Cristina Focacci 5^P, 27 Ottobre 2011, Francesco Hayez, Realismo, Courbet, Pagina 1 di 7 Realismo FRANCESCO HAYEZ ( 1791- 1882 ) Biografia: Francesco Hayez è considerato il caposcuola del romanticismo. Fu un artista molto produttivo, ebbe una vita lunghissima e una carriera fortunata. Nacque a Venezia nel 1791 da una famiglia molto povera, ultimo di cinque figli. A causa di gravi difficoltà economiche, il bambino venne affidato a una zia benestante, sposa di un mercante d'arte genovese, proprietario di una galleria di quadri. Fu lo zio che scoprì il talento artistico di Francesco. Dapprima introdusse il nipote presso un restauratore, poi, notando la sua immensa abilità, lo avviò alla carriera artistica presso lo studio di Francesco Maggiotto, pittore del tardo settecento. Iniziò a frequentare la collezione di Palazzo Farsetti, che conteneva un'esposizione di gessi tratti da antiche statue classiche. Francesco per tre anni si esercitò nel disegno, copiando i modelli in gesso. Nel 1803 frequentò in Accademia il corso di nudo e grazie all'insegnamento di Lattanzio Querena cominciò a dipingere. Per la sua formazione veneziana fu importante anche lo studio della pittura di Tiziano, da cui riprese la vivacità e la gamma calda dei colori. Nel 1806 si costituì a Venezia la nuova Accademia e Hayez venne ammesso ai corsi di pittura in cui insegnava Teodoro Matteini, che lo avviò alla pittura di genere storico. Nel 1809 vinse un concorso indetto dall'Accademia di Venezia presso l'Accademia di San Luca a Roma (presentando un’opera fortemente neoclassica, l’“Atleta trionfante”) e si trasferì nella capitale dove divenne allievo di Canova che ne fu la guida e il protettore negli anni romani: l’influenza di questo artista fu fondamentale per lo sviluppo dello stile di Hayez, che venne accolto come un figlio in quell'ambiente eccezionale che fu lo studio romano di Canova. Qui ebbe la possibilità di incontrare gli artisti e i personaggi più eminenti del momento, fra cui il bolognese Pelagi e il toscano Bezzuoli. Incominciò ad entrare anche nel mondo politico, in quanto intellettuale, infatti tutta la sua arte sarà usata per mettere in luce problemi dell’Italia del Nord. La prima opera che esprime un sentimento patriottico è la congiura dei Lampugnani. Iniziò però a nascere in lui, in seguito, una certa delusione e pessimismo verso questi ideali: egli cominciò a realizzare opere che mettevano in risalto questo suo stato d’animo (la prima opera che realizza per mettere in risalto questa crisi degli ideali risorgimentali è “Pensiero malinconico”). In seguito Hayez rimase a Roma, salvo alcuni soggiorni a Firenze e a Venezia. Nel 1817 tornò a Venezia per realizzare alcuni affreschi nei palazzi signorili veneziani. Nel 1820 si trasferì a Milano. Hayez continuò a dipingere fino alla sua morte, avvenuta a Milano il 21 dicembre 1882. Opere: Atleta trionfante: 1813, olio su tela, 225 x 152 cm, Roma, Accademia di San Luca Nell’opera è rappresentato un atleta vincitore, che tiene in mano la palma della vittoria. Alla destra dell'atleta un disco di pietra evidenzia che è un discobolo. E’ proprio per merito di quest’opera che l’artista riuscì ad aggiudicarsi il primo premio di nudo istituito dal Canova presso l'accademia romana di San Luca. Cristina Focacci 5^P, 27 Ottobre 2011, Francesco Hayez, Realismo, Courbet, Pagina 2 di 7 L'atleta, che sembra quasi una figura mitologica, è in primo piano, ed è collocato in un edificio classico con colonne doriche scanalate. E’ evidente il legame con l’arte classica: il rigore compositivo, il titolo stesso dell’opera (“Atleta trionfante”), i richiami ad una architettura greca, la postura che fa riferimento al Doriforo di Policleto e gli attributi iconografici, quali il panneggio e la palma