L’immagine della copertina è tratta da un quadro in acrilico su tela intitolato “Natura Donna” ad opera di Dashi Capa, 2013 Il viaggio di Acos ...cinque anni dopo... Prefazione di Mariantonietta Cocco* Scrivere delle parole di introduzione ai contenuti di un volume è sempre cosa complessa e densa di significati, tanto più se la pubblicazione è il frutto dell’impegno di persone alle quali si è legati da un vincolo di stima e di amicizia che, come in questo caso, nasce da una lunga stagione di esperienze condivise. Più volte, nel corso di questi anni, l’Associazione Acos, con i suoi volontari, è entrata nelle aule universitarie, per portare agli studenti dei corsi di area sociologica, e di quelli di Sociologia delle migrazioni e del lavoro in particolare, una testimonianza del lavoro di contrasto alla tratta e alla prostituzione schiavizzata che da ormai dodici anni silenziosamente e fattivamente svolge a Sassari. Più volte mi è stato concesso il privilegio di prendere parte, in qualità di osservatrice, alle uscite della sua Unità di strada e di attraversare così una dimensione della vita notturna di questa città decisamente inedita, dura e non facile da decifrare. Accostarsi alle storie e alle esperienze delle tante donne con le quali quasi quotidianamente gli operatori di Acos entrano in relazione vuol dire prima di tutto realizzare nel modo più brutale e diretto che la schiavitù non è mai scomparsa; è cambiata nelle sue pratiche e nelle sue manifestazioni – oggi magari con modalità di appropriazione temporanea della persona quasi da “usa e getta” – ma resta immutato l’aspetto essenziale, quello di un individuo che esercita un controllo totale sulla vita di un altro. Parliamo di coloro che Kevin Bales definisce “merce umana nell’economia globale”, di soggetti privati della loro libertà, costretti a lavorare senza possibilità di scelta, resi docili attraverso i metodi della brutalità e della violenza. Uomini, donne, spesso bambini, che non si trovano solo in quelle periferie del mondo che spesso acriticamente liquidiamo come “sottosviluppato”, ma anche nella ricca Europa, tra le pieghe e negli interstizi di un benessere sempre più incerto e contraddittorio. I nuovi schiavi sono anche “le nigeriane”, “le ucraine”, “le albanesi”, “le cinesi”… che ogni notte, e a volte anche ogni giorno, vendono le loro vite sui marciapiedi delle città; donne asservite in modo pressoché totale alle organizzazioni criminali che ne regolano l’arrivo e lo sfruttamento e per le quali gli unici momenti di visibilità sono soprattutto quelli dell’esercizio della prostituzione in strada o nel chiuso dei locali. Donne che, notte dopo notte, per usare le parole di Isoke Aikpitanyi, svolgono la funzione di “imbuto in cui finiscono tutte le forme di violenza”. La tragicità delle esperienze vissute da gran parte di queste giovani migranti non deve tuttavia far dimenticare un elemento decisivo: per molte di loro, all’origine della scelta di partire, oltre alla fatale attrazione per un Occidente ricco e promettente, c’è sempre un qualche progetto di emancipazione, una strategia di cambiamento in positivo per sé e per la propria famiglia. La stessa determinazione a voler restare comunque in Italia e a cercare, a partire dalle poche possibilità a disposizione, di guadagnarsi nel tempo margini di autonomia più ampi, restituisce l’immagine di una realtà più sfaccettata e diversificata rispetto alle semplificazioni operate nelle rappresentazioni che spesso i media contribuiscono a veicolare. Possedere e alimentare questa consapevolezza è di fondamentale importanza per chi, come decisore pubblico, operatore sociale, sanitario, della giustizia, studioso, etc. si occupa di questi processi. È il primo passo verso un atto di riconoscimento delle potenzialità emancipatorie di queste donne, della loro capacità di guidare il corso della loro vita; da questa consapevolezza è necessario partire per valorizzare e potenziare i percorsi di affermazione di sé che hanno intrapreso già con l’emigrazione. Forse tra i concetti che oggi possono aiutare a rappresentare meglio la condizione delle donne che si prostituiscono o di quelle che accedono ai programmi di protezione sociale quello di “vittima attiva” sembra particolarmente appropriato, nella misura in cui designa una persona che ha vissuto o vive una situazione di asservimento, ma che conserva ed esercita, in misura diversa, una propria capacità di fuoriuscita da quell’assoggettamento. Su questa originaria capacità va centrato qualsiasi tipo di politica o di intervento. Riconoscere e promuovere i diritti di cittadinanza dei soggetti che vivono condizioni di marginalità o di esclusione sociale è un passaggio obbligato, sia sul piano dell’operatività concreta sia nell’elaborazione delle politiche sociali, per contrastare marginalità ed esclusione. Nell’ambito della prostituzione schiavizzata questo vuol dire allora promuovere politiche migratorie meno centrate sull’ossessione sicuritaria e più orientate all’accoglienza nel territorio; vuol dire interrogarsi sui percorsi, le pratiche e le modalità operative che si vogliono attivare in relazione alle specificità dei diversi contesti locali, sapendo quanto ormai la dimensione municipale delle politiche sia essenziale, ma senza trascurare l’importanza di un approccio di tipo olistico al fenomeno; vuol dire rivolgere una attenzione costante ai contesti di provenienza; promuovere interventi di prevenzione e di sviluppo locale nei paesi di origine e di transito delle vittime, anche in raccordo con i progetti di cooperazione internazionale e decentrata; significa infine mettere a disposizione di queste ultime “servizi non giudicanti”, capaci di leggere e di rispondere in modo efficace a comportamenti che in determinate fasi della relazione d’aiuto, come ben sanno gli operatori, possono essere opportunistici, sfuggenti o respingenti. Perché il lavoro di Acos e di altre organizzazioni del privato sociale impegnate in questo territorio nel contrasto alla prostituzione schiavizzata non diventi una sempre più stanca lotta contro i mulini a vento, bisogna poter contare su una rete di servizi consolidati, stabili e pubblici, senza i quali termini come diritti di cittadinanza e pari opportunità rischiano di svuotarsi di qualsiasi significato. Il riferimento naturalmente è a una gamma assai ampia di servizi – da quelli amministrativi a quelli sanitari fino a quelli che operano nell’area del lavoro, socio-assistenziale, linguistico-culturale, della formazione etc. – che in misura e modi diversi rendono possibile il passaggio dalla condizione di straniera/o, da soggetto capace di esprimere solo bisogni, a soggetto portatore di diritti e potenziale attore di uno sviluppo locale partecipato. Infine un grato augurio agli operatori di Acos per il lavoro generosamente svolto in questi lunghi anni di presenza sul territorio e per essere riusciti a fare di questa pubblicazione una utile pratica autoriflessiva e di rilancio progettuale. * “ Sociologia delle migrazioni e del lavoro” nel Dipartimento di Scienze Umanistiche e Sociali dell’Università di Sassari. Premessa “Perchè Acos?” Acos è una giovanissima donna nigeriana che più di tutte le altre è rimasta impressa nella nostra memoria e soprattutto nel nostro cuore. La incontrammo il 3 maggio del 2005 durante un’uscita di unità di strada pomeridiana sul litorale di Platamona. A quel tempo, infatti, il mercato del sesso era ben visibile e disponibile anche durante il giorno ed anche in quella zona. Di lei ci colpí la sua figura esile e la corporatura di una dodicenne, in realtà aveva solo 3 o 4 anni in più. Ci rimasero impressi i suoi occhi grandi, affetti in quel periodo da una bruttissima allergia che le provocava gonfiore e una continua lacrimazione, tanto da non poterli neppure tenere aperti. Si vedeva che ne soffriva moltissimo. La riincontrammo qualche giorno dopo durante una uscita notturna. Ebbene sì, Acos era costretta a “lavorare” giorno e notte, senza sosta, il suo era uno sfruttamento continuo. Riuscimmo a convincerla ad andare dal medico per curare la sua allergia e dopo aver imparato a fidarsi di noi, ci diede retta. Approfittando dell’accompagnamento sanitario, non appena ce ne fu l’occasione, le proponemmo di lasciare immediatamente la strada, illustrandole tutto l’iter da percorrere. Acos, era del tutto consapevole di vivere un inferno e che quella vita non poteva fare per lei. Ed era in grado di parlarne con una saggezza ed una calma inconsueta per la sua età. Fu, infatti, con la medesima pacatezza e rassegnazione che ci raccontò che la madre era morta e che quindi toccava a lei mantenere i suoi quattro fratelli tutti più piccoli di lei. Come avremmo potuto convincerla a non rispettare l’impegno preso con la sua famiglia, prima ancora che con i suoi sfruttatori, e salvare così solo se stessa?! Per lei sarebbe stato impossibile farlo perchè avrebbe dovuto convivere con questo senso di colpa. Acos accettò, allora, la nostra proposta di entrare in comunità ma a condizione che potesse lavorare nei mesi estivi per mettere da parte abbastanza denaro da inviare alla sua famiglia. Purtroppo ciò non avvenne mai perchè all’improvviso la sua maman la trasferì da un’altra parte. Ci rimase tanta amarezza, rabbia ed impotenza per non essere stati in grado di aiutarla. Stavamo inziando a conoscere questo fenomeno, la storia di Acos ci segnò profondamente. Oggi forse saremmo più scaltri e agiremmo diversamente. Quando decidemmo di dare il nome alla nostra associazione di contrasto alle vittime di tratta pensammo di scegliere il caso di una donna che non eravamo riuscite ad aiutare, proprio per tenere ben a mente dove avevamo sbagliato ed in futuro non ripetere lo stesso errore. Col tempo abbiamo capito purtroppo che non esiste un unico modus operandi che ci consenta di liberare queste persone incatenate in quella vita fatta di miseria, violenze e abusi. L’obiettivo, che Acos persegue è quello di liberarle tutte e non vederne mai più neanche una sulla strada ma sappiamo che sono legate alla realtà della prostituzione schiavizzata con delle catene così pesanti che è difficile riuscire a spezzarle offrendo loro una seconda chance, poichè i figli, la famiglia, i debiti sono catene che pesano sul loro collo con un doppio giro che le soffoca così tanto da far perdere di vista la propria dignità. Questo è un mondo maledetto. Con il tempo abbiamo capito che anche soltanto conoscerle ed ascoltare le loro storie di vita, come interlocutori privilegiati, significa restituire loro un pò di quella dignità che ogni giorno invece perdono a causa del cliente, della maman, e delle persone che le vedono in strada e le additano come prostitute. La storia di Acos in fondo è quella che accomuna la maggior parte delle donne che oggi sono immesse nella prostituzione coatta. Donne coraggiose che un giorno decidono di partire per cambiare il loro triste destino o chissà, forse la famiglia stessa le ha vendute o forse un trafficante ha mostrato loro un futuro roseo in un’Europa opulenta. Oggi noi raccontiamo questa storia, che ne racchiude tante, per ricordare che in alcune parti del mondo la libertà è un lusso che costa caro e alle volte il prezzo è così alto che quando ci sei vicino ormai sei logorato dalle continue violenze e brutture subite. Vogliamo ricordare che le donne con cui abbiamo preso contatti in questi anni sono tutte vittime di violenza, sono tutte donne schiave che ogni giorno vengono violentate nelle nostre strade, dai nostri concittadini. Speriamo che questo nostro contributo possa essere un valido strumento per fare in modo che la cittadinanza impari a contrastare questo fenomeno anche solo restituendo a queste donne la dignità che spetta loro. INDICE 1. L’unita’ di strada: uno spazio che accoglie. 1.1 La prima uscita. 1.2 Descrizione dell’intervento, metodologia di contatto. 1.3 Grafico delle uscite. 1.4 Presa di coscienza del nostro ruolo: “Il giusto ascolto”. 1.5 Chi sono le persone che incontriamo in strada? 2. Come facilitare l’accesso ai servizi: “dalla strada ai servizi del territorio”. 2.1 Accesso ai servizi sanitari. 2.2 Il punto di vista delle operatrici. 2.3 Accesso si servizi socio-amministrativi. 2.4 Grafici. 3. Laboratorio mobile di prevenzione: partire dalla salute per creare le basi per un processo di integrazione sociale. 3.1 Grafici. 4. Un centro per ascoltare. 5. I problemi legali. 5.1 Le tipologie delle richieste. 5.2 La normativa vigente contro la prostituzione schiavizzata e la tratta. 5.3 Le criticità dell’art. 18 nella sua applicazione pratica. 6. Il problema dei problemi: trovare un lavoro. 7. Laboratorio di lingua italiana. 8. Servizi presenti sul territorio. 9. La laboriosa rete di ACOS. 10. Riflessioni, nuovi obiettivi possibili e proposte. Postfazione – La prostituzione non è mai una scelta. Un punto di vista esterno 1. L’Unita’ di strada: uno spazio che accoglie. 1.1 La prima uscita Raccontare la prima uscita dell’unità di strada del gruppo che poi avrebbe costituito l’associazione Acos, significa in primo luogo descrivere quelle che erano le nostre idee su quello che avremmo trovato su strada. Prima dell’uscita infatti ci sono state diverse riunioni in cui ci siamo confrontati sia sulle nostre esperienze che sulle aspettative del gruppo e della Congregazione delle figlie della Carità1 il soggetto promotore del progetto “Elen Joy” finanziato dal Dipartimento Pari Opportunità presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri. Riguardo alle nostre esperienze, queste erano differenti, anche se trovavano diversi punti di contatto portando alla stessa motivazione. Due di noi facevano parte dell’Associazione Gourò2, conoscevano bene il mondo dell’immigrazione a Sassari ed avevano già iniziato un discorso di unità di strada (più per monitorare il fenomeno che per realizzare un intervento complesso). Una aveva fatto un tirocinio in Spagna con Medicos del Mundo proprio con un’unità di strada, maturando una competenza tecnica sul fenomeno della tratta e della prostituzione schiavizzata. Un’altra lavorava già da diverso tempo in una casa di accoglienza per donne vittime di tratta gestita dalla predetta Congregazione e conosceva bene la realtà regionale. Un altro operatore ha partecipato alle prime uscite ma poi non ha proseguito con il progetto. Il gruppo che avrebbe fatto l’uscita era quindi composto da due operatori e tre operatrici. Il mezzo, un Ulisse bianco della Fiat, era messo a disposizione dalla Congregazione anzidetta. Sulla zona e gli orari per l’unità di strada non c’era molto da riflettere: a Sassari i luoghi della prostituzione su strada sono limitati ad un’area ben precisa. Rimanevano da elaborare le strategie da mettere in atto nel corso dell’uscita. Sicuramente il primo aspetto su cui metterci d’accordo riguardava il primo approccio con le ragazze, e qui iniziavano le domande alle quali avremmo trovato risposta solo mettendoci in azione: Come avrebbero reagito le ragazze? E i clienti? E i protettori? Ci saremmo dovuti avvicinare noi o avremmo aperto la macchina per farle salire? 