Il museo Mario Maresca a Meta: una testimonianza delle attività marittime in Penisola
sorrentina nel XIX secolo
Massimo Maresca
in
Making waves in the Mediterranean, Proceedings of the 2nd MMHN Conference, edited by
Michela D'Angelo, Gelina Harlaftis and Carmel Vassallo, Istituto di Studi Storici “Gaetano
Salvemini”, Messina, 2008.
Il museo “Mario Maresca”, allestito in una casa settecentesca del centro storico di Meta, è un
museo piccolo ma, nel suo genere, originale ed esauriente; raccoglie reperti e testimonianze della
navigazione a vela in Penisola sorrentina dagli anni Venti dell’Ottocento alla prima guerra
mondiale. La società ed il territorio, in cui è nato, sono stati profondamente segnati dalle attività
marittime, ricche - in quest’area - di una tradizione lunga almeno tre secoli.1
Meta è una cittadina di circa 8000 abitanti, che assieme a Sorrento, Sant’Agnello e Piano di
Sorrento è situata nella Penisola sorrentina, a Sud del golfo di Napoli, su di una piana tufacea di
origine vulcanica, sovrastante le strette spiagge adibite un tempo ad operosi cantieri navali. Questi
centri, con Vico Equense e Castellammare di Stabia,2 a metà del XIX secolo erano all’apice dello
sviluppo per quanto riguardava l’armamento e la cantieristica navale.
Il museo è stato costituito negli anni Sessanta del Novecento da mio padre, Mario Maresca
(Meta 1917-2003), un ingegnere civile. Pur discendendo da una famiglia di gente di mare, era il
primo a esercitare un’attività professionale non legata al mondo marittimo ed il dedicarsi a questa
raccolta è stato il suo modo di “onorare” le proprie origini. Un breve excursus sui suoi antenati può
aiutare, pertanto, a comprendere l’ambiente marittimo sorrentino e chiarire le ragioni della nascita
del museo.
1
Una prima valutazione della marina mercantile sorrentina è già nei numerosi lavori di Gennaro Maria Monti, tra cui
La marina mercantile borbonica e il commercio marittimo (Roma 1930), e La marina mercantile e il commercio
marittimo napoletano nel secondo periodo borbonico (Trani 1939), nei quali la marineria del golfo di Napoli viene
presentata come la più vivace e sviluppata del Regno, ed i sorrentini indicati come i più audaci naviganti per
l’ampiezza, anche oceanica, delle loro rotte. Una conferma viene da Riccardo Cisternino e Giuseppe Porcaro, La
marina mercantile napoletana del XIV al XIX secolo. Capitani in alto mare (Cronache) (Napoli 1954), i quali attraverso
l’esame di un nutrito numero di testimoniali marittimi, quasi tutti relativi al XVIII secolo, sostengono che la marina
mercantile meridionale grazie alle riforme caroline abbia posto le basi del suo futuro sviluppo; un esame di questi
testimoniali permette di stabilire che, su 123 casi presentati, 68 volte si tratta di comandanti ed imbarcazioni sorrentine.
Anche negli studi di Antonio Di Vittorio, Gli Austriaci e il Regno di Napoli 1707-1734. Ideologia e politica di sviluppo
(Napoli 1973), 398-409 e Il commercio tra Levante ottomano e Napoli nel secolo XVIII (Napoli, 1979), 68-72, si
trovano dati che avvalorano l’ipotesi che il maggior numero di imbarcazioni in grado di affrontare le più impegnative
rotte del Mediterraneo provenissero dagli ambienti della costiera sorrentina e amalfitana. Per il XIX secolo, invece,
mancano ricerche estese e approfondite, ma al momento si può ricorrere ad opere di carattere celebrativo, ma non per
questo prive di riferimenti a fonti, spesso di prima mano: elementi preziosi per valutare il ruolo della marineria
sorrentina si possono trovare in Tommaso Gropallo, Il romanzo della vela. Storia della Marina mercantile a vela
italiana nel secolo XIX (Milano 1973), Mario Starita Agostino Aversa, Il Piano di Sorrento e la sua marineria (Napoli
1979) e Lamberto Radogna, Storia della marina mercantile delle due Sicilie (1734-1860) (Milano 1982); quest’ultimo
presenta in appendice il capitolo “L’armamento velico e a vapore della regione campana (1860-1940)”. Un primo
contributo storiografico è venuto recentemente dal volume di Paolo Frascani (ed.), A vela e a vapore. Economie, culture
e istituzioni del mare nell’Italia dell’Ottocento (Roma 2001), in particolare nel saggio di Annunziata Berrino, “I
sorrentini e il mare”, 29-53.
2
Le relazioni tra Castellammare di Stabia e la realtà propriamente sorrentina sono stati sempre strettissimi. I casati
armatoriali delle due aree erano fortemente legati. Inoltre gli armatori acquistavano parte del legname e delle
attrezzature metalliche, per la costruzione delle navi, a Castellammare presso l’arsenale e dai fornitori navali della città.
Dopo il trasferimento dei cantieri mercantili al di fuori dell’area del cantiere militare, nel 1841, le costruzioni navali
civili ebbero un fortissimo sviluppo anche nella cittadina stabiese. Vedi Catello Vanacore, Il cantiere navale di
Castellammare di Stabia 1870 - 1983 (Napoli, 1987), 21.
