Torino, 26 aprile 2009
Il cristianesimo sta morendo?
Relatore Don Ermis Segatti
(scritto non rivisto dall’autore)
Se uno volesse porre la questione in termini un po’ da sollievo pomeridiano, io direi: «Il
Cristianesimo sta morendo? Risponderei: sì, in buona salute!»
Allora entriamo in questo argomento. Fino a qualche decennio fa nel titolo non c’era
l’interrogativo. Anzi, addirittura più indietro, all’inizio del secolo scorso e alla fine del secolo
precedente, cioè l’800, qualcuno aveva detto la medesima frase senza punto interrogativo, ma
col punto esclamativo.
Il Cristianesimo sta morendo! Quando si toccano questi argomenti sembra di parlar di
archeologia, ma si tratta di fenomeni di nostra memoria vivissima che vennero proclamati,
imposti mentalmente, vennero, in qualche misura, addirittura posti nei manuali più accreditati
di certe parti di questo mondo e in parte lo sono ancora in alcuni sub continenti del pianeta terra,
come dati di fatti ineluttabili.
Si dava per scontato che non c’era futuro per il Cristianesimo. In realtà, è poi risultato un
fenomeno che altre volte si è ripetuto, ossia che non c’era più futuro per quel Cristianesimo
come era pensato da coloro che lo giudicavano in un certo modo. Quel Cristianesimo che
loro pensavano in un certo modo era certamente destinato a perire. Il problema è che però il
Cristianesimo non coincideva con quel modo con cui loro lo pensavano.
Se vogliamo fare una piccola anamnesi storica di questi tentativi duri, forti di giudicare il futuro del
Cristianesimo in estinzione, troveremmo molti esempi. Ne prendo cinque. Cerco di interrogarmi
su quale sia lo stato di salute (per quel tanto che posso conoscere) del cosiddetto morente, il
Cristianesimo oggi; poi vediamo quale sarebbe la sua agonia, domani, in buona salute.
Vediamo ciò che ci sta alle spalle, quali furono le ipotesi di sparizione del Cristianesimo e
perché.
La prima ipotesi di sparizione del Cristianesimo in modo consistente venne propugnata
indirettamente attraverso una sua apparente vivificazione, quando circa tre secoli fa si pensò
che il Cristianesimo dovesse essere ridotto a qualcosa di ragionevole, come si pensava che
allora la ragione fosse.
Riducendolo a qualcosa di ragionevole, dunque accettabile, dunque con un futuro, semmai con un
futuro magari anche eccelso, si fece una specie di sintesi: il Cristianesimo, ridotto a fil di ragione,
è questo, questo e questo. Per lo più, venne ridotto ad alcuni postulati fondamentali dal punto di
vista della conoscenza di un Essere supremo riconducibile a quello che era il monoteismo.
Il messaggio cristiano era per lo più ridotto ad alcune grandi caratteristiche dell’etica universale
e Gesù Cristo ridotto a un predicatore di morale comune.
Con queste credenziali alcuni ritenevano che il Cristianesimo non fosse solo ridotto alla categoria
della ragione, ma fosse vivificato dalla ragione stessa. Non c’era più bisogno di credere, bastava
sapere. È il primo grande tentativo compiuto in occidente per estinguere di fatto il Cristianesimo.
Perché non era più il Cristianesimo della Tradizione, ma era il Cristianesimo in qualche misura
prosciugato dentro la ragione.
A quel tempo la ragione era un motivo di accreditamento molto forte. Si poteva dire la frase che
abbiamo meditato tre - quattro incontri fa: che la fede si era spostata dalla fede alla ragione. Per
cui si dava fede alla ragione e il Cristianesimo meritava fede per la ragione che aveva dentro di
sé. Questo tentativo ha avuto ed ha ancora particolari vicissitudini nel nostro mondo occidentale.
Notate che qui stiamo parlando sempre dell’Occidente, perché le ipotesi di sparizione del
Cristianesimo sono tutte occidentali.
Naturalmente, se io avessi qui un pubblico cinese, non potrei fare questi ragionamenti se non
per il fatto che in Cina c’è una propaggine della seconda ipotesi di sparizione del Cristianesimo.
Cioè, la ideologia di Stato che là è ancora ufficialmente imperante anche se nella prassi concreta,
quella sì, è in agonia. Questa seconda ipotesi era quella che diceva che la religione era un danno
per la società e per il mondo e che doveva essere considerata come un fattore passivo per lo
sviluppo della società. Questa concezione non è semplicemente solo quella marxista. Era di
per sé militante nei confronti della religione, ma per una accentuazione che non tutti seguivano
ma che di fatto storicamente si seguì. L’ateismo militante si sviluppa nei paesi di carattere
socialista, ma di per sé la dottrina di Marx era quella che creava le premesse non dirette per far
sparire indirettamente la religione. Ossia: costruiamo la società che assolverà a tutto ciò che la
religione, nella fattispecie dell’Occidente, ha propugnato qui in questa parte del mondo e noi
vedremo che se noi risponderemo a ciò a cui rispondeva prima la religione, noi non avremo
più bisogno delle religioni, non ci sarà più bisogno di combatterle, perché la religione sarà
semplicemente svanita nelle sue radici di motivazione.
