IL SECONDO RINASCIMENTO La città. I nostri prodotti e la loro vendita ARMANDO VERDIGLIONE Questa è la trascrizione del master tenuto da Armando Verdiglione nella Villa San Carlo Borromeo, Milano-Senago. Sabato, 2 dicembre 1995 La città. Oggi sembra o tutto città o tutto campagna. In ogni caso, questa dicotomia città-campagna — tanto importante nelle ideologie del diciannovesimo secolo, arrivate fino al tardo romanticismo, al postromanticismo e fino a Lin-Piao che opponeva la campagna alla città — oggi non sta in piedi. Ci sono altre nozioni, come lo spazio, il paesaggio, la superficie, ma, in ogni caso, città non si contrappone a campagna, non formano, città e campagna, una dicotomia. In francese, ci sono due termini: la ville e la cité. La città non è un problema urbanistico, non è la polis greca, non è l’urbe romana, è la città temporale, la città che viene dall’infinito della parola e poggia sul tempo e non sullo spazio, poggia sul taglio, sulla divisione. Da che cosa è costituita la città? Dalle arti del paradiso — la danza, l’intelligenza, la politica, la musica, la strategia — e dalle invenzioni, dagli errori di calcolo, dal percorso culturale, dal malinteso, dall’arte e dalla cultura dell’impresa. Quindi, in un certo senso, la città poggia anche sull’impresa o, addirittura, è costituita dall’impresa. Che cosa porta alla città normalizzante, segregante, spazializzante, alla città mortifera, alla città necropoli, alla città della calma? È un genere di società, che, oltre vent’anni fa, chiamavamo segregativa, cioè la società conformista, la società che vuole la città quanto più vicina possibile al naturale, che sia una città naturale e, quindi, nazionale, che 11 IL SECONDO RINASCIMENTO sia una città nata città. Questa società è fatta di categorie professionali e sociali, è una società come corporazione, che deve evitare due pericoli, la morte e la prigione, e rispetto a questi due pericoli organizza tutte le professioni. Che cosa comporta questo? Che la società organizza e gestisce la città su un programma di morte, non la dispone al programma di vita. Promette la salvezza, ma attraverso la calma, promette l’assenza dell’Altro, dopo averlo distribuito tra amico e nemico, tra positivo e negativo, tra bene e male. È una società senza occorrenza, senza contingente, senza intervallo, dove il fare passa attraverso le categorie del possibile o dell’impossibile, del sapere, del volere o del dovere. Così, per quasi tutti è impossibile fare, mentre per qualcuno è possibile fare. È una società senza miracolo, fatta in modo che tutto sia previsto e prevedibile, che nulla mai accada. Altra è la società da che la parola originaria si è instaurata. Non dall’epoca di Platone né da quella di Cicerone o di Quintiliano, si è instaurata con Leonardo da Vinci e con Niccolò Machiavelli. Oggi, noi viviamo nella parola originaria e non più nel logo, non più nel discorso occidentale, non più nel discorso della morte. Viviamo nell’infinito della parola, anziché nel finito. Leonardo aveva innovato, inventato quella che, nella sua epoca, era la bottega, fino a farla divenire dispositivo, dispositivo intellettuale, artificiale, pragmatico, poetico, dispositivo di amministrazione, di gestione, dispositivo di scrittura, dispositivo di pittura come scrittura della parola, dispositivo anche politico e diplomatico — e qui c’è anche l’apporto di Niccolò Machiavelli. Sono autori e testi assolutamente ignorati, eppure oggi vivi tra noi. La brigata, diceva Machiavelli. Senza dispositivo in atto la città non emerge, nemmeno l’impresa, nemmeno la comunicazione. La comunicazione non ha nulla di spontaneo e di naturale — nell’accezione che questo termine ha acquisito nell’uso comune, dove “Sii spontaneo” equivale a “Sii conformista”. L’arte, la cultura, il danaro, la moneta, i soldi, la politica, la diplomazia, la comunicazione, la scienza, la quantità, la qualità sono termini che, nel luogo e nel discorso comuni, appartengono interamente al tradizionalismo e sono propri alla conoscenza che è definita come conoscenza della morte. La psicanalisi, instaurata in maniera inedita e nuova rispetto al primo apporto di Freud, rispetto al rilancio che ha avuto con Lacan, se noi la indaghiamo in questi venticinque anni, lungo l’itinerario fra l’Italia, l’Europa, il Mediterraneo, l’America, il Giappone, la troviamo intera- 12 IL SECONDO RINASCIMENTO mente altra da quella che era e senza nessun rapporto con quello che è diventata, fino agli epigoni più provinciali nei vari paesi, oggi: un prodotto psicofarmacologico, un modo di stabilire l’accettazione della morte, della castrazione, del fallimento, della mancanza, della deficienza, insomma tutto ciò che non ha nulla a che vedere con l’audacia, con il rischio, con l’estremismo proprio della vita — il titolo del romanzo di Ferruccio Masini, La vita estrema, è quanto mai opportuno —, con l’istanza di qualità. La vetrina di questa psicanalisi dovremmo trovarla in libreria, a Parigi o a New York o a Francoforte o a Ginevra o a Tokio o a Roma, e che cosa vediamo invece, che cosa appare? Qualche frammento adattato, impolverito, masticato, rimasticato, insomma, un corpo in decomposizione, più o meno cadaverico, un materiale per necrofilia e per coprofilia, questo la psicanalisi è diventata! Noi abbiamo detto, venticinque anni or sono, che assumiamo le sorti e il destino della psicanalisi non soltanto in Europa, ma anche negli altri paesi. Le sorti e il destino della psicanalisi comportano, poi, le sorti e il destino della parola, le logiche e le strutture della parola, senza nessun rapporto con il discorso della morte, diventato discorso comune. Abbiamo fondato un Movimento freudiano, una scuola internazionale, diverse associazioni psicanalitiche, intendiamo assumerle e impegnarci. Come dicevo ieri sera a Losanna, io m’impegno direttamente. M’impegno a Losanna, come a Parigi, come a Ginevra, come a Milano, come altrove. La psicanalisi è l’esperienza della parola, non una qualsiasi esperienza. Ma dove mai la parola viene affermata come originaria! Dove? In quale università, in quale istituzione, in quale associazione, in quale libreria, in quale ospedale? Se dico che la psicanalisi è l’esperienza della parola, dico qualcosa che non si trova in nessun libro, in nessuna rivista di ciò che passa come psicanalisi negli epigoni provinciali. Il postlacanismo non c’entra assolutamente niente con Lacan né, tanto meno, con l’originario della parola e dell’esperienza quale si è affermato come virtù del principio in questi venticinque anni. Nel 1984, per il quarto centenario di san Carlo Borromeo, abbiamo inaugurato la villa Borromeo. Abbiamo inaugurato qui un’esperienza e in un opuscolo l’abbiamo chiamata La città di clinica psicanalitica. La clinica psicanalitica è una formula che voi potete trovare anche altrove, ma, da nessuna parte, la trovate come clinica della parola, da nessuna parte la trovate come clinica del sembiante, da nessuna parte trovate la città. Di che cosa hanno avuto paura i demonologi, i demonizzatori, 13 IL SECONDO RINASCIMENTO gl’inquisitori? Perché è chiaro che è la paura il grande fantasma materno, è sulla paura che si fonda la mitologia contro la parola. La reazione alla parola, così come si è manifestata, è la reazione postmoderna. Certamente, processo per stregoneria, processo postmoderno, ma processo alla parola. Intenderlo ancora come processo della parola è inscrivere ciascuno, anzitutto, nell’itinerario procedente dall’apertura. Non c’è nulla che possa ostruire, coprire, cancellare, circoscrivere l’apertura della parola. Cifrematica è il termine emerso nell’88. In maggio c’era un’equipe, che si chiamava Logica e scrittura, e in quell’equipe è sorto prima il termine cifrema, poi cifrematica e, nell’estate di quell’anno, è sorta l’Associazione di cifrematica — cifrematica, per indicare la scienza della parola. È su questa base che noi possiamo leggere il testo occidentale, il testo di Leonardo, di Machiavelli, possiamo leggere il Vangelo o la Bibbia o Dante Alighieri o il testo di Josif Gurwic o di Ely Bielutin. Tutto sembra confusione, tutto sembra caotico. Ognuno sembra non affrontare la difficoltà, sembra prendersi una difficoltà, due difficoltà, tre difficoltà, quattro al massimo — è già troppo! —, sembra occuparsi di questa e di quella difficoltà e cercare di affrontare, di vincere questa o quella difficoltà — non la difficoltà — e così non combattere, non lottare. La difficoltà è estrema, non c’è modo di ridurla, di diminuirla, di localizzarla, di personalizzarla, di socializzarla, è la difficoltà della parola. Non c’è facoltà di parola, non c’è parola facile, non c’è vita facile. La psicanalisi che promette la vita facile è la psicanalisi psicofarmacologica, è la psicanalisi che vota il soggetto alla morte, così la psicofarmacologia, così i vari modesti personaggi dell’epoca, che dicono di praticare l’elettroshock, la lobotomia o lo psicofarmaco in nome della scienza medica, come se Auschwitz non fosse organizzata in nome della scienza medica! Sei milioni di depressi in Italia, sei milioni di ebrei a Auschwitz! Quale affare per le industrie psicofarmaceutiche. Ma non ha nessun interesse contrapporsi ai Cassano o alle industrie psicofarmaceutiche: sono sempre esistite, purtroppo. Non importa ciò che manca, importa ciò di cui abbiamo bisogno. Abbiamo bisogno di fare, abbiamo bisogno di soddisfazione, abbiamo bisogno d’impresa, abbiamo bisogno di città, abbiamo bisogno di scrittura, abbiamo bisogno di comunicazione — non di psicofarmaco, non di mangiare la morte con dose quotidiana o notturna. Abbiamo bisogno del superfluo. Il superfluo è l’arte, l’invenzione, la cultura, è l’intelligenza, la politica, la musica, la strategia, il malinteso, il calcolo. Tutto ciò partecipa al superfluo, a quanto non può essere misurabile, quantificabile. 