della vittoria, lo studio dell’anatomia, le accurate proporzioni, il chiasmo e persino i capelli. La posizione dell’atleta è meno statica e più dolce per l’incedere verso destra del corpo e per la rotazione della testa verso il lato opposto. La quasi frontalità del soggetto è un mezzo per dimostrare la perfetta conoscenza dell'anatomia e delle regole proporzionali alla base del nudo. L'efficace chiaroscuro è dovuto all'illuminazione da sinistra e alla posizione del corpo, con un braccio sollevato e uno avvolto in un bruno mantello ondeggiante, che offre il necessario contrasto all’incarnato chiaro. La congiura dei Lampugnani: 1826-1829, olio su tela, 149 x 117 cm, Milano, Pinacoteca di Brera E’ rappresentata la congiura del 26 dicembre 1476 contro il tiranno Galeazzo Maria Sforza; in quell’occasione tre giovani milanesi (Giovanni Andrea Lampugnani, Girolamo Olgiati e Carlo Visconti) aspettarono il duca Galeazzo Maria Sforza all’interno della chiesa di Santo Stefano, sul basamento a gradini della statua di Sant’Ambrogio, per assassinarlo con un pugnale, ponendo così fine alla sua tirannide. Si mette in risalto il sentimento patriottico dell’epoca, allusivo alla gioventù carbonara, il dipinto ha quindi un valore storico ed educativo. L’uomo sulla destra che si dimena è l’anziano umanista Cola Montano, l’educatore dei tre giovani, l’ispiratore della congiura: egli sta pregando Sant’Ambrogio, patrono di Milano, perché li protegga. I ragazzi intanto si stanno preparando ad assalire il ducatiranno. Sono disposti diagonalmente su una scalinata che forma la base della statua di Sant'Ambrogio. Sulla sinistra vi è il duca che fa il suo ingresso nella chiesa presentata in forme romanico - gotiche, mentre ai tempi dell'artista aveva ancora un'ornamentazione barocca. La ricreazione di una “ corretta” ambientazione e la proposta dell’antico assetto dell’edifico sacro assumono particolare significato in anni in cui la progettazione architettonica cercava ispirazione negli edifici medievali e quando si stava facendo strada il concetto di restauro degli edifici “in stile”, cioè secondo le forme originarie. La composizione diventa estremamente teatrale, soprattutto grazie al movimento, all’espressione che mette in risalto il momento tragico e all’uso della luce che rende l’atmosfera incalzante. Oltre a questi elementi romantici, sono presenti nell’opera caratteristiche neoclassiche: prospettiva, rigore compositivo, attenzione formale e uno studio attento dell’anatomia, che porta all’idealizzazione della figura umana. Cristina Focacci 5^P, 27 Ottobre 2011, Francesco Hayez, Realismo, Courbet, Pagina 3 di 7 Il fascino del dipinto consiste nel paragone fra i congiurati e i cospiratori carbonari ottocenteschi animati da un uguale spirito di libertà che dal 1820 organizzavano cospirazioni affinché l'Italia ottenesse libertà e unità. Pensiero malinconico: 1842, olio su tela, 135 x 98 cm, Milano, Pinacoteca di Brera Hayez è considerato un grande ritrattista e “Pensiero malinconico” ne è un tipico esempio In primo piano è dipinta una bellissima e dolce fanciulla dall’espressione che esprime tristezza e malinconia, stato d’animo a cui veniva dato largo spazio nella poesia romantica. Tutto il quadro è pensato per evidenziare i sentimenti della fanciulla. L’aspetto quasi discinto (la veste di lucente seta grigio-celeste e la camicia sottostante sono calate sulla spalla sinistra) sta a sottolineare, l’imperfezione dello stato esteriore,una caduta dell’equilibrio emotivo, spostandosi verso la tristezza sognante e la depressione. In primo piano a sinistra, notiamo un bellissimo vaso di fiori leggermente appassiti, quasi a voler maggiormente sottolineare il sentimento di malinconia, che è il vero protagonista dell’opera, quindi anche