Si diceva questo affermando con un’analisi inesorabile, che i problemi che fondamentalmente
avevano fatto sorgere la religione, le ragioni per cui era sorta, erano bisogni di altra natura, non
religiosi, che poi si erano snaturati diventando religiosi ed erano diventati religiosi attraverso
un processo di alienazione, di astrazione. E così, la religione è un fenomeno astratto anche se
si manifesta concretamente, perché nasce da una radice diversa che sono i bisogni elementari,
non soddisfatti i quali, uno si rifugia nella religione. La soluzione reale, secondo questo filone,
quello marxista, aveva un accento tutto tipico del marxismo che per reale s’intendeva ciò che è
economico, i bisogni economici. Per dirla con una frase famosa di Marx: si vedrà che gli uomini
hanno avuto il sogno di una cosa possedendo la quale non avranno più bisogno di sognare.
Però, di per sé, ripeto, non era un attacco diretto, ma un attacco indiretto che avrebbe fatto
sparire la religione. La religione quindi era destinata a perire perché la soluzione era alle porte.
Marx diceva che non bisognava combattere direttamente la religione, anche se poi è avvenuto
così. Non bisognava combatterla direttamente, era un errore prospettico, non si combattono i
fantasmi, si combatte alla radice il problema. Si risolvono i problemi e la religione sparirà per
conto suo.
Invece chi ha avuto come oggetto l’eliminazione diretta della religione era un filone della nostra
cultura occidentale, prima minoritario poi con una sua consistenza, forza e anche attrattiva
ideologica: il nichilismo etico il quale affermava che la religione era il più eccelso dei tanti
fenomeni di distorsione dei rapporti umani, basati su principi di autorità.
Era l’affermazione di un soggettivismo libertario assoluto che si rivolgeva contro ogni
autoritarismo nel campo sociale, nel campo familiare, nel campo delle relazioni più intermedie,
poi anche nella cultura: il modo di concepire l’istruzione, l’educazione, ecc. E, ovviamente, la
religione era vista come la sanzione suprema di queste forme dominative della realtà.
C’era anche la ribellione radicale, gli anarchici. Ma Marx combatté gli anarchici. L’internazionale
socialista si divise su questo: tra marxisti e anarchici radicali e altri. Anche in Italia c’è stato
tutto un filone di questo anarchismo molto forte che si è radicato soprattutto nell’ala socialista
dell’ottocento e poi del novecento. Non per nulla alcuni di questi epigoni di questo anarchismo
sono presenti ancora oggi e son passati dentro il socialismo, non nel comunismo.
Un altro filone più sottile da percepire era quello che poneva nella civiltà occidentale, non
in termini marxiani, non in termini anarchici, ma poneva in termini di carattere economico,
capitalistico. Poneva il problema della religione come sostituibile da altre strade che avrebbero
appagato il bisogno religioso e la religione attraverso la creazione del benessere. Si ponevano
queste correnti di pensiero come meta incredibile della società: la felicità.
Come sapete, la nostra civiltà viene qualificata all’interno del consesso delle civiltà del
mondo come la società del benessere. La società del benessere ha un’ipoteca dentro di sé di
carattere esaustivo rispetto ai problemi dell’uomo, vuole veramente risolverli tutti e concepisce
tendenzialmente anche la religione come essenzialmente basata sul soddisfacimento di bisogni
ancora inappagati. L’ipotesi secondo cui si potranno appagare tutti i bisogni rende superflua la
religione. O per lo meno la rende cavalier servente, o se si vuole, cappellano di corte. Uno stand
nella fiera del benessere se lo può tenere pure la religione!
Questo problema è un problema delicato secondo me, perché è più soft, ma è quello che in
qualche misura si diffonde all’interno del nostro mondo occidentale che ha dentro di sé sempre
l’ipotesi secondo cui se ne potrà fare a meno della religione, perché ci sarà altro. E dal punto di
vista pratico, una delle forme in cui si sono sviluppate certe forme di religiosità oggi, sono le
religiosità dell’appagamento.
Sono quelle che dicono: vieni e avrai. Finora non ti sei reso conto di quello che tu puoi, ma il
tuo potenziale può essere tale per cui tu sarai veramente appagato. Questa concezione, a mio
modo di vedere, è molto profonda in Occidente. Per cui può sussistere anche la religione, ma la
chiamerei come una specie di decorazione accessoria. E a volte anche la religione è concepita
in termini di welfare (benessere): la religione che ti deve appagare, la religione deve diventare
qualche cosa a cui tu chiedi che ti distenda, che ti rilassi.
Oppure, quando entri in una di queste forme religiose, dici: oh, finalmente mi son sentito
realizzato! Perché si punta a questo. L’educazione previa, mentale che c’è dietro questo, è che
se qualcosa di valido esiste, deve esistere come appagamento e come soddisfazione.
Evidentemente, questi tipi di religiosità così concepiti, vengono da un entroterra in cui l’aumento
enorme delle disponibilità, dei mezzi che si sono sviluppati soprattutto in Occidente a partire
dal settecento, hanno fatto pensare che era tutta una questione di tempo, ma noi avevamo ormai
i mezzi per assolvere questo compito incredibile di procurare la felicità.