14 IL SECONDO RINASCIMENTO La quantità non è ordinaria, non è nemmeno ordinale, è la quantità che si fa d’infinito. È questa quantità a divenire qualità attraverso la scrittura, perciò occorre che noi non diamo nessun contributo al litigio generale, al rumore perpetuo, occorre che noi non parliamo nella nostra lingua. E dove ci vengono opposti la chiusura, il negativismo, il fatalismo, la predestinazione, noi non reagiamo negli stessi termini. Dove viene decantata la sofferenza, dove viene portata a spettacolo, dove vengono costituiti gli album di famiglia della sofferenza, dove troviamo chi pratica il cannibalismo bianco o rosso o nero su se stesso, bisogna che noi non diamo nessun contributo per alimentare tutto ciò! Bisogna che noi troviamo il modo, procedendo dagli stessi ingredienti che ci vengono opposti, trasformati in ingredienti di apertura. Procedendo dall’apertura della parola occorre che noi troviamo il modo, il modo di fare ricerca, il modo di scrivere, il modo di attraversare il labirinto, il modo di raggiungere la semplicità, il modo di comunicare. La vera comunicazione è quando s’instaura la soddisfazione non personale e non c’è più litigio, e non c’è più neppure la possibilità di litigio. La città dei conflitti, dei dissidi, dei litigi, delle risse, la città dove tutti litigano con tutti è la città dell’indecisione, è la città senza miracolo, dove nulla accade, è la città che attende soltanto di essere spazializzata, pianificata, appiattita e che cerca un tiranno. Questo tiranno, com’è noto, può anche essere la morte. Da che cosa è qualificata la città? Qual’è la qualità della città? Qual’è la cifra della città? Dieci anni or sono, c’erano tre equipe: una intorno al dizionario, un’altra, la domenica sera, intitolata La cifra della città, e un’altra, la domenica pomeriggio, che si chiamava Il caso clinico. La cifra della città. Il prodotto è la cifra. Quali sono i nostri prodotti? Quali sono i prodotti della città? Ciascuna cosa — la psicanalisi, l’arte, la cultura, la scrittura, la comunicazione — diviene prodotto, diviene qualità. In questa accezione, la vendita è in direzione del prodotto, in direzione della qualità. La vendita dispone al prodotto e alla qualità. Possiamo dire “noi vendiamo”, ma soltanto come imprenditori o come dispositivo di vendita. La vendita s’instaura in questa direzione, si rivolge alla qualità dell’impresa, della vita, della parola, dell’arte, della cultura, della comunicazione. Se noi non ci rivolgiamo alla qualità, il libro noi non possiamo venderlo. E per noi ha una portata vendere il libro, che diviene utensile, perché vendendo il libro noi ci rivolgiamo alla qualità. Noi ci troviamo in un itinerario di qualità. Noi costituiamo dispositivi differenti con cui 15 IL SECONDO RINASCIMENTO inventiamo la città, con il libro, l’arte, la cultura, la psicanalisi, i corsi, i seminari, le conferenze, i congressi. Noi ci troviamo in questo itinerario, in questa direzione. Noi ci rivolgiamo alla qualità. Noi non vendiamo la qualità — in questa accezione non vendiamo il prodotto come qualità — , ma vendiamo il libro, vendiamo il quadro, vendiamo la scultura. Noi non vendiamo la qualità, ma la vendita è in direzione della qualità. Il prodotto è la qualità, e il prodotto come qualità noi non lo vendiamo! Come noi non vendiamo l’oggetto della parola, non vendiamo la condizione del nostro itinerario, non vendiamo neppure il prodotto estremo, cioè la qualità! L’oggetto e la qualità della parola non si vendono. Noi vendiamo utensili — corsi, formazione, libri, opere — ma il sé (il tu, l’io, il lui), lo specchio, lo sguardo, la voce, la cifra della parola non li vendiamo, perché non possono vendersi! La vendita nella sembianza si scrive, perché si rivolge alla qualità: questa è la pornografia (pornografia, in greco: scrittura della vendita). Certamente, noi assicuriamo la formazione e la terapia dello psicanalista. Ma assicuriamo anche la formazione psicanalitica e cifrematica dell’imprenditore, del banchiere, dell’assicuratore, del dirigente dell’istituzione pubblica o privata, del finanziere, dell’artista, del poeta, dello scrittore, dell’informatico, del telematico. C’è amministratore o imprenditore o assicuratore o banchiere o finanziere che possa fare a meno della clinica della parola, del compimento della scrittura della parola? O che possa fare a meno della comunicazione che si compie nella scrittura della parola, nella scrittura delle cose che si fanno, nella scrittura della politica altra? La città temporale è città dell’Altro, è città dell’ospite e, per questa via, città della comunicazione. Ma chi ha notato finora che la comunicazione s’instaura soltanto con la scrittura dell’esperienza e che le teorie della comunicazione sono decadenti, postromantiche, postmoderne, psicologiche, sociologiche, insomma, superstizioni contro la comunicazione, superstizioni perché comunicazione non ci sia? La comunicazione che trova compimento come scrittura della politica, come scrittura delle cose che si fanno (questo compimento è la clinica) è tributaria del diritto dell’Altro, dell’Altro con le sue virtù: la generosità, l’indulgenza, l’umiltà. Qui siamo nella casa di san Carlo Borromeo: senza l’humilitas, non smettiamo di dirlo, non c’è ascolto. Senza il diritto dell’Altro non c’è ascolto, l’ascolto sta fra il tempo e la piega, fra il taglio e la piega della parola. Soltanto perché si piegano le cose che si fanno si scrivono e, quindi, si comunicano. Nessuna comunicazione può dirsi compiuta senza la clinica della parola. Quella che viene propagandata come 16 IL SECONDO RINASCIMENTO comunicazione è comunicazione psicopatologica, psicofarmacologica, è la comunicazione della morte, è la morte. E il monopolio che le sette o otto sorelle vorrebbero instaurare sulla comunicazione è il monopolio della morte. L’insegnamento, la formazione, l’arte, la cultura sono cose che non possono distribuirsi come rimedio, come modi per appianare la difficoltà. L’arte e la cultura sono inconsce, perché la loro struttura è secondo la logica, secondo la particolarità, secondo l’idioma, secondo l’inconscio. L’inconscio del logo secondo il discorso occidentale era già noto, non aveva bisogno della psicanalisi per instaurarsi, è l’inconscio della parola, è la logica della parola originaria, la logica secondo cui s’instaurano l’itinerario, l’arte, la cultura, l’impresa, la città, la finanza, la comunicazione, che ha avuto bisogno di questi venticinque anni per instaurarsi. Questa è la medicina nuova, l’inconscio della parola. Med, medicina come med, il medium: la particolarità, la dissidenza, l’idioma, la logica. La linguistica, la logica matematica, la filosofia del linguaggio, la semantica sono dottrine di compromesso fra il rinascimento della parola e la reazione al rinascimento. Noi non abbiamo nemici. Non abbiamo gente che non ci rispetta abbastanza o che non ci tiene in considerazione o che non valuta abbastanza il nostro valore o che non si rende conto della nostra scrittura o del nostro interesse per la scrittura o dei nostri privilegi o del nostro purismo. Noi non abbiamo nemici. Ribadisco quello che ho scritto in una lettera, una volta. La circostanza in cui l’ho scritta era, come ciascuna circostanza, pretestuale, tanto per indicare che la vita è estrema, che la difficoltà della vita è difficoltà della parola e è estrema. Nessuno toglie nulla all’Altro. Ciascuno può solo aggiungere, mai togliere. Non c’è uomo o donna, che si rappresenti come nostro nemico, che possa toglierci qualcosa. O che non possa divenire ospite e essere da noi accolto come ospite. Occorre che noi troviamo il modo con cui, in un certo istante, divenga ospite, divenga l’Altro e non più lui, non più noi. DANIEL BRYNER Ma se qualcuno fa una critica a lei, come è accaduto, e scrive sul giornale una cosa non veritiera su di lei, il suo onore viene ridotto, la sua reputazione è attaccata... A. V. No, non in questo senso. Intanto, se Barbaro Rossi scrive che Verdiglione è un magliaro, è un guru, o che Verdiglione ha fatto la tratta delle bianche, delle nere o delle gialle, allora ci sono due aspetti. Se comincia a dire magliaro, intanto c’è da chiedersi che cosa intenda lui con magliaro, da dove si muova per dire magliaro. Questo riguarda una 17 IL SECONDO RINASCIMENTO fantasmatica propria a lui e quindi al personaggio che egli si crea. Io ho detto, infatti, che è stato creato un personaggio a immagine e somiglianza dell’inquisitore. Il critico, il cronista, il giornalista, lo psichiatra, il perito senza onore, il filosofo di provincia, l’universitario (in generale era una popolazione piuttosto comunista e già postcomunista), insomma, l’inquisitore ha creato il personaggio a propria immagine e somiglianza, e non ha né tolto né aggiunto nulla a me. In un certo senso, però, ha aggiunto. Perché? Io considero il “magliaro” e incomincio a parlare di maglia, di maglieria, di trama, insomma dell’ironia. È un capitolo nuovo per me (non che non esistesse prima, se leggete gli scritti precedenti, l’ironia c’è nella Peste, in Dio, nel Giardino dell’automa), è un capitolo nuovo che mi trovo a scrivere: l’ironia. Dove dico che non c’è la speranza nel futuro, ma che la speranza è il futuro. Dove dico che non si tratta di sperare che qualcosa accada o non accada, perché questo resta più o meno sempre nell’ambito della dottrina della predestinazione — l’ottimismo, il pessimismo sono dottrine soggettivistiche che fanno parte della dottrina della predestinazione —; dove dico che l’ironia è l’interrogazione non socratica (ironia è interrogazione, in greco) e che non fonda la risposta, i cui presupposti non sono quelli della logica predicativa. L’ironia non dice che bisogna rispondere o sì o no, non presuppone la logica del sì o del no, ma è il modo dell’inconciliabile, fra sì e no, fra positivo e negativo, fra bene e male, fra amico e nemico, fra alto e basso. Sono modi, varianti del modo dell’apertura della parola, del cielo stesso della parola. Prendiamo, poi, guru. Adesso viene adoperato spesso: guru della finanza, guru della politica, guru della banca. Ho fatto un’indagine