u baro baro drom drom di Milena Cossetto Elena Farruggia Itinerari didattici 6. Itinerari didattici a. L’ambiente raccontato b. Mestieri c. Fascino e paura del diverso Il rispetto per le persone comincia almeno da questo: non passare sopra alle loro parole 96 96 Elias Canetti u baro drom di Milena Cossetto Itinerari didattici: premessa Premessa Solo negli ultimi decenni del XX secolo il mondo degli Zingari, variegato e complesso, ha trovato spazio, parola e dignità storico-culturale nella cultura dei gagè. La tradizione orale, da sempre, ha avuto scarso spazio nella storiografia e nella letteratura europea, tranne per aspetti prettamente folklorici o anedottici. Con questi materiali per le scuole, proponiamo quindi agli insegnanti, alle ragazze e ai ragazzi, di assumere due diversi punti di vista: da un lato guardare dallinterno i frammenti di storia e cultura tradizionale zingara, nel rispetto della sua complessità, grazie a testimonianze e a leggende tradizionali, per imparare a guardare il mondo anche con il punto di vista dellaltro. In secondo luogo invitiamo a leggere e a decodificare limmagine della vita nomade degli Zingari, affascinante e temuta, che il mondo occidentale propone attraverso i suoi poeti e i letterati, per scoprire insieme lorigine e i meccanismi che contribuiscono a costruire i pregiudizi, gli stereotipi culturali, che talvolta si irrigidiscono fino a rasentare vere e proprie forme di razzismo e di xenofobia. I materiali per le scuole attingono sia a documenti storici che a materiali letterari, dando un ruolo importante anche a tutto lapparato iconografico, che non ha solo un ruolo di supporto, ma può essere utilizzato come un itinerario a sé stante per stimolare le bambine e i bambini ad osservare, a confrontare, a collocare nel tempo e nello spazio fatti ed idee, immagini e valori, per imparare a costruire inferenze e a trarre informazioni nuove dallo stesso linguaggio delle immagini. Per le scuole elementari proponiamo uno studio dambiente, che si muove nel tempo e nello spazio, utilizzando come fonti le testimonianze dirette, le fiabe tradizionali dei Rom e dei Sinti e un apparato iconografico che si muove dalla rappresentazione grafica alla fotografia. Per le scuole medie tema centrale sono i mestieri tradizionali degli Zingari, il loro ruolo nelleconomia preindustriale europea e le rapide trasformazioni subite nellultimo secolo con lo sviluppo e la diffusione delle tecnologie industriali e la progressiva scomparsa dellartigianato tradizionale. Anche per questa sezione le scelte iconografiche, le fotografie dei mestieri artigianali degli Zingari nel mondo, ci permettono di cogliere permanenze e mutamenti nel tempo, ma anche nello spazio, là dove i tempi dei mutamenti economicosociali sono molto rallentati. 97 u baro drom Itinerari didattici: premessa Per le scuole superiori, ma non solo, presentiamo un itinerario attraverso i principali testi narrativi e poetici degli intellettuali europei che hanno descritto la vita, la cultura e i sentimenti degli Zingari, facendone i protagonisti delle loro opere; il mondo degli Zingari, dei Gitani, dei Rom e dei Sinti talvolta è descritto come mondo della passione e dei sentimenti autentici, a volte invece come spettro dellinciviltà e dellasocialità, guardato ora con occhio romantico, ora con disprezzo. Non ci siamo limitati alle forme di letteratura colta, ma abbiamo voluto affrontare un filone nuovo e, forse, più vicino ai gusti e agli interessi immediati delle nuove generazioni: le canzonette. Infine un percorso a sé è quello che affronta il tema della persecuzione e sterminio degli Zingari da parte del regime nazista, deportati