la fonte LUGLIO-AGOSTO 2013 ANNO 10 N 7 periodico dei terremotati o di resistenza umana € 1,00 Sembra esserci nell'uomo, come nell'uccello, un bisogno di migrazione, una vitale necessità di sentirsi altrove. Marguerite Yourcenar lotta e contemplazione la fonte il silenzio Rosalba Manes “Come potete dire cose buone, voi che siete cattivi? La bocca infatti esprime ciò che dal cuore sovrabbonda. […] Di ogni parola vana che gli uomini diranno, dovranno rendere conto nel giorno del giudizio; infatti in base alle tue parole sarai giustificato e in base alle tue parole sarai condannato” (Mt 12,34.36-37). Quando ti imbatti nella malattia di chi vorresti custodire ti senti nudo, impotente. Il tuo sogno di salvare il mondo s’infrange in una frazione di secondo. Povero il malato che hai davanti ma più povero ancora… tu, che scopri in te la paralisi non solo del non poter fare nulla, ma anche del non poter dire nulla. La tua parola è anemica e, a differenza delle volte in cui ne hai fatto sfoggio senza curarti delle stragi spesso commesse, ora, debole com’è, non si regge in piedi. Il cuore soffre un’emorragia di emozioni. Non hai in te un luogo dove estrarre le risorse adatte. In questa carestia emotiva puoi scoprire una sola riserva: il silenzio. Forse un estraneo per te fino a questo momento, ma che presto, se vuoi, può diventare un grande amico. Se lo frequenti ne scopri la seduzione. Non è assenza, ma liberazione da ogni maschera, accesso alla tua condizione più vera. È la chiave per entrare nel “cuore del cuore” dove fragilità e grandezza combaciano. La malattia è spoliazione, il silenzio pure. Entrambe dicono la stessa verità: Ecce homo. Realtà fragile sì, ma infinitamente amata perché Dio ha posto in essa il suo domicilio. È quindi solo immedesimandoti come Lui nell’altro che il tuo silenzio vibra come la più sensata delle parole.☺ [email protected] Carla Llobeta; donna alata Il tuo sostegno ci consente di esistere la fonte ABBONAMENTI PER IL 2013 ITALIA SOSTENITORI AUTOLESIONISTI € 10,00 € 20,00 € 30,00 2 lala la fonte fonte luglio-agosto febbraio gennaio 2005 2013 lafonte fonte gennaio marzo 2005 Direttore responsabile Antonio Di Lalla Tel/fax 0874732749 Redazione Dario Carlone Domenico D’Adamo Annamaria Mastropietro Maria Grazia Paduano Segreteria Marialucia Carlone Web master Pino Di Lalla www.lafonte2004.it E-mail [email protected] Quaderno n. 97 87 Chiuso in tipografia il 26/08/12 26/06/13 Stampato da Grafiche Sales s.r.l. via S. Marco zona cip. 71016 S. Severo (FG) Autorizzazione Tribunale di Larino n. 6/2004 Abbonamento Ordinario € 10,00 Sostenitore € 20,00 Autolesionista € 30,00 Estero € 40,00 ccp n. 4487558 intestato a: la fonte molise via Fiorentini, 10 86040 Ripabottoni (CB) mamma li turchi Antonio Di Lalla Immediatamente dopo il terremoto del 31 ottobre 2002 fu costruito in legno un villaggio poco distante da San Giuliano di Puglia perché giustamente la popolazione avesse un tetto per ripararsi. A seguito dell’ecatombe di bambini, l’onda emotiva fu così forte che furono demolite e ricostruite anche abitazioni che non avevano subito danni, a detta degli stessi proprietari. Ora finalmente, salvo qualche eccezione, le famiglie sono rientrate nelle loro abitazioni di muratura e così il villaggio è desolatamente vuoto, addirittura spettrale, ma ancora in buone condizioni. Averlo scelto come insediamento abitativo per profughi, richiedenti asilo e quanti approdano sulle nostre coste fa onore a chi l’ha proposto e a tutti quelli che sosterranno l’iniziativa adoperandosi fattivamente per la riuscita dell’impresa. Disporre di un tetto è un diritto di tutti, non una concessione capricciosa e capotica di perbenisti che hanno avuto sempre il culo comodamente su una poltrona. Pertanto solidarizziamo con l’amministrazione e con tutti quelli che sono pronti a farsi carico di questa situazione che si rivela in ogni caso un’opportunità insperata per i nostri paesi ormai in via di estinzione. Mammaliturchi gridavano i bambini alla fine del ‘700 in Sicilia per richiamare l’attenzione degli adulti e tagliare le vie di fuga alla più o meno pacifica invasione di marinai musulmani in cerca di ristoro sulla terraferma. Chi lo grida oggi, quando finalmente nasce la possibilità di elaborare un progetto di ripresa dei nostri centri condannati allo spopolamento, dove era quando si sperperava denaro pubblico, per realizzare opere che nascevano morte, grazie alla incolpevole impreparazione degli amministratori e alla colpevole miopia clientelare di chi era preposto a coordinare? Diamola per buona: gli immigrati che sopravvivono al massacro - in questi ultimi anni sono circa ventimila gli africani che hanno avuto per tomba il mediterraneo nel tentativo di solcarlo impunemente sono “brutti, sporchi e cattivi”. Ma chi li ha ridotti così nella loro patria? La politica è una cosa seria e ogni volta che eleggiamo persone incapaci o senza scrupoli le conseguenze, come boomerang, ci ritornano addosso. Fomentare guerre tribali per vendere armi, favorire l’insediamento e il commercio di multinazionali volte a sfruttare e depauperare i luoghi dove riescono a piantare le grinfie non fa che costringere chi può a scappare per cercare una via di salvezza. A qualsiasi costo, anche della propria vita. Siamo responsabili delle cause, schifiamo gli effetti. In fatto di assunzione di responsabilità non ci frega nessuno! Al grido di mammaliturchi alcuni bandiscono la possibilità dell’insediamento tra noi perché gli immigrati rubano. Questi maghi nostrani sono capaci di prevedere il futuro, pur senza essere dotati di palla, ma non li ho sentiti indignati, anzi magari sono complici dei consiglieri regionali che non riescono a fornire pezze di appoggio alle decine di migliaia di euro di soldi pubblici sottratti per spese personali. Speriamo che siano almeno secondi alla mitica Nicole Minetti che addirittura con quel denaro ci pagò anche il libro, sicuramente istruttivo per lei, Mignottocrazia! Silvio Berlusconi, nostro non gradito rappresentante, essendosi oltretutto attribuito da padrone del partito il seggio, benché del titolare arrivato secondo non abbiamo migliore stima, lala la fonte fonte luglio-agosto febbraio gennaio 2005 2013 lafonte fonte gennaio marzo 2005 percepisce gli emolumenti da parlamentare e tuttavia fino ad oggi in senato è apparso una sola volta. Non è furto, e non solo di denaro? Ma di proteste non ne ho ancora sentite nel nostro addormentato Molise. I soliti mammaliturchi ritengono che stiamo stretti, che non c’è lavoro. Il Molise è l’unica regione che conta gli stessi abitanti degli anni cinquanta del secolo scorso, i nostri paesi vanno sempre più spopolandosi, le scuole sono a rischio chiusura per mancanza di inquilini e intanto viaggiano già in inqualificabili pluriclassi, le terre sono incolte e l’artigianato è quasi scomparso. La presenza stabile degli immigrati, è doveroso ammetterlo per amore della verità, risolverebbe non pochi problemi a noi indigeni sclerotizzati che disdegnano anche il re per compare. A Campobasso con pochi ettari a loro disposizione hanno avviato una cooperativa “i colori della terra”, come più volte abbiamo documentato su queste pagine, e presto ci nutriremo di prodotti strappati alla terra grazie al loro sudore. Dove sono presenti famiglie di immigrati ha ripreso vitalità non solo il paese, ma anche la scuola, il commercio. Riace, un tempo famosa per i bronzi, ora lo è per l’impulso dato dai migranti approdati lì. Chi ha dubbi provi a vedere il filmdocumentario Il volo di Wim Wenders e prodotto dalla Regione Calabria in cui recitano Luca Zingaretti e Ben Gazzara, doppiato da Giancarlo Giannini. Che gli immigrati producano reddito è un dato documentato, che non possiamo farne a meno è una certezza. Se una badante non è disponibile per un giorno va in crisi l’impianto di una intera famiglia, un giorno senza di loro fermerebbe tutta la nazione! Un Molise che vede con favore la permanenza delle mucche di Granarolo più che le famiglie di umani a San Giuliano è una regione che preferisce essere ricoperta di letame! L’integrazione possiamo ritardarla, non impedirla. Spero di esserci ancora quando gli immigrati saranno così tanti che vedendo qualche aborigeno grideranno: mammaliturchi!☺ 20 3 spiritualità stranieri per vocazione Michele Tartaglia Se c’è un aspetto che fa parte a pieno titolo del DNA del cristianesimo, è quello della solidarietà con chi è straniero, partendo dalla convinzione che siamo tutti stranieri perché in viaggio verso un regno che ci viene dato da Dio. Pietro nella sua I lettera si rivolge proprio così ai cristiani a cui scrive: “Pietro, apostolo di Gesù Cristo, ai fedeli che vivono come stranieri” (1 Pt 1,1); “Carissimi, vi esorto come stranieri e pellegrini” (2,11), usando il termine diventato poi nel linguaggio della chiesa, la “parrocchia”. Ma passando in rassegna tutto il Nuovo Testamento incontriamo anche l’autoidentificazione di Gesù con il forestiero (“ero straniero e mi avete accolto”, Mt 25,35); Paolo mette l’accoglienza degli stranieri tra le caratteristiche di un amore non ipocrita, usando una parola specifica (filoxenia) che può essere tradotta come amore per lo straniero oppure amore per la condizione di “stranierità” (Rm 12,13). La lettera agli Ebrei accomuna gli stranieri ai carcerati e a quelli che subiscono violenza, chiedendo ai cristiani di farsene carico in nome dell’amore fraterno: “Non dimenticate l’amore per lo straniero; alcuni praticandolo senza saperlo hanno accolto degli angeli” (Eb 13,1); e ricorda ai cristiani che essi stessi sono stranieri: “Non abbiamo quaggiù una città stabile, ma andiamo in cerca di quella futura” (13,14). Si potrebbe pensare che le affermazioni di Gesù e del Nuovo Testamento siano una parentesi tra il nazionalismo dell’Antico Testamento e l’affermazione dell’identità cristiana della storia successiva. Ma basta approfondire la ricerca per trovarsi di fronte a una visione coerente che abbraccia tutta la bibbia e la storia cristiana, anche 4 se basata su due motivazioni complementari: da un lato quella già accennata all’inizio, e cioè che il cristiano si sente straniero perché tende a un’altra patria, dall’altro perché si è ospiti e pellegrini su una terra che è di Dio e che noi possiamo solo custodire e coltivare, ma di cui non possiamo sentirci padroni, men che meno esclusivi usufruttuari. Famose sono le parole della Lettera a Diogneto: “I cristiani abitano ciascuno la propria patria, ma come stranieri; partecipano a tutto come cittadini e si adattano a tutto come stranieri. Ogni terra straniera è patria per loro; ogni patria è per loro terra straniera” (5,5). Ancora più sorprendente è tuttavia guardare all’Antico Testamento, dove si parla dell’amore del prossimo, comandamento che riassume per Gesù e Paolo tutta la Legge. È proprio parlando di questo comando che si esplicita che non può essere considerato prossimo solo chi appartiene alla propria etnia, ma ogni persona che incrocia il nostro cammino, perché la prossimità non è una qualifica etnica bensì una condizione che esige un pronunciamento giuridico; dice il libro del Levitico: “Quan- lala la fonte fonte luglio-agosto febbraio gennaio 2005 2013 lafonte fonte gennaio marzo 2005 do un forestiero dimorerà presso di voi nella vostra terra, non lo opprimerete. Il forestiero dimorante fra voi lo tratterete come colui che è nato fra voi, tu l’amerai come te stesso, perché anche voi siete stati forestieri in terra d’Egitto” (Lv 19,33-34). Queste parole sembrano direttamente rivolte a noi cristiani europei e soprattutto italiani; se all’Egitto sostituiamo l’America, il Belgio, la Germania, l’Australia, l’Inghilterra e tutte le mete delle ondate migratorie italiane, possiamo comprendere bene di cosa stiamo parlando. È specifico della fede biblica non la difesa di un’identità religiosa o etnica, ma una solidità nel credere che si fa servizio accogliente perché si è sperimentata l’accoglienza di Dio in una terra non propria e si cammina verso il Regno di Dio che deve instaurarsi anche per l’impegno fattivo dei cristiani. Trattare lo straniero come chi è nato nella terra significa per noi anche affrontare il tema della cittadinanza, o creare pari opportunità di lavoro e di affermazione della dignità di ogni persona e quindi degli immigrati. Per troppo tempo anche la chiesa ha amoreggiato con chi, in cambio di qualche privilegio accordato, chiedeva il silenzio o la connivenza con parole e decisioni legislative che negavano i diritti degli stranieri e, pur avendo a capo della chiesa un papa polacco, si calpestavano gli immigrati (compresi i polacchi). Ringraziando la provvidenza oggi la gerarchia nostrana non può più nascondersi dietro giri di parole e grandi proclami sui valori non negoziabili per avallare e sostenere chi tratta gli stranieri come animali, magari gestendo direttamente dei CPT (ricordiamo il caso Lecce), ma deve dire da che parte stare visto che anche il suo capo, oltre ad essere straniero, non ha nessuna remora a parlare con chiarezza su questi temi. Tuttavia troppo male è stato fatto in questi anni, c’è troppa ignavia, per cui si richiede urgentemente un impegno moltiplicato perché le rivendicazioni politiche e giuridiche in favore degli stranieri diventino scelte efficaci. La Parola di Dio e i segni dei tempi sono dalla parte di chi torna alle radici della propria fede, al DNA del cristianesimo, sorto dalla solidarietà con gli oppressi di chi non aveva dove posare il capo perché straniero alla logica degli oppressori. ☺ [email protected] glossario Foreigner, stranger, alien, non citizen, outlander, barbarian: tanti termini, un solo significato: straniero! L’ampia gamma di traducenti che i parlanti anglofoni hanno a disposizione deriva, com’è noto, dalla contaminazione con altre lingue e dall’influsso da esse esercitato sulla lingua inglese. Il vocabolo outlander (letteralmente: “al di fuori della terra”) può considerarsi un contributo lessicale del Sudafrica. La parola alien, che è di origine latina, è maggiormente usata nell’inglese americano; etimologicamente il vocabolo foreigner, di origine francese e risalente al XIII secolo, ha il significato di “fuori delle porte”. La costruzione negativa noncitizen (non + il sostantivo citizen), di matrice puramente anglosassone, sta ad indicare colui che non appartiene alla nazione, non ne è cittadino. Una menzione particolare merita l’aggettivo di origine greca barbarian, che traduce letteralmente “barbaro”: esso si riferisce a “qualcosa o qualcuno che proviene da” o è caratteristico di un paese o una civiltà stranieri, ritenuti inferiori, ed ha pertanto una connotazione decisamente negativa. Nell’accezione più ampia il termine equivale infatti a “non civilizzato” o “incivile”. Alcuni termini hanno assunto anche altri significati, del tipo estraneo, forestiero, immigrato, strano e ad esempio stranger e strange, pur partendo da una matrice etimologica e semantica comune, hanno significati l’accento straniero Dario Carlone diversi, rispettivamente “estraneo” e “strano”. Paradossalmente - ma soltanto sul piano linguistico - la presenza di così tanti etimi che vanno a connotare l’altro da sé testimonia della molteplicità degli incontri che gli anglofoni hanno sperimentato nel corso della storia! Sulla non neutralità del linguaggio ci siamo spesso soffermati. Quando parliamo siamo costretti ad adoperare le parole e, consciamente o in maniera del tutto inconsapevole, scegliamo quelle che “traducono” meglio il nostro pensiero. È accaduto poi, nel corso degli anni, che vocaboli nati in un determinato contesto siano poi passati ad altri ambiti, modificando il loro significato primario. Ed ancora che alcuni termini, che utilizziamo tuttora, conservino quell’accezione negativa che avevano in origine. Una sorta di assuefazione alle parole fa sì che il loro uso, pur non risultando spesso consapevole, veicoli messaggi involontariamente negativi. Altra cosa è la teorizzazione del pregiudizio nei confronti dello straniero rappresentata ad esempio nel romanzo The Europeans (Gli Europei) di Henry James. Nel 1878, anno della pubblicazione, un qualsiasi americano avrebbe provato, a contatto con degli europei, sensazioni identiche a quelle descritte nel romanzo. Il protagonista, Mr. Wentworth, nutre una forte diffidenza verso i nipoti, Felix ed Eugenia, il cui padre è europeo e quindi portatore di valori diversi da quelli americani: un pregiudizio espresso prima ancora che lo zio li conosca personalmente. Quando Mr. Wentworth li incontra non riesce a non essere diffidente e sospettoso. Se Felix non lo convince perché c’è qualcosa di sfrontato e di negativo in lui, malgrado la positività di alcuni suoi tratti, la sorella Eugenia lo sconcerta, addirittura, per l’accento straniero, i modi inusuali, la sua situazione di donna in attesa di essere ripudiata da un nobile, anche questo straniero. Mr Wentworth è a disagio ed è assalito dalla paura che la propria progenie americana possa essere influenzata negativamente dagli europei. La visione proposta da Henry James, con le reazioni di sconcerto, diffidenza, sospetto, paura di fronte a chi viene da un’altra cultura, anch’essa del mondo occidentale, sembra appartenere ad un’epoca ormai remota. La storia recente però ci insegna che i comportamenti aggressivi sono duri a morire e vanno dal dileggio alla violenza fisica, al rifiuto di chi viene da un altro paese.