSE DI OMICIDIO RITUALE
dopo l’attenzione prestata dai giansenisti ai testi e alla religione mosaica,
apriva la strada alla recrudescenza della produzione polemica antiebraica
di matrice cattolica della seconda metà del XVIII secolo. L’opera di Bonelli
conteneva nell’introduzione una lode accalorata a Benedetto XIV:
e giacché in questa Dissertazione non più ci verrà in acconcio lodare di questo
Eminentissimo Porporato, ora regnante Pontefice Benedetto XIV, le Opere; infra
le quali da quella De beatificatione et Canonizzazione SS. tratti da noi di sovente
furono, contra gli acattolici impugnatori del nostro Beato, ragguardevolissimi
lumi.
Il ricorso alla lingua italiana da parte «dell’internazionale degli apologeti», anche in questo caso non sarebbe tanto da ricondurre alle isolate
intenzioni degli autori, o a scelte editoriali mirate ed autonome, quanto
piuttosto ad un orientamento unitario ben preciso, che si espliciterà compiutamente soltanto qualche anno dopo in una lettera di Benedetto XIV al
Gerdil: la lotta da condurre contro l’ateismo sarebbe stata combattuta
con le sue stesse armi, ivi compresa una lingua più accessibile e lontana
dall’erudizione della dottrina. Quanto Bonelli – un francescano trentino
apparentemente lontano dagli ambienti curiali romani – fosse vicino a
questa sensibilità non è semplice a dirsi, né certo; resta il fatto che le sue
opere destinate ad una divulgazione più ampia, perché penetravano nel
nervo scoperto di alcune problematiche attuali, oltre che scottanti, quali
la già citata Dissertazione apologetica, ma anche le Animavversioni critiche
sopra il notturno congresso delle Lammie, furono scritte in italiano, e
destinate al coinvolgimento di un pubblico più vasto. Al contrario, la
monumentale opera su S. Bonaventura e quella sulla storia trentina
(che lo tennero occupato a lungo e per le quali si conquistò fama), furono
scritte in latino, in quanto più vicine all’erudizione di quanto non dovevano essere i precedenti lavori. È anche grazie a simili opere, destinate
ad avere risonanza presso i fedeli, che la Chiesa, allineata su posizioni
più intransigenti, andava definendo la propria strategia di difesa contro
l’attacco alla “tradizione” che animava le dispute dottrinarie sulla superstizione e sulla stregoneria. La vicenda, già citata, della polemica sorta
tra Bonelli e Tartarotti sulla santità di Adalpreto è emblematica di come
le autorità trentine stessero dietro l’operato del francescano, dato che la
Chiesa trentina gli commissionò alcune opere di storia religiosa finalizzate
alla lotta contro le opere di critica storica dell’illustre roveretano.
È certo che Bonelli fu a Roma tra il  e il  per difendere le
ragioni del suo ordine contro l’erezione di due nuovi conventi cappuccini
in Trentino (Malè e Condino), che avevano ricevuto l’aiuto del Principe
vescovo, Domenico Antonio Thun. La natura di Bonelli, contraddistinta
dal carattere battagliero, ne faceva l’uomo adatto alla rivendicazione

NICOLA CUSUMANO
degli interessi francescani della sua provincia presso la curia romana.
Inoltre, egli ebbe numerosi rapporti epistolari con Giuseppe Garampi,
«insostituibile nelle ricerche del materiale probatorio per le tesi curiali», figura centrale della curia romana, dotto rappresentante dell’ala
zelante e filopapale, con il quale scambiò informazioni e dal quale trasse
consigli almeno sino alla metà degli anni Sessanta. In una lettera spedita
da Bonelli a Garampi l’undici gennaio , il frate scrive di aver chiesto
al conte Giulio Agricola in Udine «de’ tre volumi che nella state passata
gli consegnai per deporli presso il negozio Remondini in Venezia e per
addirizzarli prontamente a Lei in Roma», ed esprime, inoltre, la delusione su un catalogo «de’ codici mss. della vaticana intorno alle opere di
S. Buonaventura, tanto imperfetto, che a nulla mi serve. […] a Lei mi
raccomando. Anche nelle biblioteche barberina ed angelica e in simili
altre penso che tra i mss. vi si troverà qualche cosa di S. Buonaventura».
Sarà ancora Garampi, con grande gioia del Bonelli, a farlo incontrare nel
castello del Buonconsiglio a Trento con il papa Pio VI ( maggio ) di
ritorno da Vienna, presentando al pontefice il francescano come importante scrittore ed editore delle opere di S. Bonaventura.
Ma occupiamoci adesso più da vicino della Beatus Andreas, cercando
di rendere in modo completo il senso di questo importante testo.

La bolla “Beatus Andreas”
Noi di nuovo un particolar contento provato abbiamo, come a dire quella vostra
ultima Dissertazione de Cultu S. Simonis pueri tridentini e Martyris apud Venetos,
notis illustrata: la quale […] di buon grado veduta abbiamo, e degno frutto ci
parve della singolar vostra erudizione, e del finissimo vostro discernimento. Vi
esortiamo pertanto a voler prender per mano, usando dello studio e dell’eccellente
opera vostra, moltissimi altri sacri argomenti, che dagli eruditi si desiderano, e di
rischiaramento abbisognano; perché con ciò un più distinto onore a voi derivandone, di maggior ornamento siate alla inclita vostra Patria, e più grande utilità
la Chiesa di Dio ne ritragga.
Questo elogio di Benedetto XIV che chiudeva una Lettera rivolta dal papa
al senatore veneto Flaminio Corner, del  – appena due anni prima del
pronunciamento papale della Beatus Andreas – esprimeva la stima nutrita
dal pontefice nei confronti «dell’amatissimo figliuolo, nobile uomo», ma
anche il valore che il Lambertini attribuiva agli scritti di storia religiosa
dell’erudito veneto. In realtà, l’opera di «rischiaramento» di cui necessitava qualsivoglia ricerca storica – istanza che rivestiva un ruolo primario
tra gli interessi del papa per le acquisizioni dell’erudizione maurino-muratoriana –, coincideva, in questo caso, con le argomentazioni adottate

I PAPI E LE ACCUSE DI OMICIDIO RITUALE
da Corner a supporto della tesi dell’omicidio rituale ebraico ai danni di
Simonino da Trento. Questo breve passo, apparentemente marginale nella
sterminata documentazione lasciataci da Benedetto XIV, bene introduce
la bolla Beatus Andreas, nella quale il Lambertini ribadiva nuovamente
l’importanza determinante del contributo fornitogli dall’opera di Corner
e di Bonelli.
Fu la vicenda di Andrea da Rinn, ennesimo caso di fanciullo “martirizzato” dagli ebrei in odio alla fede di Cristo, a indurre Benedetto XIV
a scrivere la lettera all’Assessore del Sant’Uffizio, Benedetto Veterani.
Riassumiamo brevemente il caso. Nel , stando al manoscritto in lingua
tedesca che il medico Ippolito Guarinoni stese circa un secolo dopo attingendo dalle narrazioni popolari e da un’iscrizione della chiesa di Rinn,
allora esistente, il fanciullo Andrea Oxner, di Rinn, in Tirolo (diocesi di
Bressanone), fu venduto dal suo patrigno ad alcuni mercanti ebrei. Questi
lo uccisero in un bosco e ne prelevarono il sangue raccogliendolo in alcuni
vasi. Nell’iscrizione della chiesa di Rinn, inoltre, raccontò il Guarinoni, si
leggeva che il denaro dato al patrigno si era trasformato in foglie secche e
che sulla tomba del povero fanciullo era nato un giglio. Il culto pubblico
si sviluppò immediatamente dopo il “martirio”. Purtroppo, null’altro si
può aggiungere alla citata testimonianza, giacché, come per tutti gli altri
casi di omicidio rituale attribuito agli ebrei, mancano del tutto elementi
concreti, indagini storiche e deposizioni credibili, assenze che lasciavano il
campo sgombro alla superstizione e alla sovreccitata fantasia popolare.
Benedetto XIV si occupa di Andrea da Rinn in apertura della Beatus
Andreas, affermando che questo fanciullo, che non aveva compiuto
ancora il terzo anno d’età, come Simonino da Trento, fu «barbaramente
trucidato dagli Ebrei in odio alla fede di Cristo». Egli aggiunge che il
culto si diffuse velocemente, crescendo «colla fama dei miracoli la divozione del popolo», che si radunò sempre più numeroso attorno alle
reliquie del fanciullo sepolto nella chiesa di S. Andrea Apostolo. Questa
devozione aveva spinto nella metà del Settecento il vescovo di Bressanone
«ed altri degni ecclesiastici» ad esercitare pressioni sulla Santa Sede per
ottenere la messa propria e l’officio, da recitarsi il  luglio, giorno della
morte del fanciullo. In data  settembre , prosegue Benedetto XIV, la
Santa Sede rispose che prima di queste concessioni bisognava celebrare
il processo «sopra la fama del Martirio e de’ Miracoli, e sopra il Culto
immemorabile», essendo questo il normale procedimento da seguire
prima di concedere l’officio e la messa. Ma tale risposta non piacque alle
autorità locali, per il fatto che lo svolgimento dei due processi avrebbe
richiesto a Bressanone «di impiegarvi molto tempo, gran fatica, e spesa».
Si chiedeva quindi, anche sulla base di quanto scritto dallo stesso pontefice su diversi casi di concessione di offici e messe senza processi, che lo