1
Una famiglia di gente di mare
I genitori di Mario furono Gaetano Maresca (1887-1953) e Luisa Pesce (1890-1978), il primo
capitano della marina mercantile, poi pilota del porto di Napoli,3 la seconda discendente da una
importante famiglia di armatori e capitani.
Il padre di Gaetano era Antonino, di Piano di Sorrento (1852-1930), professore di disegno
tecnico presso l’Istituto Nautico “Nino Bixio”, ritrattista e autore di ex-voto marinari, proprietario
di uno studio fotografico e fotografo professionista; la madre, Carolina, era figlia di Luigi Trapani
(1811-1892), capitano marittimo e armatore di un brigantino di 309 tonnellate, varato nella marina
di Cassano nel 1855, a cui aveva dato il nome della figlia.
Anche i nonni materni di Mario appartenevano a famiglie legate al mare: Luigi Pesce (18401930), capitano marittimo, navigherà al comando delle navi del suocero;4 i suoi figli maschi,
Ferdinando, Gaetano, Salvatore e Giuseppe Pesce, diplomati presso l’Istituto Nautico “Nino Bixio”,
furono tutti avviati alla carriera di mare. Salvatore (1891-1961) divenne ammiraglio della Marina
Militare italiana. Ferdinando (1876-1956) percorse una lunga carriera di mare coronata da un
rilevante successo professionale, che può considerarsi un esempio tipico della vita marittima dei
sorrentini: si imbarcò la prima volta come mozzo a 16 anni sul brigantino a palo Leopoldo del
nonno Petrelluzzi, poi sui piroscafi affidati al comando del padre Luigi; divenne ufficiale a 23 anni
sulla goletta a palo Emilial, e comandante nel 1911 del piroscafo da carico Iniziativa, entrambi
dell’armatore metese Tommaso Astarita;5 in seguito comandò i piroscafi passeggeri Mendoza e
Cordova del Lloyd Italiano sulla rotta del Sud America, l’Orazio ed il Virgilio della Navigazione
Generale Italiana per il Venezuela, il Duilio, fino ad ottenere il comando del Roma e dell’Augustus,
i prestigiosi transatlantici impiegati sulla linea Genova - New York.6
La nonna Rosalia (1854-1925) apparteneva alla famiglia Petrelluzzi, uno dei casati armatoriali
più prestigiosi di Meta tra Settecento e Ottocento. Il padre di Rosalia, Ferdinando Petrelluzzi (18271897),7 insieme al fratello Gaetano, fu armatore di numerosi bastimenti a vela8 e tra i fondatori nel
1862 dell’Associazione di Mutua Assicurazione della Marina Mercantile Sorrentina.
Il legame con l’ambiente familiare, l’amore delle proprie radici, l’interesse a comprendere la
propria storia, l’orgoglio di testimoniarla, la curiosità per i reperti e le testimonianze di mondi diversi e lontani nello spazio o nel tempo, sono state le motivazioni che hanno stimolato il fondatore
del Museo a raccogliere oggetti e documenti del periodo d’oro della navigazione a vela in penisola
sorrentina.9 Questa collezione di oggetti e documenti, spesso dimenticati in soffitte polverose, è il
3
Dopo i primi viaggi come mozzo sul Sava , un brigantino a palo di ferro dell’armatore Tommaso Astarita, navigò
sempre, fino al comando, su navi che collegavano la Sardegna e la Sicilia al continente.
4
Museo Mario Maresca, Meta (d’ora in poi Museo Maresca), Libretto di matricolazione di Luigi Pesce.
5
Sul ruolo di quest’imprenditore meridionale vedi il contributo di Biagio Passaro, “Tommaso Astarita: armatore,
banchiere e industriale”, in Rossano Astarita e Francesco D’Esposito (ed.), Tommaso Astarita (1862-1923). L’orizzonte
europeo di un imprenditore metese (Napoli 2003), 23-34.
6
Museo Maresca, Libretti di matricolazione di Ferdinando Pesce.
7
Anche il padre di Ferdinando e Gaetano, Leopoldo Petrelluzzi (1793-1862), era capitano ed armatore, come pure i suoi
fratelli, Ferdinando, Luigi e Francesco. Ferdinando (1786-1819) morì a Port au Prince, nell’isola di Santo Domingo, di
febbre tropicale il 15 gennaio 1819 insieme ad undici uomini dell’equipaggio, a bordo del brigantino La Madonna del
Rosario di 294 tonnellate, che in quell’anno aveva attraversato l’Atlantico proveniente da Le Havre carico di merci
varie e stava stivando zucchero, caffè e legname, cfr. Archivio di Stato di Napoli (ASN), Tribunale di Commercio,
Testimoniali marittimi, 305, 20 novembre 1819. Luigi e Francesco nel 1839 li troviamo al comando rispettivamente dei
brigantini Fortunato e Immacolata; cfr. Rosario Battaglia e Giovanni Melonia (ed.), Statistica commerciale di Messina
per l’anno 1839, Ristampa anastatica dell'edizione del 1840, (Messina 2005), 34 e 39.
