Calligrafia La nella scuola italiana dall’Unità alla Seconda guerra mondiale (parte prima) di FRANCESCO ASCOLI Il presente excursus è un estratto dell’importante studio, che il Prof. Francesco Ascoli, uno dei massimi esperti e storici della Calligrafia, ha pubblicato, nel 2010, in lingua inglese, sulla rivista History of Education & Children’s Literature. Introduzione I nsegnare a scrivere fu per molto tempo una prerogativa della tradizione calligrafica. Questa materia entrò a far parte del cursus studiorum a pieno titolo attraverso l’esperienza francese napoleonica da una parte e quella austriaca dall’altra. Tuttavia il dibattito sull’insegnamento CIVILTÀ DELLA SCRITTURA Uno storico manuale del 1786 22 della lettura e della scrittura, avviatosi con l’avocazione allo Stato della questione educativa, aveva aperto a sperimentazioni e a riformulazioni nuove: il mutuo insegnamento, l’insegnamento simultaneo di lettura e scrittura furono questioni nelle quali la calligrafia non ebbe diritto di accesso. Non mancarono iniziative di singoli maestri di scrittura che proposero nuove soluzioni e nuove metodologie pedagogiche, tutt’altro; ma il loro contributo non riuscì ad incidere sul dibattito pedagogico in maniera significativa, specialmente in Italia dove la tradizione calligrafica si era interrotta o quanto meno significativamente ridimensionata già da molto tempo. Non si ritenne più necessario un insegnamento di tipo calligrafico per le scuole primarie. I programmi dell’Italia unita mettono in guardia i maestri dall’esagerare con la calligrafia. Famosa è la formulazione: “Non è ufficio delle scuole elementari il formare dei calligrafi” recitavano i programmi del 1867. D’altra parte, non si poteva nemmeno pretendere che i nuovi maestri fossero anche dei calligrafi, spesso sapevano loro stessi a mala pena leggere e scrivere. Ciò nonostante, almeno per un certo periodo di tempo, alcuni grossi comuni come Milano o Torino si permisero di assumere un professore di calligrafia nelle scuole elementari, e rimasero comunque adottati metodi calligrafici anche per quelle scuo- le. La tradizione calligrafica invece assunse a pieno il suo ruolo nelle scuole secondarie, cioè nelle tecniche e nelle normali, dove l’allievo imparava i vari stili, a metterli insieme, a saperli dosare e utilizzare in varie dimensioni e per gli scopi più diversi. CIVILTÀ DELLA SCRITTURA Nell’illustrazione: Il trattato con il quale Giovanni Colombini sosteneva, nel 1902, la bontà della “scrittura diritta” 23 La calligrafia nelle scuole primarie Nei programmi Casati del 1860 la calligrafia entra a far parte del curriculum a partire dal secondo anno con laconici “esercizi progressivi”, aggiungendo, nelle istruzioni ai maestri relativa alla seconda classe, che “[il maestro] eserciterà specialmente gli alunni nella scrittura fina e spedita”, senza per altro specificare in che cosa consistesse esattamente questo tipo di scrittura. Molti calligrafi argomenteranno infatti che non è possibile, per dei bambini di quell’età, riuscire a tracciare caratteri minuti e rapidamente. I programmi del 1888 prevedevano il procedimento di lettura e scrittura contemporanea. Anche qui i programmi indicano che gli allievi debbano scrivere “il corsivo ordinario in modo nitido e spedito”. Tuttavia, erano i maestri, non i professori di bella scrittura, a dovere insegnare nelle scuole primarie e non era pertanto più interesse di questi ultimi occuparsene. Si sentì comunque presto anche la preoccupazione di dover dotare gli insegnanti di sussidi didattici anche per l’insegnamento della scrittura. Uno dei metodi più diffusi a tal proposito fu ad opera di due maestri A. e C., Guida teorico pratica per l’insegnamento e la correzione della