☺ Scatto d’autore di Guerino Trivisonno [email protected] i cani si studiano, gli umani si accoppano lala la fonte fonte luglio-agosto febbraio gennaio 2005 2013 lafonte fonte gennaio marzo 2005 5 xx regione un villaggio agli stranieri Sabrina Del Pozzo Le parole dette dal vicepresidente della Regione Molise, l’assessore alle politiche sociali Michele Petraroia, obiettive e lucide, riuscendo a non perdersi nell’assoluta invece non lucida follia dei politici contemporanei e non solo, sottolineano il non trascurabile tema dell’ immigrazione, cogliendo con esattezza e per mezzo di espressione di concetti chiari e giusti soluzioni, utili per provare chissà a superare (da sempre molto e troppo lentamente) un nostro limite. Due progetti rispettivamente l’uno rivolto a donne e bambini (vittime di violenza, sfruttamento, tratta di esseri umani) e l’altro finalizzato all’apprendimento della lingua italiana. Non nego di essermi stupita nel sentire quanto sopra perché il Molise non sempre ha accettato il termine ‘accoglienza’ nella sua globalità; sembra che interessi davvero poco, non so se perché molto piccola come regione o altro. Sicuramente a noi piace essere noti (e non sempre ci riusciamo) per buchi e pecche in ogni dove. Non è retorica, bisogna ricordare e ‘stufare’ per evitare il puntuale e più antico meccanismo di difesa, la già citata se non sbaglio rimozione. Il pensiero è tornato subito lì. Terremoto del 31 ottobre 2002: vengono costruiti moduli abitativi temporanei, una sottospecie di villaggi Alpitour per tutte le famiglie che ne necessiteranno, muniti, per quanto nel loro piccolo, di tutto: verde, stradine, botteghe, campo di calcetto, scuola etc. Sono passati degli anni e un gran numero di persone sono tornate nelle proprie abitazioni (va anche detto come non 6 ancora tutti, in realtà). Ci ritroviamo luoghi non accessibili, abbandonati, delimitati da cancelli fantasma, che nel bene e/o nel male hanno ospitato noi, gli affetti, la vita di ognuno e dove ognuno ha cercato di ricostruire se stesso. Soltanto per questo dovrebbero rappresentare per tutti spazi preziosi. È dirompente e disgustosa qualsiasi forma e genere di abbandono che per di più si trasforma in degrado non soltanto materiale. Luoghi simili e nello specifico il villaggio abitativo temporaneo sito a San Giuliano di Puglia, che vanta uno spazio maggiore e meglio attrezzato rispetto ai paesi limitrofi, potrebbero rappresentare luoghi di espressione culturale e sociale (anche a basso costo) con il coinvolgimento di giovani e non solo. Un’idea in noi ed in altri è nata. Accogliere gli Immigrati, sì proprio loro. Si parla di donne e bambini. Tempo fa è stato il nostro popolo a dover essere accolto da qualcun altro, è stato a noi che hanno dovuto dare un tetto, offrire cibo senza apparentemente nulla in cambio, ed ora perché non voler donare ospitalità a persone che da sempre o quasi non hanno nulla? Quale miglior azione se non quella di lasciare questi luoghi a bambini non italiani? Significherebbe abbattere barriere e nodi mentali che in molte parti del mondo non sono mai esistiti. Sono necessari strumenti ed azioni mirate affinché ci sia un’ integrazione sempre più globale della persona. Penso ad uno screening sanitario, seguito da un corso di alfabetizzazione della lingua italiana, passo di inclusione sociale rilevante, primo step di un processo di autonomia anche laddove siano presenti bassi livelli di competenza linguistica. Due gli aspetti fondamentali da inquadrare nelle primissime fasi di un’accoglienza. Attivare azioni di sostegno, di consulenza legale, di accompagnamento, di lala la fonte fonte luglio-agosto febbraio gennaio 2005 2013 lafonte fonte gennaio marzo 2005 formazione, orientamento, creare spazi di riflessione e discussione rispetto al proprio percorso migratorio e alla storia di vita: ciò permetterebbe non soltanto alla persona coinvolta di risolvere problematiche inevitabili nel tentativo di integrarsi ma anche a noi che accogliamo di conoscere la persona e capire di non averne paura. In secondo luogo attivare azioni di inserimento sociolavorativo attraverso attività di Formazione Pratica in Impresa (capace di offrire una reale possibilità di inserimento nel mondo lavorativo per le fasce svantaggiate). Pensare anche alla possibilità di attivare lavori di comunità attraverso la cura di spazi lasciati alla deriva, lavorare per il bene comune in un’ottica multifattoriale e multiculturale. Mirare ad un processo di empowerment, una crescita per l’appunto sia individuale che di gruppo. Tutti questi aspetti andrebbero a coinvolgere differenti figure professionali, il mondo del volontariato e no profit, gli enti pubblici e privati, al fine di riuscire ad acquisire ed utilizzare gli strumenti, le misure e ad individuare le reali opportunità presenti nel territorio (in merito (ri) sottolineo l’esistenza, ad esempio, del Fondo Europeo per l’Integrazione di cittadini di Paesi Terzi - FEI) più volte citato negli ultimi giorni e da molti noto da tempo. Ecco, il cuore dell’idea è proprio questo: offrire a persone svantaggiate i moduli lasciati a marcire ormai da un po’ di tempo. Quando leggeremo il prossimo numero mi auguro di poter affermare di aver fatto un passo avanti. ☺ [email protected] xx regione Cari Sindaci, a scriverVi è l’Associazione Primo Marzo Molise che lo scorso anno ha animato e portato avanti, insieme a tante associazioni e migliaia di cittadini, la Campagna L’Italia Sono Anch’ io. Per mesi e mesi abbiamo fatto banchetti, volantinaggio per le strade, assemblee nelle scuole e nelle piazze, e tutto questo per portare avanti una battaglia importante, una battaglia per il nostro Paese, La battaglia per la Cittadinanza. In Italia infatti, più di un milione di bambini e ragazzi, figli di immigrati, nati e cresciuti nel nostro Paese, si ritrovano cittadini a metà. Pur crescendo, studiando, giocando e vivendo nelle nostre città esattamente come i loro coetanei, non hanno la cittadinanza a causa di una legge obsoleta come la legge 91/92 che ne impedisce il diritto alla nascita. Non si tratta solo di una battaglia per un diritto in astratto, ma di una rivendicazione di diritti che permettano la piena realizzazione dei bambini e dei ragazzi che nascono e vivono qui. Tante sono infatti le discriminazioni che vivono i ragazzi di II generazione: dal non poter andare in gita scolastica al non poter praticare sport a livello agonistico; dal non riconoscimento del titolo di studio ai fini lavorativi al mancato inserimento nel mondo del lavoro a causa del loro status di “immigrati” pur non essendolo. Per questo motivo, ispirandoci anche all’articolo 3 della nostra Costituzione che stabilisce il principio dell’ uguaglianza tra le persone, impegnando la Repubblica a rimuovere gli ostacoli che ne impediscano il pieno raggiungimento, abbiamo sostenuto con tutte le nostre forze questa Proposta di Legge Popolare che promuove lo Jus Soli e quindi il diritto alla cittadinanza per i ragazzi che nascono e crescono in Italia. Le avversità sono state tante, non tutte le forze politiche hanno sostenuto la nostra battaglia e far breccia sulla stampa e sui media non è stato facile, soprattutto inizialmente. ius soli Le sorprese e le soddisfazioni più grandi le abbiamo avute per le strade, nelle città, parlando con le tantissime persone che, molto spesso, non erano a conoscenza di una legge così assurda e che davano per scontato che “chi nasce e cresce in Italia è italiano”. Giovani, donne, lavoratori e anziani di tutto il Paese hanno preso talmente a cuore questa battaglia al punto che il risultato ottenuto è stato straordinario. A fronte delle 50.000 firme necessarie per presentare la proposta di legge popolare, sono state raccolte più di 110.000 firme!!! Anche i cittadini della nostra Regione hanno dato un contributo importante, oltre 1.500 sono stati coloro che hanno sottoscritto la proposta di legge. Abbiamo depositato la proposta di legge ed eravamo davvero entusiasti, davvero contenti di aver potuto, con le nostra forze e dal basso, partecipare e contribuire ad un cambiamento così grande e cosi bello per il nostro Paese. Purtroppo però, la proposta di legge pur essendo stata calendarizzata non è mai stata discussa in Parlamento durante la scorsa legislatura. Ecco le ragioni di questa lettera aperta e del nostro appello a Voi. lala la fonte fonte luglio-agosto febbraio gennaio 2005 2013 lafonte fonte gennaio marzo 2005 Migliaia di persone hanno creduto e credono fortemente in questa battaglia per la cittadinanza ed è giusto dare un riscontro positivo a questa grande voglia di riscossa nonché grande prova di partecipazione attiva alla vita del Paese. Per questo motivo vi chiediamo di essere anche voi portavoce in tutte le sedi istituzionali e di far vostre le rivendicazioni e i contenuti della campagna L’Italia Sono Anch’Io affinché si discuta la proposta di legge e si cambi la legislazione sulla cittadinanza. Vi chiediamo di schierarvi dalla parte di tutti i cittadini che credono che un cambiamento “dal basso” sia possibile e che hanno sostenuto questa proposta di legge popolare. La battaglia non sarà facile, non tutti i partiti e le forze politiche appoggeranno queste idee, però crediamo fortemente che il cambiamento sia possibile e già la raccolta di centinaia di migliaia di firme ne sono la prova tangibile. Pertanto chiediamo a Voi, come già avvenuto con regolarità in tante altre città e comuni del nostro Paese, di organizzare una cerimonia per la consegna della cittadinanza onoraria “ius soli” a ciascuno dei bambini nati nel Vs. Comune da genitori immigrati regolarmente soggiornanti e residenti e ad istituire un apposito “Registro delle cittadinanze onorarie ius soli”. Tale iniziativa insieme alle tante altre promosse su tutto il territorio italiano contribuirà sicuramente a rimuovere gli ostacoli che la legislazione attuale frappone al raggiungimento del riconoscimento da parte dello Stato della cittadinanza italiana per coloro che nascono in Italia. Fermamente convinti delle nostre idee e fiduciosi di un positivo riscontro. Vi inviamo i nostri più cordiali saluti.☺ [email protected] 7 terzo settore riscoperta della comunità Leo Leone Viviamo in una società in calo nella dimensione dialogica tra cittadini e gruppi di ogni genere. Assistiamo ad una frammentazione dilagante pervasa da individualismo e da una cultura di nicchia centrata sull’interesse di pochi. La turbolenza che dilaga contagia soggetti e gruppi che operano nel sociale e che, per le finalità poste alla base dei loro programmi, dovrebbero muoversi in una dimensione di socializzazione e di interscambio con altri interlocutori operanti sul territorio e anche in contesti di più ampio respiro nel dare risalto ai valori e nel promuovere iniziative volte al bene comune. Occorre rilanciare con forza il principio della Sussidiarietà contenuto nel capitolo quinto della Costituzione all’articolo 118, per rivendicare il ruolo dei gruppi sociali ad ogni livello e anche per quanti si impegnano nell’ambito delle imprese e cooperative in diversi settori dell’economia. Occorre adoperarsi perché le istituzioni, ad ogni livello, riconoscano il diritto/dovere di avviare progetti e di interloquire in termini di cittadini e non di “clienti” negli spazi e nei gruppi di lavoro previsti nelle sedi dei governi centrali e periferici. “Una società sempre più incivile concepisce la sua identità nella relazione”. Questa l’istanza di un affermato sostenitore del welfare inteso come democrazia partecipata: Aldo Bonomi. Per stabilire relazioni abbiamo bisogno di sapere chi sono gli altri e gli altri hanno bisogno di sapere chi siamo noi. Questo favorisce anche una più accessibile e motivata presa di coscienza del proprio pensare e del proprio fare. L’altro mi aiuta a scoprire i miei talenti e i miei bisogni… e viceversa. Il processo è già avviato in diversi territori di un’Italia che si è destata anche se 8 contagiata da una crisi che non lascia molto spazio ad una intraprendenza tesa alla realizzazione di un mutamento epocale proprio in contesti in cui si andava sempre più accentuando la condizione dei comuni polvere. Da un decennio possiamo raccogliere esperienze positive che accomunano il nord e l’estremo sud della penisola. Segnali ve ne sono anche in Molise. Torniamo a riascoltare Aldo Bonomi: “L’alterità non sta nel soggetto, nel suo colore della pelle, nelle sue tradizioni, nel suo idioma o nella sua religione e nella comunicazione che ognuno di noi instaura con la comunità più prossima”. Il giudizio si applica efficacemente nei segnali molto incisivi e coinvolgenti che andiamo raccogliendo sul nostro territorio a partire dalla nascita, proprio nel capoluogo regionale, della già menzionata cooperativa “I colori della terra”. Essa è in attivazione e coinvolge attivamente cittadini donatori e volontari nella coltivazione di prodotti genuini del nostro territorio che a breve verranno proposti agli acquirenti attraverso i GAS (Gruppi di Acquisto Solidale) il cui elenco si va ampliando sempre più e al quale hanno già aderito i numerosi cittadini che si sono fatti carico dell’iniziativa, sostenendone le spese di avvio con le loro donazioni. La peculiarità aggiuntiva che dà ancor più rilievo al progetto è data dalla presenza al suo interno di un bel gruppo di giovani immigrati di provenienza diversa: Marocco, Egitto, Bangladesh. E si stanno rivelando persone attive responsabili e aperte al confronto e disponibili all’impegno giornaliero. Insieme ad un folto gruppo di molisani che hanno aderito alla cooperativa come volontari e anche come soci lavoratori si va sviluppando un progetto che integra l’opportunità di lavo- lala la fonte fonte luglio-agosto febbraio gennaio 2005 2013 lafonte fonte gennaio marzo 2005 ro all’esperienza concreta di accoglienza dialogica e operativa tra culture diverse volte alla crescita del senso di comunità. Ma occorre anche evidenziare che tale esperienza si va avviando anche in zone interne e su terre più soggette al fenomeno dei comuni polvere che è presente, e in estensione diffusa, nell’area geografica del nostro Molise, come in tante altre regioni d’Italia. È stato avviato anche in territorio di Campolieto e comuni viciniori un progetto simile a quello già in atto nel capoluogo regionale. Al suo interno si va delineando un itinerario interessante che, anche lì, consente la coltura di prodotti agroalimentari propri della nostra terra, sostenuto dall’assegnazione di una vasta area coltivabile resa disponibile da parte della Curia Vescovile di CampobassoBoiano. Tra le due iniziative si va tracciando un programma d’intesa volto alla creazione di una rete operativa che dia maggiori opportunità di crescita a tutti i progetti che andranno a svilupparsi e per raccogliere più ricche opportunità di sostegno con il ricorso a consulenze di esperti in materia e di fruizione di risorse che possano attingere a fondi di provenienza anche europea. È questo un segnale di apertura al futuro per i giovani, e non solo, ma anche per fornire testimonianze concrete di solidarietà e di interculturalità come pure per riscoprire ridare volto e rilevanza a tradizioni e risorse paesaggistiche, storiche e artistiche della nostra terra.