8
Le navi sono i brigantini Mariannina di 176 tonnellate costruito nel cantiere di Alimuri a Meta nel 1853, Veloce,
costruito a Castellammare nel 1855 di 236 tonnellate, Armida di 370 tonnellate costruito ad Alimuri nel 1867, il
brigantino-polacca Leopoldo, varato a Castellammare nel 1858 di 263 tonnellate, i brigantini a palo Rosalia di 490
tonnellate, varato a Castellammare nel 1866, Leopoldo costruito nella marina di Cassano nel 1878, di 708 tonnellate di
stazza; cfr. gli annuari del Registro Italiano del 1870-71 e del 1903.
9
Un aspetto non secondario dell’attività di Mario Maresca, strettamente collegato alla salvaguardia della
memoria della marineria sorrentina, è stato quello da lui svolto in qualità di presidente della locale sezione di “Italia
3
frutto di un’appassionata ricerca presso le famiglie di tradizione marinara o di acquisti mirati
presso piccoli antiquari specializzati.
Il Museo
La collezione è formata da quattro sezioni principali. Nella prima vi sono modelli e disegni
navali. La seconda raccoglie oggetti di “arte marinara”: gli ornamenti delle navi e le loro
rappresentazioni. La terza espone strumenti nautici e utensili. La quarta è costituita da un archivio di
documenti e fotografie.
Modelli e disegni navali
La raccolta di modelli e disegni navali documenta la storia dell’armamento navale e dei cantieri
in Penisola tra gli anni Cinquanta dell’Ottocento e la prima guerra mondiale. Queste attività, già
importanti e rinomate nel Settecento,10 raggiungono nel quarto di secolo successivo all’Unità
d’Italia i vertici della loro capacità produttiva.11 I cantieri, che varavano bastimenti di legno,
sorgevano sugli angusti arenili delle marine di Equa, Alimuri e Cassano, rispettivamente nelle
cittadine di Vico Equense, Meta e Piano di Sorrento.
Un opuscolo stampato in occasione della Esposizione universale di Parigi del 1867, per «far
risaltare in siffatta Mostra l’arte specialissima di questa popolazione nella costruzione Navale
Mercantile» riporta i dati relativi alla consistenza dei cantieri.12 Alimuri, il più antico, aveva una
superficie di 8928 mq, otto scali e vi lavoravano 240 operai; Cassano 3850 mq., sei scali e 120
operai; il cantiere di Equa 962 mq, due scali e 40 operai. Sono maestri d’ascia, segatori, carpentieri,
calafati e la cosiddetta “maestria di mare”, cioè i marinai addetti all’assemblaggio delle
“manovre”.13 Oltre alle maestranze impiegate direttamente nella costruzione navale, operavano sul
territorio numerosi altri artigiani impegnati nella produzione delle vele, delle cime e delle botti.
A testimoniare questa formidabile attività produttiva sono conservati nel Museo 11 “mezzi”
modelli14 di un brigantino e di quattro brigantini a palo di metà Ottocento; poi quello di una feluca
Nostra”, l’Associazione nazionale per la tutela del patrimonio storico, artistico e naturale. In particolare sono da
ricordare qui le sue battaglie contro la speculazione edilizia e l’ abusivismo che in maniera massiccia dagli anni
Sessanta del secondo dopoguerra hanno aggredito, mettendone in forse l’integrità, i centri storici di Meta, Piano e
Sant’Agnello, abitati nei quali la struttura urbanistica e la tipologia delle abitazioni si sono evoluti e sviluppati in
maniera strettamente connessa agli stili di vita ed ai successi dei casati armatoriali. Sulla tipologia della “casa
palaziata” e sulla struttura dei centri storici sorrentini e sul loro legame con l’attività marittima: Mario Russo, Meta,
mura e volte, (Sorrento 2005), 20; anche Berrino, “I sorrentini”, 42; sulle trasformazioni urbanistiche in Costiera
nell’età repubblicana Biagio Passaro, “La penisola sorrentina (1946-1985)”, in Guido D’Agostino (ed.), Società,
elezioni e governo locale in Campania (Napoli 1990), 103-151.
10
Giuseppe Maria Galanti, Della descrizione geografica e politica delle Sicilie. A cura di Franca Assante e Domenico
Demarco, (Napoli 1969), 177-178; vedi pure Giuseppe Di Taranto, “La marina mercantile del Mezzogiorno nel
Mediterraneo” in Tommaso Fanfani (ed.), La Penisola italiana e il mare (Napoli 1993), 308.
11
Nei cantieri di Alimuri, Cassano ed Equa nel 1863 furono varate 7 bastimenti per un tonnellaggio complessivo di
2.657 t., 7 nel 1864 per 3.565 t.,12 nel 1865 per 4.017 t., ben 22 nel 1866 per 9.792 t., cfr. Ugo Leone, “Industria
metalmeccanica e cantieri navali nel periodo post-unitario”, in Arturo Fratta (ed.), La fabbrica delle navi (Napoli 1990),
170. Nel Registro Italiano del 1870-71 sono annotate 233 navi in legno costruite nei cantieri della penisola sorrentina:
Marina di Cassano, Marina di Alimuri, Marina di Equa. Di queste 173 sono di armatori sorrentini, le altre sono state
commissionate da armatori di altre zone d’Italia, procidani, livornesi, siciliani, o loro rivendute di seconda mano.
