2014 quindicinale di attualità e documenti 7 Documenti 193 Misericordia e povertà Povertà evangelica e misericordia divina sono i due temi che il papa ha scelto per il messaggio di Quaresima e per l’incontro col clero di Roma. 208 A scuola d’intercultura Educare al dialogo interculturale nella scuola è la sfida a cui risponde l’ultimo documento della Congregazione per l’educazione cattolica. 233 CEI: violenza, le Linee guida Il nuovo testo delle Linee guida della CEI per i casi di violenza sessuale di chierici su minori integra quello del 2012 con le osservazioni della CDF. 241 Questionario sulla famiglia: risposte/2 I vescovi austriaci e svizzeri pubblicano una sintesi delle risposte raccolte attraverso il questionario preparatorio per il Sinodo straordinario di ottobre. Anno LIX - N. 1164 - 1 aprile 2014 - IL REGNO - Via Scipione Dal Ferro 4 - 40138 Bologna - Tel. 051/3941511 - ISSN 0034-3498 - Il mittente chiede la restituzione e s’impegna a pagare la tassa dovuta - Tariffa ROC: “Poste Italiane spa - Sped. in A.P. - DL 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 1, DCB Bologna” quindicinale di attualità e documenti D ocumenti 1.4.2014 - n. 7 (1164) Caro lettore, consegnandole questo nuovo numero de Il Regno-documenti, che speriamo trovi interessante per la scelta di temi che vanno dagli ultimi interventi di papa Francesco alla dichiarazione della Congregazione per l’educazione cattolica sul dialogo interculturale, alle Linee guida della CEI sui casi di violenze sessuali nei confronti di minori da parte dei chierici, alla lettera dei vescovi siciliani sulla situazione politica e sociale, ai risultati delle consultazioni sulla pastorale familiare resi noti dai vescovi di Austria e Svizzera, desideriamo richiamarle un piccolo gesto di cura, di cui Il Regno ha bisogno, da parte dei suoi abbonati: il rinnovo tempestivo dell’abbonamento. Il fatto di sostenersi in gran parte grazie al contributo degli abbonati ha garantito e continua a garantire a Il Regno la libertà di pensiero e parola che gli è riconosciuta da tutti. Per questo motivo confidiamo che chi non ha ancora rinnovato l’abbonamento per il 2014 lo faccia celermente, consentendoci di rimanere quello che siamo. R Francesco 193 Si è fatto povero per arricchirci { Messaggio per la Quaresima; discorso all’incontro con il clero della diocesi di Roma } Povertà, non miseria (Messaggio per la Quaresima 2014) Messaggio al World Economic Forum Il tempo della misericordia (Con il clero della diocesi di Roma) Agli uomini e alle donne mafiosi Santa Sede 200 Nuove regole per la finanza e l’economia { Nuovo statuto dell’Autorità di informazione finanziaria e nuova struttura di coordinamento } Nuovo statuto dell’AIF Nuova struttura di coordinamento 204 Con amaro sbigottimento { Lettera circolare di p. Fidenzio Volpi ai Frati francescani dell’Immacolata } 208 Educare al dialogo interculturale { Congregazione per l’educazione cattolica } Studi e commenti 225 Il ruolo del vescovo, in giustizia, pace e caritas { Il card. O.A. Rodríguez Maradiaga alla plenaria della Conferenza canadese dei vescovi cattolici } Chiesa in Italia 230 Con papa Francesco e con mons. Galantino { Comunicato finale del Consiglio permanente della CEI } 233 Chierici e minori: linee guida / 2 { Episcopato italiano } 237 Il nodo della classe dirigente { I vescovi siciliani e l’attuale congiuntura della Regione } Chiese nel mondo 241 Risposte al questionario sulla famiglia { Vescovi austriaci } 246 Consultazione sulla pastorale della famiglia { Conferenza dei vescovi svizzeri } «Uniti nella fede della Chiesa» (I vescovi svizzeri) Studi e commenti 249 Un futuro per il mondo arabo { Fadia Kiwan al Congresso internazionale sulla Pacem in terris, Città del Vaticano 2-4.10.2013 } F rancesco | pastorale Si è fatto povero per arricchirci Povertà, non miseria Messaggio per la Quaresima; discorso all’incontro con il clero della diocesi di Roma «Che cosa dice oggi a noi l’invito a una vita povera in senso evangelico?». Inizia così il messaggio del papa in occasione della Quaresima, datato 26 dicembre 2013 e intitolato Si è fatto povero per arricchirci con la sua povertà (cf. 2 Cor 8,9). Al cuore della riflessione una distinzione fondamentale per la fede cristiana: se la povertà è lo «stile di Dio, (...) il suo modo di amarci, il suo farsi prossimo a noi come il buon samaritano», la miseria – in tutte le sue forme – «non coincide con la povertà; la miseria è la povertà senza fiducia, senza solidarietà, senza speranza». L’invito «a guardare le miserie dei fratelli, a toccarle, a farcene carico e a operare concretamente per alleviarle» è per il cristiano partecipazione alla misericordia divina, un tema che Francesco ha riproposto nell’incontro con il clero della diocesi di Roma. «Il prete è uomo di misericordia e di compassione, vicino alla sua gente (…). Chiunque si trovi ferito nella propria vita, in qualsiasi modo, può trovare in lui attenzione e ascolto». E in un esame di coscienza ha domandato ai suoi preti: «Conoscete le ferite dei vostri parrocchiani? Siete vicini a loro? (…) Tu piangi? O abbiamo perso le lacrime?». Stampa (22.3.2014) da sito web www.vatican.va; titolazione redazionale. Il Regno - documenti 7/2014 Messaggio per la Quaresima 2014 Si è fatto povero per arricchirci con la sua povertà (cf. 2Cor 8,9) Cari fratelli e sorelle, in occasione della Quaresima, vi offro alcune riflessioni, perché possano servire al cammino personale e comunitario di conversione. Prendo lo spunto dall’espressione di san Paolo: «Conoscete infatti la grazia del Signore nostro Gesù Cristo: da ricco che era, si è fatto povero per voi, perché voi diventaste ricchi per mezzo della sua povertà» (2Cor 8,9). L’Apostolo si rivolge ai cristiani di Corinto per incoraggiarli a essere generosi nell’aiutare i fedeli di Gerusalemme che si trovano nel bisogno. Che cosa dicono a noi, cristiani di oggi, queste parole di san Paolo? Che cosa dice oggi a noi l’invito alla povertà, a una vita povera in senso evangelico? La grazia di Cristo Anzitutto ci dicono qual è lo stile di Dio. Dio non si rivela con i mezzi della potenza e della ricchezza del mondo, ma con quelli della debolezza e della povertà: «Da ricco che era, si è fatto povero per voi…». Cristo, il Figlio eterno di Dio, uguale in potenza e gloria con il Padre, si è fatto povero; è sceso in mezzo a noi, si è fatto vicino a ognuno di noi; si è spogliato, «svuotato», per rendersi in tutto simile a noi (cf. Fil 2,7; Eb 4,15). È un grande mistero l’incarnazione di Dio! Ma la ragione di tutto questo è l’amore divino, un amore che è grazia, generosità, desiderio di prossimità, e non esita a donarsi e sacrificarsi per le creature amate. La carità, l’amore è condividere in tutto la sorte dell’amato. L’amore rende simili, crea uguaglianza, abbatte i muri e le 193 F rancesco Messaggio al World Economic Forum I n occasione dell’apertura del 44° incontro annuale del World Economic Forum, svoltosi a Davos-Klosters (Svizzera) tra il 22 e il 25 gennaio scorsi, papa Francesco ha inviato un messaggio – che porta la data del 17 gennaio – al prof. Klaus Schwab, fondatore e presidente esecutivo del Forum, di cui è stato latore il card. Turkson, presidente del Pontificio consiglio della giustizia e della pace. Lo pubblichiamo di seguito (www.vatica.va). Al professor Klaus Schwab, presidente esecutivo del World Economic Forum La ringrazio vivamente per il suo cortese invito a rivolgermi all’incontro annuale del World Economic Forum, che, come al solito, si terrà a Davos-Klosters alla fine del mese corrente. Confidando che l’incontro sarà un’occasione per una più approfondita riflessione sulle cause della crisi economica che ha interessato tutto il mondo negli ultimi anni, vorrei offrire alcune considerazioni nella speranza che possano arricchire i dibattiti del Forum e fornire un utile contributo al suo importante lavoro. Promuovere un approccio «inclusivo» Il nostro è un tempo caratterizzato da notevoli cambiamenti e da significativi progressi in diversi campi, con importanti conseguenze per la vita degli uomini. In effetti, «si devono lodare i successi che contribuiscono al benessere delle persone, per esempio nell’ambito della salute, dell’educazione e della comunicazione» (lett. enc. Evangelii gaudium, n. 52; Regno-doc. 21,2013,651), come pure in tanti altri campi dell’agire umano, e occorre riconoscere il ruolo fondamentale che l’imprenditoria moderna ha avuto in tali cambiamenti epocali, stimolando e sviluppando le immense risorse dell’intelligenza umana. Tuttavia, i successi raggiunti, pur avendo ridotto la povertà per un grande numero di persone, non di rado hanno portato anche a una diffusa esclusione sociale. Infatti, la maggior parte degli uomini e delle donne del nostro tempo continua a vivere ancora una quotidiana precarietà, con conseguenze spesso drammatiche. In questa sede, desidero richiamare l’importanza che hanno le diverse istanze politiche ed economiche nella promozione di un approccio inclusivo, che tenga in considerazione la dignità di ogni persona umana e il bene comune. Si tratta di una preoccupazione che dovrebbe improntare ogni scelta politica ed economica, ma a volte sembra solo un’aggiunta per completare un discorso. Coloro che hanno incombenze in tali ambiti hanno una precisa responsabilità nei confronti degli altri, particolarmente di coloro che sono più fragili, deboli e indifesi. Non si può tollerare che migliaia di persone muoiano ogni giorno di fame, pur essendo disponibili ingenti quantità di cibo, che spesso vengono semplicemente sprecate. Parimenti, non possono lasciare indifferenti i numerosi profughi in cerca di condizioni di vita minimamente degne, che non solo non distanze. E Dio ha fatto questo con noi. Gesù, infatti, «ha lavorato con mani d’uomo, ha pensato con intelligenza d’uomo, ha agito con volontà d’uomo, ha amato con cuore d’uomo. Nascendo da Maria Vergine, egli si è fatto veramente uno di noi, in tutto simile a noi fuorché nel peccato» (Concilio ecumenico Vaticano II, cost. past. Gaudium et spes, n. 22; EV 1/1386). Lo scopo del farsi povero di Gesù non è la povertà in se stessa, ma – dice san Paolo – «perché voi diventaste 194 Il Regno - documenti 7/2014 trovano accoglienza, ma non di rado vanno incontro alla morte in viaggi disumani. Sono consapevole che queste parole sono forti, persino drammatiche, tuttavia esse intendono sottolineare, ma anche sfidare, la capacità di influire di codesto uditorio. Infatti, coloro che, con il loro ingegno e la loro abilità professionale, sono stati capaci di creare innovazione e favorire il benessere di molte persone, possono dare un ulteriore contributo, mettendo la propria competenza al servizio di quanti sono tuttora nell’indigenza. Con rinnovato senso di responsabilità Occorre, perciò, un rinnovato, profondo ed esteso senso di responsabilità da parte di tutti. «La vocazione di un imprenditore è – infatti – un nobile lavoro, sempre che si lasci interrogare da un significato più ampio della vita» (Evangelii gaudium, n. 203; Regnodoc. 21,2013,680). Ciò consente a tanti uomini e donne di servire con più efficacia il bene comune e di rendere più accessibili per tutti i beni di questo mondo. Tuttavia, la crescita in equità esige qualcosa di più della crescita economica, benché la presupponga. Essa esige anzitutto «una visione trascendente della persona» (Benedetto XVI, lett. enc. Caritas in veritate, n. 11; EV 26/693), poiché «senza la prospettiva di una vita eterna, il progresso umano in questo mondo rimane privo di respiro» (ivi). Parimenti, richiede decisioni, meccanismi e processi volti a una più equa distribuzione delle ricchezze, alla creazione di opportunità di lavoro e a una promozione integrale dei poveri che superi il mero assistenzialismo. Sono convinto che a partire da tale apertura alla trascendenza potrebbe formarsi una nuova mentalità politica e imprenditoriale, capace di guidare tutte le azioni economiche e finanziarie nell’ottica di un’etica veramente umana. La comunità imprenditoriale internazionale può contare su molti uomini e donne di grande onestà e integrità personale, il cui lavoro è ispirato e guidato da alti ideali di giustizia, generosità e preoccupazione per l’autentico sviluppo della famiglia umana. Vi esorto, perciò, ad attingere a queste grandi risorse morali e umane, e ad affrontare tale sfida con determinazione e con lungimiranza. Senza ignorare, naturalmente, la specificità scientifica e professionale di ogni contesto, vi chiedo di fare in modo che la ricchezza sia al servizio dell’umanità e non la governi. Signor presidente, cari amici, confidando che in queste mie brevi parole possiate scorgere un segno di sollecitudine pastorale e un contributo costruttivo affinché le vostre attività siano sempre più nobili e feconde, desidero rinnovare il mio augurio per il felice esito dell’incontro, mentre invoco la benedizione divina su di lei, sui partecipanti al Forum, come pure sulle vostre famiglie e attività. Vaticano, 17 gennaio 2014. Francesco ricchi per mezzo della sua povertà». Non si tratta di un gioco di parole, di un’espressione a effetto! È invece una sintesi della logica di Dio, la logica dell’amore, la logica dell’incarnazione e della croce. Dio non ha fatto cadere su di noi la salvezza dall’alto, come l’elemosina di chi dà parte del proprio superfluo con pietismo filantropico. Non è questo l’amore di Cristo! Quando Gesù scende nelle acque del Giordano e si fa battezzare da Giovanni il Battista, non lo fa perché ha bisogno di penitenza, di conversione; lo fa per mettersi in mezzo alla gente, bisognosa di perdono, in mezzo a noi peccatori, e caricarsi del peso dei nostri peccati. È questa la via che ha scelto per consolarci, salvarci, liberarci dalla nostra miseria. Ci colpisce che l’Apostolo dica che siamo stati liberati non per mezzo della ricchezza di Cristo, ma per mezzo della sua povertà. Eppure san Paolo conosce bene le «impenetrabili ricchezze di Cristo» (Ef 3,8), «erede di tutte le cose» (Eb 1,2). Che cos’è allora questa povertà con cui Gesù ci libera e ci rende ricchi? È proprio il suo modo di amarci, il suo farsi prossimo a noi come il buon samaritano che si avvicina a quell’uomo lasciato mezzo morto sul ciglio della strada (cf. Lc 10,25ss). Ciò che ci dà vera libertà, vera salvezza e vera felicità è il suo amore di compassione, di tenerezza e di condivisione. La povertà di Cristo che ci arricchisce è il suo farsi carne, il suo prendere su di sé le nostre debolezze, i nostri peccati, comunicandoci la misericordia infinita di Dio. La povertà di Cristo è la più grande ricchezza: Gesù è ricco della sua sconfinata fiducia in Dio Padre, dell’affidarsi a lui in ogni momento, cercando sempre e solo la sua volontà e la sua gloria. È ricco come lo è un bambino che si sente amato e ama i suoi genitori e non dubita un istante del loro amore e della loro tenerezza. La ricchezza di Gesù è il suo essere il Figlio, la sua relazione unica con il Padre è la prerogativa sovrana di questo Messia povero. Quando Gesù ci invita a prendere su di noi il suo «giogo soave», ci invita ad arricchirci di questa sua «ricca povertà» e «povera ricchezza», a condividere con lui il suo Spirito filiale e fraterno, a diventare figli nel Figlio, fratelli nel fratello Primogenito (cf. Rm 8,29). È stato detto che la sola vera tristezza è non essere santi (Léon Bloy); potremmo anche dire che vi è una sola vera miseria: non vivere da figli di Dio e da fratelli di Cristo. La nostra testimonianza Potremmo pensare che questa «via» della povertà sia stata quella di Gesù, mentre noi, che veniamo dopo di lui, possiamo salvare il mondo con adeguati mezzi umani. Non è così. In ogni epoca e in ogni luogo, Dio continua a salvare gli uomini e il mondo mediante la povertà di Cristo, il quale si fa povero nei sacramenti, nella Parola e nella sua Chiesa, che è un popolo di poveri. La ricchezza di Dio non può passare attraverso la nostra ricchezza, ma sempre e soltanto attraverso la nostra povertà, personale e comunitaria, animata dallo Spirito di Cristo. A imitazione del nostro Maestro, noi cristiani siamo chiamati a guardare le miserie dei fratelli, a toccarle, a farcene carico e a operare concretamente per alleviarle. La miseria non coincide con la povertà; la miseria è la povertà senza fiducia, senza solidarietà, senza speranza. Possiamo distinguere tre tipi di miseria: la miseria materiale, la miseria morale e la miseria spirituale. La miseria materiale è quella che comunemente viene chiamata povertà e tocca quanti vivono in una condizione non degna della persona umana: privati dei diritti fondamentali e dei beni di prima necessità quali il cibo, l’acqua, le condizioni igieniche, il lavoro, la possibilità di sviluppo e di crescita culturale. Di fronte a questa miseria la Chiesa offre il suo servizio, la sua diakonia, per andare incontro ai bisogni e guarire queste piaghe che deturpano il volto dell’umanità. Nei poveri e negli ultimi noi vediamo il volto di Cristo; amando e aiutando i poveri amiamo e serviamo Cristo. Il nostro impegno si orienta anche a fare in modo che cessino nel mondo le violazioni della dignità umana, le discriminazioni e i soprusi, che, in tanti casi, sono all’origine della miseria. Quando il potere, il lusso e il denaro diventano idoli, si antepongono questi all’esigenza di una equa distribuzione delle ricchezze. Pertanto, è necessario che le coscienze si convertano alla giustizia, all’uguaglianza, alla sobrietà e alla condivisione. Non meno preoccupante è la miseria morale, che consiste nel diventare schiavi del vizio e del peccato. Quante famiglie sono nell’angoscia perché qualcuno dei membri – spesso giovane – è soggiogato dall’alcol, dalla droga, dal gioco, dalla pornografia! Quante persone hanno smarrito il senso della vita, sono prive di prospettive sul futuro e hanno perso la speranza! E quante persone sono costrette a questa miseria da condizioni sociali ingiuste, dalla mancanza di lavoro che le priva della dignità che dà il portare il pane a casa, per la mancanza di uguaglianza rispetto ai diritti all’educazione e alla salute. In questi casi la miseria morale può ben chiamarsi suicidio incipiente. Questa forma di miseria, che è anche causa di rovina economica, si collega sempre alla miseria spirituale, che ci colpisce quando ci allontaniamo da Dio e rifiutiamo il suo amore. Se riteniamo di non aver bisogno di Dio, che in Cristo ci tende la mano, perché pensiamo di bastare a noi stessi, ci incamminiamo su una via di fallimento. Dio è l’unico che veramente salva e libera. La vera povertà duole Il Vangelo è il vero antidoto contro la miseria spirituale: il cristiano è chiamato a portare in ogni ambiente l’annuncio liberante che esiste il perdono del male commesso, che Dio è più grande del nostro peccato e ci ama gratuitamente, sempre, e che siamo fatti per la comunione e per la vita eterna. Il Signore ci invita a essere annunciatori gioiosi di questo messaggio di misericordia e di speranza! È bello sperimentare la gioia di diffondere questa buona notizia, di condividere il tesoro a noi affidato, per consolare i cuori affranti e dare speranza a tanti fratelli e sorelle avvolti dal buio. Si tratta di seguire e imitare Gesù, che è andato verso i poveri e i peccatori come il pastore verso la pecora perduta, e ci è andato pieno d’amore. Uniti a lui possiamo aprire con coraggio nuove strade di evangelizzazione e promozione umana. Cari fratelli e sorelle, questo tempo di Quaresima trovi la Chiesa intera disposta e sollecita nel testimoniare a quanti vivono nella miseria materiale, morale e spirituale il messaggio evangelico, che si riassume nell’annuncio dell’amore del Padre misericordioso, Il Regno - documenti 7/2014 195 F rancesco pronto ad abbracciare in Cristo ogni persona. Potremo farlo nella misura in cui saremo conformati a Cristo, che si è fatto povero e ci ha arricchiti con la sua povertà. La Quaresima è un tempo adatto per la spogliazione; e ci farà bene domandarci di quali cose possiamo privarci al fine di aiutare e arricchire altri con la nostra povertà. Non dimentichiamo che la vera povertà duole: non sarebbe valida una spogliazione senza questa dimensione penitenziale. Diffido dell’elemosina che non costa e che non duole. Lo Spirito Santo, grazie al quale «[siamo] come poveri, ma capaci di arricchire molti; come gente che non ha nulla e invece possediamo tutto» (2Cor 6,10), sostenga questi nostri propositi e rafforzi in noi l’attenzione e la responsabilità verso la miseria umana, per diventare misericordiosi e operatori di misericordia. Con questo auspicio, assicuro la mia preghiera affinché ogni credente e ogni comunità ecclesiale percorra con frutto l’itinerario quaresimale, e vi chiedo di pregare per me. Che il Signore vi benedica e la Madonna vi custodisca. Dal Vaticano, 26 dicembre 2013, Festa di Santo Stefano, diacono e primo martire. Francesco Il tempo della misericordia con il clero della diocesi di Roma Quando insieme al cardinale vicario abbiamo pensato a questo incontro, gli ho detto che avrei potuto fare per voi una meditazione sul tema della misericordia. All’inizio della Quaresima riflettere insieme, come preti, sulla misericordia ci fa bene. Tutti noi ne abbiamo bisogno. E anche i fedeli, perché come pastori dobbiamo dare tanta misericordia, tanta! Il brano del Vangelo di Matteo che abbiamo ascoltato ci fa rivolgere lo sguardo a Gesù che cammina per le città e i villaggi. E questo è curioso. Qual è il posto dove Gesù era più spesso, dove lo si poteva trovare con più facilità? Sulle strade. Poteva sembrare che fosse un senzatetto, perché era sempre sulla strada. La vita di Gesù era nella strada. Soprattutto ci invita a cogliere la profondità del suo cuore, ciò che lui prova per le folle, per la gente che incontra: quell’atteggiamento interiore di «compassione»: vedendo le folle, ne sentì compassione. Perché vede le persone «stanche e sfinite, come pecore senza pastore». Abbiamo sentito tante volte queste parole che forse non entrano con forza. Ma sono forti! Un po’ come tante persone che voi incontrate oggi per le strade dei vostri quartieri… Poi l’orizzonte si allarga, e vediamo che queste città e questi villaggi sono non solo Roma e l’Italia, ma sono il mondo... e quelle folle sfinite sono 196 Il Regno - documenti 7/2014 popolazioni di tanti paesi che stanno soffrendo situazioni ancora più difficili. Allora comprendiamo che noi non siamo qui per fare un bell’esercizio spirituale all’inizio della Quaresima, ma per ascoltare la voce dello Spirito che parla a tutta la Chiesa in questo nostro tempo, che è proprio il tempo della misericordia. Di questo sono sicuro. Non è solo la Quaresima; noi stiamo vivendo in tempo di misericordia, da trent’anni o più, fino adesso. Nella Chiesa tutta è il tempo della misericordia Questa è stata un’intuizione del beato Giovanni Paolo II. Lui ha avuto il «fiuto» che questo era il tempo della misericordia. Pensiamo alla beatificazione e canonizzazione di suor Faustina Kowalska; poi ha introdotto la festa della Divina misericordia. Piano piano è avanzato, è andato avanti su questo. Nell’omelia per la canonizzazione, che avvenne nel 2000, Giovanni Paolo II sottolineò che il messaggio di Gesù Cristo a suor Faustina si colloca temporalmente tra le due guerre mondiali ed è molto legato alla storia del ventesimo secolo. E guardando al futuro disse: «Che cosa ci porteranno gli anni che sono davanti a noi? Come sarà l’avvenire dell’uomo sulla terra? A noi non è dato di saperlo. È certo tuttavia che accanto a nuovi progressi non mancheranno, purtroppo, esperienze dolorose. Ma la luce della divina misericordia, che il Signore ha voluto quasi riconsegnare al mondo attraverso il carisma di suor Faustina, illuminerà il cammino degli uomini del terzo millennio». È chiaro. Qui è esplicito, nel 2000, ma è una cosa che nel suo cuore maturava da tempo. Nella sua preghiera ha avuto questa intuizione. Oggi dimentichiamo tutto troppo in fretta, anche il magistero della Chiesa! In parte è inevitabile, ma i grandi contenuti, le grandi intuizioni e le consegne lasciate al popolo di Dio non possiamo dimenticarle. E quella della divina misericordia è una di queste. È una consegna che lui ci ha dato, ma che viene dall’alto. Sta a noi, come ministri della Chiesa, tenere vivo questo messaggio soprattutto nella predicazione e nei gesti, nei segni, nelle scelte pastorali, ad esempio la scelta di restituire priorità al sacramento della riconciliazione, e al tempo stesso alle opere di misericordia. Riconciliare, fare pace mediante il sacramento, e anche con le parole, e con le opere di misericordia. Che cosa significa misericordia per i preti? Mi viene in mente che alcuni di voi mi hanno telefonato, scritto una lettera, poi ho parlato al telefono: «Ma Padre, perché lei ce l’ha con i preti?». Perché dicevano che io bastono i preti! Non voglio bastonare qui... Domandiamoci che cosa significa misericordia per un prete, permettetemi di dire per noi preti. Per noi, per tutti noi! I preti si commuovono davanti alle pecore, come Gesù, quando vedeva la gente stanca e sfinita come IstItuto superIore dI scIenze relIgIose ecclesIa Mater pecore senza pastore. Gesù ha le «viscere» di Dio, Isaia ne parla tanto: è pieno di tenerezza verso la gente, specialmente verso le persone escluse, cioè verso i peccatori, verso i malati di cui nessuno si prende cura... Così a immagine del buon Pastore, il prete è uomo di misericordia e di compassione, vicino alla sua gente e servitore di tutti. Questo è un criterio pastorale che vorrei sottolineare tanto: la vicinanza. La prossimità e il servizio, ma la prossimità, la vicinanza! Chiunque si trovi ferito nella propria vita, in qualsiasi modo, può trovare in lui attenzione e ascolto. In particolare, il prete dimostra viscere di misericordia nell’amministrare il sacramento della riconciliazione; lo dimostra in tutto il suo atteggiamento, nel modo di accogliere, di ascoltare, di consigliare, di assolvere... Ma questo deriva da come lui stesso vive il sacramento in prima persona, da come si lascia abbracciare da Dio Padre nella confessione, e rimane dentro questo abbraccio... Se uno vive questo su di sé, nel proprio cuore, può anche donarlo agli altri nel ministero. E vi lascio la domanda: come mi confesso? Mi lascio abbracciare? Mi viene alla mente un grande sacerdote di Buenos Aires, ha meno anni di me, ne avrà 72... Una volta è venuto da me. È un grande confessore: c’è sempre la coda lì da lui... I preti, la maggioranza, vanno da lui a confessarsi... è un grande confessore. E una volta è venuto da me: «Ma padre...»; «dimmi»; «io ho un po’ di scrupolo, perché io so che perdono troppo!»; «prega... se tu perdoni troppo...». E abbiamo parlato della misericordia. A un certo punto mi ha detto: «Sai, quando io sento che è forte questo scrupolo, vado in cappella, davanti al tabernacolo, e gli dico: “Scusami, tu hai la colpa, perché mi hai dato il cattivo esempio!” E me ne vado tranquillo». È una bella preghiera di misericordia! Se uno nella confessione vive questo su di sé, nel proprio cuore, può anche donarlo agli altri. Il prete è chiamato a imparare questo, ad avere un cuore che si commuove. I preti – mi permetto la parola – «asettici» quelli «da laboratorio», tutto pulito, tutto bello, non aiutano la Chiesa. La Chiesa oggi possiamo pensarla come un «ospedale da campo». Questo scusatemi lo ripeto, perché lo vedo così, lo sento così: un «ospedale da campo». C’è bisogno di curare le ferite, tante ferite! Tante ferite! C’è tanta gente ferita, dai problemi materiali, dagli scandali, anche nella Chiesa... Gente ferita dalle illusioni del mondo... Noi preti dobbiamo essere lì, vicino a questa gente. Misericordia significa prima di tutto curare le ferite. Quando uno è ferito, ha bisogno subito di questo, non delle analisi, come i valori del colesterolo, della glicemia... Ma c’è la ferita, cura la ferita, e poi vediamo le analisi. Poi si faranno le cure specialistiche, ma prima si devono curare le ferite aperte. Per me questo, in questo momento, è più importante. E ci sono anche ferite nascoste, perché c’è gente che si allontana per non far vedere le ferite... Mi viene in mente l’abitudine, per la legge mosaica, dei lebbrosi al tempo di Gesù, che sempre erano allontanati, per non contagiare... C’è gente che si allontana per la vergogna, per quella vergogna di non far vedere le ferite. E si allontanano forse un po’ con la Il Regno - documenti 7/2014 conferenza epIscopale ItalIana servIzIo nazIonale per Il progetto culturale SEFIR Scienza e Fede Sull’interpretazione del reale area di ricerca interdiSciplinare BANDO DI CONCORSO Presso la Scuola di formazione e ricerca che si tiene dal 15 al 18 giugno 2014 a Perugia, organizzata da SEFIR in collaborazione con il Servizio Nazionale per il Progetto Culturale della CEI d’intesa con la Diocesi di Perugia, è aperto un bando di concorso per 12 posti riservati a giovani studiosi di ambito ingegneristico e scientifico (matematica, informatica, fisica, biologia, etc.) in possesso al minimo di laurea magistrale o titoli equipollenti che sono anche invitati a presentare dei poster sul proprio lavoro scientifico. I vincitori godranno di vitto e alloggio gratuiti, e di rimborso delle spese di viaggio (200 euro al massimo). Un ulteriore compenso di 400 euro sarà erogato coloro che – previa accettazione dei direttori della scuola – presenteranno un poster sui propri interessi di ricerca scientifica. Il tema dell’edizione 2014 è: «Aspetti pluri-disciplinari delle dinamiche di relazione multi-agente», cioè tra più attori, e sarà approfondito dal punto di vista ingegneristico, biologico e sociologico. Gli «agenti» potranno essere persone singole e corpi sociali, individui sani e malati, macchine poste in relazione con soggetti umani oppure con altre macchine, ecc. La scuola prevede quattro laboratori di mezza giornata ciascuno che affronteranno dei sotto-temi appropriati e due poster session. L’ultimo giorno avrà luogo una tavola rotonda dedicata alla riflessione filosofica e teologica delle dinamiche di relazione. La Scuola SEFIR è diretta da: • GIANDOmeNICO BOffI (ordinario di Algebra, Univ. Studi Internazionali di Roma), direttore di SEFIR, • CARlO CIROttO (ordinario di Anatomia comparata e citologia, Università di Perugia). Docenti e coordinatori dei laboratori: • SeRGIO BARBAROSSA (ordinario di Telecomunicazioni, Sapienza Università di Roma, laboratorio su «Le possibilità tecniche di relazione oggi»; • GIOvANNI IACOvIttI (ordinario di Telecomunicazioni, Sapienza Università di Roma) laboratorio su «Le relazioni tra esseri umani e macchine»; • flAvIO KelleR (ordinario di Fisiologia, Università Campus Biomedico, Roma) laboratorio su «Le relazioni individuali tra esseri umani»; • SeRGIO BelARDINellI (ordinario di Sociologia dei processi culturali e comunicativi, Università di Bologna) laboratorio su «Le relazioni sociali tra esseri umani». Ognuno dei docenti sarà coadiuvato da un paio di giovani collaboratori. Tali collaboratori saranno a tutti gli effetti fruitori della scuola dall’inizio alla fine, alla pari dei partecipanti vincitori della selezione pubblica. La tavola rotonda avrà come protagonisti PIeRO CODA, ordinario di Teologia sistematica, Istituto Universitario Sophia, Incisa in Val d’Arno e mASSImO DONà, ordinario di Filosofia teoretica, Università Vita-Salute San Raffaele, Milano. La domanda di partecipazione va inviata a s e f i ra re a @ g m a i l. co m (con oggetto del messaggio: scuola di Perugia). Al modulo va allegato il curriculum vitae, comprensivo di tutti i titoli ritenuti utili ai fini della selezione, nonché un sunto dell’eventuale poster che si intende presentare. Alla fine della scuola sarà rilasciato un attestato di partecipazione con la descrizione dei contenuti trattati e la firma dei direttori. 197 F rancesco Agli uomini e alle donne mafiosi L o scorso 21 marzo, nella chiesa di San Gregorio VII in Roma, il papa ha incontrato i partecipanti alla veglia di preghiera promossa dalla Fondazione Libera in occasione della XIX Giornata della memoria e dell’impegno, in ricordo delle vittime innocenti delle mafie. Al saluto di don Luigi Ciotti, fondatore di Libera, è seguita la lettura dei nomi di 842 vittime delle mafie. Dopo la proclamazione del brano evangelico delle Beatitudini, papa Francesco ha rivolto ai presenti le parole che riportiamo di seguito (www.vatican.va). Cari fratelli e sorelle, grazie di avere fatto questa tappa a Roma, che mi dà la possibilità di incontrarvi, prima della veglia e della Giornata della memoria e dell’impegno, che vivrete stasera e domani a Latina. Ringrazio don Luigi Ciotti e i suoi collaboratori, e anche i padri francescani di questa parrocchia. Saluto anche il vescovo di Latina, mons. Crociata, qui presente. Grazie, eccellenza. Il desiderio che sento è di condividere con voi una speranza, ed è questa: che il senso di responsabilità piano piano vinca sulla corruzione, in ogni parte del mondo... E questo deve partire da dentro, dalle coscienze, e da lì risanare, risanare i comportamenti, le relazioni, le scelte, il tessuto sociale, così che la giustizia guadagni spazio, si allarghi, si radichi, e prenda il posto dell’inequità. So che voi sentite fortemente questa speranza, e voglio condividerla con voi, dirvi che vi sarò vicino anche questa notte e domani, a Latina – pur se non potrò venire fisicamente, ma sarò con voi in questo cammino, che richiede tenacia, perseveranza. In particolare, voglio esprimere la mia solidarietà a quanti tra faccia storta, contro la Chiesa, ma nel fondo, dentro c’è la ferita... Vogliono una carezza! E voi, cari confratelli – vi domando – conoscete le ferite dei vostri parrocchiani? Le intuite? Siete vicini a loro? È la sola domanda... Né manica larga né rigidità Ritorniamo al sacramento della riconciliazione. Capita spesso, a noi preti, di sentire l’esperienza dei nostri fedeli che ci raccontano di aver incontrato nella confessione un sacerdote molto «stretto», oppure molto «largo»; rigorista o lassista. E questo non va bene. Che tra i confessori ci siano differenze di stile è normale, ma queste differenze non possono riguardare la sostanza, cioè la sana dottrina morale e la misericordia. Né il lassista né il rigorista rende testimonianza a Gesù Cristo, perché né l’uno né l’altro si fa carico della persona che incontra. Il rigorista si lava le mani: infatti la inchioda alla legge intesa in modo freddo e rigido; il lassista invece si lava le mani: solo apparentemente è misericordioso, ma in realtà non prende sul serio il problema di quella coscienza, minimizzando il peccato. La vera misericordia si fa carico della persona, la ascolta attentamente, si accosta con rispetto e con verità alla sua situazione, e la accompagna nel cammino della riconciliazione. E questo è faticoso, 198 Il Regno - documenti 7/2014 voi hanno perso una persona cara, vittima della violenza mafiosa. Grazie per la vostra testimonianza, perché non vi siete chiusi, ma vi siete aperti, siete usciti, per raccontare la vostra storia di dolore e di speranza. Questo è tanto importante, specialmente per i giovani! Vorrei pregare con voi – e lo faccio di cuore – per tutte le vittime delle mafie. Anche pochi giorni fa, vicino a Taranto, c’è stato un delitto che non ha avuto pietà nemmeno di un bambino. Ma nello stesso tempo preghiamo insieme, tutti quanti, per chiedere la forza di andare avanti, di non scoraggiarci, ma di continuare a lottare contro la corruzione. E sento che non posso finire senza dire una parola ai grandi assenti, oggi, ai protagonisti assenti: agli uomini e alle donne mafiosi. Per favore, cambiate vita, convertitevi, fermatevi, smettete di fare il male! E noi preghiamo per voi. Convertitevi, lo chiedo in ginocchio; è per il vostro bene. Questa vita che vivete adesso, non vi darà piacere, non vi darà gioia, non vi darà felicità. Il potere, il denaro che voi avete adesso da tanti affari sporchi, da tanti crimini mafiosi, è denaro insanguinato, è potere insanguinato, e non potrete portarlo nell’altra vita. Convertitevi, ancora c’è tempo, per non finire all’inferno. È quello che vi aspetta se continuate su questa strada. Voi avete avuto un papà e una mamma: pensate a loro. Piangete un po’ e convertitevi. Preghiamo insieme la nostra madre Maria che ci aiuti: Ave Maria... Roma, chiesa di San Gregorio VII, 21 marzo 2014. Francesco sì, certamente. Il sacerdote veramente misericordioso si comporta come il buon samaritano... Ma perché lo fa? Perché il suo cuore è capace di compassione, è il cuore di Cristo! Sappiamo bene che né il lassismo né il rigorismo fanno crescere la santità. Forse alcuni rigoristi sembrano santi, santi... Ma pensate a Pelagio e poi parliamo. Non santificano il prete, e non santificano il fedele, né il lassismo né il rigorismo! La misericordia invece accompagna il cammino della santità, la accompagna e la fa crescere... Troppo lavoro per un parroco? È vero, troppo lavoro! E in che modo accompagna e fa crescere il cammino della santità? Attraverso la sofferenza pastorale, che è una forma della misericordia. Che cosa significa sofferenza pastorale? Vuol dire soffrire per e con le persone. E questo non è facile! Soffrire come un padre e una madre soffrono per i figli; mi permetto di dire, anche con ansia... Un bell’esame di coscienza Per spiegarmi faccio anche a voi alcune domande che mi aiutano quando un sacerdote viene da me. Mi aiutano anche quando sono solo davanti al Signore! Dimmi: tu piangi? O abbiamo perso le lacrime? Ricordo che nei messali antichi, quelli di un altro tempo, c’è una preghiera bellissima per chiedere il dono delle la- crime. Incominciava così, la preghiera: «Signore, tu che hai dato a Mosè il mandato di colpire la pietra perché venisse l’acqua, colpisci la pietra del mio cuore perché le lacrime...». Era così, più o meno, la preghiera. Era bellissima. Ma, quanti di noi piangono davanti alla sofferenza di un bambino, davanti alla distruzione di una famiglia, davanti a tanta gente che non trova il cammino? Il pianto del prete... Tu piangi? O in questo presbiterio abbiamo perso le lacrime? Piangi per il tuo popolo? Dimmi, tu fai la preghiera di intercessione davanti al tabernacolo? Tu lotti con il Signore per il tuo popolo, come Abramo ha lottato: «E se fossero meno? E se fossero 25? E se fossero 20?...» (cf. Gen 18,22-33). Quella preghiera coraggiosa di intercessione... Noi parliamo di parresia, di coraggio apostolico, e pensiamo ai piani pastorali; questo va bene, ma la stessa parresia è necessaria anche nella preghiera. Lotti con il Signore? Discuti con il Signore come ha fatto Mosè? Quando il Signore era stufo, stanco del suo popolo e gli disse: «Tu stai tranquillo... Distruggerò tutti, e ti farò capo di un altro popolo». «No, no! Se tu distruggi il popolo, distruggi anche a me!». Ma questi avevano i pantaloni! E io faccio la domanda: Noi abbiamo i pantaloni per lottare con Dio per il nostro popolo? Un’altra domanda che faccio: la sera, come concludi la tua giornata? Con il Signore o con la televisione? Com’è il tuo rapporto con quelli che aiutano a essere più misericordiosi? Cioè, com’è il tuo rapporto con i bambini, con gli anziani, con i malati? Sai accarezzarli, o ti vergogni di accarezzare un anziano? Non avere vergogna della carne del tuo fratello (cf. J.M. Bergoglio Reflexiones en esperanza, Buenos Aires 1992, c. I). Alla fine, saremo giudicati su come avremo saputo avvicinarci a «ogni carne» – questo è Isaia. Non vergognarti della carne di tuo fratello. «Farci prossimo»: la prossimità, la vicinanza, farci prossimo alla carne del fratello. Il sacerdote e il levita che passarono prima del buon samaritano non seppero avvicinarsi a quella persona malmenata dai banditi. Il loro cuore era chiuso. Forse il prete ha guardato l’orologio e ha detto: «Devo andare alla messa, non posso arrivare in ritardo alla messa», e se n’è andato. Giustificazioni! Quante volte prendiamo giustificazioni, per girare intorno al problema, alla persona. L’altro, il levita, o il dottore della legge, l’avvocato, disse: «No, non posso perché se io faccio questo domani dovrò andare come testimone, perderò tempo...». Le scuse!... Avevano il cuore chiuso. Ma il cuore chiuso si giustifica sempre per quello che non fa. Invece quel samaritano apre il suo cuore, si lascia commuovere nelle viscere, e questo movimento interiore si traduce in azione pratica, in un intervento concreto ed efficace per aiutare quella persona. Alla fine dei tempi, sarà ammesso a contemplare la carne glorificata di Cristo solo chi non avrà avuto vergogna della carne del suo fratello ferito ed escluso. Io vi confesso, a me fa bene, alcune volte, leggere l’elenco sul quale sarò giudicato, mi fa bene: è in Matteo 25. Queste sono le cose che mi sono venute in mente, per condividerle con voi. Sono un po’ alla buona, come sono venute... C’era un confessore famoso... A Buenos Aires – parlo di un altro prete – c’era un confessore famoso: questo era sacramentino. Quasi tutto il clero si confessava da lui. Quando, una delle due volte che è venuto, Giovanni Paolo II ha chiesto un confessore in Nunziatura, è andato lui. È anziano, molto anziano... Ha fatto il provinciale nel suo Ordine, il professore... ma sempre confessore, sempre. E sempre aveva la coda, lì, nella chiesa del Santissimo Sacramento. In quel tempo, io ero vicario generale e abitavo nella Curia, e ogni mattina, presto, scendevo al fax per guardare se c’era qualcosa. E la mattina di Pasqua ho letto un fax del superiore della comunità: «Ieri, mezz’ora prima della Veglia pasquale, è mancato il padre Aristi, a 94 – o 96? – anni. Il funerale sarà il tal giorno...». La mattina di Pasqua io dovevo andare a fare il pranzo con i preti della casa di riposo – lo facevo di solito a Pasqua –, e poi – mi sono detto – dopo pranzo andrò alla chiesa. Era una chiesa grande, molto grande, con una cripta bellissima. Sono sceso nella cripta e c’era la bara, solo due vecchiette lì che pregavano, ma nessun fiore. Io ho pensato: ma quest’uomo, che ha perdonato i peccati a tutto il clero di Buenos Aires, anche a me, nemmeno un fiore... Sono salito e sono andato in una fioreria – perché a Buenos Aires agli incroci delle vie ci sono le fiorerie, sulle strade, nei posti dove c’è gente – e ho comprato fiori, rose. Sono tornato e ho incominciato a preparare bene la bara, con fiori... E ho guardato il rosario che aveva in mano... E subito mi è venuto in mente – quel ladro che tutti noi abbiamo dentro, no? –, e mentre sistemavo i fiori ho preso la croce del rosario, e con un po’ di forza l’ho staccata. E in quel momento l’ho guardato e ho detto: «Dammi la metà della tua misericordia». Ho sentito una cosa forte che mi ha dato il coraggio di fare questo e di fare questa preghiera! E poi, quella croce l’ho messa qui, in tasca. Le camicie del papa non hanno tasche, ma io sempre porto qui una busta di stoffa piccola, e da quel giorno fino a oggi, quella croce è con me. E quando mi viene un cattivo pensiero contro qualche persona, la mano mi viene qui, sempre. E sento la grazia! Sento che mi fa bene. Quanto bene fa l’esempio di un prete misericordioso, di un prete che si avvicina alle ferite... Se pensate, voi sicuramente ne avete conosciuti tanti, tanti, perché i preti dell’Italia sono bravi! Sono bravi. Io credo che se l’Italia ancora è tanto forte, non è tanto per noi vescovi, ma per i parroci, per i preti! È vero, questo è vero! Non è un po’ d’incenso per confortarvi, lo sento così. La misericordia. Pensate a tanti preti che sono in cielo e chiedete questa grazia! Che vi diano quella misericordia che hanno avuto con i loro fedeli. E questo fa bene. Grazie tante dell’ascolto e di essere venuti qui. Città del Vaticano, Sala Paolo VI, 8 marzo 2014. Francesco Il Regno - documenti 7/2014 199 S anta Sede | atti di governo Nuove regole per la finanza e l’economia Nuovo statuto dell’Autorità di informazione finanziaria e nuova struttura di coordinamento Nuovo statuto dell’AIF M otu proprio Le due lettere apostoliche motu proprio emanate da papa Francesco il 15 novembre 2013 – per riformare la struttura dell’Autorità di informazione finanziaria (AIF) e approvarne il nuovo Statuto –, e il 24 febbraio 2014 – Fidelis dispensator et prudens, per istituire la nuova struttura di coordinamento per gli affari economici e amministrativi – proseguono l’impegno della Santa Sede a ricercare trasparenza e giustizia nella gestione della finanza e dell’economia. Le modifiche introdotte dal papa riguardano in particolare l’istituzione di tre istanze: una nuova Segreteria per l’economia, della quale è stato nominato prefetto l’arcivescovo di Sydney, card. George Pell; un nuovo Consiglio per l’economia, composto da otto cardinali o vescovi e sette esperti laici con competenze finanziarie e riconosciuta professionalità (i cui nomi sono stati anticipati da un comunicato della Sala stampa vaticana dell’8 marzo 2014: spicca la presidenza assegnata all’arcivescovo di Monaco, card. Reinhard Marx); un revisore generale. Stampa (2.4.2014) da sito web www.vatican.va. Il Regno - documenti 7/2014 Mediante il motu proprio La Sede apostolica, del 30 dicembre 2010, emanato per la prevenzione e il contrasto delle attività illegali in campo finanziario e monetario (cf. Regno-doc. 3,2011,74s), il mio predecessore Benedetto XVI volle istituire l’Autorità di informazione finanziaria (AIF), approvandone il primo Statuto. In seguito, per rafforzare le iniziative già prese allo scopo di prevenire e combattere sempre meglio eventuali attività illecite nel settore economico-finanziario, come pure per contrastare il finanziamento del terrorismo e la proliferazione delle armi di distruzione di massa, con il motu proprio La promozione, dell’8 agosto 2013 (cf. Regno-doc. 15,2013,473s), ho attribuito nuove funzioni all’Autorità di informazione finanziaria. Accogliendo anche i suggerimenti della Commissione referente sull’Istituto per le opere di religione (IOR) che ho istituito con chirografo del 24 giugno 2013 (cf. Regno-doc. 13,2013,408s), ho ritenuto opportuno riformare la struttura interna dell’Autorità, affinché possa meglio svolgere le funzioni istituzionali che le sono affidate e pertanto, con la presente lettera apostolica, approvo l’allegato Statuto dell’Autorità di informazione finanziaria, che sostituisce il precedente. Tutto ciò che ho deliberato con questa lettera apostolica in forma di motu proprio ordino che sia osservato in tutte le sue parti, nonostante qualsiasi cosa contraria anche se degna di particolare menzione, e stabilisco che venga promulgato mediante la pubblicazione sul quotidiano L’Osservatore romano, entrando in vigore il 21 novembre 2013. Dato a Roma, presso San Pietro, il 15 novembre dell’anno 2013, primo di pontificato. Francesco 200 S tatuto Titolo I Natura e funzioni Articolo 1. Natura e sede 1. L’Autorità di informazione finanziaria (AIF) è una Istituzione collegata con la Santa Sede a norma degli articoli 186 e seguenti della costituzione apostolica Pastor bonus. 