1 2 Vedi capitolo 8 Associazione A.V.A.S.S.eN. GOURÒ di assistenza socio-sanitaria per stranieri e nomadi Su alcuni aspetti avevamo le idee chiare: per non essere scambiati per clienti si sarebbero avvicinate prima le operatrici (non più di due se la ragazza era sola) in modo da spiegare brevemente le nostre intenzioni. In una fase iniziale pensavamo che la presenza di una suora (figura immediatamente riconoscibile) avrebbe facilitato l’approccio, ma ci siamo resi presto conto che questo avrebbe creato dei fraintendimenti su quelli che erano i nostri obiettivi. Riguardo ai clienti e ai protettori, stabilimmo di non perderci di vista durante tutta l’unità di strada in modo da poter fare gruppo nel caso di eventuali problemi. Alle ragazze ci saremmo presentati quindi come operatori di un’organizzazione che si poneva come obiettivo quello di aiutarle, offrendo un riferimento al di fuori del mondo della prostituzione. Ci saremmo offerti di accompagnarle all’ambulatorio per gli immigrati per l’attivazione della tessera sanitaria per stranieri irregolari o, se regolarmente presenti in Italia, avremmo visto insieme quali erano i loro bisogni in modo da poter cercare delle risposte. Il tutto in italiano, inglese e, nel caso, anche in spagnolo. Nel caso fosse venuta da parte delle ragazze la richiesta di lasciare la strada, le avremmo indirizzate verso percorsi che conoscevamo bene, ma in una prima fase l’obbiettivo era quello di monitorare il fenomeno, far conoscere il servizio e gli operatori ed individuare le richieste e necessità delle ragazze vittime di tratta. Così, dopo esserci preparati ed aver condiviso strategie e ruoli, il primo febbraio del 2005 ci siamo messi in macchina, portando con noi dei thermos di latte caldo e dei biscotti per offrirli alle donne ed aiutarci a creare un clima di fiducia, e siamo partiti verso la strada che porta a Porto Torres. Per prima cosa abbiamo fatto un giro nella zona industriale di Predda Niedda, nel perimetro ricompreso tra Viale Porto Torres e Via Predda Niedda. Terminato il giro iniziale, decidemmo di avvicinare le ragazze presenti, per renderci conto che, ogni volta che provavamo ad avvicinarne una, questa fuggiva senza darci la possibilità di spiegare niente. Decidemmo quindi di fermarci ad un distributore, dove si trovavano tre donne, puntando sul fatto che, in quanto gruppo, potessero sentirsi più sicure nell’affrontare un gruppo come il nostro. A quel punto ci fu un piccolo problema: non scendendo subito dalla macchina, ma rivolgendoci a loro ad una certa distanza, queste non capivano quali erano le nostre intenzioni, dicendoci di andarcene. La cosa durò fino a quando non scesero due operatrici per andare verso di loro dicendo in inglese “non abbiate paura, siamo amici”. Dopo quella prima uscita non ci volle molto tempo perché si spargesse la voce circa l’esistenza della nostra unità di strada. Con la complicità del latte caldo e dei biscotti e con il nostro atteggiamento non invasivo (avevamo deciso di assecondare la volontà delle ragazze di parlare con noi, rispettando i tempi di chi ancora non si fidava o non voleva parlarci) guadagnammo presto la loro fiducia, accompagnando quasi tutte ad attivare la tessera sanitaria per stranieri temporaneamente presenti sul territorio e realizzando gran parte degli obiettivi che ci eravamo prefissati. Nel 2008, dopo tre anni di esperienza maturata sul campo, decidemmo di costituire un’associazione che avesse come obiettivo primario il contrasto alla tratta in modo da ottimizzare l’esperienza maturata e cercare di concentrare le nostre forze nel conseguimento di obiettivi quali la tutela della salute ed intervenire in loro aiuto ogniqualvolta le nostre competenze, capacità e risorse ce lo consentissero. 1.2 Descrizione dell’intervento e metodologia di contatto L’unità di strada dell’associazione Acos ha caratteristiche simili ad altre unità di strada presenti in Italia e all’estero. Si tratta di un gruppo composto da tre o quattro volontari che si recano nelle ore notturne (dalle 22.30 alle 24.00 o anche più tardi), nei luoghi della città di Sassari nelle quali le donne si prostituiscono, che dal 2008 sono rimasti quasi sempre gli stessi: Viale Porto Torres, Via Predda Niedda, dintorni dell’Auchan ed Euronics, presso ATP e, in tempi più recenti, anche la zona retrostante la chiesa di Santa Maria (Via dei Gremi) e l’inizio di Via Amendola. L’unità di strada si avvicina alle donne in modo informale e amichevole, i volontari si presentano e spiegano le finalità dell’associazione, accompagnando la presentazione dei servizi con generi di conforto, quali bevande calde, che soprattutto d’inverno costituiscono un vero e proprio ristoro espressamente atteso e necessario per affrontare le lunghe ore notturne all’addiaccio. I volontari illustrano le attività dell’associazione, chiedono alle donne se abbiano bisogno di aiuto e lasciano il numero di cellulare alle interessate, al quale possono chiamare in caso di necessità o per prendere un appuntamento. L’associazione, inoltre, ogni volta che se ne presenti l’occasione- pur sottolineando le criticità di questo percorso in Italia - propone alla donna di lasciare la strada ed attiva il contatto con organizzazioni che dispongono di strutture d’accoglienza. Non è possibile descrivere un’uscita “standard” e un incontro-tipo. Spesso le donne che si incontrano, anche a distanza di anni, sono le stesse, ma molti elementi possono variare, perché loro stesse attraversano fasi diverse e sempre nuove legate al proprio percorso migratorio. Tutto quindi può cambiare in loro nel tempo: dall’abbigliamento al modo di comunicare, ma soprattutto i bisogni e le richieste che vengono fatte ai volontari. Queste richieste dipendono molto anche dalla nazionalità delle donne presenti in strada e dal grado di controllo da parte delle organizzazioni criminali, che le gestiscono. I volontari che operano nell’unità di strada non insistono mai per instaurare una relazione o un avviare un colloquio con le donne che incontrano. Viene rispettata la disponibilità della donna a parlare o a trattenersi, ma anche la scelta del silenzio e della distanza, e spesso occorrono anni per passare dalla semplice presentazione ad una richiesta di aiuto. Si preferisce un atteggiamento discreto, infatti i volontari sono consapevoli che è più importante, soprattutto inizialmente, sapere ascoltare i bisogni e creare un rapporto di fiducia. Questo significa che a volte bisogna attendere tempi lunghi, a volte addirittura anni, prima che la donna si rivolga all’associazione per una richiesta d’aiuto. In altri casi, invece, già il primo incontro è caratterizzato da una comunicazione fluida e molto intima, nella quale la donna o il transgender subito raccontano la propria storia ai volontari, dando vita a dei momenti molto profondi dal punto di vista emotivo. Al termine di ogni uscita i volontari compilano una breve scheda riassuntiva con i nominativi delle donne e transgender che si prostituiscono incontrati durante l’uscita, ma anche i nomi o brevi informazioni riguardanti le persone viste, la presenza delle Forze dell’ordine, di clienti o altre figure che hanno a che fare con il mondo della prostituzione. Questi dati vengono poi raccolti ed elaborati e permettono di disporre di dati statistici sempre aggiornati sulle persone che si prostituiscono nella città di Sassari. Tali dati vengono elaborati unicamente dall’associazione che non li ha mai diffusi all’esterno, nel rispetto della privacy delle persone coinvolte, utilizzandoli solo per elaborare tabelle e grafici riassuntivi e anonimi. Si tratta di dati molto importanti, che mettono in luce sia l’andamento quantitativo che alcuni cambiamenti riguardanti la nazionalità, l’età, il genere delle persone incontrate in strada. L’elaborazione dei dati ha permesso all’associazione di calcolare il numero di donne e transgender che si prostituiscono presenti in strada dal 2005 al 2012. Unità di Strada di Sassari FIG.1 - Unità di Strada di Sassari. Contatti totali al 31.12.2012: n. 4347 contatti totali al 31.12.2012: n. 4347 1.3 Grafici delle uscite 1200 1000 800 v.a. 600 400 200 0 2005 2006 2007 2008 2009 2010 2011 2012 FIG. 2 - Unità di strada di Sassari. Andamento dei nuovi contatti dal 2005 al 2012 Unità di Strada di Sassari Andamento nuovi contatti 2005-2012 120 100 80 60 40 20 0 2005 2006 2007 2008 2009 2010 2011 2012 1.4 Presa di coscienza del nostro ruolo: “Il giusto ascolto” Una delle principali finalità e una delle principali peculiarità dell’approccio sul quale si basa la nostra unità di strada è quella di ascoltare e rilevare i bisogni delle persone che si incontrano. Non di rado lo stereotipo di vittime che accompagna queste persone rende ciechi e sordi molti operatori che lavorano nell’ambito della tratta; a causa della condizione di marginalità che vivono le prostitute, si ha la presunzione di sapere ciò che loro desiderano, ad un attento ascolto invece si può rimanere molto sorpresi nello scoprire che il disagio che magari possiamo percepire noi, non viene percepito con la stessa intensità e allo stesso modo da loro. L’obiettivo del “giusto ascolto” è lo spirito d’azione che muove gli operatori dell’u.d.s. di Acos, per ridare dignità ad una persona ponendosi in condizione di ascolto3. Parte del nostro impegno è consistito nel dimostrare apertura nei loro confronti presentandoci non come un servizio di assistenza ma come “uno spazio che accoglie” in cui potersi relazionare, raccontarsi liberamente, scherzare, condividere con noi quelli che sono i loro sogni ed i loro progetti. In passato, già nel periodo della collaborazione con l’Associazione Gourò, i volontari si erano trovati a rispondere a delle richieste di accompagnamento ai servizi sanitari pubblici e privati del territorio. Con la nascita dell’associazione e, con l’intensificarsi delle attività dell’unità di strada, si è deciso di continuare ad effettuare accompagnamenti socio-sanitari. Per questo motivo è andata crescendo tra i volontari la consapevolezza circa i bisogni e le richieste, ed è emersa anche la volontà di orientare le donne che lavorano in strada e far emergere alcuni bisogni e aumentare la loro consapevolezza sui rischi, sulla prevenzione e tutela della salute. A tal fine l’Associazione ha cercato di organizzare dei momenti specifici di formazione, soprattutto in modo da poter offrire informazioni finalizzate in generale alla tutela della salute e più in particolare alla prevenzione delle malattie sessualmente trasmissibili e delle gravidanze non pianificate. Questo aspetto è anche specificità dell’unità di strada di Acos, rispetto alle altre due unità di strada esistenti ed operanti in Sardegna4. Avendo infatti l’Associazione un orientamento laico, si è scelto di dedicare una parte delle attività ed investire sulla formazione, proprio per incrementare la capacità dei volontari di trasmettere informazioni sulla prevenzione della 3 4 Paola Cappai “Ri-partire dalla strada, immigrazione, prostituzione operatori di strada a Valencia e a Sassari” p. 170. Descritte nell’ottavo capitolo. salute, nel modo più corretto ed efficace possibile. Proprio la scelta di diventare più efficaci nell’informare le donne sugli aspetti della prevenzione e della tutela della salute, ha portato l’associazione a presentare il Progetto “Xenia-Hey girl take care of yourself ”, che è stato approvato e finanziato dalla Fondazione Banco di Sardegna, a partire dal settembre 2009. L’associazione parte dal principio che i volontari non sono degli esperti, né dei medici, e non vogliono sostituirsi ad essi. Partendo da questo presupposto si cerca di favorire il lavoro di rete, indicando alle donne incontrate quali sono i servizi, le associazioni e i professionisti più indicati per dare loro una risposta. L’associazione ha creato una rete di servizi socio-sanitari privati e/o pubblici che potessero dare una risposta alle richieste, soprattutto in tema di salute e prevenzione. Tra gli obiettivi che il primo progetto Xenia ha permesso di raggiungere si possono elencare i seguenti: - acquisire la capacità di fornire informazioni sui rischi legati alle Malattie Sessualmente Trasmissibili (MST); - produrre e distribuire materiali informativi sui rischi legati alle MST; - distribuire materiale per prevenire la diffusione delle MST (preservativi e lubrificanti); - informare ed accompagnare le donne presso i servizi socio-sanitari; - fornire informazioni sulla sicurezza personale sulla strada (cosa fare in caso di aggressioni, diritti della donna oggetto di violenza); - fornire informazioni sulla contraccezione e sui rapporti protetti (per esempio come prevenire la rottura dei profilattici); - fornire informazioni sui diritti (la legislazione sugli immigrati, la legislazione sulla prostituzione). Grazie ai contributi ricevuti per questo primo progetto è stato possibile intensificare la cadenza delle uscite che si sono svolte una volta alla settimana per l’intera durata del progetto negli anni 2010-2011 (ad eccezione dei periodi di festività e del mese di agosto), ed è stato possibile anche assumere un’educatrice professionale che ha effettuato in modo costante gli accompagnamenti delle donne presso i servizi socio-sanitari per un periodo di circa due anni. A partire dalla seconda annualità del progetto, intitolato Xenia II, è stato possibile dare prosecuzione alle attività, ma anche dare inizio ad attività nuove di tipo informativo direttamente in strada, attraverso la realizzazione di “Laboratori mobili”, mutuato dall’esempio di esperienze come quella dei Medicos del Mundo in Spagna (si veda più avanti il paragrafo 3). Inoltre, grazie allo stesso progetto, si è cominciato a coinvolgere nelle uscite dell’unità di strada alcune figure specializzate: una ginecologa del Dipartimento di Ginecologia e Ostetricia dell’A.O.U. di Sassari, una mediatrice nigeriana e una mediatrice cinese. Tutti i progressi compiuti, dalla formazione alla collaborazione con le figure specialistiche, passando per il Laboratorio mobile e gli accompagnamenti socio-sanitari, hanno incrementato l’abilità dei componenti dell’unità di strada di comu- nicare e di informare ed al contempo il numero di donne e transgender contattati in strada, ed in generale è aumentata la visibilità dell’associazione e dei servizi offerti. Unità di Strada di Sassari Distribuzione contatti anno 2012 FIG. 3 - Unità di strada di Sassari. Distribuzione dei contatti nell’anno 2012 14% Nuovi contatti Vecchi contatti 86% 1.5 Chi sono le donne/persone che incontriamo in strada? Le nazionalità delle donne e dei transgender contattati dall’unità di strada sono, in ordine di numerosità del gruppo etnico: nigeriana, rumena, colombiana, cinese e altri Paesi del Centro-Sud America e Italia. Tabella 1. Nazionalità delle singole persone contattate durante l’attività dell’unità di strada - Anni 2007-2012 NIGERIA ROMANIA/EST CINA COLOMBIA ALTRI PAESI TOTALE 2007 39 6 1 2 2 50 2009 19 6 3 5 5 38 ANNO 2008 2010 2011 2012 TOTALE 4 12 19 8 101 3 4 6 7 32 0 1 1 2 8 1 1 4 1 14 0 1 1 3 12 8 19 31 21 167 Le donne di nazionalità nigeriana sono molto giovani e quasi sempre vittime di un’organizzazione trafficante di esseri umani: vengono contattate in Nigeria da conoscenti di sesso femminile, spesso amiche di famiglia, e viene loro proposto ed organizzato il ‘viaggio’ in Europa. Le ragazze spesso sono consapevoli del fatto che in Europa saranno avviate alla prostituzione, anche se sono assoggettate ai loro protettori tramite dei riti woodo e altri riti legati alla religione. Spesso il viaggio viene fatto con documenti falsi procurati dalle reti di sfruttamento che glieli requisisce una volta giunte in Italia. Al loro arrivo devono pagare alla loro ‘madame’ un debito che si aggira su una cifra fra gli 80.000-120.000 euro. Sono presenti nella città di Sassari due gruppi di donne nigeriane: un nucleo di donne con un’età media attorno ai 28 anni, che vivono da diversi anni nella nostra città e hanno in alcuni casi anche il permesso di soggiorno; spesso hanno anche formato o stanno per formare una famiglia e hanno già dei bambini. Ad esse si affianca un gruppo di donne nigeriane molto più giovani che probabilmente sono legate da fenomeni di controllo a quelle presenti da lungo tempo. Si tratta, tuttavia, di dinamiche molto difficili da capire ed è alto il grado di diffidenza da parte di queste ultime nei confronti dell’equipe, così come scarsa è la loro conoscenza dell’italiano. Nel 2012 si è rilevato anche un nuovo trend nelle presenze: il ritorno al lavoro di strada di alcune donne nigeriane adulte, già in possesso di permesso di soggiorno, con titoli di studio anche conseguiti in Italia e spesso anche con famiglia e figli, nonostante risiedano di solito in altre città italiane. Questo fenomeno pare essere riconducibile alla crisi economica che ha portato queste donne a perdere lavori in fabbrica o presso famiglie e a spingerle al ritorno al lavoro come sex workers. Le donne dell’est Europa – principalmente rumene - non erano più presenti sulle strade di Sassari nel 2007, ma a partire dall’inizio del 2008 è comparso un gruppo molto stabile di circa 6 donne, che è aumentato in modo progressivo nell’arco del 2009 e soprattutto nel 2010, rimanendo stabile nel 2011. Si tratta di donne molto giovani, hanno una media di 22 anni, dicono di essere amiche e in alcuni casi di abitare insieme, raccontano di non essere vittime di tratta e di lavorare talvolta in locali notturni. Pare accertato e anche noto alle forze dell’ordine che vi sono delle forme di sfruttamento. Alcune hanno