intorno a questo termine molto interessante, sottraendolo all’animale fantastico anfibologico gravis-brutus. È un termine che viene dal sanscrito, guru, poi arrivato al greco e al latino, ma insomma, si tratta di un animale anfibologico che presuppone la genealogia sociale. Io l’ho sottratto a questa genealogia e l’ho elaborato in modo differente. Insomma, non c’è elemento detto come negativo nei miei confronti che io non abbia elaborato e trasformato in qualcosa che comportasse l’apertura, l’apertura da cui procedere anche con il signore in questione, se il signore in questione non è sovraccarico di acciacchi, di tic, di tac, di lesioni, di deficienze, di somatizzazioni o di somarizzazioni, e quindi se si trova in grado di parlare con me. È chiaro che se io ho la necessità di parlare con questo signore, io trovo il modo, e dove lo trovo? Nella parola. È accaduto che, in questi ultimi due anni, abbia avuto necessità di parlare con signori verso cui non avevo nessun interesse di parlare, 18 IL SECONDO RINASCIMENTO ma c’era la necessità di parlare proprio con quei signori, che verso di me avevano un pregiudizio totale. Io non posso fermarmi a dire che l’altro è squallido, che l’altro è scialbo, che l’altro è stupido, che l’altro è paranoico, che l’altro è razzista, perché questo mi limita molto, non mi dà nessuna chance: io mi chiudo e faccio la torre senza avorio. Il fatto è che questo signore non rappresenta l’Altro e occorre, invece, che io trovi il modo di trasformare, per via di malinteso, questo signore in interlocutore per la cosa di cui io ho bisogno. Io ho bisogno di quella cosa e, quindi, ho bisogno che questo signore si trasformi in mio interlocutore. Non posso dire che lui è stupido o che è pazzo. Io considero, invece, che attraverso la sua pazzia, attraverso questi suoi caroselli, può darmi una chance. Certo, c’è chi scrive cose false intorno a me. Per esempio, in un congresso qualcuno diceva che io ero figlio di Giovanni XXIII, un altro che ero figlio di Brez̆nev, che ero finanziato dalla Cia e dal Kgb, oppure da Israele, quindi dai servizi segreti israeliani oppure dai servizi segreti tedeschi, che oggi sono più di moda — sono potentissimi oggi i servizi segreti tedeschi. Ero molto finanziato! Fatto sta che io invece avevo bisogno di quattrini per organizzare un congresso, per pubblicare libri, per fare questa cosa, che io mi permetto di ripetervi, che ho già detto e che ritengo che sia importante per noi che viviamo d’infinito: restituire qualcosa di quanto ci è stato consegnato, tramandato da tutti coloro che ci hanno preceduto e da coloro che vivono oggi accanto a noi, restituire qualcosa alla civiltà con la nostra lettura, dare un contributo, fosse pure un granello di sabbia. Io penso che se fossimo in un’epoca non analfabetica, potremmo intitolare un libro Un granello di sabbia. Un granello di sabbia non è poco, non è qualcosa di finito e di finibile se abita nella parola, se sorge dalla parola e se emerge dall’infinito della parola. Dato che lei ha preso l’iniziativa, prosegua! Intanto, come si chiama, se non sono indiscreto? D. B. Mi chiamo Daniel Bryner. Svizzero di origine. A. V. L’origine non la sappiamo. L’originario è senza origine. D. B. Io sono venuto per curiosità. Ovviamente, hanno detto peste e corna di lei... A. V. Lei capisce che le corna, in particolare, appartengono interamente a coloro che le hanno dette. D. B. E io non ci credo finché non vedo. La mia tesi è che lei si è scontrato con dei poteri forti e alla fine l’hanno sopraffatto. A. V. Mi hanno sopraffatto? D. B. Sull’“Espresso”, in un articolo su Lacan, dicono che lei è il peggiore, 19 IL SECONDO RINASCIMENTO che Lacan è andato male in Italia perché lei è stato il suo profeta sciagurato. Ci sono due possibilità: o controbattere ogni cosa sulla stessa stampa oppure dire... E poi c’è l’altra cosa penale, che non vorrei toccare, perché è una cosa privata sua. A. V. Privata mia? D. B. A un certo punto, ognuno dice la sua... È una cosa di cui non vorrei entrare nel merito. Ognuno ha i suoi problemi. A. V. Ho capito. Sono vari capitoli che lei ha enunciato. Incominciamo con l’ultimo. Intanto, io non ho accettato né il processo penale né la pena, non ho accettato la morte, non ho accettato lo psicofarmaco, non ho accettato il ruolo di vittima. Ho combattuto. Ho fatto anche di questa circostanza l’occasione e il pretesto di una battaglia culturale e, in ogni caso, ho tratto per me e per altri una lezione di vita. Non mi sono difeso, perché per difendersi bisogna in qualche modo avere commesso dei reati. D. B. Ha patteggiato... A. V. Non mi sono difeso. Io ho avuto tre gradi di giudizio in meno di tre anni, quando in Italia i processi prendono dieci, quindici anni, fra primo, secondo, terzo grado. Con me, in meno di tre anni, tutto: uguale, uguale, uguale. Tanta rapidità era abbastanza sospetta. Il processo, così come si è svolto, non qualifica me e è un attacco piuttosto impari rispetto ai mezzi e agli strumenti che io adopero. Lei dice: la mettono in prigione. Però, lei può accettare la prigione e soffrire, oppure può affrontare la prigione, certamente con dolore, e non accettarla, non dire semplicemente “io sono vittima di una persecuzione”. La persecuzione c’è, ma occorre trasformarla in proseguimento, in ironia, trasformare anche quella in circostanza per inventare, per scrivere, per combattere, per pensare, per fare. Insomma, io sono stato attaccato — diceva un amico — per avere provocato, senza volerlo, la paura di non avere più paura. Per avere dissipato la paura in alcuni e per avere destato la paura di non avere più paura in altri. Ma insomma, sulla paura si fondano il regno, il principio stesso di padronanza. Il principio della paura è il principio stesso di padronanza sulla parola, sulla repubblica, sulla città. La persecuzione ha destato paura anche tra i miei amici e collaboratori, non c’è dubbio, in taluni timidezza, in altri fuga, collaborazionismo più o meno goffo, insomma tutto ciò che avviene anche in un processo moderno per stregoneria, dove la parola viene ritenuta reato o stregoneria. Il reato d’influenza — ma l’influenza è dell’Altro, non del sé. Ci sono coloro che soccombono dinanzi a un processo, giusto o 20 IL SECONDO RINASCIMENTO ingiusto che sia, poi ci sono coloro che combattono, anche, ma assumono il ruolo di vittima... D. B. Cusani, per esempio. A. V. Non so. Tortora ha combattuto, però ha assunto un ruolo di vittima. Ci sono coloro che si uccidono o sono colpiti da infarto, da ictus, da malattie, da tumori di varia natura. Noi abbiamo notato persone che si sono trasformate radicalmente per il fatto di avere un’accusa di natura penale. Circostanze avverse, sfavorevoli ciascuno ne incontra, più o meno adeguate alla sua portata. Un attacco così gigantesco non è certo avvenuto per la faccenda di un dentista o per investimenti in una causa culturale, non è certamente in questi termini. È per avere toccato qualcosa di fondamentale al modo di pensare, al modo di fare, al modo di organizzare le cose, qualcosa di fondamentale nella politica, nell’economia, nella finanza, qualcosa che attiene alla sessualità, al piacere. Abbiamo valutato quanti mezzi sono stati profusi, con costi notevoli per lo stato, per una cosa come questa: non s’impiegano per criminali veri e propri, per vastissime organizzazioni! A me pare di avere analizzato, per filo e per segno, e di avere elaborato, con altri amici sulla scena internazionale, quanto nei quattro anni, dall’85 all’89, è accaduto a me, contrariamente a molti che, in questi anni, sono stati colpiti più o meno ingiustamente. Perché tutti coloro che sono stati colpiti per Tangentopoli, in un certo senso, sono stati colpiti ingiustamente. E non perché non avessero partecipato alla corruzione, senza dubbio c’erano motivi — nel mio caso non c’erano —, senza dubbio hanno commesso cose che nel nostro sistema sono qualificati come reati — non era questo il mio caso. Sono stati colpiti ingiustamente perché i magistrati hanno colpito alcuni e non altri, alcuni di più, altri di meno, e cioè, data l’obbligatorietà dell’azione penale, essa è completamente affidata all’arbitrio del pubblico ministero, della procura. A un certo punto si è costituito il partito dei magistrati, come il potere forte principale. In questo senso, l’accusa di falso in bilancio o di false comunicazioni sociali può essere rivolta a qualsiasi impresa, in Italia, e rivolgerla a un’impresa anziché a un’altra è chiaramente una scelta di politica giudiziaria. Lei mi dice che “L’Espresso” ha scritto qualcosa su di me. Io non lo leggo, ma non perché sia contro “L’Espresso”, è che quando lo compravo non trovavo notizie, è trasparente, dice sempre la stessa cosa demonologica. Elisabeth Roudinesco, l’autrice del libro su Lacan recensito dalla giornalista in questione, era venuta a due congressi organizzati 21 IL SECONDO RINASCIMENTO da me e ciascuna volta con grande sottomissione, perché c’era una sua compagna, una signora molto più importante di lei in Francia, intellettuale comunista, che veniva e era favorevole a me, quindi lei veniva. Poi questa signora importante si è messa contro di me, per tornare, poi, a essere di nuovo favorevole a me, ma Elisabeth Roudinesco non si è aggiornata. Elisabeth Roudinesco è figlia di Aubry, una delle cento famiglie più ricche di Francia. Una volta ha scritto sulla “Quinzaine Littéraire” che io sono mafioso. Io sono mafioso? D. B. Perché si vestiva... A. V. Certo, mi vestivo in modo... Mi vestivo. Certamente non mi vestivo alla tedesca. E allora il sigaro, il colore del vestito... È tutto. Ero mafioso. In questo libro intorno a Lacan ha scritto: “la politique ravageuse d’Armando Verdiglione”. Lei crede che Lacan abbia affidato a me il movimento freudiano in Italia. Ora, Lacan non ha affidato a me il movimento freudiano in Italia, Lacan ha trovato tre persone che erano suoi allievi. Io sono stato allievo di Lacan, mi pare che non sia da sconfessare né da negare. Non l’ho