IL MILIARIO DELLA VIA POPILLIA
IN UNA LETTERA DI THEODOR MOMMSEN
Enrico Zerbinati
L’amico prof. Alfredo Buonopane, nell’accennarmi ad un progetto di
pubblicazione dell’epistolario di Theodor Mommsen con i corrispondenti italiani1,
mi suggeriva di verificare se all’Accademia dei Concordi di Rovigo fosse conservata
nell’archivio accademico o nella raccolta di autografi qualche lettera del grande
storico ed epigrafista2.
Una breve ricerca ha portato alla “piccola scoperta” di una missiva (figg. 1-2)
dello studioso tedesco3 indirizzata all’abate Vincenzo De Vit e datata «Breslau in
Silesia (…) 7 Nov(embre) 1854»4.
1
Vedi, ora, BUONOCORE 2006, cc. 253-254. È, senza dubbio, un’iniziativa di grande complessità: cfr.,
in proposito, le considerazioni di DILIBERTO 2004, pp. 139-140. Molte lettere sono state edite in varie
sedi. A mo’ di rapsodica esemplificazione segnalo qualche recente contributo, dal quale si potrà
ricavare ulteriore bibliografia: BASSI 1996-1997, pp. 71-82; BUONOPANE, SANTAGIULIANA 2002, pp. 724; CALVELLI 2002, cc. 449-476; CERNECCA 2002, pp. 9-130; DILIBERTO 2003b, pp. 545-550;
BUONOCORE 2003 (vd. rec. di BANDELLI 2004, cc. 868-871); BUONOCORE 2004b, pp. 209-240. In
generale sulle raccolte epistolari mommseniane vd. la bibl. indicata da BUONOCORE 2004a, p. 11, nt. 5.
Nel presente articolo, in deroga – per altro concordata – ai criteri stabiliti dai curatori di questo volume
di Atti, si abbrevia: c./cc. = carta/e; col./cc. = colonna/e.
2
Il Mommsen fu eletto socio onorario dell’Accademia dei Concordi il 9 luglio 1879: Accademia dei
Concordi, Rovigo, Biblioteca Concordiana (d’ora in poi: ACR, Conc.) ms. 542, p. 176: «Mommsen
Prof. Cav. Teodoro Berlino 9-7-1870 Onorario». Egli, per la compilazione del CIL, V, fu a Rovigo e
visitò l’Accademia il 29 luglio 1867, firmando («Teodoro Mommsen. Berlino.») il registro dei Nomi
dei Signori Nazionali ed Esteri i quali visitarono l’Accademia de’ Concordi in Rovigo, 1833 (ad diem;
ACR, Conc. ms. non inventariato): ZERBINATI 2007, p. 26, nt. 3, p. 41, fig. 1. Un appunto del
bibliotecario Giacinto Mantovani, in data «Rovigo. Agosto e 3 Settembre 1867», informa che il
Mommsen «passò due giorni nella nostra Bibl(iotec)a consultando i mss. Silvestri ed altri» (ACR,
Conc. ms. 380/34 bis). Sul Mantovani, che fu bibliotecario dei Concordi dall’1 marzo 1865 al 1869, vd.
PIETROPOLI 1986, pp. 213, 290, nt. 4.
3
Che si trattasse di un autografo mommseniano mi ero subito convinto mediante opportuni confronti
segnalati in ZERBINATI 2007, pp. 26-27, nt. 4, p. 44, fig. 5.
4
ACR, Conc. ms. 344/44 bis. Un foglio piegato (2 carte: alt. cm. 21, 9; largh. cm. 13, 9) conservato in
cartella. Il testo è scritto con inchiostro marrone scuro da c. 1r a c. 2r. A c. 1r, nell’angolo a sinistra in
alto, è il piccolo timbro in azzurro (alt. cm. 0,7; largh. cm. 1,1) con la scritta in maiuscolo disposta su
due righe entro cornicetta: «THEODOR / MOMMSEN.». A c. 2r, sotto la firma autografa col solo cognome
(«Mommsen»), è vergata da altra mano l’indicazione esplicativa «Teodoro Mommsen». A c. 2v,
nell’angolo a destra in alto, ulteriore annotazione di mano diversa: «Breslau 7. 9bre 1854 Mommsen
Teodoro». Nella trascrizione del testo mommseniano e di passi di lettere del De Vit ho rispettato le
caratteristiche grafiche degli originali. Scioglimenti e integrazioni sono stati segnalati, rispettivamente,
tra parentesi tonde e quadre. Le due barre indicano il passaggio alla carta successiva.
600
ENRICO ZERBINATI
Sono lieto di proporre il testo della lettera e di rendere il mio sentito e
partecipe omaggio al prof. Ezio Buchi nell’ambito di queste giornate di studio in suo
onore, anche nella comune memoria di due Maestri, la prof. Bruna Forlati Tamaro e
il prof. Franco Sartori.
Fig. 1. Rovigo, Accademia dei Concordi, Lettera di Theodor Mommsen
all’abate Vincenzo De Vit: rispettivamente cc. 2v e 1r.
Fig. 2. Rovigo, Accademia dei Concordi, Lettera di Theodor Mommsen
all’abate Vincenzo De Vit: rispettivamente cc. 1v e 2r.
IL MILIARIO DELLA VIA POPILLIA IN UNA LETTERA DI THEODOR MOMMSEN
601
Vincenzo De Vit fu celebre filologo, lessicografo, epigrafista. Entrato nel
seminario di Padova, diventò sacerdote nel 1836. Ricoprì l’incarico di bibliotecario
dell’Accademia dei Concordi dal 29 maggio 1844 al 31 ottobre 1849, anno in cui si
trasferì a Stresa presso l’Istituto della Carità fondato da Antonio Rosmini, del quale
diventerà «aiutante agli studi». Qui divenne «bibliotecario della casa generalizia» ed
entrò a far parte della Congregazione rosminiana. In questo articolo lo ricordiamo
per due opere epigrafiche: Le antiche lapidi romane della provincia del Polesine
(Tip. Perini, Venezia 1853), opera lodata dal Mommsen nella pars prior (1872) del
CIL, V5, e Adria e le sue antiche epigrafi (voll. I-II, coi tipi di M. Cellini e C.,
Firenze 1888)6.