12
Atlante statistico della marina mercantile del compartimento marittimo di Castellammare di Stabia, (Castellammare
1867), 15. In aiuto degli espositori versano un contributo il deputato di Sorrento de Martino e quello di Castellammare
d’Amico.
13
Le manovre sono l’insieme dei cavi e delle cime necessarie all’armamento ed al governo della attrezzatura velica.
14
Il mezzo modello raffigura solo una metà dello scafo. Serviva per definire le linee dello scafo che successivamente
venivano rilevate con listelli flessibili per passare al disegno di costruzione. Mario Marzari, “Evolution of shipbuilding
4
sorrentina,15 di un cutter e di una goletta da pesca di poco posteriori ed infine tre “mezzi” modelli di
lance.
Vi sono poi undici “modelli di cantiere” di scafi di bastimenti a vela (seconda metà del XIX
secolo), un modello da esposizione16 con gli elementi strutturali a vista, un modello di brigantino
costruito in Inghilterra acquistato da un armatore di Piano.17
I “modelli di cantiere”, composti da tavole sagomate sovrapposte, venivano utilizzati per il
controllo ed il bilanciamento delle linee d’acqua tracciate nel piano di costruzione. Terminata la
nave, i modelli venivano spesso rifiniti con elementi aggiuntivi, inutili alla progettazione, ma che
davano la percezione più completa dello scafo, quali la chiglia, il dritto di prua e di poppa, la serpa,
un segmento di bompresso, il timone, il capodibanda. Così completati, entravano a far parte del
catalogo del costruttore oppure l’armatore li usava come elementi decorativi, documento e orgoglio
della propria attività.
La tipologia navale più rappresentata è il brigantino a palo, nave di maggiore tonnellaggio che si
afferma nel periodo postunitario, come diretta conseguenza delle esigenze scaturite dalla
navigazione transoceanica intrapresa da qualche decennio. Si trattava di un veliero a tre alberi, già
diffuso nei cantieri scozzesi negli anni trenta del secolo, che misurava tra i quaranta e i cinquanta
metri di lunghezza in coperta e che aveva una stazza tra le 400 e le 600 tonnellate. Rappresentava
un ottimo compromesso tra l’aumento delle dimensioni e le rotte; infatti le campagne di
navigazione dei sorrentini ormai stabilmente collegavano l’Atlantico e il Mediterraneo, e
prevedevano perciò condizioni di vento assai diverse: dagli alisei costanti in oceano alle brezze
variabili del Mare nostrum. Il “palo”, l’albero di mezzana in più rispetto al brigantino, non portava
vele quadre come nelle navi inglesi e statunitensi, ma una grande randa aurica con controranda, a
cui si aggiungevano rilevanti vele di strallo e fiocchi. Questa attrezzatura nello stesso tempo
consentiva un aumento della superficie velica, un equipaggio quanto più possibile ridotto e una
grande adattabilità alle condizioni di vento. Nei decenni successivi si diffusero anche altri due tipi
di bastimenti simili fra loro: la nave goletta e la goletta a palo. La prima aveva vele quadre al
trinchetto e auriche all’albero maestro e alla mezzana, la seconda vele auriche a tutti e tre gli alberi
e alcune quadre al trinchetto.
Le navi sorrentine avevano un equipaggio composto mediamente di due ufficiali, un nostromo,
sei o sette marinai, due o tre mozzi, solitamente provenienti dalla Penisola.18 L’Atlante Statistico
già citato riporta la presenza di 6691 tra marinai e mozzi nei paesi di Meta, Piano di Sorrento e Vico
Equense.
Oltre agli originali d’epoca, il museo espone un gruppo di modelli navali, commissionati da
Mario Maresca negli anni Sessanta del Novecento ad un maestro d’ascia di Meta, Giovanni Esposito
(1888-1971), che era stato carpentiere a bordo degli ultimi velieri oceanici. Furono realizzati
utilizzando piani di costruzione originali del secolo precedente, conservati nel museo. I modelli,
completamente attrezzati ed invelati, di grande qualità e suggestione, rappresentano il brigantino a
palo Carmela C. varato dal cantiere di Alimuri a Meta nel 1879, la goletta a palo Emilial, costruita
ad Alimuri nel 1899, ambedue in scala 1:40; un cutter; una feluca sorrentina ed una tartana. In scala
techniques and methodologies in Adriatic and Tyrrenian traditional shipyards” in Revue d’anthropologie des
connaisances, XIII, n° 1 (1998), 192-197.
15
Nelle marine della costiera, oltre alle navi per il lungo corso, si costruivano anche imbarcazioni minori destinate al
cabotaggio costiero lungo le coste tirreniche e alla pesca. La feluca sorrentina, nella sua versione ottocentesca, veniva
usata soprattutto per trasportare merci dalla Penisola a Napoli, in particolare gli agrumi, che, destinati al mercato
americano venivano imbarcati per lo più sui piroscafi. Cfr. Massimo Maresca “La feluca sorrentina del XIX secolo”, in
Mario Marzari (ed.), Navi di legno. Evoluzione e sviluppo della cantieristica nel Mediterraneo dal XVI secolo a oggi
(Grado 1998), 305-308.