☺ [email protected] Dopo lunga malattia è morta Maria Luigia Tamilia, suocera di Marialucia nostra preziosa impaginatrice del giornale. A lei e alla famiglia le condoglianze della redazione e dei lettori. politica Dai risultati delle ultime elezioni, almeno in superficie, ci vengono diversi paradossi. È paradossale che il Pd e il centrosinistra stravincano le elezioni. Lo è, perché solo pochi mesi or sono Bersani non ha vinto le elezioni, ma soprattutto, perché mai come in questa fase il Partito democratico si presenta come un corpo informe, come un’insieme di correnti e comitati elettorali, senza un’anima e senza un progetto, attraversato da una guerra intestina che non sarà né breve, né indolore. Lo è, perché il gruppo dirigente del Partito democratico, dopo aver gestito malamente tutti i passaggi istituzionali post-elettorali ha finito per stringere un patto con lo stesso Berlusconi. Il governo delle larghe intese non era un esito obbligato e già in queste prime settimane evidenzia tutte le sue debolezze, contraddizioni e veleni. La logica formale, e non solo i sondaggi, lasciava prevedere un risultato mediocre e invece le elezioni sono finite 17 a 0 per il Partito democratico. Un secondo paradosso è rappresentato dalla parabola del movimento di Beppe Grillo. Le ultime amministrative per il movimento cinque stelle suonano come una campana, non un campanello d’allarme. La politica dei partiti tradizionali ha dato il peggio di sé in questi mesi dopo le elezioni politiche, Grillo ha continuato ad urlare a tutti i partiti “siete finiti … arrendetevi” e in molti hanno continuato a ipotizzare magnifiche sorti per i grillini, e invece il verdetto delle amministrative è stato un calice molto amaro per Grillo e Casaleggio. Si dirà: lo spettacolo dei gruppi parlamentari del movimento cinque stelle e di Grillo medesimo in questi mesi è stato molto discutibile, hanno fondamentalmente litigato su scontrini, diaria, espulsioni e altre minutaglie. Tutto vero, ma non si giustifica così una batosta elettorale così clamorosa. È paradossale lo stesso risultato della destra che dopo aver sostanzialmente, solo pochi mesi fa, pareggiato lo scontro elettorale con il centrosinistra e dopo che i sondaggi dava- paradossi dalle urne Famiano Crucianelli no un’irresistibile ascesa di Berlusconi e della Pdl, contro ogni previsione in queste amministrative ha subito una durissima sconfitta. Non meno problematico è il faticoso risultato del partito di Vendola. Sinistra e libertà avrebbe dovuto giovarsi alla grande dalla difficile posizione del Pd, le larghe intese avrebbero dovuto liberare a sinistra delle vere e proprie praterie, così non è stato. Vi è una piccola crescita, ma nulla di clamoroso. L’unico risultato ampiamente prevedibile era quello rovinoso della Lega; è evidente che senza il contesto delle elezioni politiche nazionali Maroni avrebbe perso anche la stessa sfida per la presidenza della giunta regionale Lombarda. I leghisti appaiono senza una leadership, moralmente decaduti, politicamente sbandati, servitori di Berlusconi e divorati da lotte intestine. In realtà tutti questi paradossi sono più apparenti che reali e se andiamo ad approfondire, le cose hanno una logica interna molto meno oscura. Che il risultato vittorioso del Partito democratico sia stato agevolato dal forte astensionismo è cosa sicura; bisogna però chiedersi, perché questa volta l’ astensionismo ha giocato a favore del Pd. A me paiono due i fattori fondamentali che hanno aiutato il Pd in questo passaggio elettorale: in primo luogo l’esistenza anche se residuale di una presenza nel territorio, un’ organizzazione leggera, fragile, con una classe dirigente occasionale, talvolta ambigua, forte soprattutto per la totale evanescenza di altri partiti e soggetti politici nel territorio. Verrebbe da dire: beati quelli che hanno un occhio solo in una valle di ciechi. Il pd sembra essere sempre sull’orlo di una crisi di nervi, dilaniato in mille particolarismi e lotte interne, certo non un partito all’altezza di lala la fonte fonte luglio-agosto febbraio gennaio 2005 2013 lafonte fonte gennaio marzo 2005 questi nostri tempi così duri e pur tuttavia un partito che si presenta nel territorio come l’unica cosa che il convento passa. La seconda ragione di questo brillante risultato elettorale è più squisitamente politico. La scelta del gruppo dirigente pd di fare il governo con Berlusconi, al di là delle opinioni di molti, è apparsa come l’unica possibile e soprattutto ha alimentato l’idea che qualcosa nella durissima crisi economica e sociale si sarebbe fatto. Nella sostanza il Pd si è presentato come un forza di buon senso e fattiva, da qui una rendita elettorale. Attenzione però, perché questa rendita potrebbe rapidamente trasformarsi in una mela avvelenata, qualora non vi fossero seri risultati e qualora, come è probabile, la crisi dovesse continuare a mordere la vita concreta della gente. Allora tutto si potrebbe convertire nel suo contrario. Il risultato del movimento cinque stelle potrebbe essere assunto a paradigma della straordinaria contraddittorietà di questa nostra fase politica. Grillo ha vinto le elezioni sull’onda di una feroce contestazione del sistema politico e dei partiti, ha fatto dell’antipolitica la sua bandiera. Ora la politica si è presa la sua vendetta. La strategia di Grillo poteva avere due sbocchi: o divenire esplicitamente sovversiva nel senso più radicale del termine o approdare su un terreno politico, ovvero porsi il problema dei rapporti reali di forza nel paese e nelle istituzioni e del che fare qui ed ora. Grillo non ha fatto nessuna delle due scelte, è rimasto in mezzo al guado, né rivoluzionario, né riformista, ma solo un parolaio. Della destra vi è poco da dire, Berlusconi ha fatto il miracolo di portare a votare alle politiche quanti in questo paese sono illegalmente e miticamente legati a lui. Questi miracoli non si ripetono facilmente e soprattutto quando le elezioni riguardano comuni, regioni e territori, dove la destra ha perso ogni radice organizzata e dove non ha uno straccio di classe dirigente. Sin qui l’analisi, resta aperto il decisivo problema del “che fare” sul quale torneremo a ragionare. ☺ [email protected] 9 l’assessore risponde Michele Petraroia La Regione Molise ha necessità di razionalizzare e ottimizzare la propria attività, valorizzando il proprio personale, distribuendolo in modo oculato sul territorio, prevedendo specifici corsi di aggiornamento professionale e innovando la strumentazione, le procedure e l’uso della tecnologia digitale. La pubblica amministrazione merita di essere salvaguardata, potenziata e resa efficiente, coinvolgendo attivamente i dipendenti pubblici e le loro rappresentanze sindacali. Ai dirigenti vanno assegnati degli obiettivi di servizio che consentano di verificare l’efficacia e l’utilità di un agire individuale e collettivo che potrà essere compensato dal salario di produttività in base a criteri meritocratici e di misurazione d’efficienza che rendano giustizia a chi si impegna di più, si aggiorna e si appassiona al proprio lavoro. Dai primi confronti con le organizzazioni sindacali si è condiviso di partire dalla riorganizzazione della dirigenza della Regione Molise per girare pagina su episodi oscuri che hanno umiliato l’intera categoria. La Giunta Regionale ha soppresso in via definitiva cinque posti dirigenziali previsti in pianta organica con un risparmio di 600 mila euro annui che non comprometteranno l’efficienza dell’amministrazione. I restanti 66 dirigenti responsabili di servizio a cui si sommano i 4 direttori d’area ed il direttore generale potranno serenamente adoperarsi all’interno di una riorganizzazione in istruttoria che ha visto emanare gli avvisi di selezione sia per il personale interno che esterno. Una specifica commissione presieduta da un docente universitario, titolare di cattedra in diritto del Quanto spende la regione Molise per il personale; incidenza sul bilancio e confronto con altre regioni virtuose; eventuale possibile razionalizzazione. lavoro, insieme a due legali del servizio avvocatura regionale, valuterà le istanze e approverà la graduatoria degli idonei. Successivamente la Giunta, previa concertazione con le organizzazioni sindacali, predisporrà il nuovo atto di organizzazione in cui saranno assegnati gli incarichi dirigenziali con relativi uffici, personale e obiettivi. Questo disegno di riordino mira a semplificare, snellire e rendere più agile la macchina amministrativa, con un forte impegno a valorizzare il lavoro pubblico interno per porre fine a costose consulenze esterne e ad una miriade di incarichi tecnici di varia natura che di fatto sostituivano il personale regionale nel disbrigo dell’attività d’ufficio. Il percorso tracciato è stato oggetto di un’assemblea con tutta la dirigenza e di più incontri con la RSU e coi sindacati dei dirigenti, a dimostrazione che solo un’azione condivisa e partecipata può avviare una fase nuova nella Regione Molise. Al cospetto di centinaia di rapporti di lavoro precari, stipulati e rinnovati in modo discrezionale sia in via diretta dall’Ente e sia per il tramite di varie società esterne, la Giunta Regionale, su proposta del servizio risorse umane, ha adottato una Direttiva che pone termine a questa pratica deleteria, mette ordine nella materia e pone le condizioni per riflettere su modalità di selezione trasparenti che non debbono escludere processi di stabilizzazione del precariato in presenza dei presupposti contrattuali e di legge. Le persone che hanno maturato titoli e diritti andranno rispettate ma la Regione per il futuro dovrà prevedere concorsi pubblici per assumere il personale in ossequio al dettato costituzionale. Contestualmente è necessario intervenire sugli uffici periferici evitando duplicazioni di sedi, di fitto e di spese, con uno spostamento del personale di Termoli negli uffici dell’ASREM e individuando sia a Campobasso che a Isernia locali con fitti bassi. Su questa voce da una prima istruttoria potremmo recuperare 1,5 / 2 milioni di euro che sommati al blocco delle consulenze e alla drastica riduzione delle collaborazioni e degli incarichi esterni permetterebbero di risparmiare somme considerevoli da orientare verso le politiche sociali e del lavoro giovanile. La formazione continua e l’aggiornamento professionale possono implementare le conoscenze del personale regionale con indubbi effetti positivi sull’azione amministrativa dell’Ente e una maggiore gratificazione di un esercito di quadri e generali che si sono affastellati nel corso di decenni di gestione non orientata alla valorizzazione del lavoro pubblico e del tutto avulsa da qualsiasi obiettivo di efficacia ed efficienza. Sugli enti controllati dalla Regione si è posto termine alla nomina politica di commissari, ed in attesa di riformare o sopprimere tali Istituti, Consorzi ed Agenzie, si è proceduto a incaricare dirigenti della Regione a costo zero com’è accaduto per la Protezione Civile, per gli Enti per il Turismo e per le Case Popolari. Questi segnali vanno in direzione di una pubblica amministrazione motivata, qualificata e competente, capace di dare spinta alla crescita e allo sviluppo con una compartecipazione di obiettivi di innovazione qualitativa che prescindono da appartenenze e da cordate clientelari. Il cammino sarà duro. come ci confermano le troppe vicende amare e negative degli ultimi anni, ma non per questo non ci si deve impegnare per un Molise laboratorio capace di andare in pagina nazionale per esemplarità di efficienza più che per fenomeni di assenteismo o di azioni delittuose.☺ [email protected] Per non coinvolgere l’assessore nelle scelte del giornale, ma perché possa continuare la preziosa collaborazione, abbiamo pensato di rivolgergli ogni mese una domanda a cui darà risposta. Chiunque vuole risposte pubbliche può inviare le domande al giornale entro il 10 di ogni mese. 10 lala la fonte fonte luglio-agosto febbraio gennaio 2005 2013 lafonte fonte gennaio marzo 2005 società Ho un amico indomito, sempre proiettato in avanti, non desiste, mai. La sconfitta politica, il fallimento, sono per lui solo i punti da cui partire per una strategia adeguata, fatta l'analisi si agisce di conseguenza, semplicemente. Mi ripete di continuo che dobbiamo trovare una rappresentanza per la nostra minoritaria e inascoltata visione delle cose e farci largo partendo dalle basi della vita amministrativa per arrivare, con il tempo e l'esperienza, ad occuparne i vertici. La mia risposta è sempre uguale “E chi ci vota?” Le proposte innovative, modi nuovi di affrontare i problemi, pratiche democratiche di coinvolgimento, consapevolezza, interessano veramente? Esiste ancora una forza delle idee? Faccio una breve premessa. A fronte di una situazione, non solo locale e nazionale, che definire di estremo disagio sarebbe come sottovalutarla, esiste un assetto politico graniticamente legato ai grandi interessi e completamente assoggettato alle leggi di una economia che oramai uccide. Nel mondo ci sono migliaia di focolai di protesta eppure le risposte dei governi sono sempre uguali, bugie e repressioni. Due esempi dell'ultima ora. In Brasile milioni di persone protestano per le ingenti spese per il prossimo mondiale di calcio pretendendo invece stanziamenti per scuole, ospedali e servizi, e la presidente che fa? Risponde che i soldi in questione sono della FIFA e dei governi che partecipano all'evento, per ora il bilancio è di due morti e decine di feriti. Taciamo poi sulle menzogne così grossolane. In Italia si è votato - e non voglio entrare nel merito! - un decreto sulle emergenze (in cui figura anche il Molise destinatario di 15 milioni di euro per il terremoto), strade innovative Cristina Muccilli ebbene una delle emergenze è risultato il danno ambientale prodotto nelle zone attraversate dalla TAV Torino-Lione. Come dire che la dura repressione attuata contro la ribellione di quelle popolazioni è ingiusta ed arbitraria, come dire che le istanze della protesta sono più che legittime, come dire però, il potere è nelle mani dei grossi gruppi interessati alla costruzione della linea e lo Stato se ne fa garante. Ora io mi chiedo, la responsabilità delle scelte, degli accadimenti è solo apicale? Attiene cioè solo alla sfera di coloro che decidono? O riguarda, oggi più che mai, la moltitudine che delega ad occhi chiusi, che delega per un profitto personale, dimentica dei diritti di tutti, che delega per non agire in prima persona? E quanta responsabilità è da attribuire a coloro che di continuo parlano di cambiamento per tornare poi sempre all'oggetto delle loro critiche e farne la propria casa? Mi riferisco agli intellettuali, ai quadri di partito, ai nuovi eletti del PD, per parlare di casa nostra, che pur facendo un'analisi spietata dell'organismo politico che li accoglie, insistono e perseverano in questa scelta di appartenenza. Una scelta, si badi bene, che non può essere considerata solo personale, poiché il loro nome, la stima e il seguito di cui godono, la rendono pubblica. Di grande peso. Anche noi che scriviamo su queste pagine dovremmo fare uno sforzo per essere più propositivi, indicare una strada nuova, con chiarezza, andare nel senso opposto rispetto a ciò che denunciamo. Dovremmo cercare e proporre esempi di come cambiare lala la fonte fonte luglio-agosto febbraio gennaio 2005 2013 lafonte fonte gennaio marzo 2005 il mondo, inventarci una nuova vita. Al mio amico dico sempre “Ti prego, non morire. Mi sentirei più sola”. In effetti non so mai con quale gesto lui accompagni questa mia preghiera.☺ [email protected] processi in famiglia La magnifica e insonne procura della repubblica di Campobasso ci ha rinviati a giudizio per presunto linguaggio offensivo nei confronti del fu sindaco di Colletorto, ora punito dai cittadini e costretto a fare il capo dell’opposizione. Che allora appoggiava Iorio e ora se la fa con Frattura, che militi, e in questo è stabile, nientepopodimeno nel partito di Mastella, è un fatto di coraggio quasi eroico, che abbia sepolto una fontana e innalzato il palo è quanto in molti hanno contestato e noi gli abbiamo semplicemente e coloritamente suggerito di fare il contrario. Per questo affronteremo il processo. Vogliono tirarci il collo perché si cercano i polli per mostrare che la giustizia è efficiente, ma avremmo voluto assistere anche a qualche rinvio a giudizio di persone che hanno determinato nefastamente la politica nostrana. Ma ancora non ci è dato. Che poi si tenti di imbavagliare la stampa libera perché fa semplicemente il suo lavoro di informazione; che, guarda caso, siamo tra le poche testate senza padroni e padrini; che si punisca uno per educare chiunque potrebbe mettere la testa fuori dal sacco, è tutto da dimostrare, ma a pensare male spesso si indovina. 