la natura partecipa allo stato d’animo della fanciulla. Questo ritratto è quello che meglio esprime il pessimismo ideologico del pittore, originato dalle disillusioni politiche. Il Bacio: 1859, olio su tela, 110 x 88 cm, Milano, Pinacoteca di Brera Appartiene alla maturità di Francesco Hayez, ed è uno dei dipinti più noti della pittura dell'800 italiano. Rappresenta un giovane che bacia una donna prima di una probabile fuga. L’intera scena a giudicare dagli abiti e dall'architettura, si svolge in un'ambientazione medievale, ma in realtà è del tutto immersa nel presente a causa del significato e del soggetto iconografico (il bacio) del tutto nuovo. L'artista realizzò tre repliche con lo stesso soggetto, poiché la sua prima opera fu un grande successo. Alcuni dettagli suggeriscono un’interpretazione politica: il ragazzo coperto dal mantello, col berretto calato sugli occhi, il viso in ombra e un pugnale nella cintura, suggerisce l'idea di un cospiratore o un rivoluzionario. Cristina Focacci 5^P, 27 Ottobre 2011, Francesco Hayez, Realismo, Courbet, Pagina 4 di 7 Il significato politico contenuto nel quadro (che esprime il pessimismo e la crisi ideologica dell’artista) va posto anche il relazione all'esposizione di questo dipinto, avvenuta a Brera il 9 settembre del 1859, pochi mesi dopo l'arrivo di Vittorio Emanuele e Napoleone III nella città di Milano. In primo piano ci sono le figure dei due giovani, che si stagliano nitide contro la parete di pietra. L'uomo mentre bacia la sua amata, appoggia il piede sullo scalino, come se avesse una gran fretta di scappare: Hayez attraverso questo particolare dà più enfasi al bacio. Per contrasto al dinamismo della figura maschile, la ragazza è completamente abbandonata, il corpo arcuato all'indietro e la mano che sembra più aggrapparsi che abbracciare. Raffinatissimo e di grande effetto il contrasto tra il rosso e l'azzurro, dei riflessi luminosi della seta dell'abito della fanciulla e dell'opacità e consistenza del mantello del ragazzo. La scelta dell'artista di celare i volti dei giovani conferisce importanza all'azione e, nella parte sinistra del quadro, l’ombra sul muro dell'uomo misterioso tagliato fuori dall'immagine indica un eventuale pericolo. Nella versione parigina la parte interna del mantello del giovane è di colore verde e nel suolo vi è un velo bianco: questi colori, insieme all’azzurro della veste e al rosso della calzamaglia, rimandano al tricolore italiano e francese, alludendo all'alleanza tra Italia e Francia, che aveva permesso il formarsi del nuovo stato italiano. In questo quadro l'autore riunisce le principali caratteristiche del romanticismo storico italiano, ovvero un'assoluta attenzione verso i concetti di naturalezza e sentimento puro (l'amore individuale), ma soprattutto verso gli ideali risorgimentali. Ciò che colpisce immediatamente è l'enorme passionalità che scaturisce dall'abbraccio dei due amanti. Per la prima volta viene espresso in un quadro un bacio carico di emotività. Hayez crea un vero e proprio spazio intimo di coinvolgimento emotivo dell'osservatore, tipicamente teatrale. Il linguaggio però è quello che appartiene alla cultura neoclassica, nella precisione del disegno, nella plasticità delle figure. Nonostante i vestiti, Hayez mostra le sue conoscenze nel campo dell’anatomia. Si denota anche l’utilizzo della pittura tonale di tradizione veneta. Infine la luce, caravaggesca, aiuta a definire i volumi . L’allusione politica e retorica alla partenza per l'esilio sono gli elementi fondamentali del grande successo di questo dipinto tra i suoi contemporanei. Dunque Hayez con quest'opera vuole trasmettere il senso di amore, di desiderio e il senso di irrequietezza popolare per quello che poi sarà il Regno d'Italia. IL REALISMO