mai negato questo, né rinnegato. Sono stato allievo dei gesuiti, sono stato allievo di Augusto Marinoni, sono stato allievo di Lacan. E allora, lui intendeva costituire un tripode, noi abbiamo pubblicato il suo testo per l’inaugurazione di questa associazione italiana, chiamata la Chose freudienne. Avevamo costituito, presso un notaio che io conoscevo, questa associazione. Gli altri due personaggi, che facevano parte della triade, hanno ritenuto che io non fossi interessato. Fatto sta che io avevo un’attività pubblica internazionale per lo meno molto più nota, non erano figure per me interessanti, ma insomma avevo aderito all’atto di costituzione di questa associazione. Non ha avuto seguito. Io ho proseguito per la mia strada. Roudinesco ha messo questa frase, “la politique ravageuse”, e pare che sia stato tradotto con “la politica disastrosa”, ma no, è più giusto dire “devastante”. Ma certamente, la politica devastante era quella di Lacan? No, la politica devastante è la mia. Il mio giudizio sul libro di Rudinesco? Appartiene alla demonologia, al regno femminilista di Gomorra: pettegolezzi, volgarità, volgarizzazioni, denigrazioni. È un libro antintellettuale, anticulturale, senza idioma e senza intelligenza. Dice qual è l’apporto di Lacan? Ma certamente no! Pettegolezzi, cose familiari, fesserie. Questo è l’apporto di Lacan? Questo è il testo di Lacan? Leggendo il libro di Roudinesco abbiamo il testo di Lacan? Proprio no. Ciò non toglie che possiamo anche leggere il libro di Roudinesco. D. B. Ma al di fuori del vostro giro, la gente legge sul “Corriere della Sera”: Lacan il megalomane... Sono piccole cose, ma allora voi dovete combattere con queste cose... 22 IL SECONDO RINASCIMENTO A. V. No. A me pare che il “Corriere della Sera” abbia parlato del mio libro Leonardo da Vinci in termini molto precisi e che anche “L’Espresso”, in qualche occasione, abbia fatto qualcosa di positivo. Del resto, l’ultimo articolo fatto dall’“Espresso” era buono. Poi, lei diceva del patteggiamento. Mi hanno fatto il processo stralcio in tre anni, a tamburo battente. Intanto, di questa vicenda io ho scritto cinque libri. Sono stati pubblicati gli atti. L’interrogatorio fatto a me è un documento straordinario. Sa che cosa mi veniva contestato? “Signor Verdiglione, che cos’è la cifra?” (che reato!). “Signor presidente, non è una somma di danaro”. “Mi sembra che la sua cultura non sia granché”. “Può darsi, signor presidente. Ma non è di pertinenza di questo tribunale valutarla”. “Ma non si attacchi alle parole”. “Io sono un linguista, se non mi attacco alle parole a che cosa mi attacco?”. Tutto l’interrogatorio si è svolto così. “È vero che era un capo carismatico?”. Dico: “Mi avete fatto arrestare, contestatemi fatti specifici. Ditemi quali reati ho commesso e io vi rispondo”. “Ma lei cosa intende per fatti specifici? Il suo ruolo nella Fondazione...”. Il fatto specifico sarebbe quello! Ma per fatto specifico s’intende il fatto rilevante che costituisce reato. La trascrizione è stata fatta dal tribunale e noi l’abbiamo riportata pari pari, senza togliere né aggiungere una virgola. Quando l’ha letto Carlo Sini, ha detto “se mi fossi trovato io in un interrogatorio così...”. Maksimov ricordava quella massima: datemi una frase di un uomo... D. B. Però, le piace apparire, perciò l’hanno fucilato. Se era così tranquillo, non... A. V. Prima di tutto, non mi hanno fucilato... D. B. Hanno tentato. A. V. Il fucilato non c’è, questo è il bello. D. B. In un mondo dove tutto si può comprare, compresi i giornali e i giornalisti... Per questo la prima repubblica è stata cancellata, perché i partiti non avevano più soldi. Ci sono dietro grossi poteri, ci sono i servizi segreti che pagano e hanno sempre pagato e questa è una guerra. Quindi, per rifare tutto ci vogliono soldi. A. V. Li troviamo. D. B. Se li trovate siete a posto. A. V. No, noi siamo già a posto. E li troviamo anche. Siamo al nostro posto. È chiaro che adesso entro di nuovo in scena. Non che mi sia nascosto in questi anni, sono stato a meditare in sui libri, a lavorare, a fare una lotta speciale, giorno per giorno, istante per istante, e ho acquisito delle cose che altrimenti non avrei acquisito e che altri, comunque, non hanno acquisito. E quindi sono in grado di entrare di nuovo sulla scena 23 IL SECONDO RINASCIMENTO internazionale. Per questo, m’impegno direttamente a Losanna, m’impegno direttamente a Ginevra, così a Parigi e così in altre città. Incontro persone per strada che mi dicono “Ma perché non appare in televisione, perché non si rende visibile?”. Entro in scena, anche in televisione, anche sui giornali, rimanendo invisibile. Perché coloro che non esistono se non in quanto visibili, poi, spariscono. Ho scritto un libro, Niccolò Machiavelli, che è anche la valutazione, un giudizio intorno all’Italia. Io non dico: l’Italia è ammalata, l’Italia è di seconda, terza, quarta classe, insomma, tutto il male dell’Italia. Gli italiani, spesso, quando vanno all’estero, parlando dell’Italia dicono che tutto va male e quando stanno in Italia dicono che tutto va male. È un po’ una superstizione questa, occorre valutare altrimenti le cose, più che con destra e sinistra. Il nostro apporto non è per la circolazione stradale, non è di metterci al centro della strada e dire: tu vai a destra, tu vai a sinistra, lo fanno già i poliziotti. il nostro apporto è altro. D. B. Sono soddisfatto. A prima vista... A. V. Se però lei a seconda vista e a terzo udito ha qualche altra domanda, la faccia. D. B. Lei ha detto che non ha mai patteggiato... A. V. In quei tre anni ci sono stati primo, secondo e terzo grado del processo stralcio, che per loro era il processo, con tutto il clamore, a tutte le ore, su tutti i giornali, i notiziari, le prime pagine, c’era solo Verdiglione. Per quattro anni. Mai nessun criminale ha avuto tanto clamore! Mai nessun intellettuale ha avuto un processo così, in Italia, negli ultimi cinquant’anni. Il processo stralcio è cominciato con rito direttissimo il 31 maggio dell’86 e è terminato in Cassazione il 10 marzo dell’89. Poi, però, sarebbe dovuto proseguire il processo “grande”, dove ero accusato di un centinaio di reati, per i quali, anche con la continuità della pena, avrebbero dovuto esserci un migliaio di anni di carcere. Fatto sta che io avrei potuto proseguire la battaglia, ma ormai per me la battaglia culturale era compiuta, era compiuta con il libro La congiura degli idioti, in gran parte già con L’albero di san Vittore. Diciamo che il terzo atto è stato L’albero di san Vittore e il vero compimento La congiura degli idioti. Dopo questo libro, che ho scritto nell’estate del ’91, io non avevo più nessun interesse per il processo. Questa è la prima cosa. Seconda cosa. Io avevo e ho una responsabilità storica e quindi assumo la paternità di molte cose, l’autorità e anche la responsabilità di molte cose e, quindi, ho valutato che fare un processo ancora per dieci anni sarebbe stato uno spreco, non più un investimento. Lei badi che io avrei potuto, nell’85, evitare il processo. Subito, prima ancora dell’avvi- 24 IL SECONDO RINASCIMENTO so di garanzia e comunque dopo il primo avviso di garanzia, ancora avrei potuto evitarlo. Ma, se lei legge i miei libri precedenti all’85, lei trova che io non avrei potuto evitarlo. Nei miei libri trova già la risposta all’essenziale del processo. Ma come, lei dice, se avrebbe potuto evitarlo perché tutto questo sacrificio successivo? Perché fa parte dell’itinerario scientifico e intellettuale. Fa parte del messaggio e della lezione. Fa parte di quel granello di sabbia: è il mio contributo. Evitando il processo, io avrei evitato un’analisi essenziale di questo paese e dell’Europa e di dare un contributo importante. La congiura degli idioti, Leonardo da Vinci, Niccolò Machiavelli sono contributi importanti. E non solo, tutto ciò che non è ancora libro, che non trovate come libro, in particolare questi ultimi tre anni, e in particolare l’ultimo anno ’95. La pena, poi, è stata di un anno e quattro mesi, ma calcolando la continuità della pena, hanno aggiunto quattro mesi alla condanna precedente. Allora, erano mille anni o quattro mesi? Tutti quei reati non c’erano, altrimenti non avrebbero potuto dare solo quattro mesi! Poi, siccome ho patteggiato, hanno dissequestrato tutto. Allora, questi beni non erano corpi del reato, altrimenti non li avrebbero dissequestrati così, improvvisamente! Certo, io capisco che poi nel ricordo della gente c’è questo o quell’altro. Però, coloro che leggono hanno una nozione precisa. E siccome per coloro che non leggono quello che importa è la visibilità, adesso io rientro in scena, ma come invisibile. Ma rientro in scena: mi si noterà, rimanendo invisibile, cioè non affidato e esaurito interamente nella visibilità. Senza litigio, senza partecipare in nulla alla lingua dei litiganti, quella che produce un rumore perpetuo, dice Leonardo da Vinci. Allora, ho toccato i vari punti delle sue domande, o c’è ancora qualcosa che non ho toccato? Una cosa importante, ancora. Non è da dire che il fatto penale sia un fatto privato. Questo no. Il mio caso non è giudiziario, è un caso culturale, un caso linguistico, è un caso intellettuale. Non è un caso personale. D. B. Per alcuni dei reati, come la circonvenzione d’incapace, sicuramente può avere ragione lei, e del resto può succedere che nelle attività imprenditoriali non tutto sia a posto. L’unica cosa è la truffa, perché se non è vero questo, io, al suo posto, non avrei patteggiato, ma sarei andato fino in fondo, fino alla Cassazione... A. V. Io sono andato fino in Cassazione. L’accusa di truffa e addirittura di estorsione su che cosa poggiava? Sul concetto d’incapace. Se non ci fosse stato incapace non ci sarebbe stata estorsione né truffa, ma siccome c’era l’incapace... Siccome si accorgevano che l’accusa di circonvenzione 25 IL SECONDO RINASCIMENTO d’incapace poteva essere discutibile — e per un anno sono intervenuto su questa circonvenzione