L’effetto perverso di questa impostazione mentale è quando si è radicata anche nel costume
della vita; effettivamente uno entra nella logica secondo cui l’unico orizzonte che conta è
quello. Badate che questo lo si può vedere anche all’interno di nuove forme di religiosità le
quali ti promettono che tu sarai pienamente soddisfatto, che tu sarai pienamente potenziato; te
lo promettono e ti dicono che devi raggiungerlo. Al punto tale che alcune formulazioni ardite
dicevano che se tu lo vuoi, lo puoi.
Ecco questa è la terza via dello svanirsi della religione. Qui è decretata la fine della religione,
perché anche se permane, la religione diventerà una variabile dipendente di qualcos’altro. E
servirà al tuo appagamento.
Notate che diverse forme di nuove religiosità hanno questo profilo; potrei citar dei nomi anche
clamorosi da questo punto di vista. Che cosa credete che prometta Scientology? Promette questo
e dice che coloro che ti hanno detto che non potevi raggiungerlo, ti hanno ingannato, perché tu
lo puoi.
Il quarto tipo di decreto fine vita del testamento biologico per la religione è quello più raffinato
e, da un certo punto di vista, anche bello, che storicamente ha svolto anche una funzione di
rivalutazione del discorso religioso: è il discorso idealistico, la reinterpretazione idealistica
della religione.
Per fare un nome eccellente – abbiamo dei nomi eccellenti in Italia da questo punto di vista –
Benedetto Croce che è stato l’ispiratore, attraverso Gentile, in parte direttamente o indirettamente
di quella che è stata la più grande riforma scolastica del novecento, a tutt’oggi non ancora
equiparata da altre riforme.
L’ipotesi idealistica della religione era tendenzialmente anche una rivalutazione del discorso
religioso, della sua importanza, della sua validità. Ma aveva dentro di sé una lettura della
religione come luogo di passaggio per altro. Ma, come luogo di passaggio, veniva valutata. Qual
era il luogo di passaggio che veniva riconosciuto alla religione? Questa funzione transitoria
della religione poteva essere vista anche in chiave storica, cioè nel corso dei secoli è avvenuto
così. Ad esempio, nell’educazione, nella crescita di una persona, avviene così. Si passa in quella
fase, ma poi si lascia questa fase e si entra nella fase piena.
Naturalmente dietro a questo sta Hegel e poi in mezzo ci sta il grande altro riformatore della
scuola italiana dell’800 che è De Sanctis, anche lui da questo punto di vista è uno storicista
idealista.
Allora la tesi è questa: la religione è una fase dello sviluppo dell’umanità che, tendendo a
maturare verso la fase piena, passa, transita, può transitare attraverso la religione, ma poi arriva
ad una fase – ecco la parola classica – “superiore”. E dalla fase superiore tu puoi guardare
dall’alto in basso la religione. Di qui viene fuori quel soave protezionismo della religione che è
instaurato nella riforma della scuola italiana per cui, nella concezione tipica dell’idealismo, alla
religione non è riconosciuto nulla di proprio.
È riconosciuto solo qualcosa di qualcun altro che gli sta sopra. Sarà riconosciuto dalla storia, sarà
riconosciuto dalla storia della filosofia, sarà riconosciuto dalla storia dell’arte, ma sarà sempre
la dimensione storica che la guarderà dall’alto. Ma per Croce era difficilissimo concepire, ad
esempio, che esistesse la possibilità di apprezzare la Teologia. Che cos’è la Teologia? Ne può
parlar la filosofia. No, non si possono associare razionalità e religione. La ragione che interroga
la fede è la Teologia. No, non è possibile, quello lo fa la filosofia. Allora è filosofia, non è
nient’altro che filosofia. Cos’ha da dire la religione in proprio? Non è autonoma, è dipendente.
La riforma della scuola italiana ha ancora dentro di se l’imprinting del pensiero sulla religione.
E naturalmente Croce aveva buon gioco come disse nel famoso opuscolo di cui è ricorsa poco
tempo fa la ricorrenza celebrativa, che non possiamo non dirci cristiani. Perché, figuriamoci, la
nostra cultura è venuta fuori di lì, ma poi è uscita. E così non possiamo non dirci cristiani.
Era un soave riconoscimento ma era un riconoscimento a partire da una posizione imperiale
sulla religione, guardata dall’alto. Il destino di questo tipo di impostazione è quello che ha
portato alla situazione attuale della cultura italiana, ma per analoghi atteggiamenti speculari
da parte della tradizione anche religiosa italiana, cristiana, per cui, ad esempio, nelle nostre
università non c’è una cattedra di Teologia, non è immaginabile.
Naturalmente anche la tradizione ecclesiale ha stentato e stenta ad accettare che le università
abbiano facoltà di Teologia che non dipendano dalla autorità ecclesiastica. Vedete che la logica è
peculiarmente, diciamo, interattiva. E così noi manchiamo di una tradizione di ricerca religiosa
che sia corrente e che non sia invece concepita sotto doppio patronato: o da una parte della
Chiesa o dall’altra della cultura cosiddetta laica.
Poi c’è una quinta strada dell’annuncio della sparizione della religione di cui abbiamo esempio
in questo libro (Augias-Cacitti, Inchiesta sul cristianesimo) ma ce ne potrebbero anche essere
altri di scritti. Ecco io vi do la lettura fatta in termini di analisi, ma sotto ci sta una sentenza.