2. L’Autorità è dotata di personalità giuridica canonica pubblica e ha sede nello Stato della Città del Vaticano. Articolo 2. Funzioni L’Autorità svolge, in piena autonomia e indipendenza, le seguenti funzioni: a) vigilanza e regolamentazione a fini prudenziali degli enti che svolgono professionalmente un’attività di natura finanziaria; b) vigilanza e regolamentazione al fine della prevenzione e del contrasto del riciclaggio e del finanziamento del terrorismo; c) informazione finanziaria. Titolo II Organi, struttura e personale Articolo 3. Organi e struttura 1. Gli organi dell’Autorità sono: a) il presidente; b) il Consiglio direttivo; c) il direttore. 2. L’Autorità è suddivisa in due uffici: a) l’ufficio per la vigilanza e la regolamentazione; b) l’ufficio per l’informazione finanziaria. 3. L’Autorità adotta le procedure e le misure necessarie per garantire la separazione operativa fra la funzione di vigilanza e regolamentazione e la funzione di informazione finanziaria. Articolo 4. Consiglio direttivo e presidente 1. Il Consiglio direttivo è composto da quattro membri e da un presidente, nominati dal sommo pontefice ad quinquennium, tra persone di provata onorabilità, senza conflitti di interessi e con una riconosciuta competenza nei campi giuridico, economico e finanziario e negli ambiti oggetto dell’attività dell’Autorità. 2. Il Consiglio direttivo svolge le seguenti funzioni: a) formula le linee di politica generale e le strategie fondamentali dell’Autorità; b) emana il Regolamento interno dell’Autorità; c) conferisce al direttore il potere di firma, secondo le modalità previste dal Regolamento interno dell’Autorità; d) adotta i regolamenti e le linee guida nei casi stabiliti dall’ordinamento; e) approva il programma delle verifiche a distanza e delle ispezioni in loco dei soggetti vigilati, predisposto dal direttore; f) irroga le sanzioni amministrative nei casi stabiliti dall’ordinamento vigente; g) propone al presidente del Governatorato l’applicazione di sanzioni amministrative nei casi stabiliti dall’ordinamento; h) approva ogni anno entro il 31 marzo il bilancio consuntivo ed entro il 31 ottobre il bilancio preventivo dell’Autorità, predisposti dal direttore; i) approva ogni anno entro il 31 marzo un rapporto pubblico contenente dati, informazioni e statistiche non riservati sull’attività svolta dall’Autorità nell’esercizio delle sue funzioni, predisposto dal direttore; j) approva ogni anno entro il 31 marzo un rapporto confidenziale per la Segreteria di stato sull’attività svolta dall’Autorità nell’esercizio delle sue funzioni, predisposto dal direttore; k) formula mediante il presidente le proposte di nomina del direttore, del vice-direttore e di assunzione del personale; l) può richiedere studi e pareri o lo svolgimento di specifiche attività ai propri membri, al direttore o a esperti esterni. 3. Il presidente svolge le seguenti funzioni: a) presiede il Consiglio direttivo; b) ha la rappresentanza legale dell’Autorità; c) ha il potere di firma. Articolo 5. Sedute del Consiglio direttivo 1. Il Consiglio direttivo è convocato dal presidente di norma ogni tre mesi, nonché ogniqualvolta sia necessario, anche su proposta di un membro del Consiglio direttivo o del direttore. 2. Le sedute sono presiedute dal presidente. In caso di sua assenza le sedute sono presiedute dal membro da lui designato. 3. Il presidente convoca le sedute, fissa l’ordine del giorno e coordina i lavori. 4. L’avviso di convocazione, contenente l’ordine del giorno, è inoltrato ai membri di norma almeno cinque giorni prima della data della riunione. Nei casi di urgenza, l’avviso di convocazione è effettuato almeno un giorno prima della seduta con telefax, posta elettronica o altro mezzo immediato di comunicazione, purché documentabile. 5. Per la validità delle sedute è necessaria la presenza di almeno tre membri. 6. Le deliberazioni del Consiglio direttivo sono prese con il voto favorevole della maggioranza dei componenti. 7. Delle sedute e delle deliberazioni deve redigersi verbale, sottoscritto dal presidente e dal segretario, da registrarsi nel libro dei verbali. 8. Il segretario è nominato dal Consiglio direttivo tra i suoi membri. 9. Il libro dei verbali e gli estratti del medesimo, certificati dal presidente e dal segretario, fanno prova delle sedute e delle deliberazioni. Il Regno - documenti 7/2014 201 S anta Sede Articolo 6. Direttore 1. Il direttore è nominato dal segretario di stato ad quinquennium, su proposta formulata dal presidente, tra persone di provata onorabilità, senza conflitti di interessi e con una riconosciuta competenza nei campi giuridico, economico e finanziario e negli ambiti oggetto dell’attività dell’Autorità. 2. Il direttore, in linea con le linee di politica generale e le strategie fondamentali stabilite dal Consiglio direttivo, svolge le seguenti funzioni: a) dirige, organizza e controlla l’attività dell’Autorità; b) propone al Consiglio direttivo la nomina del vicedirettore e l’assunzione del personale, nei limiti stabiliti dalla Tabella organica e del bilancio preventivo, partecipando alla procedura di selezione; c) sovrintende al personale, promuovendone la formazione e il costante aggiornamento e qualificazione professionale; d) adotta istruzioni e linee guida in materia di organizzazione e attività del personale; e) propone al Consiglio direttivo il programma delle verifiche a distanza e delle ispezioni in loco dei soggetti vigilati; f) nel quadro del programma approvato dal Consiglio direttivo, dispone e attua le verifiche a distanza e le ispein loco dei soggetti R1f_Reggi:Layoutzioni 1 5-03-2014 15:24 vigilati; Pagina 1 g) propone al Consiglio direttivo l’irrogazione di sanzioni amministrative, nei casi stabiliti dall’ordinamento vigente; A CURA DI ROBERTO REGGI Matteo Traduzione interlineare in italiano I l volume propone: il testo greco tratto dall’edizione interconfessionale The Greek New Testament (GNT); la traduzione interlineare, a calco, che privilegia gli aspetti morfologico-sintattici del testo greco; il testo della Bibbia CEI a piè di pagina con a margine i passi paralleli. Non si tratta di una ‘traduzione’, ma di un ‘aiuto alla traduzione’: un utile strumento di facilitazione e sostegno per affrontare le difficoltà del greco e introdursi nel testo biblico in lingua originale. «BIBBIA E TESTI BIBLICI» pp. 112 - € 11,00 Edizioni Dehoniane Bologna Via Scipione Dal Ferro, 4 - 40138 Bologna Tel. 051 3941511 - Fax 051 3941299 www.dehoniane.it 202 h) propone al Consiglio direttivo entro il 28 febbraio il bilancio consuntivo ed entro il 30 settembre il bilancio preventivo dell’Autorità; i) propone al Consiglio direttivo entro il 28 febbraio un rapporto pubblico annuale contenente dati, informazioni e statistiche non riservati sull’attività svolta dall’Autorità nell’esercizio delle sue funzioni; j) propone al Consiglio direttivo entro il 28 febbraio un rapporto confidenziale per la Segreteria di stato sull’attività svolta dall’Autorità nell’esercizio delle sue funzioni; k) partecipa alle sedute del Consiglio direttivo, senza diritto di voto; l) partecipa alle sedute del Comitato di sicurezza finanziaria; m) trasmette rapporti, documenti, dati e informazioni al promotore di giustizia presso il Tribunale dello Stato della Città del Vaticano, nei casi stabiliti dall’ordinamento vigente; n) partecipa alle delegazioni della Santa Sede presso le istituzioni finanziarie e gli organismi tecnici internazionali competenti in materia di prevenzione e contrasto del riciclaggio e del finanziamento del terrorismo; o) propone al Consiglio direttivo le linee di politica generale e le strategie fondamentali per la collaborazione internazionale; p) ha potere di firma, se delegato dal Consiglio direttivo, inclusa la stipula di protocolli d’intesa con autorità analoghe di altri stati, nei casi stabiliti dall’ordinamento vigente. 3. Il direttore è coadiuvato da un vice-direttore, nominato dal segretario di stato ad quinquennium, su proposta formulata dal presidente, tra persone di provata onorabilità, senza conflitti di interessi e con una riconosciuta competenza nelle materie giuridiche, economiche e finanziarie e negli ambiti oggetto dell’attività dell’Autorità. 4. Il vice-direttore sostituisce il direttore in caso di sua assenza. 5. Per la nomina e il rapporto di lavoro del direttore e del vice-direttore si attuano, in quanto applicabili, i principi e le norme stabiliti nel Regolamento per il personale dirigente laico della Santa Sede e dello Stato della Città del Vaticano del 22 ottobre 2012, come eventualmente integrato e modificato. Articolo 7. Personale 1. L’Autorità è dotata di risorse umane e materiali adeguate alle sue funzioni istituzionali, nei limiti stabiliti dalla Tabella organica. 2. I capi ufficio, i membri del personale e gli esperti esterni sono scelti tra persone di provata onorabilità, senza conflitti di interessi e con un alto livello di preparazione nei campi giuridico, economico e finanziario e negli ambiti oggetto dell’attività dell’Autorità. 3. I capi ufficio sono nominati con biglietto del segretario di stato, su proposta formulata dal presidente. 4. Per l’assunzione e il rapporto di lavoro del personale si attuano, in quanto applicabili, i principi e le norme stabiliti nel Regolamento generale della curia roIl Regno - documenti 7/2014 mana del 30 aprile 1999, e nel Regolamento della commissione indipendente di valutazione per le assunzioni di personale laico presso la sede apostolica del 20 novembre 2012, come eventualmente integrati e modificati. Titolo III Accesso alle informazioni e collaborazione a livello interno e internazionale Articolo 8. Accesso alle informazioni e collaborazione a livello interno e internazionale L’Autorità accede ai documenti, dati e informazioni, collabora e scambia informazioni a livello interno e internazionale nei casi stabiliti dall’ordinamento. Articolo 9. Protezione dei documenti, dati e informazioni Tutti i documenti, dati e informazioni posseduti dall’Autorità sono: a) utilizzati esclusivamente ai fini stabiliti dall’ordinamento; b) protetti al fine di garantire la loro sicurezza, integrità e riservatezza; c) coperti dal segreto d’ufficio. Articolo 10. Norma finale Per quanto non previsto dal presente Statuto, si applicano le disposizioni canoniche e civili vaticane. Nuova struttura di coordinamento M otu proprio Fidelis dispensator et prudens (Lc 12,42). Come l’amministratore fedele e prudente ha il compito di curare attentamente quanto gli è stato affidato, così la Chiesa è consapevole della responsabilità di tutelare e gestire con attenzione i propri beni, alla luce della sua missione di evangelizzazione e con particolare premura verso i bisognosi. In special modo, la gestione dei settori economico e finanziario della Santa Sede è intimamente legata alla sua specifica missione, non solo al servizio del ministero universale del santo padre, ma anche in relazione al bene comune, nella prospettiva dello sviluppo integrale della persona umana. Dopo aver considerato attentamente i risultati del lavoro della Commissione referente di studio e indirizzo sull’organizzazione della struttura economicoamministrativa della Santa Sede (cf. chirografo del 18 luglio 2013), dopo essermi consultato con il Consiglio dei cardinali per la riforma della costituzione aposto- lica Pastor bonus e con il Consiglio di cardinali per lo studio dei problemi organizzativi ed economici della Santa Sede, con questa lettera apostolica in forma di motu proprio stabilisco quanto segue. Consiglio per l’economia 1. È istituito il Consiglio per l’economia, con il compito di sorvegliare la gestione economica e di vigilare sulle strutture e sulle attività amministrative e finanziarie dei dicasteri della curia romana, delle istituzioni collegate con la Santa Sede e dello Stato della Città del Vaticano. 2. Il Consiglio per l’economia è composto di quindici membri, otto dei quali sono scelti tra cardinali e vescovi in modo da rispecchiare l’universalità della Chiesa e sette sono esperti laici di varie nazionalità, con competenze finanziarie e riconosciuta professionalità. 3. Il Consiglio per l’economia è presieduto da un cardinale coordinatore. Segreteria per l’economia 4. È istituita la Segreteria per l’economia, quale dicastero della curia romana secondo la costituzione apostolica Pastor bonus. 5. Tenendo conto di quanto stabilito dal Consiglio per l’economia, la Segreteria risponde direttamente al santo padre e attua il controllo economico e la vigilanza sugli enti di cui al punto 1, come pure le politiche e le procedure relative agli acquisti e all’adeguata allocazione delle risorse umane, nel rispetto delle competenze proprie di ciascun ente. La competenza della Segreteria si estende pertanto a tutto ciò che in qualunque maniera rientra nell’ambito in oggetto. 6. La Segreteria per l’economia è presieduta da un cardinale prefetto, il quale collabora con il segretario di stato. Un prelato segretario generale ha il compito di coadiuvare il cardinale prefetto. Revisore generale 7. Il revisore generale è nominato dal santo padre e ha il compito di compiere la revisione contabile (audit) degli enti di cui al punto 1. Gli statuti 8. Il cardinale prefetto è responsabile della stesura degli Statuti definitivi del Consiglio per l’economia, della Segreteria per l’economia e dell’ufficio del revisore generale. Gli statuti saranno presentati quam primum all’approvazione del santo padre. Dispongo che quanto stabilito abbia immediato, pieno e stabile valore, anche abrogando tutte le disposizioni incompatibili e che la presente lettera apostolica in forma di motu proprio sia pubblicata su L’Osservatore romano del 24-25 febbraio 2014 e successivamente negli Acta Apostolicae Sedis. Dato a Roma, presso San Pietro, il 24 febbraio 2014, primo di pontificato. Francesco Il Regno - documenti 7/2014 203 S anta Sede | vita religiosa Con amaro sbigottimento C Lettera circolare di p. Fidenzio Volpi ai Frati francescani dell’Immacolata «Con amaro sbigottimento ho preso atto di disobbedienze e intralci alla mia azione, di atteggiamenti di sospetto e di critica verso la Chiesa». Con queste parole p. Fidenzio Volpi, commissario apostolico per i Francescani dell’Immacolata, si è rivolto ai membri dell’Istituto in una lettera circolare datata 8 dicembre 2013. Nella stessa – in origine riservata, ma fatta trapelare – egli traccia un quadro grave della vita interna e parla dell’opposizione, «più o meno esplicita e virulenta», incontrata nei primi mesi del suo incarico. Riscontra la «mancanza in tanti di libertà e responsabilità di pensiero e di azione»; il «“terrore reverenziale” verso le autorità deposte»; il trasferimento della «disponibilità di beni mobili e immobili a fedeli laici, noti figli spirituali e familiari del fondatore». Inoltre, l’interesse «spasmodico» e sgarbato di alcuni media («soprattutto diversi siti Internet») per la vicenda, scrive Volpi, testimonia come l’Istituto sia in realtà divenuto «il campo di battaglia per una lotta tra correnti curiali e soprattutto il luogo di opposizioni al nuovo pontificato». Chiudono la lettera alcune severe disposizioni disciplinari. Stampa (20.1.2014) da sito web vaticaninsider.lastampa.it. Titolazione redazionale. Il Regno - documenti 7/2014 arissimi confratelli, pace e bene e Ave Maria! A distanza di circa cinque mesi dalla mia nomina a commissario apostolico del «nostro» Istituto, sento il desiderio e la necessità – come uomo, religioso, sacerdote e commissario – di rivolgermi a voi tutti. L’occasione propizia è data dalla solennità dell’Immacolata concezione, a noi tutti particolarmente cara per il legame specialissimo che i figli del Serafico hanno con la Virgo Ecclesia facta. Naturalmente le imminenti solennità del Natale, del capodanno e dell’Epifania sono occasioni di grazia che potranno rendere più chiare, rassicuranti e fruttuose le mie parole. Come sapete, l’attenzione materna della Chiesa per ogni singolo istituto religioso si esprime anche con questo ufficio del «commissariamento» – da me ricevuto e assunto in obbedienza dal santo padre (Regnodoc. 19,2013,606) – con cui essa intende aiutare le famiglie religiose, quando in queste si evidenziano difficoltà interne tali da non poter essere superate senza un aiuto diretto della suprema autorità della Chiesa; e ciò per salvaguardare l’unità della stessa famiglia religiosa e l’autenticità del suo carisma che, riconosciuto dalla Chiesa, da questa viene anche precisato nel caso di interpretazioni diverse. Ogni carisma, infatti, è dato per il bene di tutto il corpo mistico di Cristo (cf. Concilio ecumenico Vaticano II, cost. dogm. Lumen gentium, n. 7; EV 1/296ss) e non solo per l’utilità di coloro che lo professano. La recentissima esortazione apostolica Evangelii gaudium di papa Francesco ha tanti punti (cf. nn. 93-95; Regno-doc. 21,2013,659s) che possono ottimamente aiutare anche i Francescani dell’Immacolata in questo momento «critico» per l’Istituto. Vi invito a leggerla e a meditarla con cuore aperto e fedele. Mi piace qui citare almeno questa frase: «Lo Spirito Santo arricchisce tutta la Chiesa che evangelizza anche con diversi carismi. Essi sono doni per rinnovare ed edificare la Chiesa. Non sono un patrimonio chiuso, consegnato a un gruppo perché lo custodisca; piuttosto si tratta di regali dello Spirito integrati nel 204 corpo ecclesiale, attratti verso il centro che è Cristo, da dove s’incanalano in una spinta evangelizzatrice. Un chiaro segno dell’autenticità di un carisma è la sua ecclesialità, la sua capacità di integrarsi armonicamente nella vita del popolo santo di Dio per il bene di tutti. Un’autentica novità suscitata dallo Spirito non ha bisogno di gettare ombre sopra altre spiritualità e doni per affermare se stessa. Quanto più un carisma volgerà il suo sguardo al cuore del Vangelo, tanto più il suo esercizio sarà ecclesiale. È nella comunione, anche se costa fatica, che un carisma si rivela autenticamente e misteriosamente fecondo. Se vive questa sfida, la Chiesa può essere un modello per la pace nel mondo. Le differenze tra le persone e le comunità a volte sono fastidiose, ma lo Spirito Santo, che suscita questa diversità, può trarre da tutto qualcosa di buono e trasformarlo in dinamismo evangelizzatore che agisce per attrazione» (nn. 130-131; Regno-doc. 21,2013,666). Disobbedienze, intralci, mancanza di libertà... Poiché l’Istituto mi sta veramente a cuore, chiedo anzitutto scusa se, pur senza volerlo, avessi con i miei modi urtato la sensibilità di qualcuno. Chiedo scusa anche per il fatto di non aver ancora incontrato tutti quanti voi. Ho però incontrato tanti, e con partecipazione ho letto e raccolto le lacrime di sofferenza scaturite dal loro cuore. Permettetemi allora di dirvi con tanta franchezza che c’è bisogno da parte di tutti i membri dell’Istituto di un grosso cammino di fede, di umiltà e di fiducia. Con amaro sbigottimento ho preso atto di disobbedienze e intralci alla mia azione, di atteggiamenti di sospetto e di critica verso la Chiesa che è nostra madre, fino alla calunnia di attribuirle la «distruzione del carisma» (sic), attraverso la mia persona. Altra constatazione è la mancanza in tanti di una libertà e responsabilità di pensiero e di azione. Si vive di paure e di «terrore reverenziale» verso le autorità deposte. Ricordo che nella lettera con cui mi presentavo all’Istituto elencavo quattro punti che il commissario apostolico doveva verificare: modalità del governo dell’Istituto; formazione religiosa ed educativa; gestione economica dello stesso Istituto e comunione tra i membri. Proprio nei confronti di essi, alcuni religiosi – tra i più anziani dell’Istituto, ma non solo – hanno sollevato difficoltà a suo tempo. Non si trattava semplicemente dell’opportunità dell’adozione del Vetus ordo, ma anche di uno stile di governo, di formazione incipiente e permanente, di economia e amministrazione non conformi in tutto alle direttive e alla dottrina della Chiesa. Un discorso a parte era ed è costituito dai rapporti con le Suore francescane dell’Immacolata. Contrariamente a quanto è stato per altri Istituti nel corso degli ultimi anni, il provvedimento della Congregazione dei religiosi, applicato nel nostro caso in forma specifica dal Vicario di Cristo, ossia il commissariamento dell’Istituto, ha immediatamente incontrato all’interno e all’esterno un’opposizione più o meno esplicita e virulenta. Un «campo di battaglia» al nuovo pontificato Innanzitutto, sono stati coinvolti i mezzi di comunicazione, soprattutto diversi siti Internet, che si sono schierati, nella maggior parte dei casi, contro tale provvedimento, divulgando notizie riservate che soltanto pochi dei nostri stessi confratelli potevano conoscere e ne avevano i carteggi. Successivamente si sono attaccati con accenti anche offensivi i primi cinque religiosi che all’inizio hanno fatto ricorso alla Santa Sede – conforme al loro diritto – e tutti quelli che hanno prestato con buona volontà la loro collaborazione al commissario. Questo in vista di attivare la nota e immorale tecnica della «macchina del fango» per delegittimarli dalle responsabilità che sono state loro affidate dalla volontà di Dio, attraverso l’obbedienza, e renderli quindi poco autorevoli e credibili. Ben per tutti, per me e la Congregazione per i religiosi, si è prodotto l’effetto contrario! Più erano calunniati e diffamati, più li abbiamo ammirati. Siamo, come vedete, molto lontani dallo spirito della Regola: «Poiché se la madre nutre e ama il suo figlio carnale, con quanto più affetto uno deve amare e nutrire il suo fratello spirituale?» (n. 6). Più che «nutrire il fratello», anche in senso di edificazione reciproca, lo si è dato «in pasto ai porci» stravolgendo l’ordine dei valori. Mai ho sentito nei vostri confratelli, quelli che sono oggetto di dileggio mediatico, critiche contro i fondatori. Sono rimasto edificato dal loro amore alla Chiesa e all’Istituto, dalla loro dottrina, dalla loro ricerca di giustizia. Tutt’altro atteggiamento ho notato in coloro che si sentivano irremovibili nei loro incarichi, perché «più esperti» di coloro che ne hanno preso il posto, considerati «loro ex-alunni». Essi dimenticano l’adagio secondo il quale, alle volte, «l’allievo supera il maestro». Naturalmente tanti e tanti laici sono stati «mobilitati» in quest’opera, a dir poco, di «opposizione». Mi sono chiesto il perché di questo spasmodico interessamento alla vicenda e ho concluso che l’Istituto era diventato il campo di battaglia per una lotta tra correnti curiali e soprattutto il luogo di opposizioni al nuovo pontificato di papa Francesco. Non è un caso se Fellay in persona ne parla. Io avrei preferito che ne parlasse bene (di voi) l’insieme dei vescovi e il «vescovo di Roma» in particolare. Purtroppo debbo rivelarvi che ho ricevuto, invece, testimonianze negative anche da diversi ordinari in Italia e all’estero. Il Regno - documenti 7/2014 205 R2f_Messale:Layout 1 31/01/14 08.44 Pagina 1 S anta Sede Messale festivo All’interno poi dell’Istituto il malumore si è manifestato con continue difficoltà sollevate da singoli religiosi – alcuni dei quali direttamente impegnati nella formazione – alle disposizioni obbedienziali date da me. Azioni «gravemente illecite» Cosa poi estremamente grave – ve ne porto a conoscenza ufficialmente solo ora – è stato il trasferimento delle disponibilità dei beni mobili e immobili dell’Istituto a fedeli laici, noti figli spirituali e familiari del fondatore, p. Stefano M. Manelli, nonché ad alcuni genitori di suore. Tali operazioni gravemente illecite sotto il profilo morale e canonico, con risvolti anche in ambito civile e penale, sono state fatte dopo la nomina del commissario apostolico, manifestando così la volontà di sottrarre tali fondi al controllo della Santa Sede e di privare l’Istituto dei frati francescani dell’Immacolata dei necessari mezzi per il mantenimento dei religiosi e, soprattutto, per le opere di apostolato, in particolare delle missioni. Chi ha fatto o permesso tutto ciò è caduto in gravi mancanze e, se religioso, è passibile di severe sanzioni canoniche. Una simile cosa è avvenuta anche per le opere di apostolato: editrice, televisione... Da segnalare, infine, trasferimenti di denaro – sempre in pieno commissariamento – a soggetti che formalmente non vantavano nessuno credito nei nostri confronti, da parte di chi non ne aveva più l’autorità e l’autonomia operativa. A tutto ciò si aggiunga la raccolta furtiva di firme di religiosi – senza nemmeno informarne il sottoscritto – sollecitata dagli esponenti più in vista dell’Istituto, in Italia e nelle case fuori d’Italia, con cui si richiedeva alla Santa Sede la fondazione di un nuovo Istituto, caratterizzato soprattutto dall’adozione del Vetus ordo come ordinario. Tali firme sono state spesso estorte con l’inganno, come attestato da diverse lettere che ho ricevute da singoli religiosi, i quali poi hanno ritrattato quanto precedentemente sottoscritto. Ad alcuni è stato persino mostrato un foglio in lingua italiana, idioma da essi non conosciuto! Letture bibliche dal Nuovo Lezionario CEI COMMENTI DI FRATEL MICHAELDAVIDE I l Messale quotidiano con gli apprezzati commenti di fratel MichaelDavide è ora proposto con i soli testi per la liturgia domenicale, unitamente ai giorni di festa e alle solennità. In formato tascabile, l’ingombro ridotto non pregiudica la leggibilità, grazie all’utilizzo di due colori nell’impaginazione. Una rubricatura visibile sul taglio della pagina permette di individuare velocemente le varie parti in cui il volume è struttu- Una mentalità «distorta» Ringraziando il Signore, ho certamente incontrato molti religiosi sinceramente preoccupati per l’avvenire dell’Istituto, soprattutto della sua fedeltà al carisma e alla Chiesa, due aspetti assolutamente inscindibili. Ma, purtroppo, molti altri frati identificano l’Istituto con la persona stessa del fondatore, che è circondato da una specie di aureola di infallibilità, e vedono nell’intervento della Chiesa una specie di abuso di ciò che, a loro parere, sarebbe intoccabile e quasi proprietà privata dello stesso fondatore. Tutto questo rivela gravi errori in campo ecclesiologico, circa principi fondamentali della vita religiosa, e rivela una grande povertà spirituale e una dipen- rato. Numerosi e dettagliati indici facilitano la ricerca. «LITURGIA VIVA» pp. 888 - € 17,50 DELLA MESSALE QUOTIDIANO Festivo e feriale STESSA SERIE pp. 2552 - € 39,50 www.dehoniane.it 206 Il Regno - documenti 3/2014 denza psicologica incompatibile con quella «libertà dei figli di Dio» che si presuppone in chi s’impegna in una donazione totale al Signore per mezzo della consacrazione religiosa. L’obbedienza, come ha rilevato il concilio Vaticano II, non è un automatismo succube, ma l’assunzione responsabile della volontà di Dio espressa dalla legittima autorità (cf. Vaticano II, decr. Perfectae caritatis, n. 14; EV 1/746ss). Questa autorità non va identificata con questa o quell’altra persona, anche se fondatore, ma con Cristo stesso che parla attraverso la Chiesa gerarchica, di cui il superiore legittimo è espressione immediata, in tanto e in quanto questi è fedele alla stessa Chiesa. Al momento attuale, come tutti sapete, il superiore dell’Istituto voluto dalla Chiesa è il commissario apostolico, ossia la mia povera persona. Alla formazione di questa mentalità «distorta» hanno contribuito non poco alcune esponenti di spicco delle Suore francescane dell’Immacolata, le quali hanno influenzato fortemente anche lo stile di vita del ramo maschile. Tale mentalità è stata purtroppo rilevata anche presso molti laici appartenenti ai gruppi Missione dell’Immacolata mediatrice (MIM) e del Terz’ordine (TOFI), e ha provocato tra i fedeli gravi scandali che mettono in pericolo non solo l’apostolato di questi gruppi ma la stessa integrità della fede dei suoi membri. Disposizioni del commissario Avendo presenti tutti questi elementi appena elencati – che sono stati debitamente portati a conoscenza della Congregazione dei religiosi – e in forza dell’autorità conferitami dalla stessa Congregazione, dispongo quanto segue che avrà esecuzione immediata: – Lo Studio teologico «Immacolata mediatrice» (STIM) è sospeso fino a nuovo ordine, cioè sono interrotti gli studi. Inoltre, gli studenti del biennio filosofico si trasferiranno nella casa madre di Frigento, frequentando – allorché sarà loro dato licenza dal sottoscritto – lo Studio teologico interdiocesano di Benevento; gli studenti del triennio teologico, invece, andranno presso la casa generalizia di Roma, in Via Boccea, dove frequenteranno – a tempo e a luogo – le università pontificie dell’Urbe. In conseguenza di questi trasferimenti, la Casa mariana di Sassoferrato verrà chiusa. – Rimarranno sospese per un anno le ordinazioni diaconali e sacerdotali. Inoltre, i candidati che adesso sono in formazione dovranno sottoscrivere personalmente un’accettazione formale del Novus ordo, quale espressione autentica della tradizione liturgica della Chiesa e dunque della tradizione francescana (fermo restando quanto permesso dal motu proprio Summorum pontificum, una volta revocata l’attuale disposizione disciplinare di veto, ad hoc e ad tempus, per l’Istituto), e dei documenti del concilio Vaticano II, secondo l’autorità riconosciuta loro dal magistero. Chi non accettasse tali disposizioni verrà immediatamente dimesso dall’Istituto. – Ogni religioso dovrà chiaramente e formalmente manifestare per iscritto la volontà di continuare il proprio cammino nell’Istituto dei Francescani dell’Immacolata, secondo il carisma francescano-mariano, nello spirito di san Massimiliano M. Kolbe, secondo le direttive sulla vita religiosa contenute nei documenti del concilio Vaticano II. – I gruppi MIM dell’Italia sono formalmente sospesi fino a quando non mi giungerà, come da circolare precedente, un’adesione formale alla nuova autorità. Lo stesso dicasi del TOFI. Saranno nominati dal commissario apostolico tre religiosi a cui i membri di detti gruppi potranno far riferimento per tutti i chiarimenti in materia. – Si costituirà una commissione economica che ausilierà l’amministratore generale nella sua opera, con il consiglio anche di legali ed esperti in questo campo. – Si rivedranno le norme relative alla collaborazione nel campo apostolico con l’Istituto delle francescane dell’Immacolata, onde evitare indebite ingerenze. Nel frattempo i nostri religiosi, che a qualsiasi titolo collaborano con le pubblicazioni del suddetto Istituto, sono tenuti a sospendere tale collaborazione. È sospesa anche la diffusione pubblica, da parte dei frati, delle edizioni di Casa mariana. Riguardo all’assistenza spirituale delle religiose Suore francescane dell’Immacolata e delle Clarisse dell’Immacolata, ogni caso sarà valutato attentamente e sottoposto alla mia approvazione. Faccio obbligo formale ai guardiani (e ai vicari delle case filiali), di leggere la presente lettera a tutti i membri di ogni singola comunità, conservandola poi debitamente nei rispettivi archivi. Cari confratelli, la docilità amorosa alla volontà di Dio della vergine Immacolata e del suo casto sposo san Giuseppe siano per tutti noi di esempio e di sprone! L’umiltà, l’obbedienza, il distacco dimostrati dal Figlio di Dio, nostro Signore Gesù Cristo, nel suo Natale a Betlemme, ci insegnino la strada da seguire per trovare anche noi, finalmente, come i pastori e i magi, la luce, la pace e la salvezza! Amen! Affidando tutti alla materna protezione della vergine Immacolata, di cui san Massimiliano M. Kolbe è stato il nobile cavaliere che imitò nei nostri tempi l’eroismo del serafico padre san Francesco, impartisco a tutti e a ognuno la serafica benedizione, mentre vi chiedo una fervorosa e costante preghiera per il mio delicato e importante servizio. Resto a vostra disposizione per qualunque chiarimento e necessità. Fraternamente, p. Fidenzio Volpi ofmcapp, commissario apostolico per i Frati francescani dell’Immacolata Roma, 8 dicembre 2013, solennità dell’Immacolata concezione. Il Regno - documenti 7/2014 207 S anta Sede | scuola cattolica Educare al dialogo interculturale I Congregazione per l’educazione cattolica ntroduzione La composizione multiculturale delle nostre società impone oggi a chi si occupa di educazione una sfida centrale in vista del futuro: «Rendere possibile la convivenza fra la diversità delle espressioni culturali e promuovere un dialogo che favorisca una società pacifica». Della questione si occupa il nuovo documento curato dalla Congregazione per l’educazione cattolica – Educare al dialogo interculturale nella scuola cattolica. Vivere insieme per una civiltà dell’amore – presentato lo scorso 19 dicembre nella Sala stampa vaticana. Il documento, che porta non casualmente la data del 28 ottobre 2013, 48° anniversario della dichiarazione conciliare sull’educazione cattolica, «raccoglie l’esperienza e la riflessione di molte persone e dà solidi fondamenti evangelici, teologici e filosofici, alla pratica del dialogo interculturale» – ha rilevato il segretario della Congregazione, mons. Zani –, e va considerato «come una tappa di un percorso che la Congregazione per l’educazione cattolica ha iniziato verso il 2015», anno nel quale saranno celebrati il 50° della Gravissimum educationis e il 25° della costituzione apostolica Ex corde Ecclesiae, il testo di riferimento per le università cattoliche. Stampa (11.3.2014) da sito web www.vatican.va. Il Regno - documenti 7/2014 La composizione multiculturale delle odierne società, favorita dalla globalizzazione, è divenuta un dato di fatto. La presenza simultanea di culture diverse rappresenta una grande risorsa quando l’incontro tra differenti culture viene vissuto come fonte di reciproco arricchimento. Può anche costituire un problema rilevante, quando la multiculturalità viene vissuta come minaccia alla coesione sociale, alla salvaguardia e all’esercizio dei diritti dei singoli o dei gruppi. Non è facile la realizzazione di un rapporto equilibrato e pacifico tra culture preesistenti e nuove culture, spesso caratterizzate da usi e costumi che sono in contrasto. La società multiculturale è da tempo oggetto delle preoccupazioni dei governi e delle organizzazioni internazionali. Anche nella Chiesa, istituzioni e organizzazioni educative e accademiche, sia in ambito internazionale che nazionale e locale, si sono interessate allo studio del fenomeno e hanno avviato specifici progetti. L’educazione si trova a essere impegnata in una sfida centrale per il futuro: rendere possibile la convivenza fra la diversità delle espressioni culturali1 e promuovere un dialogo che favorisca una società pacifica. Tale itinerario passa attraverso alcune tappe che portano a scoprire la multiculturalità nel proprio contesto di vita, a superare i pregiudizi vivendo e lavorando insieme, a educarsi «attraverso l’altro» alla mondialità e alla cittadinanza. Promuovere l’incontro tra diversi, aiuta a comprendersi reciprocamente, ma non deve far abdicare alla propria identità. È grande la responsabilità delle scuole, che sono chiamate a sviluppare nei loro progetti educativi la dimensione del dialogo interculturale. Si tratta di un obbiettivo arduo, difficile da raggiungere, ma necessario. L’educazione, per sua natura, richiede apertura alle altre culture – senza la perdita della propria identità – e accoglienza dell’altro, per evitare il rischio di una cultura chiusa in se stessa e limitata. Pertanto, è indispensabile che i giovani apprendano, attraverso l’esperienza scolastica e accademica, strumenti teorici e pratici che consentano loro una maggior conoscenza degli altri e di sé, dei valori della propria e delle altre culture. Un confronto aperto e dina- 208 mico, poi, aiuta a comprendere le differenze per evitare che generino conflitti, divenendo al contrario occasione di arricchimento reciproco e di armonia. In un tale contesto, le scuole cattoliche sono chiamate a portare il loro contributo in ragione della propria tradizione pedagogica e culturale, e alla luce di solidi progetti educativi. L’attenzione alla dimensione interculturale non è nuova alla tradizione della scuola cattolica, abituata ad accogliere alunni provenienti da ambienti culturali e religiosi diversi, ma oggi è richiesta, in questo ambito, una fedeltà al proprio progetto educativo coraggiosa e innovativa.2 Questo è vero in tutti i contesti nei quali si realizza la presenza di scuole cattoliche, tanto nei paesi dove la comunità cattolica è in minoranza, quanto in quelli dove la tradizione del cattolicesimo è più radicata. Nei primi è sollecitata la capacità di testimonianza e di dialogo, senza cadere nel rischio di un comodo relativismo, secondo il quale tutte le religioni si equivalgono e sono manifestazioni di un Assoluto che nessuno può veramente conoscere; negli altri paesi si tratta di dare una risposta ai tanti giovani «senza domicilio religioso», frutto di un contesto sempre più secolarizzato. La Congregazione per l’educazione cattolica, fedele al compito di approfondire i principi dell’educazione cattolica che le è stato affidato dopo il concilio ecumenico Vaticano II, intende offrire un contributo per suscitare e orientare l’educazione al dialogo interculturale nelle scuole e negli istituti educativi cattolici. Pertanto, i principali destinatari del presente documento sono: i genitori, responsabili primi e naturali dell’educazione dei figli, nonché gli organismi che rappresentano la famiglia nella scuola; i dirigenti, i docenti e il personale delle scuole cattoliche che con gli studenti compongono la comunità educativa; le commissioni episcopali nazionali e diocesane; gli istituti religiosi, i vescovi, i movimenti, le associazioni di fedeli e altri organismi che hanno la sollecitudine pastorale dell’educazione. Siamo lieti, inoltre, di offrirlo come mezzo di dialogo e di riflessione anche a tutti quelli che hanno a cuore l’educazione della persona per la costruzione di una società pacifica e solidale. I. Il contesto Cultura e pluralità di culture 1. La cultura è espressione peculiare dell’essere umano, suo specifico modo di essere e di organizzare la propria presenza nel mondo. Grazie alle risorse del patrimonio culturale di cui è dotato sin dalla nascita, egli è perciò in grado di realizzare uno sviluppo sereno ed equilibrato di se stesso, in una sana relazione con l’ambiente in cui vive e con gli altri esseri umani. Il pur necessario 1 Cf. UNESCO, Convenzione per la protezione e promozione della diversità delle espressioni culturali, Parigi, 20.10.2005, art. 4. 2 Cf. Congregazione per l’educazione cattolica, La scuola cattolica alle soglie del terzo millennio, 28.12.1997, n. 3; EV 16/1844. e vitale legame con la propria cultura non lo obbliga, tuttavia, a una chiusura autoreferenziale, essendo pienamente compatibile con l’incontro e la conoscenza delle altre culture. Le diversità culturali rappresentano, in verità, una ricchezza e vanno comprese come espressioni della fondamentale unità del genere umano. 2. Uno dei fenomeni epocali del nostro tempo, che particolarmente investe l’ambito della cultura, è quello della globalizzazione. Facilitando la comunicazione tra le varie aree del mondo e coinvolgendo tutti i settori dell’esistenza, essa ha manifestato la pluralità di culture che caratterizza l’esperienza umana. Non si tratta però solo di un aspetto teorico o generale: ogni singola persona, infatti, ha continuamente a che fare con informazioni e relazioni che provengono, in tempo reale, da ogni parte del mondo e incontra, nella sua quotidianità, una varietà di culture, confermando così il sentimento di far sempre più parte di una sorta di «villaggio globale». 