d’incapace, dicendo quale fosse il terreno insicuro di questo reato senza prove —, allora hanno rafforzato l’accusa con l’estorsione, hanno detto: certo, non ci sarebbe estorsione, ma siccome era incapace... E perché era incapace? Perché una persona che fa la psicanalisi è sempre un incapace, così ha detto il procuratore generale Dello Russo. Chi fa la psicanalisi è sempre un incapace! Il caporedattore di un giornale rispetto al suo direttore è sempre un incapace! Una donna rispetto a un uomo è sempre incapace! D. B. Quindi, lei dice che c’è stata una sentenza sbagliata. A. V. A me pare di avere analizzato in base a quali presupposti ideologici sia stata impiantata l’accusa. Ho detto anche che la base erano gli articoli scritti dai comunisti sui giornali, questa base è stata utilizzata dagli accusatori e la stessa base è rimasta nella sentenza. Gli stessi termini. D. B. E riaprire il processo? A. V. Io l’ho già aperto, compiuto e trasformato in processo della parola. Ho fatto qualcosa di più importante che riaprire il processo! Ciò che ho fatto appartiene ormai alla storia e alla geografia. E rimarrà. Ci saranno molti che si occuperanno di questo processo, che avranno modo di riaprirlo. Io devo proseguire, non posso fissarmi su una cosa, questo è un episodio, analizzato, affrontato, ma occorre che faccia altre cose. Ci sono coloro che incappano una volta nel tribunale poi ci restano sempre! O vanno una volta in ospedale per una fesseria e poi muoiono lì, perché incominciano una serie di altre malattie. Bisogna proseguire, con un programma di vita. Daniel, mi pare di averle un poco risposto. D. B. Sono soddisfatto. MARIA ANTONIETTA VIERO Lei diceva prima che bisogna trasformare, per via di malinteso, ciascuno in interlocutore... A. V. Anche colui che si pone come nemico, se noi abbiamo bisogno che divenga interlocutore. Se non ne abbiamo bisogno, non possiamo trasformare tutti coloro che si pongono come nemici in interlocutori! Facciamo come dice il Vangelo: c’è un po’ di polvere, scuotiamo i calzari! M. A. V. Volevo sapere in che relazione sta il compimento con il progetto, con l’obiettivo e anche con il programma. Il compimento della scrittura sembrerebbe il compimento del progetto. A. V. No, io non ho detto del progetto. Ha messo tante cose al fuoco! L’obiettivo è sempre il pretesto, però ci vuole, poi bisogna andare oltre l’obiettivo, non prenderlo realisticamente, perché sarebbe limitarsi. Il progetto si aggancia all’audacia, a questo aspetto della tranquillità che è l’audacia — l’altro aspetto della tranquillità è il rischio e il rischio 26 IL SECONDO RINASCIMENTO introduce al programma. Soltanto il rischio estremo introduce al programma, al programma di vita. C’è il compimento della scrittura della ricerca nel labirinto, rispetto alla difficoltà, e poi c’è il compimento della scrittura delle cose che si fanno. Le cose che si fanno si scrivono e, scrivendosi, si comunicano e si qualificano, ma per giungere alla qualità le cose che si scrivono hanno bisogno del compimento. La clinica è compimento. La clinica è cultura e arte della piegatura delle cose. Compimento è un termine del Vangelo e quella che ho fatto finora è stata soltanto una lettura del Vangelo, in un certo senso. Lo statuto che si fa carico della globalità dell’esperienza è lo statuto di regista. Si può essere sempre registi?, chiede Maria Antonietta Viero. In cima all’itinerario, bisogna mettersi in quella direzione. Ma, dice ancora Maria Antonietta, se l’associazione “ha bisogno”, come rispondere? Oggi pomeriggio ho detto una cosa. Ci sono coloro che dicono: “ci manca questo, ci manca quello”. No. Io dico: di che cosa abbiamo bisogno? Noi abbiamo bisogno. L’associazione è assoluta e è la condizione per il viaggio. Nel viaggio noi viviamo, noi facciamo, noi abbiamo bisogno. Ma il bisogno non è quello dei marxisti, non è il bisogno delle masse amorfe, delle masse che hanno bisogno di essere formate, di essere organizzate, noi non abbiamo questo bisogno. E quindi fare è necessità, impresa è necessità, superfluo è necessità. Non si tratta di dire sì o no al bisogno. Invece la decisione è questa, che noi facciamo, e è soltanto facendo che esistiamo, esistiamo in questo accadimento, esistiamo nel miracolo. Non c’è altro modo di esistere. Cosa giova al miracolo? Anche il sogno, anche la dimenticanza. Molte guarigioni avvengono dormendo, avvengono perché esistono i sogni, perché c’è dimenticanza. E le guarigioni sono sempre qualcosa di assolutamente imprevisto per la medicina. La medicina parla del cosiddetto male incurabile: “quanto tempo gli resta, quanto gli manca, fra quanto tempo muore”, e stabilisce quanti mesi, quanti giorni, eppure avviene il miracolo. Questa è una cosa interessante. Non la si capisce dicendo che questa è superstizione, no, bisogna intenderla in altro modo. Con il miracolo s’instaura il programma di vita. Il programma di vita non è preliminare, si enuncia soltanto in seguito al fare. Chi non fa e non combatte non può enunciare il programma di vita. La guarigione è il programma di vita, se vogliamo rilevare questo termine, guarigione. 27 IL SECONDO RINASCIMENTO Domenica, 3 dicembre 1995 Oggi procediamo in modo differente. Ciascuno pone domande o dà testimonianze, prendendo sul serio, senza diminuire in nulla, la difficoltà. Chi rappresenta o diminuisce la difficoltà l’affida a me come carico e ne porta la pena. Non ci guadagna nulla e non è certo un vantaggio intellettuale per me. Perché è chiaro che io assumo l’esperienza e quindi non posso, in nessun modo, nemmeno lontanamente accettare la défaillance per quanto mi riguarda, sarebbe la rovina. È in questo senso che assumo anche la paternità dell’esperienza e m’impegno direttamente. Se non fosse stato chiaro finora! Sentiamo se ci sono notazioni. Taluni si erano iscritti a parlare. Dottor Saverio Bellumat. È un nome che mi è molto caro: dovrei riprendere in mano le lettere di san Francesco Saverio. Oggi è il suo onomastico? S. B. Festeggio sant’Antonio. A. V. Ma allora lei è Antonio Saverio Bellumat! A. S. B.Sì. A. V. Ah, ecco. Chi ha nomi brevi è preferibile che li scriva per intero. Quindi, se lei scrive un libro, si firma per esteso. Lei ha fatto un’indagine intorno a questo nome? È di Belluno. Quindi “bellumat” sarebbe bellumatense? A. S. B. È in dialetto della provincia di Belluno, l’antica Feltre, e “bellumat” era il sovrintendente alla caccia del principe vescovo. A. V. Quindi si occupava della caccia, che era un capitolo importantissimo, perché la mensa dei principi era costituita in massima parte da cacciagione che, com’è noto, è un buon nutrimento. Ma a che epoca risale? A. S. B. Al 1600. A. V. Il cacciatore. Abbiamo discusso a lungo: il cacciatore di teste, il cacciatore di nomi, il cacciatore di cervelli, il cacciatore di streghe, il cacciatore d’intellettuali. Però la caccia è lo stesso termine di Aufhebung, cioè rilievo e rigetto. Il rilievo è nella logica delle relazioni, e il rigetto, quindi la rimozione, è l’assunzione del superfluo nella logica delle funzioni. L’assunzione, quindi funzione di nome — l’assunzione di Maria è in questa accezione. Il nome come anonimo e innominabile, la donna in quanto indice dell’anonimato del nome, il padre come indice dell’innominabile del nome. La caccia verte sia intorno all’ironia, al modo dell’inconciliabile, sia intorno alla sintassi, all’incominciamento delle cose. Sicché lei si occupa di cose nobilissime, di cui il principe non si è più occupato — perché non c’è più il principe vescovo di Feltre. 28 IL SECONDO RINASCIMENTO A. S. B. In quale accezione lei dice “le cose sono estreme”? E qual’è la connessione tra l’estremo delle cose e la solitudine? A. V. Intanto, la parola estrema è la parola originaria perché non è riducibile, non è spazializzabile, non è finalizzabile, non è nemmeno visibile. La parola è estrema perché non c’è padronanza sulla parola, quindi parola indominabile. Le cose — in quanto s’instaurano nella parola, esistono nella parola, appartengono alla parola, si scrivono nella parola, quindi si dicono, si fanno e si scrivono — sono estreme. Estrema la parola perché mai diverrà psicofarmaco. Quindi, disperazione estrema, fede estrema, cioè la fede che opera e non agisce. Disperazione estrema, quella che mai sarà convertibile in speranza che qualcosa accada o non accada. La speranza che qualcosa accada o non accada è puro fatalismo e, nella versione che ha nell’esperienza, giunge come fantasma materno a seconda dei vari discorsi. La speranza nell’accezione comune è l’accettazione della morte e dipende dalla conoscenza della morte. Estremo, quindi, non come ultimo. Estremo perché non c’è al di qua né al di là della parola. Convertito nella dottrina energetistica, l’estremo diventa lo stremo delle forze, per esempio, essere o trovarsi allo stremo. Lo stremo è la negazione dell’estremo. Ogni volta che siamo tentati dall’energetistica deragliamo. Che cosa prescrive l’energetistica? “Tu hai una quantità di energia, energia termodinamica o energia informatica o energia telematica. Devi distribuirla. Se ne togli da una parte devi aggiungerne dall’altra. Se tu la riversi su una cosa, non puoi, nello stesso tempo, impegnarti in un’altra cosa”. Questo comporta che il corpo e la scena siano una macchinapsicofarmaco, che lo psicofarmaco si alimenti con l’energia termodinamica o con l’energia informatica. Se ciascuno di noi è interpellato dalla difficoltà in qualcosa di assolutamente imprevisto, che scombina tutti i suoi piani, non è che l’energia diminuisca perché si occupa di una cosa nuova imprevedibile e imprevista! Quando dico energia termodinamica o energia informatica è chiaro che parlo della dottrina energetistica, e di come questa dottrina energetistica diventi poi una dottrina morale, sociale, personale. Io distinguo tra energia (atto) e materia. Mentre quella che Aristotele chiama potenza è una variabile, e nel commento hegeliano diventa l’arte soggetta alla morte, l’arte che deve finire, una variabile, insomma. Ma l’arte è costante, l’arte è perenne, come dice il titolo italiano del libro di Jacques Martinez, Il perenne moderno. Energia. Nel Giardino dell’automa c’è qualcosa di preciso intorno al termine energia. La parola in atto, la parola che agisce, questa è l’energia. 