Leggo il primo e il secondo paragrafo di questo libro: «Gesù non ha mai detto di voler fondare
una religione, una Chiesa che portassero il suo nome; mai ha detto di dover morire per sanare
con il suo sangue il peccato di Adamo ed Eva, per ristabilire cioè l’alleanza fra Dio e gli
uomini; non ha mai detto di essere nato da una vergine che l’aveva concepito per l’intervento
di un dio; mai ha detto di essere unica e indistinta sostanza con suo padre… Gesù non ha mai
dato al battesimo un particolare valore; non ha mai istituito alcuna gerarchia... mai ha parlato
di precetti, norme, cariche... Non è stato lui…». Il secondo paragrafo comincia così: «Davanti a
queste incontestabili verità sorge con forza la domanda, la curiosità di sapere: ma allora come
è nato il cristianesimo?»
Risposta mia: veditela tu! Scusatemi la battutaccia, perché questo modo categorico e perentorio
di porre le questioni è proprio ciò che alcune volte costituisce l’altra via di negazione del
Cristianesimo, quando cioè si parte da alcuni criteri che si danno per assolutamente certi e
precisi: o stai dentro a questi criteri e allora c’è verità o non stai dentro a questi criteri. Il caso
più clamoroso in questo senso – voi sapete anche con libri abbastanza chiacchierati – è quello
di dire che l’unica cosa che è credibile è ciò che la scienza appura.
Questa affermazione assiomatica dà per presupposto una certezza che stabilisce il quadro entro
cui le cose possono esistere. Se non vanno dentro quel quadro, non esistono. Oppure si fanno
entrare dentro a furia di pigiarle artificiosamente. A mio modo di vedere, il problema come si
pone in questo libro sull’origine del Cristianesimo, avrebbe bisogno di molta più circospezione
e cautela, se non altro per un atteggiamento di reminiscenza storica. Ma quante di queste cose
sono state dette da due secoli a questa parte! Poi l’esegesi, la ricerca ha dovuto fare dei passi
indietro.
Se uno vuol fare seriamente ricerca storica sui vangeli, deve essere molto cauto e non esige che
uno vada come un domatore dentro la gabbia dei leoni e con la sua frusta faccia girare il leone
come vuole.
Deve mettersi in atteggiamento estremamente attento. Certamente non è semplice a volte da
capire, da comprendere, ma non si entrino con delle tesi pre formulate dentro la domanda
fondamentale, come ha potuto sorgere il Cristianesimo. È meglio entrarci dicendo: costituisce
un vero problema, molte cose ci sfuggono, qualcosa resta inspiegabile, poi alcuni dati che ci
vengono fuori sono potenti.
Come si fa a predicare che Gesù è nello stesso tempo Messia ed è stato messo in croce, poi
è risorto. Potevano star zitti, dicevano altre cose molto più semplici stando a queste logiche,
no? Si sistema tutto rapidamente, ma alla fine non si spiega nulla. E sono almeno 250 anni che
si stanno facendo queste semplici spiegazioni! Mentre invece il Cristianesimo dà veramente
stupore nel chiedersi come abbia potuto! Non è l’Islam che è uscito in conquista del mondo. Il
Cristianesimo non è uscito in conquista del mondo in quel modo. È uscito con una verità che
era contraria alla mentalità dell’ambiente. Voi immaginate un greco istruito, dotto che si sentiva
dire: la resurrezione della carne? Ma neanche per la risurrezione dello spirito. Ma semmai, lo
spirito. Non certamente la risurrezione della carne.
Perché hanno predicato? Da dove hanno tirato fuori la forza per dire una cosa così contraria?
Invece, l’operazione che viene fatta da questi critici è di rendere accettabile in base a ciò che
loro ritengono che possa essere accettato. Ciò che non è accettato da parte loro è qualche cosa
che va in qualche modo spiegato, ma aggiustato con una tecnica che io chiamo di chirurgia
plastica.
Ieri ero proprio a distanza ravvicinata con Augias, eravamo nel medesimo tavolo perché c’era
questa famosa biennale sulla democrazia e Augias era il giornalista che discuteva con il tavolo
di regia questa biennale di democrazia. Abbiamo avuto anche modo di avere qualche scambio.
Ho dovuto però constatare che tendenzialmente vuole proprio avere ragione! Per altre versi è
persona degna di rispetto ma su alcune cose vuol proprio farsi dare ragione. Si sceglie anche le
persone che gli vanno comode! Questo Remo Cacitti… non si sa chi dei due si dà più ragione,
allora in queste cose bisognerebbe essere anche più cauti, bisognerebbe prendere qualcuno che
la pensa diversamente da te. Come ha fatto prima con Pesce, ha trovato il tipo che gli dava
ragione in precedenza.
È facile stabilire un dialogo che si basa sul fatto che si usano gli strumenti diversi, lui di giornalista
comunicativo, l’altro documentarista certamente competente, ma con una interpretazione di
fondo che sostanzialmente è affine. Allora, alla fine, andando d’accordo tutti e due – poiché
sono già d’accordo prima –, è facile concludere che la realtà è quella.
Ma io avrei voluto vedere se avesse avuto qualche altro congressista di fronte a sé, se le
conclusioni sarebbero state le stesse. Dovrebbe trovare degli interlocutori più seri, dico solo
questo e chiudiamo il discorso.