16
I costruttori navali sorrentini Aniello Castellano, Francesco de Rosa e Michele Paturzo parteciparono con i loro
modelli alla Esposizione universale di Parigi nel 1867; cfr. Atlante statistico, 6.
17
La nave è il Rebecca di Gaspare Califano.
18
Sull’omogeneità degli equipaggi e sui sistemi di arruolamento: Paolo Frascani, “Una comunità in viaggio: dal
racconto dei giornali di bordo delle navi napoletane (1861-1900)”, in Frascani (ed.), A vela e a vapore, 109-137.
5
minore, 1:100, il modello del Cavaliere Ciampa, veliero in acciaio costruito nel cantiere Ansaldo di
Sestri Ponente per l’armatore Francesco Saverio Ciampa.19
Il fondo di disegni navali è composto per la maggior parte da opere del costruttore di prima
classe Giuseppe Starita (Meta, 1851-1944). Egli progettò e realizzò numerosi brigantini a palo
oceanici nei cantieri di Alimuri e Cassano;20 fu professore di disegno al tracciato all’Istituto Nautico
Nino Bixio di Piano di Sorrento, perito del Registro Navale presso l’agenzia di Meta, nonché a più
riprese sindaco della cittadina natale. Si tratta di ottanta progetti, dell’ultimo quarto del XIX secolo e
dell’inizio del XX, che comprendono piani di costruzione21 di brigantini a palo, navi goletta, golette
a palo con motore ausiliario; il fondo comprende, inoltre, piani velici, piani di lance, di motobarche e
rappresentazioni di alcuni particolari delle attrezzature. Molto interessante é la documentazione
relativa al piroscafo Sorrento costruito in legno ad Alimuri nel 1879; essa comprende anche i disegni
per la disposizione della caldaia e della macchina, costruita quest’ultima nelle officine Pattison di
Napoli. Vi sono ancora disegni degli alunni dell’Istituto Nautico “Nino Bixio”, tra cui il piano di
velatura di nave a quattro alberi, frutto delle esercitazioni del corso di costruzioni navali.22
Completa il materiale sulle costruzioni navali un manoscritto del costruttore Aniello
Castellano23. Attivo nel cantiere della marina di Cassano a Piano, fu il più importante tra i
sorrentini per numero di navi e per esperienza. In questo brogliaccio egli registrava i rilevati delle
cinquantatre navi da lui costruite tra il 1851 ed il 1877, con l’indicazione degli armatori
committenti. Castellano costruì otto navi per l’armatore Arcangelo Cacace, cinque per i Paturzo di
Sant’Agnello, dodici per i Ciampa. Una tabella del manoscritto, in cui sono registrati i materiali ed
i costi per la costruzione quasi in contemporanea di tre navi, tutte varate nel 1871, può dare un’idea
del fervore che animava il cantiere di Aniello Castellano.24
19
Francesco Saverio Ciampa fu il maggiore armatore della Penisola dell’Ottocento; vedi Berrino “I sorrentini”, 45.
Dalla fine degli anni ottanta l’attività dei cantieri navali diminuì progressivamente in quanto gli armatori sorrentini
preferirono comprare navi di ferro e d’acciaio, usate sul mercato nordeuropeo sia per la maggiore capacità di carico, sia
per i contenuti costi di gestione. Alcuni come Francesco Saverio Ciampa e Salvatore Maresca commissionarono navi
d’acciaio nuove ai cantieri Ansaldo di Sestri o a cantieri inglesi; sull’argomento cfr. Passaro, “Tommaso Astarita”, 26.
Il periodo dell’ “ultima vela”, in concorrenza con i vapori, ormai sempre più competitivi, anche sulle rotte secondarie,
durò fino all’inizio della prima guerra mondiale; Tommaso Gropallo, L’ultima vela, (Bogliasco, 1969).
20
Il primo fu il brigantino a palo Roma varato ad Alimuri nel 1878, di 516 tonnellate di stazza, metri 42,2 di lunghezza
in coperta, m. 9,32 di larghezza fuori ossatura, m. 6,04 di puntale.
21
Il piano di costruzione è il tracciato dello scafo, rappresentato da linee che ne determinano geometricamente la forma
esterna. E’ composto dal piano longitudinale, che contiene il profilo della nave, il piano trasversale, che attraversa lo
scafo nell’ordinata maestra, ed il piano orizzontale, ossia la vista in pianta con disegnate le linee d’acqua.
22
La Scuola Nautica di Piano di Sorrento viene dichiarata Istituto Reale di Marina Mercantile nel 1866, insieme alla
Scuola Nautica di Savona e agli Istituti Superiori di Marina Mercantile di Genova, Livorno e Palermo. Per la storia
dell’istruzione nautica in Penisola cfr. Maria Sirago, La tradizione marinara e la scuola nautica di Piano di Sorrento
(Sorrento 1989).
23
Massimo Maresca, “Cantieri navali in Penisola sorrentina nell’Ottocento. Il costruttore Aniello Castellano”, in Navis,
Rassegna di studi di archeologia, etnologia e storia navale, n° 3, 2006. I rilevati sono la descrizione di una nave per
mezzo delle misure delle semilarghezze delle parti strutturali rispetto al piano intersecante l’asse longitudinale dello
scafo. Nel manoscritto sono registrate le dimensioni di tutte le componenti dell’alberatura e delle strutture della coperta,
nonché i nomi delle navi e degli armatori committenti.