E’ una corrente artistica sviluppatasi in Francia nel XIX secolo, che vede in Gustave Courbet il suo principale esponente. Questo movimento pittorico e letterario trova le sue radici nel positivismo, un pensiero filosofico che studia la realtà in modo scientifico. In ambito artistico, il termine "realista", utilizzato per descrivere un'opera d'arte, ha indicato spesso la rappresentazione di oggetti o figure così fedele da poter anche risultare "sgradevole", specie se contrapposta a canoni di bellezza classica. Frequentemente utilizzato per descrivere scene di vita umile, il termine può anche implicare una critica della realtà sociale; si voleva rappresentare una realtà cruda e nuda con meno allegorie e più attenzione verso i dati di fatto. La corrente del realismo trova la sua esplicita affermazione nel 1855, anno in cui il pittore Courbet definisce i suoi ideali artistici in un opuscolo scritto in occasione dell'Esposizione Universale da Parigi: "Ho voluto essere capace di rappresentare i costumi, le idee, l'aspetto della mia epoca secondo il mio modo di vedere, fare dell'arte viva, questo è il mio scopo.". La poetica realista, quindi, traduceva in pittura il dilatarsi dell'interesse degli storici verso i problemi della società moderna. Si tratta di una diversa concezione dell’arte, tramite cui l’artista di ripropone di creare un rapporto diretto con un pubblico diverso da quello che frequentava il salon, ovvero il popolo. Sono esclusi soggetti religiosi e mitologici, mentre l’attenzione si concentra sulla realtà contemporanea, anche nei suoi aspetti più crudi. Cristina Focacci 5^P, 27 Ottobre 2011, Francesco Hayez, Realismo, Courbet, Pagina 5 di 7 JEAN DESIRE’ GUSTAVE COURBET (1819-1877) Courbet è in assoluto il capostipite indiscusso del Realismo pittorico francese ed è un anti -accademico: rifiuta l'arte classica considerandola inadeguata al suo tempo ed è contrario all’insegnamento dell’arte. Egli lancia l’idea, accolta con piacere da altri artisti, di «faire de l'art vivant» cioè di fare arte viva, e quindi di eseguire un'arte "fatta di concretezza" a dispetto dei valori morali dettati dal Romanticismo. È questa la colonna portante caratteristica del realismo oltre ai temi raffigurati, che sono sempre attinenti al normale scorrere della vita, proprio per la ragione per cui, come afferma Courbet, «un oggetto astratto, invisibile, che non esiste, è estraneo all'ambito della pittura». Biografia: Courbet nasce a Ornans nel 1819 da una famiglia contadina benestante. Autodidatta, inizia la sua attività nel solco della tradizione romantica, ponendo particolare attenzione alle opere di Caravaggio e Rembrandt e allo studio della pittura tonale. Fondamentali, nella formazione culturale di Courbet, furono anche il poeta Baudelaire e il filosofo anarchico Proudhon. Il primo gli diede gli elementi polemici nei confronti del sentimentalismo romantico; il secondo gli fornì l’ispirazione politica della sua poetica. Per meglio comprendere il senso del vero l’artista capisce di non poter più vivere nei modi convenzionali della società borghese, così decide di condurre una vita a diretto contatto con il popolo. Nel 1861 apre una propria scuola: ai suoi pochi allievi insegna che “non ci possono essere scuole: ci sono soltanto pittori” e che l’arte “è tutta individuale e che, per ciascun artista, non è altro che il risultato della propria ispirazione e dei propri studi sulla tradizione”. Egli non impartiva lezioni teoriche, preferiva che gli allievi lo osservassero mentre dipingeva. Nel 1870 realizza l'opera “Atelier” per presentarla nel Salon di Parigi, ma il dipinto viene rifiutato dalla giuria quindi egli decide di esporlo nel padiglione del realismo che costruisce a proprie spese, non potendo accettare di portare