3. Tale grande varietà di culture, tuttavia, non è la dimostrazione di ancestrali divisioni preesistenti, ma è piuttosto il frutto di quel continuo mescolamento di popolazioni che viene anche definito come «meticciato» o «ibridazione» della famiglia umana nel corso della storia, e che fa sì che non esista una cultura «pura». Le differenti condizioni ambientali, storiche e sociali hanno introdotto un’ampia diversità all’interno dell’unica comunità umana, nella quale peraltro «ogni essere umano è persona, cioè una natura dotata di intelligenza e di volontà libera; e quindi è soggetto di diritti e di doveri che scaturiscono immediatamente e simultaneamente dalla sua stessa natura: diritti e doveri che sono perciò universali, inviolabili, inalienabili».3 4. L’attuale fenomeno della multiculturalità, legato all’avvento della globalizzazione, rischia ora di accentuare in termini problematici tale «diversità nell’unità», che caratterizza l’orizzonte culturale dell’essere umano. Emerge, infatti, una forte ambivalenza nella dinamica del confronto sempre più ravvicinato tra le molteplici culture: da un lato, si impone la spinta verso forme di maggiore omologazione e, dall’altro, si fa spazio l’esaltazione della peculiarità delle differenti culture. Sotto la pressione della mobilità umana, delle comunicazioni di massa, di Internet, di social network e soprattutto dell’enorme diffusione dei consumi e dei prodotti che hanno condotto a una «occidentalizzazione» del mondo, è legittimo interrogarsi circa la sorte che spetta alla differenza di ogni cultura. Nello stesso tempo, però, pur restando forte questa inesorabile tendenza all’uniformità culturale, sono vivi e attivi molti elementi di varietà e distinzione tra i gruppi, che non di rado accentuano reazioni di fondamentalismo e di chiusura autoreferenziale. In tale modo il pluralismo e la varietà di tradizioni, di costumi e di lingue, che costituiscono di per sé motivo di arricchimento reciproco e di sviluppo, possono condurre a una esasperazione del dato identitario che sfocia in scontri e conflitti. 3 Giovanni XXIII, lett. enc. Pacem in terris, 11.4.1963, n. 5; EV 2/3. Il Regno - documenti 7/2014 209 S anta Sede 5. Sarebbe, però, sbagliato ritenere che siano le differenze etniche e culturali la causa dei tanti conflitti che agitano il mondo. Questi ultimi, in verità, hanno radici politiche, economiche, etniche, religiose, territoriali, non certo esclusivamente o prioritariamente culturali. L’elemento culturale, storico e simbolico, viene invece utilizzato per mobilitare le persone, fino al punto di stimolare la violenza che si radica in elementi di competitività economica, scontro sociale, assolutismo politico. 6. La crescente caratterizzazione multiculturale della società e il rischio che, contro la loro vera natura, le stesse culture vengano utilizzate come elemento di contrapposizione e conflitto, sono fattori che spingono ancor più al compito di costruire relazioni interculturali profonde tra le persone e i gruppi, e contribuiscono a fare della scuola uno dei luoghi privilegiati del dialogo interculturale. Cultura e religione 7. Un altro aspetto da considerare è il rapporto tra cultura e religione. «Il concetto di cultura è qualcosa di più ampio di quello di religione. C’è una concezione secondo la quale la religione rappresenta la dimensione trascendente della cultura e, in un certo senso, la sua anima. Le religioni hanno certamente contribuito al progresso della cultura e all’edificazione di una società più umana».4 La religione si incultura e la cultura diventa terreno fertile per una umanità più ricca e all’altezza della sua specifica e intima vocazione di apertura agli altri e a Dio. Pertanto, «è tempo (...) di comprendere più profondamente che il nucleo generatore di ogni autentica cultura è costituito dal suo approccio al mistero di Dio, nel quale soltanto trova il suo fondamento incrollabile un ordine sociale incentrato sulla dignità e responsabilità personale».5 8. La religione si offre in generale quale risposta di senso alle domande fondamentali dell’uomo e della donna: «Gli uomini attendono dalle religioni la risposta ai reconditi enigmi della condizione umana, che ieri come oggi turbano profondamente il cuore dell’uomo».6 Tale statuto mette necessariamente le religioni non solo in dialogo tra loro, ma anche con le diverse forme di interpretazione atea o non religiosa della persona umana e della storia, che si trovano ad affrontare le stesse domande di senso. L’esigenza del dialogo interreligioso nell’accezione più ampia di confronto tra soggetti e comunità portatrici di diverse visioni oggi è avvertita come fondamentale anche dagli stati e dalla società civile. Onde evitare in questo delicato ambito di riflessione facili riduzionismi e strumentalizzazioni, riteniamo opportuno richiamare alcune indicazioni. 9. L’avanzare del processo di secolarizzazione nella società occidentale, sempre più caratterizzata dal multiculturalismo, rischia di produrre una forte marginalizzazione dell’esperienza religiosa, ammettendola come lecita solo entro la sfera privata. Più in generale, nella concezione dominante, si assiste a una tacita rimozione della questione antropologica, ovvero della questione circa la piena dignità e destinazione dell’essere umano. Avanza 210 Il Regno - documenti 7/2014 in questo modo la pretesa di sradicare totalmente dalla cultura ogni espressione religiosa. Sfugge però la consapevolezza della preziosità della dimensione religiosa ai fini di un fruttuoso e promovente dialogo interculturale. Accanto a tale orientamento generale, vi è da registrare la presenza di altri fenomeni che pure rischiano di sottovalutare l’importanza dell’esperienza religiosa per la cultura. Si pensi alla diffusione delle sette e del New Age, il quale si è talmente identificato con la cultura moderna da non essere quasi più considerato una novità.7 10. Con il suo richiamo a verità ultime e definitive e quindi a verità fondative di senso, da cui la cultura occidentale diffusa pare allontanarsi, la religione rappresenta in ogni caso un decisivo contributo alla costruzione della comunità sociale nel rispetto del bene comune e nell’intento della promozione di ogni essere umano. Coloro che detengono il potere politico sono perciò chiamati a un effettivo discernimento circa le possibilità di emancipazione e di inclusione universale che ogni cultura e ogni religione manifestano e realizzano. Un criterio importante per tale valutazione risulta essere l’effettiva capacità che esse possiedono al fine di valorizzare tutto l’uomo e tutti gli uomini. Il cristianesimo, religione del Dio dal volto umano,8 porta in se stesso un simile criterio. 11. La religione può dare il suo apporto al dialogo interculturale «solo se Dio trova un posto anche nella sfera pubblica».9 «La negazione del diritto a professare pubblicamente la propria religione e a operare perché le verità della fede informino di sé anche la vita pubblica comporta conseguenze negative a vari livelli. Infatti, l’esclusione della religione dall’ambito pubblico come, per altro verso, il fondamentalismo religioso, impediscono l’incontro tra le persone e la loro collaborazione per il progresso dell’umanità. (...) Nel laicismo e nel fondamentalismo si perde la possibilità di un dialogo fecondo e di una proficua collaborazione tra la ragione e la fede religiosa. La ragione ha sempre bisogno di essere purificata dalla fede, e questo vale anche per la ragione politica, che non deve credersi onnipotente. A sua volta, la religione ha sempre bisogno di venire purificata dalla ragione per mostrare il suo autentico volto umano. La rottura di questo dialogo comporta un costo molto gravoso per lo sviluppo dell’umanità».10 Fede e ragione devono perciò riconoscersi reciprocamente e reciprocamente fecondarsi. 12. Una questione importante nel dialogo tra cultura e religioni riguarda il confronto tra fede e diverse forme di ateismo e concezioni umanistiche non religiose. Tale confronto richiede di porre al centro della discussione la ricerca di ciò che favorisce lo sviluppo integrale di tutto l’uomo e di tutti gli uomini, evitando di incagliarsi in uno sterile scontro di parti. Esige pure una società che riconosca il diritto all’identità. Da parte sua la Chiesa, con l’amore che attinge alle sorgenti del Vangelo, sulla scia del mistero dell’incarnazione del Verbo, continuerà a «proclamare che l’uomo merita onore e amore per se stesso e deve essere rispettato nella sua dignità. Così i fratelli devono imparare nuovamente a parlarsi come fratelli, a rispettarsi, a comprendersi, affinché l’uomo stesso possa sopravvivere e crescere nella dignità, nella libertà, nell’onore. Più egli soffoca il dialogo delle culture, più il mondo moderno va incontro a conflitti che rischiano di essere mortali per l’avvenire della civiltà umana. Al di là dei pregiudizi, delle barriere culturali, delle separazioni razziali, linguistiche, religiose, ideologiche, gli uomini devono riconoscersi come fratelli e sorelle, accettandosi nelle loro diversità».11 Religione cattolica e le altre religioni 13. In tale contesto, il dialogo tra le diverse religioni assume un rilievo particolare. Esso ha un profilo proprio e rileva innanzitutto la competenza delle autorità di ciascuna religione. Naturalmente il dialogo interreligioso, ponendosi nella dimensione religiosa della cultura, interseca gli aspetti dell’educazione interculturale, pur non esaurendosi e non identificandosi totalmente in essa. La mondializzazione ha aumentato l’interdipendenza dei popoli, con le loro differenti tradizioni e religioni. In merito non manca chi afferma che le differenze siano necessariamente causa di divisione e, pertanto, al più da tollerare; mentre altri addirittura sostengono che le religioni debbano semplicemente essere ridotte al silenzio. «Al contrario [le differenze] offrono una splendida opportunità per persone di diverse religioni di vivere insieme in profondo rispetto, stima e apprezzamento, incoraggiandosi reciprocamente nelle vie di Dio».12 Al riguardo, la Chiesa cattolica sente sempre più importante il bisogno di un dialogo che, a partire dalla coscienza della identità della propria fede, possa aiutare le persone a entrare in contatto con le altre religioni. Dialogo indica non solo il colloquio, ma anche l’insieme dei rapporti interreligiosi, positivi e costruttivi, con persone e comunità di altre credenze, per una mutua conoscenza.13 Il dialogo con persone e comunità di altre religioni è motivato dal fatto che siamo tutti creature di Dio, che Dio è all’opera in ogni persona umana, la quale attraverso la ragione percepisce il mistero di Dio e riconosce i valori universali. Inoltre, il dialogo trova ragione nella ricerca del patrimonio di valori etici comuni presenti nelle diverse tradizioni religiose al fine di contribuire come credenti all’affermazione del bene comune, della giusti 4 Pontificio consiglio per il dialogo interreligioso, Congregazione per l’evangelizzazione dei popoli, istr. Dialogo e an- nuncio. Riflessioni e orientamenti sull’annuncio del Vangelo e il dialogo interreligioso, 19.5.1991, n. 45. 5 Giovanni Paolo II, Discorso alla Chiesa italiana, Palermo, 23.11.1995, n. 4; Regno-doc. 21,1995,669. 6 Concilio ecumenico Vaticano II, dich. Nostra aetate sulle relazioni della Chiesa con le religioni non cristiane, n. 1; EV 1/855. 7 Cf. Pontificio consiglio della cultura, Pontificio consiglio per il dialogo interreligioso, Gesù Cristo portatore dell’acqua viva. Una riflessione cristiana sul «New Age», Libreria editrice vaticana, Città del Vaticano 2003. 8 Cf. Benedetto XVI, lett. enc. Caritas in veritate sullo sviluppo umano integrale nella carità e nella verità, 29.6.2009, nn. 55-56; EV 26/764-766. 9 Ivi, n. 56; EV 26/766. 10 Ivi. 11 Giovanni Paolo II, Discorso alla plenaria del Pontificio consiglio della cultura, 18.1.1983, n. 7. 12 Benedetto XVI, Discorso agli esponenti religiosi nel centro Notre Dame of Jerusalem, Gerusalemme, 11.5.2009. zia e della pace. Pertanto, «mentre molti sono pronti a sottolineare le differenze immediatamente rilevabili tra le religioni, come credenti o persone religiose noi siamo posti di fronte alla sfida di proclamare con chiarezza ciò che noi abbiamo in comune».14 Il dialogo, poi, che la Chiesa cattolica coltiva con le altre Chiese e comunità cristiane, non si ferma a ciò che abbiamo in comune, ma tende verso il più alto obbiettivo di ritrovare l’unità perduta.15 L’ecumenismo ha come fine l’unità visibile dei cristiani, per la quale Gesù ha pregato per i suoi discepoli: Ut omnes unum sint, che tutti siano una cosa sola (cf. Gv 17,21). 14. Le modalità del dialogo tra i credenti possono essere diverse: c’è il dialogo della vita con la condivisione delle gioie e dei dolori; il dialogo delle opere con la collaborazione in vista della promozione dello sviluppo dell’uomo e della donna; il dialogo teologico, quando è possibile, con lo studio delle rispettive eredità religiose; il dialogo dell’esperienza religiosa. 15. Questo dialogo, però, non è un compromesso, è invece uno spazio per la testimonianza reciproca tra credenti appartenenti a religioni diverse, per conoscere di più e meglio la religione dell’altro e i comportamenti etici che ne scaturiscono. Dalla conoscenza diretta e obbiettiva dell’altro e delle istanze religiose ed etiche che ne contraddistinguono il credo e la prassi, si accrescono il rispetto e la stima reciproci, la mutua comprensione, la fiducia e l’amicizia. «Per essere vero, questo dialogo deve essere chiaro, evitando relativismi e sincretismi, ma animato da un sincero rispetto per gli altri e da uno spirito di riconciliazione e di fraternità».16 16. La chiarezza del dialogo comporta anzitutto la fedeltà alla propria identità cristiana. «I cristiani propongono Gesù di Nazaret. Egli è – questa è la nostra fede – il Logos eterno, che si è fatto carne per riconciliare l’uomo con Dio e rivelare la ragione che sta alla base di tutte le cose. È lui che noi portiamo nel forum del dialogo interreligioso. L’ardente desiderio di seguire le sue orme spinge i cristiani ad aprire le loro menti e i loro cuori al dialogo (cf. Lc 10, 25-37; Gv 4, 7-26)».17 La Chiesa cattolica annuncia che «Gesù Cristo ha un significato e un valore per il genere umano e la sua storia, 13 Cf. Congregazione per la dottrina della fede, dich. Dominus Iesus circa l’unicità e l’universalità salvifica di Gesù Cristo e della Chiesa, 6.8.2000, n. 7; EV 19/1156ss. La Commissione teologica internazionale ha sottolineato come il dialogo interreligioso, essendo «connaturale alla vocazione cristiana: si inscrive nel dinamismo della Tradizione viva del mistero della salvezza, di cui la chiesa è sacramento universale» (Il cristianesimo e le religioni, 30.9.1996, n. 114; EV 15/1110). In quanto espressione di tale Tradizione esso non costituisce un’iniziativa individuale e privata, perché «non sono i cristiani che sono inviati, ma è la chiesa; non sono le loro idee che presentano, ma Cristo; non è la loro eloquenza che tocca i cuori, ma lo Spirito paraclito. Per essere fedele al “senso della Chiesa”, il dialogo interreligioso richiede l’umiltà di Cristo e la trasparenza dello Spirito Santo» (ivi, n. 116; EV 15/1112). 14 Benedetto XVI, Discorso agli esponenti religiosi nel centro Notre Dame of Jerusalem. 15 Cf. Concilio ecumenico Vaticano II, decr. Unitatis redintegratio sull’ecumenismo, n. 4; EV 1/508. 16 Benedetto XVI, Discorso al corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede, 7.1.2008, n. 9; Regno-doc. 3,2008,75. 17 Benedetto XVI, Discorso ai partecipanti all’incontro interreligioso, Washington, 17.4.2008; Regno-doc. 9,2008,269. Il Regno - documenti 7/2014 211 R1f_Agnolin:Layout 1 04/03/14 15.27 Pagina 1 S anta Sede ADONE AGNOLIN singolare e unico, a lui solo proprio, esclusivo, universale, assoluto. Gesù è, infatti, il Verbo di Dio fatto uomo per la salvezza di tutti».18 Pertanto, se questa è la condizione indispensabile per il dialogo interreligioso, lo è anche per un’adeguata educazione interculturale che non prescinda dall’identità religiosa. 17. Luoghi significativi per una tale educazione sono le scuole e gli istituti di educazione superiore cattolici. Ciò che definisce «cattolica» una istituzione educativa è il suo riferirsi alla concezione cristiana della realtà. «Di tale concezione Gesù Cristo è il centro».19 Pertanto, «le scuole cattoliche sono contemporaneamente luoghi di evangelizzazione, di educazione integrale, di inculturazione e di apprendimento di un dialogo vitale tra giovani di religioni e di ambienti differenti».20 Papa Francesco, riferendosi a una scuola dell’Albania, che «dopo i lunghi anni di repressione delle istituzioni religiose, dal 1994 ha ripreso la sua attività, accogliendo ed educando ragazzi cattolici, ortodossi, musulmani e anche alcuni alunni nati in contesti familiari agnostici», ha dichiarato che «così la scuola diventa un luogo di dialogo e di sereno confronto, per promuovere atteggiamenti di rispetto, ascolto, amicizia e spirito di collaborazione».21 18. In questo contesto, la responsabilità dell’educazione è quella di «trasmettere ai soggetti consapevolezza delle proprie radici e fornire punti di riferimento che consentano di definire la propria personale collocazione nel mondo».22 Tutti i ragazzi e giovani devono avere la stessa possibilità di accedere alla conoscenza della religione propria e degli elementi che caratterizzano le altre religioni. La conoscenza degli altri modi di pensare e di credere dissipa le paure e arricchisce ciascuno dei modi di pensare dell’altro e delle sue tradizioni spirituali. Perciò, gli insegnanti hanno la responsabilità di rispettare sempre la persona umana che ricerca la verità del proprio essere, di apprezzare e di diffondere le grandi tradizioni culturali aperte alla trascendenza e che esprimono l’aspirazione alla libertà e alla verità. 19. Tale conoscenza non si esaurisce in se stessa, ma si apre al dialogo. Più è ricca la conoscenza più si è in grado di sostenere il dialogo e di vivere insieme con chi professa altre religioni. Le differenti religioni, nel contesto di un dialogo aperto tra le culture, possono e devono portare un contributo decisivo alla formazione della coscienza dei valori comuni. 20. A sua volta il dialogo, frutto della conoscenza, deve essere coltivato per vivere insieme e costruire una civiltà dell’amore. Non si tratta in questo modo di fare riduzioni della verità, ma di realizzare lo scopo dell’educazione che «ha una particolare funzione nella costruzione di un mondo più solidale e pacifico. Essa può contribuire all’affermazione di quell’umanesimo integrale, aperto alla dimensione etica e religiosa, che sa attribuire la dovuta importanza alla conoscenza e alla stima delle culture e dei valori spirituali delle varie civiltà».23 Tale dialogo, nell’educazione interculturale, ha l’obbiettivo «di eliminare le tensioni e i conflitti, e anche gli eventuali confronti, per una migliore comprensione tra le varie culture religiose esistenti in una determinata regione. Potrà L’invenzione del Tupì Imprese coloniali e catechismi indigeni I catechismi in lingua indigena prodotti dai gesuiti in America Latina tra la seconda metà del Cinquecento e la prima metà del Seicento sono un ricchissimo e insospettabile osservatorio sull’incontro e lo scontro tra le culture nel primo periodo coloniale, quando la confessione e l’esame di coscienza diventano centrali nel nuovo modello missionario. 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Potrà anche aiutare a promuovere i valori culturali tradizionali minacciati dalla modernità e dal livellamento che un’internazionalizzazione indiscriminata può comportare».24 «Il dialogo è molto importante per la propria maturità, perché nel confronto con l’altra persona, nel confronto con le altre culture, anche nel confronto sano con le altre religioni, uno cresce: cresce, matura. (...) Questo dialogo è quello che fa la pace», ha affermato papa Francesco.25 II. Approcci al pluralismo Diverse interpretazioni 21. Se il pluralismo è un dato indiscutibile del mondo di oggi, il problema diventa quello di valorizzare il potenziale presente nel dialogo e nell’integrazione fra le diverse culture. La via del dialogo diventa possibile e fruttuosa quando si fonda sulla consapevolezza della dignità di ogni persona e sull’unità di tutti in una comune umanità per condividere e costruire insieme un medesimo destino.26 D’altra parte, la scelta del dialogo interculturale, resa necessaria nella situazione del mondo attuale e dalla vocazione di ogni cultura, si presenta come un’idea-guida aperta sul futuro, in risposta a diverse interpretazioni del pluralismo avanzate e realizzate in campo sociale, politico e, per quanto di nostro interesse, educativo. I due principali approcci alla realtà del pluralismo che sono stati messi in atto nel tentativo di dare una risposta, quello relativista e quello assimilazionista, pur presentando aspetti positivi, sono entrambi incompleti. Approccio relativista 22. Coscienza della relatività delle culture e scelta del relativismo sono due opzioni profondamente diverse. Riconoscere che la realtà è storica e mutevole, non porta necessariamente all’approccio relativista. Il relativismo, invece, rispetta le differenze ma nel contempo le separa nel loro mondo autonomo, considerandole come isolate e impermeabili e rendendo impossibile il dialogo. La «neutralità» relativista, infatti, sancisce l’assolutezza di 18 Congregazione per la dottrina della fede, Dominus Iesus, n. 15; EV 19/1179. 19 Congregazione per l’educazione cattolica, La scuola cattolica, 19.3.1977, n. 33; EV 6/91. 20 Giovanni Paolo II, es. ap. postsinodale Ecclesia in Africa, 14.9.1995, n. 102; EV 14/3172. 21 Francesco, Discorso agli studenti delle scuole gestite dai Gesuiti in Italia e Albania, 7.6.2013. 22 Giovanni Paolo II, Dialogo tra le culture per una civiltà dell’amore e della pace, Messaggio per la XXXIV Giornata mondiale della pace (2001), n. 20; Regno-doc. 1,2001,5. 23 Ivi. 24 Pontificio consiglio per il dialogo interreligioso, Con- ogni cultura nel proprio ambito, impedisce di esercitare un criterio di giudizio metaculturale e di giungere a interpretazioni universalistiche. Tale modello si fonda sul valore della tolleranza, che si limita ad accettare l’altro senza implicare uno scambio e un riconoscimento nella reciproca trasformazione. Una simile idea di tolleranza veicola infatti un significato sostanzialmente passivo del rapporto con chi ha una diversa cultura; non richiede necessariamente che ci si prenda cura dei bisogni e delle sofferenze dell’altro, che si ascoltino le sue ragioni, che ci si confronti con i suoi valori, e, meno ancora, che si sviluppi l’amore per l’altro. 23. Un approccio di questo tipo è alla base del modello politico e sociale del multiculturalismo, che non presenta soluzioni adeguate alla convivenza e non aiuta il vero dialogo interculturale. «Si nota, in primo luogo, un eclettismo culturale assunto spesso acriticamente: le culture vengono semplicemente accostate e considerate come sostanzialmente equivalenti e tra loro interscambiabili. Ciò favorisce il cedimento a un relativismo che non aiuta il vero dialogo interculturale; sul piano sociale il relativismo culturale fa sì che i gruppi culturali si accostino o convivano, ma separati, senza dialogo autentico e, quindi, senza vera integrazione».27 Approccio assimilazionista 24. Non è certamente più soddisfacente quello che viene chiamato approccio assimilazionista, caratterizzato non dall’indifferenza verso l’altra cultura, ma dalla pretesa di adattamento. Un esempio di questo approccio si ha quando, in un paese a forte immigrazione, si accetta la presenza dello straniero solo a condizione che rinunci alla propria identità, alle proprie radici culturali per abbracciare quelle del paese ospitante. Nei modelli educativi basati sull’assimilazione, l’altro deve abbandonare i suoi riferimenti culturali facendo propri quelli di un altro gruppo o del paese di accoglienza; lo scambio si riduce a mero inserimento delle culture minoritarie con assente o scarsa attenzione alla loro cultura d’origine. 25. A livello più generale l’approccio assimilazionista è messo in atto da parte di una cultura con ambizioni universalistiche che cerca di imporre i propri valori culturali attraverso la propria influenza economica, commerciale, militare, culturale. È qui evidente il pericolo «costituito dall’appiattimento culturale e dall’omologazione dei comportamenti e degli stili di vita».28 gregazione per l’evangelizzazione dei popoli, istr. Dialogo e annuncio. Riflessioni e orientamenti sull’annuncio del Vangelo e il dialogo interreligioso, 19.5.1991, n. 46; EV 13/336. 25 Francesco, Discorso agli studenti e ai professori del Collegio Seibu Gakuen Bunry Junior High School di Saitama, Tokyo, 21.8.2013. 26 Cf. Consiglio d’Europa, Libro bianco sul dialogo interculturale «Vivere insieme in pari dignità», Strasburgo, maggio 2008, 5: «L’approccio interculturale offre un modello di gestione della diversità culturale aperto sul futuro, proponendo una concezione basata sulla dignità umana di ogni persona (e sull’idea di una umanità comune e di un destino comune)». 27 Benedetto XVI, Caritas in veritate, n. 26; EV 26/713. 28 Ivi. Il Regno - documenti 7/2014 213 S anta Sede Approccio interculturale 26. Anche la comunità internazionale riconosce che i tradizionali approcci alla gestione delle differenze culturali nelle nostre società non si sono dimostrati adatti. Ma come superare le barriere di posizioni incapaci di interpretare positivamente la dimensione multiculturale? Scegliere l’ottica del dialogo interculturale significa non limitarsi solo a strategie di inserimento funzionale degli immigrati, né a misure compensatorie di carattere speciale, anche considerando che il problema si pone non solo quando ci sono emergenze migratorie, ma come conseguenza dell’elevata mobilità umana. 27. Infatti, in una significativa prospettiva dell’educazione, «oggi le possibilità di interazione tra le culture sono notevolmente aumentate dando spazio a nuove prospettive di dialogo interculturale, un dialogo che, per essere efficace deve avere come punto di partenza l’intima consapevolezza della specifica identità dei vari interlocutori».29 In questa visione la diversità cessa di essere intesa come problema, per farsi risorsa di una comunità caratterizzata dal pluralismo, occasione per aprire l’intero sistema a tutte le differenze, riguardanti la provenienza, il rapporto uomo-donna, il livello sociale, la storia scolastica. 28. Tale approccio si basa su una concezione dinamica della cultura, che evita sia la chiusura sia la manifestazione delle diversità secondo rappresentazioni stereotipate o folkloristiche. Le strategie interculturali sono efficaci quando evitano di separare gli individui in mondi culturali autonomi e impermeabili, promuovendo invece il confronto, il dialogo e anche la reciproca trasformazione, per rendere possibile la convivenza e affrontare gli eventuali conflitti. In definitiva, si tratta di costruire un nuovo approccio interculturale orientato a realizzare l’integrazione delle culture nel reciproco riconoscimento. III. Alcuni fondamenti dell’intercultura L’insegnamento della Chiesa 29. La dimensione interculturale è, in certo modo, parte del patrimonio del cristianesimo, a vocazione «universale». Infatti, nella storia del cristianesimo, si legge un percorso di dialogo con il mondo, alla ricerca di una più intensa fraternità tra gli uomini. La prospettiva interculturale, nella tradizione della Chiesa, non si limita a valorizzare le differenze, ma collabora alla costruzione dell’umana convivenza. Ciò diviene particolarmente necessario all’interno delle società complesse nelle quali occorre superare il rischio del relativismo e dell’appiattimento culturale. 30. La riflessione sulla cultura e sulla sua importanza per il pieno sviluppo delle potenzialità dell’uomo 214 Il Regno - documenti 7/2014 e della donna è stata oggetto di innumerevoli interventi ecclesiali, soprattutto nel concilio Vaticano II e nel magistero seguente. Il concilio Vaticano II, nel considerare l’importanza della cultura, affermava che non si dà esperienza veramente umana senza inserimento in una determinata cultura. Infatti, «è proprio della persona umana il non poter raggiungere un livello di vita veramente e pienamente umano se non mediante la cultura».30 Ogni cultura, che comporta una riflessione sul mistero del mondo e in particolare sul mistero dell’uomo e della donna, è un modo di dare espressione alla dimensione trascendentale della vita. Il significato essenziale della cultura consiste «nel fatto che essa è una caratteristica della vita umana come tale. L’uomo vive di una vita veramente umana grazie alla cultura. La vita umana è cultura nel senso anche che l’uomo si distingue e si differenzia attraverso essa da tutto ciò che esiste per altra parte nel mondo visibile: l’uomo non può essere fuori della cultura. La cultura è un modo specifico dell’“esistere” e dell’“essere” dell’uomo. L’uomo vive sempre secondo una cultura che gli è propria, e che, a sua volta, crea fra gli uomini un legame che pure è loro proprio, determinando il carattere interumano e sociale dell’esistenza umana».31 31. Inoltre, il termine cultura indica tutti quei mezzi con i quali «l’uomo affina e esplica le molteplici sue doti di spirito e di corpo; procura di ridurre in suo potere il cosmo stesso con la conoscenza e il lavoro; rende più umana la vita sociale, sia nella famiglia sia in tutta la società civile, mediante il progresso del costume e delle istituzioni; infine, con l’andar del tempo, esprime, comunica e conserva nelle sue opere le grandi esperienze e aspirazioni spirituali, affinché possano servire al progresso di molti, anzi di tutto il genere umano».32 Quindi sono comprese sia la dimensione soggettiva – comportamenti, valori, tradizioni che ciascuno fa propri – sia quella più oggettiva, cioè le opere dell’uomo e della donna. 32. Conseguentemente «la cultura presenta necessariamente un aspetto storico e sociale e (...) assume spesso un significato sociologico ed etnologico. In questo senso si parla di pluralità delle culture. Infatti, dal diverso modo di far uso delle cose, di lavorare, di esprimersi, di praticare la religione e di formare i costumi, di fare le leggi e creare gli istituti giuridici, di sviluppare le scienze e le arti e di coltivare il bello, hanno origine le diverse condizioni comuni e le diverse maniere di organizzare i beni della vita. Così dalle usanze tradizionali si forma il patrimonio proprio di ciascuna comunità umana. Così pure si costituisce l’ambiente storicamente definito, in cui ogni uomo, di qualsiasi stirpe ed epoca, si inserisce, e da cui attinge i beni che gli consentono di promuovere la civiltà».33 Le culture manifestano una loro profonda dinamicità e storicità, per cui subiscono dei cambiamenti nel tempo. Tuttavia, al di sotto delle loro modulazioni più esterne, mostrano significativi elementi comuni. «Le diversità culturali vanno perciò comprese nella fondamentale prospettiva dell’unità del genere umano», alla luce della quale è possibile cogliere il significato profondo delle stesse diversità, al contrario del «radicalizzarsi delle identità culturali che si rendono impermeabili a ogni benefico influsso esterno».34 33. L’interculturalità nasce, quindi, non da un’idea statica della cultura, bensì dalla sua apertura. Ciò che fonda il dialogo tra le culture è soprattutto la potenziale universalità, propria di ogni cultura.35 Di conseguenza: «il dialogo tra le culture (...) emerge come un’esigenza intrinseca alla natura stessa dell’uomo [nella] consapevolezza che vi sono valori comuni a ogni cultura, perché radicati nella natura della persona (...). Occorre coltivare negli animi la consapevolezza di questi valori, per alimentare quell’humus culturale di natura universale che rende possibile lo sviluppo fecondo di un dialogo costruttivo».36 L’apertura ai valori superiori comuni all’intero genere umano – fondati sulla verità e, comunque, universali, quali giustizia, pace, dignità della persona umana, apertura al trascendente, libertà di coscienza e religione – implica un’idea di cultura intesa come contributo a una più ampia coscienza dell’umanità, in opposizione alla tendenza presente nella storia delle culture, a costruire mondi particolaristici, chiusi e ripiegati su sé stessi. Fondamenti teologici 34. La definizione dell’essere umano nelle sue relazioni con gli altri esseri umani e con la natura non soddisfa l’interrogativo ineludibile e fondamentale: chi è veramente l’uomo? L’antropologia cristiana pone il fondamento dell’uomo e della donna e della loro capacità di fare cultura nell’esser creati a immagine e somiglianza di Dio, Trinità di persone in comunione. Fin dalla creazione del mondo, infatti, ci è rivelata la paziente pedagogia di Dio. Lungo la storia della salvezza Dio educa il suo popolo all’Alleanza – cioè a un rapporto vitale – e ad aprirsi progressivamente a tutti i popoli. Tale Alleanza ha il suo culmine in Gesù, che attraverso la morte e risurrezione l’ha resa «nuova ed eterna». Da allora lo Spirito Santo continua a insegnare la missione che Cristo ha affidato alla sua Chiesa: «Andate e ammaestrate tutte le nazioni (...) insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato» (Mt, 28,19-20). «Ogni essere umano è chiamato alla comunione in forza della sua natura creata a immagine e somiglianza di Dio (cf. Gen 1,26-27). Pertanto, nella prospettiva dell’antropologia biblica, l’uomo non è un individuo isolato, ma una persona, il cui essere relazionale si fonda nella Trinità delle persone in Dio. La comunione alla quale l’uomo è chiamato implica sempre una duplice dimensione, cioè verticale (comunione con Dio) e orizzontale (comunione tra gli uomini). Risulta essenziale riconoscere la comunione come dono di Dio, come frutto dell’iniziativa divina compiuta nel mistero pasquale».37 35. La dimensione verticale della comunione della persona con Dio si realizza in modo autentico, seguendo la via che è Gesù Cristo. Infatti, «solamente nel mistero del Verbo incarnato trova vera luce il mistero dell’uomo (...). Cristo (...) svela anche pienamente l’uomo all’uomo e gli fa nota la sua altissima vocazione».38 Allo stesso tempo, tale dimensione verticale cresce nella Chiesa che «è in Cristo come un sacramento o segno e strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano».39 «Davanti alla ricchezza della salvezza operata da Cristo, cadono le barriere che separano le diverse culture. La promessa di Dio in Cristo diventa (...) un’offerta universale (...) estesa a tutti come patrimonio a cui ciascuno può attingere liberamente. Da diversi luoghi e tradizioni tutti sono chiamati in Cristo a partecipare all’unità della famiglia dei figli di Dio».40 36. La dimensione orizzontale della comunione, alla quale l’uomo e la donna sono chiamati, si attua nelle relazioni interpersonali.41 L’identità personale matura quanto più egli vive tali rapporti in modo autentico. Le relazioni con gli altri e con Dio sono quindi fondamentali, perché in esse l’uomo e la donna valorizzano sé stessi. Anche i rapporti tra i popoli, tra le culture e tra le nazioni potenziano e valorizzano chi si mette in relazione. Infatti, «la comunità degli uomini non assorbe in sé la persona annientandone l’autonomia, come accade nelle varie forme di totalitarismo, ma la valorizza ulteriormente, perché il rapporto tra persona e comunità è di un tutto verso un altro tutto. Come la comunità familiare non annulla in sé le persone che la compongono e come la Chiesa stessa valorizza pienamente la “nuova creatura” (Gal 6,15; 2Cor 5,17) che con il battesimo si inserisce nel suo corpo vivo, così anche l’unità della famiglia umana non annulla in sé le persone, i popoli e le culture, ma li rende più trasparenti l’uno verso l’altro, maggiormente uniti nelle loro legittime diversità».42 37. L’esperienza dell’intercultura, al pari dello sviluppo umano, si comprende profondamente solo alla luce dell’inclusione delle persone e dei popoli nell’unica famiglia umana, fondata nella solidarietà e nei fondamentali valori della giustizia e della pace. «Questa prospettiva trova un’illuminazione decisiva nel rapporto tra 29 Ivi. 30 Concilio ecumenico Vaticano II, cost. past. Gaudium et spes (GS) sulla Chiesa nel mondo contemporaneo, n. 53; EV 1/1492. 31 Giovanni Paolo II, Discorso all’UNESCO, Parigi, 2.6.1980, n. 6; Regno-doc. 13,1980,297. 32 GS 53; EV 1/1493. 33 GS 53; EV 1/1494. 34 Giovanni Paolo II, Dialogo tra le culture per una civiltà dell’amore e della pace, nn. 7 e 9; Regno-doc. 1,2001,2.3. 35 Cf. Commissione teologica internazionale, Fede e inculturazione, 8.10.1988, c. I, «Natura, cultura e grazia», n. 7; EV 11/1361. 36 Giovanni Paolo II, Dialogo tra le culture per una civiltà dell’amore e della pace, nn. 10 e 16; Regno-doc. 1,2001,3.4. 37 Congregazione per l’educazione cattolica, Educare in- sieme nella scuola cattolica. Missione condivisa di persone consacrate e fedeli laici, 8.9.2007, n. 8; EV 24/1239. 38 GS 22; EV 1/1385. 39 Concilio ecumenico Vaticano II, cost. dogm. Lumen gentium (LG) sulla Chiesa, n. 1; EV 1/284. 40 Giovanni Paolo II, lett. enc. Fides et ratio circa i rapporti tra fede e ragione, 14.9.1998, n. 70; EV 17/1317. 41 Cf. Benedetto XVI, Discorso all’Assemblea generale della Conferenza episcopale italiana, 27.5.2010: «è essenziale per la persona umana il fatto che diventa se stessa solo dall’altro, l’“io” diventa se stesso solo dal “tu” e dal “voi”, è creato per il dialogo, per la comunione sincronica e diacronica. E solo l’incontro con il “tu” e con il “noi” apre l’“io” a se stesso». 42 Benedetto XVI, Caritas in veritate, n. 53; EV 26/762. Il Regno - documenti 7/2014 215 S anta Sede le persone della Trinità nell’unica sostanza divina. La Trinità è assoluta unità, in quanto le tre divine persone sono relazionalità pura. La trasparenza reciproca tra le persone divine è piena e il legame dell’una con l’altra totale, perché costituiscono un’assoluta unità e unicità. Dio vuole associare anche noi a questa realtà di comunione: “Perché siano come noi una cosa sola” (Gv 17,22). Di questa unità la Chiesa è segno e strumento. Anche le relazioni tra gli uomini lungo la storia non hanno che da trarre vantaggio dal riferimento a questo divino modello. In particolare, alla luce del mistero rivelato della Trinità si comprende che la vera apertura non significa dispersione centrifuga, ma compenetrazione profonda».43 Il fondamento che la tradizione cristiana dà all’unità del genere umano si colloca primariamente in un’interpretazione metafisica e teologica dell’humanum in cui la relazionalità è elemento essenziale.44 Fondamenti antropologici 38. La dimensione autenticamente interculturale è perseguibile in ragione del suo fondamento antropologico. L’incontro, infatti, avviene sempre tra persone concrete. Le culture prendono vita e si ridisegnano continuamente a partire dall’incontro con l’altro. Uscire da sé stessi e considerare il mondo da un diverso punto di vista non è negazione di sé, ma, al contrario, un necessario processo di valorizzazione della propria identità. In altri termini, l’interdipendenza e la globalizzazione tra popoli e culture devono essere centrate sulla persona. La fine delle ideologie del secolo scorso, come pure il diffondersi oggi di quelle che si chiudono alla realtà trascendente e religiosa, fanno sentire la drammatica necessità di riportare al centro la questione dell’uomo e delle culture. È innegabile che accanto a innumerevoli progressi, l’uomo e la donna della nostra epoca sperimentino maggiormente la difficoltà a definire sé stessi. Il concilio Vaticano II ha descritto molto bene una tale situazione: «Molte opinioni egli ha espresso ed esprime sul suo conto, opinioni varie e anche contrarie, perché spesso o si esalta così da fare di sé una regola assoluta, o si abbassa fino alla disperazione, finendo in tal modo nel dubbio e nell’angoscia».45 La cifra più significativa di questo smarrimento è la solitudine dell’uomo e della donna moderni. «Una delle più profonde povertà che l’uomo può sperimentare è la solitudine. A ben vedere anche le altre povertà, comprese quelle materiali, nascono dall’isolamento, dal non essere amati o dalla difficoltà di amare. Le povertà spesso sono generate dal rifiuto dell’amore di Dio, da un’originaria tragica chiusura in sé medesimo dell’uomo, che pensa di bastare a se stesso, oppure di essere solo un fatto insignificante e passeggero, uno “straniero” in un universo costituitosi per caso. L’uomo è alienato quando è solo o si stacca dalla realtà, quando rinuncia a pensare e a credere in un fondamento. L’umanità intera è alienata quando si affida a progetti solo umani, a ideologie e a utopie false. Oggi l’umanità appare molto più interattiva di ieri: questa maggiore vicinanza si deve trasformare in vera co- 216 Il Regno - documenti 7/2014 munione. Lo sviluppo dei popoli dipende soprattutto dal riconoscimento di essere una sola famiglia, che collabora in vera comunione ed è costituita da soggetti che non vivono semplicemente l’uno accanto all’altro».46 39. Per una corretta impostazione dell’intercultura occorre così un solido fondamento antropologico che parta dall’intima natura di essere relazionale della persona umana, la quale senza i rapporti con gli altri non può vivere né esplicare le sue potenzialità. L’uomo e la donna non sono solo individui, quasi monadi autosufficienti, ma sono aperti e protesi verso ciò che è altro da sé. L’uomo è persona, essere in relazione, che si comprende in relazione con l’altro. Inoltre, le sue relazioni raggiungono la loro natura profonda se si fondano nell’amore, a cui aspira ogni persona per sentirsi pienamente realizzata, tanto l’amore ricevuto come a sua volta la capacità di donare amore. «L’uomo non può vivere senza amore. Egli rimane per se stesso un essere incomprensibile, la sua vita è priva di senso, se non gli viene rivelato l’amore, se non si incontra con l’amore, se non lo sperimenta e non lo fa proprio, se non vi partecipa vivamente (...). In questa dimensione l’uomo ritrova la grandezza, la dignità e il valore propri alla sua umanità».47 40. Il concetto di amore ha accompagnato, sotto forme diverse, la storia delle differenti culture. Nell’antica Grecia il termine più usato era quello di eros, l’amore-passione, associato in genere con il desiderio sensuale. Erano anche usati i termini di philia, spesso inteso come amore di amicizia, e quello di agape, per designare un’alta stima verso l’oggetto o la persona amati. Nella tradizione biblica e cristiana viene sottolineato l’aspetto oblativo dell’amore. Tuttavia, al di là di queste distinzioni, c’è una profonda unità, seppure con diverse dimensioni, nella realtà dell’amore, che spinge a un «esodo permanente dall’io chiuso in se stesso verso la sua liberazione nel dono di sé, e proprio così verso il ritrovamento di sé, anzi verso la scoperta di Dio».48 41. L’amore, liberato dell’egoismo, è via per eccellenza di fraternità e di reciproco aiuto verso la perfezione tra le persone. In quanto anelito insopprimibile inscritto nella natura di ogni uomo e di ogni donna della terra, il fatto di non accoglierlo comporta necessariamente il nonsenso e la disperazione, e può portare a comportamenti distruttivi. L’amore è la vera nobiltà della persona, al di sopra della sua appartenenza culturale, etnica, del censo o della posizione sociale. È il vincolo più forte, autentico e gradito che unisce gli uomini tra di loro e rende capace di dare all’altro l’ascolto, l’attenzione e la stima che merita. Dell’amore si può dire che è metodo e fine della vita stessa. È il vero tesoro, cercato e testimoniato in modi e contesti differenti da pensatori, santi, uomini di fede, figure carismatiche che lungo i secoli sono stati esempi vivi del sacrificio di sé come sublime, necessaria via di cambiamento e di rinnovamento spirituale e sociale. Fondamenti pedagogici 42. I fondamenti teologici e antropologici sopra esposti pongono solide basi per un’autentica pedagogia interculturale che, in quanto tale, non può prescindere da una concezione personalistica dell’uomo, per cui a entrare in contatto non sono primariamente le culture, ma le persone, radicate nelle loro reti storiche e relazionali. Si tratta, allora, di assumere la relazionalità come paradigma pedagogico fondamentale, mezzo e fine per lo sviluppo dell’identità stessa della persona. Tale concezione guida un’idea di dialogo non astratto o ideologico, bensì improntato al rispetto, alla comprensione e al reciproco servizio. Si nutre, poi, dell’idea di cultura storicizzata e dinamica, rifiutando di costringere l’altro in una sorta di prigione culturale. Infine, riposa sulla coscienza del fatto che la relatività delle culture non significa relativismo, il quale, pur rispettando le differenze, nel contempo le separa nel loro cosmo autonomo, considerandole come isolate e impermeabili, ma cerca con ogni mezzo di alimentare una cultura del dialogo, di intesa e di reciproca trasformazione per il raggiungimento del bene comune. 