11 società misteri e politica Gianni Mancino Anche quest'anno il Comune di Campobasso ha organizzato l'immancabile sfilata dei “Misteri”. Ricordo che alcuni anni fa si tentò di nobilitare la manifestazione, come meriterebbe, rinnovandone il nome in “Festival dei Misteri”, ma soprattutto arricchendola con un cartellone di eventi interessanti; l'insieme risultava apprezzabile. Ma - e ti pareva - è stata esperienza di breve durata. La mancanza di soldi derivante dalla crisi è una scusa. Non che le difficoltà manchino, ma ad esempio, al suo primo anno di “regno”, il simpatico sindaco di Campobasso, all'atto dell’ insediamento aveva esordito con un: “Non ci sono soldi nemmeno per un gelato”, poi, in occasione del Corpus Domini, la sua amministrazione prese il lusso di invitare i Pooh. Un bello spettacolo, certo, ma il relativo costo sostenuto probabilmente avrebbe consentito di fare tante altre cose di qualità. Ritengo però che né i Pooh, né altri cantanti possano soddisfare la latente fame di cultura che a Campobasso e in Molise pure c'è. Inutile far notare che orientarsi in tale direzione non sarebbe una spesa, ma un investimento. In politica nessuno brilla per sostegno alla cultura, ma il centrodestra in particolare mi sembra abbia in odio tutto ciò che la riguarda. Forse gli fa comodo tenere ignoranti i cittadini, o forse è pura arretratezza, e non sanno apprezzarne il valore. Resta anche celebre la frase di Tremonti: “La cultura non si mangia”, una forzatura di una stupidità monumentale. Con la cultura si mangia eccome, invece! Non è un caso che persino di questi tempi, si indovini un po' quale settore non solo continua a funzionare, ma crea posti di lavoro? La cultura, appunto, perché i nostri “giacimenti culturali” sono tali e tanti da consentire anche in una situazione di crisi la 12 crescita del settore. Anche qui in Molise si potrebbe fare tanto, abbiamo tanto. A Pasqua sono andato a visitare il paleolitico di Isernia, di recente apertura. Lì dove anche Alberto Angela ha ritenuto di dover realizzare un documentario, solo un paio di custodi, nessuna guida, una singola postazione multimediale, pochi visitatori, un clima dimesso, e tanta tristezza. I nostri politici si comportano come quando nella civiltà preindustriale venivano casualmente alla luce dei giacimenti di petrolio, all'epoca utilizzabili al massimo per alimentare delle lampade. Cos'è poi che li ha resi preziosi, se non le invenzioni? Le idee? Proprio la cultura. La ricchezza è sotto i nostri occhi, nelle nostre mani, ma ignorata da sempre: in Italia il nostro “petrolio” (che tra altre cose non si consuma) sono i beni artistici, archeologici, paesaggistici, le innumerevoli e pregevoli tradizioni (come i Misteri), l'enogastronomia, il turismo che ne può derivare, lavoro, arricchimento umano e civile per tutti. E invece, speriamo nelle nuove generazioni. Questa ultima tornata elettorale mi ha suscitato un ricordo. Anni fa Berlusconi affermava che gli elettori lala la fonte fonte luglio-agosto febbraio gennaio 2005 2013 lafonte fonte gennaio marzo 2005 che votano a sinistra erano (sono) dei coglioni (termine suo). Oggi ha due condanne sulle spalle (forse una terza quando leggerete questo giornale), laddove in una di queste i giudici affermano testualmente che “... ha mostrato una particolare capacità a delinquere”. Insomma, se confermata in Cassazione, certifica che è un delinquente che ha esercitato la sua “arte” anche mentre svolgeva la sua funzione di capo del governo. Beh quest'uomo ancora prende milioni di voti. A chi giova questo? Se la pongono questa domanda i cittadini che votano per questa persona? Con serenità si mettano da parte opinioni, politica, ideologia, ed anche considerando un legittimo sentimento di simpatia, di trasporto che può esserci verso l'uomo, anzi, ancora di più: vogliamo anche ipotizzare che sia veramente innocente e perseguitato? Anche fosse, mancano forse a quest'uomo mezzi e potere per difendersi? Non sarebbe meglio per noi cittadini separare le sue vicende personali dalle nostre? Non è meglio per noi che se la riveda lui con i giudici e con le sue donne? Viviamo quotidianamente con i nostri problemi, l'abbiamo detto, c'è chi vive drammaticamente questa crisi, per caso i politici si appassionano ai nostri guai? Sarebbe un sano egoismo pensare piuttosto al nostro interesse di cittadini, mettendo anche politicamente fuori gioco questo signore. Ciò vale anche per chi nonostante tutto continua ad apprezzarlo e votarlo. Invito a fare un piccolo gioco, ponendo un po' di attenzione ad un particolare: quando il “cavaliere” esprime opinioni, apparentemente sembra dia giudizi sugli altri. Ma noi proviamo, invece, a ribaltare su di lui ciò che egli afferma dei suoi avversari: si potrà notare dalle sue stesse parole che è di se stesso che sta parlando, invece, della sua vita e di chi lo sostiene; così i suoi giudizi sui giudici, sui suoi (finti) avversari politici, sugli elettori. È un gioco che può servire a comprendere veramente con chi abbiamo a che fare.☺ [email protected] mi abbono a la fonte perché gran brutta malattia il razzismo. Più che altro strana: colpisce i bianchi, ma fa fuori i neri. il calabrone La maggiore associazione di scrittrici e letterate, in Afghanistan, si chiama Mirman Baheer ed è la versione contemporanea dell’associazione Ago d’Oro dell’ epoca talebana in cui le donne di Herat, fingendo di cucire, si riunivano per discutere di letteratura. A Kabul, l’associazione odierna non ha bisogno di nascondersi: ne fanno parte insegnanti universitarie, parlamentari, giornaliste, intellettuali che hanno una vita pubblica e le facce scoperte. Ma per le restanti 300 socie delle province Mirman Baheer funziona come una setta segreta. Al telefono dell’associazione c’è sempre una donna, Ogai Amail, che aspetta in orari concordati le loro chiamate: le socie le recitano le poesie che non è loro permesso creare e la volontaria, anch’ella poeta, le trascrive verso dopo verso. Zarmina (che firmava le sue poesie con lo pseudonimo “Rahila”) viveva a Gereshk, a circa 600 chilometri da Kabul. Si mise in contatto con il gruppo dopo aver ascoltato alcune sue socie recitare poesie alla radio. A Zarmina, adolescente, non era permesso uscire di casa. La radio era il suo solo tramite per il mondo esterno e le telefonate doveva farle di nascosto. “Era giovanissima, ma il suo lavoro era già impressionante per ricercatezza, originalità e coraggio”, ricorda Ogai Amail, “e la sua urgenza di creare era assoluta. Ad esempio, non sopportava i ritardi o le dilazioni nei nostri colloqui telefonici e a volte mi rimproverava con un landai di questo tipo: Io sto gridando ma tu non rispondi. / Un giorno mi cercherai ed io me ne sarò andata da questo mondo.” Due anni orsono, Zarmina stava leggendo al telefono le sue poesie d’amore quando la cognata la sorprese. “Quanti amanti hai?”, le chiese sprezzante. L’intera famiglia sposò questa tesi. Dall’altra parte del filo doveva esserci sicuramente un giovanotto. I fratelli si produssero in un regolare pestaggio della ragazza e fecero a pezzi tutti i suoi quaderni di poesie. Due settimane più tardi, Zarmina si diede fuoco e morì all’ospedale di Kandahar dopo sette lunghi giorni d’agonia. Non aveva che 17 anni. Nadia Anjuman, artista afgana, morì nel 2005 del brutale pestaggio di suo marito. Aveva 25 anni. Le sue “colpe” era- di poesia si muore Loredana Alberti no l’aver pubblicato le sue poesie ed essere diventata famosa in ragione di ciò. In Afghanistan si può morire di errori umanitari, di armi intelligentissime, di matrimonio, di parto, di religione, di etnia, di papaveri da oppio, persino di scuola. La scelta è così vasta, ma soprattutto è orribile che si muoia di poesia. Il Landays è una forma di poesia brevissima adottata dalle donne afgane come protesta contro le vessazioni del maschio. Un Landay ha solo alcune proprietà formali. Ognuno ha ventidue sillabe: nove il primo verso, tredici nel secondo. Il poema si conclude con il suono "ma" o "na". A volte è in rima, ma più spesso no. In Pashto, hanno cadenza interna come in una sorta di ninna nanna che però contrasta con l'acutezza del loro contenuto, che si distingue non solo per la sua bellezza, licenziosità, e arguzia, ma anche per la capacità penetrante di articolare un comune verità sulla guerra, la separazione, la patria, il dolore, o l'amore. Landai significa “piccolo serpente velenoso” in lingua Pashto: si tratta di poesie popolari, composte da due versi, che perdono la loro origine non appena vengono recitate. Un landai non appartiene neppure a chi lo crea, le persone dicono di “ripeterlo” o di “condividerlo” anche quando è nato nella loro mente. Gli uomini possono inventare e recitare queste poesie che però, quasi esclusivamente, hanno per voce narrante una donna. “I landai appartengono alle donne”, dice Safia Siqqidi, poeta ed ex parlamentare afgana, “Nel nostro paese, la poesia è il movimento delle donne dall’interno”. La poesia pashtun ha una lunga storia come forma di ribellione delle donne afgane. E i landai sono di solito micidiali proprio come il morso di un lala la fonte fonte luglio-agosto febbraio gennaio 2005 2013 lafonte fonte gennaio marzo 2005 serpente velenoso: diretti, sboccati, concreti, arrabbiati, sensuali, buffi, tragici, vanno diritti al cuore della questione che affrontano. I matrimoni imposti, odiati e derisi tramite dettagli grafici, sono un bersaglio frequente di questo tipo di poesia. Durante le due settimane trascorse fra il pestaggio e il suicidio, Zarmina non disse ad Amail quanto era disperata. Le recitò però un altro landai: O giorno del giudizio, dirò a voce alta / Vengo dal mondo con il cuore pieno di speranza. “Stupida, le risposi, non dire così. Sei troppo giovane per morire”, ricorda ancora Ogai Amail, “Zarmina è solo la più recente delle poete-martiri afgane. Ce ne sono centinaia come lei. Tutte le giovani artiste che ci chiamano al telefono sono in una posizione molto pericolosa. Sono tenute dietro alte mura, sotto lo stretto controllo degli uomini. Io sono la nuova Rahila, mi ha detto di recente una di loro, Registra la mia voce, così quando verrò uccisa ti resterà qualcosa di me”. Amail l’ha ovviamente rimproverata, ma pensa che sarebbe bello avere un registratore, averlo avuto quando Zarmina-Rahila recitava le sue poesie ed ora poterla riascoltare. La nuova Rahila ha scelto come pseudonimo Meena Muska (Sorriso d’Amore, in Pashto). Non sa quanti anni ha, perché è una femmina e nessuno si è preso la briga di registrare la sua data di nascita. Se le chiedete la sua età (dovrebbe avere circa 17 anni) lei vi risponderà poeticamente: Sono un tulipano nel deserto. Muoio prima di sbocciare, e le onde della brezza del deserto soffiano via i miei petali.☺ [email protected] 13 cultura l’ultimo eroe Roberto Roversi Non è molto che l’ultimo eroe è passato anche da Bologna; non più di sette otto mesi fa. In un mattino di mezzo settembre, lo ricordo bene. Bisogna sapere che sono vecchio e mi stanco facilmente. Leggevo quindi il giornale seduto al riparo di un grande albero pieno di foglie, nel centro della città; proprio sotto le due torri, la Garisenda e l’Asinelli. Leggevo adagio, senza gli occhiali - per fortuna riesco a leggere ancora senza gli occhiali - e lì davanti avevo anche un bel prato pieno d’erba e sopra due calabroni indugiavano; quando ho sentito un galoppo, un vero galoppo da eroe, tanto che i due calabroni sono volati via sbattendo le ali. Neanche il tempo di alzare la testa, che mi è sfilata davanti l’ombra di un cavallo bianco, a collo teso e con gli occhi di ghiaccio. In groppa, un guerriero chiuso in una armatura che sbrilluccicava d’oro e d’argento, la lancia in pugno, piume sul cimiero e voce forte che urlava: “Adesso ti prendo, sei morto”. Che emozione! Era un gran bell’eroe; e perfino a me che in modestia stavo leggendo la cronaca di un delitto di paese, sotto un albero vicino a casa mia, all’ombra di due torri antiche, è venuta addosso la nostalgia di correre un’ultima avventura - fra prati e montagne, voci di venti, dietro il carro del sole. Ho messo in tasca il giornale mentre intorno mi giravano auto, bus, moto di ogni colore seminanti tiepidissimi fumi; e ho cominciato a considerare - a parte le mille obiezioni - che dopotutto è bello essere un eroe, perché all’eroe non si spezza mai la spada, non si rompe mai il manico (la spada non è una scopa), non si azzoppa mai il cavallo - anche se deve correre su e giù di gran carriera, senza un momento di requie, senza un lamento, e buttando fumo e fuoco dalle narici. Inoltre, il cavallone dell’eroe, benché abbia in groppa un armamentario di ferraglie d’ogni genere fra bulloni, borchie, stringhe, scudo, visiera, pennacchio, mazza ferrata eccetera, va famoso per la sua pazienza, non sacramenta mai, anzi vola leggero sui prati e sembra una farfalla. 14 Addirittura, come in Ariosto, muovendosi nel cielo. Facevo poi pensieri più profondi, chiedendomi se gli eroi (uomini e cavalli) sono sopra gli altri uomini o dentro agli altri uomini. Un incubo costante o un sogno ricorrente. Da buttare dalla finestra o da non perdere e quindi inseguire perfino lungo i muri. Ma in fondo, alle domande non mi importava molto rispondere; perché l’hanno fatto o sono sul punto di farlo quelli che già sanno dicono pensano tutto, formulando bolle di parole. Potevo solo annotarmi, con la dovuta cautela, che in questi giorni fatti di nebbia polvere e cieli bassi come i culi degli italiani, altro non vediamo che fiumi di macchine a rappresentare la nostra attuale felicità; mentre i cavalli superstiti, coi peli ritti per la paura, rintanati in bicocche/stalle, si mescolano al fieno per mimetizzarsi e non farsi scoprire. E allora? Allora quell’uomo a cavallo che insegue il suo futuro con dedizione, lungo i muri di una città, e non vuole mai uccidere anche se lo dice e semmai soccorre vecchiette e verginelle, ed è destinato a una morte giovane e generosa, in fondo non è altro che la semplice rappresentazione sul vetro di una nostra costante aspirazione che cancelli la nostra vergogna. Quella, cioè, di renderci utili agli altri più di quanto possiamo, e con qualche risultato che duri. L’eroe veramente eroe ha la mano sull’elsa ma non sfodera mai la spada. E se mai è costretto al duello, mentre smaneggia parla ammonisce esorta; non sgarrando mai dalle regole. Soprattutto è portatore di grandi o forti emozioni, come quelle del dolore e della pietà… Il pianto di Achille su Patroclo… L’eroe dunque è un uomo che può fare questo, e sa fare questo, senza vergogna. Appoggiando lo scudo sulla sabbia, vicino alle onde del mare. ☺ (testo pubblicato sull'agenda SMEMORANDA, 1990) A cura di Loredana Alberti [email protected] lala la fonte fonte luglio-agosto febbraio gennaio 2005 2013 lafonte fonte gennaio marzo 2005 menzogne Hanno abbassato i monti, l’hanno chiamata religione. Hanno impoverito l’orizzonte, l’hanno chiamata fede. Hanno spento i sentimenti, l’hanno chiamata ascesi. Hanno svuotato il comandamento, l’hanno chiamata morale. Hanno omologato il tutto, l’hanno chiamata unità. Hanno zittito le coscienze, l’hanno chiamata ubbidienza. Hanno mummificato i riti, l’hanno chiamata divina liturgia. Hanno ucciso i profeti, l’hanno chiamata ortodossia. Hanno chiuso le porte, l’hanno chiamata identità. Hanno respinto le barche, l’hanno chiamata sicurezza. Hanno cacciato i giudici, l’hanno chiamata giustizia. Hanno succhiato i poveri, l’hanno chiamato equilibrio. Hanno deliberato leggi ingiuste, l’hanno chiamata legalità. Hanno imbavagliato un parlamento, l’hanno chiamata efficienza. Hanno manipolato un popolo, l’hanno chiamata democrazia. Angelo Casati, Ospitando libertà cultura Madre Ignazia Angelini, “Mentre vi guardo”: perché il libro fosse mio sono bastati la qualifica dell’autrice, inconsueta magari, per me rassicurante, e quel titolo che mi suggeriva una tensione di sé verso gli altri sostenuta da uno sguardo penetrante e comprensivo. Una selezione di lettura casuale, ma guidata dall’intuito di un possibile innamoramento. E mi sono innamorata di fatto, perché Mentre vi guardo è un libro semplice e profondo nel contempo, che ha il potere antitetico di sconvolgere e di placare, di suscitare crisi multiple e di prospettare vie di soluzione, come un amore vero sa fare. Madre Ignazia Angelini, badessa del monastero di Viboldone in provincia di Milano racconta: racconta, naturalmente, dei modi della presenza di Dio, racconta di sé e della propria vocazione, racconta del senso e dei ritmi della vita monastica e di noi che apparentemente ne siamo esclusi, perché, tolta ogni stereotipata barriera fuori dal monastero-dentro il monastero, il suo parlare si appoggia su un vivida ricerca di reciprocità squisitamente umana. Difficile rintracciare un percorso logico nella narrazione della badessa, densa e avvincente sempre e in cui liberamente si mescolano avvenimenti e riflessioni relativi alla comunità monastica e al suo vivere e al mondo laico e al suo vivere; pare, comunque, di intravedere una sorta di cammino ascensionale dello spirito, per cui l’ultimo capitolo, intitolato significativamente In cerca di te, così si conclude: “L’essenziale è vicino, mischiato al nostro tran tran quotidiano. Esso si scopre poco a poco, alla fine. L’importante è esistere fino alla morte, e per via trovare il canto fermo su cui modulare quotidiane parole di speranza”. Dio inteso quale l’essenziale, divinità dell’ordinario, speranza: parole-concetto che ritornano in più luoghi del libro, come in più luoghi torna, quasi cifra di vita e pensiero, l’idea di relazione, alla cui insegna si apre il racconto di Madre Ignazia Angelini: “Il portone del monastero non serve a ripararci o a escludervi: ogni volta che qualcuno bussa, infatti, viene aperto. Le mura del monastero non servono a dividere lo spazio tra interno ed esterno: a ben vedere, infatti, sono trasparenti. La comunità monastica non nasce per garantire l’isolamento, ma per cercare, ogni giorno, relazioni affidabili”. È proprio la relazione, l’accoglienza ospitale dell’alterità, la sfida fondamentale di Gesù e, vista la fragi- donne che stupiscono Luciana Zingaro le mobilità dei rapporti tipica della nostra epoca, è una sfida quanto mai attuale secondo Madre Ignazia Angelini, che si dice finanche imbarazzata quando le chiedono di lei in prospettiva autorappresentativa, perché “Non ha senso, è stupido… Io sono strutturalmente fuori da me stessa, sono in relazione. Non so tematizzare chi sono io al di fuori della relazione con gli altri, con la comunità, con il Dio che cerco, con il Signore che mi ha parlato”. Il fascino del racconto di Madre Ignazia Angelini scaturisce dalla forza di espressione di una persona autentica, dalla libertà delle sue parole, spesso radicalmente nuove e perciò scomode. Breve l’excursus dedicato alla sua storia personale di studentessa di filosofia vivace e appassionata che abbandona una vita promettente per fare lei stessa una promessa e sopporta in monastero un duro tirocinio di regole sostenendosi col motto “imparare dalle cose sofferte” e, affamata di libri, innova il costume culturale delle monache di Viboldone, istruendo pian piano una biblioteca che conta attualmente 30.000 volumi. Madre Ignazia affronta, quindi, una serie di questioni comuni, poi attinenti al monastero ordinario, infine al mistero del divino: ad