L’indicazione del destinatario («All’ab. Vincenzo de Vit»), che si legge in
testa alla lettera (c. 1r), è stata aggiunta da Domenico Strada che fu bibliotecario
della Concordiana dal 1872 al 19147.
Ma ecco la lettera del Mommsen8:
Chiarissimo Signore!
È debito mio di iscusarmi prima del lungo ritardo della mia risposta; ma
la vocazione all’università di Breslau, che mi ha fatto cambiare il mio
domicilio, congiunta con altri molti e gravissimi impicci mi ha ritardato assai
nelle solite occupazioni. Ella mi perdoni perciò e mi continui il carteggio, di
cui mi onoro.
Vengo all’importante e gentilissima offerta che mi faceva, la quale
come doveva ho comunicato co’ sigg. [i. e. signori] Henzen e de’ Rossi, a cui
insieme con me l’Accademia di Berlino ha voluto imporre l’impegno di cui
Ella parla. L’accettiamo volentieri, né mancheremo di far parte del suo
5
CIL, V, p. 220. Il giudizio mommseniano verrà ripreso, in segno di gratitudine, dallo stesso DE VIT
1888, p. VI, nt. 1. Il ms. originale de Le antiche lapidi romane è conservato in ACR, Conc. 333/49. Cfr.
anche la lettera del De Vit a Giovanni Durazzo datata «Stresa il 14 Ottobre 1857» (ACR, Conc. 333/49,
n. 55, c. 1r-v), ove si accenna a quella che diventerà, trenta anni dopo, l’opera Adria e le sue antiche
epigrafi e si offre un’informazione preziosa sul ms. de Le antiche lapidi romane posseduto allora dal
Durazzo (vd. anche la lettera al Durazzo del 14 ottobre 1853: ACR, Conc. 333/49, n. 21, c. 1r). Cfr.
ZERBINATI 2007, pp. 27-28, nt. 6.
6
Su Vincenzo De Vit (Mestrino in prov. di Padova, 10 luglio 1811 – Domodossola in prov. di Novara,
18 agosto 1892) rimando a NARDO 1991, pp. 580-583. Inoltre vd. ZERBINATI 2007, pp. 27-29, ntt. 6-7;
CALVELLI 2007a; CALVELLI 2007b. Nel presente studio si è adottata la forma del cognome «De Vit»
anche nella citazione delle opere del “rosminiano” pubblicate, ove nel frontespizio compare la forma
«De-Vit».
7
Sullo Strada (m. 1915) vd. ZERBINATI 2007, pp. 28-29, nt. 8.
8
Sulla vita, sulla geniale personalità, sull’infaticabile capacità organizzativa di operatore culturale,
sulla poliedrica attività scientifica (filologia, storia, epigrafia, diritto, linguistica, numismatica) di
Theodor Mommsen (Garding, Holstein, 30 novembre 1817 - Charlottenburg, Berlino, 1 novembre
1903), premio Nobel per la letteratura nel 1902, esiste una bibliografia, a dir poco, sterminata. Mi
limito ad offrire alcuni suggerimenti di opere recenti: Theodor Mommsen als Schriftsteller 2000 (a pp.
230-283 elenco delle opere mommseniane); REBENICH 2002; DILIBERTO 2003a; BUONOCORE 2003, in
particolare pp. 1-37 (Introduzione); Theodor Mommsen e l’Italia 2004; Theodor Mommsen.
Wissenschaft und Politik 2005; Theodor Mommsen. Gelehrter 2005; STURM 2006. Si aggiungano le
recensioni e i contributi di SARTORI 1961, pp. 3-11; SARTORI 1963, pp. 81-92; SARTORI 1973; SARTORI
1977, pp. 13-19; SARTORI 1985, pp. 183-190.
602
ENRICO ZERBINATI
generosissimo proposito alla detta Academia9. Però deve sapere, // che le
grandi collezioni, come il Grutero, il Muratori ecc., di già sono stati sciolti per
formare la nuova collezione; per evitare dunque spese inutili, la prego di darmi
qualche notizia della sua silloge, in specie come è ordinata e da quali autori è
stata estratta.
Se la parte presa dalle grandi collezioni potesse separarsi facilmente,
sarebbe meglio10 di non mandare se non il resto, tolto o dai marmi stessi ossia
da’ libriccini e scrittori provinciali.
Vengo ad un altro desiderio mio. Fralle sue lapide del Polesine
certamente la più importante è la prima; di cui sarebbe cosa importantissima di
averne un buon facsimile – non che si dubiti della lezione, ma per poter
comparar la forma delle lettere alle lapidi coeve, principalmente alla famosa
lapida di Polla, che io non dubito punto esser opera di questo istesso P.
Popillio.
Ella farebbe sommo piacere a me e forse renderebbe un nuovo servizio
alla scienza, se volesse inviarmene una buona impronta. Se trova aversi nelle
mani impronte di altre lapidi d’antichità rispettabile, le // vedrei volentieri;
come p(er) e(sempio) è quella curiosa Veneziana ossia Triestina Grut(ero) 166,
6, che par richieda pure un facsimile. L’ardore solo che la sua lettera dimostra
ad ajutar gli studj comuni mi fan audacioso nel farle11 cotali preghiere; che Ella
se non potrà soddisfarvi almeno vorrà scusare.
Credami, egregio Signore, coll’ossequio debito e con somma12
considerazione
tutto Suo Mommsen
Breslau in Silesia
(Kupferschmiedstrasse 19)
7 Nov(embre) 1854.
Alcune osservazioni
Nel 1854 il De Vit ha già pubblicato da un anno Le antiche lapidi romane
della provincia del Polesine. Il Mommsen ne era al corrente, ma pare che non avesse
ancora visto il volume e chiede «qualche notizia della sua [del De Vit] silloge, in
specie come è ordinata e da quali autori è stata estratta». Che il Mommsen,
comunque, avesse già più di un’idea dell’opera sembra di poterlo evincere dal fatto
che tra il De Vit e lui sussisteva una frequentazione epistolare (per lo meno del solo
De Vit: «mi continui il carteggio, di cui mi onoro») e che nella lettera il miliario
adriese del console Popillio viene ricordato proprio secondo la numerazione («è la
prima») della silloge appena edita del De Vit.