scrittura, pubblicata nel 18691. Ad ogni modo, non furono pochi i calligrafi che pubblicarono metodi anche per le scuole elementari, sia perché si sentivano moralmente e responsabilmente investiti di quel compito, sia perché i manuali rappresentavano comunque una fonte di guadagno, ancorché non grande. Giovanni Thevenet era uno di questi insegnanti che svolgeva la sua missione sia nelle civiche scuole elementari di Milano sia nelle locali scuole tecniche. Autore di diverse pubblicazioni, scrisse, fra l’altro, un opuscoletto dal titolo: “La scrittura nella prima classe elementare” pubblicato a Milano nel 1878 in cui critica sia l’insegnamento simultaneo della lettura e della scrittura, sia l’abitudine di molti maestri di far iniziare l’insegnamento della scrittura con asteggi di dimensioni esagerate. Dopo che si era affacciata alla ribalta delle questioni pedagogiche l’insegnamento simultaneo della lettura e della scrittura, i metodi fonematici o sillabici, un altro fantasma verso la fine del secolo XIX cominciò a disturbare i sonni dei calligrafi: la questione della scrittura diritta/inclinata. In Francia, in alcuni congressi nel 1862 e nel 1879, medici e igienisti condannarono la scrittura inglese pendente, considerata fonte di danni agli occhi e alla schiena. Il dibattito sulla scrittura inglese diritta o pendente fu acceso e serrato. La questione fu ripresa e discussa nel primo congresso nazionale degli insegnanti di calligrafia tenutosi a Roma nel dicembre 1901. Uno dei relatori, Giovanni Colombini, direttore del periodico Scuola Fiorentina, ne traccia la storia sostenendo la scrittura diritta e le Sotto la sigla A. e C. si celavano in realtà due fratelli delle Scuole Cristiane, frate Genuino Andorno e frate Silvestro Cathiard, prolifici autori di testi scolastici. 1 Una tavola con gli esempi del Corsivo inglese CIVILTÀ DELLA SCRITTURA Qui invece sono indicati i caratteri della “Scrittura rotonda” 24 sue ragioni mentre inizia e continua l’ostracismo verso la classica scrittura inglese pendente. Scrive il Colombini nella sua relazione: “La Società di Medicina di Parigi con voto unanime nel 1879 condannò la scrittura pendente. Nel 1882 un simile voto fu espresso dal Congresso internazionale d’igiene di Ginevra”. Nel 1881 il dottor Emile Javal nella “Revue Scientifique” segnala come causa del diffondersi della miopia la scrittura inclinata e suggerisce la conseguente adozione della scrittura diritta seguendo il mot- to di George Sand: “Ecriture droite, papier droit, corps droit”. Seguirono numerose iniziative medico-scientifiche e pedagogiche. Il congresso d’igiene di Londra e l’Accademia di medicina si schierarono a favore della scrittura diritta. Un’inchiesta presieduta da Ferdinand Buisson, Emile Javal e altri stabiliva che la scrittura diritta era preferibile a quella inclinata. La differenza fra l’ipotesi francese e italiana era quella che mentre qui la scrittura verticale era, in sostanza, un’inglese raddrizzata, per i francesi si CIVILTÀ DELLA SCRITTURA 25 TI SEI RICORDATO DI RINNOVARE L’ISCRIZIONE AGLI AMICI DELLA FONDAZIONE? trattava di voler ritornare alla scrittura in voga prima dell’adozione dell’inglese, la vecchia ronde. In ogni caso, i calligrafi dovettero schierarsi per l’una o l’altra e non furono pochi quelli che, indignati, propugnavano accanitamente la scrittura inclinata. Prosegue il Colombini enumerando numerosi esperimenti al riguardo in cui magnificava con toni trionfalistici il successo della scrittura diritta ovunque. Nel 4 gennaio 1899 il dott. prof. Uberto Dutto, incaricato dal ministro Baccelli, presentò una favorevole relazione sul metodo Colombini della scrittura diritta. Detto metodo fu presentato anche a Napoli nell’anno seguente ad un congresso