e assassinati nei Lager di Auschwitz, Dachau, Buchenwald, Ravensbrück, Mauthausen. È stato possibile ricostruire, anche se ancora in modo frammentario, il dramma della persecuzione nazista degli Zingari anche alla luce della nuova storiografia e dei movimenti zingari per i diritti civili, che hanno cominciato a far sentire la loro voce a partire dalla seconda metà del Novecento. Anche per questa parte del lavoro abbiamo utilizzato testi letterari, testimonianze dirette e immagini dellepoca, a cui si può attingere dal sito web: www.emscuola.org/labdocstoria Utile strumento può essere Sulla strada del tempo, una cronologia in cui si intrecciano vicende relative al lungo viaggio degli Zingari in Europa e alcuni concetti essenziali della storia politico-istituzionale dellEuropa. Una bibliografia essenziale, una filmografia aggiornata, una selezione di risorse web mirata e un elenco accurato delle fonti iconografiche concludono la proposta didattica, che ogni insegnante avrà modo di adattare alla sensibilità, alle competenze, alle specificità delle alunne, degli alunni e delle classi. La nostra speranza è che questo lavoro possa far rimanere sempre viva, nella nostra mente di insegnanti, educatori e cittadini, la raccomandazione di Elias Canetti, che ha ispirato questo lavoro: Il rispetto per le persone comincia almeno da questo: non passare sopra alle loro parole, soprattutto quando le parole non sono scritte e sono figlie del vento. Milena Cossetto Coordinatrice del Lab*doc storia/Geschichte della Sovrintendenza Scolastica di Bolzano 98 u baro drom di Milena Cossetto L’ambiente raccontato a. L’ambiente raccontato Ho camminato a lungo per lunghissime strade Jarko Jovanovic Quando ero bambina vivevo in un paese piutto- sto piccolo, tra le montagne; dinverno ci si sentiva fuori dal mondo, perché la neve rendeva le strade impraticabili. Noi, ragazzine e ragazzini, ci divertivamo molto con la neve dinverno, ma destate ogni giornata sembrava prometterci avventure straordinarie. Avevamo un nostro speciale calendario: per noi lestate non cominciava quando la scuola chiudeva e le nostre cartelle riposavano abbandonate su una sedia; lestate vera cominciava quando arrivavano i carrozzoni, le giostre e i giostrai e il grande, favoloso carro del Tic Tac Pum, il tirassegno con i 73. Jean de Bar suoi premi straordinari. Stavamo ore ed ore a guardare a bocca aperta montare le giostre e ripulire cavallini, carrozze, automobiline, lucidare e collegare i fili, provare il volume degli altoparlanti e laccensione delle luci. Quando la festa cominciava, la musica aveva già percorso in lungo e in largo tutto il paese ed anche la gente più diffidente aveva trovato il modo di passare inosservata davanti a quelle scintillanti magie, per lanciare unocchiata incuriosita. Poi cerano le lunghe, estenuanti trattative con i genitori, perché ci lasciassero provare, ci lasciassero montare su una giostra o giocare al tiro a segno. Quando le giostre se ne andavano, era un po come se fosse finita lestate: ben presto i primi acquazzoni dagosto avrebbero annunciato lavvicinarsi dellautunno. Lultima volta che i carrozzoni sono passati dal mio paese era lestate del 1968, laltoparlante aveva suonato per ore e ore Azzurro di Celentano; poi non si sono visti più. Alla fine tutti in paese avevano trovato altri divertimenti: la Tv, i videogiochi, il ping pong, i roller, le discoteche. Il magico mondo delle giostre era svanito insieme alla nostra infanzia; ho visto rivivere quel mondo leggendo il libro di Annibale Niemen che ci narra la sua storia, la vita di un giostraio zingaro, del circo, delle giostre e dei suoi spettacoli di burattini e la storia di Gnugo De Bar, saltimbanco sinto. 