29 IL SECONDO RINASCIMENTO La parola è originaria, estrema, non può essere limitata. C’è questa o quella difficoltà e è sempre rispetto alla difficoltà estrema: è una chance per giungere alla semplicità, perché le cose si facciano secondo l’occorrenza e si scrivano. C’è chi dice: Faccio già abbastanza, sono già impegnato a mio modo, insomma io mi trovo nel mio cerchietto, nella mia nicchia, nel mio giardino, nel mio campo, nel mio orizzonte, nella mia linea e questo sarebbe andare oltre la linea, sarebbe trovarsi senza la linea, senza il cerchio. Prima occorre che io guadagni, poi che m’impegni, e allora, ecco ancora una volta il cane che si morde la coda. Perché la dottrina energetistica è una dottrina gnostica, è una dottrina che dice: tu sei un soldato, oppure uno schiavo, questo è il tuo salario, questo tu puoi spendere. È la dottrina del salario o del premio. Questo è il bottino, questo spetta a te, questo tu puoi spendere. Questi sono i tuoi compiti e non altri. Io prima conquisto il salario e poi m’impegno. No! Io m’impegno direttamente, subito, e assumo la paternità dell’esperienza. Subito e ora, non dopo, nel regno del mai. Ancora una volta, chi dice così non si rimetterà mai in bonis, resta sempre in malis, resta sempre in questo segno circolare del cane che si morde la coda, del serpente che divora la coda, del gatto o altro animale fantastico che fa cerchio. Ma io già così non ce la faccio! E quindi già si è assegnato i limiti, gli anni passano e che cosa resta? Che ce l’ha fatta, che non ce l’ha fatta... Bisogna che qualcosa resti di perenne, e questa è un’impresa in cui ciascuno dà il suo apporto, ciascuno come dispositivo del fare, dispositivo poetico, dispositivo politico, dispositivo di amministrazione, di governo, di finanza, di comunicazione, di scrittura. La scrittura è questa, è scrittura dell’esperienza. Questa è l’accezione che assume la scrittura con il rinascimento della parola, è scrittura della parola. Nel discorso occidentale non è scrittura della parola, è scrittura del discorso, è scrittura della morte, è la morte. Dice: Ma questi sono parametri per lei, lei sì che è bravo, questa è la sua cifra, non è la nostra cifra, non è la mia! E già la cifra diventa il segno, il segno della predestinazione. Questo è il suo segno, lei per forza è grande, io sono più piccolo, io, nel mio piccolo, faccio le cose piccole. No, il segno è tripartito e diviene cifra, qualità. Vi dicevo ieri sera di Cristoforo Colombo. Poco prima dell’approdo, i suoi amici, quelli che era riuscito a raccogliere in Spagna — e certamente non erano baroni, conti, principi, ma, insomma, avevano questa vocazione dello straordinario potendo trovare nell’eccezione la condizione per fare — che cosa dicono? Torniamo in Spagna! Che il re ci bastoni, ci metta in galera, ci metta a pulire le scale, almeno siamo sicuri, abbiamo il pane sicuro. Eppure sono lì, vicinissimi alla terra. 30 IL SECONDO RINASCIMENTO E gli ebrei, che vengono dall’Egitto e si trovano nel deserto, mentre Mosè è salito sulla montagna: quel pazzo, parla con Dio! Facciamo il nostro vitello, torniamo in Egitto dal faraone, anche da schiavi, pur di non restare qui, nel deserto. E Mosè ritorna con le tavole, vede il vitello e le spezza. Occorre parodiare anche il Messia, ogni tanto. Il Messia non è che sia venuto e basta. Il Messia è tra noi. Nessuno è il Messia, né questo né quello che noi vediamo, il Messia non è visibile. Ma insomma, c’è la necessità del Messia, c’è la necessità del miracolo, la necessità della scrittura dell’esperienza, la necessità del superfluo. Certamente, l’atto di Cristo è l’atto del Messia, la parola che agisce indica il Messia. Non è che la parola abbia agito e ormai è finita, no! La parola finita non è più la parola estrema, non è più la parola originaria. Il Messia sta nella parola, cioè la parola ancora, ancora agisce. Vogliamo limitarla con la dottrina dell’energia? Con la dottrina della conoscenza della morte e dei propri limiti? Non è psicanalisi, se noi facciamo così. Bisogna che la psicanalisi insegni l’eccezione, lo straordinario, il miracolo e che formi al miracolo, cioè che stabilisca le condizioni perché il miracolo intervenga, perché qualcosa accada secondo l’occorrenza e non ho esitazione a dire anche secondo necessità — nell’accezione di necessità non ontologica, di necessità pragmatica, necessità sintattica, necessità d’incominciare, necessità di debuttare, necessità dell’incominciamento, necessità del debutto. Antonio Saverio Bellumat dice anche: la solitudine estrema. Certo, perché la parola è estrema. La solitudine estrema non è l’isolamento. Ma il confronto con il fratello, con l’amico, con il compagno è una fregatura! È una castrazione transitiva. È un omicidio. Il confronto è con la solitudine, con l’assoluto, con il sembiante, con l’oggetto della parola. Né con il padre né con il figlio né con l’Altro. Il confronto con il sembiante è l’identificazione stessa del sembiante. Non c’è bisogno della psicanalisi per vivere una vita normale, per rappresentare la morte bianca, il suicidio bianco, per subire e assumere la propria dose di morte giorno e notte, in ogni istante. La psicanalisi è l’esperienza della parola. Tripartizione (conversazione, narrazione, lettura), ma con differenti dispositivi. Certamente, nel proprio dipartimento. Ma anche la presidenza di una banca può essere un dipartimento, anche la sede di un’impresa o di un’associazione d’imprenditori: lì si tratta d’instaurare dispositivi per la formazione e l’insegnamento della psicanalisi. Questo non significa che io debba spiegare cosa hanno detto Abraham o Ferenczi o Bion o Hartmann o Kris o Melanie Klein, lì si tratta 31 IL SECONDO RINASCIMENTO di entrare in medias res, si tratta di formazione, si tratta di esperienza, dove io, io come soggetto, non esisto o l’esperienza non c’è! Il fantasma del soggetto va analizzato: potremmo dire che è il fantasma materno fondamentale, è il fantasma della morte. Freud ha inventato la psicanalisi, lui ebreo (Jakob, suo papà, si era formato in ambiente hassidico), come un suo approccio al Vangelo. La lettura del Vangelo comporta l’invenzione della psicanalisi. Se voi notate, in questi venticinque anni, quanti sono i brani del Vangelo che ho ripreso e quante volte sono stati considerati, discussi, elaborati! Restituire il testo del Vangelo con la lettura è restituire il testo occidentale. In che lingua noi leggiamo il Vangelo? Apparentemente, in greco o in latino. Ma noi lo leggiamo, ormai, nella lingua in cui il Vangelo si scrive e il Vangelo si scrive nella lingua di Babele e nella lingua della Pentecoste. ANNA SPADAFORA Lei diceva che noi ci occupiamo di ciò di cui abbiamo bisogno, non di ciò che ci manca. A. V. È vero. Importa ciò di cui abbiamo bisogno. Dire che ce ne occupiamo sarebbe un po’ ridondante. A. S. In che modo si stabilisce ciò di cui abbiamo bisogno, per esempio, come strumento per la restituzione di un granello di sabbia? A. V. Io non ho detto che restituisco un granello di sabbia. Io restituisco il testo occidentale e questo è come un granello di sabbia, un contributo alla civiltà. Dicendo un granello di sabbia non c’è nessuna modestia e ho precisato perché. Una prima approssimazione per indagare intorno a ciò di cui abbiamo bisogno è ciò di cui abbiamo paura. Riprendiamo. Importa non ciò che manca, ma ciò di cui abbiamo bisogno. Noi facciamo, noi viviamo, noi abbiamo bisogno di fare, di decidere, di concludere, di scrivere. Abbiamo bisogno di politica, abbiamo bisogno d’intelligenza, di malinteso. Abbiamo bisogno di paradiso. Abbiamo bisogno di scrittura e di conclusione. Abbiamo bisogno di soddisfazione. Ciò di cui abbiamo bisogno, in una prima approssimazione, è ciò di cui abbiamo paura — paura estrema, però, non questa o quella paura. LUCIO PANIZZO Al master di Padova lei diceva che della difficoltà si occupa il progetto, quindi senza progetto si può parlare di una possibile diminuzione della difficoltà, abortendo o sconfessando il progetto stesso, rientrando in una teoria energetistica. Aggiungerei anche la questione dell’investimento, senza il quale risulta difficile intendere la vendita e lo svolgimento del progetto. Può aggiungere qualcosa? A. V. È quello che io ho fatto ieri pomeriggio e sera e poi ho inviato 32 IL SECONDO RINASCIMENTO l’appello estremo articolato in a, b, c. Solo che c’è chi lo intende in maniera riduttiva. L. P. Io ho già detto che aderisco al punto a. A. V. Certo, e anche al punto b e al punto c. Pensi che io assumo la paternità dell’esperienza e aderisco al punto a, b, c e poi d, e, f, g fino alla zeta! Ci sono altre domande? MARITA CAPPIELLO Per un caso culturale mi trovo a percorrere un itinerario cifrematico… A. V. Certo, il caso è in cima all’itinerario. Il caso dell’unico. Nel n. 16 (gennaio-febbraio ’95) della rivista, c’è una serie di conferenze che ha come titolo Il caso dell’unico. M. C. Ho avuto modo di proporre a istituzioni bancarie e a aziende attività di formazione che esigono la cifrematica… A. V. Ho incontrato un amico, che aveva organizzato in altra epoca incontri con imprenditori. Gli ho suggerito di organizzare un master per gli imprenditori della città, cominciando con Modena, attorno al tema Il commercio internazionale, l’impresa, la vendita, proprio per la formazione psicanalitica di imprenditori. Dodici anni fa, tenevamo un’equipe dell’industria che aveva come progetto l’intervento clinico, l’intervento psicanalitico, clinico e cifrematico nella direzione dell’azienda. È molto più interessante formare imprenditori, presidenti, direttori generali di banche, banchieri che occuparsi dei loro schiavi, i quali non rischiano molto e non hanno una mentalità interessante. È agli imprenditori e ai banchieri che occorre insegnare che non ci sono schiavi e quindi come, a loro volta, formare all’interno e all’esterno chi collabora con loro. M. C. L’esigenza da parte di tali istituzioni è di tipo culturale e è legata alla necessità di trasformazione. La loro scommessa è diventare imprenditori, in primo luogo di se stessi. La cifrematica può dare una risposta. A. V. Imprenditori di se stessi no, perché l’imprenditore non vende se stesso, deve vendere utensili, libri, opere, macchinari, congegni, ma non se stesso. Non c’è prostituzione: non ci si vende mai e non si vende mai il prodotto come qualità, questo dicevamo ieri. M. C. La città del secondo rinascimento sarà in grado di formare una richiesta così urgente di uomini e d’impresa? A. V. Questa è una scommessa importantissima. La città del secondo rinascimento sorge specificamente anche per questo. Bisogna che abbia intanto questa ambizione, quindi che questo divenga programma. La domanda è formulata in modo interessante. Sono contento che lei ascolti con attenzione. 