43. In tale orizzonte la concezione dell’interculturalità, anziché porsi come differenzialista e relativista, considera le culture come inserite nell’ordine morale, all’interno del quale il valore fondamentale è rappresentato anzitutto dalla persona umana. È da questo basilare riconoscimento che persone di diversi universi culturali, venute tra loro in contatto, possono superare l’iniziale estraneità. Poiché non si tratta solo di un rispettarsi: il processo implica che si metta in discussione la pre-comprensione dell’interprete, e che ogni persona possa comprendere e discutere il punto di vista dell’altro. 44. Declinare dal punto di vista pedagogico un tema così impegnativo richiede il coraggio di spendersi per una sempre maggior consapevolezza della complessa e imprescindibile realtà multiculturale. In particolar modo, occorre riannodare il discorso per una più appassionata e ampia ricerca di un comune denominatore circa l’idea di educazione, e di educazione al dialogo interculturale, intesa come un itinerario della persona verso il dover essere, nell’ottica del dialogo e di un reciproco apprendimento per tutta la vita. IV. L’educazione cattolica nella prospettiva del dialogo interculturale Il contributo dell’educazione cattolica 45. Dalla visione dialogica delle culture nasce la necessità di un comune sforzo per superare la frammentazione, sapendo entrare concretamente nello specifico della dialettica, provocata da alcune fondamentali realtà, sia della vita associata sia della cultura («scontro/incontro», «chiusura/apertura», «monologo/dialogo»…), in un’ottica di mutuo apprendimento. 43 Ivi, n. 54; EV 26/763. 44 Cf. ivi, n. 55; EV 26/764. 45 GS 12; EV 1/1356. 46 Benedetto XVI, Caritas in veritate, n. 53; EV 26/760. 47 Giovanni Paolo II, lett. enc. Redemptor hominis, 4.3.1979, n. 10; EV 6/1194. In questo processo educativo la ricerca di una convivenza pacifica e arricchente deve ancorarsi nel più ampio concetto di essere umano, caratterizzato da una continua ricerca di autotrascendimento, vista non solo come spinta psicologica e culturale oltre ogni forma di egocentrismo e di etnocentrismo, ma anche come slancio spirituale e religioso, secondo una concezione di sviluppo integrale e trascendente della persona e della società. 46. Occorre perciò che, nelle comunità che si richiamano ai valori della fede cattolica (dalle famiglie, alle scuole, ai gruppi associativi e di aggregazione giovanile…), si dia voce e concretezza a un’educazione veramente personalistica sulla scia della cultura e tradizione umanistico-cristiana: nuovo slancio e nuova cittadinanza alla persona come «persona-comunione», senza cui una pretesa società di individui liberi e uguali nasconde certamente i rischi di conflitto e prevaricazione senza limite e senza controllo. D’altra parte la centralità del legame delle persone che si costituiscono come società o comunità «obbliga a un approfondimento critico e valoriale della categoria della relazione. Si tratta di un impegno che non può essere svolto dalle sole scienze sociali, in quanto richiede l’apporto di saperi come la metafisica e la teologia, per cogliere in maniera illuminata la dignità trascendente dell’uomo».49 Alla luce del mistero trinitario di Dio, la relazionalità va vista non solo nella sua processualità comunicativa, ma come amore, legge fondamentale dell’essere, un amore non generico, indistinto e puramente ancorato alle emozioni, legato alla convenienza o alle regole di scambio, ma «gratuito», altrettanto forte e generoso quanto l’amore con cui Gesù Cristo ha amato. In questo senso, l’amore è volontà di «promozione», fiducia nell’altro e, di conseguenza, è un atto fondamentalmente educativo. 47. Il concetto di «amore» in educazione richiama direttamente quello di «dono» e di «reciprocità», dimensioni fondanti l’educazione stessa. Si tratta di promuovere nelle scuole, tra allievi e insegnanti, tra le famiglie, nella comunità, quel movimento bidirezionale di andata e ritorno dell’amore, che potremmo plasticamente sintetizzare nel duplice movimento: dall’amore ricevuto all’amore donato, dove la reciprocità è intesa non semplicemente nel suo esito finale, come corrispondenza, ma soprattutto come azione proattiva dell’educatore chiamato ad amare per primo. Occorrerà riprendere con coraggio questi concetti, nella prospettiva di una pedagogia di comunione, di un ideale educativo che muova gli educatori ad essere testimoni credibili agli occhi dei giovani e che porti a riflettere sul nesso cruciale e strategico che lega «amore dell’educazione» ed «educazione all’amore» come elementi essenziali, tra loro inscindibilmente 48 Benedetto XVI, lett. enc. Deus caritas est sull’amore cristiano, 25.12.2005, n. 6; EV 23/1150. 49 Benedetto XVI, Caritas in veritate, n. 53; EV 26/761 . Il Regno - documenti 7/2014 217 R1f_grilli-maleparampil:Layout 1 05/02/14 11.03 Pagina 1 S anta Sede A CURA DI MASSIMO GRILLI - JOSEPH MALEPARAMPIL Il diverso e lo straniero nella Bibbia ebraico-cristiana connessi, in cui lo sguardo dell’educatore e quello dell’educando siano reciprocamente orientati al bene, al rispetto e al dialogo. La presenza nella scuola 48. Giovanni Paolo II ha ripreso con forza questo pensiero e ha individuato nella spiritualità di comunione50 la più importante sfida, da promuovere nella cultura, nella vita quotidiana, in famiglia, a scuola, nella Chiesa. Lo spirito di unità tra persone e gruppi, che va vissuto prima di ogni altra iniziativa concreta, è l’orizzonte in cui ogni valore trova fondamento; è l’elemento vitale, fondativo di ogni altro. Non è solo una sfida spirituale ma anche culturale, valida per tutti gli uomini e le donne di buona volontà. Quindi, un invito che deve essere vissuto anche da parte di educatori, insegnanti e allievi cattolici inseriti in ogni tipo di scuola, uniti nella medesima arte di amare. 49. Ne deriva che non è la legge in sé o la forma giuridica a costituire e a tener viva una comunità, ma lo spirito stesso della legge, giusta nella misura in cui si pone al servizio del bene comune e pone tutti nelle condizioni di reciprocità per essere cittadini consapevoli e responsabili. L’identità di una comunità, quindi, è tanto più matura quanto più essa è fedele ai valori di cooperazione e di solidarietà che si è data e che continuamente cerca di rinnovare. 50. La scuola è investita da una grande responsabilità riguardo all’educazione interculturale. Nel suo percorso formativo lo studente si trova a interagire con culture diverse, e ha bisogno di disporre degli strumenti necessari per comprenderle e metterle in relazione con la propria. Alla scuola, aperta all’incontro con le altre culture, spetta il compito di fornire il sostegno affinché ogni persona sviluppi un’identità consapevole della propria ricchezza e tradizione culturale. In un’ottica pedagogico-interculturale, il più bel dono che l’educazione cattolica può fare alla scuola è la testimonianza del continuo, intimo intreccio vissuto tra identità e alterità, nella loro dinamica compenetrazione, nei vari rapporti tra adulti (insegnanti, genitori, educatori, responsabili delle istituzioni...), tra insegnanti e ragazzi, tra ragazzi, senza pregiudizi nei confronti della cultura, sesso, classe sociale o religione. Uno studio esegetico-teologico in chiave interculturale B iblisti di tutto il mondo si confrontano sulla comprensione che i libri dell’Antico e del Nuovo Testamento esprimono nei confronti del «forestiero». La sfida è il passaggio dall’estraneità all’ospitalità, perché il rumore assordante del potere – nella società come nella Chiesa – non sommerga chi non ha voce. «EPIFANIA DELLA PAROLA» pp. 424 - € 36,00 N ELLA STESSA COLLANA JEAN-FRANÇOIS BOUTHORS PAOLO L’EBREO R1f_Dozzi:Layout 1 15-02-2014 9:12 pp. 144 - € 16,00 Pagina 1 Edizioni Dehoniane Bologna A CURA DI DINO DOZZI Matteo: il Vangelo della Chiesa P rosegue l’itinerario di spiritualità sui libri biblici visti alla luce del messaggio di san Francesco e dell’attualità. Si parte dal testo biblico (la sezione Parola...), si osserva come esso è stato recepito e vissuto nel francescanesimo (...e sandali...), per arrivare infine alle sfide dell’oggi (...per strada). Il tutto «con brevità di sermone»: un modo semplice e chiaro di presentare una visione cristiana e francescana della vita. «LA BIBBIA DI SAN FRANCESCO» Dove la libertà di educazione è negata 51. In molte realtà del mondo, per ragioni politiche o culturali, non sempre è possibile la presenza della scuola cattolica; talvolta si tratta di una presenza molto limitata, verso la quale c’è ostilità. La questione si pone non solo in termini di rivendicazione di un diritto, quello alla libertà d’insegnamento e di scuola, ma in termini di offerta culturale più ricca per tutti. Bisogna, perciò, interrogarsi su quanto l’educazione cattolica possa offrire anche in queste situazioni. pp. 272 - € 22,00 NELLA STESSA COLLANA RUT E LE ALTRE LA BIBBIA AL FEMMINILE pp. 224 - € 19,50 Edizioni Dehoniane Bologna Via Scipione Dal Ferro, 4 - 40138 Bologna Tel. 051 3941511 - Fax 051 3941299 www.dehoniane.it 218 Il Regno - documenti 7/2014 Un punto di riferimento fondamentale è riconoscere negli altri lo stesso anelito che si trova in un importante precetto di molte religioni e culture, la cosiddetta regola d’oro dell’umanità: «Fai agli altri ciò che vorresti fosse fatto a te; non fare agli altri quello che non vorresti fosse fatto a te». È una legge morale, una necessità imprescindibile per la vita associata: l’amore portato a tutti, come fonte di nuova civiltà, di vera umanizzazione dell’uomo e della donna, contro ogni istinto egoistico, di violenza e di guerra.51 52. è questa la novità dell’educazione che scaturisce anche dalla pedagogia cristiana, la quale trova fondamento nelle parole di Gesù: «Tutti siano una cosa sola» (Gv 17,21). Essa, infatti, manifesta il cuore di tutto il cristianesimo, portatore del mistero di Dio, che è essere in relazione, puro atto di amore. Qui si trova la novità del Vangelo, la cui accoglienza piena implica certamente la fede, ma i cui effetti trasformano il senso dell’incontro tra persone, gruppi, culture e istituzioni. 53. è solo questo spirito di ricerca d’unità, che potrà comporre l’ordine sociale, la solidarietà nella collettività, in tutti i sensi (religioso, politico, sociale, economico, professionale), come alternativo a quello stato di permanente rivalità che condanna gli uomini, pur in un mondo globalizzato, a essere sempre più incomunicanti, in un crescente indifferentismo nei confronti sia del Dio annunciato dal cristianesimo sia di qualunque forma di assoluto. Le nuove generazioni, quindi, private di una cultura e di una fede, del loro senso vero, di un fine giusto a cui tendere, rischiano di disumanizzare la vita stessa nelle sue molteplici espressioni. Ed è proprio in queste molteplici situazioni «di frontiera», dove la fede è quotidianamente messa alla prova, che spesso l’andar controcorrente è più che mai scelta evangelica, fino al dono più alto di sé, di dare la vita per l’altro, quando giustizia e verità vengono violate. 54. Occorre, quindi, in questi contesti, pur molto diversi (dall’ateismo, al fondamentalismo, al relativismo, al laicismo), rimettere al centro quella «priorità di valore» che è prima di tutto testimonianza e coerenza, dono di sé, capacità di chiedere e di dare perdono, non per esibizionismo o falso moralismo, ma «per amore», per contribuire allo sviluppo del mondo. «È proprio dell’uomo il desiderio di rendere partecipi gli altri dei propri beni. L’accoglienza della Buona Novella nella fede, spinge di per sé a tale comunicazione», specialmente con quelli a cui «manca un grandissimo bene in questo mondo: conoscere il vero volto di Dio e l’amicizia con Gesù Cristo, il Dio-con-noi. Infatti, “non vi è niente di più bello che essere raggiunti, sorpresi dal Vangelo, da Cristo. Non vi è niente di più bello che conoscere lui e comunicare agli altri l’amicizia con lui”».52 50 Cf. Giovanni Paolo II, lett. ap. Novo millennio ineunte, 6.1.2001, n. 43; EV 20/85. 51 Cf. Commissione teologica internazionale, Alla ricerca di un’etica universale: nuovo sguardo sulla legge naturale (2009), n. 51: «“Non fare agli altri ciò che non vorresti fosse fatto a te”. Ritroviamo la regola d’oro, che oggi è posta come principio stesso di una morale della reciprocità». V. Il contributo della scuola cattolica Responsabilità della scuola cattolica 55. Nell’attuale contesto sociale, la scuola cattolica si trova chiamata in causa per lo specifico apporto che essa può offrire. Si tratta, però, di un compito non facile, che anzi sta incontrando sempre maggiori ostacoli. La scuola cattolica vede al suo interno una presenza sempre più rilevante di alunni di differenti nazionalità e appartenenze religiose; in molti paesi del mondo la maggioranza degli alunni professa un diverso credo e la questione del confronto interreligioso appare ormai ineludibile. Per evitare di rinchiudersi in un «identitarismo» fine a se stesso, un progetto educativo deve fare i conti con il crescente tasso di multireligiosità della società e con la conseguente necessità di saper conoscere e dialogare con le diverse credenze o con i non credenti. 56. È importante che la scuola cattolica sia consapevole dei rischi che derivano dal perdere di vista le ragioni della propria presenza. Ciò accade, ad esempio, quando essa si conforma acriticamente alle attese di una società improntata ai valori dell’individualismo e della competizione, al formalismo burocratico, alle domande consumistiche delle famiglie, o alla ricerca esasperata dell’approvazione esterna. A maggior ragione in una cultura che affermi una pretesa neutralità della scuola e rimuova dal campo dell’educazione ogni riferimento religioso, la scuola cattolica è chiamata a un impegno di testimonianza, attraverso un progetto educativo chiaramente ispirato al Vangelo.53 Tale scuola, in quanto cattolica, non si ferma a una generica ispirazione cristiana o di valori umani. Essa ha la responsabilità di offrire agli studenti cattolici, oltre a una valida conoscenza della religione, anche la possibilità di crescere nell’adesione personale a Cristo nella Chiesa. Infatti, «tra i diritti umani basilari, anche per la vita pacifica dei popoli, vi è quello dei singoli e delle comunità alla libertà religiosa. (...) Diventa sempre più importante che tale diritto sia promosso non solo dal punto di vista negativo, come libertà da – ad esempio, da obblighi e costrizioni circa la libertà di scegliere la propria religione –, ma anche dal punto di vista positivo, nelle sue varie articolazioni, come libertà di: ad esempio, di testimoniare la propria religione, di annunciare e comunicare il suo insegnamento; di compiere attività educative, di beneficenza e di assistenza che permettono di applicare i precetti religiosi; 52 Congregazione per la dottrina della fede, nota dottrinale Missus a Patre su alcuni aspetti dell’evangelizzazione, 3.12.2007, n. 7; EV 24/1556. 53 Cf. Congregazione per l’educazione cattolica, La scuola cattolica alle soglie del terzo millennio, n. 3; EV 16/1844. Il Regno - documenti 7/2014 219 S anta Sede di esistere e agire come organismi sociali, strutturati secondo i principi dottrinali e i fini istituzionali che sono loro propri».54 57. La prima responsabilità della scuola cattolica è quella della testimonianza.55 La presenza cristiana nella realtà multiforme delle diverse culture deve essere mostrata e dimostrata, cioè deve rendersi visibile, incontrabile e consapevole. Oggi, a causa dell’avanzato processo di secolarizzazione, la scuola cattolica si trova in una situazione missionaria, anche in paesi di antica tradizione cristiana. Il contributo che il cattolicesimo può portare all’educazione e al dialogo interculturale è il suo riferimento alla centralità della persona umana, che ha nella relazione la sua dimensione costitutiva. La scuola cattolica, che ha in Gesù Cristo il fondamento della sua concezione antropologica e pedagogica, deve praticare «la grammatica del dialogo», non come espediente tecnicistico, ma come modalità profonda di relazione. La scuola cattolica deve riflettere sulla propria identità, perché quello che può «donare» è, prima di tutto, quello che è.56 Comunità educativa laboratorio d’intercultura 58. Il modello a cui deve ispirarsi l’organizzazione scolastica è quello della comunità educativa, spazio di convivialità delle differenze.57 La scuola-comunità è luogo di incontro, promuove la partecipazione, dialoga con la famiglia, prima comunità di appartenenza degli alunni che la frequentano, rispettandone la cultura e ponendosi in profondo ascolto dei bisogni che incontra e delle attese di cui è destinataria. Così facendo può essere considerata un autentico laboratorio di un’intercultura vissuta più che proclamata. 59. La partecipazione non si sviluppa in una società e in una scuola neutrali, prive di valori di riferimento ed estranee a qualsiasi formazione morale, né, all’opposto, permeate da una visione fondamentalista, ma fiorisce in un clima di dialogo e di rispetto reciproco, in un ambiente educativo nel quale a ognuno venga assicurata la possibilità di incrementare al massimo livello le proprie capacità, sempre in vista del conseguimento del bene di tutti. In tal modo si può sviluppare quel costante clima di reciproca fiducia, di disponibilità, di ascolto e di fecondo interscambio che deve contrassegnare l’intero percorso formativo. Le stesse lezioni, al fine di farsi espressione insieme di vita e di pensiero, sono mirate a instaurare un dialogo costante fra docenti e studenti, a valorizzare il personale contributo di questi ultimi nella comune ricerca e a dar vita a un insegnamento a «più voci» da parte dei docenti di varie discipline. 60. Nella scuola, intesa come comunità educativa, la famiglia ha un posto e un ruolo molto importante. La scuola cattolica la considera un valore e ne promuove la partecipazione e l’assunzione di forme di corresponsabilità. Anche quando ci si trovi di fronte a realtà familiari che vivono situazioni difficili e a genitori che non rispondono alle proposte della scuola, la famiglia viene sempre considerata un riferimento indispensabile, portatrice di risorse che possono essere valorizzate: «La scuola cattolica ha interesse a continuare e potenziare la collaborazione con le famiglie. Essa 220 Il Regno - documenti 7/2014 ha per oggetto non solo questioni scolastiche, ma tende soprattutto alla realizzazione del progetto educativo».58 Progetto educativo per un’educazione al dialogo interculturale 61. Dalla testimonianza del Vangelo e dall’apertura gratuita all’amore per l’altro scaturisce la proposta educativa della scuola cattolica, che si preoccupa di sviluppare un approccio interculturale riguardante tutti gli ambiti dell’esperienza scolastica: le relazioni tra le persone, la prospettiva da cui guardare il sapere umano e le discipline, l’integrazione e i diritti di tutti. L’apertura alla pluralità e alle differenze è condizione indispensabile per la collaborazione. L’esperienza dimostra che la religione cattolica sa incontrare, rispettare, valorizzare le diverse culture. L’amore per l’uomo e per la donna è, inevitabilmente, anche amore per la loro cultura. La scuola cattolica è per sua stessa vocazione interculturale. 62. Il progetto educativo della scuola cattolica prevede che studio e vita s’incontrino e si fondano armonicamente tra loro, così che gli studenti possano compiere una esperienza formativa qualificata, alimentata dalla ricerca scientifica nelle diverse articolazioni del sapere e, al tempo stesso, resa sapienziale dall’innesto nella vita nutrita dal Vangelo. S’intende così superare il rischio di un’istruzione che non sia anche – e prima di tutto – formazione integrale della persona. Infatti, «la scuola è uno degli ambienti educativi in cui si cresce per imparare a vivere, per diventare uomini e donne adulti e maturi, capaci di camminare, di percorrere la strada della vita. (...) Aiuta non solo nello sviluppare l’intelligenza, ma per una formazione integrale di tutte le componenti della personalità».59 63. Le principali linee d’impegno del progetto educativo sono le seguenti: Il criterio dell’identità cattolica. La scuola cattolica è impegnata a vivere in ogni sua espressione l’identità del progetto educativo che ha in Cristo il suo fondamento. «È proprio nel riferimento esplicito e condiviso da tutti i membri della comunità scolastica – sia pure in grado diverso – alla visione cristiana che la scuola è “cattolica”, poiché i principi evangelici diventano in essa norme educative, motivazioni interiori e insieme mete finali».60 Da questa esplicita identità traggono senso gli altri impegni. Costruzione di un orizzonte comune. L’educazione può contribuire a individuare quello che vi è di universale, ciò che unisce persone differenti. Il ruolo dell’educazione oggi consiste proprio nel promuovere quel dialogo che rende possibile la comunicazione tra diversi, aiutando a «tradurre» i differenti modi di pensare e sentire. Non si tratta soltanto di realizzare un dialogo come procedura o come metodo, bensì di aiutare le persone a tornare alla propria cultura a partire dalle culture altre, cioè a riflettere su sé stessi in un orizzonte di «appartenenza all’umanità». Apertura ragionata alla mondialità. Una comunità educante come la scuola non formerà ai particolarismi, ma offrirà i saperi necessari per comprendere l’attuale condizione dell’uomo planetario, definita da molteplici interdipendenze. Formazione di identità forti non perché contrapposte, ma perché, a partire dalla consapevolezza della propria tradizione e della propria cultura, si è capaci di dialogare e riconoscere l’uguale dignità dell’altro. Sviluppo di autoriflessività attraverso l’abitudine a ripensare le proprie esperienze, a riflettere sui propri comportamenti, a diventare maggiormente consapevoli di sé, anche attraverso l’uso di strategie cognitive e di formazione al decentramento. Rispetto e comprensione dei valori delle altre culture e religioni. La scuola deve divenire uno spazio di pluralismo in cui si apprende a dialogare sui significati che le persone delle diverse religioni attribuiscono ai rispettivi segni, per poter condividere valori universali quali la solidarietà, la tolleranza, la libertà. Educazione alla partecipazione e alla responsabilità. La scuola non deve rappresentare una parentesi della vita, un luogo puramente artificiale o semplicemente dedicato a sviluppare la dimensione cognitiva. Nel rispetto dei tempi di maturazione degli alunni e della loro libertà personale, la scuola si assume il compito di aiutarli non solo a capire la realtà sociale e culturale di vita, ma anche a favorire l’assunzione di responsabilità per migliorarla. Inoltre, proprio per l’attenzione all’integralità della persona e dell’esperienza, non limita il proprio impegno all’insegnamento diretto, ma cura la molteplicità delle dimensioni dell’esperienza degli studenti, secondo modalità informali (feste, momenti conviviali…), formali (incontri con testimoni, momenti di discussione…), esperienze religiose (momenti liturgici e di spiritualità…).61 64. Il curricolo rappresenta lo strumento attraverso il quale la comunità scolastica esplicita le finalità, gli obbiettivi, i contenuti, le modalità per perseguirli in maniera efficace. In esso si manifesta l’identità culturale e pedagogica della scuola. L’elaborazione del curricolo è uno dei compiti più impegnativi, perché si tratta di definire i valori di riferimento, le priorità tematiche, le scelte concrete. 65. Per la scuola cattolica riflettere sul curricolo significa approfondire i propri elementi di specificità, il peculiare modo di essere servizio alla persona attraverso gli strumenti della cultura, perché quanto viene progettato possa essere effettivamente adeguato alla sua originale missione. Non ci si può accontentare di un’offerta didattica aggiornata, capace di rispondere alle esigenze che provengono dall’economia in trasformazione. Il progetto curricolare della scuola cattolica mette al centro la persona e la sua ricerca di significato. Rispetto a questo riferimento valoriale, le diverse discipline rappresentano delle importanti risorse e assumono un più pieno valore se sanno proporsi come mezzi di educazione. Da questo punto di vista i contenuti non sono indifferenti, così come non può essere indifferente il modo di presentarli. 66. È stato detto che quella in cui viviamo è la società della conoscenza, ma la scuola cattolica è sollecitata a promuovere la società della sapienza, ad andar oltre il conoscere per educare a pensare, a valutare i fatti alla luce dei valori, a educare all’assunzione di responsabilità e di impegno, all’esercizio della cittadinanza attiva. Tra i contenuti caratterizzanti, un posto di rilievo va dato alla conoscenza delle diverse culture, con l’attenzione a favorire l’incontro e il confronto fra i tanti punti di vista che le connotano. Il curricolo deve aiutare a riflettere sui grandi problemi del nostro tempo, non eludendo quelli nei quali più si evidenzia la drammaticità della condizione di vita di tanta parte dell’umanità, come l’ineguale distribuzione delle risorse, la povertà, l’ingiustizia, i diritti umani negati. La povertà implica un’attenta considerazione del fenomeno della globalizzazione e suggerisce di avere della povertà una visione ampia e articolata delle sue diverse manifestazioni e delle sue cause.62 67. Un buon curricolo sa intrecciare a lezioni teoriche momenti di testimonianza, presentazione di esperienze di vita nella luce della visione di fede, pratiche di partecipazione e di assunzione di responsabilità. I diversi momenti si rimandano l’uno all’altro: le lezioni nascono dagli spazi aperti dall’esperienza di vita, il sapere si fa esperienza, e questa acquisisce la forza di proposta culturale, di annuncio. Per quanto concerne l’insegnamento delle discipline, la prospettiva metodologica condivisa e promossa dai docenti è quella della correlazione dinamica delle diverse scienze in un orizzonte sapienziale. Lo statuto epistemico di ogni scienza possiede una propria identità contenutistica e metodologica, ma non riguarda soltanto le condizioni «interne» relative al suo corretto funzionamento; ciascuna disciplina non è un’isola abitata da un sapere distinto e recintato, ma si relaziona in modo dinamico con tutte le altre forme del sapere che esprimono ciascuna qualcosa della persona e attingono qualcosa della verità. 68. La composizione multiculturale delle classi è una sfida per la scuola, che deve essere in grado di ripensare i 54 Benedetto XVI, Beati gli operatori di pace, Messaggio per la XLVI Giornata mondiale della pace (2013), n. 4; Regno-doc. 1,2013,4. 55 Cf. Congregazione per l’educazione cattolica, Educare insieme nella scuola cattolica. Missione condivisa di persone consacrate e fedeli laici, n. 38; EV 24/1269. 56 Cf. Congregazione per l’educazione cattolica, La scuola cattolica, nn. 33-37; EV 6/91-95. 57 Cf. Congregazione per l’educazione cattolica, Il laico cattolico testimone della fede nella scuola, 15.10.1982, n. 22; EV 8/321322; Id., Educare insieme nella scuola cattolica. Missione condivisa di persone consacrate e fedeli laici, n. 13; EV 24/1244. 58 Congregazione per l’educazione cattolica, Dimensione re- ligiosa dell’educazione nella scuola cattolica, 7.4.1988, n. 42; EV 11/442. 59 Francesco, Discorso agli studenti delle scuole gestite dai Gesuiti in Italia e Albania. 60 Congregazione per l’educazione cattolica, La scuola cattolica, n. 34; EV 6/92. Cf. Codice di diritto canonico (CIC) can. 803, §2. 61 Papa Francesco, rivolgendosi ai Gesuiti che gestiscono scuole, li ha incoraggiati «a cercare nuove forme di educazione non convenzionali secondo le necessità dei luoghi, dei tempi e delle persone» (7.6.2013). 62 Cf. Benedetto XVI, Combattere la povertà, costruire la pace, Messaggio per la XLII Giornata mondiale della pace (2009), n. 2; Regno-doc. 1,2009,1s. Il curricolo espressione dell’identità della scuola Il Regno - documenti 7/2014 221 S anta Sede contenuti dell’insegnamento, i modi dell’apprendimento, la propria organizzazione interna, i ruoli, le relazioni con le famiglie e il contesto sociale e culturale di appartenenza. Un curricolo aperto alla prospettiva interculturale propone all’attenzione degli studenti lo studio di civiltà prima ignorate o remote, che però ora si affacciano all’attenzione e sono molto più «vicine» grazie alla globalizzazione e ai mezzi di comunicazione, varcando frontiere spaziali e difese ideologiche. Un insegnamento che voglia aiutare gli studenti a capire la realtà nella quale vivono non può ignorare la dimensione del confronto, ma, al contrario, s’impegna a favorire dialogo, interscambio culturale e spirituale. 69. Sul piano didattico la scuola deve articolare la propria preoccupazione interculturale tenendo presenti le due dimensioni dell’apprendimento: quella cognitiva e quella relazionale-affettiva. Per il primo aspetto essa agisce sui contenuti del curricolo, sui saperi da trasmettere e le competenze da promuovere. Per il secondo aspetto agisce sugli atteggiamenti e le rappresentazioni, insegnando a rispettare le diversità, a tener conto dei diversi punti di vista, a coltivare l’empatia, a collaborare. Insegnamento della religione cattolica 70. Nel contesto attuale le società umane stanno cercando di darsi strutture più ampie e sopranazionali e di andare verso un sistema di governance planetario. Inoltre, gli immensi patrimoni simbolici, che i diversi popoli hanno costruito, difeso e trasmesso per secoli mediante le loro specifiche tradizioni culturali e religiose, sembrano essere ignorati nella loro vera valenza umanizzante, diventando invece motivo di separazione, nella diffidenza reciproca. Per cui, la sfida più grande nell’educazione interculturale sta sempre più nel dialogo tra la propria identità e le altre visioni della vita. 71. Il passaggio culturale odierno presenta evidenti segni di oscillazione tra dialogo e scontro. Ed è soprattutto in presenza di questa crisi di orientamento che il contributo dei cristiani appare come fattore indispensabile. È fondamentale, quindi, che da parte sua la religione cattolica sia segno ispiratore del dialogo, perché si può senz’altro affermare che il messaggio cristiano mai è stato così universale e decisivo come oggi. 72. Attraverso la religione, dunque, può passare la testimonianza-messaggio di un umanesimo integrale, alimentato dalla propria identità e dalla valorizzazione delle sue grandi tradizioni, come la fede, il rispetto della vita umana dal concepimento alla sua fine naturale, della famiglia, della comunità, dell’educazione e del lavoro: occasioni e strumenti non di chiusura ma di apertura e dialogo con tutti e con tutto ciò che conduce verso il bene e la verità. Il dialogo resta l’unica soluzione possibile, anche di fronte alla negazione della religiosità, all’ateismo, all’agnosticismo. 73. In questo orizzonte, assume un significativo ruolo l’insegnamento scolastico della religione cattolica.63 Esso, anzitutto, è un aspetto del diritto all’educazione che ha alla base una concezione antropologica aperta alla dimensione trascendente dell’uomo e della donna. Unito a una formazione morale, favorisce anche lo sviluppo della 222 Il Regno - documenti 7/2014 responsabilità personale e sociale e le altre virtù civiche per il bene comune della società. Il concilio Vaticano II ricorda che: ai genitori «spetta pure il diritto di determinare la forma di educazione religiosa da impartirsi ai propri figli secondo la propria persuasione religiosa (...). I diritti dei genitori sono violati se i figli sono costretti a frequentare lezioni scolastiche che non corrispondono alla persuasione religiosa dei genitori o se viene imposta un’unica forma di educazione dalla quale sia completamente esclusa la formazione religiosa».64 Questa affermazione trova riscontro nella Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo65 e in altre dichiarazioni e convenzioni della comunità internazionale.66 74. Occorre, inoltre, rilevare che l’insegnamento scolastico della religione cattolica ha finalità specifiche rispetto alla catechesi. Questa, infatti, promuove l’adesione personale a Cristo e la maturazione della vita cristiana. L’insegnamento scolastico, invece, trasmette agli alunni le conoscenze sull’identità del cristianesimo e della vita cristiana. In tale modo, si prefigge «di allargare gli spazi della nostra razionalità, riaprirla alle grandi questioni del vero e del bene, coniugare tra loro la teologia, la filosofia e le scienze, nel pieno rispetto dei loro metodi propri e della loro reciproca autonomia, ma anche nella consapevolezza della loro intrinseca unità che le tiene insieme. La dimensione religiosa, infatti, è intrinseca al fatto culturale, concorre alla formazione globale della persona e permette di trasformare la conoscenza in sapienza di vita». Pertanto, con l’insegnamento della religione cattolica «la scuola e la società si arricchiscono di veri laboratori di cultura e di umanità, nei quali, decifrando l’apporto significativo del cristianesimo, si abilita la persona a scoprire il bene e a crescere nella responsabilità, a ricercare il confronto e a raffinare il senso critico, ad attingere dai doni del passato per meglio comprendere il presente e proiettarsi consapevolmente verso il futuro».67 Infine, lo status di disciplina scolastica colloca l’insegnamento della religione nel curricolo accanto alle altre discipline non come accessorio, ma in un necessario dialogo interdisciplinare. 75. In conseguenza, per raggiungere gli obbiettivi di un allargamento degli spazi della nostra razionalità e per sostenere con capacità il dialogo interdisciplinare e quello interculturale, appare efficace l’insegnamento confessionale della religione. Infatti, «si potrebbe anche creare confusione o generare relativismo o indifferentismo religioso se l’insegnamento della religione fosse limitato a un’esposizione delle diverse religioni, in un modo comparativo e “neutro”».68 La formazione dei docenti e dirigenti 76. Di cruciale importanza è la formazione dei docenti e dei dirigenti. Nella maggior parte degli stati la formazione iniziale del personale scolastico è fornita dallo stato. Per quanto qualificata possa essere, non si può però considerarla sufficiente; c’è, infatti, una specificità della scuola cattolica che va sempre riconosciuta e approfondita. La formazione richiesta impone, pertanto, di considerare, oltre agli aspetti disciplinari e professionali tipici della funzione docente e dirigente, anche i fondamenti culturali e pedagogici che costituiscono l’identità della scuola cattolica. 77. Il percorso formativo deve essere l’occasione per rafforzare l’idea della scuola cattolica vista come comunità di relazioni fraterne e luogo di ricerca, impegnata nell’approfondimento e nella comunicazione della verità nei diversi ambiti scientifici. Chi ne ha responsabilità è tenuto a garantire a tutto il personale un’adeguata preparazione, per un servizio qualificato, coerente alla fede professata e capace di interpretare le esigenze della società nella concretezza della sua attuale configurazione.69 Ciò anche per favorire la collaborazione educativa della scuola con i genitori,70 nel rispetto della loro responsabilità di primi e naturali educatori.71 78. Per quanto riguarda una formazione particolarmente dedicata a promuovere sensibilità, consapevolezza e competenza di tipo interculturale, l’itinerario proposto dovrebbe prestare attenzione a tre fondamentali direzioni: a) l’integrazione, che riguarda la capacità della scuola di attrezzarsi in maniera efficace per accogliere studenti di origini culturali diverse, di rispondere ai loro bisogni di riuscita scolastica e valorizzazione personale; b) l’interazione, che riguarda il saper facilitare buone relazioni fra i pari e fra gli adulti, consapevoli che la semplice vicinanza fisica non basta, ma vanno stimolate curiosità reciproca, apertura e amicizia, sia in classe che nei luoghi e nei tempi della vita extrascolastica, prevenendo e riparando situazioni di distanza, discriminazione, conflitto; c) il riconoscimento dell’altro, evitando di cadere nell’errore di imporsi all’altro affermando il proprio stile di vita e il proprio pensiero senza tenere conto della sua cultura e particolare situazione affettiva. 79. Sul piano culturale va perseguito l’impegno a promuovere l’unità tra i saperi, superandone la frammentazione e l’astrazione, secondo una più ampia prospettiva di senso. Non meno importante, anzi prerequisito indispensabile, è che la comunità educativa sia impegnata a superare la frammentazione dei rapporti personali, comunitari e collettivi. Non vi può essere elaborazione di un sapere integralmente «umano» e non solo funzionale, custode della tradizione e insieme aperto alla novità, senza la consapevolezza della dimensione unitaria, nella sua variegata ricchezza, della persona e della società. 80. Se è ormai assodato che il processo formativo copre l’intero arco dell’esperienza professionale, non potendosi limitare alla fase della formazione iniziale o dei primi anni, questo assume un valore tutto particolare nella scuola cattolica. In essa si richiede non soltanto di saper insegnare o saper dirigere un’organizzazione, ma, attraverso lo strumento della competenza professionale, di saper testimoniare l’autenticità di quanto si propone e la propria continua ricerca di meglio corrispondere, con il pensiero e con la vita, agli ideali che a parole si enunciano. Di qui l’importanza che la scuola sappia essere comunità di formazione e di studio, nella quale la relazione tra le persone comunichi il proprio timbro alla relazione fra le discipline; e il sapere, interiormente vivificato da questa ritrovata unità alla luce del Vangelo e della dottrina cristiana, porti il proprio indispensabile contributo alla crescita integrale della persona e della società planetaria che si va annunziando. 63 Cf. Congregazione per l’educazione cattolica, lettera circolare ai presidenti delle conferenze episcopali La natura e il ruolo sull’insegnamento della religione nella scuola, 5.5.2009; EV 26/478ss. 64 Concilio ecumenico Vaticano II, dich. Dignitatis humanae sulla libertà religiosa, n. 5; EV 1/1057. Cf. CIC can. 799; cf. Santa Sede, Carta dei diritti della famiglia, 22.10.1983, art. 5, c-d. 65 Cf. Nazioni Unite, Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, 10.12.1948, art. 26. 66 Cf. ad esempio Protocollo addizionale n. 1 alla Convenzione culturale europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (1952), art. 2; Nazioni Unite, Dichiarazione dei diritti del fanciullo (1959), principio 7, 2; UNESCO, Convenzione contro la discriminazione nell’educazione (1960), art. 5, b; Nazioni Unite, Convenzione sui diritti dell’infanzia (1989), art. 18, 1. 67 Benedetto XVI, Discorso agli insegnanti di religione cattolica, 25.4.2009. 68 Congregazione per l’educazione cattolica, La natura e il ruolo, n. 12; EV 26/493. 69 Cf. Congregazione per l’educazione cattolica, Educare insieme nella scuola cattolica. Missione condivisa di persone consacrate e fedeli laici, nn. 34-37; EV 24/1265-1268. 70 Cf. CIC can. 796, §1. 71 Cf. Congregazione per l’educazione cattolica, Dimensione religiosa dell’educazione nella scuola cattolica, n. 32; EV 11/431; cf. CIC can. 799. Essere insegnanti, essere dirigenti 81. La formazione è sempre orientata dalla definizione di un profilo professionale e quindi deve rispondere alla domanda: che cosa significa essere insegnante, che cosa significa essere dirigente nella scuola cattolica? Quali sono le competenze che devono caratterizzarne la professionalità? 82. L’insegnante oggi è membro di una comunità professionale, contribuisce all’elaborazione del curricolo, ha la responsabilità di molteplici relazioni con altri soggetti, in primo luogo la famiglia. Una buona scuola è quella nella quale il corpo docente sa diventare qualcosa di più di un formale collegio, nel quale i membri sono legati da vincoli burocratici; una comunità nella quale sperimentare rapporti professionali e personali, non solo superficiali, ma molto più profondi, legati da una comune preoccupazione educativa. 83. Un buon insegnante sa che la sua responsabilità non si esaurisce dentro l’aula o la scuola, ma è rivolta anche al territorio di appartenenza, e si manifesta nella sensibilità ai problemi sociali del suo tempo. La preparazione professionale, la competenza tecnica, sono requisiti necessari, ma non sufficienti. La funzione educativa si manifesta nell’accompagnare i giovani a capire il loro tempo e a fornire una convincente ipotesi per il loro progetto di vita. Poiché la dimensione della multiculturalità e del pluralismo è tratto caratterizzante del nostro tempo, si richiede all’insegnante la capacità di fornire agli studenti gli strumenti culturali necessari per orientarsi e, ancora di più, di far loro sperimentare nella quotidianità della vita dell’aula la pratica dell’ascolto, del rispetto, del dialogo, del valore della diversità. Il Regno - documenti 7/2014 223 S anta Sede 84. Alla scuola, sempre più multiculturale, spetta il compito di porre in relazione e di mediare esperienze differenti, che chiedono di essere conosciute e riconosciute. Ai docenti e ai dirigenti scolastici si richiedono capacità professionali nuove, volte a ricomporre e far dialogare le differenze, proponendo orizzonti comuni, pur nella singolarità dei percorsi di sviluppo e delle visioni del mondo. 85. Per chi occupa una responsabilità dirigenziale può essere forte la tentazione di considerare la scuola in modo analogo a un’azienda o a un’impresa. Ma la scuola che vuole essere comunità educante ha bisogno che chi la guida sia capace di richiamare i valori di riferimento e di valorizzare tutte le risorse professionali e umane in tale direzione. Il dirigente scolastico, più che manager di un’organizzazione, è leader educativo quando sa assumersi per primo questa responsabilità, che si configura anche come una missione ecclesiale e pastorale radicata nel rapporto con i pastori della Chiesa. Spetta in particolare al dirigente scolastico fornire il necessario sostegno al diffondersi della cultura del dialogo, dell’incontro, del reciproco riconoscimento fra diverse culture, promuovendo dentro e fuori la scuola tutte le collaborazioni possibili e utili a realizzare l’intercultura. 