le sue opere nel Salon dei Rifiutati. Nel 1871 Courbet partecipa all’insurrezione di Parigi e in seguito alla restaurazione viene processato e condannato quale sovversivo, costretto a vedere all’asta tutte le sue opere Courbet muore in solitudine nel 1877. La sua pittura suscitò notevole scandalo tanto che le sue opere furono sempre rifiutate dai Salon. Egli, polemicamente, nel 1855 le espose in una capanna precaria che chiamò «Il padiglione del realismo». La tecnica adottata da Courbet è straordinariamente innovativa e personale. Anche per quanto riguarda i temi l’artista abbandona qualsiasi riferimento storicistico concentrandosi sui piccoli fenomeni del quotidiano, registrati con l’impersonale distacco di un osservatore oggettivo ” Non fare quello che faccio io. Non fare quello che fanno gli altri. Anche se tu facessi quello che fece Raffaello non esisteresti: è un suicidio. Fai quello che vedi, che senti, che vuoi.” Opere: Cristina Focacci 5^P, 27 Ottobre 2011, Francesco Hayez, Realismo, Courbet, Pagina 6 di 7 Spaccapietre,1849, olio su tela, Svizzera, Collezione privata Courbet rappresenta un manovale dedito ad un lavoro rude e pesante: in una cava di pietra spacca la roccia con la sola forza fisica per ricavarne dei ciottoli . L'uomo, piegato su un ginocchio per spaccare i massi, è rappresentato di profilo con un volto inespressivo. Fa da sfondo alla scena il fianco di una montagna che occupa tutto l’orizzonte. Il soggetto è molto diverso da quelli accademici: l'occhio indagatore dell'artista scava impietosamente nella realtà mettendone a nudo ogni risvolto. Le toppe sulle maniche della camicia, il panciotto strappato sotto l'ascella, i calzini bucati al tallone mettono in risalto una vivida realtà popolare. A sinistra, sotto un cespuglio, la pentola e mezzo filone di pane rappresentano un evidente accenno a quello che sarà il povero pasto dello spaccapietre. E’ un opera di denuncia sociale: l’artista, nel ruolo di intellettuale, ha il compito di denunciare, con un linguaggio obiettivo, la reale situazione sociale dei lavoratori.. Qui è evidenziato che nonostante la fatica e l’impegno, il salario non permette a questo spaccapietre di vivere una vita dignitosa. Questo contenuto di polemica sociale era ovviamente poco accettabile dall’ordinario pubblico dell’arte, costituito soprattutto dalla classe agiata che, quindi, mal sopportavano la rappresentazione della povertà che era, implicitamente, un atto di accusa nei loro confronti. “I poveri sono tali per consentire ai ricchi di essere ricchi”: questo, in sintesi, l’atto di accusa dei quadri di Courbet. E’un realismo che denuncia, oltre alla società contemporanea, anche la concezione dell’arte che aveva l’Accademia: infatti, in questa tela, oltre al soggetto, dal contenuto evidentemente polemico, anche la composizione risulta inaccettabile per i canoni estetici del tempo: manca un equilibrio compositivo preciso e non c’è un asse orizzontale poiché che manca la linea di orizzonte. Questa mancanza di esteticità canonica finiva per accentuare ulteriormente l’intento di Courbet: egli non vuole assolutamente proporre un’arte che trova nella bellezza una facile funzione consolatoria ma vuole proporre documenti visivi che creano lo shock della verità. La mentalità ufficiale e borghese dell’Ottocento era destinata solo alla bellezza, alla grandezza, ai fatti eroici ed aulici, mentre Courbet pretende invece di imporre la sua povera gente a persone che certo non trovavano valido vedere immortalati uomini e donne considerate a loro inferiori: lavoratori, servi, prostitute, emarginati e reietti della società. Nel 1855, quindi, “lo spaccapietre” portò molto sconcerto tanto che un visitatore della mostra del Realismo, in cui era esposto il quadro, lasciò