99 u baro drom L’ambiente raccontato Il circo di nonno Giovanni1 Racconta Giacomo (Gnugo) De Bar: questa è una piccola storia, per molti da poco, ma è una storia vera. Parte di questa mi è stata raccontata dai miei nonni e dai miei genitori; parte l’ho vissuta. Io la racconto perché è importante ricordare. (…) Mio nonno era Jean De Bar, un sinto valcio, che in lingua nostra vuol dire “francese”. Scese in Italia a piedi nel 1900. Lasciò i genitori in Francia e venne a tentare la fortuna, senza niente, a quindici anni, solo con qualche costume da saltimbanco. Era uno dei più bravi contorsionisti del mondo, ma era bravo anche a fare i salti di scimmia, in altre parole i salti mortali al tappeto: ne faceva sei, sette o anche otto. I De Bar sono una famiglia di saltimbanchi da sempre. Anche mio nonno aveva imparato a guadagnarsi la vita così. Lui posteggiava, che nella nostra lingua significa proprio fare i numeri di saltimbanco all’aperto, davanti alle chiese, nei mercati e nelle fiere. Sarà stato il 1905 che posteggiando in giro per l’Italia incontrò nel ferrarese anche i capostipiti 74. Circo Paolo Orfei e i fratelli Nandino e Teta Togni e per un breve periodo lavorarono anche insieme, ma soprattutto fecero amicizia perché, nonostante il nonno fosse francese, erano lo stesso tutti Sinti. (…). Poi il nonno riprese a lavorare da solo, e fu allora che conobbe (…) la nonna Ida. Lei era un’artista che posteggiava con la sua famiglia e faceva il numero del filo. Il numero del filo è quel numero d’equilibrismo tipico femminile che consiste nel camminare su un cavo d’acciaio sollevato di un paio di metri da terra. La nonna Ida era molto brava: sapeva tenersi in equilibrio su un piede solo, fare capriole, fare finta di bere il caffè e mantenere le tazzine sulla sua stessa corda. (…) Verso la fine degli anni venti incontrarono di nuovo Teta Togni che nel frattempo aveva costruito un postone, cioè un “Circo Arena”, uno dei primi – se non il primo in assoluto – presente in Italia. Il nonno e la nonna si unirono a quel circo per qualche anno e lavorarono insieme a Paolo Orfei. 100 u baro drom L’ambiente raccontato 75. Zingara Kalderas in Svezia Nonna indovina2 Mi chiamo Annibale Niemen, zingaro sinto. Sono nato in gennaio, nel 1944, da Niemen Nello e Dubois Margherita. (…) Mio padre proviene da una delle più antiche famiglie di artisti d’Italia. Mio nonno paterno gestiva un circo, lasciatogli da mio bisnonno. Gli artisti erano la sua famiglia: mia nonna Lucia e i suoi figli Guido, Ferruccio, Nello, Emma, Renato e Imperia. (…) Molto spesso mia nonna Lucia si improvvisava indovina, come tutte le donne anziane e sfruttava il fatto che le donne di paese volevano conoscere il futuro. Nella loro ingenuità, senza rendersene conto, dicevano quello che era successo loro e quello che volevano sapere. Le indovine, ripetendo con diverse parole, davano la risposta. Le paesane andavano via soddisfatte e davano in cambio qualche soldo e il più delle volte contraccambiavano in natura con polli, conigli, verdura, salami, patate. Tutto questo era un reato (…), così le nostre nonne stavano molto attente a non farsi scoprire e chiedevano alle loro interlocutrici di non parlare con nessuno, altrimenti la profezia non si sarebbe avverata, anzi avrebbero avuto una disgrazia… I cortili delle osterie3 I cortili delle osterie erano anche luoghi in cui si facevano gli spettacoli sia con le marionette che quelli cantati. La scelta era un po’ a caso, se per esempio ci si doveva fermare perché il viaggio era lungo e il tragitto richiedeva le tappe. Quindi, dopo un giorno, per non