86. Perché una scuola possa svilupparsi come comunità professionale è necessario che i suoi membri imparino a riflettere e a ricercare insieme. Essa è una comunità di pratiche condivise, di comunanza di idee, di ricerca. L’unione della comunità educante si alimenta, inoltre, attraverso un forte legame con la comunità cristiana. La scuola cattolica, infatti, è un soggetto ecclesiale. «La dimensione ecclesiale non costituisce nota aggiuntiva, ma è qualità propria e specifica, carattere distintivo che penetra e plasma ogni momento della sua azione educativa, parte fondante della sua stessa identità e punto focale della sua missione».72 Pertanto, «tutta la comunità cristiana e, in particolare, l’Ordinario diocesano hanno la responsabilità di “disporre ogni cosa, perché tutti i fedeli possano fruire dell’educazione cattolica” (CIC can. 794, §2) e, più precisamente, per avere “scuole nelle quali venga trasmessa un’educazione impregnata di spirito cristiano” (CIC can. 802; cf. CCEO can. 635)».73 L’ecclesialità della scuola cattolica, che è iscritta nel cuore stesso della sua identità scolastica, è la ragione del «vincolo istituzionale che mantiene con la gerarchia della Chiesa, la quale garantisce che l’insegnamento e l’educazione siano fondati sui principi della fede cattolica e impartiti da maestri di dottrina retta e vita onesta (cf. CIC can. 803; CCEO cann. 632 e 639)».74 C onclusione La dimensione interculturale è familiare alla tradizione della scuola cattolica. Oggi, però, di fronte alle sfide della globalizzazione e del pluralismo culturale e religioso, diventa indispensabile acquisire una maggior consapevolezza del suo significato, così da meglio tradurre, in presenza, testimonianza e insegnamento, la propria peculiarità di essere, in quanto cattolica, scuola 224 Il Regno - documenti 7/2014 aperta all’universalità del sapere e, allo stesso tempo, portatrice di una specificità che è data dal radicamento nella fede in Cristo Maestro e dall’appartenenza alla Chiesa. Rifuggendo da ogni fondamentalismo, come da ogni relativismo omologante, la scuola cattolica è sollecitata a progredire nella corrispondenza all’identità ricevuta dalla sua ispirazione evangelica, ed è invitata anche a percorrere i sentieri dell’incontro, educandosi ed educando al dialogo, che consiste nel parlare con tutti e con tutti relazionarsi con rispetto, stima, sincerità d’ascolto; nell’esprimersi con autenticità, senza offuscare o mitigare la propria visione per suscitare un maggiore consenso; nel testimoniare con le modalità della propria presenza, la coerenza tra le parole e la vita. A tutte le educatrici e a tutti gli educatori vogliamo far giungere le parole incoraggianti e orientative di papa Francesco: «Non scoraggiatevi di fronte alle difficoltà che la sfida educativa presenta! Educare non è un mestiere, ma un atteggiamento, un modo di essere; per educare bisogna uscire da sé stessi e stare in mezzo ai giovani, accompagnarli nelle tappe della loro crescita mettendosi al loro fianco. Donate loro speranza, ottimismo per il loro cammino nel mondo. Insegnate a vedere la bellezza e la bontà della creazione e dell’uomo, che conserva sempre l’impronta del Creatore. Ma soprattutto siate testimoni con la vostra vita di quello che comunicate. Un educatore (...) trasmette conoscenze, valori con le sue parole, ma sarà incisivo sui ragazzi se accompagnerà le parole con la sua testimonianza, con la sua coerenza di vita. Senza coerenza non è possibile educare! Tutti siete educatori, non ci sono deleghe in questo campo. La collaborazione allora in spirito di unità e di comunità tra le diverse componenti educative è essenziale e va favorita e alimentata. Il collegio può e deve fare da catalizzatore, esser luogo di incontro e di convergenza dell’intera comunità educante con l’unico obbiettivo di formare, aiutare a crescere come persone mature, semplici, competenti e oneste, che sappiano amare con fedeltà, che sappiano vivere la vita come risposta alla vocazione di Dio, e la futura professione come servizio alla società».75 Il santo padre Francesco ha dato il suo benestare alla pubblicazione del presente documento. Roma, 28 ottobre 2013, quarantottesimo anno dalla promulgazione della dichiarazione Gravissimum educationis del concilio Vaticano II. ✠ Zenon card. Grocholewski, prefetto ✠ Angelo Vincenzo Zani, segretario 72 Congregazione per l’educazione cattolica, La scuola cattolica alle soglie del terzo millennio, n. 11; EV 16/1852. 73 Congregazione per l’educazione cattolica, La natura e il ruolo, n. 5; EV 26/485. 74 Ivi, n. 6; EV 26/486. 75 Francesco, Discorso agli studenti delle scuole gestite dai Gesuiti in Italia e Albania. S tudi e commenti | carità Il ruolo del vescovo, in giustizia, pace e caritas Il card. Oscar Rodríguez Maradiaga alla plenaria della Conferenza canadese dei vescovi cattolici V Il cardinale honduregno Oscar Maradiaga, presidente di Caritas internationalis, parlando lo scorso 24 settembre all’Assemblea plenaria della Conferenza canadese dei vescovi cattolici, riflette sul fondamentale contributo di Benedetto XVI alla comprensione della carità come missione della Chiesa. «L’intima natura della Chiesa», infatti, «si esprime in un triplice compito: annuncio della parola di Dio, celebrazione dei sacramenti, servizio della carità». Allo stesso tempo, «il servizio della carità è una dimensione costitutiva della missione della Chiesa». La parabola del buon samaritano rappresenta efficacemente la prassi della carità cristiana e unisce, in un filo rosso carico di significato, le parole del papa emerito a quelle di papa Francesco: «L’espressione più bella della carezza di fronte a una necessità è quella del buon samaritano». In questa prospettiva, il vescovo è pastore e «padre di famiglia»: come Benedetto XVI nei confronti di tutta la Chiesa, per usare le parole di Maradiaga, egli indica «la direzione e gli strumenti per navigare sicuri mantenendo la giusta rotta». Stampa (31.1.2014) da sito web blog.caritas. org. Nostra traduzione dall’inglese; sottotitoli redazionali. Il Regno - documenti 7/2014 ostre eminenze, vostre eccellenze, cari fratelli vescovi, vi porgo il saluto più cordiale a nome di Caritas internationalis, la confederazione di 164 organizzazioni assistenziali cattoliche nazionali che operano nel campo degli aiuti umanitari e dello sviluppo. Tra esse vi è la Canadian catholic organization for development and peace di Caritas Canada. Sono certo che voi tutti conoscete bene la sua eccellente attività, anche nella mia patria, l’Honduras, dove ha aiutato le comunità devastate dalle società minerarie. È un esempio meraviglioso della fraternità in azione, che è una parte essenziale della confederazione della Caritas. Proprio questo mese ha promosso degli incontri sulla creazione di una rete di comunicazioni nell’Africa francofona e sulla nostra risposta all’emergenza in America Latina. È stata una delle organizzazioni della Caritas fondamentali nel fronteggiare la siccità che nell’Africa occidentale, lo scorso anno, ha colpito più di 20 milioni di persone. Potete andare molto orgogliosi di Development and peace, la vostra organizzazione Caritas del Canada. Con grande sollecitudine fraterna vorrei incoraggiarvi nella vostra missione, voi che siete «servi di Cristo e amministratori dei misteri di Dio» (1Cor 4,1) nella «casa di Dio, che è la Chiesa del Dio vivente, colonna e sostegno della verità» (1Tm 3,15). Vi ringrazio per avermi invitato a parlarvi e per l’opportunità che mi avete offerto di visitare Sainte-Adèle in Quebec. Sant’Adele fu una principessa tedesca dell’VIII secolo, fondatrice di un convento, divenuta celebre per la sua santità, la prudenza e la compassione. Fu anche in corrispondenza con san Bonifacio, apostolo della Germania. Mi è venuta spesso in mente questa osservazione di san Bonifacio: «Nel suo viaggio attraverso l’oceano di questo mondo, la Chiesa è come una grande nave che viene battuta dalle onde delle diverse preoccupazioni e tensioni della vita. Il nostro dovere è non abbandonare la nave ma mantenerla sulla sua rotta». Bonifacio rafforzò la Chiesa in Germania mediante il suo esempio e creando una struttura istituzionale che esiste ancor oggi. È stata questa Chiesa, naturalmente, a 225 S tudi e commenti darci Joseph Ratzinger. Ed è papa Benedetto XVI che ha rafforzato la nostra comprensione della missione evangelica della Chiesa riguardo al servizio della carità e che ci ha mantenuto in rotta nell’attraversamento delle tempeste della vita nel mondo moderno. Si potrebbe dire che ciò che Bonifacio ha fatto per la Germania, Benedetto lo ha fatto per la carità. Carità come missione della Chiesa Il mio intervento oggi è sul «ruolo del vescovo in giustizia, pace e caritas», ed attingerò ampiamente dall’attività del pontificato del papa emerito Benedetto XVI. In risposta alla chiamata del Vangelo (cf. Mt 25), la Chiesa lungo la storia ha lavorato per e accanto ai poveri del mondo. Tuttavia l’enciclica di Benedetto XVI Deus caritas est, pubblicata nel 2005, per la prima volta ha presentato una dottrina ufficiale sulla carità. E ha collocato la carità al centro della missione della Chiesa. La sua seconda lettera enciclica, Caritas in veritate, ha sottolineato alcune delle sfide che devono essere affrontate da tutti per vivere secondo la carità nella verità. E pochi mesi prima della sua rinuncia, egli ha pubblicato il motu proprio Intima Ecclesiae natura, o «Sul servizio della carità», che fornisce il quadro legale per le azioni caritative della Chiesa. Scrive papa Benedetto in Deus caritas est: «L’intima natura della Chiesa si esprime in un triplice compito: annuncio della parola di Dio (kêrygma-martyria), celebrazione dei sacramenti (leiturgia), servizio della carità (diakonia). Sono compiti che si presuppongono a vicenda e non possono essere separati l’uno dall’altro».1 Nel motu proprio, papa Benedetto afferma: «Il servizio della carità è una dimensione costitutiva della missione della Chiesa ed è espressione irrinunciabile della sua stessa essenza».2 Nella testimonianza della carità di Cristo, la caritas è parte integrante dell’evangelizzazione. Infatti, come ha affermato Paolo VI, «l’evangelizzazione non sarebbe completa se non tenesse conto del reciproco appello, che si fanno continuamente il Vangelo e la vita concreta, personale e sociale, dell’uomo».3 La nostra Chiesa è un popolo universale, unito nei sacramenti e nella solidarietà. Essere il popolo di Dio nel mondo è la nostra vocazione di cristiani. Nella Lumen gentium, della Chiesa stessa viene data la definizione che segue: «Cristo è la luce delle genti, e questo sacro Concilio, adunato nello Spirito Santo, ardentemente desidera che la luce di Cristo, riflessa sul volto della Chiesa, illumini tutti gli uomini annunziando il Vangelo a ogni creatura».4 La nostra sollecitudine sociale per la giustizia e per la promozione dello sviluppo umano ovviamente non è l’intero e unico compito della Chiesa, ma è uno dei suoi «elementi costitutivi», e una dimensione vitale della nostra koinonia. Papa Benedetto, in Deus caritas est, scrive che il servizio della carità è una «espressione irrinunciabile della 226 Il Regno - documenti 7/2014 sua stessa natura». Egli afferma inoltre che tutti i fedeli hanno il dovere di dedicarsi a una vita caritativa. Come ha detto papa Francesco all’incontro con il Comitato esecutivo di Caritas internationalis, tenutosi quest’anno a Roma, «una Chiesa senza la carità non esiste».5 Lo scorso anno, all’apertura del Sinodo per la nuova evangelizzazione, papa Benedetto ci ha ricordato il ruolo eminente che la carità ha nell’evangelizzazione, sottolineando che le due colonne sulle quali la nuova evangelizzazione deve essere costruita sono la «confessio» e la «caritas». «Confessio» e «caritas» sono – egli ha detto – «come i due modi in cui Dio ci coinvolge, ci fa agire con lui, in lui e per l’umanità, per la sua creazione».6 Oggi stiamo vivendo un momento di grave crisi. Non si tratta solo di una crisi economica e neppure solo di una crisi culturale; e neppure è una crisi di fede. Oggi è in pericolo l’intera umanità. Oggi è in pericolo il corpo di Cristo. Come ha detto papa Francesco, «la nostra civiltà ha creato una cultura dell’usa e getta: se non si usa, via, nella spazzatura! Bambini, anziani, emarginati. Questa è la crisi che stiamo vivendo».7 Il buon samaritano emblema della carità cristiana Il rifiuto dell’emarginato richiama il racconto evangelico del buon samaritano. In questa parabola, come spiega papa Benedetto, «vediamo la duplice realtà della carità cristiana, che è sia universale che pratica. Questo samaritano incontra un ebreo, che quindi sta oltre i confini della sua tribù e della sua religione. Ma la carità è universale e perciò questo straniero in tutti i sensi è per lui prossimo. L’universalità apre i limiti che chiudono il mondo e creano le diversità e i conflitti».8 Le sfide che dobbiamo fronteggiare sono reali, e talvolta scoraggianti. Nel suo libro-intervista Luce del mondo, papa Benedetto conclude: «Tanto più importante è perciò che la fede cattolica si presenti in modo nuovo e vivo e si mostri come forza di unità, di solidarietà e di apertura all’eterno di ciò che è nel tempo».9 Queste parole incoraggianti ispirano il nostro impegno a combattere la povertà e a portare il nostro contributo all’edificazione di un’unica famiglia umana, secondo lo spirito e la visione dell’enciclica Spe salvi: «La misura dell’umanità si determina essenzialmente nel rapporto con la sofferenza e col sofferente. Questo vale per il singolo come per la società. Una società che non riesce ad accettare i sofferenti e non è capace di contribuire mediante la compassione a far sì che la sofferenza venga condivisa e portata anche interiormente è una società crudele e disumana».10 Cari amici, la missione di Caritas internationalis è quella di servire i poveri, e ancor più i più poveri tra i poveri, per primi. Questa è la nostra ragion d’essere e perciò la Caritas è al centro della missione della diakonia della Chiesa. Per molte persone che sono nel bisogno, la Caritas è il volto amorevole di Cristo che reca sollievo e conforto, rispetto e considerazione. Come Caritas siamo chiamati a rendere testimonianza del suo amore e lo facciamo con entusiasmo. Sappiamo che Dio è amore e sappiamo e crediamo che egli ha creato ogni singola persona a propria immagine. E quindi non possiamo permetterci di perdere una sola persona della nostra unica famiglia umana senza perdere il nostro proprio destino. Perderemmo un fratello o una sorella in Cristo che si è fatto uguale a ciascuno di noi. Papa Francesco ha detto che la Caritas è una «parte essenziale della Chiesa» e che è «l’istituzione dell’amore della Chiesa». Ha detto che la Caritas ha una doppia dimensione – una «sociale» o attiva, e l’altra «mistica» o divina, cioè «posta nel cuore della Chiesa». Il papa ha anche detto che «la Caritas è la carezza della Chiesa al suo popolo, la carezza della madre Chiesa ai suoi figli; la tenerezza, la vicinanza». Papa Francesco ci riconduce di nuovo al buon samaritano: «Per me l’espressione più bella della carezza di fronte a una necessità è quella del buon samaritano che non dice: “Lo alzò, lo portò alla locanda, pagò e se ne andò”. No, prima gli lavò le ferite, gli curò le ferite, poi lo alzò, lo prese e affermò: “Pagherò per quello che manca”». Riflettendo sulla parabola del buon samaritano in Deus caritas est, papa Benedetto elenca i seguenti elementi costitutivi. Primo: «La carità cristiana è dapprima semplicemente la risposta a ciò che, in una determinata situazione, costituisce la necessità immediata: gli affamati devono essere saziati, i nudi vestiti, i malati curati in vista della guarigione, i carcerati [ecc.]». Secondo: «Le organizzazioni caritative della Chiesa, a cominciare da quelle della Caritas (diocesana, nazionale, internazionale) devono fare il possibile, affinché siano disponibili i relativi mezzi e soprattutto gli uomini e le donne che assumano tali compiti». Terzo: «Per quanto riguarda il servizio che le persone svolgono per i sofferenti, occorre innanzitutto la competenza professionale: i soccorritori devono essere formati in modo da saper fare la cosa giusta nel modo giusto, assumendo poi l’impegno del proseguimento della cura». E infine: «La competenza professionale è una prima fondamentale necessità, ma da sola non basta. Si tratta, infatti, di esseri umani, e gli esseri umani necessitano sempre di qualcosa in più di una cura solo tecnicamente corretta. Hanno bisogno di umanità. Hanno bisogno dell’atten- zione del cuore, (…) [di una] “formazione del cuore” (…). Il programma del buon samaritano, il programma di Gesù è “un cuore che vede”».11 L’esercizio della diakonia della carità, sia in piccole comunità che a livello della Chiesa universale, richiede un’organizzazione. Nel motu proprio Intima Ecclesiae natura, papa Benedetto offre un quadro giuridico per la migliore organizzazione delle varie forme dell’attività caritativa della Chiesa. È importante avere una comprensione migliore dello spirito e della lettera di questo documento, le cui fonti risalgono e fanno riferimento alla pratica dei primi secoli del cristianesimo, com’è chiaramente indicato nella Deus caritas est.12 1 Benedetto XVI, lett. enc. Deus caritas est sull’amore cristiano, 25.12.2005, n. 25; EV 23/1575. 2 Benedetto XVI, motu proprio Intima Ecclesiae natura sul servizio della carità, 11.11.2012; Regno-doc. 21,2012,641. 3 Paolo VI, es. ap. Evangelii nuntiandi sull’evangelizzazione nel mondo contemporaneo, 8.12.1975, n. 29; EV 5/1621; cf. inoltre n. 31; EV 5/1623. 4 Concilio ecumenico Vaticano II, cost. dogm. Lumen gentium sulla Chiesa, 21.11.1964, n. 1; EV 1/284. 5 Francesco, discorso ai membri del Comitato esecutivo di Caritas internationalis, udienza privata in Casa Santa Marta, Città del Vaticano, 16.5.2013. 6 Benedetto XVI, meditazione nel corso della I Congregazione generale, 8.10.2012; Regno-doc. 19,2012,577s. 7 Francesco, discorso ai membri del Comitato esecutivo di Caritas internationalis. 8 Benedetto XVI, intervento alla I Congregazione della II Assemblea speciale per l’Africa del Sinodo dei vescovi, 5.10.2009; Regnodoc. 21,2009,669. 9 Benedetto XVI, Luce del mondo. Il papa, la Chiesa e i segni dei tempi. Una conversazione con Peter Seewald, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2010, 164. 10 Benedetto XVI, lett. enc. Spe salvi sulla speranza cristiana, 30.11.2007, n. 38; EV 24/1476. 11 Benedetto XVI, Deus caritas est, n. 31; EV 23/1592. 12 Cf. ivi, nn. 21-24.32; EV 23/1571-1574.1595. 13 Ivi, n. 20; EV 23/1570. 14 Ivi, n. 32; EV 23/1595. Il servizio della carità Il motu proprio offre una legislazione destinata ai diversi attori del servizio della carità. Esso indica non solo qual è la responsabilità del vescovo, ma anche l’impegno di ogni persona battezzata nell’esercizio della carità. L’amore del prossimo, radicato nell’amore di Dio, è prima di tutto una responsabilità per ogni singolo membro del popolo dei fedeli, ma è anche un compito dell’intera comunità ecclesiale a tutti i livelli, dalla comunità locale a quella diocesana, dalla Chiesa particolare alla Chiesa universale nel suo complesso. Qui troviamo un’eco di ciò che viene affermato in Deus caritas est: «L’amore ha bisogno anche di organizzazione quale presupposto per un servizio comunitario ordinato. La coscienza di tale compito ha avuto rilevanza costitutiva nella Chiesa fin dai suoi inizi».13 Poiché è veramente un’attività della Chiesa stessa, oltre a essere una dimensione essenziale della Chiesa, l’attività caritativa deve essere ricollegata direttamente al ministero episcopale. In virtù della natura episcopale della Chiesa, i vescovi diocesani hanno «la prima responsabilità della realizzazione, anche nel presente, del programma indicato negli Atti degli apostoli (cf. 2,42-44)».14 Il motu proprio spiega il mandato generale dato ai vescovi. Tuttavia, il vescovo non può funzionare senza quel corpo che egli presiede. Per questa ragione, tutti i fedeli devono essere educati nello spirito della condivisione e della genuina carità. Il documento del papa si rivolge a diversi tipi di sog- Il Regno - documenti 7/2014 227 S tudi e commenti getto: a coloro che esercitano un’autorità nella Chiesa, alla comunità dei fedeli e alle diverse organizzazioni caritative. Il motu proprio mette in luce i rispettivi livelli di responsabilità: a livello diocesano la competenza appartiene al vescovo; a livello nazionale appartiene alla Conferenza episcopale e a livello internazionale appartiene alla Santa Sede. Quando il motu proprio fa riferimento alla «responsabilità del vescovo», occorre tenere ben presenti questi tre livelli. Il motu proprio afferma che la comunità dei fedeli e tutti i fedeli hanno il diritto di creare organizzazioni caritative e di costituire fondazioni per finanziare concrete iniziative caritative. Il motu proprio pone in evidenza la partecipazione dell’intera comunità cristiana, che deve essere educata «allo spirito di condivisione e di autentica carità».15 Siamo quindi in un ambito che promuove e incoraggia la libertà dei fedeli. Infine, le organizzazioni cattoliche che operano a servizio della carità. Ve ne sono di diverso tipo, e tra esse possiamo identificarne almeno quattro: – la Caritas, che merita una menzione particolare perché è considerata come lo strumento ufficiale del vescovo nel ministero della carità, come si può vedere anche nella recente legislazione riguardante Caritas internationalis; – altre organizzazioni istituite dall’autorità della Chiesa per affrontare situazioni sociali e gestire progetti di finanziamento per la promozione dello sviluppo umano; – le organizzazioni promosse dagli istituti di vita consacrata e dalle società di vita apostolica;16 – le organizzazioni nate dall’iniziativa dei fedeli. Esse sono soggette alla nuova legislazione, se sono state riconosciute in un modo o in un altro dall’autorità competente, ad esempio se portano l’attributo di «cattolica». Il vescovo come pastore Qui stiamo parlando della responsabilità del vescovo nella sua attività caritativa come missione ecclesiale. In effetti, il vescovo viene definito «pastore, guida e primo responsabile» di questo servizio della carità. Tra le principali responsabilità connesse con il suo ministero, egli ha il compito di suscitare nei fedeli il fervore della carità operosa come espressione di vita cristiana e di partecipazione alla missione della Chiesa. Questo per il vescovo implica l’obbligo paterno di sentirsi vicino ai più poveri e, da un punto di vista pastorale, di prestare una speciale attenzione, così che la Chiesa al livello diocesano e parrocchiale viva la diakonia della carità secondo l’esempio di Cristo. Il vescovo deve educare i fedeli nello spirito della condivisione e della genuina carità. Ogni comunità cristiana deve avere un «cuore che vede» le miserie che, tragicamente, persistono intorno a essa e deve essere in grado di intervenire e portare assistenza. È necessario che le nostre comunità sappiano come portare conforto e consolazione ai poveri e ai sofferenti. Il vescovo deve incoraggiare a operare nella carità, sia 228 Il Regno - documenti 7/2014 individualmente sia in una forma organizzata in gruppi di volontari cattolici. Questa responsabilità del vescovo implica anche che egli sia il garante della comunione. Nella sua persona sussiste l’unità dei tre compiti, tanto quanto egli costituisce una certezza e una garanzia assolute della loro autenticità e della loro interdipendenza. Questa responsabilità comporta il fatto che il vescovo sia anche il garante del dialogo che deve esistere all’interno delle organizzazioni caritative che desiderano appartenere alla Chiesa cattolica o anche per coloro che operano nella sua diocesi e che provengono da altri organismi ecclesiali. La garanzia di questa unità comprende anche il diritto del vescovo di dare il suo assenso alle iniziative di organismi cattolici, vigilando perché le attività realizzate nella propria diocesi si svolgano conformemente alla disciplina ecclesiastica, proibendole o adottando i provvedimenti necessari qualora non la rispettassero.17 È chiaro che il vescovo non può presiedere da solo il servizio della carità; questo è il motivo per cui si consiglia che il vescovo diocesano crei un ufficio ad hoc che, a suo nome e sotto la sua vigile supervisione, gestisca il servizio della carità. Questo potrebbe essere il compito della Caritas, la cui specificità è diversa da quella di altre organizzazioni caritative create all’interno di organismi laici o di istituzioni religiose. Tuttavia non è realistico né opportuno limitare il ministero della carità della Chiesa alla sola «caritas». Le organizzazioni caritative sparse in tutto il mondo sono numerosissime e riflettono la varietà dei carismi presenti nella Chiesa. Il compito del vescovo è quello di favorire e sostenere questa pluralità di attività e opere caritative e non di soffocarla. Questo appare particolarmente importante perché, grazie a Dio, stanno emergendo molte iniziative di carità, ma spesso si ignorano a vicenda. Spetta quindi al vescovo promuovere tra esse quella comunione e quell’armonia ecclesiale che esistono intorno alla sua persona. Egli è veramente il «padre di famiglia». Vorrei anche riflettere sulla responsabilità del vescovo nella formazione di coloro che operano nel servizio di carità. Spesso ci accontentiamo semplicemente del fatto che una persona offra tempo ed energia ad altri. È evidente che non si tratta solo di una questione di fare del bene, ma anche di farlo bene. Seguendo l’esempio di Cristo, coloro che operano nel servizio di carità dovrebbero essere umili come lui, non considerando sé stessi come il centro della propria azione, ma piuttosto essendo capaci di rendere testimonianza della propria relazione con Dio. Il punto fondamentale riguarda la selezione e la formazione delle persone che offrono il loro servizio. Esse devono avere un autentico sensus Ecclesiae e vivere nella fede e nella carità. Questo permette loro di affrontare e di valutare la situazione più difficile o più intricata. Questo è il motivo per cui la loro formazione dovrebbe essere presa sul serio, sia dal punto di vista professionale che spirituale. È la persona umana nella sua integralità, creata a immagine e somiglianza di Dio, quella che vogliamo servire. Il motu proprio prescrive che le organizzazioni caritative selezionino operatori che condividano i criteri della missione della Chiesa, o almeno che li rispettino.18 Questo non significa che persone non cattoliche non possano essere impiegate in organismi caritativi cattolici. Tuttavia, tali persone non solo devono avere una buona conoscenza della dottrina della Chiesa, ma devono anche rispettare i principi e i criteri che qualificano la missione caritativa della Chiesa. Vorrei mettere in evidenza la semplicità che dovrebbe caratterizzare la gestione delle iniziative di carità e alla quale voi già fate attenzione. Cito: «In modo particolare, il vescovo curi che la gestione delle iniziative da lui dipendenti sia testimonianza di sobrietà cristiana. A tale scopo vigilerà affinché stipendi e spese di gestione, pur rispondendo alle esigenze della giustizia e ai necessari profili professionali, siano debitamente proporzionate ad analoghe spese della propria curia diocesana».19 Questa semplicità è anche una delle ragioni della fiducia di cui godono le nostre organizzazioni da parte dei fedeli. Infatti, le spese amministrative vengono sempre attentamente esaminate dai donatori e sono oggetto di discussione. Responsabilità e buone prassi Un ulteriore aspetto merita di essere menzionato. Il vescovo è tenuto a chiedere all’autorità civile di garantire che la Chiesa possa esercitare liberamente il servizio di carità, ed egli stesso deve garantire il rispetto della legislazione civile da parte di tutti gli organismi che operano all’interno della sua diocesi.20 È una delle responsabilità principali presentare all’autorità competente gli statuti che devono essere approvati. Questi devono contenere, oltre alle cariche istituzionali e alle strutture di governo, anche i principi ispiratori e le finalità dell’organizzazione, le modalità di gestione dei fondi e il profilo dei propri operatori.21 Il motu proprio richiede la comunione con il vescovo del luogo in cui l’attività caritativa viene realizzata. Il motu proprio, infatti, afferma: «Resta sempre integro il diritto dell’autorità ecclesiastica del luogo di dare il suo assenso alle iniziative di organismi cattolici da svolgere nell’ambito della sua competenza (…) ed è suo dovere di pastore vigilare perché le attività realizzate nella propria diocesi si svolgano conformemente alla disciplina ecclesiastica».22 Il motu proprio esorta a una particolare vigilanza sulla destinazione dei proventi delle collette. Questi dovrebbero essere destinati alle specifiche finalità per cui sono stati raccolti, per il bene della trasparenza dell’organizzazione.23 Non è permesso raccogliere fondi o promuovere attività che sono contrarie all’insegnamento della Chiesa attraverso le strutture parrocchiali o ecclesiali.24 Il vescovo diocesano deve evitare che organismi caritativi accettino contributi per iniziative che, nelle finalità o nei mezzi per raggiungerli, non siano conformi alla dottrina della Chiesa. In altre parole, se i finanziamenti offerti sono soggetti a condizioni moralmente inaccettabili, tali contributi non possono assolutamente essere accettati, e questo anche per evitare di dare scandalo ai fedeli.25 Questo motu proprio crea una nuova situazione giuridica sulla quale noi dobbiamo riflettere, anche per trovare applicazioni pratiche. Esso non riguarda soltanto i vescovi, ma anche gli organismi stessi. Sarà certamente necessario prestare una particolare attenzione ai seguenti punti: – l’urgenza o la necessità di un esame e l’eventuale revisione degli statuti per garantire la conformità e l’applicazione della nuova normativa nei suoi vari livelli per meglio esprimere, ad esempio, il legame con la Chiesa e la fedeltà alla dottrina e all’insegnamento del magistero; – gli organismi caritativi hanno il dovere ecclesiale di preservare la comunione con i vescovi diocesani. Tuttavia non dovrebbero interpretare questo dovere come una questione disciplinare, ma come un’espressione della nostra appartenenza alla Chiesa; – la creazione di luoghi di incontro e di riflessione a livello diocesano per ridefinire i criteri adottati nell’attività caritativa, per precisare e pianificare l’offerta formativa, per ridurre le linee-guida che devono essere date alle attività e, a livello parrocchiale, per valutare le attività che devono essere promosse e organizzate;26 – è pure di fondamentale importanza promuovere regolarmente una riflessione sulla formazione professionale e cristiana, cosa che oggi è una questione centrale, di coloro che operano in organismi caritativi cattolici; – prestare una particolare attenzione alla situazione degli organismi creati da istituti religiosi che, a volte, non hanno un collegamento istituzionale con coloro dai quali hanno avuto origine. Cari amici, il mio intervento si è concentrato principalmente su papa Benedetto XVI e sull’attenzione che lui ha riservato al servizio di carità nella Chiesa. Papa Benedetto è un grande incoraggiamento per la nostra missione. Se la Chiesa è paragonabile a una grande nave, egli ci ha dato la direzione e gli strumenti per navigare sicuri mantenendo la giusta rotta. Sainte-Adèle, Quebec, 24 settembre 2013. ✠ Oscar card. Rodríguez Maradiaga, presidente di Caritas internationalis 15 Benedetto XVI, Intima Ecclesiae natura, art. 9 § 1; Regno-doc. 21,2012,644. 16 Cf. ivi, art. 1 § 4; Regno-doc. 21,2012,643. 17 Cf. ivi, art. 13; Regno-doc. 21,2012,644. 18 Cf. ivi, art. 7 § 1. 19 Ivi, art. 10 § 4. 20 Cf. ivi, art. 5. 21 Cf. ivi, art. 2 § 1; Regno-doc. 21,2012,643. 22 Ivi, art. 13; Regno-doc. 21,2012,644. 23 Cf. ivi, art. 10. 24 Cf. ivi, art. 9 § 3. 25 Cf. ivi, art. 10 § 3. 26 Cf. ivi, art. 6 e 8. Il Regno - documenti 7/2014 229 C hiesa in Italia | conferenza episcopale Con papa Francesco e con mons. Galantino S Comunicato finale del Consiglio permanente della CEI «Sarà papa Francesco ad aprire l’Assemblea Generale della Conferenza Episcopale Italiana il prossimo maggio. L’invito del Card. Angelo Bagnasco ha incontrato la pronta disponibilità del Santo Padre, che aveva in animo la medesima intenzione». La notizia con cui si apre il Comunicato finale del Consiglio permanente della CEI (2426 marzo 2014) fa il paio, anche nella formulazione calibrata, con l’altro dato saliente di questa sessione primaverile del «parlamentino» dei vescovi italiani, e cioè che «il papa, dopo aver accolto la proposta della Presidenza, condivisa in Consiglio permanente, ha nominato segretario generale della CEI ad quinquennium s.e. mons. Nunzio Galantino, (…) confermando così l’indicazione data a fine dicembre». Le molte altre decisioni di questo Consiglio appartengono all’ordinaria amministrazione: giungono in porto due note pastorali, sulla scuola cattolica e sull’Ordo virginum; fanno passi avanti altri due documenti: quello sull’annuncio e la catechesi e quello, su famiglia e società, conclusivo della XLVII Settimana sociale; procedono infine la preparazione del V Convegno ecclesiale nazionale e la revisione dello Statuto e del Regolamento della Conferenza. Stampa (1.4.2014) da sito web www.chiesacattolica.it. Il Regno - documenti 7/2014 arà Papa Francesco ad aprire l’Assemblea Generale della Conferenza Episcopale Italiana il prossimo maggio. L’invito del Card. Angelo Bagnasco ha incontrato la pronta disponibilità del Santo Padre, che aveva in animo la medesima intenzione. Il Presidente della CEI ha comunicato la notizia ai membri del Consiglio Episcopale Permanente – riunito a Roma da lunedì 24 a mercoledì 26 marzo – i cui lavori per molti versi sono stati orientati proprio alla preparazione dell’Assemblea. Martedì 25 marzo il Papa, dopo aver accolto la proposta della Presidenza, condivisa in Consiglio Permanente, ha nominato Segretario Generale della CEI ad quinquennium S.E. Mons. Nunzio Galantino, Vescovo di Cassano all’Ionio, confermando così l’indicazione data a fine dicembre. A questo proposito il Consiglio Permanente ha rilasciato una dichiarazione nella quale esprime riconoscenza al Papa («la Sua scelta qualifica la Segreteria Generale con la conferma di un Vescovo del quale in questi mesi abbiamo apprezzato dedizione, passione e impegno») e «cordiale stima e accoglienza» al Segretario, nella fiducia che saprà continuare «a promuovere la fraternità e la partecipazione con disponibilità all’ascolto e dialogo costante». Nella prolusione il Card. Bagnasco ha richiamato il messaggio del Papa per la Quaresima, soffermandosi sulla miseria materiale – che «si riversa come una tempesta» su chi è escluso dal mondo del lavoro, come su quanti sono alle prese con le conseguenze della «rottura dei rapporti coniugali» – e sulla miseria morale e spirituale, che porta a illudersi di poter bastare a sé stessi. I membri del Consiglio Permanente hanno ampiamente ripreso, approfondito e rilanciato gli appelli del Presidente della CEI a reagire all’erosione e alla corruzione dell’impianto culturale umanistico – fra tutti, «la lettura ideologica del “genere”» –, a superare gli ostacoli sul fronte della famiglia e della libertà educativa, a riaffermare il primato della persona, a partire da quanti sono rimasti «feriti sulla via di Gerico» da «un individualismo scellerato». Nel corso dei lavori il Consiglio Permanente ha approvato due Note pastorali: la prima, dedicata alla scuola cattolica, ne ribadisce la finalità educativa e il suo essere risorsa per l’intera collettività, invitando a superare pregiudizi ideologici che ne compromettono l’effettiva parità; la seconda si concentra su una particolare forma di vita consacrata – l’Ordo Virginum –, ne 230 coglie i tratti distintivi e offre alle Chiese indicazioni per criteri comuni e prassi condivise. I Vescovi hanno esaminato il Documento conclusivo della XLVII Settimana Sociale dei Cattolici Italiani e valutato positivamente gli Orientamenti per l’annuncio e la catechesi, testo che verrà discusso nell’Assemblea Generale di maggio. Il Consiglio Permanente è stato occasione anche per fare il punto sul cammino di preparazione al Convegno Ecclesiale Nazionale di Firenze. Ampio spazio è stato dato pure all’esame delle proposte di emendamento dello Statuto e del Regolamento della CEI, che saranno portate in discussione all’Assemblea Generale. Nel clima di condivisione fraterna che ha caratterizzato i lavori, è stata accolta la richiesta di riconoscimento canonico di un’associazione; si è dato il nulla osta per l’avvio dell’ iter per la traduzione del Messale Romano in lingua friulana; infine, sono stati presi in esame una serie di adempimenti in vista della prossima Assemblea Generale. 1. L’ideologia del «genere» «La lettura ideologica del «genere» è una vera dittatura che vuole appiattire le diversità, omologare tutto fino a trattare l’identità di uomo e donna come pure astrazioni». L’analisi, contenuta nella prolusione, prende spunto dall’iniziativa di tre opuscoli – destinati rispettivamente alla scuola primaria, alla scuola secondaria di primo grado e a quella di secondo grado – intitolati Educare alla diversità a scuola e recanti Linee-guida per un insegnamento più accogliente e rispettoso delle differenze. Il confronto all’interno del Consiglio Permanente ha messo in risalto la preoccupazione dei Vescovi per forzature che rischiano di colpire pesantemente la famiglia, di associare in maniera indebita religione e omofobia, di presentare come pacifico l’assunto circa l’indifferenza della diversità sessuale dei genitori per la crescita del figlio e di spingere verso il matrimonio tra soggetti dello stesso sesso. I Vescovi avvertono la necessità di investire con generosità e rinnovato impegno nella formazione, risvegliando le coscienze di genitori, educatori, associazioni, consulte di aggregazioni laicali e istituzioni di ispirazione cristiana in merito a quella che si rivela una questione antropologica di rilevante urgenza. 2. Scuola cattolica, risorsa sociale Una preziosa risorsa per la società, al cui servizio intende porsi come espressione della comunità ecclesiale: è l’orizzonte della scuola cattolica, che con la sua finalità educativa è al servizio del Paese, ma ancora si scontra con disattenzioni, incomprensioni e chiusure di natura ideologica. Per questo il Consiglio Permanente ha approvato una Nota pastorale – curata dalla Commissione Episcopale per l’educazione cattolica, la scuola e l’università – dal titolo La scuola cattolica, risorsa educativa della Chiesa locale per la società. Il testo vede la luce in un contesto gravido di preoccupazioni sul futuro stesso di molte scuole cattoliche: pesano i tagli dei finanziamenti e la mancanza di un autentico sostegno nella linea della sussidiarietà; pesano le riduzioni di personale religioso e le difficoltà a promuovere una proposta più unitaria tra le diverse realtà; soprattutto – hanno evidenziato i Vescovi – pesano pregiudizi e resistenze che riducono a enunciato puramente nominale il riconoscimento della parità scolastica. Queste difficoltà – hanno rilevato – permangono, nonostante la funzione assicurata dalle scuole cattoliche rappresenti per l’amministrazione statale un significativo risparmio anche sul piano economico: le sovvenzioni pubbliche di cui esse sono destinatarie rimangono lontane da quelle di cui beneficiano gli altri istituti; paradossalmente, in Paesi più «laici» – quali, ad esempio, la Francia – il sostegno è significativamente maggiore. A partire dall’esperienza concreta, il confronto tra i Vescovi ha fatto emergere i valori della scuola cattolica: l’originalità di una proposta culturale che muove da un progetto educativo, raccoglie con responsabilità le sfide del tempo presente e forma le giovani generazioni alla vita futura. Lo fa con una proposta di qualità che è a vantaggio di tutta la collettività e che si esprime nell’attenzione alla persona (significativa, al riguardo, la cura dei soggetti più deboli, come pure il fatto che le paritarie non conoscano dispersione scolastica); nella preparazione di programmi rispondenti al bisogno culturale e professionale, che agevola significativamente anche gli sbocchi occupazionali; nelle motivazioni e nelle competenze del suo personale. Per queste ragioni il Consiglio Permanente, oltre ad approvare la Nota pastorale, rilancia con forza al Governo la richiesta di politiche coerenti, che garantiscano finanziamenti certi e in prospettiva pluriennale, recuperando da subito l’intero fondo destinato alle paritarie e poi in parte reso indisponibile dal patto di stabilità. 3. Con Cristo vergine, povero e obbediente Una particolare espressione di vita consacrata, dalle radici antiche e rifiorita con tratti inediti nella stagione postconciliare, è costituita dall’Ordo Virginum, presente oggi in Italia in 113 diocesi: alle circa 500 consacrate se ne affiancano quasi altrettante in fase di discernimento e di formazione. Fra i tratti distintivi che concorrono a descrivere tale carisma vi sono la sequela di Cristo vergine, povero e obbediente, la dedizione alla Chiesa particolare e la vita nel mondo, nonché un rapporto specifico con il Vescovo, responsabile del discernimento, dell’ammissione alla consacrazione – e della sua celebrazione –, della formazione e dell’accompagnamento. A fronte della significatività di questa vocazione, da tempo i Vescovi chiedevano orientamenti e indicazioni per elaborare criteri comuni e attivare prassi condivise. In questa prospettiva la Commissione Episcopale per il clero e la vita consacrata ha presentato al Consiglio Permanente – ottenendone l’approvazione – la Nota pastorale L’Ordo Virginum nella Chiesa in Italia. Mentre offre punti di riferimento per orientare scelte concordi nelle Chiese particolari, essa esprime un’attenzione incoraggiante nei confronti delle vergini consacrate, insieme all’aspettativa che con il tempo questa esperienza evangelica consenta di portarne a più compiuta maturità i percorsi formativi, il loro stile di presenza nella Chiesa, le forme della loro missione e i tratti della loro spiritualità. Il Regno - documenti 7/2014 231 C hiesa in Italia 4. Annuncio e catechesi 6. Statuto e Regolamento Il Consiglio Permanente ha ampiamente condiviso una positiva valutazione del testo Incontriamo Gesù. Orientamenti per l’annuncio e la catechesi – presentato dalla Commissione Episcopale per la dottrina della fede, l’annuncio e la catechesi – che verrà portato alla discussione della prossima Assemblea Generale. Sul solco del Documento Base Il Rinnovamento della catechesi (1970), che rimane la «magna charta», i Vescovi hanno sottolineato il valore della catechesi per gli adulti come punto fondamentale dell’impegno pastorale delle parrocchie e l’importanza della pastorale di primo annuncio e della formazione di sacerdoti, diaconi e catechisti nell’ambito della catechesi; hanno, inoltre, evidenziato il valore del Mandato del Vescovo ai catechisti. In sintonia con l’Evangelii gaudium, il testo intende mostrare l’intimo e organico rapporto tra annuncio e catechesi nell’orizzonte dell’azione evangelizzatrice della Chiesa. Frutto di un’ampia e articolata consultazione, legge l’attuale contesto ecclesiale alla luce del cammino delle Chiese che sono in Italia, del magistero del Papa e delle linee pastorali espresse dall’episcopato. In particolare, dedica un intero capitolo alla catechesi per l’iniziazione cristiana di bambini e ragazzi tenendo conto anche dei nuovi itinerari espressi in numerose Diocesi italiane. Nei suoi lavori in vista dell’Assemblea Generale del prossimo maggio il Consiglio Permanente ha esaminato le proposte di emendamento dello Statuto e del Regolamento della CEI, formulate sulla base del confronto maturato nelle Conferenze Episcopali Regionali in seguito alle indicazioni del Papa. Gli ambiti riguardano la nomina del Presidente, per la quale si prevede una consultazione dei Vescovi, riservando comunque la decisione al Santo Padre; le modalità di contribuzione alla relazione del Presidente, quale momento espressivo forte della CEI sulla vita della Chiesa e della società civile; la natura, i compiti e la composizione delle Commissione Episcopali, nel loro riferimento all’Assemblea Generale, al Consiglio Episcopale Permanente e alla Presidenza e nei loro rapporti con la Segreteria Generale; infine, la valorizzazione delle Conferenze Episcopali Regionali. 