chiesto accompagnamento nella ricerca di un lavoro alternativo. Con il passare del tempo è aumentata la presenza e il contatto con le donne dell’Est Europa e del Sud America, con le quali gli operatori hanno avuto modo di svolgere accompagnamenti di tipo sanitario e in alcuni casi per l’offerta di consulenza legale. Nel 2010-2012 si è assistito anche ad un fenomeno particolare: la presenza di un numero crescente di donne cinesi che lavorano in strada. A questo periodo risale anche l’aumento della presenza di transgender in strada, fenomeno in precedenza relegato alla prostituzione in casa. Tabella 2. Età delle singole persone contattate durante l’attività dell’unità di strada Anni 2007-2012 ANNO 2007 2008 2009 2010 2011 2012 TOTALE MENO DI 20 ANNI 20-30 ANNI 30-40 ANNI PIU' DI 40 3 33 12 1 0 9 4 0 1 17 5 19 12 20 13 102 3 5 3 8 7 38 0 4 0 3 0 8 2. Come facilitare l’accesso ai servizi: “Dalla strada ai servizi del territorio” Durante le uscite dell’unità di strada accade che le donne o transgender incontrati chiedano delle informazioni per accedere ai servizi sanitari presenti sul territorio. A volte si tratta di donne o transgender già accompagnati in passato e che vogliono ripetere analisi o visite mediche; a volte sono persone nuove, appena arrivate in città o che non avevano mai chiesto in passato un supporto non avendone ancora avuto bisogno. Talvolta si rivolgono ai volontari durante l’uscita o direttamente attraverso un contatto telefonico, spesso consigliate o aiutate da amiche o colleghe. In alcuni casi è accaduto anche che la donna che chiedeva di essere accompagnata presso un servizio si sia rivolta all’associazione direttamente presso la sede operativa, il cosiddetto “centro d’ascolto” o perché ha partecipato ad un’attività organizzata dall’associazione, come il corso di italiano organizzato nel 2011. Sia che la richiesta venga formulata in strada o presso la sede operativa, o telefonicamente, gli operatori volontari si consultano velocemente per vedere chi sia il volontario più esperto a seconda della richiesta. Se infatti si tratta di una richiesta di consulenza legale o che ha a che fare con problematiche di tipo legali (richiesta o rinnovo permesso di soggiorno, rilascio documenti d’identità, supporto per vittime di violenza, etc) la persona viene messa in contatto con le due consulenti legali volontarie dell’associazione. Se invece si tratta di problematiche amministrative più semplici (richiesta del codice fiscale, della residenza, della tessera sanitaria o tessera sanitaria per gli immigrati privi di permesso di soggiorno (STP), ricerca di lavoro, ricerca di un’abitazione, etc), si attiva uno dei volontari. Se si tratta, infine, di richieste che hanno a che fare con la salute, la persona viene contattata, attraverso il telefono dell’associazione, da una delle volontarie in base alla lingua straniera parlata, al tipo di prestazione sanitaria necessaria e anche in base alla disponibilità dei volontari. Nei periodi in cui l’associazione ha potuto contare su un’operatrice assunta al fine di svolgere gli accompagnamenti, gli stessi sono stati svolti dalla medesima in coordinamento con i volontari dell’Associazione. Alla telefonata o al colloquio di contatto segue un primo incontro, che di solito avviene presso la sede operativa dell’associazione o nello studio del consulente legale, al fine di valutare più attentamente i bisogni e stabilire insieme alla persona interessata i passi successivi da compiere. 2.1. Accompagnamento ai servizi sanitari La principale richiesta che viene rivolta agli operatori dalle donne contattate in strada e quella dell’attivazione della tessera sanitaria ed in tal caso è necessario verificare se la persona è il possesso del permesso di soggiorno o meno. Nel primo caso, infatti, si segue il percorso previsto per i cittadini italiani mentre nel secondo caso sarà necessario pertanto, quello di richiedere la tessera sanitaria per stranieri temporaneamente presenti detta anche STP o la tessera ENI (Europeo non iscritto) per i cittadini neocomunitari presenti per un periodo superiore ai 3 mesi in condizioni di indigenza, privi dei requisiti per l’iscrizione al SSN. L’art. 35 del Testo Unico sull’Immigrazione 286/1998 prevede che gli stranieri irregolari hanno diritto alle “cure ambulatoriali ed ospedaliere urgenti ed essenziali, ancorché continuative, per malattia ed infortunio per gli extracomunitari privi del permesso di soggiorno”. L’erogazione delle prestazioni sanitari è subordinato al rilascio da parte della ASL di un codice identificativo a sigla STP (straniero temporaneamente presente) di durata semestrale con validità sul territorio nazionale Per i cittadini comunitari il nostro ordinamento stabilisce che per chi soggiorna per un periodo inferiore ai 3 mesi non è necessario l’iscrizione al SSN nel caso in cui un cittadino avesse necessità di cure e assistenza sanitaria può rivolgersi presso le strutture pubbliche con la presentazione della Tessera TEAM (tessera Europea Assistenza malattia) qualora sia sprovvisto di una copertura assicurativa. I cittadini europei che soggiornano per un periodo superiore a tre mesi in Italia, devono essere in possesso di un’assicurazione sanitaria, oppure devono essere iscritti al Servizio Sanitario Nazionale (SSN). Il diritto all’iscrizione vale per coloro che svolgono un’attività lavorativa, per i loro familiari, per i familiari di cittadini italiani. Per richiedere l’iscrizione, i cittadini comunitari possono recarsi presso la ASL territorialmente competente con un’autocertificazione della residenza anagrafica ed un documento valido di identità. Il rilascio della tessera STP avviene presso gli uffici del piano terra dell’ASL in Via Tempio (Ex INAM), in orario di ufficio, ma solo a seguito di presentazione di una richiesta scritta da parte di un medico autorizzato dalla ASL. A Sassari tale richiesta viene preparata dai medici volontari dell’Ambulatorio per la Persona Migrante dell’Associazione Gourò, sito nella stessa struttura di Via Tempio, al secondo piano e aperto per uno o due pomeriggi alla settimana. Il volontario o l’operatore procede quindi ad accompagnare la persona presso detto ambulatorio, se necessario per motivi linguistici aiuta anche la persona durante la visita/colloquio con i medici finalizzata, oltreché alla risoluzione del problema di salute alla verifica delle condizioni necessarie per l’attivazione della tessera STP. La persona viene visitata dal medico e può già ricevere in questa sede una diagnosi, delle cure o essere inviata ad un servizio specialistico. Il secondo passo del volontario/operatore è quello di accompa- gnare la persona presso gli uffici amministrativi per la richiesta della citata tessera sanitaria, con la quale la persona potrà usufruire delle necessarie prestazioni sanitarie e, se sussistono i presupposti per l’esenzione, anche di natura gratuita. Nel caso di prescrizione da parte del medico di una visita specialistica, il volontario/operatore aiuta la persona (se ha difficoltà linguistiche) a prendere appuntamento tramite il CUP e la indirizza o, se necessario, la accompagna presso la struttura specifica. Ogni accompagnamento è personalizzato, ma l’associazione ha dei principi e delle modalità operative che cerca di seguire e che possono essere sintetizzati come segue: - favorire l’autonomia: il volontario/operatore che accompagna la donna o transgender non deve sostituirsi ed essere indispensabile, ma favorire l’autonomia della persona; questo significa che gli spostamenti avvengono preferibilmente a piedi o con mezzi pubblici, affinché, con le indicazioni del volontario, la persona possa raggiungere la struttura anche da sola in altre occasioni ed eventualmente attraverso il ‘passaparola’ possa trasmettere le informazioni acquisite alle altre conoscenti; - avere un approccio educativo: cercare di insegnare alla persona l’importanza delle regole di convivenza e il rispetto per l’organizzazione; questo significa che alcune persone devono essere seguite e spronate affinché rispettino la puntualità, oppure consigliate riguardo all’abbigliamento da indossare; si cerca di spiegare l’importanza di acquistare il biglietto per l’utilizzo dei mezzi pubblici; si cerca di spiegare in anticipo alla donna dove si andrà e a che tipo di visita verrà sottoposta, in modo che sia preparata e abbia tutti i documenti necessari con sé al momento della visita medica; - favorire l’approccio in prima persona: cercare il più possibile di spiegare alla donna il tipo di diagnosi, la patologia, cercando di usare parole semplici; non privarla mai della documentazione clinica, che deve essere sempre custodita dalla stessa; far parlare la donna direttamente con i medici, quando possibile, ed eventualmente intervenire solo per spiegare concetti difficili e per offrire spiegazioni più chiare (spesso bisogna chiedere al medico più che alla persona di sforzarsi di spiegarsi meglio!); - essere dei volontari flessibili: bisogna essere pronti a tutto: alcune donne, soprattutto le più giovani, potrebbero tardare, compromettendo anche l’orario della visita prefissata, o addirittura non presentarsi affatto (può essere utile ricordare alla donna l’appuntamento la sera prima con una telefonata); alcune donne si presentano con amiche, addirittura in piccoli gruppi. In questi casi bisogna essere preparati a seguirle tutte, ma facendo molta attenzione a non far trapelare informazioni riguardanti ogni singola utente. In seguito alla visita medica specialistica o ad altra prestazione sanitaria si cerca di invitare la persona a ripetere eventuali analisi dopo un certo numero di mesi, in modo da sensibilizzarla anche sulla prevenzione. L’associazione non esegue un follow up e non ricontatta le donne in seguito all’accompagnamento, ma alla prima occasione di incontro si cerca di chiedere con discrezione come sia andata la vista o la prestazione specialistica e si invita la donna a continuare o ripetere le visite o a cercare di evitare il ricorrere di alcune situazioni (si cerca di fare prevenzione). 2.2 Gli accompagnamenti sanitari: il punto di vista delle operatrici sociali che hanno collaborato con l’associazione (settembre 2009-ottobre 2011) Grazie ai contributi della Fondazione Banco di Sardegna e della Regione Sardegna, che hanno finanziato una serie di progetti, l’associazione ha potuto assumere due operatrici sociali che si sono occupate di svolgere con continuità gli accompagnamenti sociali e sanitari e le attività del Centro d’Ascolto, rendendo più stabile il servizio. Le operatrici sono state inizialmente affiancate dai volontari, che hanno illustrato loro i servizi, le collaborazioni già avviate con gli enti pubblici ed altre associazioni presenti nel territorio ed hanno contestualmente ricevuto una formazione specifica in particolare sulla legislazione e le prassi burocratiche vigenti in Italia riguardanti le persone extracomunitarie non regolari (a questa categoria appartiene infatti la maggior parte delle donne contattate); infine l’affiancamento è stato importante per le operatrici che sono state “presentate” alle donne già conosciute e seguite da tempo. è fondamentale stabilire un rapporto di fiducia tra accompagnatrice ed utenti, che così si sentiranno più disposte a parlare dei problemi sanitari o legali ma, soprattutto, nel momento in cui vogliano chiedere aiuto per lasciare la strada. Molti degli accompagnamenti svolti durante i progetti hanno riguardato delle emergenze, soprattutto per i controlli legati alla sfera ginecologica: dolori, analisi urgenti per le malattie sessualmente trasmissibili, interruzioni volontarie di gravidanza (I.V.G.), etc. Quando non si lavora sull’emergenza, gli accompagnamenti riguardano innanzitutto i controlli di routine legati alla sfera ginecologica quali analisi del sangue per rilevare eventuali malattie sessualmente trasmissibili e pap test. In alcuni casi le richieste formulate dalle donne incontrate hanno riguardato la necessità di svolgere un’interruzione di gravidanza come si spiega più diffusamente nel paragrafo 3. La mediazione necessaria in quasi tutti gli accompagnamenti è per lo più di tipo linguistico e logistico: Linguistico perché la maggior parte dei medici e degli infermieri non parlano l’inglese o usano un inglese con molti termini tecnici di difficile comprensione per le donne che per lo più hanno solo la licenza elementare. Logistico perché le varie analisi necessarie per l’intervento sono svolte in reparti dislocati nei diversi ospedali cittadini, per cui le donne, non conoscendo, la città si sentono spaesate. Gli stessi operatori sanitari a volte non sono informati su quelli che sono i diritti degli immigrati senza il permesso di soggiorno, tant’è vero che in varie occasioni l’operatrice ha dovuto informare il personale addetto, mostrando dispense dei testi legislativi per spiegare quali fossero le tutele della donna immigrata soprattutto per quello che riguarda il divieto di denuncia da parte dei sanitari nei confronti degli immigrati clandestini al momento dello svolgimento di accertamenti e del ricovero ospedaliero. Addirittura, in un caso di programmazione di un ricovero, un’infermiera particolarmente diligente voleva avvisare i Carabinieri (!), per cui l’operatrice, supportata dal consulente legale dell’associazione ha fornito il decreto legge all’ambulatorio. Le donne seguite dall’associazione, inoltre, non portano quasi mai con sé documenti di riconoscimento, anche qualora li possiedano. Queste situazioni creano non pochi problemi perché le operatrici cercano di creare un rapporto di fiducia con le donne, soprattutto in un contesto delicato come nell’interruzione di gravidanza e anche solo una minaccia di denuncia da parte del servizio sanitario rischia di vanificare tutto il lavoro. L’associazione ha sempre incoraggiato il ricorso al servizio sanitario per un’interruzione di gravidanza piuttosto il ricorso a metodi abortivi pericolosi e illegali, quale per esempio l’assunzione di farmaci somministrati dalla maman. Il ricorso all’aborto rispetto ad altri metodi anticoncezionali o alla “pillola del giorno dopo” è, purtroppo, una prassi molto utilizzata dalle ragazze straniere ed in particolare da quelle nigeriane, tuttavia mentre con il cliente utilizzano i preservativi, solitamente con il loro compagno non lo adoperano: non è chiaro se questo sia dovuto a una precisa richiesta dell’uomo o a una scelta della donna per “distinguerlo” dal cliente. Una ragazza, in particolare, si è sottoposta più volte a interventi abortivi, senza contare le volte che ha utilizzato soluzioni “fatte in casa”; sembrava quasi che la ragazza mettesse alla prova la sua fertilità. La collaborazione con gli operatori sanitari quindi è stata fondamentale per rendere il servizio il più efficiente possibile, anche al fine di garantire una maggior autonomia delle donne, le quali hanno trovato un punto di riferimento in ospedale, anche in assenza dell’accompagnatrice. L’operatrice si rende, inoltre, disponibile insieme con gli altri volontari per le visite di emergenza al pronto soccorso. Come nel caso, verificatosi più volte, in cui le ragazze hanno chiesto una visita urgente in seguito a violenze subite da clienti o delinquenti di passaggio, magari per una rapina, un pestaggio o in seguito a lancio di oggetti. Una curiosità è rappresentata dal fatto che molte di loro vogliono sapere il proprio gruppo sanguigno; ciò pare sia dovuto al fatto che le donne nigeriane, nel momento in cui decidono di avere dei figli con il proprio compagno, vogliono essere certe di avere lo stesso tipo di blood group per non avere problemi durante la gravidanza. Il passaparola ha poi enfatizzato tale convinzione, così per molte di loro ottenere questa informazione è diventata una necessità. Così come ci è sembrata abbastanza bizzarra la richiesta di sottoporsi ad ecografia pelvica per verificare il numero “delle uova” presenti nelle ovaie, avanzata da una giovane donna che aveva il timore di non essere più in grado di concepire avendo effettuato numerose interruzioni di gravidanza. In alcuni periodi, inoltre, il passaparola tra amiche e conoscenti ha promosso la richiesta di altri tipi di controllo, aumentando di volta in volta la richiesta di questa o quella analisi. 