esempio, discute del mito ormai dilagante della realizzazione di sé, tessuto - dice - di un linguaggio nebuloso ed equivoco; parla della differenza tra sentimento quale percezione di sé come affetto, toccato dalla presenza di un’altra persona, e risentimento, all’opposto presentato quale incapacità di sentire l’altro e vibrare; sostiene la necessità del senso dell’umorismo anche all’interno della comunità monastica, che mette a tema l’imperfezione, perché le religiose non sono figure angeliche e avulse dalla realtà, ma donne come tante; esamina le passioni, che di per sé non sono negative - l’uomo apatico non è cristiano-, lo diventano se assolutizzano l’immediato, costruendo barriere, invece che legami; raccomanda la ricerca della autenticità, perché il cuore umano è uno, e si oppone all’ipocrisia del mondo attuale formattata sul modello della televisione, che è puntata ossessivamente sull’aspetto dello scandalo e lala la fonte fonte luglio-agosto febbraio gennaio 2005 2013 lafonte fonte gennaio marzo 2005 che ha la stessa mentalità di ciò che deplora; discetta di razionalità e di paura della morte, paura che si vince non negando la morte stessa, ma attraversandola con l’aiuto di legami affidabili; spiega l’importanza della sobrietà, che consiste nell’essere pronti alla privazione perché altri vivano; si esprime sulla fede e afferma che la traccia di Dio è nel frammento di umanità più che nell’ ostentazione di un codice morale inoppugnabile; scopre nell’ordinarietà il luogo di custodia del divino. Delicata e soave in alcuni momenti, si mostra spesso energica e capace di dissacrare i luoghi comuni, anche in ambito strettamente ecclesiastico, offrendo, per esempio, riflessioni particolarmente accese sul tema del monachesimo femminile più vicino alla vera anima monastica di quanto lo sia quello maschile, ormai troppo clericalizzato e sbilanciato sul versante del ministero presbiterale; dopo aver ricordato quanto fossero state presenti nella vicenda di Gesù le figure femminili, poi progressivamente marginalizzate, sottolinea l’importanza del Concilio Vaticano II che ha favorito la ricomparsa nel dialogo ecclesiale dell’intelligenza, della sensibilità, della comprensione della realtà al femminile e si augura fiduciosa una rinnovata prospettiva del monachesimo, perché lo sguardo delle donne sul mondo è di una potenza straordinaria: “Le donne -scrive la badessa - sanno distinguere ciò che è vivo da ciò che è morto. Provate a immaginare una terra devastata: lì vedrete uomini agitare penne e fogli per inventare grandi soluzioni, e donne cercare tracce di vita tra le rovine, indizi di rinascita”. Tanti punti della narrazione di Madre Ignazia Angelini mi hanno rapito perché emanano una bellezza originaria, senza fronzoli, così quando a proposito della gratuità scrive: “La gratuità esce dalla logica della causa e dell’effetto, non considera categoria quali utile o inutile, migliore o peggiore. La gratuità non sa dare ragione di sé. Ha a che fare con il mistero della libertà”. Un po’ quello che mi ha condotto a questo libro. ☺ [email protected] 15 arte famiglia di Oratino. Il De Sanctis annota che ebbe prestigiosi incarichi: Protonotario Apostolico, professore di Teologia e Dottore in Utroque con cattedra a Napoli. Richiami alle opere del Massari si riscontrano in diverse Gaetano Jacobucci citazioni di eruditi del suo tempo. Un’elegia La poetica barocca non rispetta più tale procedimento può peccare di artificiosità, in lode del Massari è datata 1647 a firma del le regole del mondo classico, anzi intende dall’altro può contenere anche una particolare giureconsulto Francesco Ramunno; Lorenzo consapevolmente violarle in modo da suscitacarica conoscitiva. Giustiniani, nelle memorie storiche degli re maggiore meraviglia, giocando scrittori di Napoli, osserva: “Da sé sole sull’effetto dell’imprevisto. possono formare un compiuto trattato di Per venire incontro ai gusti questa memoria”. Nel libro di Nicolò mutati del pubblico la poetica barocca si Toppi, Agli uomini illustri in lettere di adegua alle mode, adattandosi di volta in Napoli, e del Regno, Biblioteca Napoletavolta alle attese dei lettori, al bisogno di na Napoli 1678, viene citato il Massari, novità, alla volubilità del gusto: suscitare definendolo “erudito in belle lettere”. effetti di stupore e di meraviglia (“E’ del “Era legge de Persiani, che ciapoeta il fin la meraviglia / chi non osa far scuno porgesse al principe loro in dono stupir, vada alla striglia”). Tra i poeti in segno di tributaria devotione, cosa la barocchi non manca la discussione se quale fosse alle forze del Donante, e non debba prevalere l’aspetto edonistico e al merito del Donatario conforludico oppure l’aspetto morale ed edifime”(prefazione del Massari alla raccolta cante, in ogni caso il primo elemento è di sonetti dedicati a Don Ferrante Caracsempre ribadito con forza: infatti anche ciolo, Duca di Castel di Sangro). coloro i quali sostengono che il fine “Vergini, che de carmi i nomi armate dell’arte è morale, teorizzano l’ importanPer vincer gli anni e debellar la Morte, za del piacere estetico come strumento Hor, che d’Heroe sovrano altera forte per diffondere il messaggio morale. V’apportò questo Ciel, di lui cantate”. Il poeta barocco sente come suo Possiamo scoprire nel Massari compito il provocare nel lettore il piacere, pienamente realizzati i principali caratteri e la strada per ottenere tale effetto sta nella della lirica barocca: dall’attenzione per gli costruzione di metafore e concetti. Mentre aspetti esteriori della realtà dell’esperienza la “metafora” istituisce analogie tra campi al gusto per le figure, oggetti, elementi diversi e lontani, solitamente considerati naturali trattati con elegante linguaggio inconciliabili, il “concetto”(da cui deriva tendente al metaforismo concettoso e la pratica del concettismo) spiega tali “Epigramma per Francesco Antonio De Angelis”, arguto. La sensibilità del Massari verso il ardite connessioni attraverso una trovata presente nel Libro di Giovanni Maria Novario principio classico, temi e stile, raggiunge arguta che dà loro un senso. La capacità “Tractatum de Insolitum”, Napoli 1636. una freschezza tale da accostarlo ai grandi dell’arguzia deriva dall’ingegno: intelletpoeti del tempo, come G. B. Marino tuale e celebrale. Il poeta barocco cerca di (1569 -1625), dalle raccolte di liriche, poeGiovanni Pietro Massari stimolare nel lettore un piacere eminentemenmetti epici, mitologici, sacri, raggiungendo Tra gli Uomini Virtuosi (per dirla te intellettuale: mira a non fargli sentire partil’apice nell’Adone, che ha fatto la sua facon Dante Gentile Lo russo, Uomini Virtuosi, colari sentimenti, ma indurlo a pensare a cose ma.☺ Edizioni Limiti Inchiusi, 2002; pgg. 95,98.), nuove, ad operare collegamenti strani e [email protected] nella geografia culturale del Molise si colloca zarri, provocando un piccolo shock, un sobGiovanni Pietro Massari, originario di una balzo di stupore o di meraviglia. Se da un lato la lirica barocca CAMPOBASSO 16 lala la fonte fonte luglio-agosto febbraio gennaio 2005 2013 lafonte fonte gennaio marzo 2005 mondoscuola Mentre prendono forma le prime righe di questo articolo, i telegiornali mandano e rimandano, da stamattina, i punti del famigerato “Decreto del fare” firmato dal governo Letta. L’occhio (con l’orecchio) cade, naturalmente, sulla scuola e resta perplesso. Si parla di edilizia scolastica. Manutenzione e messa in sicurezza degli edifici. Cento milioni di euro. Sarà. Ma, senza disprezzare il gesto di buona volontà, approfitto di questo piccolo spazio di resistenza personale per dare sfogo ad una fantasia piuttosto arrabbiata, ed immaginare i punti di un “decreto” tutto mio, in cui “fare” quello che, secondo il modestissimo parere di un’insegnante di trincea, occorre subito. Io, signor ministro, “farei” così. 1. Pretenderei un modo nuovo, serio e adeguato, di reclutamento degli insegnanti, e un sistema di valutazione severissimo per quelli che sono già dentro, per il quale se ti aggiorni e lavori seriamente vai avanti, se sai collaborare e coltivi relazioni corrette coi colleghi e coi ragazzi prosegui, altrimenti ti fermi, sei penalizzato, devi “riparare”. Basta coi docenti che vivono di rendita con quello che hanno imparato all’università, o che lasciano impunemente le classi incustodite per fare altro, o che insultano il collega perché ha idee che non combaciano con le proprie. Per le nuove leve, si dovrebbe avere il diritto ad un anno di prova con un vero tutoraggio, in classe, da parte di un docente a fine carriera, e solo se il “candidato” risulta idoneo deve essere regolarizzato a tempo indeterminato, altrimenti deve continuare la formazione, “recuperando” tutti i punti deboli emersi nel suo bagaglio di competenze. Dai concorsi molte volte escono impiegati e non docenti, persone che non “sentono” questo lavoro e non si impegnano per farlo meglio. Ma chi lo fa seriamente non ne ha alcuna colpa, anzi, non per questo l’insegnamento deve essere un lavoro umiliante e umiliato. 2. Fisserei un numero equilibrato di alunni per classe, per evitare classi-mostro da 30 (così come classi-micro da 10). In Svezia, ministro, in classe ce ne stanno anche 35, ma lei sa come funziona in Svezia? E quali strumenti possiedono gli insegnanti svedesi per controllare gruppi così numerosi? Hanno anzitutto un prestigio personale e professionale che in Italia è tramontato ormai da decenni, e poi hanno una scuola sostenu- per una scuola accettabile Gabriella de Lisio ta in palmo di mano dallo stato, stipendi più che dignitosi, ore pomeridiane e una didattica che è il fiore all’occhiello dell’ Europa. 3. Rimedierei subito, in maniera precipitosa direi, alla carenza di personale, per permettere la sacrosanta continuità a gruppi- classe che, in un quinquennio, possono arrivare a cambiare una decina di insegnanti sulla stessa disciplina; e per permetterla anche ad insegnanti che si sentono sradicati, precari dentro, perché impossibilitati a impostare un discorso di lungo respiro coi propri alunni. 4. Troverei risorse, signor ministro, per dotare la scuola di libri, cartine, pc, materiale didattico innovativo di ogni tipo, che può diversificare e arricchire l’offerta formativa, permettendo la realizzazione di tante proposte e idee 5. Renderei più accessibile il pagamento di esperti esterni, da un regista, ad un giornalista, ad un archeologo, a chiunque possa lavorare con gli insegnanti mettendo a disposizione della classe competenze che gli insegnanti non hanno e non possono avere. È necessario che la scuola si apra, entri lala la fonte fonte luglio-agosto febbraio gennaio 2005 2013 lafonte fonte gennaio marzo 2005 in contatto con tante altre realtà, attivando collaborazioni qualificate, che non possono essere gratuite. 6. Stabilirei parametri ragionevoli per il dimensionamento scolastico, perché un dirigente non può controllare sette plessi scolastici, abbinati tra loro dagli Uffici Scolastici come pedine di una dama cieca. Sarà necessariamente il dirigente dell’uno e non dell’altro, sarà più presente in un luogo che in un altro, e non riuscirà - nonostante la buona volontà - a far funzionare il proprio, anzi i propri istituti. 7. Il nostro modello di integrazione della disabilità (o del disagio in senso lato, ora che si parla di “Bisogni Educativi Speciali”), diciamocelo francamente, comincia a fare acqua da tutte le parti, non può continuare a vivere di rendita, o forse di apparenza. Nella sostanza, i soggetti svantaggiati hanno bisogno di competenze elevatissime, che non abbiamo ancora, di strumenti sofisticati, di una didattica di alto livello. Di figure professionali che mancano. Ministro, c’è tanto da fare, ma proprio tanto. L’edilizia scolastica va bene, apprezziamo. Ma ci dimostri che guarda lontano, che ha capito la dimensione del problema e che ha in mente un progetto di ampio respiro diretto al risanamento, ad una profonda revisione del sistema scolastico nazionale e ad una lenta, paziente opera di ricostruzione del prestigio e della dignità della professione docente, che è stata svilita dallo stato e da quanti, troppi, l’hanno abbracciata con pressapochismo. Ci conto, ci contiamo. Buon lavoro.☺ [email protected] 17 libera molise stato/mafia 1992/93 Franco Novelli Il 13 giugno scorso, Gaspare Spatuzza - pentito e collaboratore di giustizia davanti alla Corte di Assise di Caltanisetta, trasferitasi eccezionalmente nell’aula bunker di Rebibbia a Roma, ha dichiarato che la persona che era nel garage palermitano, dove lui aveva portato la 126, piena di tritolo, per la strage di Via D’Amelio, non era appartenente a Cosa Nostra. Di qui, il convincimento, oggi diffuso e da molti condiviso, che uomini dei servizi segreti - quattro o cinque - fossero presenti a Palermo nei giorni che precedettero l’attentato a Borsellino e alla sua sfortunata scorta. Tale premessa appare necessaria per entrare nel vivo della questione. Partiamo dall’analisi e dalla decodificazione dei punti del papello che Vito Ciancimino, a nome di Totò Riina, tramite Nino Cinà, medico del capo dei capi, avrebbe fatto recapitare al comandante del Ros, appena dopo la strage di Capaci. Il primo punto del papello - la revisione della sentenza conclusiva del maxiprocesso, gennaio 1992 - attribuisce un carattere squisitamente giudiziario alle richieste di Totò Riina. La messa in discussione della sentenza del maxiprocesso è apparsa subito impraticabile, perché avrebbe implicato l’annullamento di tutto l’operato che negli anni precedenti alla loro morte è stato fatto dai due giudici della Procura palermitana, Falcone e Borsellino. Il secondo punto è la richiesta di annullamento del decreto legge Gozzini del 1986, riguardante l’articolo 41 bis e la sua applicazione. Per la precisione il 41 bis, regime carcerario duro previsto inizialmente solo in casi eccezionali di rivolta, dopo la strage di Capaci fu esteso (dall’8 di giugno 1992) anche a quanti in carcere erano detenuti per reati di criminalità organizzata - mafia, camorra, sacra corona unita, ‘ndrangheta - e questo attesta che potrebbe ipotizzarsi dietro la strage di Via D’Amelio la presenza di soggetti non collegati alla mafia, che, se fosse stata responsabile unica della strage, sarebbe apparsa come incapace di saper leggere il corso degli eventi, assistendo complice al condizionamento della sua stessa funzionalità operativa. 18 Un altro punto fondamentale della trattativa è la revisione della legge RognoniLa Torre, che ha introdotto il reato di concorso esterno in associazione mafiosa, prevedendo la confisca dei beni ai mafiosi. In particolare, dobbiamo ricordare che è stata l’associazione Libera contro le mafie a volere con forza la norma di confisca dei beni dei mafiosi, sancita dalla legge 109 del 1996, anche grazie alla presentazione di un milione di firme. Un altro nodo centrale del papello è la richiesta di riforma della legge sui pentiti che era stata approvata nel 1991. Fino al 2001 la legge non viene modificata; le modifiche partono appunto dal 2001. Tuttavia, nella norma rimangono operanti le riduzioni di pena e l’assegno di mantenimento che lo Stato concede al collaboratore di giustizia. Nello stesso tempo la legge stabilisce un nuovo termine, molto più ridotto rispetto al precedente, entro il quale (al massimo sei mesi) il pentito deve dire tutto quello che sa della organizzazione mafiosa, della quale ha fatto parte. Il pentito, che si trova in carcere, dovrà scontare un quarto della pena, mentre la protezione che a lui viene destinata avrà la durata fino alla cessazione del pericolo. La richiesta di riconoscimento dei benefici ai dissociati delle BR anche per i condannati per reati di mafia è di carattere squisitamente lala la fonte fonte luglio-agosto febbraio gennaio 2005 2013 lafonte fonte gennaio marzo 2005 politico, perché tende a far avere ai mafiosi lo stesso trattamento che lo Stato ha predisposto per i terroristi che collaborano con la giustizia. In questo caso i mafiosi avrebbero auspicato per loro stessi una legge alternativa che non prevedesse la collaborazione. La legge sui pentiti, comunque, non prevedendo tra i beneficiari chi avesse compiuto stragi, implicitamente dava già una risposta negativa alla cupola di Cosa Nostra. La rivendicazione dell’arresto domiciliare dopo il compimento dei 70 anni di età trova in sé la sua giustificazione, in quanto vuole riferirsi a soggetti che abbiano superato i settanta anni d’età e che quindi non siano più capaci di sopportare il carcere duro. La carcerazione vicino alle abitazioni dei familiari dei mafiosi condannati, pur apparendo una pretesa innocua, non sarebbe realizzabile, perché la esclude il regime del 41 bis e lo stesso vale per l’istanza di assenza di censura sulla posta dei familiari dei mafiosi. Per quanto attiene alla chiusura delle carceri speciali, tale richiesta aveva un senso in quel preciso momento storico - prima metà degli anni Novanta del secolo scorso - relativo al conflitto armato fra la mafia e lo Stato. Ma dalla fine degli anni Novanta le supercarceri vengono praticamente chiuse, rimanendo funzionali soltanto le carceri che hanno regimi detentivi “differenziali”, tra i quali un posto spetta al carcere