33 IL SECONDO RINASCIMENTO M. C. Mi sono ritrovata a avere contatti... A. V. Come, ha avuto contatti? Io, mai contatti. M. C. Pubbliche relazioni... A. V. Relazioni sì, ma mai pubbliche. Quelle pubbliche non hanno nessun interesse. La relazione è duale, non è pubblica, la relazione è il due, non è mai sociale. “Socializziamo la relazione”, no, proprio no. So che lo dice in un’accezione un po’ usuale, ma noi ci permettiamo d’indagare su ciascun termine perché, anche parlando, bisogna che portiamo un messaggio. Per noi le parole non sono indifferenti, sono specifiche e altri si accorge della proprietà linguistica, non in base a canoni convenzionali, ma come proprietà della parola e dell’itinerario in cui ci troviamo. M. C. Quindi mi sono ritrovata a esplorare tabù che ancora vincolano la questione donna, la vendita e il profitto. A. V. Certamente. Il direttore generale della banca non è una donna, l’amministratore delegato della grande azienda non è una donna, il presidente della compagnia di assicurazioni non è una donna, e così via. Però, per ciascuno di loro c’è una donna, la segretaria, che in ciascuno di questi casi è dirigente. Io avrei potuto parlare con l’amministratore delegato e non concludere nulla se non ci fosse questa segretaria dirigente, che fa le cose, il suo non è semplicemente un ruolo esecutivo. Non sono propriamente escluse, le donne, dalla finanza, il loro non è un ruolo subordinato, perché partecipano in pieno alla direzione e alla strategia, partecipano ai consigli di amministrazione. Esistono donne di talento e sono assolutamente indispensabili nelle aziende, sopra tutto dove si tratta d’imprenditoria, di direzione, di amministrazione, di finanza e di strategia. È anche vero, però, che c’è un’omosessualità dilagante, un’omosessualità eretta a principio, che regna in molte aziende, in molte banche, in molte compagnie e questa omosessualità ha la donna come modello — schiavista invisibile e donna da schiavizzare e da aggredire (quest’ultima è la donna madre, la mamma, trattata con rispetto, cioè con violenza). Un imprenditore che non abbia accanto a sé una donna come interlocutrice ha un limite molto grave per la sua impresa. Però, può fare parte di un cerchio omosessuale fortissimo, e allora farà scalate finanziare straordinarie e subirà precipizi rovinosi. Quando dico una donna come interlocutrice non intendo una donna che si lamenti in continuazione: il telefono, l’affitto, le mie colleghe, come sono ridotta! Questa non è interlocutrice, è la donna come segno negativo, che dice continuamente: “io ti conosco, so quali sono i tuoi limiti”, e quindi fa la figlia o la mamma, 34 IL SECONDO RINASCIMENTO che è la stessa cosa. Sono un po’ rapido, ma insomma, bisogna pur entrare nella materia fantasmatica. M. C. Per una donna, la questione vendita si formula in termini intellettuali... A. V. Il pregiudizio qual è? Che una donna debba vendersi. Una donna ha grandissime chance, se non si abbandona, se non aderisce all’erotismo, se non crede che debba vendersi. Per una donna stare sul filo del malinteso comporta una chance estrema. Togliere il malinteso, credere che questo sia possibile, è letale! La professionalità, per una donna, è anzitutto questo: instaurare il malinteso e mai toglierlo. Una donna abbandona la professionalità nel momento in cui crede che ormai ci si è capiti, ci si conosce, si sa quello che si vuole — allora è proprio una donna fottuta, una fottuta donna che non merita nessuna considerazione, votata alla perdizione, cioè alla scemenza, alla banalità, alla normalità! Parodiando, potremmo dire: così fan tutte. Ma non è così, non tutte fanno così. Sono queste “non tutte” a interessarci. Mentre un uomo che abbandona la professionalità e si abbandona all’erotismo è già una nullità in partenza. È una mezza scarpa, è un bamboccio mai emerso all’orizzonte della vita! M. C. Per una donna la questione vendita si formula nei termini intellettuali a favore della logica e della parola, ma per la donna perché la questione danaro è così difficile da trattare? A. V. Perché il danaro viene considerato, da Aristotele a oggi, una materia degli uomini, una materia umana. E quindi il danaro è genealogia delle forme simboliche, sociali, istituzionali, aziendali, bancarie, perciò questa genealogia umana deve essere propria degli uomini e non delle donne. Noi abbiamo insistito molto su questo: il danaro non è relazione sociale, il danaro è relazione, indice e figura della relazione, non è relazione sociale, non è genealogia sociale. La moneta, insisto, è il colore dello specchio, dello sguardo, della voce, quindi anche l’inspeculare, l’indisciplinare, l’invisibile, l’intoccabile — questo è la moneta. E i soldi siamo noi, voi, loro o come noi, voi, loro, cioè marche, nella sembianza, e indici, nel linguaggio, dell’infinito della parola. I soldi, i quattrini non devono essere il segno della nostra finitudine, come di solito avviene, il segno del razzismo. ALBERTO CAVICCHIOLO Si può parlare di danaro virtuale? A. V. Adesso c’è un po’ un’inflazione del virtualismo. Non è più interessante quanto tutto diventa virtuale. A me pare di avere precisato questo termine. Diciamo solo realtà virtuale o finanza virtuale, ma insomma, dicendo finanza virtuale o banca virtuale noi diciamo, sempli- 35 IL SECONDO RINASCIMENTO cemente, qual’è la prerogativa della banca, qual’è la proprietà della finanza, e non che ci siano una finanza non virtuale o una banca non virtuale. Ciascuna banca o è virtuale o non esiste. La finanza o è virtuale o non esiste. Da questo non possiamo dire danaro virtuale, moneta virtuale, due virtuale, sembiante virtuale! Allora questo termine è usato come se fosse una moltiplicazione per zero, come se fosse un segno di neutralizzazione della parola. Per quanto riguarda il termine scambio, mi pare che nel dizionario curato da Fabiola Giancotti ci siano vari esempi. L’equivalente generale è un fantasma, il sembiante non è l’equivalente generale. L’equivalente generale non è la moneta, non è il dollaro, non è l’oro, non è neppure il marco. È sempre un fantasma materno, nella Borsa, porre il marco come equivalente generale o come, viene detto, moneta di riferimento o moneta forte, moneta come equivalente generale. “L’economia, la finanza, la cultura e l’arte si situano nello scambio. Assioma dello scambio è l’anoressia intellettuale”. La parola agisce. Come agisce? Questo è lo scambio. Si chiede Marita Cappiello: ma per la donna perché la questione danaro è così difficile da trattare? Rispetto al pregiudizio. Poi, rispetto al pregiudizio, c’è anche la donna di danaro e ci sono uomini che sono bravi professionisti accanto alla donna di danaro — la moglie, la cliente, la suocera, la donna di danaro, insomma. Sono bravi professionisti, ma in proprio non rischiano mai nulla. Dicono: adesso chiedo a mia moglie, chiedo a mia suocera, chiedo alla mia cliente. Ci sarebbe bisogno di un investimento? Chiedo alla donna di denaro. Stamattina sono un po’ terribile! Lei mi ha provocato su questioni serie e bisogna pure che io dica qualcosa che risente dell’esperienza. Poi c’è l’uomo di danaro, “cappellaccio paga tutto”. L’uomo di danaro, l’uomo cappello, l’uomo copertura. E, allora, la donna è lì giusto per chiedere il denaro a quest’uomo, che lei spende, alla bisogna. L’uomo di danaro. Ci sono donne senza una dignità, che semplicemente si appoggiano e sono sempre lì a lagnarsi, a lamentarsi, a portare grane a quest’uomo, che appartiene alla genealogia umana e deve rispondere a tutto. Certo, ci può essere anche un uomo che per le questioni principali, dove si tratta dell’impresa, del rischio assoluto, dell’investimento, del programma, delega la donna. Lui è un brav’uomo, animato da buona volontà, ma mai veramente s’impegna direttamente, assume la paternità e corre il rischio assoluto, perché lui ha la donna dell’impresa come moglie e, se occorre, per le cose principali interviene lei. Noi non lo interroghiamo su come vadano le cose sessuali, tra loro. Stamattina sono 36 IL SECONDO RINASCIMENTO cattivo, ma occorre pure che dica qualcosa, per elaborarla. La generosità, l’indulgenza e l’umiltà sono virtù dell’Altro, costituiscono proprio il diritto dell’Altro. ROBERTO FRANCESCO da CELANO Come si pone la città del secondo rinascimento rispetto ai media, più precisamente, allo spettacolo, al cinema, che sembrerebbero dettare un modo di vita? Molte volte ci si trova con un’equipe che dice: non è così che ci dicono, oppure ci contraddicono... A. V. Bene, le danno molte opportunità in questa equipe, quindi la interpellano come psicanalista. E allora, avanti, proceda! FANCHETTE KUNZ L’investimento è indispensabile, ma c’è un momento per farlo. Come valutare quale sia il momento giusto? A. V. Lei vuole sapere quando occorre l’investimento? L’investimento è la funzione di Altro nella sembianza. Il quando dipende dall’investimento, il tempo dipende