NICOLA CUSUMANO
stesso fosse fatto per il pubblico culto del fanciullo di Rinn; ciò obbligò
la Santa Sede ad effettuare ulteriori accertamenti. Non era ignota alla
Chiesa la storia del «Beato Andrea, né ci era ignoto il di lui Martirio»,
afferma il Lambertini, e questo grazie ad alcune opere, tra le quali le
scritture dei bollandisti. Ma fu la storia manoscritta del già citato Ippolito
Guarinoni ad essere decisiva per l’interessamento della Santa Sede, che
volse la sua attenzione anche alla Dissertazione apologetica, attribuita
a Benedetto da Cavalese, come attestato «dal celebre Flaminio Cornaro
Senator Veneto nella sua bell’opera de Cultu S. Simonis Pueri Tridentini
e Martyris, alla p.  ove non lascia di dare le dovute lodi al sopraddetto
degno religioso».
Inoltre, avendo avuto notizia che v’era un antico processo fatto con l’autorità ordinaria sopra il Culto di questo Beato Andrea, ne facemmo venire copia autentica.
[...] Dopo aver tutto maturamente considerato, pel canale della Congregazione
de’ Riti, [...] facemmo sotto il giorno  Dicembre  la concessione della Messa
propria, e le Lezioni proprie. [...] E ad istanza pure del sopraddetto vescovo di
Bressanone, nel giorno  Gennaio  concedemmo l’Indulgenza plenaria a chi
confessato e comunicato avesse divotamente nel giorno  di Luglio di ciaschedun
anno visitata la Chiesa rinnense, in cui sono le reliquie del Beato Andrea.
A questo punto Benedetto XIV introduce il caso di Simonino da Trento,
affermando che:
fra le concessioni da noi fatte per il Culto del Beato Andrea, e le concessioni fatte
da’ nostri predecessori pel Culto del Beato Simone, non v’è altra differenza, se
non che per ordine del Pontefice Gregorio XIII fu posto il nome del Beato Simone
nel Martirologio Romano, [...] ma ciò da noi non è stato fatto.
In sostanza, per quanto riguarda il caso di Trento, Sisto IV proibì il culto
pubblico sino a quando vi furono dubbi sulla fondatezza dell’accusa, ma
non poté fare a meno di ammettere la ritualità del procedimento seguito
contro gli ebrei, con un breve del  giugno del , pur non ammettendo il culto di Simone. Solo successivamente, sotto il pontificato di Sisto
V, «essendosi […] posto il tutto in chiaro, ed essendosi colle prove alla
mano fatta vedere unitamente colla morte la causa della morte, e che gli
uccisori erano stati gli Ebrei», nel  fu concessa la messa propria e
l’officio da potersi recitare nella città e diocesi di Trento, con l’aggiunta
dell’indulgenza plenaria a chi, nel giorno della festa del beato, avesse
visitato la chiesa dove erano deposte le reliquie di Simonino.
Prima di proseguire nell’analisi sulla trattazione, è opportuno non
omettere alcune delle espressioni linguistiche usate da Benedetto XIV con
riferimento al caso di Trento. Simonino fu «trucidato», a suo dire, dagli

I PAPI E LE ACCUSE DI OMICIDIO RITUALE
ebrei, ed aggiunge: «furono tanti gli artificj usati dagli Ebrei per sottrarsi
dalle dovute pene e liberarsi dal giusto odio conceputo contra di loro
dai Cristiani». La più recente storiografia, e in particolare lo studio di
Anna Esposito e Diego Quaglioni in cui sono stati pubblicati gli atti dei
processi trentini, ha ampiamente dimostrato non semplicemente l’ovvia
estraneità degli ebrei ai fatti loro imputati, ma come dapprima il clima
ostile, e poi la macchina inquisitoria e le torture, avessero vanificato ogni
loro legittimo tentativo di resistenza. Inoltre, le stesse autorità ecclesiastiche erano già all’epoca divise relativamente alla credenza all’accusa
di omicidio rituale. Il fatto che Benedetto XIV incentri tutta la sua lettera
sul problema della canonizzazione, emettendo soltanto giudizi radi, ma
netti e lapidari, sulle colpe da attribuire agli ebrei, e non penetrando mai
nella “sostanzialità” dell’accusa del sangue, esplicita chiaramente quanto
il pontefice non intendesse mettere in discussione tale credenza di fronte
al popolo della Chiesa.
Quanto al caso di Andrea da Rinn, la cui importante trattazione
metterà l’autore in condizione di giungere alla definizione dei criteri di
canonizzazione della santità infantile, il papa afferma, proseguendo, che
se i devoti del fanciullo rinnense si fossero accontentati delle avvenute
concessioni (la messa e l’officio) «e non si fossero dipoi avanzati a passi
ulteriori, ed a incamminare la Causa alla formale Canonizzazione», non
ci sarebbe stato alcun motivo di scrivere la Beatus Andreas e di occuparsi
della definizione della materia. In ogni modo, dovendo attribuirsi il loro
mutamento d’opinione a un «nuovo impulso di devozione», non era il
caso di condannare questo comportamento. Segue l’ingiunzione all’Assessore al Sant’Uffizio, che «non lascerà di esigere un nuovo Apostolico
Processo», ma anche una più appropriata esamina degli storici che
raccontano il “martirio”, onde abbiano «i requisiti necessarj per far prova
nel giudizio della formale Canonizzazione». Inoltre, egli avrebbe dovuto
verificare i miracoli seguiti alla concessione del pubblico culto,
non bastando due Segni, o due Miracoli; ma dovendo essere quattro, imperrocché
la Causa del Beato Andrea non può appoggiarsi, quanto al Martirio, e causa del
Martirio, a prove dirette, cioè a’ Testimoni “de visu”, ma a prove sussidiarie,
cioè a Testimoni “de auditu”.
La peculiarità del caso in questione consisteva nel fatto che non vi era
stato, prima di allora, «un esempio di simile Canonizzazione, cioè della
Canonizzazione d’un Fanciullo ucciso per odio della Fede». Secondo
le parole di Benedetto XIV, sono gli ebrei, quindi, a procurare questo
martire ucciso per odio della fede cristiana.
Prima di prendere le opportune decisioni in merito (che arriveranno
solo in conclusione della Beatus Andreas), il papa, al punto IX della lettera,