come è previsto dall’art. 41 bis. In piedi rimane ancora aperta la questione se la chiusura di Pianosa e dell’Asinara si debba mettere in relazione al fallito attentato allo stadio dell’Olimpico di Roma, che per alcuni pentiti sarebbe dovuto esserci alla fine di novembre del 1993, mentre dalle deposizioni di Gaspare Spatuzza apprendiamo che doveva essere messo in pratica alla fine del mese di gennaio del 1994. In relazione all’esigenza espressa dalla cupola mafiosa sull’abolizione delle misure di prevenzione di carattere patrimoniale, sottolineiamo il fatto che il Parlamento ha definitivamente approvato nel 2010 il disegno di legge che istituisce un’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata con sede a Reggio Calabria sotto la vigilanza del ministero degli Interni. C’è poi la richiesta dell’arresto solo in flagranza di reato, domanda disattesa perché è sempre in vigore il fermo per chi è indiziato di un qualsiasi delitto. In conclusione, c’è la rivendicazione di eliminare le accise sui carburanti, come in Valle libera molise d’Aosta, proposta che non ha alcuna razionale contiguità con le precedenti di carattere giudiziario. Dunque, da un lato appare dal papello la debolezza estrema della mafia nella fase storica dello stragismo; da un altro, la pretesa di eliminazione delle accise sui carburanti si allontana dalla tessitura dell’intero papello, avvicinandosi ad una istanza chiaramente politica, come se la cupola mafiosa fosse un partito - sull’esempio della Lega nord - partecipe dell’agone politico nazionale. In effetti, la mafia siciliana in quegli anni ambiva a costituire anche un partito per la presa del potere in Sicilia, nell’Italia meridionale e magari nel resto del territorio metropolitano. Ma questa è un’altra storia che va raccontata soprattutto ai giovani ai quali in prevalenza vuole rivolgersi la narrazione di queste vicende. [email protected] ipse dixit “La prostituzione è un fenomeno che purtroppo sta dilagando... Un fenomeno sommerso... di ragazze attirate in Italia con lo specchietto del lavoro nella moda, o nel cinema, o nella televisione e poi costrette in appartamenti... utilizzate e poi minacciate nel caso in cui rivelassero a chiunque la loro condizione... Vere e proprie schiave che patiscono questa condizione intollerabile. Perciò su questo abbiamo fatto un disegno di legge che è intervenuto con delle pene elevate per chi sfrutta la prostituzione e per gli stessi clienti delle prostitute. Credo che queste pene siano estremamente giuste, soprattutto quando le prostitute sono minorenni”. Sante parole. Indovinate chi le ha pronunciate? Il solito moralista della sinistra salottiera? Un giudice talebano e puritano (naturalmente donna) che vuole processare lo stile di vita di un avversario politico? Un nemico della pacificazione e delle larghe intese che vuole perpetuare all’infinito la guerra dei vent’anni? No, Silvio Berlusconi, il 24 giugno 2009, presentando da presidente del Consiglio, seduto accanto all’allora ministro delle Pari Opportunità Mara Carfagna, presentando da presidente del Consiglio, il disegno di legge del suo governo che inaspriva le pene sulla prostituzione, anche minorile. Il video è in rete, a disposizione degli increduli e soprattutto dei creduloni. trattativa Stato-mafia Libera ha presentato la richiesta di costituzione di parte civile al processo sulla trattativa Stato/mafia che si è aperto il 27 maggio scorso a Palermo. “Dall’indignazione - commenta in una nota Libera - a quell’ondata di violenza criminale che attraversò l’Italia, nasce Libera. Siamo alla fine del 1994, giovani, singoli cittadini, associazioni nazionali e locali si incontrano per la costituzione di una rete antimafia. Una rete di associazioni che vogliono rappresentare quell’Italia che non vuole arrendersi alla violenza mafiosa. La presenza criminale mafiosa ferisce l’intera società; i colletti bianchi, le tante zone grigie del nostro paese, rubano il futuro, la vita delle persone ed è giusto rendere conto di questo. Nel rispetto dei ruoli a partire dalla giustizia che deve fare il suo corso, noi vogliamo fare la nostra parte con il coraggio della denuncia e la forza della proposta perché non c’è giustizia senza verità e noi vogliamo incoraggiare la ricerca di verità”. La richiesta di riconoscimento della presenza dell’Associazione nelle aule di giustizia in cui si processano i principali responsabili del sistema di violenza e intimidazione che ha condizionato e condiziona la vita civile e democratica di tutti i cittadini, è anche la naturale prosecuzione delle iniziative che Libera promuove sul territorio, in special modo accanto ai familiari delle vittime, nelle scuole e nelle università, con le associazioni. Dopo un’ora e mezza in camera di consiglio, la Corte di Assise di Palermo, presieduta dal dott. Alfredo Montalto, ha accettato la costituzione come parte offesa dell’Associazione Libera nel processo per la trattativa Stato-mafia. A cura della segreteria regionale di Libera filastrocca “Ci vediamo domani” un film sull’elogio degli anziani. Il protagonista, uno “sfigato” senza lavoro, né soldi e separato, mise su un’impresa di pompe funebri e si recò in un paese del sud abitato da novantenni e centenari. Aprì bottega, comprò bare, candelabri, restò sull’uscio ad aspettar la morte. I giorni passavano. Nessuno moriva. Ad uno della scientifica chiese: “Ma com’è che qui nessuno muore?” L’altro rispose “Sono persone speciali. Qui c’è aria e acqua buone. Vivono tranquille, senza crucci. È una comunità di “Immortali”. Il loro motto è: “Ci vediamo domani”. E così hanno fermato il tempo. L’impresario rimane fulminato. Nessuna speranza di guadagno. Tuttavia divenne amico dei vecchietti. Con loro si trovava molto bene. Un giorno essi partirono in gita per conoscere il mondo. Ma poco dopo, per un incidente, finirono nelle sacche della scientifica. Grande fu il dolore e lo sgomento. In compenso il guadagno di 7 funerali. Prima di tornare nella capitale l’agente si avventurò a Panama. Con sorpresa ritrovò vivi i suoi amici. La questione fu subito chiarita. Era stato simulato l’incidente perché dei funerali avesse i proventi. Ripartì contento ma anche cambiato. Non era più balordo né sgomento. Dagli arguti vecchietti aveva imparato la lezione e capito il senso della vita che non è solo ansia, stress, malumore ma pace, concordia, buon umore. In serena accettazione, pacato distacco sopravviveva sospeso tra gli ulivi il paesino colmo di silenzi, stupori, un Nirvana dove ritrovar se stessi. Nulla poteva turbare il nostro eroe. Sì, anche lui era diventato “Immortale”. Lina D’Incecco Marco Travaglio lala la fonte fonte luglio-agosto febbraio gennaio 2005 2013 lafonte fonte gennaio marzo 2005 19 iniziative stop femminicidi Pensavamo che l'uccisione di Fabiana, bruciata viva dal fidanzato sedicenne, esprimesse un punto di non ritorno. Invece no. L'insulto che è stato rivolto alla ministra Cecile Kyenge - da un'altra donna - dice molto più di quanto non vogliamo ammettere. E di fronte ad una violenza verbale simile, non ci sono scuse o giustificazioni che tengano. Noi non siamo mai state silenziose, abbiamo sempre denunciato questi fatti, le violenze fisiche e quelle verbali. Ma non basta. Non basta più il lavoro dei centri antiviolenza, fondamentale e prezioso. E non bastano le promesse di leggi che neanche arrivano. La ratifica della convenzione di Istanbul? Un passo importante, ma bisogna aspettare e aspettare. E noi non vogliamo più limitarci a lanciare appelli che raccolgono migliaia di firme ma restano solo sulla carta; a proclamarci indignate per una violenza che non accenna a smettere; a fare tavole rotonde, dibattiti politici, incontri. Adesso chiediamo di più. Chiediamo di poter vivere in una società che vuole realmente cambiare la cultura che alimenta questa mentalità maschilista, patriarcale, trasversale, acclarata e spesso occulta, che noi riteniamo totalmente responsabile della mancanza di rispetto per le donne, e che non fa nulla per fermare questo inutile e doloroso femminicidio italiano. Chiediamo che la parola femminicidio non venga più sottovalutata, svilita, criticata. Perché racconta di un fenomeno che ancora in troppi negano, o che sia qualcosa che non li riguarda. O addirittura che molte delle donne uccise o violate, in fondo in fondo, qualche sbaglio lo avevano fatto. Quanta disumanità nel non voler vedere il nostro immenso lavoro, quello pagato e quello non pagato, il lavoro di cura e riproduttivo, il genio, la creatività, il ruolo multiforme delle donne. Chiediamo di fermarci. A tutte: madri, sorelle, figlie, nonne, zie, compagne, amanti, mogli, operaie, commesse, maestre, infermiere, badanti, dirigenti, fornaie, dottoresse, farmaciste, studentesse, professoresse, ministre, contadine, sindacaliste, impiegate, scrittrici, attrici, giornaliste, registe, precarie, artiste, atlete, disoccupate, politiche, funzionarie, fisioterapiste, babysitter, veline, parlamentari, prostitute, autiste, cameriere, avvocate, segretarie. Fermiamoci per 24 ore da tutto quello che normalmente facciamo. Proclamiamo uno sciopero generale delle donne che blocchi questo maledetto paese. Perché sia chiaro che senza di noi, noi donne, non si va da nessuna parte. Senza il rispetto per la nostra autodeterminazione e il nostro corpo non c'è società che tenga. Perché la rabbia e il dolore, lo sconforto e l'indignazione, la denuncia e la consapevolezza, hanno bisogno di un gesto forte. Scioperiamo per noi e per tutte le donne che ogni giorno rischiano la loro vita. Per le donne che verranno, per gli uomini che staranno loro accanto. Unisciti a noi, firma e diffondi questo appello. Insieme, poi, decideremo una data. [email protected] Proposta di una lettera aperta da inviare al presidente del consiglio dei ministri per la cessazione della illegale ed insensata partecipazione italiana alla guerra in corso in Afghanistan Egregio Presidente del Consiglio dei Ministri, non passa giorno senza che dall'Afghanistan giunga notizia di massacri. Innumerevoli esseri umani sono già morti e continuano a morire vittime di una guerra scellerata e insensata che nessuno può illudersi di vincere. Una guerra scellerata e insensata cui l'Italia partecipa da oltre dieci anni in flagrante violazione della Costituzione della Repubblica Italiana. Una guerra illegale in cui sono morti anche decine di italiani. Una guerra costosissima, in cui per uccidere degli esseri umani si sperperano da decenni immense risorse economiche che dovrebbero essere utilizzate invece in difesa ed a promozione della vita, della dignità e dei diritti degli esseri umani. Lei queste cose le sa già. Faccia dunque l'unica cosa legittima e ragionevole, moralmente decente, necessaria ed urgente: decida la cessazione immediata della partecipazione italiana alla guerra; ed impegni concretamente il nostro paese per la fine della guerra, per il disarmo e la smilitarizzazione del conflitto, per salvare le vite anziché sopprimerle. Cessi di essere complice della criminale violazione della Costituzione italiana. Cessi di essere complice dello sperpero di enormi risorse economiche a fini di morte. Cessi di essere complice di innumerevoli omicidi. Cessi di essere complice di questo orrore. In quanto capo del governo lei e' ora il primo responsabile di una decisione ineludibile: facendo proseguire la partecipazione italiana alla guerra afgana lei e' tra i principali colpevoli delle uccisioni; facendo cessare la partecipazione italiana alla guerra afgana lei puo' diventare un esempio di buona politica, di rispetto del diritto, di agire morale. Se queste parole la raggiungono, vi rifletta. E sappia decidersi a fare la cosa giusta: solo la pace salva le vite. La guerra e' nemica dell'umanita'. Faccia cessare il nostro massacro quotidiano. Distinti saluti. Firma Luogo e data Indirizzo del mittente indirizzi istituzionali afferenti al Presidente, alla Presidenza e alla Segreteria del Consiglio dei Ministri: [email protected]; [email protected]; [email protected]; [email protected]; [email protected]; [email protected]; [email protected]; [email protected]; [email protected]; [email protected]; [email protected]; [email protected]; [email protected] 20 lala la fonte fonte luglio-agosto febbraio gennaio 2005 2013 lafonte fonte gennaio marzo 2005 europa Quando mi accingo a scrivere queste brevi note, non sono ancora chiari i possibili esiti del braccio di ferro in atto tra il primo ministro turco Recep Tayyp Erdogan e i manifestanti di Piazza Taksim a Istanbul. Di certo il bilancio degli scontri tra dimostranti e polizia è già tragicamente pesante con morti e feriti, frutto di uno sfregio dei diritti civili che non può essere passato sotto silenzio. La causa che ha scatenato la rivolta popolare contro il primo ministro turco è nota, ma la portata della rabbia popolare che si manifesta in tutto il paese ci dice che essa non può essere legata alla sola vicenda di Gezi Park che, peraltro, ha dell'incredibile. Incredibile è infatti il progetto del governo turco di cancellare Gezi Park, adiacente a Piazza Taksim, uno dei pochi spazi verdi rimasti nella immensa e straordinaria metropoli di Istanbul. La reazione di molti cittadini che, a cavallo tra il mese di maggio e il mese di giugno, hanno ritenuto di dover manifestare il proprio dissenso rispetto ad una discutibilissima scelta governativa, non avrebbe dovuto sorprendere nessuno. Sorprendente è stata invece la reazione di Erdogan che ha subito chiarito il suo pensiero attraverso l'adozione di una linea di repressione della protesta. Le disposizioni date alla polizia turca di “dialogare” con i dimostranti facendo uso di lacrimogeni, idranti, manganelli e arresti hanno alimentato nel paese un diffuso sentimento di ribellione. Piazza Taksim è diventata teatro di violenze che non avremmo mai voluto vedere. Violenze che io, personalmente, non mi sarei aspettato di vedere dopo le numerose attività di confronto sui temi della democrazia portate avanti con le autorità turche ad Ankara come a Istanbul, ad Antalya come a Samsun. La base del dialogo che, come presidente del Congresso del Consiglio d'Europa, avevo impostato con i rappresentanti della Turchia sui temi della democrazia era solida e credibile. Il lungo incontro che ebbi, nel mio ufficio di Strasburgo nel 2004 con il primo ministro della Turchia Recep Tayyp Erdogan fu di straordinario interesse. Mi parlò della sua esperienza di sindaco di Istanbul durata 4 anni e mezzo, della sua decisa volontà di puntare sul protagonismo delle autonomie piazza taksim Giovanni Di Stasi territoriali per rafforzare in Turchia sia lo sviluppo socio-economico, sia i valori europei di partecipazione democratica e di rispetto dei diritti umani, compresi quelle delle minoranze. Nei mesi che seguirono toccai con mano la difficoltà delle autorità turche a condividere concretamente l'idea stessa di rispetto delle minoranze. Lo spazio che mi capitava di dare ai sindaci curdi all'interno del Congresso del Consiglio d'Europa veniva sottolineato da regolari manifestazioni di disappun- Strasburgo 2004: Erdogan e Di Stasi to da parte delle autorità centrali turche. Questo non impediva di implementare regolarmente i programmi di cooperazione con la Turchia in materia di decentramento e di sviluppo territoriale, anche per favorire l'agognato ingresso della Turchia nell'Unione Europea. Era l'epoca in cui moltissimi europei pensavano, con fondate ragioni, che l'accelerazione dell'avvicinamento della Turchia all'Europa avrebbe fatto crescere un presidio democratico di stabilità in un'area dagli equilibri geopolitici assai problematici. Era l'epoca in cui la maggioranza dei cittadini turchi pensava, insieme a molti dei suoi governanti, che la piena integrazione del loro paese nelle istituzioni europee fosse una straordinaria occasione da cogliere. Poi le cose lala la fonte fonte luglio-agosto febbraio gennaio 2005 2013 lafonte fonte gennaio marzo 2005 sono cambiate. Gli europei, colti dalle varie crisi e dalle conseguenti isterie, si sono concentrati sul loro ombelico e hanno smesso di confrontarsi con i loro vicini mentre i turchi, che nel frattempo raggiungevano significativi livelli di crescita economica, si sono concentrati più sul rafforzamento della loro identità che sulla condivisione dei tratti valoriali europei. Il rapporto di supremazia della laicità sugli orientamenti musulmani della popolazione, voluto da Mustafa Kemal Ataturk e a lungo garantito dall'esercito, è stato man mano affievolito e rischia di essere rovesciato del tutto. In questo processo Erdogan ha messo in campo una strategia chiara. Parla sempre meno di Europa, rafforza le connotazioni islamiche della sua attività di governo e comincia a pensare che la mano dura che usa con i curdi possa funzionare anche con i cittadini che ha amministrato da sindaco. Lungo questa strada rischia però di trovarsi di fronte altri Gezi Park e di farsi male, perché nei turchi non si è spento né il ricordo di Ataturk né il sogno di una Turchia democratica, laica ed europea. E tuttavia, per il momento, a farsi male sono quei cittadini deprivati del loro diritto alla libertà di dissentire senza essere aggrediti dal potere. Ma, a