24
I velieri erano il brigantino a palo Ercole di Arcangelo Cacace, varato a marzo del 1871 e costruito in 9 mesi e 18
giorni, di 634,33 tonnellate di stazza, 42,70 metri di lunghezza, 9,30 di larghezza, 6,07 di altezza di costruzione, per il
quale occorsero 41 operai per 1808 giornate di lavoro, con una spesa complessiva per le paghe di 32.000 lire; il valore
complessivo del bastimento, scafo e attrezzatura, è stimato in 153.000 lire; il brigantino San Prisco di Arcangelo
Paturzo, varato il 3 settembre 1872 e costruito in 6 mesi e 15 giorni, di 448, 88 tonnellate, lungo 34,84 metri, largo
8,50, alto 5,76, per 6900 giornate di lavoro di 40 operai costate 20.000 lire, valore complessivo 110.000 lire; il
brigantino Candidezza Lauro dell’armatore Felice Lauro, varato il 7 settembre 1872 e costruito in 6 mesi e 24 giorni,
di 450,83 tonnellate, lungo 34,95 metri, largo 8,51, alto 5,76, per 7000 giornate di lavoro di 40 operai costate 20.500
lire, valore complessivo 110.500 lire.
6
Arte marinara
Il fondo di arte marinara mostra gli ornamenti delle navi e le loro rappresentazioni colte (shippotraits) e popolari (ex-voto). Comprende sei polene di varie dimensioni, fra cui una “anima del
purgatorio”, fregi di prua di una tartana, due specchi di poppa di feluche. Questi ultimi elementi di
forma trapezoidale sono un esempio di scultura navale caratteristico della penisola sorrentina.
Chiamati “schiocche” servivano a chiudere a prua ed a poppa l’alta frisata delle imbarcazioni. Gli
specchi poppieri erano finemente scolpiti in bassorilievo e accuratamente dipinti da ambedue i lati
da abili artigiani locali. In genere il lato esterno raffigurava una scena che rievocava il nome della
feluca, mentre la parte interna era dedicata alla rappresentazione del Santo protettore.
Vi è poi una piccola collezione di ship portrait di velieri ed ex-voto marinari.25 Negli ex-voto due
elementi si intrecciano tra loro: la religiosità, soprattutto come devozione al Santo Patrono del
proprio paese, e la nave, luogo di vita e di lavoro. I patroni in penisola sorrentina sono S. Antonino
a Sorrento, S. Prisco e S. Agnello nell’omonimo paese, San Michele Arcangelo a Piano di Sorrento,
la Madonna del Lauro a Meta, S. Maria delle Grazie a Seiano (Equa). Nelle chiese di Meta,
Sorrento, Sant’Agnello e Seiano dedicate ai rispettivi patroni sono conservati alcune centinaia di ex
voto marinari, un grande patrimonio di cultura ed arte. Gli ex voto sono una delle poche
testimonianze iconografiche rilevanti della vita di mare sui velieri nell’800, infatti sono molto rare
le documentazioni fotografiche. In alcuni di essi, a seconda della qualità del pittore e delle richieste
del committente, sono descritte minuziosamente le condizioni avverse della navigazione, e si
mettono in risalto le capacità nautiche del capitano e dell’equipaggio nel condurre la nave ed
affrontare l’evento straordinario. In altri, di fattura più semplice, è messa al centro la furia degli
elementi naturali e l’intervento soprannaturale.
Tra gli autori di ex voto sorrentini ci sono anche pittori marinisti affermati, quali Domenico
Gavarrone, Luigi Roberto, che provengono dal mondo degli ship portraits. Questa rappresentazione
della nave ha uno scopo diverso: una descrizione pittorica accurata della nave per il suo armatore,
sia per soddisfare l’orgoglio di proprietario, sia per mostrare, nell’ufficio o nella casa, la propria
capacità imprenditoriale. I dipinti hanno una impostazione convenzionale, piuttosto statica, per
permettere la visione completa della velatura, tutta a riva, dell’attrezzatura e dei particolari dello
scafo. I pittori di ship portraits dell’area napoletana, tipici per lo sfondo in cui molto spesso si
staglia il Vesuvio, furono i De Simone, Luigi Roberto, Luca Papaluca, con una produzione vasta,
spesso di gouaches, che hanno caratterizzato una vera e propria scuola.
Tra i quadri del museo sono presenti alcuni acquerelli di Eduardo de Martino.26 Questi fu
significativo pittore marinista a cavallo tra 800 e 900, divenendo “Marine Painter in Ordinary to the
Queen” alla corte della regina Vittoria d’Inghilterra.