NICOLA CUSUMANO
dichiara di voler riassumere brevemente quanto insegnano i teologi in
relazione ai fanciulli. Siamo così giunti al problema centrale dei «Martiri
Infanti», ampiamente dibattuto dalla dottrina cattolica. Non può esser
dimostrato, afferma Lambertini, quanto vorrebbero alcuni teologi, e
cioè che per uno «speciale privilegio» di Dio fosse accelerato in loro
l’uso della ragione. La Chiesa ha piuttosto sostenuto che gli infanti di
Betlemme (cioè i bambini fatti uccidere nell’antichità da Erode, nella
strage degli innocenti) sono dei martiri in virtù del fatto che sono morti
a causa della fede di Cristo; anche se non hanno scelto ciò con un atto
di libera volontà, morendo così hanno acquisito la gloria del martirio
«pel merito di Gesù Cristo». Seguono i riferimenti ad una lunga serie
di bambini «martiri in odio della Fede di Cristo». Alcuni compongono il
Martirologio Romano; quanto agli altri, le loro reliquie «si sono ritrovate
ne’ cimiteri de’ nostri antichi cristiani». I bollandisti citano «Simonino
fanciullo di Trento», e nella Dissertazione apologetica di Bonelli si parla
del «fanciullo Lorenzino» [da Marostica].
Su tutti costoro – afferma Lambertini – noi non ci impegniamo a sostenere [...] che
fossero veramente in quell’età in cui non distinguevano il bene dal male, quando
furono uccisi, ancorché alcuni d’essi sieno chiamati “Puer”, ed altri “Infans”. Con
ogni ingenuità riconosciamo, che, benché alcuni siano chiamati Fanciulli, alcuni
però d’essi erano chi in età di dodici anni, chi di nove, e chi di sette.
Riguardo all’argomento del culto, per la Chiesa quegli infanti erano
martiri solo opere, avendo sopportato il martirio in un’età in cui non
avevano ancora la capacità di discernere il bene dal male. Segue, a questo
punto, nel testo, la classificazione degli «infanti martiri», utile affinché
si possa «isfuggir alla confusione» a cui il discorso potrebbe condurre.
La prima classe riguarda quegli infanti che furono venerati sin dai tempi
più remoti; di essa fanno parte «gli innocenti di Betlemme», che non
soltanto furono martiri, ma per il fatto che il loro culto si diffuse in tutti i
territori della Chiesa furono anche canonizzati. La seconda classe è la più
ampia, perché comprende gli «infanti uccisi in odio alla Fede di Cristo,
che sono da tempo immemorabile in qualche città, o Diocesi, in possesso
di un pubblico Culto, colla scienza, e tolleranza ed anche alle volte con
la positiva approvazione degli Ordinari». Ad essi fanno riferimento gli
Annali del cardinal Baronio e il Martirologio Romano; il «Beato Lorenzino», tra gli altri, entrava in questa seconda classe, in quanto un antico
attestato della curia arcivescovile di Padova mostrava l’antichità del suo
culto. Benedetto XIV riporta fedelmente l’attestato così come era esposto
nella Dissertazione apologetica di Bonelli:
Il culto religioso verso cotesto Santo Fanciullo si è mantenuto sempre invariabile

I PAPI E LE ACCUSE DI OMICIDIO RITUALE
nel lungo corso d’anni dugento Sessanta dal suo Martirio fino al presente, così
in Marostica, come ne’ luoghi vicini, informati del di lui sacrifizio alla rabbia
Giudaica. Nelle urgenze sì private e sì pubbliche di questi popoli, si ricorre a
Dio Signore col mezzo del di lui credito, scoprendosi in tal occasione l’Arca del
suo Sacro Deposito, per sempre più infervorare i Supplicanti.
Eppure, precisa Benedetto XIV, nonostante essi godano di un culto immemorabile,
Non si può dire che essi siano beatificati dalla Santa Sede, [...] né essendosi
sopra esso formato verun Processo, o trasmesso a Roma al Romano Pontefice,
acciò l’approvasse, molto meno si possono dire canonizzati; sì perché il Culto
non è esteso alla Chiesa universale; sì perché manca il finale giudizio, che per la
Canonizzazione è necessario che si interponga dal Pontefice Romano.
La Chiesa, in precedenza, si era già espressa con Urbano VIII; questo
pontefice decise non soltanto l’esclusiva pertinenza del papa relativamente
all’approvazione di tutti i culti, ma anche di accettare i culti pubblici che
risalivano a cento anni prima dei suoi decreti.
La terza classe di «infanti Martiri» è composta da tutti coloro i cui
nomi sono impressi nelle lapidi sepolcrali, o le cui ossa e reliquie sono
esposte nelle catacombe romane «con le divise del Martirio», e «si espongono nelle Chiese alla pubblica venerazione». L’approvazione di questi
culti da parte della Santa Sede derivava dal fatto che essa «ripone il fondamento della sua concessione ne’ segni indubitabili del Martirio ritrovati
ne’ loro sepolcri». Ma, precisa ancora una volta il Lambertini, ciò non
significa che questi martiri siano stati canonizzati dalla Santa Sede.
Quanto all’ultima classe, essa comprende i fanciulli “martiri” che sono
già stati beatificati, e che al termine della beatificazione possono ottenere
anche la canonizzazione. Ma, a questo proposito, giunge la precisazione
di Lambertini: «dal Pontefice Alessandro III fu introdotta e stabilita la
disciplina, che al solo Romano Pontefice appartenga la concessione [...]
del Culto ne’ luoghi particolari, ed in qualsiasi Diocesi del mondo».
Il processo d’affermazione del principio della riserva papale sulla
canonizzazione, che va da Urbano VIII a Benedetto XIV, esplicitò l’irriducibile volontà romana di superare la linea di demarcazione tra la santità
ufficiale e le devozioni locali che sfuggivano al controllo dell’autorità
centrale della Chiesa. In più punti della Beatus Andreas il Lambertini
torna su questa decisiva prerogativa papale. Il papa, scrive ancora, non
ha soltanto il potere di «ordinare per via di precetto il Culto nella Chiesa
Universale» (e cioè di canonizzare), ma anche quello di permettere i culti
in «qualche città, o Diocesi» (la beatificazione).
All’ultima classe di “martiri” appartengono anche Simonino da Trento

NICOLA CUSUMANO
e Andrea da Rinn, «potendosi dire ambidue già beatificati da questa Santa
Sede con Beatificazione, se non formale, almeno equipollente»; a prova
di ciò vi era la concessione dell’officio e della messa ristretta ai luoghi in
cui si svolsero queste vicende.
Ora, prosegue l’autore, nonostante il «Beato Simone» sia nel Martirologio Romano, non si può però dire che esso sia stato canonizzato.
E infatti «non v’è chi parli in ordine alla Canonizzazione»; cosa che
accadeva invece per il «Beato Andrea» da Rinn.
Siamo quindi al cuore del problema e cioè, se si deve dare corso
alla canonizzazione del medesimo Andrea, aprendo, più in generale,
un nuovo versante all’interno della questione delle canonizzazioni degli
«Infanti Martiri». Canonizzazioni che riguarderebbero «tutte le Cause
de’ Fanciulli uccisi [...] in quella età in cui non possono discernere il
bene dal male, e che, essendo Martiri, lo sono, non voluntate et opere,
ma solamente opere, per servirci del linguaggio di San Bernardo». Non
esistevano precedenti canonizzazioni di fanciulli, con esclusione degli
infanti di Betlemme, «ed il non ritrovarsi esempio nel corso di molti
secoli, ancorché non sieno mancate occasioni di poterlo introdurre, è
una circostanza di gran rilievo, e che ingombra la testa a chi non è amico
di novità». Questo è un punto estremamente interessante: non si vuole
negare il fatto che questi fanciulli hanno patito la morte per Cristo, ma
qui, per Benedetto XIV, è in gioco la stessa credibilità della canonizzazione
che, se diffusa e indistinta, può condurre ad un’attenuazione del «fulgore
delle Canonizzazioni».
Se è sistema approvato, che non si apra una larga strada alle Canonizzazioni, per
non renderle dispregevoli, [...] sembra potersi temere, che per appunto si apra la
strada al temuto inconveniente, ogni qual volta si ammettano alla Canonizzazione
i Fanciulli uccisi per la Fede di Cristo, e per la ragione che sono Martiri.
La questione è quella, quindi, di tenere ben presente il giusto equilibrio,
e l’elemento di differenza, tra i beati e i santi; all’origine della preoccupazione del pontefice v’è la possibilità di un “indebolimento” della figura
del santo, a cui si rischierebbe di andare incontro con una politica delle
canonizzazioni eccessivamente larga e permissiva. Il santo, al contrario,
mantiene la sua esemplarità anche in relazione al numero di individui
canonizzati.
L’atteggiamento di Benedetto XIV è qui certamente volto alla tutela
dell’istituto della canonizzazione, ma, per l’ennesima volta, la sua intelligenza è portata ad una valutazione “politica” della questione. Si può, ci
chiediamo però, guardare alla problematica della canonizzazione degli
infanti “martirizzati” dagli ebrei come se essa consistesse soltanto in un
problema di equilibri da prendere in considerazione e mantenere, o di