Veniamo alla seconda parte della domanda. Aggiungo un piccolo particolare. Qui ho davanti un
testo, fondamentale secondo me, che la critica religiosa cinese ufficialmente segue. Dice qui il
testo: un militante del nostro apparato non può non essere ateo e non può non propagandare
l’ateismo. In questi tipi di logiche che sono ancora legate all’Unione Sovietica c’è una particella
che è sempre fondamentale. Certi lunghissimi saggi, articoli – i discorsi dei segretari di partito
erano di un noioso tremendo –, voi avete una chiave per leggerli in fretta. Quando nel punto
a capo, girando le pagine in fretta, quando voi trovate la parola “però” saltate tutto il resto,
leggete quel che viene dopo il “però”. E voi capite dove va a parare l’oggetto. Questo articolo
dice: naturalmente la religione sparirà… però è una questione di lunga era!
Quando io penso che chi scrive ciò – questo è scritto nel 2006, poi sono usciti ancora altri
articoli più interessanti ancora da questo punto di vista – dietro alle spalle ha gli anni ’30, un
piano quinquennale della sparizione della religione da parte degli antenati di questi teologi che
recitava più o meno così: il primo anno sarebbe sparito l’aspetto più esteriore della religione,
le chiese; il secondo anno sarebbero spariti tutti gli appannaggi ancora esterni che rimanevano
nell’educazione; il terzo anno, tutti i segni ancora esterni religiosi; il quarto anno spariranno le
abitudini legate alle tradizioni; il quinto anno – la frase era tecnica – sparirà la religione dai più
riposti angoli della coscienza.
E quell’anno era il 1939. Poi è capitata la guerra e Stalin che nel suo manuale del marxismo
storico dialettico pure tuonava cose analoghe, era molto lapidario. In parte si faceva comporre i
testi teorici dai suoi fidati ma li revisionava molto bene. E Stalin ha tagliato corto. Con l’invasione
della Russia, l’operazione Barbarossa, ci furono giorni – si sa dai documenti – che ebbe paura
di essere ucciso perché aveva decimato i più capaci quadri dirigenti dell’esercito con una delle
sue tante purghe. Poi a un certo punto c’è stato una specie di onda ascendente di rifugio in lui
che aumentò ancora di più il suo prestigio. Tagliò corto: convocò, i responsabili della tradizione
ortodossa, quei quattro-cinque che rimanevano, li chiamò addirittura al Cremlino. Vi andarono
in fretta e furia con una strizza tremenda davanti a Stalin. E quello disse: aprite, aprite le chiese,
aprite le chiese! E ci verrebbe da dire: sia lodato Gesù Cristo! Ma a parte questa battuta, dico
che noi abbiamo dietro alle spalle queste precise determinate date di chiusura del discorso
religioso.
Un’altra tappa fu quando si poterono fare finalmente, a fine anni ’70 e inizio degli anni ’80,
alcune ricerche sociologiche all’interno dell’Unione Sovietica su quanti fossero veramente i
credenti e quanti fossero gli atei. Le cifre ufficiali davano cifre strepitose! Gli atei erano in
percentuali altissime e i credenti rimanevano delle piccole frattaglie.
Ovviamente venivano questi risultati per la semplice ragione che se tu davi dei risultati diversi
da quelli che volevano o perdevi posto di lavoro o ti tagliavano via le ferie. Quindi il discorso
era molto pratico. Dopo di che venne fuori che effettivamente la questione era invece di 10% di
atei convinti, dopo tante vittime e tante cose terribili. E più o meno queste erano le percentuali
degli atei nell’Occidente dove non si era fatto tutta la campagna ateistica micidiale dei paesi
dell’Est.
Ciò gettò in profondo sconforto le scuole di ateismo, perché evidentemente si videro rinfacciare
di non avere ottenuto ciò che si proponeva.
Chi dice “ere” oggi o una parola un po’ più soave, dice: è un fenomeno di lungo periodo. Chi
dice questo, lo dice per uno scopo molto pratico. Siamo in Cina. Qui non c’è la guerra, non c’è
l’operazione Barbarossa, ma cosa c’è? Bisogna che tutti si mobilitino per far avanzare la Cina e
quindi si dice: le religioni, altro che sparire! Datevi da fare! Dovete collaborare! Sinergia con il
regime! E vengono fatte varie proposte perché c’è bisogno che la religione agisca, collabori.
Ovviamente alcuni organi del partito sanno benissimo che la crisi dell’ideologia dominante
è grande ma non osano dirlo troppo in pubblico; dicono che se non ci attacchiamo a qualche
forma spirituale religiosa è finita. E quali sono le forme spirituali, religiose a cui si possono
attaccare? Buddismo, Confucianesimo, Taoismo, religioni tradizioni popolari e Cristianesimo,
con una piccola variante, che il Cristianesimo ha una difficoltà in più.
Mentre col Confucianesimo tu puoi invitare anche architetti dell’estero, come sta avvenendo,
per rilanciare in modo fastosissimo la città natale di Confucio, puoi dedicare delle cerimonie,
pellegrinaggi interni alla Cina, il Cristianesimo ha una radice esterna. E questa radice esterna
è quella che costituisce il contenzioso aperto su chi deve dir l’ultima parola nella nomina dei
Vescovi. Cosa che oggi è una delle questioni che impedisce l’accordo tra la Chiesa di Roma,
ma anche con le chiese protestanti. E quindi si preferisce avere una gerarchia la quale ubbidisca
ad alcuni principi costituzionali politici che sono dettati da varie formule per ciò che riguarda
il protestantesimo: le tre autonomie; per ciò che riguarda il cattolicesimo: la professione della
dipendenza dalla organizzazione patriottica che deve vigilare su come la religione cattolica è
leale rispetto allo Stato.