La lettera risente del fervore e della passione con cui il Mommsen si stava
dedicando a gettare le fondamenta del Corpus Inscriptionum Latinarum, il cui
9
Così nel manoscritto, a differenza di tre righe prima: «Accademia».
Sembra che in precedenza il Mommsen avesse scritto: «sarebbe il meglio». Poi è stato cassato «il».
11
Parola corretta – pare – su «porle».
12
Nel manoscritto: «sommo».
10
IL MILIARIO DELLA VIA POPILLIA IN UNA LETTERA DI THEODOR MOMMSEN
603
progetto era stato approvato dall’Accademia di Berlino proprio l’anno prima (1853)
della lettera al De Vit13. È probabile che l’«importante e gentilissima offerta» del
nostro abate, che nel frattempo doveva essere venuto a conoscenza del grandioso
programma epigrafico, consistesse nel mettersi a disposizione del Mommsen per le
lapidi “polesane”: verosimilmente egli avrebbe voluto utilizzare e “rincorrere”, per
ognuna di queste, le fonti, i codici, i manoscritti, i corpora precedenti. Il Mommsen
apprezza, si fa carico di informare l’Henzen e il de Rossi14, oltre che l’Accademia di
Berlino, ma blocca gli “ardenti spiriti” (l’«ardore» che, per altro, viene elogiato)
dell’abate: il lavoro di recupero del “pregresso” è già stato fatto, i grandi corpora del
passato come il «Grutero»15 e il «Muratori»16 «di già sono stati sciolti per formare la
nuova collezione»: basterà che il De Vit lo informi sulle nuove scoperte (i «marmi
stessi»), sulle lapidi pubblicate in studi minori («libriccini») e da studiosi locali
(«scrittori provinciali»).
Si sa che il sistema con cui il Mommsen organizzava il lavoro e gli interventi
scientifici dei collaboratori del CIL (sia di quelli a cui era stato affidata la
responsabilità di singoli volumi, sia degli studiosi locali presenti sul territorio) è
stato anche criticato. Ma leggendo questa lettera, non trovo giustificazioni valide
alle critiche. L’atteggiamento del Mommsen nei confronti del De Vit si rivela –
come per moltissimi altri collaboratori periferici o esterni – propositivo, grato,
generoso, attento a tenere in debito conto, se non proprio ad apprezzare e stimare, le
ricerche locali, gli scritti di antiquaria municipale17.
Nella lettera il Mommsen si dimostra assai interessato ad avere un «buon
facsimile» del miliario di P. Popillius Laenas, console nel 132 a.C.18. La lapide è
senza ombra di dubbio «la più importante» del Lapidario romano di Adria19. Sulle
circostanze di scoperta di questo miliario così ci informa Francesco Antonio
13
Per il progetto, il metodo di lavoro, l’organizzazione, la realizzazione del CIL vd., soprattutto, nel
volume Theodor Mommsen e l’Italia 2004 i contributi di BUONOCORE 2004a, pp. 9-105 (con imponente
bibliografia); MARCONE 2004, pp. 209-223; MASTINO 2004, pp. 225-344; PANCIERA 2004, pp. 437-457.
14
È notorio che Mommsen, Johann Heinrich Wilhelm Henzen e Giovanni Battista de Rossi formavano
il “triumvirato” che sovrintendeva alla realizzazione del Corpus Inscriptionum Latinarum: PANCIERA
2004, pp. 438-439, 442, 445. Per l’Henzen (1816-1887) vd. BLANCK 2003, pp. 680-683; BUONOCORE
2003, passim, ma in particolare p. 40, con nt. 61; BUONOCORE 2004a, p. 17, nt. 22; PETRACCIA 2006,
pp. 59-65. Sul de Rossi (1822-1894) vd. PARISE 1991, pp. 32-45; BUONOCORE 2003, passim, ma in
particolare pp. 3-10, 29-32, 65-270; BUONOCORE 2004a, p. 16, nt. 18, p. 21, nt. 27; CALVELLI 2007b.
15
GRUTERUS 1707.
16
MURATORI 1739-1742.
17
Sui giudizi critici e severi (Karl Julius Beloch, Benedetto Croce, Giorgio Pasquali), sul
“reclutamento” e “sfruttamento” dei collaboratori, sul ruolo svolto dagli studiosi locali, ecc. vd. le
valutazioni equilibrate e le messe a punto di BUONOPANE, SANTAGIULIANA 2002, pp. 15-19;
BUONOCORE 2004a, pp. 75-87 (amici tedeschi e collaboratori interni del CIL), pp. 87-95 (collaboratori
locali); MARCONE 2004, pp. 209-223, in particolare pp. 211-213; MASTINO 2004, pp. 225-344, passim;
MAZZA 2004, pp. 413-414; PANCIERA 2004, pp. 445-449.
18
Conservato al Museo Archeologico Nazionale di Adria: P(ublius) Popillius C(ai) f(ilius) / co(n)s(ul)
/ LXXXI: RITSCHL 1862, cc. 47-48, tav. LIV, A, a; CIL, I, 550; CIL, I2, 637 (e p. 921); CIL, V, 8007;
ILS, 5807; ILLRP2, 453; Imagines, 191. Inoltre DE VIT 1853, pp. 11-16, n. I; DE VIT 1888, pp. 25-29,
n. 2; SCARFÌ 1970, pp. 78-79, n. 53; BASSO 1987, p. 156, n. 69, pp. 158-159; CALZOLARI 2000, p. 255,
n. 42, p. 265; QUILICI 2000, p. 77, nt. 28; BONOMI, CRESCI MARRONE 2002, pp. 273-274, scheda n. 91.
19
Sulla nuova sistemazione del Lapidario del Museo Archeologico Nazionale di Adria si veda nel
presente volume il contributo di Simonetta Bonomi e Rossella Sigolo. Inoltre vd. l’opuscolo a carattere
divulgativo e didattico di BONOMI, SIGOLO 2006.