I PAPI E LE ACCUSE DI OMICIDIO RITUALE
norme da regolare? L’abile canonista qui, sembra non curarsi troppo di
quelle che sono le implicazioni culturali della problematica che affronta,
sulle quali sembra sorvolare, preferendo ritenere come veri e reali quelli
che soltanto quattro anni dopo la Beatus Andreas, verranno definiti da
Lorenzo Ganganelli come «pregiudizij». L’essenziale è, qui, non tanto
stabilire quanto e se Lambertini credesse all’accusa del sangue, ma
comprendere quanto tenesse a non disorientare il suo gregge, che aveva
sull’argomento un’opinione consolidata nei secoli, attraverso una plateale
negazione della realtà dell’omicidio rituale. In quel particolare frangente
storico, tale negazione sarebbe stata poco opportuna rispetto alla primaria
esigenza di “tenuta” e di compattamento del fronte cattolico sul cui orizzonte gravavano nubi sempre più minacciose. Benedetto XIV non ebbe il
coraggio di fare (o non volle fare), insomma, ciò che i suoi predecessori
avevano fatto a più riprese, soprattutto durante il medioevo: ben quattro
bolle di Innocenzo IV (      ¼  
   ), oltre a quelle di Gregorio X ( ottobre ), Martino V
( febbraio ), Nicolò V ( novembre ) e Paolo III ( 
), avevano con forza, ma invano, cercato di chiarire per sempre
l’inconsistenza dell’accusa del sangue. Il Lambertini, piuttosto, preferì
recepire ben altra lezione da un lontano pontefice (ulteriore circostanza,
questa, per la quale è giusto aderire con minor entusiasmo alla tesi della
“tolleranza” lambertiniana). Infatti, prendendo posizione nella delicata
questione dell’opportunità di restituire ai legittimi genitori i fanciulli loro
strappati e battezzati a forza, negò la restituzione e riattualizzò un decreto
di Bonifacio VIII: se gli ebrei fossero tornati alla loro religione originaria,
sarebbero stati trattati alla stregua degli eretici.
Si antem postquam adoleverint, suo ipsi infortunio Catholicam Fidem desererent, et Hebraerorum ritibus adhaererent, contra eosdem legibus utendum
esset, ut contra Haereticos, juxta Decretalem Bonifacii VIII. In Cap. Contra, de
Haereticis, in sexto: Contra Christianos, qui ad ritum transierint, vel redierint Judaeorum, etiamsi huiusmodi redeuntes, dum erant infantes etc. baptizati fuerunt,
erit tamquam contra Haereticos, si fuerint de hoc confessi, aut per Christianos, seu
Judaeos convicti etc. procedendum.
Benedetto XIV accettava qui, e senza troppi indugi, un decreto repressivo
che non teneva conto del fatto che i fanciulli che erano stati portati via
dalle loro famiglie in tenera età, e in stato d’incoscienza, una volta cresciuti
potessero riaccostarsi alla religione dei padri.
Tornando alla Beatus Andreas, le questioni più ampiamente poste
sono tre. In primo luogo, si pone il problema dell’età in cui un fanciullo
può essere canonizzato; successivamente il problema viene spostato su chi
opera effettivamente le canonizzazioni che, per essere valide devono pas-

NICOLA CUSUMANO
sare soltanto attraverso l’approvazione del pontefice; e, infine, si affronta
il nodo cruciale del controllo e soprattutto del restringimento delle stesse.
Come ulteriore supporto al suo argomento, Benedetto XIV, al punto XXVI
del testo, prosegue affermando che S. Tommaso e i teologi distinsero, per
i martiri in paradiso, tra la «gloria essenziale» (che si definisce aurea) e la
«gloria accidentale» (che si definisce aureola); ora, l’aureola, che consiste
«in una certa allegrezza che provano» poiché hanno vinto la loro battaglia
contro il mondo nel nome di Cristo, «sopportando volontariamente la
morte», non è di quei fanciulli i quali, pur essendo stati martiri, «lo sono
stati solo opere, non voluntate». Costoro, scrive,
non è ben fatto, che si ammettano alla Canonizzazione; annoverandosi fra i motivi
di questa ancor quello, che le gesta del canonizzato servano di esempio ai fedeli
in tutto il Mondo Cattolico, quali gesta mancano nel Fanciullo ammazzato per
Cristo.
Non è sull’esperienza del martirio, solitamente riservata a persone mature,
che il pontefice basa qui la sua critica ai fanciulli beatificati. Essi possono,
evidentemente, vivere il martirio; il problema è che l’età infantile non è
di per sé un’età in cui si possa richiedere una fermezza d’animo tale da
consentire di affrontare consapevolmente la morte per l’attaccamento
alla fede: che è poi ciò che maggiormente interessava alla Chiesa, tutta
presa dall’esigenza di indicare modelli “imitabili” di santità. Tale esigenza
rappresentava il consolidamento di una santità moderna, ormai sganciata
dalla tradizionale santità medievale, contraddistinta dalla sua funzione
taumaturgica e in declino già dal XIV secolo; è in epoca moderna che si
assiste ad una riproposizione della figura del santo come modello imitabile («anzi, da imitarsi»), più che come taumaturgo. Scrive Giuseppe
Dalla Torre:
nella bolla Beatus Andreas – documento per molti versi davvero fondamentale
per la storia del processo di beatificazione e canonizzazione – Benedetto XIV
dimostrò la non convenienza della canonizzazione dei minori martirizzati a causa
della fede, per la ragione che da essi nessun esempio di virtù possono ricavare i
fedeli, essendo stati impossibilitati a fornirlo in così tenera età.
Quanto all’obiezione che nemmeno gli «infanti di Betlemme» abbiano
meritato l’onore della canonizzazione, in quanto anch’essi privi dell’aureola del martirio, Benedetto XIV ricorda la circostanza in cui furono uccisi
(unica nella storia della religione cristiana, in quanto questi fanciulli vennero prima di tutti i martiri, persino di Pietro apostolo, perché morirono
appena dopo la venuta del Signore), nonché l’antichissima devozione nei
loro confronti, fondata sulla tradizione e sulla dottrina dei Padri della

I PAPI E LE ACCUSE DI OMICIDIO RITUALE
Chiesa. Ecco quindi che
sembra potersi replicare, essere Martiri i Fanciulli di Betlemme, esser a loro
simiglianza Martiri anche gli altri, che avanti l’uso della ragione muojono per
Cristo; ma che, avendo i primi in loro favore la tradizione e la dottrina de’ Padri,
e la continuata tradizione della Chiesa, ed avendo i secondi a loro favore la sola
benché rispettabile opinione de’ Teologi, non dee recar meraviglia, se ai primi
si dia qualche cosa di più, che non si dà ai secondi.
Arriviamo così al punto XXIX della Beatus Andreas, che chiude il testo con
l’atteso pronunciamento di Benedetto XIV, rivolto all’Assessore del Sant’Uffizio, sull’opportunità della canonizzazione del «Beato Andrea»:
Resta ora, che il tutto si esamini, e si veda, se è conveniente, che si dia corso alla
Causa del Beato Andrea; o se è meglio, che si fermi nello stato in cui è, che è per
l’appunto quello stesso, in cui si ritrova l’altra del Beato Simone. E perché non
è impossibile, che si risveglino altre simili istanze, sarà proprio della di lei diligenza, e del prudente consiglio degli altri, che da Noi saranno eletti, il suggerire
il partito che dovrà prendersi, quando succeda il caso, che per lo più suol essere di
qualche Fanciullo ammazzato dagli Ebrei nella Settimana Santa in onta di Cristo,
tali essendo gl’Infanticidi dei Beati Simone, ed Andrea, e d’una gran parte degli altri
commemorati dagli Autori: potendo sembrare a tal uno, che, quando si volesse
lasciar aperta la strada alle Cause di questi Infanticidj, dovrebbero questi essere
stati clamorosi, noti al popolo, maledetti da tutti, e vendicati dai Magistrati, e
che anche fosse bene, giacché si tratta di Martiri «non voluntate & opere, sed
solo opere», l’accrescere il numero de’ Segni e de’ Miracoli oltre il solito, per
ottenere la formale Canonizzazione.
Dunque Benedetto XIV afferma che sul caso di Andrea da Rinn è utile
un’opportuna e completa valutazione, lasciando intendere la possibilità
– nonostante le argomentazioni sin qui svolte – di una sua canonizzazione. Egli ipotizza, inoltre, che in futuro potrebbero verificarsi altri casi
di richieste di canonizzazioni di vittime di omicidio rituale perpetrato
dagli ebrei ai danni di fanciulli cristiani, e suggerisce conseguentemente
come comportarsi di fronte a questa evenienza. Dopo avere affermato
che gli infanticidi di Simonino e di Andrea da Rinn sono omicidi rituali
«in onta di Cristo», giunge all’ammissione della realtà di altri casi di
omicidio rituale, quelli commemorati dagli “autori”, accettando per veri
altri infanticidi degli ebrei, ma accennando ad essi solo a margine della
questione della disciplina delle canonizzazioni.
In conclusione, a differenza di Lorenzo Ganganelli – che da consultore del Sant’Uffizio avrebbe ricevuto di lì a poco l’incarico di far chiarezza
sull’accusa di omicidio rituale rivolta agli ebrei in Polonia, nella Beatus
Andreas Benedetto XIV lambì soltanto la delicata questione dell’accusa