2.3 Accompagnamenti socio-amministrativi Sono stati svolti dai volontari/operatori anche accompagnamenti ai servizi sociali e per il disbrigo di pratiche amministrative. Se solitamente gli accompagnamenti sanitari riguardano soprattutto le persone contattate in strada, quelli effettuati presso i servizi sociali vengono richiesti anche da soggetti che hanno interrotto o posto fine alla vita prostitutiva, normalmente quando hanno figli o che hanno contattato direttamente la sede operativa dell’associazione. Nell’arco temporale 2008-2012 i volontari hanno dato sostegno ad alcuni nuclei familiari di persone straniere o donne immigrate con bambini a carico, offrendo loro consulenza legale, principalmente legata al permesso di soggiorno, ed accompagnandoli presso i servizi sociali al fine di individuare l’assistente sociale di riferimento. Le richieste più frequenti sono state legate ai seguenti aspetti: - accesso al nido comunale e scuola materna; - accesso ai contributi per il pagamento delle spese di affitto; - assegnazione di altri contributi comunali previsti per persone con basso reddito. Sono anche stati effettuati alcuni accompagnamenti di carattere prettamente amministrativo, diretti al rilascio di documenti, quali: rilascio modulo ISEE presso CAF; richiesta rilascio codice fiscale, presso Agenzia delle Entrate; richiesta della residenza ed eventualmente carta d’identità; altri documenti rilasciati dal Comune o altri enti locali. 2.4 Accompagnamenti effettuati nell’ambito del Progetto “Xenia I-Hey girl take care of yourself ” Tabella 3. - Periodo ottobre 2009 - agosto 2010 Mese Accompagnamenti sanitari Accompagnamenti di tipo socio-amministrativi 9 0 Ottobre 2009 1 Dicembre 2009 11 1 16 0 Novembre 2009 Gennaio 2010 Febbraio 2010 Marzo 2010 Aprile 2010 Maggio 2010 Giugno 2010 Luglio 2010 Agosto 2010 TOTALE 14 13 13 7 15 1 2 8 4 4 7 22 1 126 29 5 1 Accompagnamenti effettuati nell’ambito del Progetto “Xenia II” Tabella 4. - Periodo settembre 2010 - settembre 2011 Mese Accompagnamenti sanitari Ottobre 2010 9 Settembre 2010 Novembre 2010 Dicembre 2010 Gennaio 2011 Febbraio 2011 Marzo 2011 Aprile 2011 Maggio 2011 Giugno 2011 Luglio 2011 Agosto 2011 Settembre 2011 TOTALE 13 Accompagnamenti socio-amministrativi 19 7 5 18 21 7 5 14 14 2 2 9 8 137 9 25 3. Laboratorio Mobile di Prevenzione: partire dalla salute per creare le basi per un processo di integrazione sociale. “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti”. (art. 32- Costituzione italiana) Negli anni 2009/10, grazie al contributo della Fondazione Banco di Sardegna, ha preso avvio il progetto del Laboratorio Mobile di Prevenzione (LMP) specificatamente rivolto alle donne immesse nel circuito prostituzionale5. Il LMP socio-sanitaria, nasce con l’idea di andare incontro a quell’utenza che, per svariate ragioni, vive una condizione di degrado ed emarginazione tale da non riuscire a provvedere autonomamente ai propri bisogni, fra i quali in primis la tutela della salute. I LMP costituiscono un tipo di approccio differente rispetto agli altri servizi, non solo all’interno dell’attività che svolge l’associazione Acos, ma per l’intero territorio. Se infatti il servizio dell’unità di strada, di cui si avvalgono anche altre associazioni presenti nell’hinterland, ha come prerogativa quella di andare incontro all’utenza, e fare da tramite verso un percorso di sradicamento dal disagio e dall’emarginazione sociale, l’idea del LMP va oltre questa forma di aiuto. Il LMP socio-sanitaria non si limita a fornire informazioni di carattere sociale e legale. Esso nasce con la prerogativa di creare uno “sportello mobile ad hoc” di consulenza specializzata in base al bisogno rilevato, finalizzato alla formazione delle persone assistite nel qui ed ora. Questo approccio di rilevazione del bisogno e, congiuntamente, di informazione e formazione della persona assistita, fa si che la donna contattata sia in grado acquisire gli strumenti, le conoscenze e le competenze sociali e sanitarie utili a migliorare il suo stato L’idea di creare dei Laboratori Mobili di Prevenzione socio-sanitaria che potessero offrire un aiuto nei luoghi in cui è presente il disagio, nasce sulla scia di un’esperienza vissuta personalmente in Spagna dalla volontaria Paola Cappai, attraverso l’Organizzazione Non Governativa Médicos del Mundo. L’opportunità di svolgere sia un tirocinio per il corso di Laurea in Scienze dell’Educazione e successivamente un’osservazione partecipante, conseguita con il Dottorato di ricerca in Scienze Sociali, si è rivelata per l’Associazione Acos, un’esperienza molto arricchente. Questa idea di intervento, orientato sulla riduzione del danno e soprattutto sulle caratteristiche della persona che richiede un aiuto, pur non esplicitando formalmente la richiesta, è ciò che ha contraddistinto il costante lavoro dell’Associazione di Volontariato Acos. 5 di salute e di conseguenza la propria qualità di vita. I soggetti verso i quali si rivolge il LMP sono le donne nigeriane immesse nel circuito della prostituzione schiavizzata. Dal 2008, anno in cui l’associazione Acos si costituisce formalmente, l’equipe ha registrato un numero crescente di richieste per interrompere le gravidanze indesiderate in particolare da parte di questo gruppo etnico. Il fenomeno, nel tempo, si è rivelato ancora più complesso. Infatti, ci si è resi conto che ogni qual volta si accompagnava una donna presso i servizi ospedalieri per un’interruzione volontaria di gravidanza (IVG), il responso medico era quasi sempre il medesimo: si diagnosticava un’interruzione di gravidanza già avviata. Tale situazione ha insospettito l’èquipe poiché, seppur non sia una condizione anomala, era insolitamente elevata la percentuale con cui si verificava l’aborto spontaneo. Le stesse donne hanno poi rivelato all’equipe che, a seguito di un rapporto a rischio, utilizzavano un medicinale, denominato Cytotec, il cui acquisto, impossibile senza prescrizione medica, avviene attraverso reti di commercio illegale. La funzione collaterale di questo farmaco, che nasce come gastroprotettore, è quella di provocare contrazioni tali da indurre, in molti casi, l’aborto. Le donne hanno raccontato all’equipe di assumere un blister completo in una giornata, e a volte hanno inserito questo farmaco direttamente nelle parti intime. Si è potuto constatare come tale metodo dannoso si sia diffuso velocemente fra tutte le connazionali, e nonostante l’assunzione di tale medicinale provochi molto spesso un ricovero urgente presso l’ospedale, tale “rimedio” è diventato una prassi. Venire a conoscenza di questo fenomeno ha portato l’équipe ha porsi due quesiti: - Qual è la ragione di fondo che porta le donne nigeriane prostituite nella condizione di dover ricorrere alla frequente prassi dell’IVG? - Perché al fine di indurre l’aborto viene utilizzato un farmaco che ha scopi terapeutici differenti, invece di utilizzare i metodi indicati dal Servizio Sanitario Nazionale, senza così incorrere in nessun rischio per la propria salute? L’èquipe, dopo aver lungamente osservato il fenomeno e aver dialogato con le donne accompagnate presso i Servizi Sanitari, ha ritenuto fondamentale costruire un servizio che potesse rispondere in maniera personalizzata alla problematica riscontrata. Lo scopo del Laboratorio è quello di creare conoscenza e andare oltre il mero assistenzialismo, per far sì che la persona in difficoltà sia in grado di “assistersi” da sola, grazie ad una corretta conoscenza dell’argomento, e soprattutto evitare che questa incorra in situazioni di pericolo per la sua salute. Il Laboratorio, nello stesso spirito dell’Unità di Strada, è un servizio che va incontro alle persone nei luoghi dove queste esercitano la prostituzione schiavizzata. Gli operatori volontari, grazie ai finanziamenti del progetto, hanno noleggiato un pulmino che è stato adibito a luogo di ascolto e formazione. Per poter creare degli spazi di dialogo privilegiati per un utenza tanto particolare, l’èquipe ha seguito un breve corso di formazione presso il Consultorio AIED6 della città di Sassari. Ci si è avvalsi, inoltre, di materiale per la prevenzione delle malattie sessualmente trasmissibili fra i quali: opuscoli di vario genere; profilattici e lubrificanti. Inoltre, durante le attività del Laboratorio Mobile ha partecipato una ginecologa dell’Azienda Universitaria Ospedaliera (già presente durante le uscite con l’unità di strada) e in alcune tappe del progetto si è stati affiancati da una mediatrice culturale di nazionalità nigeriana. Con nostra grande sorpresa, durante i Laboratori, a cui partecipavano in media 4 ragazze ad ogni tappa, il primo problema riscontrato non rientrava tra i quesiti che ci eravamo precedentemente posti. Per quanto strano possa sembrare, la gran parte delle donne nigeriane che hanno partecipato ai Laboratori non sapeva utilizzare correttamente il profilattico. Alcune, inoltre, affermavano di utilizzarne più di uno contemporaneamente per paura che questi si rompessero durante il rapporto. Inoltre, quasi nessuna conosceva l’esistenza del lubrificante. Qualcuna ci ha confessato che spesso veniva ingannata dal cliente perché quest’ultimo non utilizzava il profilattico durante tutto il rapporto. Una delle conclusioni raggiunte dall’èquipe è la seguente: la maggior parte delle donne che hanno partecipato ai Laboratori sono da considerarsi soggetti a rischio perché prive di quelle conoscenze indispensabili per evitare di incorrere in situazioni traumatiche e frustranti, quali le gravidanze indesiderate e, conseguentemente, essere esposte al rischio di contrarre malattie sessualmente trasmissibili (MST). Si è riscontrato che fra le donne nigeriane, incontrate dall’èquipe durante i Laboratori, vi è la scarsa conoscenza di altri mezzi, oltre il Cytotec, per interrompere un’eventuale gravidanza. Come la possibilità di assumere, a seguito di un rapporto a rischio pillola del giorno dopo, o il farmaco per l’interruzione volontaria della gravidanza, RU-486, senza dover incorrere a metodi illegali e pericolosi per la salute. I Laboratori Mobili di Prevenzione socio-sanitari sono stati utilissimi per far apprendere alle donne che vi hanno partecipato quelle che dovrebbero essere le corrette abitudini per evitare di incorrere in situazioni di pericolo per la propria salute. Inoltre, attraverso gli accompagnamenti socio-sanitari queste ultime hanno avuto modo di conoscere alcuni servizi presenti in città. I Laboratori sono stati rivolti a tutte le persone incontrate (rumene, colombiane, ecuadoregne, peruviane, cinesi), anche se il target per cui è stato pensato il progetto è prevalentemente quello nigeriano7. Associazione Italiana per l’educazione Demografica (AIED), via Nizza n.19, 07100 Sassari; e-mail: [email protected] sito: www.aiedlibra.it 7 La maggior parte delle donne che si sono rivolte all’associazione per procedere con la prassi dell’IVG, dal 2007 al 2012, sono di nazionalità nigeriana, tranne un contatto nel 2012 la cui nazionalità è romena. Si rimanda alla tabella n. 2. 6 Sebbene le richieste di IVG non siano diminuite a seguito dei Laboratori, tuttavia sono stati osservati alcuni cambiamenti. Si è rilevato infatti che al termine del progetto è diminuito l’utilizzo del Cytotec. Tutte le donne che sono incorse in gravidanze non desiderate hanno subito contattato gli operatori dell’associazione Acos per essere seguite nell’iter ospedaliero, preferendo metodi di interruzione convenzionali. Inoltre, si sta iniziando a radicare anche l’utilizzo dei metodi anticoncezionali (come la pillola e il cerotto), prassi per niente diffusa nella comunità nigeriana. Ad ogni richiesta di interruzione gli operatori prospettavano anche la possibilità di procedere con la gravidanza, analizzando insieme alla persona i motivi della propria scelta e le eventuali altre soluzioni. Si è coscienti del fatto che non sia facile sradicare in tempi brevi dei comportamenti nocivi alla salute, poiché la realtà con cui ci siamo confrontati è un mondo sommerso molto complesso. La maggior parte delle giovani donne incontrate sono schiave del sistema in cui sono intrappolate e non sempre sono in grado di poter scegliere liberamente, e potersi così affidarsi agli operatori. Ma il loro costante interesse nei confronti dei Laboratori ci ha fatto capire che queste persone hanno un estremo bisogno di essere tutelate e correttamente informate. L’équipe ha rilevato alcune criticità del progetto. Si è constatato come sia fondamentale la presenza costante di una mediatrice culturale. Infatti, attraverso la sua partecipazione è più facile veicolare le informazioni e conquistare la giusta fiducia da parte delle utenti. Inoltre, istituire dei Laboratori così complessi con cadenza mensile rischia di far perdere la loro efficacia poiché l’utenza è tanta e non sempre il tempo a disposizione ha permesso di raggiungere tutte le persone. Ma, in special modo, si è arrivati alla conclusione che sia fondamentale essere sempre affiancati da personale medico e paramedico per poter garantire un servizio efficiente ed efficace. Purtroppo la ristrettezza dei finanziamenti non ha permesso di garantire un servizio ottimale, ma è stato comunque possibile raggiungere l’obiettivo di garantire la trasmissione di corrette informazioni socio-sanitarie, accompagnate da momenti di formazione tenuti dagli operatori volontari, per la prevenzione delle MST e delle gravidanze indesiderate, al fine di tutelare la salute quale requisito indispensabile di ogni persona umana. Tabella 5 - Donne contattate con i Laboratori Mobili di Prevenzione (LMP) Numero uscite Data Contatti 2 22.01. 2010 22 1 3 4 5 6 7 18.12. 2009 26.02.2010 26.03.2010 02.03.2010 16.07.2010 04.06.2010 17 21 16 14 15 25 Tabella 6 - Donne che si sono rivolte all’associazione per procedere con l’IVG Anno Contatti Uso Cytotec* 2008 3 1 2007 2009 2010 2011 2012 2 3 5 6 2 2 3 2 1 - * I dati forniti si riferiscono al probabile uso di Cytotec, non si esclude però che anche all’interno dei “contatti” vi sia stata qualche donna che ha utilizzato questo farmaco. L’incertezza rispetto ad alcuni dati deriva dal fatto che non sempre le persone accompagnate sono state seguite per tutto l’iter ospedaliero. In particolare quando erano contatti che già conoscevano la prassi da seguire. Inoltre, non tutte le donne con cui si è venuti in contatto hanno rivelato agli operatori il probabile uso di tale farmaco. Andamento visite allo sportello luglio 2010-settembre 2011 Fig. 4 - Andamento contatti allo sportello luglio 2010 - settembre 2011 30 25 20 15 10 5 0 lug-10 set-10 ott-10 nov-10 dic-10 gen-11 feb-11 mar-11 apr-11 mag- giu-11 lug-11 set-11 11 4. Un centro per ascoltare Un altro servizio che è stato potenziato con l’assunzione dell’operatrice, grazie ai contributi ricevuti nel periodo 2009-2011, è stato il centro d’ascolto, attività che, con la presenza fissa una volta alla settimana di almeno un’operatrice affiancata a turno dai volontari, ha acquisito maggiore continuità. Tale servizio, situato presso una struttura parrocchiale del centro storico di Sassari, è stato attivo per quasi tutti i venerdì pomeriggio (escluse le festività e in caso di eventi particolari), con la finalità sia di incontrare le donne contattate in strada che avevano richiesto un appuntamento, sia quelle che si presentavano senza preavviso con varie richieste. L’ufficio nel quale si svolgevano le attività è stato dotato di un computer con la connessione Internet da utilizzare per stilare il curriculum vitae o per soddisfare altre esigenze amministrative8. Tutte le donne contattate durante l’attività dell’unità di strada sono state invitate a recarsi presso questo “sportello”, a volte loro stesse hanno richiesto un appuntamento per parlare con più riservatezza. In caso di problemi di tipo legale l’operatrice ha preso contatti con i volontari dell’associazione che si occupano della consulenza legale; se le richieste erano di tipo medico allora ci si muoveva per prendere gli appuntamenti necessari e accompagnare le donne all’ambulatorio per stranieri e/o presso le strutture ospedaliere. Per le informazioni di tipo amministrativo si è proceduto verificando per prima cosa gli orari di apertura degli uffici e pianificando gli accompagnamenti successivi, eventualmente anche con il supporto dei volontari. Nei casi di donne con permesso di soggiorno l’operatrice ed eventuali volontari hanno incontrato la candidata per preparare un curriculum, primo passo per la ricerca di lavoro, e controllato siti Internet e annunci per la ricerca di lavoro su giornali specializzati; in alcuni casi sono stati programmati e svolti accompagnamenti presso l’ufficio di collocamento, l’ufficio per l’orientamento degli stranieri del Comune di Sassari e le agenzie di lavoro interinale. In altre occasioni le donne sono state supportate nella ricerca della casa, attraverso gli annunci pubblicati sui giornali specializzati, a volte solo aiutandole ad effettuare la telefonata e talvolta anche con accompagnamenti per visitare le eventuali case. Il centro d’ascolto è stato, infine, un luogo in cui attraverso la distribuzione di cibi e vestiti si è cercato di creare un legame più profondo con le donne straniere. Molte di loro, con la scusa della distribuzione, vi si recavano assiduamente, in particolare quelle che non lavoravano più in strada come prostitute e che erano alla ricerca di un posto di lavoro. 