ben vedere, si sta facendo male anche l'Unione Europea, schiacciata all'interno dei suoi confini dalla paura del futuro e incapace di ammettere che ciò che sta accadendo in Turchia è anche frutto dalla propria inadeguatezza. ☺ [email protected] 21 spazio aperto ospitalità come vocazione Lo scopo di questa idea progettuale è quello di incentivare il turismo e rivalutare nel tempo il valore degli immobili investendo sull’ospitalità. Nei nostri paesi ci sono tantissime case sfitte, non abitate, abbandonate da anni. Il loro valore continua a diminuire mentre i loro costi aumentano. Per ovviare a questo problema e per risollevare le sorti dei nostri paesi sarebbe utile entrare nel mercato del turismo, ma come? I nostri paesi sono difficili da raggiungere dai grandi centri europei e possono difficilmente competere con i costi e l’organizzazione con altre realtà più affermate ed organizzate. Anche l’impegno e l’entusiasmo delle persone non sembra adeguato ad iniziative di questo genere. Eppure abbiamo un paesaggio magnifico ed una cucina buonissima, un grande patrimonio culturale e storico, e tanti stranieri che passano di qui sono spesso incantati e sorpresi. Per portarli qui basterebbe una promozione all’estero e avere un elemento in più degli altri: l’ospitalità e il “disinteresse”. Tante case vuote, che rievocano anche un vuoto di vita, potrebbero essere “donate” agli stranieri per un periodo di villeggiatura, al solo costo delle spese, organizzando poi solo un pullman per il mare che parte al mattino e rientra la sera, e un opuscolo informativo in tre lingue. Si potrebbe costituire una associazione culturale basata sul “dono”. I vantaggi verrebbero dopo in termini di visibilità, di conoscenza dei luoghi e dei prodotti, e non ultimo di valore umano. Chiunque abbia una casa chiusa e vuota da anni potrebbe aderire all’iniziativa. La selezione degli ospiti si baserebbe su criteri culturali, le persone potrebbero accedere tramite un curriculum ed una selezione. Le case andrebbero spogliate delle cose di valore e riempite con cose che non si possono rompere, e assicurate. Quando si offre una cosa gratuitamente sicuramente si avranno dei riscontri positivi, le persone verrebbero e spenderebbero, con una certa probabilità un certo numero di stranieri saranno invogliati ad acquistare un immobile e questo renderà l’iniziativa di successo. Solo bisognerà avere la forza di non vedere l’interesse subito e di accettare la possibilità di impegnare un immobile per un periodo, che comunque sarebbe restato improduttivo. Infine si avrà la possibilità di far tornare un po’di economia, e soprattutto un po’ di vita nei nostri paesi. Le piccole imprese locali, nonché i bar, gli alimentari, gli agriturismi e tutti quelli che potrebbero avere un ritorno immediato dall’iniziativa potrebbero fornire una piccola quota per la costituzione dell’associazione (in tutto sono 300 euro per la costituzione dell’associazione culturale, che diviso per 20 esercizi fa 15 euro a testa). Chiunque sia interessato ad organizzare la cosa, a definirne gli aspetti tecnici e pratici, a dare consigli legali e non, a costituire l’associazione, mi contatti. Domenico Di Memmo [email protected] 22 Vincenzo Lombardi Le bande musicali molisane de ll’Ottoce nto, Palladino editore Il fenomeno bandistico musicale che ha coinvolto il Molise fra la metà dell’Ottocento e quella del Novecento ha avuto una formidabile valenza culturale, sociale, economica e musicale. Le attività musicali bandistiche sono state strumento di educazione e formazione per adolescenti e giovani, mezzo di prevenzione delle devianze sociali, terreno di incontro e mediazione interclassista, veicolo di integrazione di reddito per le classi artigiane e di elevazione sociale per i contadini, straordinario mezzo di divulgazione della conoscenza musicale e del repertorio operistico, soprattutto italiano. Le bande hanno prodotto la colonna sonora delle cerimonie civili, dei riti religiosi, delle feste paesane, di quelle della borghesia cittadina e dei più vari momenti di intrattenimento popolare. Oggi, tale fenomeno è pressoché dimenticato. Questo lavoro vuole contribuire a tracciarne i confini e a definirne la portata. Vincenzo Lombardi (Campolieto 1963) è direttore della Biblioteca provinciale “Pasquale Albino” di Campobasso. Laureato in Lettere, Diplomato in Flauto e Didattica della musica, ha insegnato Educazione Musicale presso gli istituti secondari statali ed Etnomusicologia presso l’Università degli studi del Molise. Fra i suoi lavori: i contributi Quadri di un'esposizione, in Storia del Molise (Donzelli, 2006), Il teatro in Campobasso. Capoluogo del Molise (Palladino Editore 2008) ed Emigrazione e musica, in Rapporto Italiani nel Mondo (Fondazione Migrantes, 2009), la cura dei volumi Com’a fiore de miéntra. Omaggio in musica a Eugenio Cirese (Squilibri, 2009), Musiche tradizionali del Molise (Squilibri, 2011). lala la fonte fonte luglio-agosto febbraio gennaio 2005 2013 lafonte fonte gennaio marzo 2005 spazio aperto Papa Bergoglio, secondo una rivista latino-americana, si è lasciato andare ad una esternazione contro una lobby gay che in Vaticano condizionerebbe di molto la politica spirituale, organizzativa ed economica della nazione cattolica. Questo Papa, che per rispetto a Francesco d’Assisi, continuo a chiamare Bergoglio, dovrebbe chiarire cosa volesse dire. Intanto, già circolano due interpretazioni. Una sottolinea come il “santo” padre, volendo parlare in generale delle lobby che asfissiano il Vaticano e che bloccano i cambiamenti curiali, abbia fatto l’esempio di quella Gay. Aver identificato, anche se solo per fare un esempio, come gay una lobby, è indice del profondo senso di discriminazione introiettata. D’ altronde, anche il “dagli al frocio!” dei meno acculturati è spesso considerata una semplice espressione colorita. Forse non è così, forse bisognava alzare un polverone per depistare l’ attenzione: meglio parlare dei gay che dei peccati finanziari della Chiesa che fu di Cristo. L’altra interpretazione afferma perentoria che è proprio della lobby gay che voleva parlare il Papa. In questo caso potremmo pensare che in Curia esista una minoranza sessuale che, discriminata dentro come fuori dal Vaticano, abbia cercato nel tempo di difendersi creando una lobby poi divenuta troppo potente. Non capiamo perché questa lobby non sia riuscita ad attenuare gli strali della Chiesa cattolica contro i diritti a favore dei gay. Allo stesso tempo però, sappiamo che probabilmente una minoranza, una volta soddisfatto e garantito il proprio desiderio sessuale al chiuso delle stanza vaticane (o appena fuori?), ha patteggiato per evitare la gogna, schierandosi tra coloro che la parola e la menzogna più ferocemente di altri attaccano gli omosessuali fuori dalle mura. In entrambe le ipotesi, tutto ciò è imbarazzante. Tutto gira intorno ad un Papa come Bergoglio che, in una Argentina uscita da una drammatica dittatura durata 30 anni e da una crisi economica sociale tremenda, non ha mai condannato né i militari assassini né chi ha venduto il Paese ai poteri finanziari e stranieri. Allo stesso tempo, si è opposto come nessuno in America Latina ai diritti dei gay e con veemenza inusitata ha urlato per anni nelle piazze e sui giornali contro il mondo GLBT ed i governi laici. D’altronde nel giorno della sua elezione a Papa, i militari assassini, in tribunale sotto processo per crimini contro l’umanità, hanno orgogliosamente messo una coccarda con i colori vaticani al petto e non ci sembra ci lala la fonte fonte luglio-agosto febbraio gennaio 2005 2013 lafonte fonte gennaio marzo 2005 sia stato alcun commento del “santo” padre. In attesa della fine degli annunci pubblicitari ed ideologici e che nomi e fatti sulla famosa “lobby Gay” vengano pubblicati, si può anche fare una terza ipotesi sulle dichiarazioni del Bergoglio alla rivista latino-americana. Forse (per ignoranza o per calcolo) non voleva parlare della lobby gay, ma della lobby dei pedofili. D’altronde non solo Bergoglio, ma molti alti e bassi prelati volutamente, sapendo di fare solo del male, confondono da anni il termine gay con quello di pedofilo! Da uno dei più potenti sovrani del mondo e da chi deve prendere in prestito il nome più evangelico del panorama italiano per rifarsi il trucco, non possiamo aspettarci ignoranza. Se però ignoranza fosse e si trattasse di pedofili, consigliamo a Bergoglio di consegnare per intero la lobby pedofila alla polizia ed alla magistratura italiana (dato che di quella vaticana ci fidiamo ancora meno), insieme a coloro che vescovi non sono, ma che, pur rei-confessi, vengono ancora protetti. Renato Di Nicola [email protected] 23 marginalità prossimità come valore Antonio De Lellis e Felice Di Lernia Il 21 giugno la comunità il noce ha festeggiato i vent’anni di vita e ha voluto riflettere sui linguaggi della violenza e sulla cultura dell’incontro. Guardare al presente per capire il passato, alla luce del futuro. Le testimonianze dei ragazzi che hanno subito violenza e di chi ha cercato in questi anni di sostenerli in un percorso di liberazione, reinserendoli nella società affinché anch’essi potessero, a loro volta, sostenere altri, ha consentito di riflettere sul perché la società della collettività (tutti per uno, uno per tutti) è cessata passando alla società della connettività (uno vale uno anche se in rete). I macroprocessi mondiali avrebbero prodotto la microdisintegrazione, nella vita quotidiana di milioni di persone, di quel patto di solidarietà tra uguali che chiamiamo Welfare. Ma le cose sarebbero potuto andare in maniera molto diversa, forse in direzione addirittura contraria. Sarebbe potuto essere il micro della mutazione della forma morale a produrre il macro delle conseguenze sociostoriche sulle quali ci esercitiamo a riflettere. Quello che Bauman ha definito “egoismo dell’opulenza” (da intendersi come una forma emergente del sistema di benessere) ha proprio nella disuguaglianza il valore di misura fondamentale, il volano dello squilibrio nella distribuzione delle risorse. Il superamento, nella coscienza delle masse, del paradigma della giustizia sociale, la fine del sociale, hanno la stessa genesi. E se questo iter ha senso è la disuguaglianza che ha generato la globalizzazione e non il contrario. Con la banalizzazione dello scandalo generato dalla disuguaglianza è mutato irreparabilmente il concetto di prossimità: 24 mi è prossimo non chi ha i miei stessi interessi/bisogni ma chi è funzionale ai miei interessi; è uguale a me non chi mi è in qualche modo simile (per esempio nella finitezza) ma chi mi è utile. La nuova uguaglianza è, cioè, un tessuto di tipo connettivo e non più collettivo: “mio fratello è figlio unico” ma ha molti follower, direbbe Rino Gaetano. Ad essere mutata profondamente, cioè, è la semantica del like: non più like inteso come uguale ma like inteso come piace; da like me/come me a I like/mi piace. Insieme allo scenario morale è mutata ovviamente anche la semantica del lavoro sociale, e di conseguenza anche il mandato e la legittimazione degli operatori sociali: complessivamente si potrebbe affermare che questa palingenesi porta con sé l’evaporazione dell’operatore sociale. “Sono forse io il custode di mio fratello?” rispose Caino a chi gli chiese notizie di suo fratello (come Bauman ci ha ricordato recentemente). Sin da quando il lavoro sociale esiste, nella sua versione post-moderna che è quella che conosciamo e sulla cui evaporazione in conseguenza della crisi stiamo ragionando, la risposta a questa domanda-risposta di Caino è stata la stessa (“Sì, sei tu il custode di tuo fratel- lala la fonte fonte luglio-agosto febbraio gennaio 2005 2013 lafonte fonte gennaio marzo 2005 lo”) ma con una duplice intenzione: la custodia come protezione e la custodia come controllo. Paradossalmente le due diverse intenzioni, provenienti da due differenti platee di mandanti culturali, hanno configurato due diversi mandati, due diverse consegne, che però si sono ricomposti ad unità nell’azione pratica della custodia dell’altro. La protezione del proprio uguale e della sua fragilità, dunque, si è sempre accompagnata al controllo per conto di coloro che si considerano diversi nel senso di superiori. Anzi: molto spesso la protezione della fragilità è stata la foglia di fico del controllo sociale. Ciò che oggi è cambiato, in molte comunità e spero poco nella nostra, in conseguenza della evaporazione del ruolo sociale dell’operatore, è il venir meno del mandato di protezione a totale vantaggio del mandato di controllo: l’aggettivo “sociale” dell’operatore sfuma perché è sfumata e si è modificata l’idea di uguaglianza e insieme ad essa è sfumata quella massa di persone che in essa aveva creduto e per essa si era unita; ma l’aggettivo “sociale” sfuma anche perché è irreparabilmente venuta meno quella rappresentazione di sé dell’operatore sociale che ha consentito al sistema di protezione di reggersi per anni sul vuoto strutturale di un welfare immaturo e incompiuto. Il mandato di custodia-controllo crea oggi, negli operatori, molto meno scandalo di un tempo: si tratta in fin dei conti di un lavoro come un altro che esaurisce nell’atto di compiersi la sua ragione di esistere. In quanto non più finalizzato al cambiamento radicale del sistema, in quanto non più concepito come prova tecnica di un altro mondo possibile, il lavoro sociale diventa soprattutto lavoro precario e l’operatore sociale “impara” a rappresentarsi innanzitutto come lavoratore sociale alle prese con la grave crisi industriale del proprio settore di produzione che costringe a tagliare anche i fondi del controllo sociale. Lavorare in comunità ci consente di curare storie spezzate e ferite, ma anche di generare qualcosa che insieme alla speranza può chiamarsi proprio il senso della vita e di una battaglia per sottrarre consumatori al mercato illegale che crea dipendenze, ma che inebria e aliena. Qualcuno dice che se trovi uno schiavo addormentato lascialo, perché sta sognando la libertà, ma noi vi diciamo di svegliarlo per parlagli della libertà. ☺ [email protected] le nostre erbe Una pianta molto diffusa nel nostro territorio è l'Heracleum sphondylium, ovvero il panace. Il nome volgare di panace fa riferimento alle sue molteplici virtù terapeutiche, che lo rendono appunto una panacea. Quanto al nome scientifico, Heracleum deriva dal greco herákleion ed è stato dato alla pianta in onore di Eracle (l'Ercole latino), per via delle grandi dimensioni delle numerose specie che appartengono a questo genere. Il nome sphondylium, invece, in greco significa vertebra e si spiega con il fatto che il fusto presenta nodi ingrossati, simili a vertebre. Il panace è conosciuto più comunemente col nome di “sedano dei prati” per una certa somiglianza che ha con questa pianta (appartengono infatti tutte e due alla famiglia delle Ombrellifere). Sempre per le sue foglie di grandi dimensioni, è chiamato anche “piede d’orso” o “zampa d’orso”. Signore dei monti, è presente in tutte le regioni italiane, con l’eccezione della Sardegna. È molto comune nei prati di montagna, nelle macchie, nei boschi e in particolare negli incolti e sui bordi delle strade. È una pianta robusta, perenne, il panace Gildo Giannotti rizomatosa, di aspetto erbaceo, con fusti cavi, scanalati e rivestiti di setole dure. Può raggiungere anche i due metri di altezza. Le foglie, lobate, ispide, sono grandi fino a 60 cm. Fiorisce dall’estate agli inizi dell’autunno e i fiori, bianchi, raramente rosati o talora giallastri, sono riuniti in grandi infiorescenze ad ombrello. Tutta la pianta emana un intenso odore aromatico, che alcuni associano a quello di una formica schiacciata e che può non essere gradito a tutti. Inoltre contiene oli volatili che, anche al solo contatto durante la raccolta, possono provocare fotosensibilità della pelle alla luce solare e causare vesciche e arrossamenti. Per questo si richiede una particolare attenzione nel riconoscimento e nell’utilizzazione di questa pianta, al fine di non confonderla con altre ombrellifere a fiori bianchi, molto simili ma velenose. Il panace può dare un foraggio verde molto nutriente. Le foglie vengono anche raccolte come cibo per i conigli che ne sono assai ghiotti. È anche un ottimo mellifero assai ricercato dalle api. Le radici, le giovani foglie e i germogli si possono consumare bolliti oppure vengono fatti fermentare per produrre birra, mentre dai piccioli delle foglie, distillati da soli o con i mirtilli, si ricava una specie di grappa. Inoltre i giovani germogli si utilizzano crudi in insalata, oppure cotti come gli asparagi. Utilizzato da secoli nella medicina popolare, è noto come pianta ipotensiva, emolliente, antispasmodica, ad azione tonica sulla digestione e sedativa; è considerato anche uno stimolante e viene paragonato al ginseng. Gli indiani d’America facevano fermentare le radici per alleviare raffreddori, influenza, mal di testa, infiammazione della gola, oppure le applicavano come cataplasma per dolori reumatici, gonfiori, contusioni e foruncoli. Nel Rinascimento era famoso per la sua capacità di combattere le crisi depressive.