NICOLA CUSUMANO
del sangue, incentrando tutta la trattazione sull’opportunità di procedere
con estrema cautela nella concessione della santità agli infanti martirizzati. Certamente, la relazione del Ganganelli era un testo finalizzato al
chiarimento della questione dell’accusa di omicidio rituale, richiesto ad
un proprio consultore dall’organo preposto alla gestione di simili casi (il
Sant’Uffizio), diversamente dalla bolla papale del Lambertini, centrata più
specificamente sull’argomento della canonizzazione degli infanti a martirii
avvenuti. Questa differenza formale consente a Benedetto XIV di occuparsi
esclusivamente dell’approfondimento del secondo aspetto della vicenda,
quello legato alla proliferazione dei culti degli infanti uccisi «in odio alla
fede di Cristo». Tuttavia, dal testo emerge chiaramente quale sia la sua
convinzione in relazione alla realtà dell’accusa di omicidio rituale.
La lettura della Beatus Andreas evidenzia con chiarezza la straordinaria importanza che egli attribuiva al disciplinamento di una questione
così scottante. Il papa intese scongiurare l’ipotesi di estendere le canonizzazioni non soltanto agli infanti «martirizzati in odio alla fede di Cristo»,
ma anche a coloro che furono ammazzati «nelle guerre di religione, negli
asfalti delle Città, nelle sorprese delle piazze», o a coloro che venivano
uccisi ancora nel ventre della madre, «o resti viva, o muoia con essi la
predetta loro genitrice». Un’ulteriore riflessione del Lambertini è rivolta
ai casi nei quali
quanto vien detto de’ fanciulli ammazzati prima dell’uso della ragione in odio
di Cristo, si pretende, che debba estendersi anche agli adulti che non hanno
mai avuto l’uso della ragione [i pazzi], se a questi fosse stata tolta la vita dagli
inimici di Cristo, e per odio contro la fede, supponendosi simili in tutto e per
tutto ai Fanciulli.
Tra le innumerevoli preoccupazioni di Benedetto XIV, in sostanza, non vi
fu certamente quella relativa all’infondatezza dell’accusa del sangue. Con
la bolla del Lambertini del  giunse, quindi, la conferma autorevolissima
di uno stereotipo antiebraico tra i più violenti. Con essa, la Santa Sede
perse l’occasione di una sua condanna esplicita, legittimando così la posizione che sarebbe stata espressa negli innumerevoli libelli della seconda
metà del XVIII secolo sul tema dell’omicidio rituale ebraico. L’effetto che
tali opuscoli miravano a raggiungere fu quello di incrementare la fobia
antiebraica nelle comunità locali, esasperando un dibattito, quello sugli
ebrei, nel quale, come avrebbe scritto solo pochi anni dopo la Beatus
Andreas Lorenzo Ganganelli, «non vi vuole fanatismo».
Note
* Il presente articolo costituisce lo sviluppo di una ricerca da me iniziata nel ,

I PAPI E LE ACCUSE DI OMICIDIO RITUALE
nel corso dei lavori relativi alla tesi di laurea: Le riprese delle accuse di omicidio rituale nel
Settecento. Di queste tematiche continuo ad occuparmi per la tesi di dottorato.
. Beatus Andreas, Roma  febbraio  (Pueros Ante Usum Rationis in odium
Christi occisus an canonizari expediat, disquiritur, et in hanc rem plura de Martyrio horum
Puerorum, cultuque publico eisdem in Ecclesia prestito; et de Martyrio cultuque praesertim
Beati Andreae Rinensis, cujus institutae Canonizationis causa conscribendae Epistolae occasio
fuit, distinctim adnotantur), in Bullarium Romanum, v. , Prati Typographia Aldina, ,
pp. -. Nel presente lavoro farò riferimento alla versione italiana della bolla: Il Beato
Andrea. Lettera della Santità di nostro Signore Benedetto. Papa XIV. A Monsignore Benedetto
Veterani avvocato concistoriale, e promotore della Fede, presso S. Maria Maggiore, Roma
 Febbraio .
. M. Rosa, Benedetto XIV, in “Dizionario biografico degli Italiani”, Istituto della Enciclopedia Italiana, Roma , v. , pp. -, ora in “Enciclopedia dei Papi”, Istituto
della Enciclopedia Italiana, Roma , t. III, pp. -; Id., Tra Muratori, il giansenismo
e i lumi: profilo di Benedetto XIV, in Riformatori e ribelli nel ’ religioso italiano, Dedalo,
Bari , pp. -; Id., Cattolicesimo e lumi: la condanna romana dell’Esprit de lois, in
Riformatori e ribelli, cit., pp. -, -; Id., Regalità e «douceur» nell’Europa del ’:
la contrastata devozione al Sacro Cuore, in F. Traniello (a cura di), Dai quaccheri a Gandhi.
Studi di storia religiosa in onore di Ettore Passerin d’Entrèves, Il Mulino, Bologna , pp.
-; Id., Prospero Lambertini tra regolata devozione e mistica visionaria, in G. Zarri (a
cura di), Finzione e santità tra medioevo ed età moderna, Rosenberg e Sellier, Torino ,
pp. -; Id., La Santa Sede e gli Ebrei nel Settecento, in Storia d’Italia, Annali , Gli
Ebrei in Italia, a cura di C. Vivanti, t. II, Dall’emancipazione a oggi, Einaudi, Torino ,
pp. -; Id., Settecento religioso. Politica della Ragione e religione del cuore, Marsilio,
Venezia .
. Benedetto XIV, De Servorum Dei beatificatione et beatorum canonizatione, edita
nell’Opera Omnia, voll. I-VII, Prati Typographia Aldina, -.
. Cfr. S. Levi Della Torre, Il delitto eucaristico, in Id., Mosaico. Attualità ed inattualità
degli ebrei, Rosenberg e Sellier, Torino , pp. -. Sull’accusa di omicidio rituale
rivolta agli ebrei, cfr. F. Jesi, L’accusa del sangue. Mitologie dell’antisemitismo, Morcelliana,
Brescia .
. Levi Della Torre, Il delitto eucaristico, cit., p. .
. Già l’osservazione del noto caso di Simonino da Trento (), che si colloca significativamente tra la fine del medioevo e l’inizio dell’età moderna – vero e proprio “paradigma” dell’accusa del sangue in Italia – supporta quanto qui affermato. All’iniziale prudenza
di Sisto IV – che, comunque, avrebbe difeso gli ebrei imputati solo dopo la loro uccisione
– seguì l’invio a Trento di un commissario apostolico, il domenicano Battista de’ Giudici,
il quale scagionò gli ebrei dall’accusa, sostenendo la loro innocenza. Costui, però, trovò
una forte opposizione nella curia romana, che intendeva sostenere la realtà del martirio.
Fu peraltro un umanista, il Platina, a fornire alla curia il sostegno alle sue tesi attraverso
dotte argomentazioni (su questo, cfr. Battista de’ Giudici, Apologia Iudaeorum – Invectiva
contra Platinam. Propaganda antiebraica e polemiche di Curia durante il pontificato di Sisto IV
(-), a cura di D. Quaglioni, Roma ); più ampiamente, con l’avvento della nuova
età, il linguaggio antiebraico degli Stati moderni in via di accentramento trovò spesso un
inaspettato alleato in parte della cultura umanistica, certamente in quella restia a negare
la realtà dell’omicidio rituale (su questo argomento, cfr. A. Foa, L’immagine dell’ebreo tra
magia e superstizione, in P. Alatri, S. Grassi (a cura di), La questione ebraica dall’Illuminismo
all’Impero (-), Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli , pp. -).
. Al XII secolo risale il primo caso storicamente riportato di accusa d’omicidio rituale
rivolta agli ebrei, verificatosi in Inghilterra, presso Norwich (). Il ritrovamento del
corpo di un fanciullo alla vigilia del venerdì santo fu all’origine dell’idea che il fanciullo
fosse stato ucciso dagli ebrei con l’intenzione di irridere la Passione di Cristo. Animerà
analoghe accuse, di lì in avanti, l’idea di una reiterazione del deicidio rinnovato dal popolo