8 Il computer unitamente al modem e alla linea ADSL sono stati ottenuti gratuitamente grazie al progetto Sa.Sol.Desk promosso dal Centro Servizi per il Volontariato Sardegna Solidale in collaborazione con Tiscali. Grazie a tale spazio l’associazione ha inoltre potuto svolgere concreta attività di sostegno alle donne straniere, soprattutto quelle con figli a carico (spesso si tratta di famiglie monoparentali), ai nuclei familiari composti da persone straniere, o in qualche caso, da stranieri coniugati e/o conviventi con italiani. Tali attività, che sono state svolte per dare un sostegno concreto alle famiglie, soprattutto in presenza di neonati e bambini, possono essere sintetizzate come segue: - reperimento e donazione di alimenti (grazie alla collaborazione con il Banco Alimentare e il Gruppo d’Acquisto Solidale dell’ARCI provinciale di Sassari); - reperimento e donazione di alimenti, vestiario, dispositivi (culle, passeggini, etc), giocattoli per neonati e bambini; - aiuto nella ricerca di un’abitazione; - attività di aiuto nello svolgimento dei compiti a favore di bambini in età scolare (anche in collaborazione con i Servizi sociali di riferimento della famiglia). In alcune occasioni l’associazione ha svolto attività di micro-credito, prestando delle piccole somme a delle donne in difficoltà, seguite da tempo dai volontari. In particolare questa attività ha permesso ad una donna di recarsi a Roma per richiedere il passaporto, senza il quale il permesso di soggiorno per sé e per i suoi figli non sarebbe stato rinnovato. L’associazione non ha come finalità il prestito di denaro, ma nelle poche occasioni nelle quali ha anticipato piccole somme di denaro si è visto che le persone alle quali è stato prestato si sono comportate molto correttamente; ciò mette in luce il bisogno da parte delle donne e nuclei familiari stranieri di poter accedere a piccole somme di contanti in periodi di necessità o in caso di emergenze, bisogno al quale purtroppo le istituzioni economiche e sociali in Italia, e in particolare a livello locale, non riescono a dare una risposta adeguata. Tabella 7. - Persone che si sono rivolte al Centro d’Ascolto nell’ambito del progetto “Xenia II” Periodo di riferimento settembre 2010 settembre 2011 MESE NUMERO Sett. 2010 9 Nov. 2010 11 Ott. 2010 Dic. 2010 Gen. 2011 Feb. 2011 Mar. 2011 Apr. 2011 Mag. 2011 Giu. 2011 Luglio 2011 Sett. 2011 TOTALE 26 11 8 12 14 11 8 5 6 10 131 5. I problemi legali “L’egoismo collettivo ha una qualità che lo rende sostanzialmente diverso dall’egoismo individuale?” (A. Unzurrunzaga P. Aierbe) 5.1 Tipologie di consulenza richiesta L’esperienza maturata negli anni di assistenza legale offerta gratuitamente alle donne contattate dall’unità di strada ci ha consentito di esprimere con assoluta certezza che la loro condizione di isolamento sociale corrisponde anche ad una condizione di apartheid legale. Le richieste che ci sono state rivolte sono, infatti, assai atipiche rispetto a quelle di immigrati di altra provenienza e condizione. Le tipologie di richiesta di consulenza sono, pertanto, riconducibili a due categorie: problemi legati all’ottenimento del permesso di soggiorno, ma soltanto quando l’iter è in fase già patologica, ed ai casi di aggressione da parte di clienti e/o passanti occasionali. Per quanto riguarda la prima categoria di richieste si può dire che si rivolgono a noi soltanto nel momento in cui il percorso di regolarizzazione offerto loro nel “pacchetto” dell’organizzazione criminale che le sfrutta, non va a buon fine. Questo discorso vale principalmente per le donne di nazionalità nigeriana, poiché le romene ormai godono della regolarità in quanto cittadine dell’Unione (anche se di serie B), mentre le sudamericane giungono a Sassari, quasi sempre, dopo essersi regolarizzate in Spagna, dove hanno un accesso facilitato e ciò offre loro una sorta di libera – ma temporalmente limitata - circolazione nello spazio comunitario. Le cinesi, infine, quasi mai si rivolgono a noi ed ancora meno per regolarizzarsi. Le donne nigeriane seguono i percorsi di regolarizzazione dettati dai loro sfruttatori, che in questo modo continuano ad estorcere loro altro denaro. La via più praticata è quella della richiesta di rifugio politico, che consente alle richiedenti appena arrivate in Italia di ottenere un permesso di soggiorno provvisorio per attesa di riconoscimento dello status di rifugiata della durata di tre mesi. Si tratta di un sistema ben congegnato di estorsione attraverso il quale viene fornita alle donne una storia preconfezionata di persecuzione razziale, sessuale o religiosa da inoltrare all’ufficio immigrazione del luogo, che, per legge, deve rilasciare immediatamente il predetto titolo di soggiorno in attesa che la Commissione per i Rifugiati competente per territorio convochi la richiedente asilo per il colloquio. Questa attesa può durare dai tre ai sei mesi, talvolta un anno ed induce la donna a ritenere che la regolarizzazione è vicina e che i suoi sfruttatori la stanno aiutando davvero a migliorare la sua vita. Ciò alimenta il senso di riconoscenza nei confronti di chi le ha aiutate a lasciare la miseria del loro paese e quindi a sopportare meglio la prostituzione ed a pagare il debito contratto più velocemente. Niente di più lontano dalla realtà, perché ormai le Commissioni territoriali per i Rifugiati sono a conoscenza di tale modus operandi dei trafficanti e nel 99% dei casi dispongono il rigetto dell’istanza. Ed è solo a questo punto che spesso le donne chiedono la nostra consulenza, quando ormai sono ad un passo dall’essere raggiunte da un decreto di espulsione o peggio quando lo hanno già ricevuto e stanno per essere trasferite in un centro di permanenza temporanea. Nell’analoga fase di rigetto, si rivolgono a noi quando capita loro di accedere alle cosiddette “sanatorie” varate dal governo per consentire ai migranti di regolarizzare la loro posizione. Per gli sfruttatori anche questa è una ghiotta occasione per racimolare altro denaro. Quando, infatti, viene emanato un provvedimento che consenta ai migranti presenti in Italia di regolarizzarsi attraverso l’autodenuncia di un lavoro dipendente svolto “in nero”, gli sfruttatori organizzano dei veri e propri pacchetti reperendo dei fittizi datori di lavoro che dietro una ricompensa in danaro e/o di natura sessuale, prestano semplicemente i propri dati anagrafici per la compilazione del modulo e per la firma del cosiddetto contratto di soggiorno. Soltanto quando l’iter della pratica trova qualche ostacolo oppure viene rigettata le donne, ormai abbandonate a se stesse dagli sfruttatori che le hanno spremute al massimo, si rivolgono a noi per cercare un rimedio spesso impossibile da trovare. La terza ipotesi di regolarizzazione alle quali ricorrono le donne prostituite che si rivolgono ad Acos è quella legata ai matrimoni di convenienza, a volte organizzati dai “magnaccia” che verso ricompensa in danaro reperiscono aspiranti mariti prezzolati, ma più spesso cercati dalle stesse donne perché visti come unica via di fuga dalla strada. In questo caso, quando si rivolgono al nostro sportello, è perché l’agognato permesso di soggiorno per famiglia, che in questi casi viene rilasciato, tarda ad arrivare – l’ufficio immigrazione, infatti, in questi casi avvia un’ampia e lunga indagine per verificare la veridicità del vincolo matrimoniale - oppure la richiesta viene rigettata una volta scoperto il raggiro. Dal bilancio raccolto abbiamo rilevato che il costante ricorso a metodi illegali di regolarizzazione posto in essere dall’organizzazione a delinquere è senz’altro favorito dalla farraginosa normativa di base che regola l’immigrazione in Italia. La struttura normativa in materia è, infatti, affetta da una grave malformazione genetica che consente la regolarizzazione soltanto a coloro che si trovino fuori dall’Italia e che miracolosamente vengano contattati da datori di lavoro residenti in Italia disposti ad assumerli (!). Si è, dunque, potuto constatare che tutt’oggi in Italia il diritto ad emigrare, ad uscire dal paese in cui si è nati, diritto peraltro ampiamente riconosciuto dall’articolo 13.2 e 14 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, non trova una corrispondenza nel diritto ad “entrare” in un altro stato. Un discorso a parte e del tutto trasversale per quanto attiene alla nazionalità ed al tipo di sfruttamento sono le aggressioni, le rapine e la violenza subita sulla strada da parte di clienti e passanti. In questi casi abbiamo purtroppo riscontrato che solo un esiguo numero delle donne aggredite ha il coraggio di sporgere denuncia. Racconto, per tutti, il caso esemplificativo di Natasha una giovane di nazionalità nigeriana piccolina e magrissima, uno scricciolo. Come molte ragazze che lavorano in strada Natasha diceva di avere 18 anni all’epoca, ma probabilmente era minorenne. Un paio di anni fa, mentre ci trovavamo in strada durante una consueta uscita notturna, alcune sue connazionali e compagne di strada li presenti, ci dissero che la poverina qualche giorno prima era stata aggredita da dei ragazzi. Dopo averla cercata e trovata, vedemmo che su di se aveva ancora i segni dell’aggressione: ematomi sul viso e sul braccio e varie parti del corpo ancora doloranti. In quell’occasione, cercando di scalfire la sua diffidenza e reticenza, con estrema difficoltà riuscimmo a farci raccontare l’accaduto. Le spiegammo, allora, cosa avrebbe potuto fare: denunciare gli aggressori, trovare un luogo in cui rifugiarsi, accedere al permesso di soggiorno. Restammo molto tempo con lei per cercare di convincerla almeno ad incontrarci il giorno dopo per parlarne con più calma, ma fu impossibile. Non ci contattò mai. Il caso di Natasha rientra in quella categoria di giovanissime, prive di documenti, scarsamente alfabetizzate e, pertanto, totalmente vittime delle loro madame, che della loro ignoranza delle leggi approfittano per mantenerle ancora di più sotto il loro controllo. Più semplice appare, invece, denunciare gli aggressori quando la ragazza è regolare e si trova da più tempo in Italia. Le più coraggiose si sono rivelate le donne sudamericane, che in più occasioni hanno portato a giudizio i loro aggressori. 5.2 La normativa vigente che tutela le vittime di sfruttamento e violenze Come sopra descritto l’unità di strada rappresenta il primo contatto dell’associazione con le donne vittime di violenza e sfruttamento. Qualora si dovesse ravvisare nelle donne irregolari, contattate in strada, uno stato di violenza o sfruttamento l’associazione Acos offre la possibilità, data dal nostro ordinamento, di intraprendere il percorso presso le “case di fuga”presenti sul territorio. La Congregazione Figlie della Carità e la Comunità Papa Giovanni XXIII sono gli unici enti in Sardegna ad avere le strutture necessarie ad accogliere le donne (descritti nel capitolo 8). Infatti, i predetti enti religiosi sono iscritti alla seconda sezione presso il Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali in qualità di ente o associazione abilitato alla realizzazione di programmi di protezione sociale destinati a stranieri irregolari in grave stato di violenza e sfruttamento ex art.18 T. U. immigrazione n.289/1998. Le donne accolte nelle case provengono da diverse realtà italiane e hanno presentato denuncia in diverse Procure nel territorio della Repubblica. Il permesso di soggiorno per motivi di protezione sociale è disciplinato nell’art.18 del Testo Unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione approvato con D.lgs 286/1998 e integrato dal regolamento di attuazione D.P.R. 31 agosto 1999 n.394. Il dato centrale che caratterizza questo tipo di permesso di soggiorno trova la sua ragione nella volontà specifica di aiutare la vittima di sfruttamento, concedendo la possibilità di spezzare il vincolo con i persecutori e intraprendere un percorso sociale che può essere duraturo e definitivo. La ratio della norma ha voluto superare un concetto giuridico della vecchia normativa legato alla “collaborazione processuale” che, in quanto tale, poteva durare solo per lo stretto tempo legato al procedimento penale e non concedeva il passaggio ad un permesso di soggiorno lavorativo e stabile. Il presupposto per la concessione di un permesso di soggiorno per motivi di protezione sociale è che lo straniero, soprattutto irregolare, sia oggetto di violenza o di grave sfruttamento (diverse le ipotesi di sfruttamento dalla prostituzione, lavorativo, accattonaggio e tratta di persone). Rientrano nel concetto di violenza tutte quelle situazione di coercizione fisica e morale. In ordine al requisito dello sfruttamento, che l’art. 18 T.U. richiede sia caratterizzato dalla “gravità”, esso deve ritenersi ravvisabile ogni volta in cui la persona straniera sia oggetto passivo di una condotta volta ad utilizzare le sue prestazioni, fisiche o mentali, al fine di trarne profitto. Il permesso di soggiorno ha la durata di sei mesi e permette l ‘accesso ai servizi assistenziali, studio, alle liste di collocamento e al lavoro subordinato. Il permesso per motivi umanitari può essere convertito in motivi di lavoro. La normativa prevede due percorsi per ottenere il permesso di soggiorno per protezione sociale: giudiziario e sociale. Il suddetto permesso è stato concepito sia in relazione a situazioni emergenti in singoli procedimenti penali, sia in relazione agli interventi assistenziali dei servizi sociali in cui siano accertate situazioni di violenza o di grave sfruttamento nei confronti di uno straniero in contemporanea presenza al pericolo per l’incolumità personale. La norma ha una lettura ampia comprende non solo lo sfruttamento sessuale ma anche quello lavorativo. L’art. 18 T.U. prevede la concessione di uno speciale permesso, da parte del Questore, anzitutto nell’ambito di indagini di polizia di procedimenti relativi ai reati della c.d Legge Merlin (L. n. 75 del 1958) il reato di sfruttamento e induzione della prostituzione e dunque si riferisce anzitutto ai reati connessi alla prostituzione ivi disciplinati (ad es. cessione di immobili per esercitare la prostituzione, favoreggiamento della prostituzione ecc.), ma poi menziona anche i delitti indicati dall’art.380 c.p.p. nei quali sia obbligatorio l’arresto in flagranza . Dopo l’entrata in vigore dell’art.18 del T.U. la legge 228/2003 sono stati riformulati gli articoli del codice penale 600 c.p., 601 c.p. e 602 c.p. dedicati alla riduzione in schiavitù, tratta di schiavi e acquisto e alienazione di schiavi. Tali delitti fanno espresso riferimento a situazioni in cui la persona offesa venga ridotta o mantenuta in uno stato di soggezione continuativa e costretta a “prestazioni lavorative o sessuali ovvero all’accattonaggio o comunque a prestazioni che ne comportino lo sfruttamento”. L’art. 18 T.U. si applica a tali fattispecie sia perché i reati di cui agli artt. 600, 601 e 602 c.p. rientrano tra quelli indicati dall’art. 380 c.p.p., sia perché l’art. 13 della legge n.228/2003 stabilisce che “qualora la persona vittima del reato di cui all’art. 600 e 601 del codice penale sia persona straniera, restano comunque salve le disposizioni dell’art. 18 D.Lgs. 286/98” Nei casi in cui non siano applicabili gli articoli sopra citati si devono valutare nel caso concreto l’applicazione dei requisiti richiesti dall’art. 18 T.U. di