Di questa sezione fanno parte anche oggetti di artigianato che i marinai realizzavano nel tempo
libero a bordo o durante i periodi a terra: diorami che riproducono le navi su cui erano imbarcati,
25
Su questi ultimi manca una ricognizione esauriente; per un esame parziale si possono consultare: Calogero Tagliareni,
Ex voto religiosi marinari della penisola sorrentina, (Napoli, 1956); Aniello Russo Giosuè Fucito (ed.), Storie di
tempeste e di fede, gli ex voto nel Santuario di S. Maria del Lauro, (Castellammare di Stabia, 1998); Giovanni Gugg
Aniello Pane, Gli ex voto marinari dedicati a S. Antonino Abate Patrono di Sorrento, tesina in Storia delle Tradizioni
popolari, Università di Napoli “Federico II”, Facoltà di Sociologia, 1998-99.
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Roberto Vittorio Romano, Eduardo de Martino (Roma, 1994). Nacque a Meta nel 1838, fu iscritto a Napoli
all’Accademia Navale. Durante gli studi frequentò corsi liberi all’Istituto di Belle Arti e gli studi di Giacinto Gigante e
Domenico Morelli, dedicandosi anche all’approfondimento dell’architettura navale ed alla costruzione di modelli. Nel
1868, lasciata la Marina, si stabilì in Sudamerica, prima a Montevideo, poi in Brasile, presso l’Imperatore Dom Pedro
II, dove esercitò la sua attività artistica con una grande produzione di quadri di soggetto marinaro, tra cui molti di
genere commemorativo. Trasferitosi a Londra nel 1876, divenne famoso, amico di Giorgio V e dell’imperatore tedesco
Guglielmo II, ed i suoi quadri navali furono esposti nei palazzi più prestigiosi, quali Buckingam Palace (le sette tele che
ritraggono la battaglia di Trafalgar), nel palazzo imperiale di Tokio, nelle sedi dell’Ammiragliato inglese. Tra la sua
vasta produzione, un posto rilevante hanno gli acquerelli, in cui con pochi tratti fluidi inconfondibili si descrivono scene
di mare. Morì a Londra nel 1912, ma era sempre rimasto legatissimo alla terra natale: al Comune di Meta regalò alcune
sue opere, tra cui il bel Notturno con goletta oggi nella sala del Consiglio comunale.
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navi in bottiglia, raffigurazioni della crocifissione di Cristo con gli strumenti della Passione, anche
queste in bottiglia.
Strumenti nautici e attrezzi
Del fondo di strumenti nautici ottocenteschi, databili tra la fine del XVII secolo e l’inizio del
XX, fanno parte ottanti, sestanti, bussole a secco, cannocchiali e binocoli, barometri, un
cronometro di marina. Dei 12 ottanti e sestanti raccolti, in dotazione ai capitani sorrentini, solo uno
è di produzione italiana, della Ditta Moltedo di Genova. Gli altri sono inglesi, come anche la
maggior parte dei 14 tra cannocchiali e binocoli.27 Due delle bussole a secco esposte sono
fabbricate a Castellammare di Stabia.
Vi è anche conservata una piccola biblioteca di libri nautici per il calcolo della posizione,
manuali di navigazione con carte dei venti, delle correnti e delle tempeste, tavole logaritmiche,
manuali di attrezzatura navale, portolani, carte nautiche.
Vi sono gli attrezzi tipici del lavoro dei marinai e degli operai a terra: gli strumenti dei calafati,
quelli dei velai, un calibro per misurare lo spessore delle cime. Inoltre sono esposti nel museo parti
dell’equipaggiamento delle navi, come fanali, bozzelli, bigotte, chiodi, caviglie, chiodi, perni, filtri
a carbone per l’acqua. Finemente scolpita, vi è poi la barra del timone di un brick schooner. Infine
una cassa in legno da marinaio, intera, ed il coperchio di un’altra, che ricordano la dura vita di
bordo: nella cassa si riponeva il modesto corredo necessario per le lunghe navigazioni; sui due
coperchi sono dipinte le immagine delle navi sulle quali i proprietari avevano navigato.
L’archivio
L’archivio è costituito da documenti a stampa e manoscritti relative all’organizzazione
economica e alla navigazione della marineria sorrentina nell’Ottocento. Tra le testimonianze più
antiche una polizza di carico del 1755 della tartana “Immacolata Concezione e S. Giuseppe” del
Padrone Pietro Maresca che carica sale a Trapani per Venezia, ed un Albarano del 1798 del
“Monte per la redenzione dei cattivi” di Meta per il riscatto del capitano Catello Cacace.28
Uno spaccato delle attività finanziarie ed assicurative è delineato dai contratti di società delle tre
Compagnie di Assicurazioni e Cambi Marittimi29 preunitarie; i contratti contengono gli statuti e
l’elenco dei soci con il numero delle azioni detenute da ciascuno; completano la documentazione
polizze assicurative e cedole di azioni. Le Compagnie sono il primo tentativo di organizzare su
base locale una protezione dai rischi rilevanti della navigazione, nonché di finanziare l’attività
marittima. Il prestito a cambio marittimo veniva utilizzato prevalentemente per affrontare le spese
delle campagne commerciali.30 Tra i 246 soci compaiono tutti i casati amatoriali della Penisola: i
Cacace, i Cafiero, i Lauro e i Castellano, i Ciampa, i Maresca, i Paturzo e gli Iaccarino, gli
Astarita, i de Martino e i Longobardo, gli Scarpati, i Petrelluzzi, e i Savarese, ma tra gli azionisti
figurano anche farmacisti, sacerdoti, medici, impiegati, ufficiali della marina militare, possidenti
tra cui due donne, a riprova del profondo coinvolgimento della società locale nell’impresa
marittima.