5. Da Torino a Firenze Il tema della famiglia è tornato all’attenzione dei membri del Consiglio Permanente con la presentazione della bozza del Documento conclusivo della XLVII Settimana Sociale dei Cattolici Italiani (Torino, 12-15 settembre 2013), dedicata a La famiglia, speranza e futuro della Società Italiana. Il testo, intitolato La famiglia fa differenza, si articola in quattro parti: la prima richiama l’attuale contesto di crisi che in molti casi ha ridimensionato in modo drastico non solo il reddito, ma anche la libertà e la dignità di famiglie già impoverite dalla crisi demografica; la seconda parte affronta questa situazione con uno sguardo di fede e, quindi, di speranza, rilanciando il progetto di famiglia che scaturisce dal sacramento del matrimonio. In continuità con la precedente Settimana Sociale di Reggio Calabria, la terza parte del Documento focalizza alcune priorità urgenti per una ragionevole agenda della famiglia. La quarta e ultima parte è dedicata all’impegno particolare dei laici, sia quali protagonisti principali dell’esperienza familiare sia in quanto portatori di una missione propria nell’ambito politico. I Vescovi hanno evidenziato come si tratti di contenuti preziosi pure per il cammino di preparazione al 5° Convegno Ecclesiale Nazionale, che si svolgerà a Firenze nel 2015 sul tema dell’umanesimo incentrato in Gesù Cristo e che avrà il suo momento più alto nell’incontro con il Santo Padre. Una comunicazione specifica, relativa a tale appuntamento, ha sottolineato l’importanza che in questa fase le diocesi, le facoltà teologiche e le aggregazioni laicali lavorino per individuare esperienze particolarmente significative circa il tema del Convegno: costituiranno la materia principale del Documento base dell’incontro, che sarà predisposto per il prossimo autunno. Nel frattempo, si sta approntando un apposito sito Internet che sarà pubblicato entro Pasqua. 232 Il Regno - documenti 7/2014 7. Varie Nel corso di questa sessione primaverile il Consiglio Permanente ha approvato il tema principale (Educazione cristiana e missionarietà alla luce dell’Esortazione apostolica Evangelii gaudium) e l’ordine del giorno dell’Assemblea Generale, che si svolgerà in Vaticano, nell’aula del Sinodo, da lunedì 19 a giovedì 22 maggio prossimi: su invito del Cardinale Presidente, sarà aperta dall’intervento del Santo Padre, che ha confidato di aver avuto in animo la medesima intenzione. Il Consiglio Permanente ha accolto la richiesta di riconoscimento canonico dell’Associazione Fede e Luce, approvandone lo statuto a norma del can. 299 § 3 del Codice di Diritto Canonico. Ha quindi approvato la proposta di ripartizione dei fondi otto per mille da presentare all’Assemblea Generale e la determinazione del contributo da assegnare ai Tribunali ecclesiastici regionali per l’anno in corso; ha dato il nulla osta per l’avvio dell’iter per la traduzione del Messale Romano in lingua friulana. Infine, ha approvato il calendario delle attività della CEI per l’anno pastorale 2014-2015. 8. Nomine Nel corso dei lavori, il Consiglio Permanente ha proceduto alle seguenti nomine: – Consulente ecclesiastico nazionale della Unione Cristiana Imprenditori e Dirigenti (UCID): S. Em. Card. Salvatore De Giorgi (Arcivescovo emerito di Palermo). – Membri del Collegio dei revisori dei conti della Fondazione Migrantes: Dott. Diego Barbato; Don Rocco Pennacchio, Economo della CEI; Ing. Fabio Porfiri. – Consulente ecclesiastico nazionale dell’Associazione Italiana Ascoltatori Radio e Televisione (AIART): Don Ivan Maffeis, Vice Direttore dell’Ufficio Nazionale per le comunicazioni sociali della CEI. Roma, 28 marzo 2014. C hiesa in Italia | violenze sui minori Chierici e minori: linee guida / 2 Episcopato italiano Il Consiglio permanente della CEI nella riunione di fine gennaio (cf. Regno-doc. 3,2014,975ss) ha licenziato il nuovo testo delle Linee guida per i casi di abuso sessuale nei confronti di minori da parte di chierici. Come indica la Nota redazionale della stessa CEI, la prima versione (Regno-doc. 11,2012,362), che era stata approvata dall’Assemblea dei vescovi nel maggio 2012, ha ricevuto «alcune osservazioni e suggerimenti» da parte della Congregazione per la dottrina della fede con una comunicazione del 7 maggio 2013. Così, «recependo tali indicazioni e suggerimenti, la Conferenza episcopale italiana ha provveduto a rivedere le disposizioni del testo originario e a riformulare i periodi segnalati come richiesto». Il testo – che qui pubblichiamo e le cui parti variate sono evidenziate in colore – integra il precedente laddove dichiara la necessità «morale» che il vescovo contribuisca «al bene comune» e ribadisce che la «presentazione della denuncia in ambito canonico non comporta né implica in alcun modo la privazione o la limitazione del diritto di sporgerla innanzi alla competente autorità giudiziaria civile». Stampa (31.3.2014) da sito web www.chiesacattolica.it. Il Regno - documenti 7/2014 Nota redazionale Con lettera circolare del 3.5.2011 la Congregazione per la dottrina della fede ha fornito alcune indicazioni per i casi di abusi sessuali perpetrati da chierici ai danni di minori e invitato le conferenze episcopali a predisporre su questa base, entro maggio 2012, delle proprie linee guida che tenessero «in considerazione le situazioni concrete delle giurisdizioni appartenenti alla conferenza episcopale». Facendo seguito a tali indicazioni è stato predisposto un testo di Linee guida della Conferenza episcopale italiana, la cui prima bozza è stata presentata e discussa nel corso del Consiglio episcopale permanente del 2629.9.2011; successivamente, tenuto conto delle indicazioni emerse nel dibattito, è stato preparato il testo delle Linee guida che ha ricevuto l’approvazione del Consiglio episcopale permanente nella sessione del 23-26.1.2012, con la successiva presentazione all’Assemblea generale del 21-25.5.2012. Questo testo – che non presenta carattere giuridicamente vincolante e quindi non necessita della recognitio della Santa Sede – è stato trasmesso alla Congregazione per la dottrina della fede con lettera del 27.5.2012 (Regno-doc. 11,2012,362ss). Con successiva comunicazione del 7.5.2013, la stessa Congregazione ha trasmesso alla Conferenza episcopale italiana alcune osservazioni e suggerimenti circa il testo delle Linee guida predisposto dalla Conferenza. Recependo tali indicazioni e suggerimenti, la Conferenza episcopale italiana ha provveduto a rivedere le disposizioni del testo originario e a riformulare i periodi segnalati così come richiesto; il testo risultante da tale revisione è stato approvato dal Consiglio permanente del 27-29.1.2014 e quindi trasmesso alla Congregazione con comunicazione del 13.2.2014. Premessa Il triste e grave fenomeno degli abusi sessuali nei confronti di minori da parte di chierici sollecita un rinnovato impegno da parte della comunità ecclesiale, chiamata ad 233 C hiesa in Italia AIMONE GELARDI affrontare la questione con spirito di giustizia, in conformità alle presenti Linee guida. In quest’ottica, assume importanza fondamentale anzitutto la protezione dei minori, la premura verso le vittime degli abusi e la formazione dei futuri sacerdoti e religiosi. Il vescovo che riceve la denuncia di un abuso deve essere sempre disponibile ad ascoltare la vittima e i suoi familiari, assicurando ogni cura nel trattare il caso secondo giustizia e impegnandosi a offrire sostegno spirituale e psicologico, nel rispetto della libertà della vittima di intraprendere le iniziative giudiziarie che riterrà più opportune. Una speciale cura deve essere posta nel discernimento vocazionale dei candidati al ministero ordinato e delle persone consacrate, nell’iter di preparazione al diaconato e al presbiterato. Piena osservanza deve essere assicurata alle previsioni contenute nel Decreto generale circa la ammissione in seminario di candidati provenienti da altri seminari o famiglie religiose della Conferenza episcopale italiana (27.3.1999), riservando una rigorosa attenzione allo scambio d’informazioni in merito a quei candidati al sacerdozio o alla vita religiosa che si trasferiscono da un seminario all’altro, tra diocesi diverse o tra istituti religiosi e diocesi. Il vescovo tratterà i suoi sacerdoti come un padre e un fratello, curandone la formazione permanente e facendo in modo che essi apprezzino e rispettino la castità e il celibato e approfondiscano la conoscenza della dottrina della Chiesa sull’argomento. In linea con quanto richiesto dalla Congregazione per la dottrina della fede nella Lettera circolare per aiutare le Conferenze episcopali nel preparare linee guida per il trattamento dei casi di abuso sessuale nei confronti di minori da parte di chierici del 3.5.2011, il presente testo è diretto a facilitare la corretta applicazione della normativa canonica vigente in materia nonché a favorire un corretto inquadramento della problematica in relazione all’ordinamento dello stato.1 I. Profili canonistici 1. Notizie di condotte illecite e giudizio di verosimiglianza Quando il vescovo abbia notizia di possibili abusi in materia sessuale nei confronti di minori a opera di innanzi-chierici sottoposti alla sua giurisdizione, deve innanzi tutto procedere ad espletare gli accertamenti di carattere strettamente preliminare di cui al can. 1717 del Codice di diritto canonico2 (di seguito CIC CIC)) relativi alla verifica della verosimiglianza della notitia criminis, affidando il relativo incarico, qualora fosse ritenuto giusto e opportuno, a persona idonea di provata prudenza ed esperienza e curando di tutelare al meglio la riservatezza di tutte le persone coinvolte. Restano fermi i vincoli posti a tutela del sigillo sacramentale. Durante tale fase spetta al prudente discernimento del vescovo la scelta di informare o meno il chierico delle Pietà di me Riscoprire i Salmi penitenziali I Sette Salmi penitenziali hanno formato sin dalle origini della Chiesa una raccolta a sé nei libri liturgici. Nel corso dei secoli queste preghiere hanno nutrito la spiritualità di Israele e poi di grandi santi, hanno ispirato artisti, scrittori e musicisti, accompagnato il cammino penitente di personaggi celebri e cristiani comuni. «MEDITAZIONI» pp. 104 - € 7,90 DELLO STESSO AUTORE C’ERA UNA VOLTA... Riscoprire il silenzio pp. 128 - € 8,50 R1f_Diodato:Layout 1 3-02-2014 Edizioni Dehoniane Bologna 8:37 Pagina 1 Via Scipione Dal Ferro, 4 - 40138 Bologna Tel. 051 3941511 - Fax 051 3941299 www.dehoniane.it ROBERTO DIODATO Relazione e virtualità Un esercizio del pensiero estetico I l volume svolge il tema della qualità spirituale nel postmoderno digitale. A fronte della crescente complessità del mondo e del sapere, manca un linguaggio adatto a esprimerla. Le relazioni sembrano confinate nel mondo della virtualità. 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CIC can. 1717, § 1; art. 17 Normae de delictis Congregationi pro doctrina fidei reservatis seu normae de delictis contra fidem necnon de gravioribus delictis). Nel caso in cui invece escluda motivatamente la veroemetsimiglianza della notizia di delitto, il vescovo potrà emettere un decreto di archiviazione conservando nel suo archivio segreto documentazione idonea a consentirgli di attestare, ove risultasse necessario, l’attività svolta e i motivi della decisione. 2. Indagine previa Nel caso in cui, constatata la non manifesta infoninfondatezza della notitia criminis, criminis, il vescovo proceda allo svolgimento dell’indagine previa, dovrà essere osservato il disposto di cui al CIC can. 1717. In particolare, quaqualora il vescovo non ritenga di dovervi procedere persopersonalmente, nomini a tal fine un presbitero investigatore esperto in materia processuale e prudente nel discerdiscernimento, nonché un presbitero con funzioni di notaio. L’indagine dovrà ricostruire: i fatti della condotta delitdelittuosa, il numero e il tempo degli atti delittuosi, le genegeneralità e l’età delle vittime, il danno arrecato, l’eventuale commistione con il foro sacramentale, gli eventuali altri delitti connessi, quantunque non «graviora» «graviora».. Nel corso dell’indagine potranno essere raccolti dodocumenti, testimonianze e informazioni, anche rogando il vescovo di altre diocesi ove l’indagato abbia dimorato; salvaguardata la fama attuale dell’accusato, dovranno essere ascoltati la/e vittima/e e raccolti tutti i documenti e provvedimenti dell’autorità civile, ove sussistenti; per quanto possibile, si dovrà trattare la questione del danno ex bono et aequo ex CIC can. 1718, § 4. A meno di gravi ragioni in senso contrario, il chierico accusato sia informato delle accuse e abbia l’opportunità di rispondere alle medesime. Durante l’indagine previa il vescovo ha il diritto di adottare, ove lo ritenga necessario affinché si eviti il rischio che i fatti delittuosi si ripetano, provvedimenti nei confronti redel chierico accusato ex art. 19 delle Normae de delictis re- servatis ferma restando la presunzione di innocenza fino servatis, a prova contraria. A tal fine, il semplice trasferimento del chierico risulta generalmente inadeguato, ove non comporti anche una sostanziale modifica del tipo di incarico. I provvedimenti eventualmente adottati, venendo meno la causa, devono essere revocati con successivo decreto e, comunque, cessano ipso iure al termine del processo penale.4 I provvedimenti andranno presi ricercando per quanto possibile la cooperazione del chierico interessato, ma senza detrimento della loro efficacia;5 in ogni caso, l’adozione dei provvedimenti non potrà essere subordinata al consenso del chierico.6 Specie ove l’addebito delle condotte in oggetto non sia notorio, dovrà essere adottata ogni idonea cautela intesa notorio a evitare che quei provvedimenti pongano in pericolo la buona fama del chierico. I provvedimenti assunti potranno essere resi pubblici qualora sussistano valide ragioni. Delle attività svolte durante l’indagine previa dovrà essere conservata una completa documentazione, ai sensi del CIC can. 1719. Terminata l’indagine il vescovo la renderà nota alla Congregazione per la dottrina della fede in base al didisposto dell’art. 16 delle Normae de delictis reservatis, reservatis, così che la stessa Congregazione possa assumere le decisioni conseguenti. 3. Procedura a seguito dell’indagine previa Di norma i delicta graviora devono essere perseguiti «per via giudiziale» (art. 21, § 1, delle Normae de delictis reservatis; Regno-doc. 15,2010,465). Agli ordinari è affidato, salvo il diritto della ConCongregazione per la dottrina della fede di avocare a sé la causa ex art. 16 delle Normae de delictis reservatis, reservatis il primo grado del processo penale, da compiere secondo dicastero il quale costituisce le indicazioni del predetto dicastero, opin ogni caso il tribunale di seconda istanza. Appare opportuno assicurare in ogni diocesi la presenza di chiechierici, particolarmente distinti per prudenza ed esperienza giuridica, che possano eventualmente essere chiamati a far parte di un collegio giudicante. Salvo dispensa della Congregazione per la dottrina della fede, tutti i soggetti indicati devono essere sacerdoti provvisti di dottorato in diritto canonico. Nel caso in cui la Congregazione per la dottrina della fede disponga di procedere per decreto extragiudiziale,7 il vescovo dovrà nondimeno garantire in modo pieno al chierico accusato l’esercizio del diritto fondamentale alla difesa.8 1 Cf. allegati, qui omessi; cf. Regno-doc. 11,2012,365s. 2 CIC can. 1717, § 1: «Quoties ordinarius notitiam, saltem verisimilem, habeat de delicto (…)». 3 Nella Guida alla comprensione delle procedure di base della Congregazione per la dottrina della fede riguardo alle accuse di abusi sessuali si legge: «In realtà, al vescovo locale è sempre conferito il potere di tutelare i bambini limitando le attività di qualsiasi sacerdote nella sua diocesi. Questo rientra nella sua autorità ordinaria, che egli è sollecitato a esercitare in qualsiasi misura necessaria per garantire che i bambini non ricevano danno, e questo potere può essere esercitato a discrezione del vescovo prima, durante e dopo qualsiasi procedimento canonico»; Regno-doc. 9,2010,261. 4 Cf. CIC can. 1722. 5 Escludendo il pericolo di reiterazione dei fatti addebitati, simili provvedimenti possono produrre effetti favorevoli anche rispetto allo stesso chierico interessato, assumendo rilievo circa l’adozione di eventuali misure cautelari da parte dell’autorità giudiziaria statale. Si rammenti, in proposito, che per i delitti di prostituzione minorile, pornografia minorile e violenza sessuale l’art. 275, § 4 del Codice di procedura penale prevede di regola l’applicazione della custodia cautelare in carcere, «salvo che siano acquisiti elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari». 6 Cf. CIC can. 1722. 7 Cf. Normae de delictis reservatis, art. 21. 8 Cf. CIC can. 1720. . Il Regno - documenti 7/2014 235 C hiesa in Italia Le misure canoniche applicate nei confronti di un chierico riconosciuto colpevole dell’abuso sessuale di un minorenne sono generalmente di due tipi: 1) misure che restringono il ministero pubblico in modo completo o almeno escludendo i contatti con minori. Tali misure possono essere accompagnate da un precetto penale; 2) pene ecclesiastiche, fra cui la più grave è la dimissione dallo stato clericale. Le pene perpetue non possono essere inflitte o dichiarate attraverso decreto extragiudiziale (cf. CIC can. 1342, § 2), salvo il caso in cui la Congregazione per la dottrina della fede abbia previamente autorizzato in tal senso l’autorità ecclesiastica incaricata tramite mandato ex art. 21, § 2, n. 1 delle Normae de delictis reservatis. reservatis. In mancanza del predetto mandato, il vescovo dovrà a tal fine rivolgersi alla Congregazione per la dottrina della fede, che potrà anche far uso del potere di deferimento della decisione al sommo pontefice, secondo la previsione dell’art. 21, § 2, n. 2 delle Normae de delictis reservatis. La Congregazione per la dottrina della fede ha anche la facoltà di portare direttamente davanti al santo padre i casi più gravi per la dimissione ex officio. È opportuno che una documentazione del caso rimanga nell’archivio segreto della Curia (cf. CIC cann. 489. 490, § 1. 1719). In ogni momento delle procedure disciplinari o penali sarà assicurato al chierico un giusto sostentamento, nonché la possibilità di esercitare il fondamentale diritto alla difesa. Il chierico riconosciuto colpevole potrà attuare un percorso impegnativo di responsabilizzazione e di serio rinnovamento della sua vita, anche attraverso adeguati percorsi terapeutico-riabilitativi e la disponibilità a condotte riparative. II. Profili penalistici e rapporti con l’autorità civile 4. Autonomia del procedimento canonico Il procedimento canonico per gli illeciti in oggetto è autonomo da quello che si svolga per i medesimi illeciti secondo il diritto dello stato. Di conseguenza, il vescovo, da un lato, non può far riferimento ad atti o conclusioni definitive o non definitive del procedimento statale onde esimersi da una propria valutazione e/o per far valere presunzioni ai fini del procedimento canonico. Dall’altro lato, anche se non risulti in atto un procedimento penale nel diritto dello stato (ricomprendendosi in esso anche la fase delle indagini preliminari), dovrà ugualmente procedere senza ritardo secondo quanto previsto al numero 1 delle presenti Linee guida, ove abbia avuto notizia di possibili abusi, al giudizio di verosimiglianza e, se necessario, all’indagine previa e all’adozione degli opportuni provvedimenti cautelari. 5. Cooperazione con l’autorità civile Nel caso in cui per gli illeciti in oggetto siano in atto indagini o sia aperto un procedimento penale secondo il diritto dello stato, risulterà importante la cooperazione del vescovo con le autorità civili, nell’ambito delle rispettive competenze e nel rispetto della normativa concordataria e civile. 236 Il Regno - documenti 7/2014 I vescovi sono esonerati dall’obbligo di deporre o di esibire documenti in merito a quanto conosciuto o detenuto per ragione del proprio ministero (cf. Codice di procedura penale artt. 200 e 256; Accordo [18.2.1984] che apporta modificazioni al Concordato lateranense [11.2.1929] tra la Repubblica italiana e la Santa Sede [L. 25.3.1985, n. 121] artt. 2, § 1, e 4, § 4). Eventuali informazioni o atti concernenti un procedimento giudiziario canonico possono essere richiesti dall’autorità giudiziaria dello stato, ma non possono costituire oggetto di un ordine di esibizione o di sequestro. Rimane ferma l’inviolabilità dell’archivio segreto del vescovo previsto dal CIC can. 489, e devono ritenersi sottratti a ordine d’esibizione o a sequestro anche registri e archivi comunque istituiti ai sensi del CIC, salva sempre la comunicazione volontaria di singole informazioni. Nell’ordinamento italiano il vescovo, non rivestendo la qualifica di pubblico ufficiale né di incaricato di pubblico servizio, non ha l’obbligo giuridico – salvo il dovere morale di contribuire al bene comune – di denunciare all’autorità giudiziaria statuale le notizie che abbia ricevuto in merito ai fatti illeciti oggetto delle presenti Linee guida. L’affermazione presente nella Guida alla comprensione delle procedure di base della Congregazione per la dottrina della fede riguardo alle accuse di abusi sessuali e poi ripresa nella Lettera circolare della stessa Congregazione del 3.5.2011, secondo la quale «va sempre dato seguito alle disposizioni della legge civile per quanto riguarda il deferimento di crimini alle autorità preposte, senza pregiudicare il foro interno sacramentale», deve essere intesa in linea con quanto previsto dal diritto italiano (Regno-doc. 11,2011,335). La presentazione della denuncia in ambito canonico non comporta né implica in alcun modo la privazione o la limitazione del diritto di sporgerla innanzi alla compecompetente autorità giudiziaria civile. Qualora il denunciante dovesse decidere di sporgere denuncia in sede civile, la competente autorità ecclesiastica, nel rispetto della vivigente normativa canonica e civile, provvederà a fornirgli tutto l’aiuto spirituale e psicologico necessario, con ogni premura verso le vittime. III. Il servizio della Segreteria generale della Conferenza episcopale italiana 6. Nel quadro normativo brevemente richiamato, ferma restando la competenza della Congregazione per la dottrina della fede, la procedura relativa ai singoli casi spetta di regola all’ordinario del luogo ove i fatti stessi sono stati commessi. Nessuna responsabilità, diretta o indiretta, per gli eventuali abusi sussiste in capo alla Santa Sede o alla Conferenza episcopale italiana. La Segreteria generale della Conferenza episcopale italiana assicura la sua disponibilità per ogni esigenza che sarà rappresentata, in spirito di servizio alle Chiese che sono in Italia e di condivisa sollecitudine per il bene comune. Il presente testo è stato approvato dal Consiglio episcopale permanente nella sessione del 27-29.1.2014. C hiesa in Italia | sicilia Il nodo della classe dirigente L I vescovi siciliani e l’attuale congiuntura della Regione La classe dirigente siciliana, non solo quella politica, «dovrebbe caratterizzarsi sempre, e a maggior ragione in questa fase, con la cifra del rigore etico e della competenza socio-politica». È il passaggio più incisivo di queste «riflessioni circa la situazione economica, sociale e politica», rese pubbliche dai vescovi siciliani lo scorso 19 febbraio, e che hanno come interlocutore principale l’amministrazione regionale (quella attuale è in carica da 16 mesi, ma la sua fragile maggioranza è già entrata in difficoltà). La critica dei vescovi, «che non riguarda solo i livelli istituzionali e politici ma chiunque eserciti ruoli di responsabilità verso gli altri e che, come cristiani, ci esorta a recitare il mea culpa su noi stessi, prima che sugli altri, per le tante omissioni o pavidità» (ivi), si snoda attraverso la segnalazione di alcune aree più bisognose d’intervento (politiche sociali e della famiglia, immigrazione, riforme del governo locale, occupazione giovanile) e culmina nella riaffermazione «dell’incompatibilità del Vangelo con la mafia e la sub-cultura che ne deriva» (n. 8) Stampa (15.3.2014) da sito web www.chiesedisicilia.org. Il Regno - documenti 7/2014 o sguardo «verso la realtà siciliana, l’attenzione verso i bisogni assai gravi delle fasce più deboli, l’ascolto delle voci preoccupate per la situazione della popolazione, il giudizio che come pastori siamo chiamati a dire e a dare ci hanno convinti che in questo momento non possiamo tacere». Con queste parole si apriva il documento del 9 ottobre 2012, Amate la giustizia voi che governate sulla terra, con il quale, come vescovi di Sicilia, proponevamo le nostre riflessioni sulla situazione sociale e politica del momento, proprio in occasione delle incipienti elezioni regionali. Sono trascorsi sedici mesi da allora e le urgenze che ci avevano indotti a non tacere sulla gravità della condizione in essere appaiono, oggi, aggravarsi notevolmente, così da rendere necessario il prendere nuovamente la parola. 1. La crisi in atto e l’urgenza di un profondo cambiamento La crisi che stiamo vivendo già da tempo ci chiama a misurarci con nuove sfide rispetto alle quali nessuno può essere lasciato indietro, senza che si possa immaginare un semplice ritorno a equilibri passati. Siamo a un tornante delicato della storia nel quale, particolarmente come cristiani, ci sentiamo spinti a raggiungere quelle «periferie esistenziali», indicate più volte dal santo padre Francesco, offrendo quel supplemento di testimonianza e condivisione di cui specie i più poveri hanno bisogno per fare concreta esperienza della carità di Cristo. La crisi economica nella nostra Regione, oltre a coinvolgere qualche grande azienda, indotta a licenziare o a diminuire la produzione e quindi le ore lavorative per i dipendenti, sta interessando tante piccole e medie imprese (agricole, artigianali, commerciali), che costituiscono la trama connettiva della nostra economia, provocando la vulnerabilità e la povertà delle nostre famiglie, che rischiano quotidianamente la propria coesione e la propria sussistenza. 237 C hiesa in Italia 2. L’avvio della legislatura regionale Siamo consapevoli delle notevoli difficoltà che gravano su chi ha assunto ruoli di governo in Sicilia. In forza della nostra missione di pastori, intendiamo tuttavia esercitare un discernimento sugli sviluppi allarmanti che accompagnano questo primo periodo di attività della legislatura. Il primo nodo è proprio quello della classe dirigente, non solo di quella politica, che dovrebbe caratterizzarsi sempre, e a maggior ragione in questa fase, con la cifra del rigore etico e della competenza socio-politica. Essa costituisce la misura concreta di quella trasparenza nella gestione della cosa pubblica richiesta da tutti i cittadini, per non rimanere una ripetitiva evocazione retorica, utile solo a ottenere un generico consenso elettorale e mediatico e non per affrontare adeguatamente i tanti problemi che sono sul tappeto. In verità si tratta di un’esigenza che non riguarda solo i livelli istituzionali e politici ma chiunque eserciti ruoli di responsabilità verso gli altri e che, come cristiani, ci esorta a recitare il mea culpa su noi stessi, prima che sugli altri, per le tante omissioni o pavidità. La società siciliana al suo interno possiede una riserva di capacità e competenze che attendono di essere poste a servizio di tutti per sostenere, nella corresponsabilità, la speranza delle siciliane e dei siciliani. 3. Una visione di lungo periodo per lo sviluppo della Sicilia La mancanza di un virtuoso e tempestivo utilizzo delle risorse dell’Unione Europea, ancora a disposizione della Sicilia, sembra essere una deprecabile costante delle politiche pubbliche regionali, circostanza ancor più grave se si considera che con un bilancio interamente ingessato dalla spesa corrente, proprio i fondi comunitari restano (o meglio resterebbero) l’unica risorsa finanziaria significativa per promuovere la crescita dei nostri territori. A monte di questa incapacità risiede certamente un deficit di programmazione e di prospettiva progettuale, frutto di una logica miope fatta di localismi e frammentazione, priva di ampio respiro e perciò incapace di innescare mutamenti strutturali e di generare autentico e duraturo sviluppo. Tutto ciò non basta, però, a giustificare il gravissimo ritardo accumulatosi nell’uso delle risorse, col rischio di perderle a vantaggio di altri territori europei. Occorre ribadire con chiarezza la necessità del buon funzionamento della macchina amministrativa regionale, le cui distorsioni, corruttele e inefficienze vanno certamente corrette con decisione, ma in una prospettiva generale di valorizzazione e riconoscimento delle competenze personali. In particolare una dirigenza pubblica continuamente delegittimata e resa precaria in funzione della fedeltà politica, più che spronata e responsabilizzata in ragione di un’effettiva professionalità, non costituisce di 238 Il Regno - documenti 7/2014 certo la chiave di volta verso l’efficienza e la stabilità organizzativa, condizioni necessarie a fare presto e bene per non disperdere risorse preziose. Ulteriore preoccupazione suscita il tema del prossimo ciclo di programmazione comunitaria 2014/2020, col quale supportare le dinamiche di sviluppo dei prossimi, e probabilmente decisivi, sette anni. Nulla o quasi è dato conoscere in ordine all’orizzonte strategico che l’amministrazione regionale intende perseguire in questa delicatissima fase decisionale: né idee, né dibattiti, né confronti in grado di stimolare una partecipazione e un coinvolgimento diffusi della compagine economica e sociale, ma solo passaggi e documenti definiti nelle sedi burocratiche di confronto. La costante appare, pertanto, quella di una continua rincorsa alla gestione emergenziale del contingente, rispetto alla quale proprio l’ormai cronica carenza finanziaria della Regione dovrebbe suggerire ben altro slancio progettuale e capacità di analisi. In altri termini bisogna cambiare passo se si vuole operare un’inversione di tendenza che scongiuri il tracollo dell’Isola. 4. Le politiche sociali e la famiglia Altrettanto drammatico è quanto sta accadendo sul fronte delle politiche sociali e della famiglia. Alle promesse e ai proclami volti a sostenere i tanti poveri della nostra Regione sono seguite scelte assolutamente parziali e insufficienti, se non contraddittorie, che mostrano una grave insensibilità verso il tema delle vecchie e nuove povertà, purtroppo in costante aumento. L’annuncio della cancellazione della ormai nota Tabella H, ancora una volta non ha avuto un effettivo seguito. L’introduzione di nuovi criteri di selezione nell’uso di questi fondi avrebbe dovuto garantire una gestione più trasparente e appropriata delle risorse da attribuire ai diversi organismi del privato sociale che operano meritoriamente da anni nel mondo del bisogno e del disagio. In realtà, in questo altalenante e incerto contesto, i soggetti più qualificati ed efficienti, che con un investimento pubblico assai limitato potrebbero innescare dinamiche di rete e solidarietà vera nella risposta ai bisogni primari, soprattutto delle fasce deboli della popolazione, come quello alimentare, sono state messe definitivamente in ginocchio. Il Governo regionale ha ritenuto, ancora, di dovere contraddistinguere le proprie scelte in tema di welfare introducendo nell’ultima legge finanziaria una generica estensione dei diversi benefici previsti dalla legislazione regionale a favore della famiglia anche alle coppie di fatto, purché registrate in appositi registri delle unioni civili eventualmente istituiti dai comuni. Si tratta di una strada intrapresa all’insegna di una lettura alquanto approssimativa e inconsapevole dei bisogni più diffusi e delle urgenze più avvertite dal tessuto familiare siciliano, frutto probabile di qualche venatura ideologica accompagnata da una disarmante approssimazione giuridica, peraltro rilevata dallo stesso commissario dello stato. Tale venatura, è bene ribadirlo, poco o nulla ha a che fare con una tutela autentica di quell’inviolabile dignità e di quel valore unico che a ogni persona, in quanto voluta e amata da Dio, vanno sempre riconosciuti, quale che sia la sua condizione di vita personale, in una prospettiva sulla quale come Chiese di Sicilia ci sentiamo particolarmente impegnati. Invece è stato del tutto trascurato l’obiettivo di rifinanziare e attuare pienamente la legge regionale sulla promozione e valorizzazione della famiglia di cui la Regione già dispone (L.r. n. 10 del 2003), aperta a una visione organica e innovativa della politica pubblica alla luce dei mutamenti sociali in essere nelle dinamiche e negli assetti di vita propri dell’esperienza familiare. le stesse competenze della Regione, che per gran parte vengono esercitate, ancora oggi, nell’ambito di circoscrizioni provinciali. Il Governo regionale ha, tuttavia, privilegiato un diverso approccio, determinato essenzialmente da esigenze di protagonismo mediatico, gettando nel caos le amministrazioni provinciali siciliane con gravi disagi per taluni settori della vita sociale, come l’istruzione e le infrastrutture, o le società partecipate con ricadute sui cittadini. Auspichiamo, quindi, che il dibattito di queste settimane possa ricondursi a minore improvvisazione e a maggiore senso di responsabilità senza rinunciare, a costo di riconoscere eventuali errori sin qui compiuti, all’esercizio di una seria attività legislativa che sappia anteporre il bene di tutti i cittadini a quello di interessi di parte. 5. L’accoglienza dei migranti Una rinnovata attenzione specifica deve essere rivolta agli effetti preoccupanti del crescente fenomeno delle migrazioni interne ed esterne. Non si tratta di una semplice emergenza da fronteggiare, ma di un fenomeno dai connotati strutturali, destinato a segnare nei prossimi decenni la vita di interi popoli e nazioni, riscoprendo che l’unico modo di vivere l’attenzione all’altro è un’autentica fraternità. I primi a mostrare questa consapevolezza sono stati proprio i cari abitanti di Lampedusa, che hanno offerto al mondo la testimonianza credibile di un’accoglienza praticata come autentica carità evangelica. Lo stesso dicasi delle altre città costiere interessate dal fenomeno degli sbarchi. Il loro esempio costituisce un monito per la coscienza di ciascuno di noi e, particolarmente, per quella di coloro che sono chiamati a responsabilità pubbliche. Esistono, in proposito, livelli diversi di competenze e responsabilità che, come quello europeo, attendono ancora di essere pienamente esercitati. Rimaniamo convinti, tuttavia, dell’opportunità che ogni intervento, nell’ottica del principio di sussidiarietà, si ispiri alla promozione e al sostegno delle esperienze che sul campo già offrono esempi espressivi di accoglienza e integrazione, valorizzandone modelli d’intervento proposti e dinamiche di rete attivate. 7. I giovani e il lavoro Non occorrono sofisticate analisi per comprendere quale sia l’attuale condizione, tristemente rappresentata dal 35,7% di NEET, giovani in età compresa tra i 15 e i 29 anni che non studiano, non lavorano e non fanno formazione. R1f_Salmi:Layout Auspichiamo vivamente, in questo9:19 campo, una radi1 15-02-2014 Pagina 1 cale rivisitazione delle priorità politiche regionali, fondata sul riconoscimento delle nostre risorse umane quale primo e decisivo fattore di intervento per la crescita e Salmi Dalla Bibbia di Gerusalemme PREFAZIONE DI GIANFRANCO RAVASI L’ edizione raccoglie l’intero libro dei Salmi, consentendo di associare l’esigenza di accedere agilmente ai passi più consultati della Sacra Scrittura alla possibilità di usufruire dei commenti e delle note della Bibbia di Gerusalemme. 6. L’abolizione delle province e la riforma del governo locale Suscita allarme e preoccupazione l’irrisolta vicenda della tanto propagandata riforma delle province, che finora ha prodotto solo l’abolizione dell’esistente e il protrarsi delle gestioni commissariali. Nel pur lodevole intento di ridurre i costi degli apparati politici, non è stata tenuta in adeguata considerazione la circostanza che l’ente provinciale è parte di un più complesso sistema di governo locale, peraltro delineato nell’ambito di una precisa cornice costituzionale e non solo statutaria. La soppressione o la modifica del sistema delle province doveva, pertanto, inquadrarsi in un organico processo di riforma istituzionale chiamato a riconsiderare Il Regno - documenti 7/2014 pp. 224 - € 5,90 DALLA BIBBIA DI GERUSALEMME VANGELI, ATTI E SALMI pp. 660 - € 10,30 NUOVO TESTAMENTO E SALMI 239 Edizioni Dehoniane Bologna pp. 960 - € 15,10 Via Scipione Dal Ferro, 4 - 40138 Bologna Tel. 051 3941511 - Fax 051 3941299 www.dehoniane.it C hiesa in Italia lo sviluppo, per non alimentare sacche clientelari e per scongiurare un ennesimo fallimento. La tormentata vicenda della formazione professionale sembra seguire, purtroppo, una direzione diversa. Alla doverosa denuncia di sprechi e malaffare consumati sul futuro dei nostri giovani, che magistratura e forze dell’ordine stanno perseguendo con encomiabile decisione, ha fatto seguito un sostanziale vuoto di iniziativa. Valga per tutti l’esempio del progressivo depauperamento dell’esperienza di formazione professionale in capo ai salesiani e ad altre congregazioni religiose ed enti che, fino a oggi, ha sempre ottenuto riconoscimenti estremamente significativi sul mercato del lavoro, anche oltre i confini regionali, per la qualità dell’offerta e per i risultati conseguiti; continuando di questo passo l’anno prossimo si potrà scrivere solo la storia di queste istituzioni, prossime al collasso. In una regione con un bassissimo tasso di industrializzazione, investire sul capitale umano significa guardare al ruolo del sistema educativo e universitario. Ma anche in questo caso l’urgenza del quotidiano tende a diventare l’alibi per rinunciare a una logica di più ampio respiro. Eppure, tra le pieghe del nostro pur fragile apparato economico, possiamo scoprire gli esempi virtuosi di quanti hanno accettato e vinto la scommessa di intraprendere e di restare: come Chiese di Sicilia continuiamo a scommettere nella metodologia e profezia del Progetto Policoro, nel quale intendiamo investire con rinnovato entusiasmo e con nuove risorse. Certamente esiste una grave questione sociale legata a forme storiche di lavoro precario rispetto alle quali non deve essere disconosciuta o tradita la dignità dei lavoratori. Tuttavia rifiutiamo con decisione l’idea che quella del precariato sia la sola politica del lavoro possibile in Sicilia stante la grave criticità finanziaria della Regione, che appare all’esterno come il perpetuarsi di una logica assistenzialistica. Il rischio elevatissimo rimane, infatti, quello di alimentare nuovi bacini clientelari, utili a gestire consenso piuttosto che promuovere interventi in grado di valorizzare percorsi educativi, risorse umane, merito e capacità d’intrapresa, anche a costo di qualche impopolarità. 