grave sfruttamento e violenza. L’art. 27 comma 1 lettera a del regolamento di attuazione specifica che la proposta per il rilascio venga formulata dal Procuratore della Repubblica, nei casi in cui sia iniziato un procedimento penale, dai servizi sociali degli enti locali, dalle associazioni o da altri enti o organismi purché iscritti nel registro degli enti che svolgono attività a favore degli immigrati presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, confermando l’esistenza del percorso sociale. In questo modo, si è introdotta la possibilità di avviare un percorso ad impulso dei servizi sociali garantendo, attraverso il registro sopra citato, l’individuazione di soggetti in grado di attuare un percorso di assistenza e di integrazione. Nel caso sia stata presentata una denuncia penale della donna vittima di violenza o sfruttamento (percorso giudiziario), dal questore su proposta o parere favorevole del Procuratore della Repubblica. Il questore su proposta o parere, sopra citato, rilascia un permesso di soggiorno per consentire allo straniero di sottrarsi alla violenza e ai condizionamenti dell’organizzazione criminale e di partecipare ad un programma di assistenza e integrazione sociale. Alla richiesta deve essere allegato: 1. il programma di assistenza ed integrazione sociale (allegato di norma dall’ente assistenziale all’atto della proposta di rilascio del titolo di soggiorno); 2. l’adesione dello straniero al programma, previa avvertenza delle conseguenze previste dal Dlgs 286/1998 in caso di interruzione del programma e di condotta incompatibile con le stesse; 3. accettazione degli impegni connessi al programma da parte della persona responsabile della struttura presso cui il programma deve essere realizzato. E’ importante sottolineare l’avvertenza di adesione al programma, questa specifica la revoca del permesso in caso di interruzione o condotta incompatibile con il programma. L’art. 18, comma 4, T.U. Specifica i motivi di revoca del permesso di soggiorno, prevedendo tre casi tassativi: a) l’interruzione del programma, b) la condotta incompatibile con le finalità dello stesso, c) il venir meno delle condizioni che abbiano giustificato il rilascio del permesso stesso. Si attribuisce la facoltà di accertare la sussistenza delle prime due circostanze non soltanto al Procuratore e al Questore, ma anche all’ente che ha realizzato il programma di assistenza in favore dello straniero. Per quanto riguarda il caso della persona che ha iniziato il c.d. percorso sociale, e dunque non ha presentato una denuncia o reso dichiarazione nell’ambito di un procedimento penale, la proposta viene avanzata dai servizi sociali o dalle associazioni sopra citate: in tal caso il Questore valuta la gravità o il pericolo indicato dalla norma senza acquisire nessun parere del pubblico ministero che risulta necessario solo nei casi sia iniziato un procedimento penale. In tali casi la valutazione della violenza o gravità del pericolo è rilasciata alla discrezionalità del Questore. Tale tipologia di permesso si scontra nella realtà con l’innegabile esigenza dell’Autorità di Pubblica Sicurezza della verifica dei fatti riferiti all’ente o alla associazione che ha ricevuto la richiesta da parte dello straniero. L’istituto del doppio binario ha determinato non poche difficoltà di applicazione. Nella prima fase di applicazione l’art. 18 sembrava legato alla denuncia e al procedimento penale in corso, determinando una concessione del permesso solo con una stretta “collaborazione” con l’autorità inquirente. Il Ministero dell’interno è intervenuto con diverse circolari per una corretta applicazione e interpretazione dell’art.18 ( Cir. 4.08.2000, Cir. 28.05.2007) . La Circolare del 4.08.2000 precisa che qualora la proposta pervenga dai soggetti indicati dall’art.27 comma 1 lett. a, ai fini della sua valutazione, non sussiste la necessità di una denuncia. In tali casi il Questore competente valuta la gravità e l’attualità del pericolo, tenendo di quanto segnalato dall’associazione o ente proponente, e può rilasciare un permesso di soggiorno per motivi umanitari senza il previo parere del Procuratore della Repubblica. Infine, considerata la particolare funzione che il legislatore ha voluto dare alla tipologia di soggiorno, si sottolinea la necessità che il rilascio dei titoli avvenga nel più breve tempo possibile. La Circolare del 28.05.2007 specifica che il conseguente rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari non è condizionato alla presentazione di una denuncia da parte dello straniero che ne benificia ne alla sua collaborazione con gli organi di polizia o con l’autorità giudiziaria. 5.3 Le criticità dell’art. 18 nella sua applicazione pratica. Per affrontare i problemi legati all’applicazione pratica del predetto l’art. 18 mi è sembrato quanto mai appropriato riportare la constatazione spontanea di una giovanissima donna vittima del traffico di esseri umani e di sfruttamento sessuale, che vive sulla sua pelle gli effetti di tale applicazione, dopo aver avuto la forza ed il coraggio di denunciare la sua madame ed i trafficanti che l’hanno condotta in Italia: “It’s a losing game. Da quando, tre anni fa, ho iniziato questo viaggio migratorio mi sembra di essere sempre stata rinchiusa ....Prima da parte di quelli che mi hanno condotto in Italia come se fossi stata una valigia e che mi hanno tenuto per mesi segregata in un appartamento di Atene, poi da quella che mi ha trattata senza alcun rispetto e dignità, come se fossi stata il suo bancomat con credito illimitato finché non ho detto basta; ed ora dalle persone che mi stanno aiutando a liberarmi dalla mia “magnaccia” ma, pur con le loro buone intenzioni, hanno continuato a tenermi rinchiusa e non so ancora per quanto tempo. Così, dopo aver fatto la scelta dolorosissima di denunciare i miei stessi connazionali che, pur con le loro cattive intenzioni, mi avevano aiutato a liberarmi da una miseria ancor più nera, ora sembra che non sia cambiato niente. Ora mi trovo senza soldi, senza documento (perché non ho capito ancora quando arriverà) ed ancora senza libertà”. Occupandomi di tratta di persone dal 2005 ho maturato una consistente esperienza circa l’applicazione dell’art. 18, e tutt’oggi ritengo che sia uno strumento efficace e all’avanguardia rispetto agli altri ordinamenti europei –il suo modello è stato, infatti, esportato in vari paesi dell’Unione- ma ho potuto verificare che nella sua pratica applicazione ci si è, invece, dovuti scontrare con la diffidenza di un sistema che guarda le sue destinatarie con sospetto e non si fida delle loro storie e delle loro denunce, come se il solo fatto di trovarle sulla strada non fosse di per sé sufficiente a dar loro tutto l’aiuto possibile per lasciarla e non farvi più ritorno. Il percorso cosiddetto sociale, almeno per l’esperienza sassarese, è diventato lettera morta perché la sua applicazione, benché legale, non è più accettata dal locale ufficio immigrazione. In poche parole non viene più rilasciato il permesso di soggiorno ad una donna che chieda di essere inserita in un percorso sociale di uscita dalla prostituzione ed al contempo non se la senta di sporgere denuncia contro gli sfruttatori che hanno abusato di lei in tutti i modi, come è ormai risaputo perché si tratta di una prassi criminale diventata, purtroppo, letteratura. Ciò accade semplicemente perché le autorità competenti partono dal presupposto che queste donne mentano e raccontino una storia inventata al solo scopo di ottenere il permesso di soggiorno. Dette autorità, infatti, depositarie del potere del rilascio di un semplice documento di identità e autorizzazione alla permanenza sul territorio, ritengono che la storia di una vittima che non denunci i propri sfruttatori non meriti almeno una chance di avere una vita normale. È questo, infatti, il traguardo che si raggiunge attraverso il titolo di soggiorno, un lavoro, una casa, una vita. In quest’ottica, il rilascio di questo tipo di documento sottopone la vittima ad un nuovo ed ulteriore genere di ricatto: “ti concedo il permesso solo se sporgi denuncia e, bada bene, che le tue dichiarazioni siano precise e concordanti, altrimenti sono guai”. Così come i loro sfruttatori, il nostro “sistema istituzionale di aiuto” chiede loro qualcosa in cambio: una denuncia, un’indagine, un processo, per giungere, forse, a qualche condanna. Un iter che più che dare un concreto aiuto alle vittime spesso serve solo a far guadagnare medaglie, onorificenze e le prime pagine dei giornali. Non dovremmo, invece, approfittare dell’opportunità che ci danno per mostrare loro una società civile, migliore ma soprattutto diversa da quella dalla quale sono scappate? Il percorso cosiddetto premiale dovrebbe, dunque, essere più “semplice” appunto perché la legge e la giustizia, chiedono qualcosa che consenta di agguantare i criminali, metterli in galera, portare a termine azioni di polizia che portano lustro e notorietà al corpo che ha svolto le indagini e quindi il premio succulento dovrebbe giungere una volta che la vittima offre l’obolo. Quindi anche quando la donna sporge denuncia e, per sua fortuna, le dichiarazioni vengono considerate attendibili, per motivi inspiegabili quasi sempre il permesso tarda ad arrivare oppure, in certi casi, non arriva mai, e non è dato sapere se si perda nelle sabbie mobili della burocrazia oppure se ci sia un’intenzione preordinata da parte delle autorità di rendere la vita ancor più difficile a queste donne. Il percorso sia esso sociale o premiale, comunque, si rivela sempre assai duro. I motivi sono diversi: primo fra tutti il solo fatto di trovarsi in una comunità, sottoposti ed una convivenza forzata e per di più in un paese straniero con usanze e modi di vita completamente diversi. Dalle testimonianze degli operatori di comunità con cui Acos lavora in rete (vedi cap. 8), emerge, infatti, che, quando, dopo diversi mesi di permanenza, non arriva il documento sono gli operatori delle comunità che fanno da argine alle reazioni anche rabbiose di queste donne, che hanno accettato di sporgere denuncia, pur sapendo di tradire la propria famiglia ed aver rinnegato i propri costumi senza avere niente in cambio. Ricattate e tradite, ecco come si sentono. Ed è inevitabile che giungano a domandarsi se ne valesse la pena lasciare la strada per poi ritornarci con il marchio infamante di delatrici e traditrici della propria razza ed al contempo povere stupide per non averne neppure ricavato niente? 6. Il problema dei problemi: trovare un lavoro A partire dall’autunno 2008, con l’apertura del centro d’ascolto, si è iniziato a svolgere attività di accompagnamento al lavoro. L’associazione, infatti, ha potuto svolgere solo in rari casi delle attività di inserimento lavorativo, ma nella maggior parte delle situazioni le donne che si sono rivolte allo sportello sono state coinvolte in attività di accompagnamento al lavoro. Si tratta di una serie di attività mirate a trasferire alla donna interessata una serie di competenze per incrementare le informazioni e le abilità necessarie per accedere al mondo del lavoro. Come anticipato nel paragrafo che descrive come avvengono gli accompagnamenti sanitari e socio-amministrativi, alcune donne coinvolte in questa attività erano state contattate dall’unità di strada, ma in alcuni casi si sono rivolte direttamente allo sportello anche grazie al passaparola tra connazionali. Le attività di accompagnamento lavorativo iniziano solitamente con un colloquio con uno dei volontari e/o l’operatore assunto dall’associazione. Si parla con la donna per cercare di capire il livello di scolarizzazione pregresso, che esperienze lavorative abbia (in Italia e nel Paese d’origine), che tipo di lavoro vorrebbe fare e soprattutto quale sia la situazione dal punto di vista del permesso di soggiorno e altri documenti (passaporto, codice fiscale, etc). Quest’ultimo aspetto è determinante per dare la possibilità alla donna di accedere ad alcuni servizi esistenti sul territorio. a) Attività svolte con tutte le donne, anche quelle che non possiedono il permesso di soggiorno: 1. Elaborazione del curriculum vitae. 2. Analisi degli annunci pubblicati settimanalmente dalle riviste specializzate: gli annunci sono stati letti insieme alla donna, con spiegazioni sul significato della terminologia tecnica; in alcuni casi l’operatrice ha aiutato la candidata a prepararsi per svolgere le telefonate e prima di recarsi all’eventuale colloquio di lavoro. 3. Individuazione delle agenzie di lavoro interinale e accompagnamento, spiegazione delle modalità di accesso e del funzionamento. b) Attività svolte con donne in possesso di permesso di soggiorno e codice fiscale: Oltre alle attività descritte al punto A, con le donne che possiedono il permesso di soggiorno è stato possibile svolgere anche i seguenti passi: 4. Iscrizione al Centro per l’impiego della provincia di Sassari; 5. iscrizione al registro delle Colf e badanti presso il Centro per l’Impiego provinciale; 6. iscrizione al registro comunale delle Colf e badanti presso lo Sportello Extracomunitari del Comune di Sassari (un tempo con sede in Via Giusti e in seguito trasferito in via Zara); 7. iscrizione alla banca dati delle ACLI per la ricerca di Colf e badanti (sede ACLI in Via Roma, servizio non più attivo). In alcuni casi è stato possibile svolgere anche delle attività di inserimento lavorativo di donne contattate dall’associazione. Il caso più significativo di inserimento lavorativo curato direttamente dall’associazione riguarda quello di una donna nigeriana, in possesso di permesso di soggiorno e codice fiscale, che aveva già avuto delle esperienze nel campo della ristorazione. La donna si è rivolta all’associazione per chiedere un aiuto nella ricerca di un lavoro regolare e la volontaria, dopo averla incontrata ed aver svolto un primo colloquio, ha contattato una struttura alberghiera che era alla ricerca di personale per la stagione estiva. Dopo aver rilevato l’interesse della struttura ad assumere una persona con le caratteristiche della candidata, la medesima è stata accompagnata per un colloquio con il titolare della struttura ricettiva. Il colloquio è avvenuto con il titolare, la donna e la volontaria ed è servito a spiegare le mansioni e le caratteristiche del lavoro offerto, mentre la candidata grazie alla sua capacità di espressione e al carattere estroverso e solare ha avuto modo di spiegare le sue esperienze pregresse, che sono state accolte positivamente dall’albergatore, che ha richiamato la ragazza dopo qualche settimana e l’ha assunta come aiuto-cuoco e lavapiatti. Durante la metà della stagione il titolare ha chiesto alla volontaria di avere un colloquio per alcuni problemi di relazione sul lavoro. I problemi emersi sono stati quelli che emergono solitamente durante lo svolgimento di un lavoro stagionale, come la richiesta del titolare alla lavoratrice di rinunciare al riposo e alcuni problemi legati alla coabitazione della donna con una collega in spazi troppo limitati e conseguenti problemi di relazione tra le due donne. La volontaria ha svolto alcuni colloqui individuali con il titolare e con la lavoratrice, per sottolineare i diritti e i doveri di ciascuno (rispetto della giornata di riposo) e invitare anche i due a trovare autonomamente delle soluzioni. La volontaria è anche intervenuta per limitare un tentativo del titolare di giudicare comportamenti e attività della ragazza, che avevano a che fare con l’ambito privato e non con quello lavorativo. La donna ha poi proseguito la stagione terminandola e in seguito il titolare l’ha cercata nella stagione invernale per offrirle un lavoro di badante per un familiare. Purtroppo negli ultimi anni le possibilità di ripetere questo tipo di esperienze si sono notevolmente ridotte sia a causa dell’avversa situazione economica, che ha reso più difficile per tutti, non solo per gli stranieri, trovare un lavoro ma anche a causa dell’alto numero di donne contattate che non possedevano il permesso di soggiorno o alle quali era scaduto e non era stato rinnovato. Le attività di inserimento lavorativo, infatti, presuppongono alcuni elementi quali il possesso di documenti validi, esperienza pregressa e una buona attitudine al lavoro e capacità comunicative, che purtroppo non sono possedute da tutte le donne contattate dall’associazione, soprattutto dalle più giovani (al di sotto dei 25 anni) che sono presenti in strada e che costituiscono la maggioranza delle donne che si prostituiscono. In alcuni casi, inoltre, alla proposta diretta da parte dei volontari di cercare un lavoro alternativo alla prostituzione le donne, pur disponendo del permesso di soggiorno e di ottimi requisiti (esperienze lavorative pregresse, conoscenza dell’italiano, bella presenza), hanno risposto di non essere interessate perché un lavoro come cameriere o commesse non garantirebbe loro un guadagno comparabile a quello del lavoro di strada. Spesso si tratta di donne che hanno molti familiari a proprio carico nel Paese d’origine o che intendono concentrare l’attività prostituiva in un breve periodo, per poter guadagnare cifre notevoli e utilizzarle per un progetto specifico (aprire un’attività commerciale nel Paese d’origine, costruire e arredare la casa, etc). Infine, nell’ambito delle attività di accompagnamento e inserimento lavorativo, è importante citare la collaborazione nata tra l’associazione e l’Assessorato alle Politiche del Lavoro, della Formazione professionale e dell’Istruzione della provincia di Sassari per la realizzazione del progetto “Io donna, Io lavoro”. Nel 2010 l’associazione Acos è stata coinvolta in fase iniziale dall’Assessorato per una consulenza sulla predisposizione di un bando per attività di inserimento lavorativo delle donne vittime di tratta. In fase di individuazione delle beneficiarie del progetto, l’associazione ha individuato un gruppo di candidate con i requisiti adatti per la partecipazione al bando. Le candidate sono state poi selezionate e coinvolte nelle attività del Progetto. Le attività non consistevano purtroppo in vere e proprie attività di inserimento lavorativo, ma bensì nella concessione di un contributo, una sorta di voucher, per la partecipazione a corsi di formazione o per acquisizioni quali l’apertura della partita IVA o della patente di guida. Due candidate in particolare sono state affiancate in modo diretto dall’associazione per l’acquisizione della patente e per svolgere un corso di sartoria. 