NICOLA CUSUMANO
di Abramo proprio sui più inermi fra i membri della comunità cristiana.
. G. Miccoli, Santa Sede, questione ebraica e antisemitismo fra Otto e Novecento, in
Storia d’Italia, Annali , Gli Ebrei in Italia, (a cura di C. Vivanti), t. II, cit., pp. -.
. La Relazione di Lorenzo Ganganelli è stata pubblicata a più riprese. Negli anni
Trenta del XX secolo apparve l’edizione più recente, curata da C. Roth, The Ritual Murder
Libel and the Jews. The Report by Cardinal Lorenzo Ganganelli (Pope Clement XIV), The
Woburn Press, London . Il materiale relativo alla questione polacca con il votum di
Ganganelli si trova presso l’Archivio della Congregazione per la Dottrina della Fede,
Sant’Officio, St. St., TT-c-d.
. Miccoli, Santa Sede, questione ebraica e antisemitismo, cit., p. .
. Anche M. Caffiero ha sottolineato l’importanza di questo richiamo novecentesco
a Benedetto XIV: Id., Alle origini dell’antisemitismo politico: l’accusa di omicidio rituale nel
Sei-Settecento tra autodifesa degli ebrei e pronunciamenti papali, in G. Miccoli, C. Brice (a
cura di), Le radici cristiane dell’antisemitismo politico (fine XIX-XX secolo), Ecole Française
de Rome, Roma (di prossima pubblicazione).
. Rosa, Tra Muratori, il giansenismo e i lumi, cit., p. .
. M. Rosa, Tra tolleranza e repressione: Roma e gli ebrei nel ’, in Italia Judaica,
III, Ministero per i Beni Culturali e Ambientali, Ufficio Centrale per i Beni Archivistici,
Roma , p. .
. Rosa, Tra Muratori, il giansenismo e i lumi, cit., p. .
. Sul pontificato del Lambertini, cfr. C. Donati, La Chiesa di Roma tra antico regime
e riforme settecentesche (-), in Storia d’Italia, Annali , La Chiesa e il potere politico
dal Medioevo all’età contemporanea, (a cura di G. Chittolini e G. Miccoli), Einaudi, Torino
, in part. pp. -.
. E. Garms-Cornides, Storia, politica e apologia in Benedetto XIV: alle radici della
reazione cattolica, in Papes et papauté au XVIII siècle, VI colloque Franco-Italien, Société
française d’étude du XVIII siècle, Université de Turin et de Savoie (Chambéry - septembre ), a cura di P. Koeppel, Honoré Champion Editeur, Paris .
. Ivi, pp. -.
. Editto sopra gli Ebrei, Roma  aprile , in Biblioteca Apostolica Vaticana, «Raccolta Generale Diritto Canonico», III.  (int. ), «Disposizioni concernenti gli Ebrei che
dimorano nello Stato Pontificio», in partic. nn. , ,  e .
. Bolla Apostolici Ministerii munus, Roma  settembre  (Super abusu libelli
Repudii Conversorum a Judaismo ad Fidem Catholicam), in Bullarium Romanum, v. ,
Prati in Typographia Aldina, , pp. -. Cfr. anche M. Caffiero, Tra Chiesa e Stato.
Gli ebrei italiani dall’età dei Lumi agli anni della Rivoluzione, in Storia d’Italia, Annali ,
Gli Ebrei in Italia, (a cura di C. Vivanti), t. II, cit., pp. .
. B. Bonelli, Dissertazione apologetica sopra il Martirio del Beato Simone da Trento,
per Giambattista Parone Stampator Vescovile, con licenza de’ Superiori, Trento . Su B.
Bonelli cfr. N. Toneatti, Cenni intorno alla vita e agli scritti del padre B. Bonelli da Cavalese,
Trento ; C. Von Wurzbach, Cenni intorno alla vita e agli scritti del padre B. Bonelli,
Trento ; O. Dell’Antonio, L’attività storica dei francescani trentini, in Contributi alla
storia dei frati minori della Provincia di Trento, Arti grafiche Tridentum, Trento . Più
recentemente: G. Pignatelli, Benedetto Bonelli, in “Dizionario biografico degli Italiani”,
Istituto della Enciclopedia Italiana, Roma , v. , pp. -; E. Onorati, P. Benedetto
Bonelli francescano. Storico trentino bonaventuriano (-), Edizioni Biblioteca PP.
Francescani, Trento .
. L’espressione «polemica diabolica», adoperata per la prima volta da Dino Provenzal all’inizio del Novecento (Id., Una polemica diabolica nel secolo XVIII, Licinio Cappelli,
Rocca S. Casciano ) con riferimento alla vasta discussione sulla stregoneria e sulla
magia che seguì alla pubblicazione del Notturno congresso delle Lammie di Girolamo
Tartarotti (Venezia, presso Gianbattista Pasquali, ), è stata successivamente acquisita
in ambito storiografico.