8. I costi della politica Responsabili della cosa pubblica e partiti fanno, di questi tempi, della riduzione dei costi della politica un cavallo di battaglia. Questo impegno si deve fondare sulla sobrietà e il decoro personale, che impegna ciascun cittadino e amministratore e non può ridursi con generici proclami e mere denunce. Ridurre i costi della politica assume, oggi, una valenza etica prima che finanziaria, specie in un frangente in cui vengono compiute scelte di natura fiscale che incidono in modo pesantemente crescente sui bilanci di tante famiglie e di tante imprese. Incoraggiamo in questo senso l’Assemblea regionale a proseguire coraggiosamente i passi compiuti di recente, così come vogliamo apprez- 240 Il Regno - documenti 7/2014 zare anche le iniziative prese in tale direzione da alcuni gruppi parlamentari. Esiste un bisogno condiviso di moralità nella vita pubblica che chiama in causa il recupero di stili di vita, anche personali, improntati a sobrietà e misura, elementi necessari per restituire credibilità alle diverse istituzioni che si rappresentano e senza i quali il servizio al bene comune si riduce a retorici appelli che sottendono, in realtà, ben altri interessi. In questa nostra riflessione non possiamo non riaffermare con forza l’assoluta e radicale incompatibilità del Vangelo con la mafia e la sub-cultura che ne deriva, come già fecero i vescovi nel documento conclusivo delle Chiese di Sicilia Nuova evangelizzazione e pastorale del 1993: «Tale incompatibilità con il Vangelo è intrinseca alla mafia per sé stessa, per le sue motivazioni e per le sue finalità, oltre che per i mezzi e per i metodi adoperati. La mafia appartiene, senza possibilità di eccezione, al regno del peccato e fa dei suoi operatori altrettanti operai del Maligno. Per questa ragione, tutti coloro che, in qualsiasi modo deliberatamente, fanno parte della mafia o ad essa aderiscono o pongono atti di connivenza con essa, debbono sapere di essere e di vivere in insanabile opposizione al Vangelo di Gesù Cristo e, per conseguenza, alla sua Chiesa» (n. 12). Nello stesso tempo, come insegna il martirio del beato Giuseppe Puglisi, non possiamo ignorare un tema di scottante attualità come l’eclatante riproporsi di gravissime e inquietanti intimidazioni mafiose che sembrano riproporre il ritorno a cupe stagioni del passato. La fermissima condanna di questo incedere minaccioso, unita alla più ampia solidarietà verso tutti coloro che ne sono purtroppo destinatari per la sola circostanza di compiere il proprio dovere come servitori dello stato, è solo il primo passo in un cammino che tutti insieme siamo chiamati a compiere. Occorre consolidare, infatti, la comune coscienza di popolo forgiato all’insegna di quella tradizione ideale e d’impegno civile, tanto di matrice cattolica che laica, che parte così rilevante ha avuto nella storia della Sicilia. Un tratto molto importante di questa strada è stato percorso, in questi anni, anche grazie alla testimonianza di quanti hanno immolato la propria vita. Il loro sangue ha certamente generato nuova consapevolezza e nuova voglia di riscatto che non può indurci, tuttavia, ad abbassare la guardia. Concludiamo affidando queste riflessioni, segno della nostra cura pastorale, della condivisa partecipazione alle difficoltà di tante famiglie siciliane e alle sofferenze dei più poveri e degli ultimi, alla responsabilità e all’impegno dell’intera comunità cristiana, così come di tutte le donne e di tutti gli uomini animati da una sincera passione per il bene comune, ancor necessaria per quanti sono chiamati a responsabilità pubbliche nella nostra Regione. Su di essa e su tutto il popolo siciliano, invochiamo grazia e benedizione dal Signore. Palermo, 19 febbraio 2014. I vescovi di Sicilia C hiese nel mondo | austria Risposte al questionario sulla famiglia L Vescovi austriaci La Chiesa cattolica austriaca ha aderito con grande convinzione alla consultazione lanciata dalla Santa Sede attraverso il questionario allegato al Documento preparatorio della III Assemblea generale straordinaria del Sinodo dei vescovi, che si terrà dal 15 al 19 ottobre 2014 sul tema «Le sfide pastorali sulla famiglia nel contesto dell’evangelizzazione». Per una Chiesa che conta dieci diocesi e circa cinque milioni e mezzo di fedeli, le oltre 34.000 risposte sono un numero certamente significativo. La Conferenza episcopale austriaca ha pubblicato sul suo sito una sintesi dei risultati, elaborata dall’agenzia Kathpress. Come nel caso della Chiesa tedesca (cf. Regno-doc. 5,2014,162), le risposte evidenziano una netta divergenza tra l’insegnamento della Chiesa e la posizione dei fedeli, soprattutto sui metodi anticoncezionali, sul trattamento dei divorziati risposati e sui rapporti prematrimoniali. «Dalle risposte risulta chiaramente che la Chiesa in pratica non riesce a trasmettere in modo comprensibile il suo insegnamento su matrimonio, famiglia e morale sessuale». Kathpress 21.1.2014, pubblicata anche sul sito della Conferenza episcopale www.bischofskonferenz.at. Nostra traduzione dal tedesco. Il Regno - documenti 7/2014 a Chiesa cattolica in Austria ha registrato oltre 34.000 risposte al questionario del papa su matrimonio e famiglia. Per i cattolici austriaci, le affermazioni centrali – amore e fedeltà, matrimonio e famiglia – sono tuttora grandi valori da perseguire. La religione occupa un posto molto importante anche nelle relazioni e nelle famiglie, come risulta ad esempio dal notevole accordo sull’educazione cristiana dei figli. Ma in molti punti l’insegnamento della Chiesa e la posizione dei cattolici divergono chiaramente. La maggiore divergenza riguarda le questioni dei metodi anticoncezionali, del trattamento dei divorziati risposati, dei rapporti prematrimoniali e – meno chiaramente – dell’omosessualità. La stragrande maggioranza dei cattolici è favorevole all’ammissione dei divorziati risposati ai sacramenti dell’eucaristia (comunione) e della riconciliazione (confessione). Altrettanto preponderante è la maggioranza di coloro che rifiutano il divieto dei metodi artificiali di regolazione delle nascite da parte della Chiesa. A loro avviso, la pianificazione familiare è una questione da lasciare alla responsabilità propria dei genitori. Un punto critico centrale: la Chiesa non prende abbastanza sul serio la realtà del fallimento nel matrimonio e nella famiglia. Inoltre in molte risposte si esprime il desiderio di un maggiore sviluppo dell’insegnamento della Chiesa in materia. Dalle risposte risulta chiaramente che la Chiesa in pratica non riesce a trasmettere in modo comprensibile il suo insegnamento su matrimonio, famiglia e morale sessuale. Le affermazioni della Chiesa sarebbero caratterizzate da un linguaggio lontano dalla vita. Una percentuale molto alta delle persone che in Austria hanno partecipato al questionario vaticano dovrebbe provenire da un ambiente ecclesiale cattolico. Tema della visita ad limina Il 5 novembre 2013 il Vaticano ha inviato alle Chiese locali di tutti i paesi del mondo, in preparazione al Sinodo dei vescovi dell’ottobre 2014, un questionario sul tema della famiglia, del matrimonio e della sessualità. Le 39 domande erano indirizzate ai vescovi, con l’incarico di trasmetterle alla base delle loro rispettive diocesi. Perciò tutte le diocesi austriache hanno invitato i fedeli a in- 241 C hiese nel mondo viare le loro risposte al questionario per e-mail e Internet o in forma cartacea. In occasione della loro visita ad limina in Vaticano (27-31 gennaio), i vescovi austriaci consegneranno tutte le risposte alla Segreteria generale del Sinodo dei vescovi e informeranno papa Francesco sul risultato. Il card. Schönborn ha detto: «Sarà consegnato tutto». Fondamentalmente ogni diocesi ha proceduto in modo autonomo alla rilevazione, ma alcune lo hanno fatto insieme. La diocesi di Graz-Seckau ha elaborato, e messo a disposizione su Internet, una versione semplificata del questionario, che è stata adottata anche dalle diocesi di Innsbruck e Gurk-Klagenfurt. Anche le diocesi di Linz e Salisburgo hanno rinviato i loro fedeli a questa versione disponibile in Internet. Schönborn: «Dolore e speranza» Nell’arcidiocesi di Vienna in novembre e dicembre, oltre 8.000 persone hanno risposto al questionario originale. Anche la Gioventù cattolica di Vienna ha adottato il questionario originale per i suoi gruppi. In una trasmissione l’arcidiocesi di Vienna ha riferito che 1.127 persone, in gran parte giovani, hanno usato il questionario. Molti cattolici si sono serviti di altri adattamenti. Sinteticamente, nella trasmissione si parlava di una «notevole discrepanza fra l’insegnamento cattolico e la concezione di molti fedeli». In una prima presa di posizione, il card. Christoph Schönborn ha affermato: «Scorgo sofferenza e speranza. Mi commuove il fatto che così tante persone abbiano risposto, anche se spesso criticano con veemenza la Chiesa». A suo avviso nella serietà delle risposte si evidenzia un legame fra spirito critico e profonda preoccupazione per il futuro delle famiglie e delle persone colpite da problemi familiari. Ha affermato: «Scorgo la sofferenza e la speranza di molti, per i quali l’insegnamento della Chiesa su matrimonio e famiglia non è luce nel cammino della vita, ma oscurità e ostilità verso la vita». L’arcivescovo ha detto di essere particolarmente toccato anche dalle molte testimonianze di vita personali e dal riconoscimento dei valori del matrimonio indissolubile e della responsabilità nei riguardi della famiglia. Molte persone hanno usato l’occasione offerta dal questionario per descrivere la loro lotta, i duri colpi del destino, la loro gioia di sposi e genitori, «e la loro fedeltà spesso dolorosa alla Chiesa». «Nelle risposte – ha detto il cardinale – odo anche l’appello a un maggior accompagnamento, incoraggiamento, sostegno da parte della Chiesa. Essa viene spesso percepita, per usare una parola di papa Francesco, come un luogo nel quale non si promuove, ma si controlla la fede». Egli consegnerà «coscienziosamente e senza censure» tutte le valutazioni, le opinioni degli esperti, ma anche una documentazione di tutti i dati raccolti al Consiglio del Sinodo nominato dal papa per la preparazione del Sinodo dei vescovi: «È un quadro molto espressivo delle preoccupazioni, delle speranze e della fede, che caratterizzano molti fedeli della nostra diocesi». Il cardinale ha aggiunto che nel programma della preparazione del Sinodo dei vescovi 2014 c’è anzitutto 242 Il Regno - documenti 7/2014 una franca visione delle situazioni esistenti nella Chiesa a livello mondiale e di come in esse si possa scorgere l’azione dello Spirito Santo, e che in questo sguardo sulle situazioni esistenti confluiscono anche le risposte austriache. Schönborn si aspetta orientamenti riguardo al contenuto solo dal Sinodo ordinario dei vescovi del 2015: «Lì dovremo rispondere alla domanda sul modo in cui si possono vivere bene il matrimonio e la famiglia nel XXI secolo ascoltando sia il Vangelo sia ciò che sperimentiamo e speriamo concretamente nelle nostre relazioni». La fede nella famiglia è importante Dettagli significativi nella valutazione dell’arcidiocesi di Vienna. Si parla in modo incoraggiante della vita di preghiera nelle famiglie, ma spesso si ha la sensazione che si tratti di una pretesa eccessiva. Si sperimentano le comunità parrocchiali, i gruppi di sposi e di famiglie, i seminari sulla vita matrimoniale, i movimenti e la propria famiglia come luoghi di spiritualità familiare vissuta. Le coppie chiedono un maggior sostegno. Nelle risposte si è riservato molto spazio al tema dei divorziati risposati, collegato con il desiderio di un trattamento alternativo da parte della Chiesa. Una prassi rafforzata dell’annullamento del matrimonio è considerata importante, ma non è vista come una possibile soluzione del problema. In oltre la metà delle risposte si afferma esplicitamente che la diversa valutazione morale di metodi «artificiali» e «naturali» per la regolazione delle nascite non è comprensibile e viene rifiutata. Solitamente l’aborto non viene considerato un metodo di prevenzione ed è esplicitamente rifiutato. Graz-Seckau: «Un grande successo» Martedì 21 gennaio la diocesi di Graz-Seckau ha definito «un grande successo» l’alta partecipazione alla rilevazione nella Stiria. La diocesi è al primo posto a livello nazionale con 14.221 questionari compilati e restituiti. In una trasmissione la diocesi ha presentato anche alcuni risultati più precisi della rilevazione. Il 96% si è espresso a favore della ricezione dei sacramenti dell’eucaristia (comunione) e della riconciliazione (confessione) da parte dei divorziati risposati; il 4% si è detto contrario. Alla domanda «Condivide la posizione di rifiuto della Chiesa cattolica verso unioni fra persone dello stesso sesso?», il 29% ha risposto «sì», il 71% «no». Il 95% si è espresso a favore di un’accettazione da parte della Chiesa dell’uso dei metodi ormonali o di condom per la regolazione delle nascite; il 5% si è detto contrario. Alla domanda «Per quanto conosco l’insegnamento della Chiesa, vivo in base a esso», il 68% ha risposto «in parte», il 21% «sì, pienamente» e l’11% «no». Alla domanda «Cura nella sua famiglia forme di preghiera comune, che considera appropriate e arricchenti?» il 56% ha risposto «sì», il 44% «no». Alla domanda «Sarebbe o è importante per lei trasmettere la fede (cattolica/cristiana) ai suoi figli?», l’89% ha risposto «sì», l’11% «no». JOSÉ MARÍA RECONDO Linz: 1.200 risposte Nella diocesi di Linz sono pervenute circa 1.200 risposte al questionario vaticano. La tendenza registrata a livello nazionale si rispecchia anche nell’Austria superiore. Martedì 21 gennaio, in una conferenza stampa, Josef Lugmayr, dell’Ufficio matrimonio e famiglia della diocesi di Linz, ha affermato che le persone hanno lamentato l’astrattezza e la lontananza dalla realtà dell’insegnamento della Chiesa rispetto ai problemi umani e ai concreti rapporti quotidiani. A suo avviso la Chiesa presenta un quadro ideale non realistico della famiglia, che in alcuni punti può essere perseguito (ad esempio, fedeltà, equiparazione dei partner, valore dei figli nella famiglia), ma in altri è esagerato e non attuale (ad esempio, divieto dei metodi artificiali di controllo delle nascite, divieto dei rapporti prematrimoniali, omosessualità). Lugmayr: «Oggi le persone vogliono essere prese sul serio riguardo alla loro decisione autonoma, ma coscienziosa e responsabile sul numero dei figli e il momento della loro nascita». La paternità e maternità responsabile e la pianificazione familiare sono ovvie per persone maggiorenni e vengono considerate una sfida cristiana. Nelle risposte si è riservato molto spazio alla relazione della Chiesa con i divorziati risposati. Al riguardo le parrocchie, i pastori e la maggior parte di coloro che hanno risposto si aspettavano chiaramente un cambiamento delle norme della Chiesa «in modo che le persone interessate non continuino a subire un’emarginazione che ferisce», «ritrovino un posto nella comunità e siano anche accompagnate nella loro nuova gioiosa scelta». Lugmayr ha aggiunto che le unioni fra persone dello stesso sesso sono considerate un dato di fatto, ma valutate in modo molto controverso: «In molte parrocchie ci si preoccupa di rispettare la forma di vita scelta da persone dello stesso sesso e di invitarle e integrarle nella vita quotidiana della parrocchia. Ma d’altra parte in parecchie risposte si percepisce anche uno scarso entusiasmo e un’incomprensione, si presenta il problema come marginale o si evita semplicemente di rispondere alla domanda». In genere coloro che hanno risposto al questionario considerano molto importante la cura della trasmissione della fede. Lugmayr ha osservato che, riguardo al tema dell’evangelizzazione indicato nel questionario, spesso le norme della Chiesa relative allo sviluppo e alla trasmissione della fede costituiscono piuttosto un ostacolo. Nelle risposte sono considerati positivi e utili i corsi di preparazione al matrimonio e anche le offerte di consulenza matrimoniale, che aiutano le coppie in crisi. Edeltraud Artner-Papelitzky, presidente del Consiglio pastorale della diocesi di Linz, ha annunciato che entro venerdì i responsabili nella diocesi vogliono completare una valutazione finale di circa 20 pagine, che poi sarà pubblicata sul sito Internet della diocesi e inoltrata dal vescovo Schwarz agli uffici vaticani competenti. Il cammino della preghiera in René Voillaume R ené Voillaume (1905 - 2003), sacerdote e teologo francese, è il fondatore dei Piccoli Fratelli di Gesù. Lo studio permette di penetrare più a fondo nell’intuizione di Charles de Foucauld esplicitata da Voillaume: immergersi nelle fonti vive del vangelo e nelle profondità dell’amore di Dio e del prossimo. «CAMMINI DELLO SPIRITO» DELLO STESSO AUTORE LA SPERANZA È UN CAMMINO pp. 152 - € 13,00 R1f_Bianchi:Layout 1 documenti 7/2014 19-01-2014 Edizioni Dehoniane Bologna 17:25 Pagina 1 Via Scipione Dal Ferro, 4 - 40138 Bologna Tel. 051 3941511 - Fax 051 3941299 www.dehoniane.it LUISITO BIANCHI Lettera all’amico vescovo A CURA DI MARCO D’AGOSTINO E DEL FONDO LUISITO BIANCHI P uò un prete servire liberamente e gratuitamente il Vangelo nella Chiesa, se riceve uno stipendio per il ministero che svolge? Questo interrogativo attraversa le pagine della profetica Lettera che don Luisito Bianchi – insegnante e traduttore, prete-operaio e inserviente d’ospedale – indirizza idealmente a un amico vescovo. Innsbruck: oltre 5.000 risposte Nella diocesi di Innsbruck sono pervenuti 5.092 questionari debitamente compilati. Martedì 21 gennaio, in una trasmissione, la diocesi ha affermato che, da una prima valutazione delle risposte, risulta che sono consi- Il Regno - pp. 136 - € 15,00 «ITINERARI» 243 pp. 152 - € 13,00 Edizioni Dehoniane Bologna Via Scipione Dal Ferro, 4 - 40138 Bologna Tel. 051 3941511 - Fax 051 3941299 www.dehoniane.it C hiese nel mondo derati molto importanti il messaggio cristiano dell’amore del prossimo e della misericordia e la sua trasmissione ai figli. Ma riguardo alla domanda su chi sia di aiuto nelle difficoltà relazionali, solo uno su cinque circa ha indicato il pastore o i consultori familiari gestiti dalla Chiesa. Anche in Tirolo la maggiore discrepanza fra insegnamento e realtà riguarda le questioni della regolazione delle nascite, del trattamento dei divorziati risposati e della valutazione dell’omosessualità. In una prima valutazione il vescovo Manfred Scheuer ha detto di essere rimasto colpito dalla grande partecipazione nella diocesi di Innsbruck. I numerosi questionari compilati e restituiti dimostrano che per molte persone il matrimonio e la famiglia sono importanti. Ma al tempo stesso appare chiaramente che oggi le relazioni sono vissute a livello individuale e sotto molteplici forme. Il vescovo ha sottolineato anche il debito contratto dalla Chiesa nei riguardi del matrimonio e della famiglia: «Vi sono speranze e paure, c’è la ricerca e la richiesta della felicità e della riuscita della relazione, nonché l’esperienza della sofferenza, della delusione, delle rotture e del fallimento. Dobbiamo affrontare a tutti i livelli le richieste del matrimonio e della famiglia. Ciò vale per la pastorale locale, per noi come diocesi, per la teologia e per la Chiesa universale». Il vescovo si è chiesto facendo autocritica: «Quando sono Pagina veramente R1f_Ferrari:Layout 1 5-03-2014 11:16 1 importanti le famiglie per noi? Che cosa facciamo concretamente per loro? Quale speranza possiamo trasmettere?». MATTEO FERRARI In quello stesso giorno L’ autore affronta la lettura del terzo Vangelo per aiutarci a comprendere meglio la Parola, ma soprattutto a rileggere la vita alla sua luce. L’introduzione presenta un percorso al lettore; la cornice è il discorso di investitura nella sinagoga di Nazaret; il giorno della risurrezione è il «lascito» profondo del Vangelo di Luca. pp. 96 - € 10,00 DELLO STESSO AUTORE CELEBRARE LA PAROLA pp. 192 - € 18,70 Edizioni Dehoniane Bologna Via Scipione Dal Ferro, 4 - 40138 Bologna Tel. 051 3941511 - Fax 051 3941299 www.dehoniane.it In Carinzia le risposte al questionario vaticano sono state circa 1.700. Martedì 21 gennaio, in una trasmissione, la diocesi ha affermato che l’elevato numero delle risposte dimostra una grande partecipazione alla vita della Chiesa e l’importanza del tema. Dalle risposte risulta che sulle questioni della sessualità esistono chiare deviazioni dall’insegnamento della Chiesa. Il 75% afferma di attenervisi solo in parte e l’11% di non attenervisi affatto. Sulla questione della pianificazione familiare i più decidono in base alla loro coscienza e al consiglio del medico. Il 63% nega l’esistenza di una differenza morale fra metodi di regolazione delle nascite «permessi» (naturali) e «non permessi». Il 96% si esprime a favore dell’ammissione dei metodi ormonali per la regolazione delle nascite o dei condom. Al tempo stesso la stragrande maggioranza di coloro che hanno risposto rifiuta l’aborto. La maggior parte di coloro che hanno risposto si dimostra tollerante riguardo al trattamento degli omosessuali e di un’unione registrata fra persone dello stesso sesso. Il 78% non condivide l’atteggiamento di rifiuto da parte della Chiesa delle «unioni registrate fra persone dello stesso sesso». Tuttavia la maggioranza si pronuncia contro una piena equiparazione con il matrimonio fra un uomo e una donna. Anche in Carinzia il 96% dei coloro che hanno risposto auspicano l’ammissione dei divorziati risposati alla comunione. Il questionario ha mostrato chiaramente anche l’importanza della famiglia, delle celebrazioni liturgiche e dell’insegnamento della religione per la conoscenza degli insegnamenti della Chiesa sul matrimonio e la famiglia. Il 67% indica come fonte l’insegnamento della religione, il 64% le celebrazioni liturgiche e il 56% la famiglia. Feldkirch: circa 1.500 risposte Martedì 21 gennaio la diocesi di Feldkirch ha comunicato che nel Voralberg hanno risposto al questionario su matrimonio e famiglia circa 1.500 persone. In una trasmissione Walter Schmolly, direttore dell’Ufficio pastorale di Feldkirch, ha affermato che il risultato è molto sfaccettato. Globalmente le risposte riflettono la persistenza dell’attribuzione «di un posto importante alla religione nelle relazioni e nelle famiglie». Il 72% considera importante il matrimonio celebrato in chiesa, il 75% è interessato alle proposte della Chiesa in materia di matrimonio e famiglia, l’86% ritiene importante la ricezione dei sacramenti e un’educazione cristiana dei figli; il 37% dei genitori prega spesso con i figli, un altro 30% di tanto in tanto. Schmolly: «Al tempo stesso le persone sono consapevoli di una discrepanza esistente su vari punti fra le loro concezioni e l’ideale descritto nell’insegnamento della Chiesa. La maggior parte di loro desidera un ulteriore sviluppo della posizione della Chiesa su questi punti». Questo è particolarmente evidente sui temi della regolazione delle nascite (oltre l’80% non condivide la posizione ufficiale della Chiesa), la convivenza prima del matrimonio (il 75% la considera in regola) e il trattamento dei divorziati risposati (il 91% rifiuta la loro esclusione dalla L’«oggi» della Parola nel Vangelo di Luca «QUADERNI DI CAMALDOLI - SEZ. MEDITAZIONI» Klagenfurt: circa 1.700 risposte rispecchiano una grande partecipazione alla vita della Chiesa 244 Il Regno - documenti 7/2014 comunione e dalla confessione; l’80% auspica la possibilità di un secondo matrimonio in chiesa) e delle unioni fra persone dello stesso sesso (il 61% può immaginare un rito di benedizione per le coppie dello stesso sesso). St. Pölten: spesso l’insegnamento della Chiesa è poco conosciuto Martedì 21 gennaio la diocesi di St. Pölten ha comunicato di aver ricevuto di ritorno 156 questionari originali debitamente compilati. Non è stato indicato il numero delle risposte on-line. Markus Mucha dell’Ufficio pastorale della diocesi ha sintetizzato i risultati affermando che da molte risposte risulta che solo un numero molto ristretto di cattolici possiede una conoscenza più precisa dell’insegnamento della Chiesa sul matrimonio e sui metodi naturali di regolazione delle nascite. Secondo molti, la ragione per cui le persone non leggono e non comprendono «i documenti del magistero» è «la loro formulazione complicata e perciò difficilmente comprensibile». Mucha ha affermato che sono state criticate anche le grandi differenze nella pratica delle regole della Chiesa: «Molto spesso anche queste regole sono messe in discussione». Helmut Prader, vicario del vescovo, ha aggiunto che la valutazione delle risposte al questionario sul tema del matrimonio e della famiglia conferma «quella che è la realtà pastorale: Negli ultimi decenni si è riusciti solo in contesti molto ristretti a trasmettere l’insegnamento della Chiesa su temi quali matrimonio, famiglia, sessualità, regolazione delle nascite e contraccettivi». Prader: «Nel Sinodo dei vescovi non si tratterà di cambiare l’insegnamento della Chiesa, ma di trovare strade nuove e migliori per l’annuncio e di aiutare i coniugi e le famiglie a mettere in pratica e vivere gioiosamente l’insegnamento della Chiesa». Zsifkovics: «Ogni singola risposta sarà portata a Roma» Alla data limite del 13 gennaio la diocesi di Eisenstadt, nel Burgenland, aveva ricevuto di ritorno 628 questionari compilati. Martedì 21 gennaio, in una trasmissione, la diocesi ha comunicato che la provenienza delle risposte e le opinioni sono molto variegate. La maggior parte delle risposte attesta che il modo in cui attualmente le persone vivono e le richieste dell’insegnamento della Chiesa divergono, ma, secondo la diocesi, questo è dovuto non tanto a un rifiuto consapevole delle concezioni valoriali della Chiesa, quanto piuttosto a costrizioni sociali esteriori e a oppressioni esistenziali. Un’altra affermazione cruciale che, secondo la trasmissione, attraversa le risposte è il fatto di non essere riusciti a trasmettere l’insegnamento della Chiesa in modo tale da renderlo comprensibile ai fedeli. In una prima presa di posizione il vescovo ägidius Zsifkovics si è rallegrato per l’ampia partecipazione e per la ricchezza dei contenuti. Si impegnerà personalmente a far «pervenire a Roma ogni singola risposta. Il santo padre ha chiesto la loro opinione alla gente ed essa merita di ricevere le risposte, per quanto scottanti esse possano essere». I fedeli, «che si sono presi la briga di rispondere a quelle domande, hanno meritato di essere ascoltati al centro». Michal Wüger, direttore dell’Ufficio pastorale, ha aggiunto: «Il Consiglio diocesano ha chiaramente detto di volersi occupare in seguito più intensamente dei contenuti del questionario e dei settori pastorali a essi collegati. Si affronterà anche il problema dei divorziati risposati che costituiscono una realtà pastorale. Essi si sentono in parte emarginati e soffrono per non poter ricevere i sacramenti. Dobbiamo dedicare una cura particolare anche a coloro che hanno lasciato la Chiesa. E vogliamo sforzarci di risvegliare la gioia della fede nelle famiglie». Salisburgo: un atteggiamento più umano verso «chi ha fallito» è fondamentale L’arcidiocesi di Salisburgo ha ricevuto di ritorno circa 750 risposte al questionario (on-line e in forma cartacea). Le risposte rispecchiano il contesto nazionale. In esse ritorna spesso la richiesta di un atteggiamento più umano verso chi ha fallito e verso i divorziati risposati e di un’apertura generale della Chiesa sulle questioni relative alla comunità del matrimonio e della famiglia. Al tempo stesso risulta chiaramente che c’è ben più di una scarsa conoscenza dell’insegnamento della Chiesa. L’insegnamento della Chiesa sul matrimonio e la famiglia è troppo avulso dalla realtà. L’arcidiocesi ha anche affermato che le persone vorrebbero che si lasciasse ai coniugi, nella loro libera responsabilità, la decisione riguardo al numero dei figli. Ordinariato militare: critica all’insegnamento della Chiesa su famiglia e sessualità L’ordinariato militare ha comunicato di aver ricevuto di ritorno 50 questionari compilati, provenienti per lo più da militari del servizio di leva. La maggior parte delle risposte rispecchia la posizione critica ampiamente diffusa sull’insegnamento della Chiesa in materia di famiglia e sessualità. Tuttavia una piccola parte dei giovani ha espresso non solo comprensione per la posizione della Chiesa, ma addirittura difeso esplicitamente questa posizione. Alcune risposte oscillano fra questi due poli. La diocesi militare ha affermato: «Generalmente in quasi tutte le risposte si esprime il desiderio di cambiamenti nell’insegnamento della Chiesa e nella pratica pastorale, soprattutto sui temi dei divorziati risposati, della regolazione delle nascite e della morale sessuale nel suo complesso». Ma appare chiaramente anche l’esistenza di un’ignoranza molto diffusa riguardo alla dottrina e alla pratica della Chiesa o anche interpretazioni errate o fraintendimenti di determinati aspetti. In questo campo appare una carenza di informazione da parte della Chiesa e la necessità di informare meglio le persone su queste questioni dal punto di vista della Chiesa. La diocesi ha affermato, inoltre, che hanno riscosso un notevole interesse anche le domande relative alle persone omosessuali. Le risposte vanno dalla richiesta di un’equiparazione dell’unione fra persone dello stesso sesso con il matrimonio a un veemente rifiuto di una tale politica. Nelle maggior parte delle risposte c’è la richiesta di una maggiore comprensione per queste persone da parte della Chiesa. Il Regno - documenti 7/2014 245 C hiese nel mondo | svizzera Consultazione sulla pastorale della famiglia I Conferenza dei vescovi svizzeri Oltre 23.000 risposte sono pervenute in Svizzera alla sollecitazione offerta dal questionario allegato al Documento preparatorio della III Assemblea generale straordinaria del Sinodo dei vescovi, che si terrà in ottobre sul tema «Le sfide pastorali sulla famiglia nel contesto dell’evangelizzazione»: un numero elevato in rapporto alla consistenza di questa Chiesa, che conta otto diocesi e tre milioni e mezzo di battezzati. La Conferenza dei vescovi svizzeri (cattolici) è stata tra quelle che hanno scelto di rendere nota una sintesi delle risposte, pubblicando il 4 febbraio un comunicato stampa elaborato dall’Istituto svizzero di sociologia pastorale e intitolato Consultazione sulla pastorale di coppia, del matrimonio e della famiglia della Chiesa cattolica – Risultati. Anche in Svizzera, come in Germania (cf. Regno-doc. 5,2014,162 e 173) e in Austria (in questo numero a p. 241), «se si confrontano [le] critiche nei confronti della Chiesa con il desiderio fondamentale di vivere una relazione, un matrimonio e una famiglia che abbiano anche una dimensione ecclesiale e religiosa, si constata la necessità urgente di riconsiderare lo statuto della dottrina della Chiesa sulla famiglia nella Chiesa e la pastorale». Stampa (24.2.2014) da sito web www.ivescovi. ch; nostra traduzione dal francese. Il Regno - documenti 7/2014 n preparazione al Sinodo mondiale sulla famiglia, che si terrà a Roma nel prossimo ottobre, i vescovi svizzeri hanno condotto un sondaggio presso i fedeli in Svizzera su esperienze, impressioni e critiche in riferimento alla pastorale della Chiesa a riguardo della famiglia, della coppia, della convivenza. Oggi possiamo disporre dei risultati dell’inchiesta. Chi ha partecipato alla consultazione? – Le 23.636 risposte ricevute all’inizio di gennaio (tre quarti delle quali per mezzo di Internet, il resto in versione cartacea) costituiscono la base delle valutazioni. – Con i questionari arrivati dopo il termine, il numero dei partecipanti sale a 25.000. – L’età media è 54 anni, 47% uomini, 53% donne. Due terzi dei partecipanti hanno figli. – Quasi il 92% appartiene alla Chiesa cattolica romana, il 95% vive in Svizzera. – L’87% circa dei questionari ricevuti è in lingua tedesca, il 9% circa in lingua francese. Più di 1.000 persone hanno compilato il questionario in italiano, che corrisponde al 4,5% circa dei partecipanti. – Il grande numero di partecipanti che ha utilizzato il questionario apparso nei media ecclesiali (bollettini parrocchiali) dimostra che la consultazione ha raggiunto soprattutto persone vicine alla Chiesa. – La prossimità alla Chiesa della maggior parte dei partecipanti si traduce anche nel fatto che il matrimonio religioso e un’educazione cristiana dei figli raccolgono tassi molto elevati di consenso. – Una caratteristica delle persone vicine alla Chiesa è l’interesse per la dottrina della Chiesa, il che tuttavia non impedisce loro di assumere posizioni molto critiche verso di essa. Primi risultati consolidati La valutazione della consultazione è appena iniziata ma già si delineano alcune tendenze molto nette. Che cos’è importante per quanti hanno partecipato alla consultazione? Il matrimonio religioso è generalmente importante (80%). Risulta chiaro il desiderio di dare una dimensione religiosa alla propria coppia 246 «Uniti nella fede della Chiesa» L a Lettera pastorale dei vescovi svizzeri per la prima domenica di Quaresima, che qui pubblichiamo, è un forte appello all’unità della Chiesa di fronte alle richieste di aggiornamento che da molto tempo la base ecclesiale avanza (cf. Regno-att. 4,2013,79). È stata diffusa il 9 marzo, in concomitanza con le manifestazioni di protesta che hanno avuto luogo a San Gallo, dove risiede il presidente della Conferenza episcopale svizzera mons. Markus Büchel, contro le posizioni fortemente conservatrici del vescovo di Coira Vitus Huonder (www.ivescovi.ch). Cinquant’anni fa si tenne a Roma il concilio Vaticano II. In Svizzera celebriamo il secondo anno giubilare del Concilio con il motto «Uniti nella fede». In contatto con i mutamenti della società e della Chiesa durante questi 50 anni, i vescovi sono spesso sollecitati perché nella Chiesa cambi qualcosa. Ma cos’è la Chiesa? Le proposte che vengono fatte sembrano talora presupporre che essa sia una specie di multinazionale, oppure un’«organizzazione non governativa». Ne potremmo quindi disporre liberamente per ogni genere di cambiamento. Dio si rivela in Gesù Cristo Ciò che però la Chiesa è realmente, dipende essenzialmente da ciò che è il cristianesimo. La Chiesa infatti esiste unicamente in virtù di Cristo e perché ci sono persone che credono in lui. Il cuore della fede cristiana è l’evento di Dio fattosi uomo. Dio si fa uomo in Gesù Cristo; viene a noi come uomo; ci si rivela in Gesù Cristo. Essere cristiani non significa rivendicare le proprie idee, bensì accogliere con gratitudine quel Dio che viene a noi. Il concilio Vaticano II evidenzia alcune caratteristiche della rivelazione cristiana. 1. Cristo è pienezza della rivelazione, non è soltanto un suo messaggero.1 2. Questa rivelazione suprema – Dio fattosi uomo – è definitiva.2 Possiamo e dobbiamo incessantemente approfondirne la comprensione. Non possiamo però mutarne alcunché.3 3. Rivelandosi, Dio era consapevole della nostra attitudine a perdere un dono così prezioso; ha disposto quindi che non vada perduto ciò che è stato rivelato.4 Cristo ha inviato gli apostoli a predicare e celebrare i sacramenti nella comunità da lui fondata. In seguito, «affinché l’Evangelo si conservasse sempre integro e vivo nella Chiesa, lasciarono come loro successori i vescovi, a essi “affidando il loro proprio posto di maestri”».5 L’unità dei vescovi tra di loro è garantita dalla loro unione con il successore di Pietro.6 Dio è all’opera Da questi dati elementari della fede cattolica scaturisce la consapevolezza di Chiesa. Ciò che essa è, la sua fede, i suoi sacramenti non sono in prima linea opera dell’uomo, bensì qualcosa che riceviamo da Dio. Per fare un esempio: se non fosse a partire da Dio, ma soltanto da un’intenzione umana, sarebbe assurdo credere che il pane possa divenire corpo di Cristo, o che questi sia concepito da una vergine. È anche per questa ragione che i primi seguaci di Gesù sono sbalorditi quando egli invita a mangiare il suo corpo.7 In altro ambito, la vergine Maria ha chiesto come concepire senza «conoscere» uomo…8 L’eucaristia e la nascita di Cristo figlio della Vergine mostrano Dio all’opera. Lo stesso vale per la relazione di Cristo con la Chiesa: Dio all’opera. La Chiesa è sacramento Perciò il Concilio chiama la Chiesa «sacramento»: «La Chiesa è, in Cristo, in qualche modo il sacramento, ossia il segno e lo strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano».9 La Chiesa è segno e strumento; si prefigge l’unità con Dio e il genere umano. Poiché è segno del suo Signore e in nessun caso Signore lei stessa, non ha il potere di modificare ciò che ha ricevuto. La fede permane, anche se non verranno mai meno gli interrogativi che su- scita. Nella cultura del suo tempo, san Paolo ne ha fatto l’esperienza parlando agli ateniesi della risurrezione dei morti…10 La Chiesa non è un’ONG In seno alla Chiesa ci sono cose che possono cambiare, altre no. Quelle che non possono cambiare appartengono alla fede o alla struttura fondamentale della Chiesa (per esempio la necessità del sacramento dell’ordine perché si possa celebrare l’eucaristia). Altro invece può cambiare.11 Com’è possibile? Nella Chiesa i cambiamenti non sopravvengono nello stesso modo che in un’impresa, essa non è un’ONG o una multinazionale, come ha ripetuto papa Francesco,12 non è diretta da un manager e non può adeguarsi senz’altro alle esigenze del mercato. Se la Chiesa fosse tale, poche sarebbero forse le ragioni per interessarsi a essa e ancora meno per farne parte. Tutti i cambiamenti importanti, nella Chiesa, fanno sì che ne risulti con più chiarezza la fede. Un tale aggiornamento, per riprendere un termine caro al beato Giovanni XXIII, avviene a livello di Chiesa universale. Ecco perché tutta la Chiesa va implicata: le diocesi del mondo intero. Detto questo, ogni mutamento sopravviene soprattutto tramite la preghiera. I cambiamenti cominciano con la conversione È normale che in una società in pieno mutamento siano in molti a porsi delle domande. Trattandosi di questioni aperte, non è del tutto ovvio che la risposta vada ad adeguarsi alla cultura del momento. Quando si cerca di rendere la fede pienamente compatibile con le visioni dominanti del momento, l’esperienza mostra che la Chiesa ne risulta insipida, insignificante.13 Se non si parte dalla relazione con Dio, e quindi dalla vita dello Spirito, si smette in fretta e a giusto titolo di interessarsi della Chiesa. È sempre necessario cercare di capire in profondità le varie situazioni umane e la Chiesa può senz’altro fare di più in questo senso. I vescovi vi sono riconoscenti per i vari impulsi. Ma scartare l’appello alla conversione, che fa parte della vita cristiana, significa far perdere il sapore al sale della terra.14 La conversione si attua innanzitutto nella fede. La Chiesa ci unisce a Cristo nella fede. È perciò nella fede della Chiesa che siamo uniti tra di noi. Viverla e renderle testimonianza è il primo dovere cui ci chiama il Concilio, in quest’anno giubilare. I vescovi svizzeri 1 Cf. concilio ecumenico Vaticano II, cost. dogm. Dei verbum (DV) sulla divina rivelazione, n. 2: «La profonda verità, poi, che questa rivelazione manifesta su Dio e sulla salvezza degli uomini, risplende per noi in Cristo, il quale è insieme il mediatore e la pienezza di tutta intera la rivelazione»; EV 1/873. 2 «Non passerà mai, e non è da aspettarsi alcun’altra rivelazione pubblica prima della manifestazione gloriosa del Signore nostro Gesù Cristo»: DV 4; EV 1/876. 3 Cf. DV 8; EV 1/882ss. 4 DV 7: «Dio, con somma benignità, dispose che quanto egli aveva rivelato per la salvezza di tutte le genti, rimanesse per sempre integro e venisse trasmesso a tutte le generazioni»; EV 1/880. 5 DV 7; EV 1/881. 6 Cf. Vaticano II, cost. dogm. Lumen gentium (LG) sulla Chiesa, n. 18; EV 1/329. 7 Cf. Gv 6,51-68. 8 Cf. Lc 1,34. 9 LG 1; EV 1/284. 10 Cf. At 17,32: «Quando sentirono parlare di risurrezione dei morti, alcuni lo deridevano, altri dicevano: “Su questo ti sentiremo un’altra volta”». 11 Per es. il papa Pio XII ha modificato certe modalità dell’ordinazione di diaconi, sacerdoti e vescovi nella sua costituzione apostolica Sacramentum ordinis del 30 novembre 1947, senza mutare peraltro il sacramento dell’ordine in quanto tale. Parimenti la riforma liturgica del concilio Vaticano II non ha modificato la natura della liturgia o dei sacramenti. 12 Per esempio alla vigilia di Pentecoste, 31.5.2013; Regno-doc. 11,2013,324. 13 Cf. il card. W. Kasper, «Kommen wir zur Sache», in Frankfurter Allgemeine Zeitung 11.2.2011, 9. 14 Cf. Mt 5,13: «Voi siete il sale della terra; ma se il sale perdesse il sapore, con che cosa lo si renderà salato? A null’altro serve che a essere gettato via e calpestato dagli uomini». Il Regno - documenti 7/2014 247 C hiese nel mondo e di tenere in considerazione la dimensione religiosa nelle decisioni fondamentali della vita. Il diffusissimo desiderio di fornire un’educazione religiosa ai figli raccoglie il tasso più alto di consenso di tutta la consultazione (97%)! La fede riveste un ruolo importante nel campo della famiglia e dell’educazione dei figli anche se i genitori non sempre lo indicano espressamente (o non sono in grado di farlo). Il dato statistico dei battesimi, che continua a testimoniare una forte adesione in Svizzera, è una delle prove della grande importanza data alla fede in campo familiare. Queste due constatazioni costituiscono per la Chiesa l’indicazione di un’eccellente opportunità per trasmettere il proprio messaggio fondamentale. Ma non è comunque che tutto vada bene. Tale apertura in linea di principio nei confronti della religione e della fede non va affatto di pari passo con un’adesione incondizionata alla dottrina della Chiesa sulla famiglia, il matrimonio e la sessualità. Il tema numero 1 Le risposte sono in larghissima parte concordi nel mostrare incomprensione e rifiuto per la dottrina ufficiale che non consente ai divorziati risposati di ricevere i sacramenti. La vasta maggioranza dei cattolici (circa 90%) si attende che anche la Chiesa riconosca e benedica queste coppie. La richiesta formulata con più insistenza ai vescovi e alla Chiesa in Svizzera è di abolire la pratica corrente nei confronti dei divorziati risposati, giudicata discriminatoria e non ispirata dalla carità cristiana. Tale pratica è rifiutata dai partecipanti per motivi religiosi e con espresso riferimento al messaggio cristiano. Riconoscimento delle coppie omosessuali, una maggioranza senza consenso Una maggioranza di circa il 60% dei partecipanti alla consultazione vorrebbe il riconoscimento e la benedizione delle coppie omosessuali da parte della Chiesa. Diversamente dalla questione dei divorziati risposati, in questo caso non vi è tuttavia consenso ma piuttosto una polarizzazione. Accanto a una chiara adesione esiste anche un rifiuto categorico, pur se inferiore numericamente, di un riconoscimento delle unioni omosessuali da parte della Chiesa. La Chiesa e i suoi leader hanno qui il difficile compito di trovare una soluzione che tenga conto di queste differenti concezioni, rispondendo comunque ai bisogni pastorali delle coppie omosessuali, per le quali è importante avere un riconoscimento e una dimensione religiosa per la propria relazione. La contraccezione, argomento permanente Le risposte alla domanda sui metodi artificiali o naturali di contraccezione rivelano la distanza, drammatica e ben nota da lungo tempo, fra la dottrina e i partecipanti alla consultazione. La proibizione dei metodi artificiali di contraccezione è ben lontana dalla pratica e dalle idee della grande maggioranza dei cattolici. 248 Il Regno - documenti 7/2014 Riserve nell’adesione alla dottrina della Chiesa sulla famiglia La maggior parte dei cattolici indica di essere a conoscenza delle posizioni della Chiesa sulla sessualità, sulla coppia, sul matrimonio e sulla famiglia, ma si mostra piuttosto scettica alla domanda se aderisce a tali posizioni. Le riserve avanzate sulla dottrina della Chiesa sono molto nette. Prospettive per la Chiesa Se si confrontano queste critiche nei confronti della Chiesa con il desiderio fondamentale di vivere una relazione, un matrimonio e una famiglia che abbiano anche una dimensione ecclesiale e religiosa, si constata la necessità urgente di riconsiderare lo statuto della dottrina della Chiesa sulla famiglia nella Chiesa e la pastorale. Occorre che la Chiesa, di fronte alle concrete esperienze e situazioni di vita delle persone, cessi di dare valore assoluto a determinate norme e direttive. Quando essa esige che i cattolici seguano incondizionatamente e senza critica le norme concrete e le direttive di comportamento che emana, in ultima analisi nuoce all’aspirazione di trasmettere alle persone gli aspetti più centrali ed essenziali del proprio messaggio. Sviluppando le proposte pastorali occorrerebbe inoltre tener conto dello scarto ben noto esistente fra l’apertura di tanti credenti a una connotazione religiosa per la coppia, il matrimonio e la famiglia, e il rifiuto e l’incomprensione nei confronti di vasti settori della dottrina. In particolare, generalmente nella consultazione la preparazione al matrimonio non viene vista con favore, e viene considerata di scarso aiuto per la vita della coppia e della famiglia. Infine la consultazione mostra come la Chiesa non venga affatto considerata un aiuto quando insorgono crisi nel matrimonio e nella famiglia. In questo contesto pare che l’alto ideale dottrinale ne falsi la visione della realtà e la renda meno disponibile precisamente alle persone che più avrebbero bisogno di sostegno. Larga convergenza Uno dei risultati più sorprendenti della consultazione è la vastissima convergenza delle risposte provenienti da gruppi molto diversi: giovani e anziani, uomini e donne, di lingua tedesca, francese e italiana; non vi è praticamente alcuna differenza rilevante nel modo di rispondere. Nessuna questione solleva conflitti generazionali, non vi è lotta fra i sessi, diversità fra Svizzera romanda e tedesca, disaccordo ecumenico profondo fra le confessioni cristiane e alcuna divergenza significativa tra le risposte che sono arrivate dalla Svizzera e quelle dall’estero. Prospettive per valutazioni ulteriori Siamo solo all’inizio della valutazione. Per l’analisi ulteriore dei risultati, l’Istituto svizzero di sociologia pastorale si baserà su questioni pastorali concrete. Sarà ad esempio possibile intraprendere una valutazione tarata sui gruppi di riferimento, allo scopo di adattare l’offerta pastorale. S tudi e commenti | medio oriente Un futuro per il mondo arabo Fadia Kiwan al Congresso internazionale sulla Pacem in terris, Città del Vaticano 2-4.10.2013 Organizzato dal Pontificio consiglio della giustizia e della pace, dal 2 al 4 ottobre scorso si è tenuto un congresso per commemorare i 50 anni dell’enciclica sulla pace di Giovanni XXIII. Suddiviso in tre sezioni, una per giornata, in quella del giorno 3 – dedicata a «Organizzazione internazionale e bene comune universale: attualità del messaggio della Pacem in terris» – ha preso la parola anche Fadia Kiwan, direttore dell’Istituto di scienze politiche dell’Università SaintJoseph di Beirut su «L’esperienza dell’integrazione nel mondo arabo». Passando in rassegna l’evoluzione storica del Medio Oriente a partire dallo sfaldarsi dell’Impero ottomano fino ai sommovimenti della cosiddetta «primavera araba», Kiwan ha messo in luce una forma di «doppio dilemma» che blocca cristiani e musulmani: per i primi le forme di protettorato che hanno concesso loro uno statuto di minoranza protetta; per i secondi la frequente coincidenza tra stato nazionale e confessionale che ha saldato fede e fedeltà allo stato. Per entrambi, il superamento del dilemma passa attraverso il riconoscimento delle «libertà fondamentali», prima tra tutte «la libertà di coscienza». Stampa (31.10.2013) da sito web www.iustitiaetpax.va; nostra traduzione dal francese. Il Regno - documenti 7/2014 Zona di conflitti e di tensioni identitarie L’interesse che viene rivolto al mondo arabo da parte del Pontificio consiglio della giustizia e della pace, di eminenti padri della Chiesa cattolica e di tanti suoi fedeli è una scintilla che rinfocola la speranza nel cuore di chi, come noi, vive nel mondo arabo, da decenni scosso senza tregua da violenze, tensioni e guerre di ogni sorta. Più in generale il Medio Oriente, che comprende accanto agli stati arabi la Turchia e l’Iran, costituisce oggi una delle zone più militarizzate del mondo. I paesi del Medio Oriente hanno il tasso più elevato di spese belliche e la percentuale più alta di militari rispetto alla popolazione complessiva. È il Medio Oriente che conosce il conflitto più lungo dell’epoca moderna: il conflitto arabo-israeliano, che risale al 1948 e continua a riaccendersi sotto forme diverse. Le risorse naturali, la via della seta, la protezione dello Stato d’Israele hanno di volta in volta fatto muovere le grandi potenze occidentali. Anche alcune potenze regionali si sono avventurate alla ricerca di egemonia e di espansione. Il Medio Oriente, luogo di nascita dell’ebraismo, del cristianesimo e dell’islam, è in fiamme. Ci si uccide nel nome stesso di Dio mentre tutti ne proclamano l’unicità. Lo sguardo esterno ha visto il Medio Oriente attraverso le lenti sia dell’interesse sia del romanticismo. Mai finora sono stati fatti sforzi seri per ristabilire giustizia e pace in questa regione del mondo. Per comprendere meglio la situazione nei paesi arabi occorre risalire al tempo del loro ingresso nella modernità politica, all’indomani del crollo dell’Impero ottomano. Sorsero allora degli stati arabi che si fondavano su una triplice legittimità: quella dell’identità particolare di un popolo nazionale che ogni volta tracciava i propri confini; quella dell’identità araba; e quella dell’identità musulmana. Queste tre identità si sovrapponevano e s’intrecciavano. A ogni dato momento della storia, una di queste identità prevaleva sulle altre. I primi passi verso la fondazione della nazione si coprivano ipocritamente di una certa ambivalenza: nazionale e nazionalista arabo potevano essere termini intercambiabili. 