dall’investimento, l’anatomia della sembianza dipende dall’investimento, e non viceversa. Non c’è un momento per l’investimento. Non esiste l’anatomia nella sembianza, quindi non esiste il tempo nel fare, proprio alla sembianza, senza la funzione di Altro. L’investimento è la funzione di Altro. Negare questo è suddividere l’Altro in bene-male, amico-nemico e, quindi, portarselo come abito o combattere contro un abito. La battaglia dei costumi è questa. Se la funzione di Altro è espunta, se l’investimento è espunto, l’Altro serve per il travestimento, per l’abito sociale, morale, collettivo, politico, mentre l’Altro come barbaro va combattuto nel suo abito. La battaglia delle linee ideologiche, politiche è anche questa. La sua domanda ha anche altri aspetti. C’è una formula che dice: è venuto il momento per fare qualcosa. Le cose si fanno secondo l’occorrenza e al modo opportuno. Al modo opportuno, al modo tagliente. Quando bisogna fare, investire, decidere, concludere? Lei se ne accorge. È quando la paura di fare, d’investire, di decidere, di concludere è estrema. La paura non è una buona consigliera, dice il proverbio. La paura è un’eccellente consigliera! È una straordinaria consigliera! La paura estrema, non la piccola paura, non la paura come feticcio. Quella che viene chiamata paura, per esempio nel discorso ossessivo, è qualcosa che caratterizza il feticcio. È paura per questa cosa o per quella cosa, mentre è chiaro che la paura non è per questa cosa o per quella cosa, perché questa o quella cosa tutt’al più fanno parte di una globalità. La paura estrema è la paura sentinella, è la paura spia di ciò che incomincia. Quando dico che è ottima consigliera, la spingo fino allo spavento e al panico, anche questi quando sono eccessivi, quando non sono contenibili, non tali che si possa dire: oh, oh, come mi batte il cuore! Quando il panico 37 IL SECONDO RINASCIMENTO è tale che io non possa dire: ho una tachicardia, mi s’indolenzisce un piede o un braccio o una mano. Il panico estremo è quando lei si accorge che la finanza è assolutamente inevitabile e che il momento è venuto per concludere. Lo spavento estremo è quando lei si accorge della politica, della sessualità, del fare, e quindi il momento è venuto per fare, per la politica, la politica dell’ospite, la politica altra, la politica dell’Altro. Questo estremismo non dà l’occasione alla politica, alla sessualità e alla finanza di localizzarsi, di rappresentarsi in qualcosa e sopra tutto di personalizzare il fare e la conclusione delle cose, della scrittura. La paura ordinaria personalizza, lo spavento ordinario è supersoggettivo, il panico ordinario è mortale: vengono infarti, ci sono contraccolpi, ci sono conseguenze dell’orrore, del terrore, della paura, dello spavento e del panico. Anzi, Aids, ictus, cancro, infarto si possono anche cogliere come contraccolpi, contrappassi, contropiedi rispetto alla personalizzazione dell’orrore, del terrore, della paura, dello spavento e del panico. Questa è una strada clinica molto interessante, se noi decidiamo di percorrerla. Altro che la psicosomatica! Se noi decidiamo di occuparci sul serio di tutta una serie di cose di cui poi finiscono per occuparsi i medici perché la gente le trascura, per anni si tappa le orecchie, non intende affrontarle, se noi decidiamo di affrontarle si apre per noi una strada molto interessante — nel Processo alla parola ne abbiamo accennato e l’abbiamo ripreso più volte. Fabiola Giancotti potrebbe fare un terzo dizionario costituito da esempi clinici. Intendo che ci occupiamo anche delle cosiddette psicosi, non nel senso di aprire ospedali, ma che ce ne occupiamo in modo interessante. Tutto questo regno chiamato confusamente psicosomatica — il termine psicosomatica è esattamente inscritto nel discorso occidentale, nella logica binaria, nel dualismo platonico: psicofisica, psicosomatica... MARIA ROSA ORTOLAN Come si costituisce l’assemblea? Certo non basta riunirsi perché ci sia assemblea e, allora, qual è e come si costituisce il dispositivo dell’assemblea? Quali sono le condizioni, quali sono i termini perché ci sia dispositivo nell’assemblea? A. V. Che cosa instaura l’assemblea? Noi facciamo. Che cosa la contraddistingue? La decisione e la politica. A che cosa punta l’assemblea? A concludere. Quindi, l’assemblea è costellata dalla pragmatica, dalla politica, dalla finanza. Qual’è la lingua dell’assemblea? La lingua diplomatica. Se in un’assemblea c’è litigio non è assemblea, se c’è conflitto non è assemblea. L’abito della paranoia, se davvero indossato, evita l’assemblea, è 38 IL SECONDO RINASCIMENTO fatto apposta per evitare l’assemblea. La paura estrema dell’assemblea è sfiorata dalla paranoia e allora o porta all’assemblea oppure la fa finita con l’assemblea, la fa finita poi anche con il sembiante, anche con la psicanalisi, con l’esperienza. In questo senso, noi potremmo oggi restituire il testo del processo. Nei cinque scritti giuridici, io ho dato una lettura del testo della paranoia, ma adesso ci sono altre acquisizioni e noi possiamo compiere questa lettura. Sarebbe anche un modo di leggere il testo giuridico dell’Italia di oggi, di questi ultimi tre anni, quasi quattro, dal febbraio del ’92. Insomma, non è un caso che il discorso giudiziario, che si propone di sfruttare e formalizzare la paranoia, si sia appuntato proprio all’assemblea. Tutti gli interrogatori, le inquisizioni, le inchieste riguardavano l’assemblea, non è un caso. Quindi anche l’affaire della parola trova la sua specificità nell’assemblea. Questo è un capitolo nuovo, ci consente di leggere molte cose di questi anni e non di mantenerle come fobie — fobie sarebbero le paure cui il soggetto è affezionato. ANNA GLORIA MARIANO Nelle assemblee le donne non erano ammesse. A. V. Dove? A. G. M. Presso i greci, per esempio. A. V. Poi è arrivato il cristianesimo, dove le donne c’erano, nella chiesa. La promozione delle donne è avvenuta con il cristianesimo, anche se hanno delimitato uno spazio dove dovevano esserci solo gli uomini — era un’opera di seduzione terribile da parte di questi uomini sacerdoti rispetto alle donne, ma era anche un modo di porre l’accento sulle donne. L’accento posto dal giudiziario sull’assemblea è perché dalla politica dell’assemblea s’instaura la via del piacere; quindi, sbarrare l’assemblea, negare l’assemblea, cancellare l’assemblea serviva a cancellare la via del piacere, per avere un monopolio sul piacere posto come fine e distribuito in dosi dai regimi politici. Ma l’abbiamo analizzato. Lei diceva: la donna intellettuale. Non esiste la donna intellettuale e neppure l’uomo intellettuale. La donna, tre virgole, intellettuale. Non la donna intellettuale senza virgola. Deve provvedersi della virgola! A. C. Può dare una definizione alla virgola? A. V. È il tempo. La virgola è il tempo. Però è una risposta ad hoc, non possiamo universalizzarla. Oppure è l’istante. CRISTINA FRUA DE ANGELI Come nel caso di “vergine, madre”. A. V. Sì. Non madre vergine o vergine madre. Sono due termini distinti. Della verginità abbiamo indagato sia il teorema sia l’assioma. E madre come indice del malinteso indissipabile. A. C. Può specificare la questione della paternità? È la prima volta che ne parla. A. V. Assumo la paternità. M’impegno direttamente. Ieri ho fatto una 39 IL SECONDO RINASCIMENTO conferenza, sull’onda di Losanna. È un capitolo assolutamente nuovo che abbiamo inaugurato in questo master, di cui c’erano i termini certamente prima, ma che qui si è precisato. Non toglie l’equivoco, ma indica dove sfocia, qual è il compimento della scrittura dell’equivoco, cioè la legge. Dieci anni or sono, c’era chi aveva capito che io negavo la psicanalisi (conferenza stampa del 26 giugno 1985). No, io assumo la paternità dell’esperienza. I termini sono emersi in modo preciso ieri e oggi, c’erano già, ma adesso viene affermato con forza, tant’è che subito viene affiancata da un’altra affermazione: m’impegno direttamente. Non è che mi fossi impegnato indirettamente finora, caso mai fosse sembrato in qualche angolo, da qualche parte, che fossi impegnato indirettamente, no, adesso m’impegno direttamente. È un impegno inaggirabile. Nessuno può avere motivo di credere di potere eludere questo mio impegno. Non solo, ma dico: Noi facciamo. Assumo la paternità dell’esperienza. M’impegno direttamente. Noi facciamo. Con ciò che è seguito ieri intorno al bisogno: non importa ciò che manca ma ciò di cui abbiamo bisogno. Queste tre affermazioni si situano nel programma di vita. A. C. Questo termine non posso situarlo se non nel programma di vita. Il termine paternità assume grande rilievo, perché, spesso, accade di sentire parlare di padre e figlio senza paternità. Fare il figlio... A. V. Fare il figlio è in un’altra accezione. Che mestiere fai tu? Faccio il figlio. Questo è un capitolo interessante che dovrei senza dubbio affrontare, toccare e elaborare e offrire molti elementi, perché è importantissimo nella clinica. Negli anni settanta insistevamo molto su questo aspetto: un conto è la genealogia, ma effettivamente l’accoppiamento ha bisogno di un compromesso sociale e produce il figlio. Potremmo fare un master dal titolo La famiglia, la generazione, la finanza. E potrebbe riguardare le famiglie industriali, le famiglie bancarie, ecc. Nel caso del suicidio di quella famiglia, la madre con i tre figli, il padre era scomparso, per un tumore. È questo il dato che è stato accettato (e non accettato) e il suicidio è il paradosso di questa accettazione. PIERLUIGI DEGLIESPOSTI Ieri diceva che l’inconscio del logo non aveva bisogno della psicanalisi, mentre l’inconscio della parola ha atteso venticinque anni per instaurarsi. Mi chiedo se le domande intervenute ultimamente possano dare l’occasione per riprendere la portata dell’inconscio della parola. A. V. Questo master ha molte indicazioni. La giornata di ieri era intorno all’inconscio. Trascrizione, non rivista dall’Autore, di Fabiola Giancotti A cura di Cristina Frua De Angeli 40