7. Laboratorio di lingua italiana Il laboratorio di Lingua Italiana dell’associazione Acos ha avuto inizio nell’ottobre del 2010. La necessità di attivare un corso di introduzione alla lingua italiana ed ai suoi usi è emersa durante gli incontri che l’associazione compie regolarmente con ragazze straniere per lo svolgimento delle proprie attività di assistenza a persone vittime della tratta. In particolare durante l’estate 2010, presso la sede di Acos, alcune ragazze nigeriane hanno espresso l’interesse ad apprendere la lingua italiana come strumento di “sopravvivenza” nella comunità che in quel momento le stava accogliendo e verso la quale avevano la necessità di sviluppare migliori forme di comunicazione e comprensione. L’input iniziale è stato raccolto con la consapevolezza di entrare in un contesto locale di esperienze d’insegnamento a persone straniere della lingua italiana, ma che probabilmente non erano costruite per soddisfare le esigenze dell’utenza dell’associazione. Si è attivato quindi un processo di metabolizzazione anche da parte dei volontari dell’associazione che hanno sentito la responsabilità, ma anche l’importanza della sfida che stavano affrontando. I primi incontri sono stati infatti dei momenti di reciproca conoscenza, durante i quali sono emerse alcune delle necessità prioritarie, come ad esempio i bisogni linguistici connessi all’esigenza di un’abitazione ed in altri casi alla ricerca di un lavoro. La richiesta di aiuto arrivata dalle ragazze ha innescato pertanto un processo di costruzione di un percorso che da un lato raggiungesse l’obiettivo formativo e dall’altro dall’altra le tutelasse nel loro bisogno di privacy; tale approccio si è dimostrato efficace perché espressione di una modalità consolidata, inserita coerentemente all’interno delle azioni che l’associazione Acos porta avanti nella sua attività ordinaria. Il corso di lingua Italiana è iniziato nell’ottobre 2010 e si è concluso nel dicembre 2011. L’organizzazione delle lezioni è stata pensata insieme alle partecipanti scegliendo una cadenza bisettimanale, il martedì ed il giovedì per la durata di un’ora per ciascuna lezione. La sede in cui svolgevano le lezioni era quella dell’Associazione Acos presso una parrocchia nel centro storico della città di Sassari. Inizialmente le allieve che frequentavano la scuola erano due ragazze nigeriane di 24 e 27 anni, anche se, in effetti, non erano le ragazze con le quali inizialmente si era concordato di strutturare l’azione di formativa. Ciò ha creato alcune difficoltà nel formulare la proposta. È stato subito evidente che, quanto pensato precedentemente, ovvero di proporre un intervento che colmasse tutte quelle lacune che avrebbero portato maggiore autonomia linguistica rispetto a diversi contesti di vita quotidiana, come la ricerca del lavoro, la ricerca di un’abitazione, l’assistenza sanitaria, non era più praticabile. Le discenti infatti avevano una scarsa conoscenza non solo della lingua italiana, ma anche di quella inglese, nonostante fosse la loro lingua madre. Ciò ha comportato l’impossibilità ad utilizzare quei materiali didattici scelti in precedenza, quali ad esempio: “L’italiano per…incontrarsi, lavorare, vivere” di Gilberto Bettinelli e Graziella Favaro, “L’italiano per…le regole e gli usi” di Gilberto Bettinelli e Graziella Favaro, e “Io&l’italiano Corso di Lingua Italiana per principianti assoluti” (in seguito introdotto gradatamente). I testi, per quanto destinati ad un profilo di apprendenti come i principianti assoluti, non rispondevano più alle necessità emerse durante i primi incontri. Si è dunque manifestata la necessità di ripensare gli strumenti di lavoro: la scelta dei materiali didattici è stata quindi coerente e funzionale con le conoscenze pregresse delle corsiste. Si è quindi preferito scegliere di volta in volta materiali di varia natura, quali immagini, foto, cartine geografiche, ritagli di testi di diversa provenienza: libri, riviste, Internet, file audio; cercando inoltre di adattarli al nostro contesto classe, per far si che potessero essere facilmente fruibili in questa prima fase di apprendimento. Durante lo svolgimento delle attività didattiche il corso è stato integrato dalla partecipazione di altre corsiste, di diversa nazionalità, di diversa età e differente conoscenza della lingua italiana: possiamo citare la presenza di altre due ragazze nigeriane di circa 23 e 26 anni, le quali hanno frequentato per circa un mese in maniera discontinua, una ragazza libanese di 26 anni che non ha assicurato una presenza constante ed una donna ecuadoregna di 60 anni, la cui frequenza è stata registrata per due mesi in maniera irregolare. La situazione eterogenea della classe è stata fonte di ulteriore diversificazione e ripianificazione delle scelte didattiche, dovuto alla differente condizione di provenienza delle allieve ed alla continua fluttuazione delle presenze. Ciò che maggiormente ha segnato l’esperienza della scuola di Lingua Italiana di Acos è stata la presenza costante e la determinazione delle prime due iscritte durante tutti i quasi 15 mesi di esperienza, che mostrando interesse e volontà di apprendimento dell’italiano nonostante le difficoltà incontrate come malattia o necessità di denaro e quindi di lavoro, sono riuscite con costante allegria e reale gioia, ad apprendere gli elementi base della lingua italiana. Imparare a leggere, piano piano, ogni giorno un piccolo passo è stato per loro un grande successo realizzato anche grazie alla determinazione delle volontarie di Acos che hanno creduto e sostenuto questo progetto sin dall’inizio. 8. Servizi presenti sul territorio Oltre ad Acos, nel territorio sassarese ci sono altre due associazioni che si occupano di contrasto alla prostituzione schiavizzata: la Congregazione Figlie della Carità di San Vincenzo de Paoli e la Comunità Papa Giovanni XXIII. La Congregazione Figlie della Carità di San Vincenzo de Paoli La Congregazione religiosa Figlie della Carità di San Vincenzo de Paoli offre come servizio l’unità di strada e la gestione di due comunità, la casa di Pronta Accoglienza e la casa di Seconda Accoglienza, situate in luoghi mantenuti anonimi per motivi di sicurezza in quanto il percorso sociale parte dopo una denuncia fatta dalla donna contro i propri sfruttatori. Questi servizi vengono gestiti da personale qualificato, da volontari e dalle suore che abitano all’interno della struttura d’accoglienza. La Comunità accetta sia ragazze single che ragazze con bambini. La Congregazione è presente in tutto il territorio sardo: nella zona di Cagliari, di Sassari e in quella di Olbia sono infatti attive, un giorno alla settimana, le diverse unità di strada e sono ubicate le due strutture preposte all’accoglienza; le altre zone e il centro Sardegna sono coperte invece grazie alla collaborazione con le Caritas Diocesane. Con la Casa di Pronta Accoglienza, la Congregazione offre alle giovani uno spazio protetto garantendo sicurezza, assistenza e recupero di tutte le loro potenzialità, attraverso l’acquisizione della fiducia in loro stesse e nei valori della vita, per favorire in questo modo percorsi di crescita e di sviluppo personale. Promuove inoltre percorsi di scolarizzazione e formazione professionale per avviare un processo di autonomia della donna che le permetta il reinserimento in uno spazio socio-lavorativo per garantirne l’indipendenza e il suo inserimento sociale nel territorio. Per ottenere questo alle ospiti della Comunità viene offerto un supporto morale, psicologico, materiale, sanitario e giuridico-legale e viene creato uno spazio d’ascolto su temi come l’identificazione dei bisogni personali e dei propri figli, la relazione con gli altri e il miglioramento dell’autostima. Nella Casa di Seconda Accoglienza l’obiettivo è invece quello della realizzazione con l’ospite del proprio piano di sviluppo professionale e di vita; infatti già da subito le ragazze vengono orientate verso la ricerca attiva di una propria casa e vengono illustrate loro le spese delle quali una persona si deve fare carico. La Comunità Papa Giovanni XXIII La Comunità Papa Giovanni XXIII è un’Associazione a livello internazionale che opera nel territorio italiano dal 1973 e si occupa di diverse problematiche quali l’emarginazione, il disagio sociale, la povertà, l’abbandono. Nel 1990 viene aggiunto ai vari servizi anche quello anti-tratta. Nel territorio di Sassari questo servizio è presente dal 2002; si tratta di un servizio che mette a disposizione alle ragazze che decidono di uscire dal mondo della prostituzione un centro diurno, case famiglie, case famiglie multiutenza, famiglie aperte, strutture di pronta accoglienza e comunità d’accoglienza. Inoltre l’associazione prevede incontri pubblici per informare i cittadini rispetto al fenomeno della tratta. L’associazione è organizzata al proprio interno in “zone”, ognuna delle quali raggruppa i membri e le strutture di un territorio omogeneo, e collabora con tutti i possibili referenti del territorio, secondo la logica del lavoro in rete. Ogni “zona” dell’associazione dà vita ad un proprio servizio antitratta. La Comunità ha un proprio metodo per intervenire a favore delle ragazze schiavizzate con una serie di interventi fra loro coordinati, quali l’opera di sensibilizzazione e rimozione delle cause, l’intervento di strada e l’accoglienza. I volontari della Comunità escono infatti una volta a settimana in unità di strada e incontrano le ragazze vittime della prostituzione, ascoltano le loro sofferenze e offrono loro un’alternativa di vita proponendo un’alternativa. La principale risorsa del servizio antitratta è costituita dall’accoglienza nelle case famiglia che soddisfano i bisogni sia della prima che della seconda accoglienza, e dalle numerose famiglie aperte all’accoglienza, costituite sia da membri dell’associazione sia da persone ad essa semplicemente collegate. Tutte queste risorse, operanti in rete fra loro permettono di assicurare l’accoglienza 24 ore su 24, per tutto l’anno, in un contesto di carattere familiare; questo secondo la Comunità è il modo migliore per instaurare rapporti con le ragazze e per elaborare un progetto che risponda ai loro bisogni. Alle ragazze che vengono accolte nelle case famiglia viene assicurata assistenza medica, accompagnamento ai servizi e se non si procede al rimpatrio, un percorso di reinserimento sociale. Grazie alle numerose case famiglie presenti in tutto il territorio nazionale e straniero, è inoltre possibile l’accoglienza in una provincia o regione differente da quella di provenienza per impedire il ritrovamento della ragazza da parte del racket. 9. “La laboriosa rete di ACOS” Per la realizzazione di un intervento di aiuto effettivo alle persone alle quali si rivolge Acos è essenziale la collaborazione e la sinergia tra i servizi del territorio. Per questo motivo l’associazione ha sempre promosso e costruito con impegno e pazienza una solida collaborazione con le seguenti strutture sanitarie pubbliche e private, stipulando anche in alcuni casi degli appositi protocolli di collaborazione: a) Servizio Ginecologia-Ostetricia dell’Azienda Universitaria Ospedaliera di Sassari: la collaborazione con la dottoressa Pina Zara ha portato ad un migliore percorso d’accesso delle donne beneficiarie del progetto ad alcuni servizi ospedalieri erogati dal Reparto nel quale la medesima lavora; opera la collaborazione con la dottoressa è anche avvenuta nell’ambito delle attività di prevenzione dell’Unità di Strada, per le quali si è resa disponibile con cadenza mensile. b) Ambulatorio per la persona Immigrata Associazione Gourò, presso la ASL di Sassari (Via Tempio): presso il servizio sono operativi medici di base e specialistici, fra i quali una dermatologa e una ginecologa. Si tratta del primo servizio al quel vengono accompagnate le donne per il rilascio della tessera sanitaria STP o ENI. Fino al 2011 la Dottoressa Donatella Moroso, ginecologa presso il Consultorio Familiare di Porto Torres, ha affiancato i medici di base con cadenza mensile effettuando gratuitamente visite e consulenze alle donne vittime di tratta e con la quale si è sviluppata un’ottima collaborazione che ci ha consentito di intervenire tempestivamente nei casi più urgenti. Per un certo periodo all’Ambulatorio è stata affiancata la presenza a cadenza mensile di una ginecologa volontaria che effettuava visite e consulenze, con la quale si è sviluppata un’ottima collaborazione. c) Associazione per l’educazione demografica Italiana (AIED): Associazione che ha avuto un ruolo importante nell’offrire attività di formazione agli operatori volontari e che collabora anche mediante visite specialistiche alle utenti del progetto, in occasione di prestazioni sanitarie che non vengono offerte dal SNN o che richiedono tempi d’attesa troppo lunghi. d) Associazione Movimento Omosessuale Sardo (MOS): si tratta di una delle poche associazioni che si occupa di informazione per la prevenzione dell’HIV/AIDS presente nel Nord Sardegna e che vanta un’esperienza di numerosi anni d’intervento informativo e counseling per le persone sieropositive. Dispone di personale preparato e anche di materiale informativo per la prevenzione. La collaborazione ha avuto a partire dal progetto Xenia II, con la finalità di facilitare l’acquisizione del know-how sulla tematica HIV e altre malattie trasmissibili da parte degli operatori volontari e professionali coinvolti nel progetto. I volontari/operatori dell’associazione Acos hanno partecipato a due incontri informativi sulla tematica HIV/AIDS e hanno avuto un supporto per il reperimento di materiali per la prevenzione (brochure, profilattici) a costi inferiori rispetto a quelli di mercato. e) Università degli Studi di Sassari, in particolare il Dipartimento di Economia, Istituzioni e Società, e i Corsi di Studi in Servizio Sociale della Facoltà di Lettere e Filosofia (ora del Dipartimento di Scienze Umanistiche e Sociali). Altri servizi socio-sanitari presso i quali vengono effettuati gli accompagnamenti o coinvolti a titolo informativo: - Ufficio Relazioni con il pubblico e Direzione dei Poliambulatori della ASL di Sassari - Centro oncologico- Reparto malattie infettive-Clinica Odontoiatrica, Dermatologia ed Otorinolaringoiatria -Policlinico - Laboratorio Analisi LAS - Clinica oculistica (AOU); - Pronto Soccorso e Guardia medica; - Consultori ASL in particolare il presidio di Via Nurra e Poliambulatorio Conti; - Ambulatorio dentisti volontari della Caritas Diocesana. Altri enti del privato sociale con i quali abbiamo collaborato - Associazione “Il Cenacolo”, Banco Alimentare e Casa della Fraterna Solidarietà (Sassari); - CARITAS DIOCESANA della Diocesi di Sassari; - Associazione Emergency; - Collettiva femminista; - Associazione Noi Donne 2005; - Rete delle Donne; - Comitato Primo Marzo; - Associazione Ouroboros; - Associazione dei Farmacisti della provincia di Sassari FEDERFARMA e Ditta DIFARMA; - Casa di accoglienza per donne “Tra Noi”. 