Dell’Associazione di Mutua Assicurazione della Marina Mercantile Sorrentina, fondata nel
1862, sono conservati lo Statuto approvato nel 1879, documenti e lettere riguardanti le ispezioni
27
Il costo degli strumenti nautici nell’armamento di una nave era infatti una voce rilevante.
Per le numerose istituzioni nate a Meta per il riscatto dei prigionieri dei pirati nel XVIII secolo vedi Lauro Gargiulo, I
Monti di maritaggio e di riscatto dalla schiavitù turca, (Meta 1997).
29
Museo Maresca, Contratto di Società della Compagnia di Assicurazioni e cambi marittimi del Piano di Sorrento,
1826; Contratti di Società per la Compagnia Metese di Assicurazioni e Cambi marittimi, 1827; Contratto di Società per
la seconda Compagnia Metese di Assicurazioni e Cambi marittimi, 1831. Erano dotate di un capitale rispettivamente di
30.600 ducati diviso in 153 azioni di 200 ducati ciascuna, 29.100 ducati con 97 azioni da 300, 47.100 ducati diviso in
157 azioni da 300.
30
Luciana Gatti, Navi e cantieri della Repubblica di Genova (Genova 1999), 107-112.
28
8
dei periti alle navi che dichiaravano un’avaria o un incidente e la lista dei bastimenti iscritti fino al
1877, in cui sono annotate 435 navi di armatori sorrentini, siciliani, livornesi, gaetani, procidani.31
La Mutua, riservata ai soli armatori e basata sulla ripartizione dei rischi, fu la più grande
istituzione di questo tipo del Mezzogiorno.32
Numerosi telegrammi e bollettini a stampa (freight report), inviati ai capitani e agli armatori
dagli agenti marittimi, soprattutto statunitensi, forniscono un’idea della complessa rete delle
relazioni commerciali e del traffico marittimo di questi operatori; essi segnalano i carichi e relativi
noli possibili nei vari porti ed il movimento delle navi e delle merci.
Di grande interesse è la collezione di libri di contabilità delle spese di navigazione di diciannove
navi. Questi registri permettono di ricostruire accuratamente i viaggi delle navi, i porti toccati, le
spese per il vettovagliamento, le paghe dell’equipaggio, i compensi degli spedizionieri e dei sensali
marittimi, i costi di dogana, le spese di manutenzione della nave. In quasi tutti sono annotati anche i
rendiconti dei noli per ogni carico e viaggio e la divisione degli utili tra i caratisti. Di alcune navi
sono conservate le ricevute delle spese sostenute, le polizze di carico, le lettere dei noleggiatori.
Appare un quadro significativo, anche se parziale, del commercio marittimo dell’epoca: i velieri
sorrentini dopo il varo partivano alla ricerca dei noli sulle rotte atlantiche compiendo campagne che
duravano mediamente due anni, prima di tornare in un porto vicino, Castellammare o Napoli,
talvolta Marsiglia, per effettuare i lavori di manutenzione e sostituire eventualmente l’equipaggio. Il
primo carico, per avvicinarsi alle rotte oceaniche su cui poi operavano, era spesso stivato in Sicilia,
zolfo o sale, per il mercato americano o nord-europeo. Poi le navi si inserivano in rotte di traffico
abbastanza costanti. I carichi trasportati più frequentemente erano di grano e di petrolio, in cassette
o barili, dal Nord America per l’Europa. Nei viaggi di ritorno verso gli Stati Uniti i bastimenti
stivavano carbone in Inghilterra o merci varie in Mediterraneo. Tra molti altri documenti sparsi
vanno segnalati tre incartamenti riguardanti altrettante famiglie di armatori di velieri: i Cafiero di
Piano di Sorrento, i Cacace di Meta e i Coppola di Castellammare di Stabia.
Infine c’è la documentazione fotografica, molto rara e comunque relativa solo agli ultimi decenni
dell’Ottocento. Per lo più raccoglie immagini di navi, ma anche quelle dei cantieri navali della
Costiera, almeno le poche esistenti, e degli uomini protagonisti di quella stagione.
Queste foto degli armatori, dei capitani e dei loro equipaggi hanno la capacità di rendere
l’atmosfera di un’epoca particolarmente intensa per le attività marittime nella Penisola sorrentina, le
cui caratteristiche, come le capacità imprenditoriale, la specializzazione di competenze,
l’occupazione diffusa, sono state sinora poco studiate. La sua memoria è ancora affidata ai cimeli
che le famiglie conservano ed ai ricordi tramandati di generazione in generazione. In questo senso il
museo “Mario Maresca” costituisce una testimonianza forte ed un riferimento per la ricostruzione di
un periodo storico in cui il mare è stata una risorsa fondamentale.
31
Museo Maresca, Lista dei bastimenti portanti bandiera di segnale col numero d’ordine iscritti all’Associazione di
Mutua Assicurazione della marina mercantile residente in Meta (Napoli 1877).
32
Berrino, I sorrentini, 46.
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1 Il museo Mario Maresca a Meta: una testimonianza delle attività