604
ENRICO ZERBINATI
Bocchi20 in un suo manoscritto: «Si scopersero a più riprese ruderi di questa strada
[la Popillia] presso Adria, a mezzodì, nel Prato della Fiera ove stava il centro
dell’antica città, ed ivi a circa m. ottanta dalla porta maggiore della Chiesa della
Tomba, venne alla luce nel 1844 una pietra calcare ove a belle lettere e regolari si
legge [viene riportata l’iscrizione]. // Non cilindrica come tante altre, questa pietra
miliare è larga superiormente, e finisce al di sotto quasi in punta all’uopo d’essere
infissa nel suolo a fianco della publica via»21.
Il facsimile o l’impronta o il calco, che dir si voglia, dell’iscrizione
servirebbero al Mommsen per confrontare la forma delle lettere con quella di altre
lapidi dello stesso periodo e, in particolare, con la lapide di Polla. Si tratta di un
flash significativo sulla metodologia dello studioso tedesco nella lettura epigrafica,
attenta, tra l’altro, alla paleografia22. Il Mommsen non ha alcun dubbio che il
personaggio il cui nome è andato perduto, perché era scolpito su un blocco di pietra
che serviva di base ad una statua ed era distinto dal sottostante lapis recuperato, sia
da riconoscere nel P. Popillius Laenas del miliario di Adria.
Certamente in questa lettera è riscontrabile una delle prime dichiarazioni della
“fede popilliana” del Mommsen, cioè della sua fermissima opinione sull’identità del
personaggio, opinione mantenuta nelle edizioni del CIL, I del 1863 e CIL, X del
1883, ripresa da Ernst Lommatzsch nella pars posterior del CIL, I2, fasc. I del 1918,
ribadita da Attilio Degrassi nelle ILLRP23 e in alcuni suoi saggi24. Questa
identificazione, ancora non precisata da un Mommsen molto prudente nella raccolta
delle iscrizioni del regno di Napoli del 185225, è, invece, anticipata in alcuni scritti
del 1852 da Friedrich Wilhelm Ritschl e confermata nel 1862 (e ormai condivisa dal
Mommsen) con la pubblicazione da parte dello stesso Ritschl delle “prische”
iscrizioni latine accompagnate da litografie26.
Com’è risaputo il testo del lapis o tabellarius di Polla è di un’estrema
complessità ed è stato analizzato da molti studiosi (che mi risparmio di citare) e, a
quel che mi risulta, da ultimo indagato con grande acume da Giancarlo Susini27 e da
20
Sull’adriese Francesco Antonio Bocchi (1821-1888), certamente la figura di maggiore spicco
nell’ambito della tradizione storico-antiquaria polesana, appartenente alla famiglia che ebbe il merito di
creare e conservare la collezione di reperti greci, etruschi, romani usciti dal suolo dell’antica Adria,
collezione che costituirà il nucleo iniziale più rilevante del Museo Archeologico Nazionale di Adria,
vd. CIL, V, p. 220; Francesco Antonio Bocchi 1993; WIEL-MARIN 2005, pp. 21-36, 38-39, 44, 45-48,
81; ZERBINATI 2007, pp. 33-34, nt. 21.
21
ACR, Conc. ms. 453, cc. 273r, 274r; a c. 272v è scritta la nt. 55, nella quale sono date le misure del
monumento: «Alt. m. 1,22; larga 0,65».
22
Sull’interesse e l’attenzione del Mommsen per le caratteristiche paleografiche cfr. BUONOCORE
2004a, pp. 50-64.
23
La canonica trafila bibliografica è la seguente: RITSCHL 1862, cc. 46, 105, tab. LI, B; CIL, I, 551;
CIL, I2, 638; X, 6950; ILS, 23; ILLRP2, 454 e pp. 330-332; Imagines, 192a e b; InscrIt, III, 1, 272 (pp.
153-157: storia e bibliografia).
24
DEGRASSI 1955, pp. 259-265 = DEGRASSI 1962, pp. 1027-1033; DEGRASSI 1956, pp. 35-40 =
DEGRASSI 1962, pp. 1035-1040.
25
MOMMSEN 1852, n. 6276. Nel commento il Mommsen afferma: «Deest potius, quod recte vidit
Mannert Geogr. IX, p. 146, nomen Popillius cuiusdam, qui via facta ad Pollam Forum fecit Popillii a
suo nomine dictum signatumque in Peutingeriana. V. 1…».
26
RITSCHL 1862, c. 46 (con riferimento alla bibliografia del 1852 dello stesso Ritschl). Sul Ritschl
(1806-1876): BUONOPANE, SANTAGIULIANA 2002, p. 18, nt. 27; BUONOCORE 2003, p. 56, nt. 106.
27
SUSINI 1984, pp. 103-110, figg. 1-9.
IL MILIARIO DELLA VIA POPILLIA IN UNA LETTERA DI THEODOR MOMMSEN
605
Vittorio Bracco28. È tutt’altro che assodato che il personaggio cui si riferisce il testo
di Polla sia Popillio. Il Bracco, per primo, pensò a T. Annius Luscus, console nel 153
a.C.29. Attualmente si è propensi ad individuarlo con tale magistrato, che come
pretore è (cautamente: sarebbe) ricordato in un miliario di Vibo Valenza: T. Annius
T. f. pr(aetor)30. Costui da console avrebbe terminato la via Reggio (di Calabria)Capua, iniziata quando egli era pretore in Sicilia. Nell’inciso tra parentesi ho scritto
“sarebbe” (nella problematica stradale d’età romana l’uso del condizionale risulta
necessario e risalta per frequenza e ripetitività). Infatti il Degrassi31 riteneva che il
pretore T. Annius T. f. del miliario di Vibo Valenza andasse riferito non a T. Annio
Lusco, console nel 153 a.C., ma a T. Annio Rufo, pretore nel 131 ca. e console nel
128 a.C. Questi avrebbe continuato e terminato i lavori stradali nel meridione
d’Italia e nel Veneto (via Popillia e via Annia) incominciati e solo parzialmente
eseguiti nel 132 sotto il consolato di P. Popillio Lenate.