☺ [email protected] l’aforisma Riferiscono le agenzie di stampa che l'eccellentissimo signor Ministro della Difesa avrebbe dichiarato: "Per amare la pace, armare la pace. F35 risponde a questa esigenza". Non so se sia il caso di chiamare Orbilio o un logopedista, il 113 o il 118. Ma so che le armi servono a uccidere, mentre la pace salva le vite. So che le armi servono a fare la guerra e che la guerra consiste nell'uccisione di esseri umani. So che l'Italia continua a partecipare illegalmente ed insensatamente alla carneficina in corso in Afghanistan. So che uccidere è un crimine. Amare ed armare non sono la stessa cosa: l'amore è disarmato e vuole il bene dell'altro; è l'odio che s'arma e fa strage. Peppe Sini responsabile del "Centro di ricerca per la pace e i diritti umani" di Viterbo Via Marconi, 62/64 CAMPOBASSO lala la fonte fonte luglio-agosto febbraio gennaio 2005 2013 lafonte fonte gennaio marzo 2005 25 società è già nostalgia [email protected] Carolina Mastrangelo La scuola è appena terminata ed è già nostalgia. Seduta in giardino apro il mio scrigno di carta fiorita per rileggere le letterine che i miei piccoli alunni mi hanno scritto, letterine grondanti arcobaleni, gabbiani, aquiloni, cuori trafitti e tenerissime espressioni: Non te ne andare, maestra. Tu sei giovane!… Guardo il fumetto di un bambino che mi fa dire: - Non ti preoccupare, non me ne vado, non ti lascio - e mi commuovo pensando che lui ha sperimentato l’abbandono. Risento la bella voce di Francy che mi regala un’ultima canzone, la mia preferita: “… i due camminavano, il giorno cadeva, il vecchio parlava e insieme piangeva, con l’anima assente, con gli occhi bagnati, seguiva il ricordo di miti passati…” e mi sfilano davanti agli occhi, come in un flashback, immagini, colori, atmosfere e tutto il possibile che ho cercato di imprimere nella mia mente per non dimenticare: i volti, i sorrisi, i litigi, le urla, il pacificante scambio di figurine; noi accoccolati per terra a parlare, ad ascoltarci; i primi fiocchi di neve, la pioggia che riga i vetri delle finestre, le giornate di sole e di azzurro … ma mi vedo scomparire inesorabilmente, col mio codazzo di nani e folletti; fatina o piccola strega trascinante drappi di numeri e stelle, parole e silenzi di cose non dette. Per chi non ci lavora, i problemi della scuola sono di natura burocratica, organizzativa, economica, sociale… per chi ci lavora, ci mette passione e ci crede, nonostante i tempi avversi, il problema è principalmente di natura emozionale. Per ora sto male pensando ai bambini a cui non insegnerò mai più; pensando che non sono più una maestra, anche se Eugenia continua a ripetermi: Sei la 26 ripeto che come ogni educatore ho piantato alberi alla cui ombra non siederò mai ma devo rallegrarmi perché ad essi i bimbi legheranno altalene.☺ nostra maestra per sempre. Si legge nell’intramontabile Lettera ad una professoressa: “le maestre sono come i preti e le puttane, si innamorano alla svelta delle creature. Se poi le perdono non hanno tempo per piangere” perché ci saranno altre da amare. Sarà vero? Non lo so, so solo che ora sto male anche se per consolarmi mi l’assessore mancante L’attuale maggioranza che nel passato consiglio regionale sedeva su banchi dell’opposizione approvò insieme all’attuale minoranza la legge 21 del 2013 sulla composizione del consiglio regionale e della giunta. Era il periodo del “siamo sul baratro” e il presidente Monti, in preda al panico fece approvare dal suo governo un decreto che impose a tutte le regioni Italiane, alla faccia dell’autonomia regionale, una riduzione del numero dei consiglieri e degli assessori. Una martellata sulle palle che Iorio accettò di darsi sul prato di piana dei mulini con l’intento di riconquistare il favore degli elettori molisani che stavano abbandonando lui e Berlusconi. Non fu sufficiente e così oltre alle palle ci rimise anche il culo. L’attuale presidente che ci tiene sia all’uno che alle altre, in barba alle promesse elettorali, ha fatto approvare dalla sua giunta, una delibera, la 160, per abrogare l’infausta legge, la quale, così com’è, non gli consente di risolvere un problemino che toglie il sonno all’intero centrosinistra molisano: l’ingresso in giunta del cognato di Patriciello autorevole esponente della Casa delle Libertà, il quale, in mancanza, sarebbe pronto a ritornare da dove è venuto, portando seco i suoi preziosi 14 mila voti. Pare che il presidente del gruppo PD in consiglio regionale, politico noto per la lotta agli sprechi, non ne voglia sapere del quinto assessore. Il consigliere eletto col sistema del gratta e vinci sarebbe invece favorevole, con la morte nel cuore, ad un rimpastino di giunta. C’è chi pensa, ma noi non ci crediamo, che a farne le spese potrebbe essere l’assessore all’agricoltura, compaesano dell’esponente PD, il quale verrebbe sacrificato sull’altare della riduzione delle spese con infinito dispiacere del suo conterraneo e compagno di tante battaglie. La legge rinnegata contiene un errore tecnico, dice Frattura; prevede infatti che il Presidente possa nominare un numero di consiglieri pari a un quinto dell’intero consiglio e siccome 21 diviso 5 fa 4.2, sempre secondo il primo teorema Frattura, si arrotonda a cinque e non a quattro. Il Consigliere Cotugno, a differenza degli altri quattro, non sarà un vero assessore ma l’assessore 0.2, cosicché dalla prossima riunione di giunta si voterà con la virgola. Pare che l’assessore Petraroia abbia comprato un pallottoliere coi decimali per vigilare sull’esatta applicazione della Legge. I mal di pancia della sinistra non finiscono qui. La nuova maggioranza, diciamo di centrosinistra, dopo la diffida di Romagnuolo, ha scoperto che i consiglieri regionali possono essere sospesi senza perdere il posto in consiglio. Ora, per consentire ai primi dei non eletti di entrare finalmente in consiglio, pare si stia studiando un provvedimento legislativo che equipari la funzione di assessore a quello di condannato. Non sarà elegante, ma oggi si sa che per creare un posto di lavoro si farebbe di tutto. la redazione lala la fonte fonte luglio-agosto febbraio gennaio 2005 2013 lafonte fonte gennaio marzo 2005 etica La linea di scontro tra verità e potere, nel mondo globalizzato, si attua perché il potere non può dire la verità sul mondo ma soprattutto su stesso; per poterlo conservare ed esercitare il potere deve necessariamente mentire. La guerra, dal 1945, non può più essere fondata sul diritto, perché è stata messa fuori legge; non può più essere fondata sulla ragione perché, papa Giovanni ha proclamato che ormai è “fuori dalla ragione”. La guerra, oggi, può essere fondata solo sulla menzogna. In particolare tutte le guerre combattute dopo il 1989, fine della guerra fredda, sono state fondate sulla menzogna: le due guerre del Golfo contro l’Iraq, come la intramontabile guerra dell’Afganistan, sono state fondate sulla menzogna. In questo scenario l’incompatibilità del potere con la verità toglie il velo a tutto il grande capitolo dell’informazione schiacciata sul potere e della manipolazione del consenso. Le conseguenze che si delineano vanno molto al di là di quello che immediatamente è dato di percepire. A causa di questa scissione tra la verità e l’esercizio del potere si mette in pericolo la democrazia anche nei paesi di antica tradizione democratica. Perché la democrazia è fondata sul consenso, ma se venisse fuori la verità degli intrecci di interessi nelle guerre combattute, il consenso non lo si potrebbe ottenere e d’altra parte neppure il potere può efficacemente occultare la verità. Allora l’inevitabile tendenza a ridurre sempre più la possibilità di scelta da parte del popolo. Mentre la FAO, l’ONU e le sue diverse agenzie ci informano delle crescenti povertà e ingiustizie, della forbice che separa i ricchi sempre più concentrati e le masse di povertà in costante aumento, si “costringe” l’elettore, quando va alle urne come ad es. in Italia - ad un voto bloccato in cui si vota per un intero pacchetto di offerte comprendente il candidato del collegio, la lista la coalizione di governo e il primo ministro. La democrazia è sempre più incompatibile con un sistema che produce e perpetua l’iniquità. Per continuare a mantenere l’attuale rapporto tra ricchezza e povertà, tra fame e sazietà, tra dominatori e dominati e per occultare questa verità il potere non può far altro che riprodurre invariabilmente se stesso e sostenere che le scelte scellerate e ingiuste che compie sono “inevitabili”. La democrazia non deve più consentire alterna- potere mendace Silvio Malic tive reali anche nei paesi fortunati, come il nostro, dove ne restano ancora le forme. La democrazia deve essere affievolita, come aveva suggerito la Commissione Trilaterale tra Stati Uniti, Europa e Giappone già alcuni decenni fa. La ricetta era: raffreddare la democrazia, e, soprattutto, che la democrazia cessi di essere rappresentativa, di rappresentare e mediare gli interessi di tutta la popolazione per assumere solo quelli dei ceti privilegiati che hanno interesse a mantenere la situazione com’é. Ci si potrebbe chiedere allora: “Che senso ha il sistema maggioritario invocato perché garantisse efficienza e governabilità?”. Significa appunto che conta solo la maggioranza, cioè, una parte sola di cui si riesce a fabbricare il consenso. Gli altri o perché sconfitti o perché tenuti fuori dal sistema, come con successo si riesce a fare in America ma sempre più anche in Europa, non contano, sono irrilevanti finanche rispetto al rito di designazione del potere. Che deve fare la minoranza in parlamento? Parli! Non ha il potere di influire sulle decisioni e di concorrere alla formazione delle leggi, lala la fonte fonte luglio-agosto febbraio gennaio 2005 2013 lafonte fonte gennaio marzo 2005 approvate sempre più per voto di fiducia blindato: è il cosiddetto diritto di tribuna. Ma se il parlamento da luogo di incontro per le decisioni si trasforma in tribuna per mostrare le opinioni, la democrazia diventa quella dell’Hyde Park: il potere decide nel palazzo, poi c’è una panchina nel parco in cui ognuno può dire quello che vuole alle quattro persone che lo stanno ad ascoltare; neanche la stampa c’è ad ascoltarlo, perché quella va alla conferenza stampa a Palazzo, dove succedono le sole cose che contano. La democrazia si potrebbe definirla la democrazia del settimo giorno. Per sei giorni c’è un Dio che fa quello che vuole, compresa la guerra e al settimo giorno il popolo va al tempio a riempire le urne per il rito di investitura. In tal modo l’oggetto della politica è il potere che diventa il vero e solo trofeo della politica. Il fine della politica non è più il bene comune o l’interesse generale ma la riproduzione dell’ordine esistente. L’iniquità dei rapporti sociali sempre più ingiusti non è il male da rimuovere ma il prezzo da pagare al sistema. Le statistiche sulla fame, la povertà, la disoccupazione sono l’annotazione marginale annuale delle vittime offerte in sacrificio. In occasione dell’inizio della guerra in Afganistan un fondo del Corriere della Sera sentenziava “silete sociologi”, tacete sociologi, taccia la cultura, taccia la verità, dobbiamo vincere. La democrazia invece va difesa e promossa verso forme sempre maggiori di partecipazione perché possa essere contrastato e rovesciato il potere della menzogna e possano instaurarsi poteri che concordino con la verità e la giustizia. E da questa simbiosi seguirà la pace. ☺ 27 sisma tre bufale Domenico D’Adamo Tre buone notizie, per i molisani che non ci sono abituati, sono veramente tante: la prima è che il direttore generale dell’Agenzia per la Protezione Civile, licenziato dal presidente Frattura, non è stato reintegrato dal Tribunale; la seconda è che l’emendamento proposto dal senatore Ruta per svincolare i fondi del terremoto è stato approvato dal Senato e quindi passa alla camera dei deputati per l’approvazione definitiva; la terza è che dodicimila mucche gravide vengono in villeggiatura nel Bassomolise, giusto il tempo di partorire per poi ripartire per il nord. La stampa moderata, è così che si chiama quella dipendente, ha dato fiato alle trombe per diffondere la buona novella con grandi titoli e piccole notizie; noi che siamo invece abituati a fare piccoli titoli pure quando le notizie sono grandi, anche questa volta, per non smentirci, vorremmo saperne di più per valutare la portata di questi provvedimenti e misurarne non solo il peso ma anche la qualità. Che il Direttore Giarrusso sia stato rimosso dal suo incarico dal presidente della regione è buona cosa solo se al suo posto non verrà nominato qualcun altro più amico di lui. Insieme a questa iniziativa, infatti, vorremmo leggere che il governatore ha deciso di rimodellare la gestione del post terremoto abrogando da subito la legge istitutiva dell’Agenzia per la Protezione Civile, una legge che la vecchia maggioranza di centrodestra ha tenacemente voluto per aggirare il patto di stabilità e per sistemare un po’ di amici. Ora tutti e due gli obiettivi si sono rivelati fallimentari, il secondo perché non si hanno i soldi per pagare l’esercito di dipendenti della struttura commissariale, il primo perché non basta una legge regionale per fregare i tedeschi. Sarebbe il caso invece di ripensare a un modello di gestione più vicino a cittadini e meno costoso del “Modello Molise”. Per quanto riguarda la seconda buona notizia, i quindici milioni di euro disponibili, forse, dopo l’approvazione definitiva del provvedimento voluto da Ruta, è il caso di rammendare a lui e al governatore con il quale è in perfetta sintonia, che con 28 quei soldi non si riavvia un bel niente e tantomeno la ricostruzione. Le imprese molisane che hanno lavorato per il terremoto avanzano una montagna di soldi, bastava chiederlo al direttore Giarrusso prima di licenzialo, così come gli andava chiesto che fine hanno fatto gli ottanta milioni di euro della delibera n.685 del 23 agosto 2011, con la quale il governatore Iorio e il suo staff hanno disposto un’anticipazione a favore del commissario delegato con fondi destinati alle aree sottoutilizzate. È noto che con il detto provvedimento è stata disposto, per la verità solo sulla carta, uno spostamento di soldi dalle casse regionali a quelle del commissario delegato, sempre Iorio, fondi mai pervenuti alla struttura commissariale nonostante i numerosi solleciti di Iorio, sempre lui: vedi Decreto Commissariale n. 2, punto 9, del 30/03/2012. Avrebbero scoperto, i due, se appena una volta si fossero occupati di terremoto nella vita, che quella delibera, elettorale come tante altre, non si sarebbe potuta assumere nonostante il parere favorevole di tutta la corte di Iorio. In definitiva dei 346 milioni di euro assegnati al Molise per la ricostruzione post sisma con delibera CIPE dell’Agosto 2011, ammesso che l’iniziativa del sen. Ruta abbia successo, se ne svincoleranno solo 15. Altro che grancassa, la stampa molisana dovrebbe suonare il de profundis. Se la Giunta regionale discutesse di queste cose e non del quinto assessore, almeno sapremmo di che morte morire. È utile ancora ricordare che dal 2008, fondi freschi per il sisma non ne sono stati mai stanziati e alla fine di marzo del 2012, nelle casse dell’Agenzia della Protezione civile appena istituita, c’erano solo tre milioni di euro. Da allora ad oggi neanche un centesimo di euro è stato erogato dallo Stato centrale a favore della Regione, motivo per cui, la buona novella di Ruta è utile a fare rumore, non a lala la fonte fonte luglio-agosto febbraio gennaio 2005 2013 lafonte fonte gennaio marzo 2005 risolvere il drammatico problema delle imprese che hanno anticipato milioni di euro sulla base delle buone novelle raccontate da altri prima di lui. E veniamo alla terza buona notizia. Ospitare nel Bassomolise dodicimila vacche per di più anche gravide è cosa buona e giusta. Le mucche producono latte, carne e anche letame buono per concimare i campi, mangiano scarti di barbabietola prodotti dal vicino zuccherificio, e secondo il capogruppo PD alla Commissione agricoltura del Senato, anche senza grandi investimenti sarà un gioco da ragazzi realizzare questa importante operazione. Ma se è un gioco da ragazzi, perché non giocano i ragazzi di Granarolo? avrebbe detto Sergio Leone. Perché la Granarolo spa, pur consumando una parte importante dell’ambiente molisano, restituisce al Molise solo le briciole, nella migliore delle ipotesi forse un cinquantina di posti di lavoro, e porta via da queste terre quello che le stesse hanno prodotto? E poi, trattandosi di sviluppo per il quale l’Ente Regione ha competenza esclusiva, per quale motivo, di questa partita, si occupa direttamente il sen. Ruta e non il governatore col suo assessore all’agricoltura prima e il consiglio regionale poi? Paradossalmente il Molise soffre meno del Nord la drammatica situazione economica: nulla c’era prima, nulla c’è adesso. Non esiste un modello industriale da trasformare, non un modello agricolo da riconvertire, in buona sostanza niente da abbattere. Tutto ciò potrebbe favorire l’avvio di nuovi modelli sviluppo se solo ci fosse una classe dirigente capace di pensarlo prima ancora di realizzarlo, senza ricorrere a progetti d’occasione, dismessi da altri.☺ [email protected]