Naturalmente in questa reviviscenza c’è un programma legato a contingenze storiche. Ma alcuni
autori all’interno della tradizione anche più ossidata del partito, hanno già da tempo risolto la
questione che dal punto di vista religioso si regolano autonomamente. Quindi hanno attaccato
la questione religiosa all’aggancio reale che è la coscienza e non altro.
E alcuni addirittura, facendo una teoria del fatto che in una situazione come quella della Cina
che impone dei cambiamenti così radicali, potenti, c’è bisogno che cresca concomitante allo
sviluppo economico la sfera dell’etica e, aggiungono, della spiritualità. Perché, altrimenti,
questo progresso potrebbe essere dannoso per la Cina.
Oggi, come è la questione religiosa? Lasciamo perdere per il momento l’orizzonte della Cina ma
teniamola presente in questo senso: il più delle volte, quando si fa la lettura della decadenza della
religione, del Cristianesimo, si continua ad avere una sorta di tabulato mentale che legge i destini
del Cristianesimo nel mondo da come va qui da noi. Non è più come un tempo quando si pensava
che il Cristianesimo parte di qui e va a estendersi missionariamente nel mondo ma, mentalmente,
si pensa che quel che capita del Cristianesimo, deve essere quel che è capitato qui.
Ma qui ci sono alcune disomogeneità gravissime! Penso, ad esempio, a una diocesi come quella
di Torino che ha 15 studenti in Seminario per diventare preti e penso, invece, ad Hanoi, alle
diocesi del Nord del Vietnam che sono straripanti di vocazioni. Ma sapete che ci sono 70 –
80 ordinazioni all’anno in diocesi che sono infinitamente più piccole! Oppure, che ci son dei
seminari che non possono tenerne più di 200, bisogna dividerli e non ci stanno più, non possono
prenderne più di 20 all’anno, non hanno i locali e chiedono soldi per poter costruire i locali e,
naturalmente, col permesso dello Stato. Questo in Vietnam.
Ma anche in Cina. In Cina il Cristianesimo sta crescendo. Le stime ufficiali danno circa 10 – 12
milioni per i cattolici e 25 e 30 milioni per i protestanti. Ma sono largamente insufficienti. L’alone
cristiano in Cina può arrivare da 130 a 150 milioni di persone che è una cifra impressionante.
Queste cristianità sono sì minoritarie, ma sono minoritarie in una condizione tutt’altro che di
declino.
Non si può parlare di declino del Cristianesimo. Da dove guardi tu le cose? Se penso che in Nigeria
esiste il più grande seminario teologico del mondo, allora devo decentrare la mia osservazione,
devo farla diventare policentrica. Allora posso chiedermi che cosa ne è del Cristianesimo a
livello del pianeta terra, senza privilegiare i cristiani della tradizione occidentale.
E la risposta, da questo punto di vista, non è certamente il declino. In alcuni casi si parla di
esplosione del Cristianesimo. In Cina qualcuno, ateo, osservatore universitario, ha parlato di
marea cristiana. Adesso non adoperano più tanto questo termine perché sbalordì negli anni ’90.
Si può dire che nell’Occidente il Cristianesimo si trova in una crisi della sua condizione storica.
Questo è probabilmente, per ciò che riguarda no un termine appropriato.
Se io guardo la condizione storica del Cristianesimo in Europa, sbalordisce ancora adesso
altre parti del mondo. Se io vado in America Latina, ci sono delle parrocchie grandissime che
hanno un parroco che va in certi punti sparsi, va una volta ogni due mesi, bisogna organizzare
la catechesi, la domenica si fa la lettura della Scrittura, si può anche far la Comunione ma
collegandosi alla Messa che s’è celebrata due mesi prima o un mese prima e si costruisce una
comunità senza quel radicamento puntiglioso, stanziale che c’è qui. Guardate quante chiese
ci sono in Torino. Magari si discuterà sulla loro funzionalità, ma perché si è partiti da una
condizione che non è più tenibile.
La risposta vera alla domanda “a che punto è il Cristianesimo in Occidente” è una risposta di
questo genere: che cosa è tenibile e che cosa è da proporre come iniziativa, come slancio. Non è
questione di riduzione ma di rivitalizzazione nuova del cristianesimo in occidente su dimensioni
prospettiche diverse che non sono più quelle del contenimento totale di tutto quello che c’è, da
tutte le parti, sempre a ogni ora. Non si può girare in Italia senza vedere un cartello che ti dice
mezz’ora per mezz’ora dove ci sono le Messe in tutto il territorio. Ma questa è un’abitudine che
non è detto che debba durare. Dove sta scritto questo!
In altre parti del mondo fanno anche 15 km per andare a Messa! Ma facendo 15 km aumenta
l’intenzione con cui tu ci vai. La Messa, avendola sempre a portata di mano e tirata dietro da
tutte le parti, finisce per essere qualche cosa di ovvio. Forse bisogna rivedere un sacco di cose
da questo punto di vista. La stanzialità, dunque, del Cristianesimo non regge più se non con
fatica.