Nella fattispecie il pretore T. Annio Rufo nel 131 (o, al più tardi, nel 128 da
console) avrebbe steso, come prosecuzione della Popillia, una strada da Adria verso
Padova; qui la via si innestava nella Bononia-Aquileia (la cosiddetta Aemilia minor
o “Emilia altinate”, le cui tappe, in linea di massima, possono riconoscersi nella
tarda Aquileia-Bononia dell’Itinerarium Antonini) aperta verso il 175-174 a.C. da
M. Emilio Lepido, il costruttore nel 187 a.C. della via Emilia maggiore (da Rimini a
Piacenza). Dunque la città di partenza dell’Annia era Adria. Assertore convinto di
questa tesi è stato Luciano Bosio32 .
Oggi, invece, molti studiosi, sulla scia delle ricerche e dei contributi di
Thomas Peter Wiseman33, appaiono inclinati ad attribuire la costruzione dell’Annia
“veneta” o “settentrionale” al console del 153 a.C.34. Inoltre la città di partenza della
via non sarebbe Adria, ma Bologna o Modena. La via, dopo aver toccato Este,
avrebbe raggiunto Padova. Questo antico percorso, costruito dal console T. Annio
Lusco nel 153 a.C. e non da M. Emilio Lepido nel 175-174 a.C., avrebbe potuto
ricalcare anch’esso, nelle sue linee principali, quello della Aquileia-Bononia
dell’Itinerarium Antonini. Se ne deduce che la via ritenuta Aemilia minor, sulla base
di passi piuttosto controversi di Livio e Strabone35, non sarebbe mai esistita. Il
28
BRACCO 1985, pp. 93-97.
InscrIt, III, 1, p. 156 (con bibl. precedente dello stesso Bracco).
30
ILLRP2, 454a e p. 332; Imagines, 193.
31
Vd. supra nt. 25.
32
BOSIO 1970, pp. 39-49 (via Popillia), pp. 51-64 (via Annia), pp. 113-120 (via da Padova a Bologna);
BOSIO 1990, pp. 43-60; BOSIO 1991, pp. 31-41 (via da Bologna ad Aquileia o via di Emilio Lepido), pp.
59-67 (via Popillia), pp. 69-81 (via Annia); BOSIO 1992a, pp. 184-187 (via da Bologna ad Aquileia o
via di Emilio Lepido); BOSIO 1992b, pp. 178, 179-181, p. 185 fig. 1, p. 193 fig. 2, p. 200 fig. 3.
33
WISEMAN 1964, pp. 21-37 = WISEMAN 1987, pp. 99-115; WISEMAN 1969, pp. 82-91 = WISEMAN
1987, pp. 116-125; WISEMAN 1989, pp. 417-426.
34
Ad esempio, Ezio Buchi prende atto che, riguardo al «percorso alternativo» dell’Annia da Adria per
Padova e riguardo all’attribuzione al pretore T. Annio Rufo di questa via, la «relativa datazione al 131
a.C. [è] ormai scarsamente seguita»: BUCHI 1993, p. 26, nt. 74. Gino Bandelli è persuaso che «gli
elementi raccolti da Peter Wiseman a favore non soltanto di una diversa provenienza dell’Annia (da
Bologna e non da Adria) ma anche di una diversa cronologia (il 153 e non il 131 o il 128) meritino la
più attenta riflessione»: BANDELLI 1999, p. 293.
35
CAPOZZA 1987, pp. 18, 19. La Capozza è cauta «nell’unire il nome di Lepido a Padova, perché il
testo di Livio non è probante a questo riguardo», ma giudica «ipotizzabile che nel 175, durante le
29
606
ENRICO ZERBINATI
collegamento tra Emilia, Veneto ed Aquileia era assicurato dalla via Annia del 153
a.C.36.
Il fatto è che la carenza di elementi certi non consente un esatto
inquadramento e una soluzione sicura del dilemma costituito dalla coppia T. Annio
Lusco o T. Annio Rufo con conseguente differenziazione – lo ripeto – della
cronologia e del punto di partenza della via37.
Accenno soltanto alla figura di T. Annius Luscus. Nel 1995 è stata ritrovata ad
Aquileia un’importante iscrizione, pubblicata da Claudio Zaccaria e da Franca
Maselli Scotti, che menziona T. Annius T. f. tri(um)vir. Questi fu uno dei triumviri
della rifondazione coloniaria di Aquileia nel 169 a.C.38. Allo stato attuale degli studi
resta aperta la questione prosopografica (il T. Annio triumviro è la stessa persona del
console del 153 a.C.?) e discussa la cronologia dell’iscrizione (datazione alla metà
circa del II sec. a.C. oppure nella piena seconda metà del II sec. a.C., tra il 130-120
a.C.?), potendosi trattare di un’epigrafe «postuma piuttosto che autocelebrativa» e
da interpretare in «chiave… clientelare», come sostiene Gino Bandelli39. È
interessante sottolineare che nell’iscrizione il triumviro T. Annius viene
“commemorato” per le sue attività compiute ad Aquileia, ma nessun riferimento gli
viene riservato quale “autore” dell’Annia40, nominata, invece, in altre più tarde
iscrizioni aquileiesi41.
Da parte mia ritengo non trascurabile nel discutere del percorso dell’Annia a
sud di Padova prendere in considerazione le divisioni agrarie di Atria e alcune
significative lineazioni fossili che sono da interpretare come tracciati viari, rivelate
dalla foto aerea alla metà degli anni Ottanta del secolo scorso: ne do qui per scontata
operazioni nella sua provincia contro Liguri e Galli, il console Lepido abbia dato inizio ai lavori di
costruzione di una strada che, collegandosi con la via Emilia, portava in territorio veneto».
36
Da ultimo si veda DESTRO 2006, pp. 183-185; VEDOVETTO 2006-2007.