10. Riflessioni, nuovi obiettivi possibili e proposte “...e poi mi venivano in mente le altre migliaia di persone che, tappandosi gli occhi, si lavano le mani e canticchiano; e pensavo che c’è qualcosa di peggio che sfruttare la miseria e disprezzarla: è negare che esiste,mentre grida e singhiozza alle nostre porte”, E.De Amicis, En el Oceano, 1846, p.46. Nei cinque anni trascorsi in una intensa e a volte anche frenetica attività di volontariato ci siamo resi conto che spesso, probabilmente grazie alla nostra libertà di azione non legata a limiti burocratici e salariali, siamo stati in grado di colmare i gap lasciati dall’intervento pubblico che con la sua lentezza pachidermica non è in grado di intervenire efficacemente a salvaguardare situazioni di estremo disagio. Ed è grazie all’osservazione, ponendoci in un’ottica propositiva e proattiva, che formuliamo la seguente proposta: - Stipulare un accordo con il Comune di Sassari affinché sia individuato un Servizio sociale di riferimento per le donne vittime di tratta e che si prostituiscono. - Promuovere e svolgere un percorso di formazione insieme al/per il personale che opera in questi servizi, in modo da individuare le modalità e gli interventi più adeguati per le donne che si rivolgono ai servizi. In passato, infatti, nei casi in cui una donna o un nucleo familiare si rivolgevano ai Servizi sociali o sono state accompagnate dai volontari/operatori/consulenti legali dell’associazione, l’individuazione del Servizio competente è avvenuta in base al criterio geografico, vale a dire che ci si è rivolti al Servizio sociale presente nel quartiere presso il quale la donna o la famiglia abitavano. In alcuni casi, inoltre, l’assistente sociale è stata poi trasferita o è cambiata, e questo ha creato notevoli problemi di relazione. L’ideale sarebbe individuare un Servizio e una persona o un’èquipe in particolare che abbia le caratteristiche di formazione, le abilità comunicative adeguate per la relazione con persone straniere e con donne vittime di tratta e che segua i casi in modo continuo e costante nel tempo. Come associazione, in base alle esperienze che abbiamo maturato e le attività concrete che abbiamo portato avanti con le persone sul territorio, crediamo che non sia “l’assistenza” ciò di cui queste persone hanno bisogno. Soprattutto non assistenza intesa solo come contributo economico alle persone in difficoltà; siamo, invece, convinti che quello che serve sia l’ascolto, l’accoglienza e la creazione di opportunità di accesso ai servizi e all’inclusione sociale e lavorativa. Per questo motivo l’associazione non offre alle persone denaro, né beni, ma strumenti informativi e orientamento per poter accedere ai servizi, siano essi sanitari, sociali o per l’inclusione lavorativa, che esistono sul territorio. Postfazione La prostituzione non è mai una scelta La mission dell’associazione Acos è la lotta contro la prostituzione e la tratta delle donne e minori a scopo di sfruttamento sessuale e l’orientamento è sempre stato quello di essere contrari alla prostituzione. Questo non significa condannare e giudicare chi si prostituisce anche senza una apparente coercizione, ma significa riconoscere che non esiste la prostituzione come scelta. Le controverse questioni sulla libertà di scelta che discriminano tra la prostituzione volontaria e quella coatta, e che l’immaginario sociale attibuisce a due figure ideali ‘le professioniste’ e ‘le vittime’, non tengono spesso in considerazione che le varie libertà di scelta hanno presupposti materiali, la cui mancanza determina una scelta meramente apparente La prostituzione, così come viene esercitata dalle donne e transgender incontrati in questi anni, non è mai frutto di una scelta. Le donne che escono dal mercato della prostituzione fuggono quasi tutte dalla violenza e solo in parte, anche dalla strada. Per questo, dopo anni di osservazione possiamo affermare, che esiste solo la prostituzione che nasce dalla coercizione, che vede come vittime di tratta soprattutto giovani donne nigeriane, rumene e cinesi ed esistono altre situazioni nelle quali non è una persona o un’organizzazione criminale a costringere le donne a lavorare in strada vendendo il proprio corpo, bensì la fame e l’ingiustizia sociale. Nessuna donna, nessun essere umano si prostituirà mai per scelta. Ci si prostituisce quando non si ha più o non ancora una scelta, quando non c’è l’accesso alla cittadinanza. “ Yo lo hago por mi Mamà, yo lo hago por mi hijo” (“Io lo faccio per mia mamma e per mio figlio”), per citare le parole di una ragazza colombiana che poche settimane fa abbiamo incontrato durante un’uscita, ma è solo una delle centinaia di voci che ascoltiamo ogni settimana, ogni anno nelle strade della nostra città. Un punto di vista esterno Alcune persone hanno chiesto di partecipare all’attività dell’associazione e in particolare all’unità di strada nel corso degli anni. Abbiamo chiesto loro di lasciarci una testimonianza su questa esperienza. Alberto Merler* Si, ricordo Si, ricordo Africa ed Europa ma qui non le rivedo Si, ricordo Asia e Oceania lontane ma qui non le riconosco Si, ricordo Americhe che porto in me ma qui sono scomparse Nelle notti deserte impietose distinguo solo schiave che si presentano gentili ed altri schiavi affrettati che si confondono in solitudini di specchi silenziosi fra umanità che esistono fragili senza vedersi insieme * A partire dalla ricerca e dalla docenza universitaria, A. M. ha tentato di promuovere e costruire speranza in diverse isole socioculturali del mondo. La Sardegna è il luogo in cui maggiormente e più a lungo pensava di aver cooperato per intrecciare quei fili concreti di interculturalità e di pace che le comunità e le circostanze di vita offrono. In genere, i suoi scritti non scientifici sono stati pubblicati usando degli pseudonimi (Sassari, agosto 2013). Almeno una notte cortese Io ho visto sponde di Atlantico e Pacifico di Mar Nero e Mare Cinese di Oceano Indiano e Mar dei Caraibi di Mediterraneo e Baltico di altre isole e acque ma qui non sono loro Non riconosco quelle coste e campi fiumi savane monti foreste case su queste strade che giacciono abbandonate dalla gioia Si, ricordo bene altre gioie e tesori di quelle terre malgrado guerre fughe nei miti prigioni insulti alla dignità ma qui non trovo nessuno lieto eppure un gesto vien teso per fare la notte cortese Pinuccio Solinas* Sono entrato in contatto con ACOS qualche anno fa, mentre facevo un monitoraggio sulla situazione dei migranti in Sardegna. Dopo averne solo sentito parlare, toccai con mano che all’interno di questa povertà, legata al mondo migratorio, esisteva una povertà ancora più estrema, quella delle donne trafficate. Se all’interno della società civile sono nati tanti movimenti che verso i migranti hanno come obiettivo l’accoglienza, l’apertura e tanti percorsi di integrazione, per contrastare i pregiudizi, la paura del diverso, del forestiero, dello sconosciuto, è ben più difficile scoprire la medesima attenzione verso il fenomeno delle donne trafficate. Rimasi molto colpito che a interessarsi di queste donne, per lo più straniere, fossero soprattutto altre donne della mia terra. Le donne dell’Associazione ACOS. Parlo di donne, poiché in quest’Associazione, in cui sono presenti anche figure maschili, predominano i numeri femminili. Devo ammettere che mi piace il loro “sporcarsi le mani”, senza ideologie o sbandieramento di fedi o di altre appartenenze. Semplicemente operando in silenzio… Un punto di forza di ACOS è la sobrietà, nessun trionfalismo o spirito missionario, invece molto senso pratico in ogni situazione, un grande rispetto per la situazione di ogni ragazza. Il ventaglio di possibilità prospettato a ogni donna trafficata va dal contenimento del danno sino alla via di fuga, con l’uscita dal mondo della strada, passando per i tutti i percorsi di tutela sanitaria e legale. Nessun paternalismo, solo attenzione alla persona che hanno davanti, alla ricerca della soluzione “ragionevole” da trovare sempre “insieme con lei”. Altro punto di forza di ACOS è la verifica continua: il bisogno di trovare una metodologia corretta nel contatto con le ragazze non solo “sul luogo di lavoro”, ma negli incontri che nascono da quel primo contatto, allo sportello e negli accompagnamenti sanitari. Questo ha creato un clima di formazione permanente alimentato da giornate “full immersion” con mediatrici culturali, che ha maturato negli operatori di ACOS una sempre crescente professionalità nei loro interventi sul campo, offrendo strumenti sempre più raffinati per affrontare le diverse situazioni. A queste giornate formative vengono invitati anche gli esterni come me. Questo atteggiamento, privo assolutamente di enfasi, mi ha costretto a riflettere. * Pinuccio Solinas, Animatore GPIC* (Giustizia, Pace e Integrità del Creato) Pina Zara* Ricordo bene i primi “accompagnamenti”, da parte di Mariagrazia, Giustina e Nadia, di giovani donne extracomunitarie che avevano necessità del mio intervento professionale. Si è creata subito un’intesa, una certa comunità d’intenti che non mi ha fatto esitare un attimo quando mi è stata proposta una partecipazione più attiva all’interno dell’associazione. L’esperienza dell’unità di strada è stata per me una cosa molto forte, e non solo per la novità; non nascondo un certo timore inziale. In seguito l’appuntamento del venerdì sera è diventato quasi una necessità. è stato bellissimo e talvolta anche commovente vedere con quale affetto e calore venivamo accolti “dalle ragazze di strada” di vecchia conoscenza; altrettanto affascinante osservare con quale sensibilità, delicatezza, rispetto nonchè professionalità le ragazze “ACOS” si proponevano ai “nuovi arrivi”. è coinvolgente il loro entusiasmo, gli sforzi di ognuna di loro per riuscire con ogni mezzo a veder migliorate le condizioni socio-sanitarie e culturali delle loro ragazze; basti pensare allo sportello d’ascolto, l’accompagnamento presso strutture sanitarie, il tentativo di affrancamento dalle diverse schiavitù, la scuola d’italiano, il supporto legale.........insomma sono molto felice di essere entrata a far parte di questa famiglia ACOS. * Ginecologa presso l’Azienda Ospedaliero Universitaria di Sassari Valentina Virdis - La mia esperienza con ACOS Mi sono avvicinata ad ACOS dopo diversi anni trascorsi all’estero. Avevo lavorato un lungo periodo con rifugiati e sfollati anche su tematiche come la tratta a fini di sfruttamento sessuale, per questo mi sembrava importantissimo poter conoscere la situazione nella mia città. Ero curiosa e interessata a capire cosa succedesse a Sassari e chissà poter dare una mano mettendo a disposizione l’esperienza acquisita fuori dall’Italia. Avevo sentito parlare da tempo di ACOS e delle attività svolte dai suoi volontari e ho chiesto di poter collaborare con loro. E’ stato interessante e allo stesso tempo triste rendermi conto che su questi temi non ci sono grandi differenze rispetto ai paesi in cui avevo lavorato, che vivono spesso situazioni politico – economiche molto più complesse del nostro. Tante donne, tante storie, differenti etnie e paesi, storie ascoltate in lingue e città diverse, ma con in comune una vita di sfruttamento da cui è difficile uscire. Durante il periodo di collaborazione mi sono resa conto che il lavoro di organizzazioni come ACOS è fondamentale a Sassari, non soltanto per l’aiuto concreto che riesce a offrire alle donne, ma specialmente per mantenere alto l’interesse e il dibattito su queste tematiche. E’ importante continuare a parlarne e a informare (e informarsi) per poter sensibilizzare la città, credo che solo così le attività per contrastare la tratta e la prostituzione schiavizzata saranno efficaci. La mia collaborazione con ACOS è durata poco, da qualche anno sono ripartita, ma tutte le volte che rientro a Sassari, proprio all’ingresso della città, vedo le tante donne ancora per strada … nuovi visi e vecchi problemi. Però ogni volta penso che ci sono organizzazioni come ACOS che continuano a lavorare affinché la tratta e lo sfruttamento siano solo un brutto ricordo. Ringraziamenti Questa pubblicazione ci offre anche l’occasione per rivolgere un ringraziamento a chi in questi anni ci ha supportato ed espresso la propria stima: a tutte le persone e agli enti, in particolare: Mariantonietta Cocco, Stefano Chessa e Giampiero Branca che si sono prestati per leggere le bozze e dare dei consigli. Ringraziamo anche Alberto Merler, Pinuccio Solinas, Pina Zara e Valentina Virdis che hanno scritto delle parole a testimonianza di Acos. Un grazie speciale a Donatella Moroso e alle donne e agli uomini delle associazioni Noi Donne 2005, Collettiva Femminista Sassari, MOS, Amnesty International e Arci per averci praticamente adottato e sostenuto con grande affetto fin dal nostro primo incontro e tutte le associazioni che aderiscono alla Rete delle Donne. Ringraziamo per il sostegno anche le Commissioni Pari Opportunità del Comune di Sassari e della Provincia di Sassari e in particolare la Consigliera di Parità Un grazie di cuore a Don Francesco Meloni e a Don Virgilio Businco, all’associazione Il Cenacolo, a Pietrina Chessa e Suor Paola Luche (prematuramente scomparsa). Ringraziamo inoltre la Fondazione Banco di Sardegna e Regione Sardegna che, in passato, ci hanno sostenuti economicamente. “Il viaggio di Acos....5 anni dopo” è frutto del lavoro collettivo dei soci fondatori e dei volontari dell’associazione: Dario Alessandri, Dashi Capa, (autore del quadro sulla copertina), Paola Cappai, Giustina Casu, Caterina Dei, Francesca Maddalena, Sabrina Mura, Maria Grazia Saba, Nadia Scanu, Bettina Vacca. Contatti: Associazione di volontariato Acos e-mail: [email protected] - tel. 3803784398 L’associazione Acos è un’associazione di volontariato iscritta all’Albo regionale della Regione Sardegna, è nata nel 2008 dall’impegno di un gruppo di volontari che già da anni svolgevano attività presso altre organizzazioni che si occupano di immigrati e di tematiche sociali. Il nome dell’associazione è il nome di una giovane donna nigeriana, forse minorenne, incontrata anni fa dai volontari dell’associazione. Una donna straniera, una donna vittima di tratta, una donna obbligata a prostituirsi nelle strade italiane, nelle strade della nostra città per pagare il debito con l’organizzazione criminale che l’aveva fatta arrivare in Italia. Acos come questa donna invisibile, visibile come prostituta, ma invisibile come donna, come migrante, come portatrice di diritti. Questa pubblicazione è la storia di 5 anni di vita dell’associazione e delle donne, tante, che abbiamo incontrato in strada. Il nostro impegno è rivolto a quelle donne là fuori che non hanno voce perché nessuno le ascolta; donne senza documenti, senza nome, senza diritti. Senza diritti perché la percentuale di quelle che denunciano i loro aggressori e stupratori è minima perché se lo facessero incontrerebbero solo pregiudizio e derisione. Il desiderio che muove il nostro impegno e che ci spinge ogni settimana a “frequentare” queste donne è bucare quel muro di indifferenza e pregiudizio, affinché un giorno la gente che transita di notte davanti a queste persone cerchi di vedere che dietro la merce in vendita in realtà c’è la donna e non solo un corpo coperto a malapena da una minigonna, una maglietta scollata e dei tacchi vertiginosi. Questo è un invito a soffermarsi a pensare alle ripetute e continue violenze che subiscono queste donne ogni giorno ed ogni notte e non solo alla prostituta che vediamo sulla strada.