Invece siamo in una fase in cui stiamo rimisurando cosa possiamo tenere, ma possiamo tenere
bene. E che tipo di Cristianesimo verrà fuori in Europa in queste condizioni? Siamo in mezzo
al guado da questo punto di vista. Però neanche io condivido, e vi dico francamente, l’opinione
di alcuni che spesso sento dire anche a livello internazionale – credo superficialmente – che il
Cristianesimo sia finito in Europa. Ma manco per idea!
Non è finito in Europa, si sta trasformando! E spesso c’è non solo uno sguardo superficiale
riguardo al Cristianesimo in Europa, ma addirittura qualcuno arriva a dire che non c’è più
il Cristianesimo! Ma io non so dove s’attaccano queste persone! Sono poi quei medesimi
personaggi che, magari su un territorio supponiamo di venti milioni d’abitanti, hanno cinque
parrocchie vitalissime.
E sono sempre piene, dicono. È vero. Se voi andate a Pechino alla Messa del mattino, ma… voi
vedete migliaia di persone! La chiesa zeppa, piena. Sì, amico, però andiamo adagio, che regione
tiene tutto questo? Voi immaginate, anche solo mentalmente, se noi avessimo solo il Duomo per
tutto il centro storico più gran parte della città di Torino?
Il problema è che noi non le riempiamo perché ad ogni angolo c’è una struttura. Ora, ripeto,
guardate che qui si gioca un modo di essere cristiani di un certo tempo che non è più. Non è
semplicemente che bisogna ridurre, qui bisogna pensare in modo diverso il rapporto che si ha
con la realtà in cui viviamo.
Debbo dirvi un mio parere personale. Voi sapete che la nostra diocesi ha lanciato a suo tempo la
missione; è stata una insistenza originale del nostro vescovo quando è arrivato qui in diocesi.
La missione per suo stessa natura è che tu vai dove non sei. La missione è questa! Se noi
alimentiamo e curiamo quelli che vengono in chiesa e riteniamo che sia secondo l’antico
costume per cui la chiesa era riferimento forte, restiamo nella concezione del passato, mentre
invece le persone oggi bisogna raggiungerle in altro modo, fuori dalla chiesa. Trovare il modo
di aver una relazione fuori della chiesa e che non può essere solo la Messa.
Ecco di nuovo un’altra delle grandi variabili che sono in gioco oggi. Noi abbiamo puntato
moltissimo sulla Messa perché era il luogo di riferimento di chi si identificava. Ma per chi non
si identifica i punti di passaggio sono diversi per arrivare alla fede. Non sono necessariamente
il Mistero della fede per eccellenza che è la Messa, sono altri.
Il nostro grave, se si può dire così, punto debole di queste missioni è che abbiamo prevalentemente
operato dentro. Il che non vuol dire che non fosse importante, perché bisogna prepararsi, ma
fuori si è andati poco.
Le comunità come la nostra in Occidente, secondo me, si stanno preparando a questo passaggio:
diventare molto più dinamiche sul terreno del non stanziale, quello che è area libera d’affrontare
fuori. Ci sono parecchie cose interessanti.
Sempre rispondendo alla domanda: che cos’è il Cristianesimo oggi nel mondo? Intanto, pensate
che all’inizio del secolo, cioè nel secolo passato, i cristiani in Africa erano 18 – 19 milioni.
Oggi sono 380 milioni! Come saranno questi cristiani… È un punto di riferimento che indica
la capacità, non tanto per il numero, non fraintendiamoci, perché giocare sulle cifre non è una
bella ginnastica dal punto di vista religioso. Come capita in alcune nuove correnti religiose le
quali ti insistono continuamente che loro stanno crescendo come per dirti: siccome cresco sono
vero! Non è mica detto questo! Tuttavia, sta ad indicare che ci sono delle aree di mobilità della
fede, di vitalità nella fede, che possono essere indicatrici di un Cristianesimo futuro.
Ultimo punto: il Cristianesimo del futuro. Intanto, sarà un Cristianesimo molto più pluralmente
qualificato dal punto di vista delle mentalità di quanto non fu nel recente passato.
Per ora noi abbiamo in Italia l’esperienza dei preti stranieri vacanzieri, quelli che, andando a
Roma a studiare, hanno bisogno di soldi e vengono in estate a guadagnarsi qualcosa in parrocchia
facendo dei servizi. Abbiamo pochi preti di altro tipo di mondo che siano sistematicamente
radicati sul nostro territorio. In alcuni casi, sì. In Italia cominciano ad esserci, es. nei paesi
terremotati, dei preti africani come parroci.
Non è escluso che nel prossimo futuro noi avremo, non solo per carenza di preti, anche per
questo, preti di varie parti del mondo perché molto mondo è qui da noi. Quindi non sono affatto
fuori casa, sono a casa loro, a casa di un mondo che è diventato multiplo. Che cosa vuol dire
avere un prete che viene dalla Polonia? Cosa vuol dire avere un prete che viene dalla Romania?
Cosa vuol dire avere un prete che viene dall’India? Che viene dalla Cina? Ci sarebbe tanto
bisogno qui da noi che qualcuno venisse dalla Cina! E che fosse parroco. E poi che venga
dall’Africa, ad esempio. Che venga dall’America Latina è già più facile, oppure che venga,
perché no, anche dagli Stati Uniti.