37
Sulla datazione e il percorso dell’Annia (soprattutto a sud di Padova) mi limito a “convocare” qui
alcuni recenti contributi, per lo più di sintesi e che ripercorrono la “storia della storiografia” dell’ormai
ponderoso dossier-Annia: MACCAGNANI 1994, pp. 69-105 (oltre alla storia degli studi, le proposte dei
tracciati sono valutate anche in base ai dati archeologici); DALL’AGLIO 1995, pp. 29-35; BASSIGNANO
1997, pp. 28-29; MENGOTTI 2001, pp. 107-120; BUCHI 2002, pp. 76-77; ZERBINATI 2003, pp. 29-69;
ROSADA 2003, pp. 33-34; La via Annia 2004; PROSDOCIMI 2004, pp. 343-351 (lo stimolante saggio, che
verte sulla localizzazione della mansio Anneianum dell’Itinerarium Antonini, potrebbe essere
“rivisitato” alla luce di La permuta tra l’abbazia della Vangadizza 2006); PELLEGRINI 2004, pp. 43-63;
DESTRO 2006, pp. 180-183; VEDOVETTO 2006-2007; MENGOTTI 2007; BONETTO, BRESSAN 2008, pp. 1213; BORTOLAMI 2008, p. 38, nt. 56.
38
Sull’iscrizione aquileiese di T. Annius T. f. tri(um)vir: ZACCARIA 1996, cc. 179-184; MASELLI
SCOTTI, ZACCARIA 1998, pp. 130-143, fig. 5; BANDELLI 1998, pp. 36-37; TIUSSI 1998, p. 514 (scheda);
ZACCARIA 1999, p. 195, nt. 19, p. 197, nt. 35; BANDELLI 1999, pp. 290-291, 293; CRESCI MARRONE
2000, cc. 126-127; BANDELLI 2002, pp. 60-61.
39
BANDELLI 1999, pp. 290-291, 293. Pure Claudio Zaccaria non esclude una datazione più bassa:
ZACCARIA 1996, cc. 183-184; MASELLI SCOTTI, ZACCARIA 1998, pp. 142-143.
40
Si vedano, in merito, le puntuali e misurate osservazioni di BANDELLI 1999, p. 293.
41
CIL, V, 7992 (= ILS, 5860), 7992a e p. 1092; InscrAq, 2894a-b e p. 994: la prima perduta; la
seconda è costituita da un frammento con lo stesso testo della precedente e si trova al Museo Civico di
Trieste. Un’altra iscrizione, oggi dispersa, è di incerta provenienza: CIL, V, 1008a = ILS, 5375. Sempre
nei dintorni di Aquileia sono state scoperte altre due iscrizioni (identico il testo; una risulta
maggiormente frammentaria), ora al Museo Nazionale di Aquileia: InscrAq, 2892a-b e p. 994. Inoltre:
BASSO 1987, p. 168, ntt. 538-541, p. 194, nt. 612, pp. 196-197, ntt. 620, 622; PETRACCIA LUCERNONI
1987, pp. 119-136; BUCHI 1993, p. 25, nt. 71; BUCHI 2002, p. 76, nt. 40.
IL MILIARIO DELLA VIA POPILLIA IN UNA LETTERA DI THEODOR MOMMSEN
607
la conoscenza. Premetto subito che tali scoperte sono tutt’altro che dirimenti sulla
questione Annia, ma consentono di fare qualche passo in avanti. Mi permetto di
riassumere qualche riflessione condotta in altra sede42.
1) Innanzitutto sembra definitivamente tramontare l’opinione che la Popillia
si “fermasse” ad Adria. La foto aerea dimostra che una strada proseguiva a nord di
Adria in direzione di Altino. Appare improbabile una differente cronologia per i due
tronconi della Popillia, quello a meridione e quello a settentrione di Adria. Non sono
da sottovalutare i documenti medioevali che attestano il toponimo e la località
Popilia, Pupilia, Pupillia43 (cfr. isoletta di Poveglia a sud di Venezia) e che rinviano
all’odonimo.
2) Un rettifilo di oltre 4 km. con direzione sud-est/nord-ovest, a nord
dell’Adige, manifesta con eccezionale perspicuità lo stretto legame tra l’antico
tracciato e l’attuale paese di Agna, il cui nome è una specie di “calco” generato da
quello della via (fig. 3). Non è da escludere che proprio ad Agna, che ha restituito
numeroso materiale archeologico databile tra II sec. a.C. e I-II sec. d.C., fosse
dislocata una mansio o una qualche struttura di sosta44.
3) L’Annia – non saprei chiamarla altrimenti e se vogliamo cavillare
“quest’Annia” – taglia le maglie della centuriazione adriese di nord-ovest (probabile
seconda metà del I sec. a.C.) e incrocia il decumano massimo di tale centuriazione
immediatamente a settentrione del corso atesino, denunciando la propria
preesistenza (II sec. a.C.?) perché esula dall’orientamento della pertica adriese.
4) La sede stradale presenta una larghezza di base che si può calcolare di oltre
una quindicina di metri e se compresi i fossi laterali di oltre una ventina. La
tipologia a doppio scolo laterale (“binari” scuri dei fossati), l’andamento rettilineo e
l’opportunità di collegamenti con altri tracciati viari e, principalmente, con un
cardine della divisione agraria a nord di Adria (intervento agrimensorio sicuramente
più antico rispetto alla centuriazione di nord-ovest) che s’impone con innegabili
requisiti viari (simili a quelli della Popillia-nord e al troncone di Agna) e
riconosciuto come via Annia45, non permettono di nutrire dubbi sulla “romanità”
della via e sulla sua prosecuzione e direzione verso Adria che si trova a qualche
chilometro a sud-est.
5) La foto aerea nulla ci dice sul prosieguo della strada da Agna verso nord.
Ma il passaggio della via nell’area a sud di Padova è corroborato da numerosi
documenti medioevali, citati e discussi già in numerose pubblicazioni e che mi
esimo dal rivagliare in questa sede. Attualmente si preferisce un tragitto che dai
dintorni di Conselve conduceva a Cartura, Maserà, Carpenedo e Albignasego, per
raggiungere Padova al Bassanello e a S. Croce. Presumibile una deviazione, prima
42
ZERBINATI 2003, pp. 44-56, figg. 2-4, ove si troverà pure la bibliografia sulle divisioni agrarie
adriesi. Merita in questa sede di essere esplicitamente menzionato, sia per la brillante analisi
interpretativa che per la bellezza, qualità e quantità delle foto aeree e delle tavole, il lavoro di TOZZI
1987, pp. 41-56, tavv. XIX-XLI, XLIV- XLVI.