internazionale di Educazione fisica. Seguirono vari altri “esperimenti” di scrittura diritta, a Firenze, Lucca, Napoli. A Trieste, ancora austriaca, Lorenzo Gonan, maestro elementare e direttore della rivista “Raccoglitore Scolastico” invece fallì nel suo tentativo di introdurre la scrittura diritta; tuttavia il fatto è spiegato dal maestro a causa di un opuscolo guida scritto in tedesco che aveva creato confusione e anche un certo moto di ribellione: “Se tutti i docenti fossero stati obbligati – scrive il maestro triestino – a fare l’esperimento ed avessero ricevute le istruzioni nella propria lingua, il resultato sarebbe stato, secondo me, l’adattamento della scrittura verticale”. Il convegno dei calligrafi concluse riguardo questa questione che la scrittura diritta non aboliva quella pendente, ma si affiancava a questa e che quindi potevano convivere tranquillamente. I programmi scolastici recepirono gradatamente queste istanze, a partire dai programmi Orlando del 1905 che iniziarono a suggerire accanto al corsivo la scrittura diritta, raccomandandola successivamente sempre di più fino ad ammetterla nel 1955 come unica forma di scrittura. La calligrafia nelle scuole primarie ebbe quindi vita breve e contrastata. Fino alla legge Daneo-Credaro, la scuola primaria era avocata ai comuni e solo quindi quelli più importanti, come Milano o Torino, potevano permettersi di avere maestri qualificati o di pagare un incaricato per l’insegnamento che potesse coadiuvare i maestri nel loro difficile compito. La calligrafia vera e propria era materia di scuole secondarie e normali. Con la rifor- ma Gentile del 1923, la calligrafia nelle scuole primarie fu sostituita dalla “bella scrittura” associata al disegno. Come era nello spirito della legge, i programmi raccomandavano poco dal punto di vista metodologico, specialmente per la scrittura, per la quale si raccomandavano degli esercizi preparatori. Tuttavia, nelle disposizioni relative alla seconda classe elementare si parla ancora di esercizi di calligrafia “diversi per i singoli alunni o gruppi di alunni, a seconda della loro capacità e dei difetti da loro contratti”. I programmi precisavano inoltre che “Gli esercizi di bella scrittura saranno facoltativi ed eseguiti non tanto su modelli calligrafici a stampa, quanto su modelli tracciati dal maestro alla lavagna.” N on furono quindi più pubblicati manuali di scrittura per le elementari; questo compito fu demandato ai sillabari, nei quali generalmente si consigliavano i metodi fonici o sillabici. Tuttavia, questo vuoto pedagogico fu in parte riempito da diverse pubblicazioni che venivano in aiuto ai maestri e che suggerivano diversi approcci e metodologie. A questa esigenza strettamente pedagogica, il regime reagì con una risposta tutta politica, dapprima con l’istituzione della commissione per l’esame dei libri di testo fra il 1923 e il 1928 e successivamente con l’adozione del testo unico. Le annotazioni sull’argomento sono tuttavia scarse, sintetiche e tutto sommato poco significative, limitandosi alla costatazione che l’autore nel suo testo ha scelto la scrittura diritta o il metodo fonico sillabico. Della commissione, diretta da Giuseppe Lombardo Radice, faceva parte anche Alessandro Marcucci, ispettore scolastico, direttore delle scuole dell’Agro Romano e autore di testi didattici fra cui uno dedicato alla scrittura “La bella scrittura nelle scuole elementari” pubblicato nel 1928. In questo libro si espone un alfabeto simile a quello delle nuove proposte didattiche coeve in ambito germanico; non a caso la pubblicazione è curata da Heintze e Blanckertz di Berlino, noti fabbricanti di pennini ma anche editori scolastici e che hanno una loro rappresentanza milanese. 1 - Continua