I PAPI E LE ACCUSE DI OMICIDIO RITUALE
. F. Venturi, Settecento riformatore, vol. I, Da Muratori a Beccaria, Einaudi, Torino
, p.  n.
. Benedetto XIV, Il Beato Andrea, cit., p. . Nella bolla un altro riferimento del pontefice è rivolto ad Adrian Kembter, il quale curò la pubblicazione degli «atti del martirio
e del culto pubblico [di Andrea da Rinn], con molta fatica ed erudizione radunati» (ivi,
p. ). Il premostratense Adrian Kembter appartenne all’abbazia tirolese di Wilten, presso
Innsbruck, che aveva fornito già nel  i documenti relativi al martirio di Andrea da
Rinn per gli Acta Sanctorum. Questo autore divenne la punta di diamante della ricerca
storico-filologica promossa dall’abbazia; egli ebbe contatti con numerosi studiosi in area
asburgica, e fu inoltre membro dell’“Accademia Taxiana” di Innsbruck, che aveva, tra gli
altri affiliati, proprio Benedetto Bonelli. Il testo di Kembter su Andrea da Rinn recava il seguente titolo Acta pro veritate martyrii corporis, et cultus publici B. Andreae Rinnensis pueruli
anno MCCCCLXII die  Julii a Judaeis in odium fidei occisi, collecta, variis notis illustrata, et
proposita, Typis Mich. Ant. Wagner, Torino . Su A. Kembter cfr. A. Haidacher, Studium
und Wissenschaft im Stifte Wilten in Mittelalter und Neuzeit,  Teil, Von der Gründung der
Universität Innsbruck bis zum Einsetzen der staatlichen Studienreformen,  Teil, Zwischen
Barock und Aufklärung, in “Veröffentlichungen des Museum Ferdinandeum”, Band ,
Jahrgang , pp. -, Band , Jahrgang , pp. -. Anche il saggio di A. Spada,
Gli accademici «taxiani» di Innsbruck e il loro contributo alla cultura roveretana, in “Atti
Accademia Roveretana degli Agiati”, a.  (), s. VII, vol. VI, A, p. .
. Sulla disputa che vide contrapposti Tartarotti e Bonelli, cfr. Provenzal, Una polemica diabolica, cit.; E. Broll, Studi su Girolamo Tartarotti, Tipografia Tomasi, Rovereto
; E. Fracassi, Girolamo Tartarotti. Vita e opere, Feltre ; F. Trentini, La figura di
Girolamo Tartarotti nel bicentenario della morte, in “Atti Accademia Roveretana degli
Agiati”, a.a. , s. VI, vol. II, A, ; G. Costisella, Il vescovo Adalpreto (-) nei
monumenti che lo ricordano e una corrispondenza ottocentesca seguita alla nota polemica,
in “Atti Accademia Roveretana degli Agiati”, a.a. , s. VI, vol. V, A, ; Venturi, Settecento riformatore, cit.; C. Donati, Ecclesiastici e laici nel Trentino del Settecento (-),
Istituto storico italiano per l’età moderna e contemporanea, Roma ; I. Rogger, Vita,
morte e miracoli del Beato Adalpreto (-), nella narrazione dell’agiografo Bartolomeo
da Trento, in “Studi Trentini di Scienze Storiche”, LVI (), Trento , pp. -. Più
recentemente, Onorati, P. Benedetto Bonelli francescano, cit.; S. Vareschi, Le rivisitazioni
storico-agiografiche di G. Tartarotti: progetto, temi, metodo, in “Atti Accademia Roveretana
degli Agiati”, (parte prima) a.a. , s. VII, vol. VI, A, , (parte seconda) a.a. , s. VII,
vol. VII, A, , (parte terza) a.a. , s. VII. vol. VIII, A, ; J. Nössing, La storiografia
austriaco-tirolese e Girolamo Tartarotti, in “Atti Accademia Roveretana degli Agiati”, s.
VII, vol. VII, A, ; G. P. Romagnani, Echi muratoriani fra l’Adige e il Leno. Verso una
memoria storica della città di Rovereto, in “Atti Accademia Roveretana degli Agiati”, a.a.
, s. II, vol. III, .
. Alfonso Lopez de Spina, ebreo convertito, rettore dell’Università dei frati minori
di Salamanca, scrisse Fortalitium Fidei (Strasburgo ), rivolto Contra Iudaeos, Saracenos et alios Christianae fidei inimicos, nel quale elencava diversi casi di omicidio rituale
ricorrendo a macabre descrizioni.
. J. C. Wagenseil (-), autore del trattato sul tema dell’accusa del sangue
Hoffnung Erlösung Israël (). La sua negazione dell’omicidio rituale gli causò l’inimicizia
di molti polemisti antiebraici. Tra questi ci fu anche Bonelli, la cui Dissertazione apologetica
si presentava in parte come una confutazione degli argomenti assolutori adoperati dal
Wagenseil e da J. Basnage per scagionare gli ebrei dall’infamante accusa (su J. Basnage
cfr. nota ). Al Wagenseil va attribuito, inoltre, «il primo studio completo dei riti e delle
cerimonie ebraiche scritto da un cristiano», cfr. J. I. Israel, Gli ebrei d’Europa nell’età
moderna, Il Mulino, Bologna , p. .
. Bonelli, Dissertazione apologetica, cit., p. . Su questo passo della Dissertazione
apologetica, cfr. L. Parinetto, I Lumi e le streghe. Una polemica italiana intorno al ,

NICOLA CUSUMANO
Colibrì, Milano , p. . Qui si noti come la credibilità di Alfonso Spina consistesse,
a parere di Bonelli, sia nella sua vicenda esistenziale di ebreo passato al cristianesimo (ciò
dovrebbe creare un’incrinatura nell’omogeneità delle deposizioni contro la realtà dell’omicidio rituale raccolte da J. C. Wagenseil, sulla scorta delle testimonianze di ex ebrei
convertiti), sia nel fatto che «dimostrassi molto lontano [dalla] volgare opinione».
. B. Bonelli, Animavversioni critiche sopra il Notturno congresso delle Lammie del
sig. Abate Girolamo Tartarotti, presso Simone Occhi, Venezia . Il testo recava inoltre
in appendice un Ragguaglio sincero su la sentenza di morte ultimamente seguita contro una
strega ed un Compendio storico sulla stregheria.
. G. Tartarotti, Del notturno congresso delle Lammie libri tre di Girolamo Tartarotti
roveretano. S’aggiungono due dissertazioni epistolari sopra l’arte magica. All’Illustrissimo signor Ottolino Ottolini gentiluomo veronese, presso Giambattista Pasquali, Venezia .
. Su J. C. Wagenseil rimando alla nota  del presente lavoro.
. Le lettere spedite da Tartarotti al Bonelli si trovano in Biblioteca S. Bernardino di
Trento, manoscritto “Bonelli, S. Simonino Martire”, arch. , ff. -.
. Su questo, cfr. Rosa, Tra tolleranza e repressione, cit., in particolare p. .
. Bolla Providas Romanorum Pontificum, pubblicata il  maggio  (Nonnullae
Societates seu Conventicula «de’ Liberi Muratori», seu «des Francs Macons», vel aliter
noncupata, iterum damnantur, et prohibentur: cum invocatione brachii, et auxilii Secularium
Principum, et potestatum), in Bullarium Romanum, v. , Prati in Typographia Aldina,
, pp. -.
. Editto sopra gli Ebrei, cit.
. Ristretto della vita e martirio di S. Simone fanciullo di Trento fatto ristampare con
una breve appendice da D. Francesco Rovina Bonet Rettor de’ Catecumeni, e Parroco di
S. Salvatore a’ Monti, nella Stamperia di Giovanni Bartolomicchi, Roma . Su Rovira
Bonet, cfr. M. Caffiero, «Le insidie de’ perfidi giudei». Antiebraismo e riconquista cattolica
alla fine del Settecento, in “Rivista Storica italiana”, , a. CV (f. II), pp. -.
. Caffiero, Le insidie de’ perfidi giudei, cit., p. .
. L’immagine del fanciullo crocifisso mentre viene vampirizzato dagli ebrei (che ne
raccolgono il sangue) che apre il testo del Ristretto, rappresenta, sul versante iconografico, un tópos interno alla letteratura antiebraica; l’Historia ecclesiastica del cappuccino
Barbarano de’ Mironi, del , recava già in copertina una figura affine: tra i beati Bernardo, Guido, Gaetano ed Eufrosina, spiccava in primo piano, alla destra di Bartolomeo,
il beato Lorenzino da Marostica, sproporzionatamente alto e cresciuto per l’età in cui si
presumeva fosse stato ucciso, con l’aureola al pari degli altri, ma, a differenza di questi,
con entrambe le braccia aperte nella rievocazione della crocifissione. Rappresentando i
martiri come crocifissi si contribuiva a riattualizzare il tema antico dell’uccisione di Cristo
per mano ebraica; mano che rinnovava la sua atavica brutalità sui più inermi tra i membri
della comunità cristiana. Se è vero che nelle scritture biografiche dei santi, gli episodi
evangelici sono stati sfruttati per modellare il santo di turno come figura Christi, secondo
il canone dell’imitatio, altrettanto si può dedurre dall’iconografia.
. L’opera di J. Basnage de Beuval, Histoire des Juifs depuis Jésus-Christ jusqu’ à present, Scheurleer, Den Haag ,  voll., fu, sino all’Ottocento, l’unica dedicata alla storia
ebraica postbiblica. Basnage (-) appartenne a una famiglia di calvinisti normanni.
Le sue opere più importanti affrontano tematiche di storia religiosa.
. Bonelli, Dissertazione, cit., p. . Le ansie di Bonelli saranno condivise più avanti
da un altro sacerdote, il veneto Giovanni Pietro Vitti, autore di alcune Memorie storiche
cronologiche di vari bambini ed altri fanciulli martirizzati in odio alla nostra fede dagli Ebrei
(presso Guglielmo Zerletti, Venezia ), che avrebbe inteso mettere in guardia ancora
una volta dalla «perfidia Giudaica» e dai pericoli della letteratura di matrice rabbinica.
. Bonelli, Dissertazione apologetica, cit., p. .
. Su Paolo Medici, cfr. Caffiero, Tra Chiesa e Stato, cit., pp. - e Ead., Alle origini
dell’antisemitismo cattolico, cit.; anche A. Milano, Storia degli Ebrei in Italia, Einaudi,