43
Codex Publicorum 2006, ad indicem, pp. 867-868.
44
Sui siti archeologici di Agna: Carta Archeologica del Veneto, IV, p. 114, n. 27, pp. 116-117, nn. 4041.
45
TOZZI 1987, pp. 52, 56, tavv. XXXII-XXXIII.
608
ENRICO ZERBINATI
di raggiungere Padova, verso l’area termale aponense, giusto una celebre
testimonianza del 1180.
6) Può darsi che il rettifilo di Agna debba essere letto come relitto di una via
che aveva l’esclusiva funzione di collegare Adria con Padova46 (abbandonerei,
senz’altro, la congettura wisemaniana di un tratto di diramazione dell’Annia che da
Este conduceva ad Adria), ma la vistosa lineazione presenta caratteristiche di una
struttura viaria decisamente ragguardevole, che richiama alla memoria altri impianti
stradali restituiti dalla foto aerea, non ultimo un segmento proprio dell’Annia nei
pressi di Aquileia47. Perciò non mi sento del tutto convinto di “ghettizzare” l’“Annia
di Agna” nell’ambito di un ruolo itinerario meramente localistico.
7) Non mi addentro nel “nocciolo” vero e proprio del “problema Annia”:
cronologia e inizio della via. Ma il fatto che il miliario di Popillio non debba essere più
percepito, quasi obbligatoriamente, come un “simbolo finale” della Popillia, inoltrandosi
questa in direzione di Altino, svincola l’Annia da un rapporto di dipendenza dalla
Popillia e dalla sua datazione (132 a.C.): un nesso, quello della Popillia-Annia, che si
era venuto cristallizzando nel tempo attraverso le pagine di molti studiosi. Per utilizzare
l’espressione di Gino Bandelli, «una diversa provenienza» (ad es. Bologna: un tratto
stradale archeologicamente documentato, localizzato a sud-ovest di Adria ai Dossi di
Gavello, potrebbe essere una “spia” indicativa di un percorso per Bologna) e «una
diversa cronologia» (ad es. il 153 a.C.) sono del tutto plausibili e, quasi certamente, più
rispondenti allo scenario storico degli anni della fondazione (181 a.C.) e della
rifondazione (169 a.C.) che vuole Aquileia come capolinea, fermo restando, a nostro
modesto parere, il transito della via per Adria. Un’Annia passante per Este che
“cancella” la via di Lepido (minimizzando le testimonianze, seppure da emendare e
rettificare, di Livio e Strabone sul ruolo di Marco Emilio Lepido – indiscusso
protagonista della romanizzazione della Cisalpina – nel quadrante nord-orientale
dell’Italia settentriomale) può essere una proposta alternativa con valide motivazioni
storico-topografiche, ma la ricchezza e le potenzialità di “letture”, cui deve essere ancora
sottoposto il complesso di lineazioni che si irradia nel comprensorio adriese (sperando in
scavi e in qualche ulteriore dato archeologico), mi rendono cauto su tale proposta.
Ma è ora di chiudere la parentesi topografica e di riprendere il discorso sulla
lettera mommseniana.
Non contento, lo storico dell’antica Roma vorrebbe anche un calco di una
lapide tergestina edita nel Corpus gruteriano48 e “filologicamente” ripubblicata nel
CIL, V, sulla quale non mi soffermo49.
Piuttosto è da chiedersi se il calco del miliario adriese di Popillio sia, poi,
arrivato al Mommsen. Una testimonianza in questa direzione ci viene da ciò che
scrive il Ritschl, tramandando alla memoria dei posteri il nome di alcuni polesani
nelle sue Priscae Latinitatis monumenta epigraphica (1862), alla cui edizione molto
46
Si vedano le valutazioni bene argomentate di DESTRO 2006, p. 184.
BOSIO 1991, p. 80, fig. 56; BOSIO 1992b, p. 200, fig. 3.
48
GRUTERUS 1707, p. CLXVI, n. 6.
49
Il monumento, conservato a Trieste, ricorda l’imperator Cesare [Ottaviano] console designato per la
terza volta che murum turresque fecit; datazione al 33-32 a.C.: RITSCHL 1862, col. 74, tab. LXXXIV,
G; CIL, V, 525 (cfr. p. 1022); ILS, 77; InscrIt, X, 4, 20; ILLRP2, 182; Imagines, 192; ZACCARIA 1992,
pp. 186, 213, n. 20.
47
IL MILIARIO DELLA VIA POPILLIA IN UNA LETTERA DI THEODOR MOMMSEN
609
contribuì il Mommsen: «Et ectypo cartaceo expressum et verbis curiose descriptum
lapidem [il miliario di Popillio] viri humanissimi miserunt Franciscus Antonius
Bocchius, cuius in museo Hadriano ille servatur, cum Ioanne Durazzo item
Hadriano et Antonio Venezze Rhodigiensi»50.
Fig. 3. La foto aerea rivela un vistoso rettifilo (segnato da frecce) che da sud-est (AdriaRottanova) punta sull’abitato di Agna (Padova). L’immagine evidenzia la stretta correlazione tra
il tracciato stradale, delimitato dai caratteristici fossati laterali più scuri, e il paese del basso
Padovano (da TOZZI 1987, tav. XXIV).
Senza dubbio Francesco Antonio Bocchi si interessò per trasmettere il calco al
Mommsen e al Ritschl51. Questo appare pressoché scontato, essendo il Bocchi
proprietario del Museo che ospitava nella propria casa. Riesce un po’ imprevisto
trovare il nome del Bocchi associato a quelli dei rodigini Giovanni Durazzo e
Francesco Antonio Venezze. Ma la cosa non è affatto sorprendente: i due furono
amici del De Vit che, anche dopo la sua partenza da Rovigo nel 1849, intrattenne
con loro legami e un fitto carteggio, del quale rimane attestazione nella raccolta di
autografi della Concordiana. Si tratta di un mannello di 78 lettere52, scritte per lo più
50
RITSCHL 1862, col. 48.