249 S tudi e commenti La Lega araba è nata proprio in questo contesto. Essa ha interpretato, nel momento stesso della sua nascita, la tensione fra le due logiche, quella nazionale e quella nazionalista. Ma nel Protocollo d’Alessandria, da cui nasce la Lega degli stati arabi, vi è l’impegno da parte degli stati membri di operare in vista della cooperazione e della solidarietà. Il Libano per aderirvi esigerà l’adozione del principio del consenso, per timore di essere trascinato in un futuro incerto. Il vento del nazionalismo arabo soffierà infatti, a partire dagli anni Cinquanta, con il nasserismo e il baathismo che spingono verso obiettivi più espliciti d’unità. Tuttavia ciascuno stato aveva già una propria traiettoria, proprie specificità, e diventava sempre più circospetto e diffidente verso la cooperazione. Alcuni regimi arabi si consideravano come investiti di una missione fraterna di patronato e tentavano di renderla operativa sui propri vicini, facendo radicare la diffidenza e il rifiuto. Tuttavia il nazionalismo arabo traeva la propria energia dai sentimenti dei popoli arabi, spesso umiliati da sconfitte e disfatte, e dalla frustrazione causata anche dalla nascita di uno stato etnico ebraico in Palestina e dalla cacciata del popolo palestinese dal proprio territorio. Ma questa ambivalenza e questo dualismo non potevano frenare o coprire il processo di formazione della cittadinanza in seno a ciascuno stato. Sotto l’egida di carte costituzionali che consacravano solennemente l’uguaglianza dei cittadini quanto a diritti e a doveri, che facevano riferimento all’arabità e all’islam, sono emersi coscienze nazionali, interessi nazionali, problemi particolari e talvolta anche alcuni vantaggi specifici – come le abbondanti risorse presenti in alcuni paesi – che hanno sviluppato per reazione un ripiegamento su sé stessi e al tempo stesso la tendenza a ricercare un’unità interna della collettività e a reclamare il riconoscimento di un legame civile tra cittadini e fra i cittadini e lo stato. Presto si sono profilate tre sottoregioni arabe: Maghreb, Mashrek e Golfo arabo, con alcuni paesi periferici come Yemen, Gibuti, isole Comore e Somalia. Il sistema panarabo, rappresentato dalla Lega degli stati arabi, sarà attraversato da conflitti d’interesse e conflitti di potere, da molteplici tentazioni egemoniche o di polarizzazione. Attorno al conflitto arabo-israeliano in particolare si vanno delineando e affrontando due campi: quello dell’Egitto e dei paesi conciliatori e quello della Siria e dell’Iraq su quello del rifiuto. Ma la comunità degli stati arabi sarà presto scossa dal trionfo della rivoluzione islamica di Khomeini in Iran. Il nazionalismo cederà il posto al settarismo sunnita/sciita e i conflitti di potere riprenderanno vigore. Le divisioni, le sconfitte e l’esperienza dei sistemi autoritari socialisti e nazionalisti creeranno sentimenti di delusione presso vasti strati di popolazione in numerosi paesi arabi. La cittadinanza nazionale di fronte al fondamentalismo «L’islam è la soluzione» ( ), è lo slogan principale delle formazioni islamiste che risponderanno a questo panorama di desolazione, confermando lo scacco 250 Il Regno - documenti 7/2014 del socialismo e del nazionalismo. La montata del fondamentalismo islamico risusciterà i sentimenti di rifiuto nei confronti dei non musulmani e di timore da parte di questi ultimi. In effetti, mentre lo stato nazionale, fondato sul principio della razionalità giuridica, prevedeva la cittadinanza fondata su di un legame nazionale, il programma di tutte le formazioni fondamentaliste s’appoggiava sul legame religioso per fondare il contratto sociale. È evidente che gli obiettivi e i programmi delle formazioni islamiste intimorivano i cristiani. Essi erano più a proprio agio in uno stato nazionale o anche in uno stato nazionalista. In questo caso i singoli cittadini dovevano manifestare unità attorno all’idea di stato nazionale e potevano aver fiducia che i propri diritti e doveri non potessero essere a lungo ignorati. Nel caso di un governo fondamentalista (islamico) tutti i non musulmani rischiavano di essere molestati ed emarginati, e i loro diritti calpestati. Si può riconoscere tuttavia una grande varietà di formazioni politiche fondamentaliste: alcune si definiscono moderate, altre manifestano il proprio radicalismo, altre ancora fanno appello al takfir.1 In ogni caso, le formazioni fondamentaliste rivendicano l’applicazione della sharia e assimilano dunque la cittadinanza nazionale alla fedeltà all’islam. In una tale concezione di cittadinanza, tutti i non musulmani sono esclusi dal principio di uguaglianza nei diritti politici e si trovano emarginati e relegati al rango di minoranze. Lo statuto di minoranza È noto che all’inizio, oltre quattordici secoli fa, l’islam fu innovatore, chiamando alla tolleranza nei confronti della ahl al-kitab (gente del libro; ndt), ossia dei cristiani e degli ebrei. Tolleranza che si traduceva nel riconoscimento della libertà di culto e dell’autonomia nelle pratiche cultuali e culturali; essi erano dispensati dal servizio di jihad per la religione – quello che nelle società moderne chiamiamo il servizio militare – in cambio di un tributo, la jizya, da pagare al potere che assicurava loro la protezione. Questo statuto di ahl al-dhimma (gente protetta; ndt) o statuto di «dhimmitudine» fonderà lo statuto delle minoranze che aprirà la via a pratiche di esclusione da parte dei musulmani e di ricerca da parte dei non musulmani di protezione al di fuori della comunità politica alla quale appartenevano. La ricerca della protezione esterna s’intreccerà con le mire egemoniche di molte potenze estere. Tale protezione culminerà nel corso del XIX secolo, sotto l’Impero ottomano, in un sistema quasi organizzato di protezione esterna, sprofondando i non musulmani nella marginalità, creando un fossato che separava i musulmani dai non musulmani e aprendo una via all’ingerenza esterna e ai conflitti di potere fra le grandi nazioni. Tuttavia il processo di fondazione nazionale intrapreso all’indomani della prima guerra mondiale aveva un’altra natura: esso era fondato sul legame nazionale o nazionalista e non religioso: una differenza che sarà netta soltanto nel caso libanese. Negli altri 21 paesi arabi l’islam sale al rango di fonte di legittimità dello stato. Di conseguenza i non musulmani sono relegati al rango di cittadini passivi. Confisca dei diritti ai musulmani ed emergenza del settarismo Successivamente due fatti nuovi appariranno progressivamente nei percorsi nazionali arabi. Il primo è quello della confisca dei diritti di cittadinanza anche ai musulmani da parte di regimi autoritari o pseudo-totalitari o ancora neo-patrimoniali (Siria, Iraq di Saddam Hussein) e pseudo-democratici (Mubarak, Ben Ali, Gheddafi). Come è apparso con evidenza, questi regimi si appoggiavano simbolicamente ma formalmente sulla legittimità dell’islam. Occorre precisare che il partito Baath (siriano; ndt) era in teoria laico, ma ha dovuto fare concessioni nella Costituzione del paese nel 1971. In Iraq Saddam Hussein arriverà a includere l’islam nella bandiera stessa del paese con la frase («Allah è il solo Dio e Maometto è il suo profeta»; ndt). Il secondo fatto è l’emergere di una coscienza settaria, sunnita/sciita, nel seno stesso delle comunità musulmane. Tale coscienza settaria si rifletterà negli ultimi anni nella politica degli stati arabi: alcuni chiederanno di coalizzarsi contro una Mezzaluna sciita che sarebbe all’opera sotto l’egida dell’Iran; altri chiederanno aiuto per calmare sollevazioni di tipo settario: il Bahrein. Da questa reazione allo stesso tempo nazionalista e settaria hanno avuto origine azioni di tipo regionale, come appunto l’intervento dell’Arabia Saudita in Bahrein a nome dei paesi del Golfo per favorire il ritorno alla calma. Si può citare anche l’invito fatto al ministro turco degli Affari esteri a partecipare ad alcune riunioni della Lega degli stati arabi: esso indica un riavvicinamento fra sunniti arabi e non arabi di fronte agli sciiti. Occorre forse ricordare che un simile riavvicinamento incrocia le mire di potenza nella regione sia da parte della Turchia sia dell’Iran? Il legame nazionale arabo cede dunque il passo al legame musulmano settario. La Lega degli stati arabi ne risentirà: divisa come sempre, essa non riesce più a gestire e regolare i conflitti in seno agli stati arabi, segnati dalla divisione settaria. Si affiderà alle Nazioni Unite nella forma, ma agli Stati Uniti nella sostanza. Alcuni intellettuali cristiani molto noti nel mondo arabo avevano partecipato attivamente al movimento nazionalista arabo sia con i propri scritti sia con le proprie azioni. Il processo di fondazione nazionale intrapreso dopo il crollo dell’Impero ottomano era sempre stato percorso congiuntamente e invariabilmente da cristiani e musulmani arabi. Ciononostante l’evoluzione delle idee nei paesi arabi mostrerà una ricomparsa dell’identità musulmana, anche se di tipo settario. 1 Il concetto di takfir (empietà, apostasia; ndt) risale al pensiero di Sayyd Qutb, segretario generale dei Fratelli musulmani che negli anni Cinquanta succede a Hasan al-Banna, fondatore e capo storico della Fraternità. Imprigionato e torturato per molti anni sulla base dell’accusa di aver partecipato attivamente al complotto per assassinare Abdel Nasser, Qutb scrive in carcere una nuova visione dell’islam, Fi Zilal Al Quran (All’ombra del Corano; ndt), e chiama al jihad contro la società araba e musulmana che accusa di essere apostata poiché si sarebbe allontanata dalla vera religione. I suoi scritti sono una matrice del pensiero delle correnti jihadiste takfiri che legittimano l’uso della violenza e la distruzione stessa delle società musulmane. I rapporti con la religione Il crollo dell’Impero ottomano aveva messo fine all’istituzione del califfato. Per i popoli arabi e musulmani stava per cominciare una nuova era, nel corso della quale essi avrebbero collocato formalmente la legittimità dell’islam all’apice dell’ordine costituzionale dei rispettivi stati nazionali, ma per entrare al tempo stesso in una relazione di cittadinanza. Solo il diritto di famiglia e quello di successione saranno applicati in riferimento all’islam, a cui viene riconosciuto il rango di referente per la legittimità dello stato. Inoltre i dirigenti politici allacceranno con le autorità religiose legami assai ambigui: vassallaggio per gli uni e partenariato e cooperazione per gli altri. I due modelli tipo di tali relazioni sono quello della Siria, che fa dei capi religiosi dei funzionari statali e li integra nel regime, e quello che vede in Egitto Al-Azhar innalzata dal regime di Mubarak al rango di pilastro della legittimità e di partner che gode di una certa autonomia. In queste configurazioni di rapporti fra potere politico e potere religioso il Libano si distingue, intessendo rapporti particolari ma non meno ambigui: l’autonomia delle comunità religiose viene innalzata al rango di articolo costituzionale del paese nei campi del culto, dello statuto personale e delle scuole (artt. 9 e 10 della Costituzione). Le Chiese cristiane si organizzeranno in totale autonomia mentre le autorità religiose musulmane beneficeranno del finanziamento statale pur godendo della medesima autonomia. Avendo le Chiese cristiane, gelose della propria autonomia come della propria influenza sociale, rifiutato il finanziamento per le proprie istituzioni canoniche, anche le autorità musulmane sunnite, sciite jaafarite e druse rivendicheranno questa stessa autonomia anche se si faranno finanziare i tribunali della sharia dalle casse dello stato. In ogni caso, le autorità libanesi operano su un terreno di co-sovranità sui cittadini, come partner delle autorità religiose. Il posto e il ruolo dei cristiani: dall’esclusione alla prossimità con i regimi Nel corso della formazione degli stati nazionali, i cristiani vivranno anch’essi un’ambivalenza: da una parte l’appartenenza a una comunità religiosa costituitasi nel Il Regno - documenti 7/2014 251 S tudi e commenti corso della storia in comunità sociale e dall’altra parte l’appartenenza a uno stato nazionale. Per risolvere il dilemma della doppia appartenenza, in alcuni paesi arabi saranno concepiti due tipi di legame e due scenari. 1) Da un lato lo scenario del regime nazionalista teoricamente laico – il regime di Nasser, il regime baathista –, in cui i cittadini sono considerati nel loro legame nazionale mentre le questioni dello statuto personale che riguardano il diritto di famiglia e le successioni patrimoniali fanno riferimento alle rispettive comunità sotto l’egida dello stato. 2) Dall’altro – ed è soltanto il caso del Libano – lo scenario del regime consociativo, ove a fianco dell’autonomia di culto e della libertà in campo educativo sono state previste delle quote di rappresentanza politica per tutte le comunità. Nel primo scenario i cristiani non vengono formalmente esclusi, ma la asabiyya (spirito di solidarietà; ndt) comunitaria e lo squilibrio demografico permettono loro una partecipazione soltanto simbolica. La relativa permanenza di riflessi comunitari ha portato infatti i musulmani a scegliere dei musulmani, e la secolarizzazione al vertice o a livello di dirigenza politica non ha influito molto sui comportamenti tradizionali del cittadino comune. Lo squilibrio demografico non ha semplificato le cose. In questa situazione, le classi dirigenti sono state tentate di riavvicinarsi ai cristiani e di associarli al potere guadagnandone in cambio la fedeltà. Il presidente Mubarak si vantava di essere amico dei cristiani d’Egitto. Nominava fra di essi deputati, ministri, governatori e direttori… ma il prezzo di tali favori era talvolta il discredito dei cristiani nell’opinione pubblica sfavorevole al regime. D’altronde, la caduta del regime Mubarak ha creato un vero malessere, e in un primo tempo si poteva cogliere un certo disorientamento in certi ambienti tra i leader spirituali e i civili copti. Le posizioni di questi ultimi si sono adattate in seguito alla nuova situazione. Nel secondo scenario i cristiani si sono adagiati troppo comodamente nelle quote che garantivano loro una partecipazione politica attiva. Si trattava di pantofole che impedivano loro qualunque azione di reale riforma e di modernizzazione. Quella partecipazione garantita rappresenterà una spinta irresistibile verso l’identificazione con il potere. Le pratiche di potere e i molteplici problemi che man mano sorgeranno porteranno lo scontento popolare a indirizzarsi contro i cristiani, attribuendo loro la responsabilità d’ogni malfunzionamento. La prossimità al potere, se non l’identificazione di molti cristiani con il potere, macchierà la loro immagine, danneggerà il loro ruolo e farà loro perdere autonomia e senso critico. Non è un caso che in Libano i progetti di riforma siano stati portati avanti soprattutto da musulmani, e che i cristiani si siano spesso allineati al potere, così che al crescere delle pressioni, certi ambienti cristiani hanno proposto il progetto di separazione o ancora il federalismo. Un risentimento nei confronti dei cristiani era percepibile nei diversi paesi arabi ove la loro presenza è 252 Il Regno - documenti 7/2014 significativa: in Siria, in Iraq, in Giordania, in Egitto, in Palestina e soprattutto in Libano. Avendo spesso posizioni culturali privilegiate grazie alle proprie scuole e al legame con i paesi occidentali, avendo spesso abbondanti risorse economiche, essendo simbolicamente associati al potere, i cristiani in questi diversi paesi erano destinati a patire il crescere dello scontento popolare e della volontà di cambiamento politico. L’orientamento fondamentalista che emergerà e si amplierà nel corso degli ultimi due decenni sarà incontestabilmente una minaccia per loro. Questa situazione si andrà a complicare ancora di più a causa della componente talvolta anti-occidentale dei programmi di alcune formazioni islamiche, specialmente le formazioni takfiri. Nella memoria collettiva, soprattutto di questi gruppi, i cristiani sono ancora «queste minoranze» protette dalle potenze occidentali. Durante il mese di settembre 2013 una chiesa in Pakistan ha subito un attentato con un’autobomba, che ha fatto più di 80 vittime e centinaia di feriti. I talebani del Pakistan che hanno rivendicato l’attentato hanno precisato che era la risposta a un raid aereo dell’esercito americano contro le basi dei talebani in una regione del Pakistan. È un esempio eclatante del dilemma. I cristiani del mondo arabo e musulmano sono considerati dei bersagli. Percepiti come vettori dell’ingerenza occidentale all’interno del paese, identificati con regimi corrotti e repressivi, sono accusati di accaparrarsi le risorse e di accumulare le ricchezze a detrimento dell’intera popolazione. Si nutre invidia e gelosia nei loro confronti poiché spesso sono un passo avanti rispetto al resto della popolazione. Si tenta di escluderli, di riversare su di loro la rabbia delle masse… Di fronte a tali sentimenti ostili, talora accade che i cristiani si ripieghino, vadano alla ricerca di una protezione esterna o ancora cerchino nell’emigrazione una soluzione definitiva ai loro problemi quotidiani. Non è forse una sconfitta? Un abbandono? Non è forse necessario stilare un bilancio – e un bilancio critico – dei loro percorsi per vedere se i cristiani non siano in parte responsabili del proprio declino? Il dilemma dei musulmani Il dilemma dei cristiani del mondo arabo va di pari passo al dilemma dei musulmani. I musulmani arabi sono chiamati in causa per risanare il rapporto fra la propria fede musulmana e la propria appartenenza civile, in quanto la tradizione pre-statuale era improntata alla confusione fra la città degli uomini e la città di Dio. Occorre forse ricordare che dopo la sua fondazione da parte del profeta Maometto, l’islam aveva organizzato sia la vita politica e sociale sia l’esercizio del culto? Con lo stato nazionale i musulmani entravano in un’esperienza nuova, in cui il legame sociale non era più fondato sul legame religioso. Dovevano allontanarsi o disserrare i legami con i fratelli nella religione e consolidare e rinserrare quelli con i fratelli nella cittadinanza. L’esperienza dello stato nazionale ha offerto molte opportunità per R1f_Ticonio:Layout 1 04/03/14 21.14 Pagina 1 realizzare il ripensamento di questi legami. Tuttavia l’accaparramento del potere da parte delle élite dirigenti autoritarie neo-patrimoniali o mercantili ha finora impedito ai popoli arabi musulmani di riuscire a raggiungere questo obiettivo. Sono solo i regimi liberali che consentono più degli altri – conservatori e autoritari – il riconoscimento e il consolidamento dei nuovi legami civili e politici. Il Libano offre un buon esempio d’apertura che il regime liberale assicura ai cittadini e delle molteplici sollecitazioni che emergono in un ambiente ove sono rispettate le libertà individuali e la libertà di coscienza. In seno alla vita politica, nella costruzione della città, i libanesi hanno sempre avuto la possibilità di associarsi in organizzazioni politiche, civili o professionali miste. Il riferimento alla religione non è la norma, cosa che ha generato correnti d’opinione e di idee di differenti obbedienze ideologiche. I musulmani sono politicamente multiformi È per questo che sarebbe inesatto e anche ingiusto assimilare tutti i musulmani ai fondamentalisti. Nei paesi che sono stati toccati negli ultimi tre anni dalla febbre della «primavera araba», fra la popolazione che contestava il regime è apparsa di volta in volta una grande varietà di posizioni politiche. La crescita del potere delle formazioni islamiste in ciascuno di questi paesi si spiegava con fattori precisi: la condivisione con i fondamentalisti dell’esclusione e della repressione subita dai regimi uscenti, i notevoli mezzi finanziari di cui essi godevano e la strategia d’infiltrazione popolare grazie alle reti di takaful / solidarietà sociale e l’eccessiva dispersione delle opinioni non fondamentaliste/ che si opponevano al regime ma anche fra loro. Solo per citare il caso tunisino, è possibile misurare almeno le ragioni oggettive che hanno portato all’avanzata del partito al-Nahda. Nelle elezioni che sono seguite alla caduta del regime di Ben Alì, esso era in lizza con altri 101 partiti. Ha raccolto 1,7 milioni di voti su 4 milioni di votanti su 7 milioni di elettori. Al-Nahda è riuscito ad arrivare primo ma è lungi dal rappresentare la maggioranza dell’opinione pubblica tunisina. In Egitto, lo scacco del regime Morsi, o quella che si suole definire la seconda rivoluzione del 30 giugno 2013, prova che l’opinione pubblica contraria al regime Mubarak è essa stessa multiforme. In Egitto è stata una componente importante della popolazione a mobilitarsi per sventare i piani dei Fratelli musulmani, non l’unica. L’Algeria era passata attraverso momenti dolorosi e difficili per venire a capo del Fronte islamico di salvezza. Oggi i tunisini si mobilitano per imporre al partito alNahda un governo di coalizione nazionale. In Siria, l’opposizione al regime di Assad è molteplice. Gli scontri fra le formazioni fondamentaliste e quelle che non lo sono – in seno all’Esercito siriano libero – si aggiungono a quelli con l’esercito del regime. In Libano, le formazioni politiche che si rifanno all’islam occupano soltanto una parte del campo politico, ac- Il Regno - documenti 7/2014 TICONIO Sette regole per la Scrittura A CURA DI LUISA E DANIELA LEONI I l Libro delle regole o Libro delle sette regole di Ticonio è il più antico manuale di ermeneutica biblica dell’Occidente cristiano. Assai apprezzato da Agostino, il testo ha avuto nei secoli vasta accoglienza. Compito essenziale dell’esegeta è distinguere i diversi livelli di lettura del testo (piano storico, tipologia, senso allegorico) per coglierne la profondità teologica e trarne arricchimento etico-spirituale. NUOVA COLLANA «CONIFERE» R1f_Reggi:Layout 1 3-02-2014 8:54 pp. 136 - € 12,50 Pagina 1 Edizioni Dehoniane Bologna A CURA DI ROBERTO REGGI I libri storici Traduzione interlineare in italiano D ei libri storici il volume propone: il testo ebraico masoretico o il testo greco tratto dalla versione dei Settanta (LXX), la traduzione interlineare, il testo della Bibbia CEI a piè di pagina con a margine i passi paralleli. Un utile strumento di facilitazione per affrontare le difficoltà del greco e dell’ebraico e introdursi nel testo biblico in lingua originale. «BIBBIA E TESTI BIBLICI» pp. 936 - € 40,00 DELLO STESSO CURATORE I LIBRI SAPIENZIALI TRADUZIONE INTERLINEARE IN ITALIANO pp. 528 - € 32,00 253 Edizioni Dehoniane Bologna Via Scipione Dal Ferro, 4 - 40138 Bologna Tel. 051 3941511 - Fax 051 3941299 www.dehoniane.it S tudi e commenti canto a molteplici formazioni politiche che non adottano un riferimento religioso o un programma o un obiettivo religiosi. La maggior parte degli attori politici che partecipano alla vita politica e al potere non fanno riferimento alla religione. In Libano ha sempre operato più o meno liberamente una grande varietà di partiti e di organizzazioni politiche. È vero che certi gruppi fondamentalisti hanno guadagnato terreno. Ma sono divisi fra sunniti e sciiti e beneficiano di molteplici finanziamenti esterni, e considerata la natura del sistema sociale libanese, a tessuto largamente multicomunitario, non vi è alcuna chance che queste formazioni fondamentaliste possano minacciare il regime liberale che si nutre di questa radicata mescolanza. Fondamentalisti e liberali In generale, il mondo arabo è oggi grossomodo diviso politicamente fra fondamentalisti e liberali. Dallo Yemen al Marocco la società civile si mobilita e scandisce slogan diversi. Le categorie più attive sono i giovani, le donne, le ONG e i professionisti dei mezzi di comunicazione. Non si tollera più che le aspirazioni delle popolazioni arabe siano osservate attraverso il prisma della religione, ma nemmeno con una logica d’incompatibilità con la fede. Non è più possibile semplificare la griglia d’analisi per tentare di spiegare una mancanza o una certa eccezionalità del mondo arabo. Per comprenderlo occorre fare attenzione agli obiettivi delle categorie attive oggi e cogliere i più pressanti: ci si accorge che sono i concetti di diritti dell’uomo, libertà, partecipazione, diritti della donna, protezione giuridica contro la violenza, eguaglianza, giustizia, responsabilità, trasparenza… che ritornano nei comunicati, nei programmi e negli obiettivi elettorali. Sono oggi valori quasi universali, e riconosciuti come centrali per la modernità politica. Non meraviglia constatare la sinergia oggi esistente fra differenti popolazioni e culture diverse, favorita dai media sociali. Non desta meraviglia anche in considerazione delle forti pressioni che la comunità internazionale esercita su tutti i paesi e tutti i regimi affinché si conformino ai diritti fondamentali proclamati dalla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo e dai principali strumenti giuridici internazionali. Le società arabe sono in cammino all’interno del mondo d’oggi: hanno traiettorie particolari e ritmi particolari, ma sono in movimento e vibrano all’unisono con i valori umani universali. Si può anche affermare che le società arabe in questo momento avanzano più velocemente delle proprie istituzioni e molto più velocemente delle istituzioni della Lega araba, paralizzata come si è visto precedentemente dalle lotte d’influenza degli stati e da preoccupazioni di carattere settario. Un superamento dei dilemmi? Esiste una risposta a questi dilemmi, comune sia ai cristiani sia ai musulmani? Assolutamente sì, ci rispondono i fatti e gli avvenimenti, poiché i proclami più fre- 254 Il Regno - documenti 7/2014 quenti e le parole d’ordine più ripetute sono la richiesta della costruzione di un ordinamento civile (dawla madanya), di uno stato di diritto, di una distinzione che si opera mediante il potere della legge e mediante l’appello a regimi che trascendono la legge per mezzo di meccanismi di controllo della conformità della legge al diritto. Dovunque vi è l’esigenza del riconoscimento delle libertà fondamentali, fra cui la libertà di coscienza. Nella coscienza collettiva dei cristiani del mondo arabo vi è un riferimento di primaria importanza, che dovrebbe rappresentare un manuale per le persone politicamente e socialmente attive. È l’esortazione apostolica di sua santità papa Giovanni Paolo II.2 Fu promulgata a seguito del Sinodo speciale per il Libano, considerato da sua santità come il sinodo della speranza. Egli considerava questa esortazione un documento che si proponeva di offrire principi di riflessione, orientamenti per il rinnovamento e suggerimenti concreti, e doveva costituire una guida per un costante rinnovamento (cf. n. 7; EV 16/335). Vi è nell’esortazione l’appello a un autentico dialogo fra i fedeli delle grandi religioni, fondato «sulla stima reciproca, al fine di proteggere e di promuovere insieme, per tutti gli uomini, la giustizia sociale, i valori morali, la pace e la libertà. Tale comune compito è particolarmente urgente per i libanesi, chiamati coraggiosamente a perdonarsi l’un l’altro, a far tacere dissensi ed inimicizie e a cambiare mentalità, per sviluppare la fraternità e la solidarietà in vista della ricostruzione di una società sempre più accogliente»(n. 89; EV 16/474). «Avendo vissuto fianco a fianco per lunghi secoli talora in pace ed in collaborazione, talora nello scontro e nei conflitti, i cristiani e i musulmani in Libano devono trovare nel dialogo, rispettoso delle sensibilità delle persone e delle diverse comunità, la strada indispensabile all’accoglienza e all’edificazione della società» (n. 90; EV 16/476). «È particolarmente necessario intensificare la collaborazione tra i cristiani e i musulmani, nei campi nei quali sarà possibile, con spirito disinteressato, cioè per il bene comune e non per quello delle persone private o di una comunità particolare» (n. 92; EV 16/478). «Aperta al dialogo e alla collaborazione con i musulmani del Libano, la Chiesa cattolica vuole essere aperta anche al dialogo e alla collaborazione con i musulmani degli altri paesi arabi, di cui il Libano è parte integrante. (…) Vorrei insistere sulla necessità per i cristiani del Libano di mantenere e di rinsaldare i loro legami di solidarietà con il mondo arabo. Li invito a considerare il loro inserimento nella cultura araba, alla quale tanto hanno contribuito, come un’opportunità privilegiata per condurre, in armonia con gli altri cristiani dei paesi arabi, un dialogo autentico e profondo con i credenti dell’islam. (…) Cristiani e musulmani del Medio Oriente sono chiamati a costruire insieme un avvenire di convivialità e di collaborazione, in vista dello sviluppo umano e morale dei loro popoli. Inoltre, il dialogo e la collaborazione tra cristiani e musulmani in Libano può contribuire a far sì che, in altri paesi, si avvii lo stesso processo» (n. 93; EV 16/480.481). L’esortazione precisa che «ogni personalità pubblica, politica o religiosa e “ogni gruppo deve tener conto dei bisogni e delle legittime aspirazioni degli altri gruppi, anzi del bene comune dell’intera famiglia umana”. In effetti, l’attività nella vita pubblica è anzitutto un servizio responsabile dei fratelli – di tutti i fratelli –» (n. 94; EV 16/482). «Invito pertanto tutti i Libanesi a coltivare e far crescere in sé, e soprattutto nelle giovani generazioni, “la determinazione ferma e perseverante di impegnarsi per il bene comune (…)”. Allo stesso tempo, è auspicabile che si sviluppi una condivisione equa delle responsabilità in seno alla nazione, affinché tutti possano mettere i propri talenti e le proprie capacità al servizio dei fratelli» (n. 95; EV 16/484). «Affinché la pace regni nel Libano e nella regione, (…) esorto le autorità e tutti i cittadini libanesi a fare tutto il possibile perché i diritti umani (…) siano pienamente rispettati» (n. 116; EV 16/520). «Violare i diritti dell’uomo è violare i diritti di Dio. (…) Servire i poveri è andare a Dio; dovete riconoscere Dio nelle loro persone» (n. 115; EV 16/519). «Esorto voi libanesi di tutte le confessioni ad affrontare con successo la sfida della riconciliazione e della fraternità, della libertà e della solidarietà, condizione essenziale per l’esistenza del Libano» (n. 120; EV 16/525). Infine, sua santità il papa Giovanni Paolo II ha precisato che la Chiesa è impegnata nel servizio sociale, nel servizio all’educazione, che è sensibile ai più poveri ma «in nessuna maniera si confonde con la comunità politica e non è legata ad alcun sistema politico. (…) Non compete perciò a essa impegnarsi direttamente nella vita politica» (n. 112; EV 16/511). La missione delle Chiese Si coglie chiaramente la missione culturale ed etica di cui sono investite le Chiese cattoliche, e si fa appello ai libanesi affinché coltivino l’attaccamento alla propria terra e siano aperti alla cooperazione e alla solidarietà di concerto con i libanesi delle altre comunità. Le Chiese cattoliche nel mondo arabo adempiono realmente a compiti importanti in campo educativo, come pure nel campo umanitario e in quello sociale. La precarietà in cui versano vasti settori della popolazione chiama oggi le Chiese a perseverare e a estendere il proprio servizio, in particolare nei confronti dei più poveri. Le Chiese hanno quindi un ruolo primario nell’educazione ai valori e all’etica. I fedeli sono chiamati per parte loro a dare prova di impegno senza riserva, a servizio del bene comune al di là degli interessi particolari. Tolleranza e perdono, apertura e rispetto delle differenze, estrema sensibilità alla giustizia e alla pace, al riconoscimento dei diritti dell’uomo e delle sue libertà: anche i prigionieri e le persone con necessità speciali hanno i medesimi diritti fondamentali, che occorre rispettare. Davanti all’immensità dei bisogni e davanti alla precarietà crescente nei vari paesi arabi, queste missioni sono ancora più importanti e sono chiamate ad allargarsi, invitando con l’occasione a riflettere seriamente e sistematicamente sulla «gestione» più razionale dei beni della Chiesa, per ottimizzarne i benefici verso i più poveri e per assicurarsi che siano a servizio al bene comune, che rappresenta la vocazione di tali beni e la missione ultima della Chiesa. Una piattaforma per la pace e la giustizia nei paesi arabi Non resta il tempo per interrogarsi sulla piattaforma su cui costruire pace e giustizia. Essa si poggia sul necessario rispetto e sul riconoscimento dei diritti dell’uomo. Tali diritti dell’uomo sono iscritti in forma prioritaria negli obiettivi dei movimenti di contestazione nei diversi paesi arabi che sono in transizione. Anche nei paesi arabi non toccati dai sommovimenti si osserva il risveglio di questi medesimi valori: in Arabia Saudita il re ha annunciato la delibera di una quota del 20% di partecipazione delle donne al Consiglio della Shura, ha dichiarato che non resteranno crimini impuniti la violenza e il maltrattamento delle donne, e queste ultime si accingono a guidare l’auto senza essere fermate dai poliziotti o dalla polizia religiosa, la mutawwi‘a (che dipende dal Comitato per l’imposizione della virtù e l’interdizione del vizio; ndt)… Ma l’indizio più importante di questo fermo orientamento verso la modernità politica, culturale e sociale è quello della mobilitazione attiva di larghi strati della popolazione in nome dei diritti dell’uomo, delle libertà fondamentali, contro il potere oscurantista o autoritario ma contro i movimenti reazionari e integralisti. È pressante la richiesta di un ordinamento civile, di un dawla madanya. La reazione dei cristiani del mondo arabo Tale reazione non è univoca ma sfaccettata. Vi è chi ha preso la strada dell’emigrazione, e sono tanti soprattutto fra le giovani generazioni, ma anche nei paesi arabi ove in un primo momento il cambiamento ha portato dei fondamentalisti al potere. Anche in Iraq e in Siria si osservano vaste ondate di spostamenti forzati. Queste vaste ondate erano provocate da azioni o di esclusione o semplicemente criminali da parte dei gruppi fondamentalisti takfiri oppure anche da situazioni di conflitto. Ciò è pericoloso, poiché svuota le regioni delle proprie popolazioni tradizionalmente cristiane e distrugge il tessuto misto delle società. I cristiani non sono forse combattivi e pazienti? Sono disperati? Dov’è il ruolo attivo delle loro Chiese? La lotta dei cristiani non dovrebbe es- 2 Cf. Giovanni Paolo II, esortazione apostolica postsinodale Una speranza nuova per il Libano, 10.5.1997; EV 16/322ss. Il Regno - documenti 7/2014 255 S tudi e commenti sere una lotta non armata ma fatta con la fede, la convinzione e l’alleanza con i musulmani che sono loro simili e che restano i più numerosi? Com’è potuto accadere che siano sorti importanti movimenti di risposta ai gruppi islamisti radicali e i cristiani ne siano quasi assenti? Se i cristiani dovessero arrivare a comprendere la certezza di non poter contare sulla protezione delle grandi potenze occidentali – chiamate cattoliche o anche cristiane – che paiono strumentalizzarli a servizio dei propri interessi nazionali o di potere, essi potranno vivere senza protezione esterna? E dove troveranno protezione? Lo stato di diritto, luogo naturale per la protezione di tutti i cittadini Prendendo in considerazione i movimenti di risposta ai governi fondamentalisti in Egitto, Siria, Marocco e in Tunisia e anche altrove, emerge con certezza che i cristiani del mondo arabo hanno degli alleati naturali che non devono ignorare: si tratta della maggioranza dei musulmani, alla ricerca essi stessi dello stato di diritto, del riconoscimento dei diritti dell’uomo, della giustizia, della partecipazione e della responsabilità dei governi. La loro lotta è la medesima. Perché allora disertare e prendere la strada dell’emigrazione? Direzione e redazione Via Scipione Dal Ferro, 4 - 40138 Bologna tel. 051/3941511 - segr. 051/3941309 fax 051/3941399 - www.ilregno.it e-mail: [email protected] Per la pubblicità Direttore responsabile Ufficio commerciale CED-EDB Gianfranco Brunelli e-mail: [email protected] Caporedattore per Attualità tel. 051/3941206 - fax 051/3941299 Guido Mocellin Abbonamenti tel. 051/3941255 - fax 051/3941299 Caporedattore per Documenti e-mail: [email protected] p. Marco Bernardoni Quote di abbonamento Segretaria di redazione per l’anno 2014 Valeria Roncarati Il Regno - attualità + documenti + Redazione Annale 2014 - Italia € 66,00; p. Marco Bernardoni / Gianfranco Europa € 105,00; Brunelli / Alessandra Deoriti / p. Alfio Resto del mondo € 117,00. Il Regno - attualità + documenti Filippi / Maria Elisabetta Gandolfi / p. Marcello Matté / Guido Mocellin / Italia € 65,00; Europa € 104,00; Resto del mondo € 116,00. Marcello Neri / p. Lorenzo Prezzi / Solo Attualità o solo Documenti Daniela Sala / Paolo Segatti / Piero Italia € 46,50; Europa € 69,50; Stefani / Francesco Strazzari / Antonio Resto del mondo € 74,50. Torresin / Mariapia Veladiano Una copia e arretrati: € 3,70. Il Regno digitale - attualità + Editore documenti + Annale 2014 - € 66,00; Centro Editoriale Dehoniano, spa CCP 264408 intestato a Centro Progetto Grafico Editoriale Dehoniano. Scoutdesign Srl Chiuso in tipografia il 7.4.2014. Impaginazione Il n. 6 è stato spedito l’1.4.2014; Omega Graphics Snc - Bologna il n. 5 l’11.3.2014. In copertina: M.I. Rupnik, Crocifissione (part.), mosaico, Chiesa parrocchiale del Corpus Domini in Registrazione del Tribunale di Bologna Bologna, 2013 (fotografia di Luciano Zanecchia). Stampa italia tipolitografia s.r.l. - Ferrara N. 2237 del 24.10.1957. Associato all’Unione Stampa Periodica Italiana 256 Il Regno - documenti 7/2014 L’editore è a disposizione degli aventi diritto che non è stato possibile contattare, nonché per eventuali e involontarie inesattezze e/o omissioni nella citazione delle fonti iconografiche riprodotte nella rivista. Il ruolo pionieristico del Libano I primi sommovimenti del cambiamento hanno sorpreso tutto il mondo, sia per il momento in cui sono avvenuti, sia per la loro ampiezza, sia per i regimi che sono stati toccati per primi. I regimi egiziano e tunisino erano noti per le buone relazioni con le potenze occidentali. La loro caduta ha stravolto le idee preconcette sul ruolo delle potenze estere nel mantenimento o nella caduta dei regimi. Ha anche smontato un’immagine stereotipata delle società arabe, definite immobili e passive. Si sono viste le popolazioni, gente di tutte le età e di tutte le categorie e classi sociali, mobilitarsi, esporsi alla repressione, sopportare il peggio al fine di spingere verso il cambiamento politico. Oggi appare chiaramente che c’è in gioco la durata, la possibilità di durare; i primi passi del cambiamento sono talvolta stati eccessivi, altre volte hanno deviato. La costituzione e il consolidamento dei regimi democratici richiedono tempo. Ma lo stupore era anche provocato dall’assenza del Libano in tutti questi sommovimenti. Perché mancava il paese a più antica tradizione liberale? Non ha forse esso un ruolo di pioniere, in quanto il più radicato nei valori liberali e in quelli democratici e vive dal 1920 la problematica esperienza della vita in comune? Perché il Libano non riesce a impegnarsi in riforme profonde che consolidino la sua democrazia e il sistema di protezione dei diritti dell’uomo? I libanesi sono in ritardo perché non hanno letto l’esortazione apostolica, oppure non l’hanno applicata. Più divisi che mai, esposti a tutte le influenze e le ingerenze esterne, i dirigenti libanesi scommettono su alleanze regionali e internazionali. Si dirà che non hanno capito niente. Sono necessari passi coraggiosi verso il tavolo del dialogo, l’accettazione di un governo di unità nazionale, il senso della moderazione, l’accettazione degli altri, il senso dell’inclusione, e, per i cristiani, la determinazione e l’ostinazione a restare anziché emigrare. L’alleanza dei moderati di tutte le comunità che riconoscono i diritti dell’uomo e che hanno aspirazioni simili è il solo mezzo per restare fedeli alla memoria dell’Oriente arabo, che ha visto nascere la prima comunità di cristiani al mondo, e per restare fedeli alla vocazione di rispetto per l’essere umano e la sua dignità, che è inerente alle grandi religioni. Le Chiese dovranno per parte loro farsi carico pienamente del proprio potere culturale e morale e prendere le distanze dal potere politico, ogni potere politico. Esse dovranno contribuire attivamente a ridurre la precarietà sociale dei propri fedeli esortandoli ad agganciarsi ai rispettivi paesi e a partecipare alla loro riforma e democratizzazione. Solo un tale approccio manterrà il ponte fra il mondo arabo e il resto del mondo. Solo questo potrà salvare il mondo arabo dal ripiegamento e dalla doppia esclusione. Roma, 3 ottobre 2013. Fadia Kiwan Contare i giorni la collagnuae prose Il calendario cristiano e i suoi oppositori pp. 80 - € 7,00 Angela Anna Tozzi Il cantico di Francesco www.dehoniane.it Hans Maier L’invocazione universale del santo d'Assisi pp. 56 - € 5,50 S G U A R D I Si occupano di teologia, filosofia, storia, archeologia, spiritualità e Scritture i titoli della collana “SGUARDI ”: saggi brevi, affidati ad autori di grande competenza, dedicati a temi di interesse culturale che spesso intersecano le grandi questioni dell’attualità. Claudio Balzaretti La cioccolata cattolica Storia di una disputa tra teologia e medicina SGUARDI pp. 96 - € 8,50 Donatella Scaiola La donna perfetta Interpretazioni di un poema biblico pp. 56 - € 6,00 O SCAR A RNULFO R OMERO La messa incompiuta Le ultime omelie di un vescovo assassinato PREFAZIONE DI JON SOBRINO «LAPISLAZZULI» pp. 80 - € 7,00 I l 24 marzo 1980 l’arcivescovo di San Salvador venne brutalmente assassinato, all’età di 62 anni, mentre celebrava la messa. Il giorno precedente, in cattedrale, aveva denunciato il tragico elenco delle ingiustizie e delle oppressioni compiute dal potere violento nei confronti del popolo. Nelle sue due ultime omelie Romero affida alla Parola di Dio il compito di illuminare la realtà sociale, politica ed economica per tradurre in fatti gli insegnamenti del Vangelo e accogliere «il grido del popolo e il dolore per tanti crimini». www.dehoniane.it EDB Via Scipione Dal Ferro, 4 - 40138 Bologna Tel. 051 3941511 - Fax 051 3941299