I PAPI E LE ACCUSE DI OMICIDIO RITUALE
Torino , pp. -.
. Garms-Cornides, Storia, politica e apologia in Benedetto XIV, cit., p. .
. Tra i testi di pubblicistica cattolica antiebraica del Settecento – stimati da R. De
Felice nel numero di  nella sola penisola (Id., Per una storia del problema ebraico in
Italia alla fine del XVIII secolo e all’inizio del XIX, in Italia Giacobina, Edizioni Scientifiche
Italiane, Napoli , p. ) – quasi tutti quelli pubblicati nella seconda metà del secolo
riprendevano le argomentazioni e il contenuto della Dissertazione di Bonelli, la quale,
come si è visto, poteva vantare la menzione di un pontefice.
. Garms-Cornides, Storia, politica e apologia in Benedetto XIV, cit., p. .
. Bonelli, Animavversioni critiche sopra il notturno congresso delle Lammie, cit.
. Prodromus ad Opera Omnia S. Bonaventurae ordinis fratrum minorum generalis ministri, S.R.E. cardinalis, episcopi albanensis, et doctoris seraphici, agens de eius vita, doctrina,
et scriptis editis, ac ineditis recensque inter vetustos codices manuscriptos inventis, in libros
octo tributus, Sumptibus Remondini veneti, Bassani . Anche Sancti Bonaventurae ex
ordine minorum S.R.E. episcopi cardinalis albanensis Operum Sixti V Pont. Max. dicti ord.
jussu editorum Supplementum in tria volumina distributum, sub auspiciis Clementis XIV P.
M. eiusdem ord., volumen primum, ex typogr. Episcopali Joan. Bapt. Monauni, Tridenti
, in fol. coll.  et ultra. Volumen secundum, ivi, , coll.  et ultra. Volumen
tertium, ivi, .
. Monumenta ecclesiae tridentinae, voluminis tertii pars altera, ex typographia
episcopali Joan. Bapt. Monauni, Tridenti , in °, pp. .
. Un’altra opera di Bonelli recava la dedica a Benedetto XIV: la Dissertazione
intorno alla santità e martirio del B. Adalpreto vescovo di Trento, Stamperia Monauni,
Trento .
. Garms-Cornides, Storia, politica e apologia in Benedetto XIV, cit., p. . Su Garampi
cfr. D. Vanysacher, Cardinal Giuseppe Garampi (-): an enlightened ultramontane,
Institut Historique Belge de Rome, Roma-Bruxelles ; M. Caffiero, Giuseppe Garampi, in “Dizionario biografico degli Italiani”, Istituto della Enciclopedia Italiana, vol. ,
Roma , pp. -; anche U. Dell’Orto, La Nunziatura a Vienna di Giuseppe Garampi,
Collectanea Archivi Vaticani , Città del Vaticano . È utile riportare quanto scrive M.
Caffiero sulla svolta operata da Garampi in seguito all’esperienza in terra tedesca (dal ,
epoca del suo primo viaggio, sino all’incarico presso la nunziatura di Vienna del ): «a
partire dall’esperienza tedesca, il ruolo religioso e culturale del G. mutò profondamente
rispetto agli anni dell’adesione al riformismo illuminato cattolico […]. La definizione di
“ultramontano illuminato” attribuitagli dal Vanysacher può essere quindi accolta solo nel
senso che il G. bene incarna le strategie di riconquista cattolica elaborate dai settori zelanti
e intransigenti della Chiesa contro il mondo moderno» (Caffiero, Giuseppe Garampi, in
“Dizionario biografico degli Italiani”, cit., pp. , ). Verosimilmente l’avvicinamento
tra Garampi e Bonelli, esponente dell’ala più intransigente della Chiesa tridentina, è
ascrivibile al nuovo orientamento assunto dal primo.
. Epistolarium bonellianum, Biblioteca S. Bernardino, Trento, ms. , f. .
. Santissimi Domini Nostri Benedicti XIV Epistola ad Nobile Virum Flaminium Cornelium Senatorem Venetum, Ex Typographia Ducali, et Patriarchali Pinealliana, Presidium
facultate, Romae et Venetiis . La lettera fu tradotta in italiano e stampata a Venezia
nel , presso Guglielmo Zerletti.
. Recentemente anche Ruggero Taradel ha rivolto la sua attenzione alla bolla Beatus
Andreas in un libro dedicato all’accusa di omicidio rituale: Id., L’accusa del sangue. Storia
politica di un mito antisemita, Editori Riuniti, Roma , in particolare pp. -.
. Benedetto XIV, Il Beato Andrea, cit., p. .
. Ivi, p. .
. Ibid.
. Ivi, p. .
. Ivi, p. .

NICOLA CUSUMANO
. Bonelli, Dissertazione apologetica, cit.
. Il Beato Andrea, cit., p. .
. Ivi, pp. -.
. Ivi, p. .
. Ivi, p. .
. Ibid.
. A. Esposito, D. Quaglioni, Processi agli ebrei di Trento, Cedam, Padova .
. Benedetto XIV, Il Beato Andrea, cit., p. .
. Ivi, p. .
. Ibid.
. Ivi, p. .
. Ibid.
. Ivi, p. .
. Sulla questione, cfr. A. Benvenuti Papi, E. Giannarelli, Santi bambini, santi da
bambini, in A. Papi, E. Giannarelli (a cura di), Bambini santi, Rosenberg e Sellier, Torino
. Anche P. Scaramella, I Santolilli, culti dell’infanzia e santità infantile a Napoli alla
fine del XVIII secolo, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma ; G. Barone, M. Caffiero,
F. Scorza Barcellona (a cura di), Modelli di santità e modelli di comportamento: contrasto,
intersezioni, complementarità, Rosenberg e Sellier, Torino .
. Il Beato Andrea, cit., p. .
. Ivi, p. .
. Ivi, p. .
. Ivi, p. .
. Ivi, p. .
. Bonelli, Dissertazione apologetica, cit., p. . Bonelli, dopo aver riportato l’attestato, così concludeva: «non può dunque dubitarsi, che tal culto sia immemoriale; mentre
risale colla sua origine al tempo stesso del martirio».
. Benedetto XIV, Il Beato Andrea, cit., p. .
. Su questo, cfr. G. Dalla Torre, Santità ed economia processuale. L’esperienza
giuridica da Urbano VIII a Benedetto XIV, in Finzione e santità, cit., pp. -; Id., Processo
di beatificazione e canonizzazione, in Enciclopedia del diritto, XXXVI, Giuffrè, Milano ,
pp. -.
. Il Beato Andrea, cit., p. ; Benedetto XIV si riferisce, qui, al fatto che i «vasi di
sangue» contenenti il sangue dei martiri, e più in generale gli oggetti (catene, chiodi,
attrezzi da tortura ecc.), erano considerate prove certe del martirio.
. Ivi, p. .
. Ivi, p. .
. Ivi, pp. -. Sul tema della beatificazione e canonizzazione, cfr. Dalla Torre,
Santità ed economia processuale, cit.
. Il Beato Andrea, p. . In seguito all’emanazione da parte di Urbano VIII della
Costituzione Coelestis Hierusalem cives ( luglio ), la Santa Sede, in alcuni casi di
culti esistenti prima della detta Costituzione, e a cui si intendeva concedere la sola messa
e l’officio ma non la canonizzazione, si esprimeva con una «beatificazione equipollente»:
questa, sebbene equivalente alla «beatificazione formale», tuttavia non scaturiva dal procedimento canonico stabilito da Urbano VIII. Era il caso di Andrea di Rinn, per il quale si
era giunti alla «beatificazione equipollente».
. Ivi, p. .
. Ivi, p. .
. Ivi, p. .
. Ivi, p. .
. Ivi, p. .
. Bolla Postremo mense (De Baptismo Judaeorum. Sive Infantium, sive Adultorum),
Roma  febbraio , in Bullarium Romanum, v. , Prati in Typographia Aldina, ,

I PAPI E LE ACCUSE DI OMICIDIO RITUALE
pp. -.
. Ivi, p. . Su questo, cfr. G. Volli, Papa Benedetto XIV e gli ebrei, in “Rassegna
mensile d’Israel”, maggio , vol. XXII, p. .
. Il Beato Andrea, cit., p. .
. Ivi, p. .
. Dalla Torre, Santità ed economia processuale, cit., p. .
. Ibid.
. Il Beato Andrea, cit., pp. -.
. Ivi, pp. -. Il corsivo è mio.
. Sulla vicenda, cfr. Rosa, La Santa Sede e gli ebrei nel Settecento, cit.
. Il Beato Andrea, cit., p. .
. Ibid.
. Il votum di L. Ganganelli, in Roth, The Ritual Murder Libel, cit., p. .


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