Con una comunicazione scritta il 26 febbraio 2007, il dott. Lorenzo Calvelli m’informa che sta
studiando alcune lettere del Mommsen inviate a Francesco Antonio Bocchi e conservate nell’Archivio
Antico del Comune di Adria, presso la Biblioteca Civica: cfr. RIGOBELLO 1993, p. 175. Il Mommsen
visitò personalmente il Museo Bocchi il 25 luglio 1867 in vista della redazione del CIL, V
(DALLEMULLE 1993, pp. 149-150, nt. 227 e fig. 10) e si rese conto immediatamente della notevole
rilevanza storico-scientifica dei reperti della collezione Bocchi, tanto che affidò a Richard Schöne
(1840-1922) la catalogazione dei materiali che vide la luce un decennio dopo: SCHÖNE 1878. Sulla
vicenda: WIEL-MARIN 2005, p. 31.
52
Sono conservate nella cartella ACR, Conc. ms. 333/49. Le lettere nn. 4, 8, 11 sono indirizzate al
canonico mons. Luigi Ramello (1782-1854). Sul Ramello vd. ZERBINATI 2007, p. 38, nt. 40: in questa
51
610
ENRICO ZERBINATI
da Stresa tra il 1844 e il 1864, molte inviate al «carissimo Amico» Giovanni
Durazzo53, ma la maggior parte indirizzate al cavaliere Francesco Antonio conte
Venezze, podestà di Rovigo, già presidente dell’Accademia dei Concordi proprio
negli anni in cui il De Vit era bibliotecario nel capoluogo polesano54.
Nella lettera datata «Stresa il 12 Febbrajo 1856», il De Vit, essendo ormai
lontano dal Polesine e impossibilitato a raggiungere Adria, chiede al Venezze se può
procurare a Guglielmo Henzen che abita a Roma «un calco o fac-simile» della
lapide di Popillio; nella lettera al Venezze datata «Stresa il dì 11 Marzo 1856», il De
Vit specifica che, su richiesta dello stesso Henzen, il «fac-simile» sarebbe meglio
spedirlo a Bonn direttamente al Ritschl; nella lettera datata «Stresa il 25 Maggio
1656», il De Vit ringrazia il Venezze per aver ottemperato alla richiesta di «que’
Signori dell’Istituto Archeologico di Roma, pei quali ha avuto tanti disturbi» e
manda a salutare il Durazzo, che «si è prestato per detto fac-simile»55. Ecco spiegata
la “citazione” della triade Bocchi-Durazzo-Venezze da parte del Ritschl.
A questo punto ci si chiede come sia arrivata nella Concordiana la lettera del
Mommsen scritta nel 1854, considerato che il De Vit aveva terminato il suo incarico
di bibliotecario a Rovigo nel 1849. Si è già visto che il De Vit aveva in atto un
«carteggio» col Mommsen. È probabile che queste lettere siano state conservate
personalmente dal De Vit. Finora non sono riuscito a rintracciarle56. L’esemplare del
Mommsen all’Accademia dei Concordi sarebbe una “scheggia” scorporata
dall’insieme dell’epistolario De Vit-Mommsen e donato verosimilmente dallo stesso
De Vit proprio a Giovanni Durazzo, il quale fu un “accanito” collezionista di
autografi. Questi alla sua morte, per volontà testamentaria, lasciò all’Accademia dei
Concordi la maggior parte della sua raccolta57, in cui con ogni probabilità
confluirono le lettere del De Vit, di cui si è parlato58.
mia pubblicazione, per una svista, la lettera n. 4 figura datata al «31 S(ettem)bre» (!) invece che al «31
(Otto)bre» 1849. Le lettere nn. 75-77 sono indirizzate alla contessa Maria Angeli-Venezze. Sul
Ramello vd. anche CAPPELLOZZA 2004, pp. 293-302.
53
ACR, Conc. ms. 333/49, nn. 13, 15, 16-17, 19-21, 26, 29-33, 35-38, 40, 42, 55 (tutte da Stresa tra il
1852 e il 1857). Su Giovanni Durazzo (1817-1880) vd. ZERBINATI 2007, pp. 38-39, nt. 41, p. 41, nt. 47.
54
Sono le lettere non segnalate alle ntt. 52-53. Su Francesco Antonio Venezze (1792-1886) vd.
ZERBINATI 2007, pp. 39-41, ntt. 42-45.
55
Rispettivamente ACR, Conc. ms. 333/49, n. 48, c. 1r-v; n. 49, c. 1r; n. 50, c. 1r, 1v. I passi delle
lettere sono pubblicati in ZERBINATI 2007, pp. 39-41.
56
Un sondaggio attraverso una lunga e cordiale conversazione telefonica avvenuta il 30 gennaio 2007 con
don padre Alfonso Ceschi, archivista dell’Archivio Rosminiano di Stresa, ha dato esito negativo. Infatti con
un’immediata consultazione del catalogo degli autografi (ordinato per mittente) da parte di don Ceschi si è
potuto verificare che in quell’archivio non ci sono lettere del Mommsen scritte al De Vit. Ma prudenza vuole
che solo dopo un controllo autoptico si possa arrivare ad una risposta definitiva.
57
Possedeva «circa ventunmila autografi di uomini illustri» (PIETROPOLI 1986, p. 286). Per gli interessi
collezionistici del Durazzo vd., in particolare, la missiva del De Vit scritta al Durazzo da Stresa il 14
ottobre 1857 (ACR, Conc. ms. 333/49, n. 55, c. 1r): «Godo che abbiate portata così avanti la vostra
collezione di autografi. Ora se volete, vi potrò anche procurare un autografo del Manzoni, avendo
ricevuto giorni sono una piccola lettera da lui. Se non ne avete altri di lui, scrivetemi, che ve la
manderò». La dott. Michela Marangoni dell’Accademia dei Concordi sta studiando la figura del
Durazzo come collezionista di autografi.
58
Il De Vit (1883, p. 108) registra uno o più autografi del Mommsen di provenienza Ramello, dei quali
non si conosce il destino.
IL MILIARIO DELLA VIA POPILLIA IN UNA LETTERA DI THEODOR MOMMSEN
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