questo commento: “si prega il signor Courbet di voler gentilmente rammendare la camicia e lavare i piedi ai suoi spaccapietre”. L’atelier del pittore, 1855, olio su tela, 358 x 598 cm, Parigi, Museo d’Orsay Cristina Focacci 5^P, 27 Ottobre 2011, Francesco Hayez, Realismo, Courbet, Pagina 7 di 7 L'”Atelier” fu rifiutato al Salon del 1855 e così fu esposto alla mostra che l'artista organizzò nel padiglione del realismo. L'opera rappresenta una vera e propria condanna verso l'arte accademica. Nella penombra dell'atelier si trovano una trentina di personaggi: nella parte centrale della composizione vi è l'artista, Courbet, intento a dipingere un paesaggio della sua terra natale e assistito nel suo lavoro da una figura femminile, una modella nuda che stringe al petto un drappo bianco, che simboleggia l'energia creatrice e la verità che l'artista vede nuda, come la musa, e innocente come il bambino intento a osservare la tela. Nella parte destra abbiamo gli intellettuali, amici dell’artista: Baudelaire è rappresentato mentre legge seduto su un tavolo; poi troviamo una coppia di eleganti collezionisti in visita allo studio (simbolo di due intenditori d'arte); a terra sdraiato sul pavimento c’è un bambino che disegna simbolo dell’approccio ingenuo all’arte, non condizionato dalle convenzioni scolastiche. Seduto su uno sgabello, possiamo notare il critico Champfleury che segue con attenzione il pennello di Courbet. In fondo abbiamo Proudhon, un filosofo anarchico, che ha contribuito al pensiero rivoluzionario dell’artista. Accanto alla finestra, i due amanti rappresentano l'amore libero. Nella parte sinistra, settore che si può definire della "vita ordinaria", sono raffigurati una donna irlandese miseramente vestita che allatta il suo bambino che simboleggia la povertà, un mercante ebreo che offre una stoffa a un benestante seduto (il nonno viticoltore di Courbet), un rabbino, un pagliaccio, un prete, un bracconiere, seduto in primo piano, con ai piedi i suoi cani. Egli ha lo sguardo su un cappello piumato, una mandola e un pugnale buttati per terra, simboli del romanticismo superato. Vi è, inoltre, un operaio indolente ed una mendicante che raffigurano la povertà. Dietro la tela nella penombra c’è un manichino che sembra un Cristo in croce, che, insieme al teschio appoggiato su un giornale parigino, rappresenta il simbolo della disprezzata arte accademica Nel dipinto la luce e' frontale ed illumina solo il centro della composizione, lasciando nel buio le zone più esterne. E' misteriosa, cupa e scura in opposizione al drappo bianco tenuto in mano dalla donna nuda al centro della rappresentazione. Un'altra sorgente di luce e' costituita da una "porta" all'estremità destra della composizione. I colori sono prettamente scuri, ad eccezione delle tonalità utilizzate per rappresentare la donna nuda (Musa e Verità) e la tela paesaggistica(l'uso di luce e colori ricordano quelli dei fiamminghi e in particolare Rembrandt). Le linee sono curve e movimentate, mentre sono dolci, morbide e sinuose per quanto riguarda il corpo nudo di donna al centro del dipinto. I personaggi sulla destra e sulla sinistra della rappresentazione sembrano voler formare un semicerchio intorno al pittore che sta dipingendo e la prospettiva e' data dalla stessa disposizione a semicerchio dei personaggi. È un opera che denuncia e che vuole allontanarsi dall’arte accademica. Ci sono tutti gli elementi dell’arte classica: il paesaggio, natura morta, nudo, tema religioso del crocifisso. Tramite essi l’artista vuole esprimere il suo disprezzo per l’arte accademica. Egli sostiene che questa sia anacronistica e non adatta al periodo in cui egli vive, in cui si presentano continuamente nuove necessità. Courbet vede quindi l’arte al servizio della società.