Ora, questo vuol dire che noi siamo in una condizione interessante per il Cristianesimo del
futuro, io la chiamerei così: di ricomposizione cattolica. Noi siamo sempre cattolici: credo
nella Chiesa: una, santa, cattolica… Nessuno in teoria negherebbe che il Cristianesimo è per
tutti i popoli, ma vivere un Cristianesimo con altri popoli nel futuro del pianeta terra, sarà molto
interessante e impegnativo.
Perché ci potremmo accorgere che alcune cose della nostra fede come noi le abbiamo coltivate
nella nostra cultura, sono non così ovvie e non così sostanziali, centrali nell’espressione della
fede.
Faccio un esempio: nel nostro tipo di sviluppo di civiltà, lo dico anche in termini non critici,
per noi è molto difficile comunicare nel linguaggio ordinario la fede. La fede la teniamo
tendenzialmente nell’intimo, specialmente poi qui in Piemonte, nel riserbo. Invece la religione
in molte culture è estremamente comunicativa! È la cosa più comunicativa che mai esista. Fa
parte del discorso. Se viene un prete nigeriano nelle nostre chiese – supponiamo che non sia un
prete pirata ma sia un prete come si deve – sveglia su questo le comunità! Sveglia! Sarà difficile
ma fa notare che un certo modo di concepirsi del Cristianesimo… Ad esempio, se io vado alla
Consolata e che per andarmi a confessare mi debba mettere proprio in angolo stretto, laggiù che
nessuno senta e nessuno mi veda, in questo bisogno riservato a cui giova anche il bel barocco
della Consolata che è fatto tutto di queste angolature mobili, questa può darsi che non sia una
forma data per ovvia. Se tu avrai un penitente che viene da quelle parti del mondo, devi toglierti
la soggezione. Tutto il contrario se viene un prete dal Vietnam, se viene dalla Cina. Guai a non
fare attenzione al galateo, alle modalità della liturgia, ai segni, perché fanno parte di un rito che
attesta venerazione, attesta rispetto. E quindi… via le chitarre!
Io sono sempre preoccupato, quando invito qualcuno in una chiesa alle nostre Messe, un prete o
un vescovo che viene da queste parti, nel vedere il modo con cui si entra in chiesa a qualunque
ora da parte nostra. Anche qui non diamoci per ovvi! Il modo in cui si va lì, poi si saluta, si fa
tutto… e poi: sia lodato Gesù Cristo!
Il che non vuol dire, ovviamente, che non ci sia il reverso della istoria, cioè che queste altre
culture non debbano assumere alcune acquisizioni che nel Cristianesimo occidentale noi
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abbiamo maturato nel corso dei secoli e che sono pregevoli, ad esempio, la enorme creatività
pastorale della tradizione cristiana occidentale. Scuole, istruzione, catechesi, ecc.
E poi anche altre cose, ad esempio, nelle dovute misure, l’attenzione all’individuo, al singolo
che in molte culture manca: tu sei con, mai tu da solo! L’Occidente ha coltivato tantissimo
l’individualità che è una perla preziosa e che ha avuto dei risvolti fortissimi nella formazione
cristiana.
Un’altra delle proiezioni che potrebbe essere forte da tener presente per il futuro è il modo con
cui, da credenti, noi cristiani ci rapportiamo con quell’area enorme e grigia che è quella delle
fedi che non sono la nostra.
Qui dico tre cose poi chiudo. Per tante ragioni, le tradizioni religiose… Adesso parlo del
Cristianesimo ed è peggio che in altre religioni, perché in questo momento storico il cristianesimo
è il più dinamico nel rapporto tra le religioni nel mondo. Ma questo può essere una questioni
transitoria. Il Cristianesimo e tanto più altre forme di tradizioni religiose hanno coltivato
moltissimo il principio dell’autosufficienza, che ha portato come conseguenza il pensare Dio
solo per se stessi, e in modo del tutto accidentale, fuori di sé. Come questo sia nato, sorto e si
sia sviluppato ha tante ragioni, sono anche comprensibili, siamo stati divisi nel mondo per un
sacco di tempo.
Però sta di fatto che tutte le religioni hanno pensato innanzitutto se stesse. Per questo sarebbe
augurabile che se dovesse mai venire un altro Concilio, si parlasse meno di Chiesa e più di Gesù
Cristo! Perché si pensa a quelli “che sono i nostri”; gli altri ci sono, sì, ma in modo accidentale,
ma gli altri sono accidentali per Dio? Quello è il punto!
La tradizione religiosa può renderli accidentali ed occasionali; si pensa una volta ogni tanto,
si dicono quattro frasi teologiche molto rapide e si crede di aver risolto il problema. Ma gli
altri non sono accidentali così per Dio. E questo è il problema interno ad ogni religione,
compreso il Cristianesimo: far passare l’altro nella fede dalla superfluità, dalla secondarietà,
dall’accidentalità per poter vivere bene la propria fede.
Questa, secondo me, è la più grande sfida del Cristianesimo del futuro e non solo del Cristianesimo,
ovviamente. E questo è quanto basta perché questa è una delle componenti fondamentali della
costruzione dell’uomo credente del pianeta terra. È una delle costruzioni fondamentali e questo
non è assolutamente in declino, ma in piena elaborazione!
Qui non si parla di declino, qui si parla di adolescenza. Siamo proprio lì.
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Il cristianesimo sta morendo?