sfiancare i cavalli, si sostava nei paesi che si incontravano. Ricordo di una volta che ci fermammo ad Acquatico, piccolo paese in provincia di Imperia. Mio padre e i miei zii chiesero subito al padrone dell’Osteria se nel suo cortile, che era anche il campo di bocce, si poteva fare uno spettacolo di teatro. L’oste disse di sí e il giorno dopo montammo tutto. Alla sera il cortile era pieno di gente, il pubblico si divertì molto e chiesero a mio padre di fare un altro spettacolo. In quel paese non c’era nessun divertimento e il giorno dopo ci sarebbe stato ancora più pubblico, perché sarebbero scesi anche i montanari. 76. Otto Pankok, Pranzo, 1965 101 u baro drom Le marionette4 Io all’età di sette anni ho dovuto smettere di studiare, perché o si studiava o si mangiava; i casi erano solo questi due. Quindi ho cominciato ad andare con mio padre nei paesi. Si andava in bicicletta e si caricava il teatrino delle marionette, tutto costruito da noi, smontabile e rimontabile in pochi minuti. È stato un periodo molto bello, perché dove si andava si lavorava. Sotto la pioggia, il sole, nelle montagne, nelle colline. A volte si facevano 70 o 80 chilometri per fare una serata, tutti e due in bicicletta, più il teatrino. Allora mi divertivo, perché a sette anni per me era un’avventura. A volte i paesi erano di 1000 o 5000 persone, a volte solo di 50 o 60. In quegli anni l’entrata era di 10 o 20 lire. (…) 77. Il barbuto Karagoz, teatro turco Allora si andava a cavallo. Noi avevamo due cavalli uno per il carro e uno per la carovana. Mia madre guidava quello del carro; io e mio padre quello della carovana. Mi ricordo un grande cavallo maremmano che era mio amico, Topolino. La carovana è un carrozzone con quattro ruote ed era la nostra casa; c’era la camera da letto, la cucina. In cucina si ricavavano le cuccette. Adesso usiamo le roulottes. Il carro aveva quattro ruote e un piano sopra, senza la sua struttura serviva per i trasporti. Qualche giorno prima dello spettacolo si scrivevano i manifesti a mano e si attaccavano sui muri, soprattutto nelle osterie. Io ho imparato a leggere e a scrivere a cinque anni, scrivendo quei manifesti. Ci presentavamo così: siamo una famiglia di burattinai, vogliamo portare lo spettacolo in questo paese. Facciamo storie del Medioevo, del settecento e dell’ottocento. Usiamo come marionette comiche Gianduia, Brighella, Pantalone, Giuppin (…). Poi Arlecchino e tutta la Commedia dell’Arte. 102 u baro drom L’ambiente raccontato La stalla5 Le storie fanno parte della realtà. Laddove ci si fermava si prendevano gli spunti per i testi da scrivere. C’era un’abitudine tra la gente. Quando andavamo nei paesi oppure nelle frazioni dove non c’era una vera piazza, si andava quasi sempre vicino a una cascina e alla sera, per ricambiare l’ospitalità, si andava nella stalla per dipanare il granturco. Erano abitudini invernali. D’inverno c’era più contatto con le persone e tra un bicchiere di vino e una fetta di polenta i nostri vecchi raccontavano delle storie. Noi eravamo grandi narratori. Si raccontava “Il fornaretto di Venezia”, “Pia de’ Tolomei”, “Le due orfanelle”, le grandi tragedie. Era l’occasione per poter sostare in inverno e avere un po’ di legna e nello stesso tempo era l’occasione la sera, preparando un po’ di grano, di avere il sostentamento che serviva. La gente, quindi, ci raccontava a sua volta le storie del posto, quel che succedeva allora e noi prendevamo spunto. Dal racconto locale si componeva una storia. Si inseriva una marionetta comica e al posto del più grande proprietario terriero, ad esempio, si metteva il conte, an78. Hajske, Cecoslovacchia che per camuffare un po’. (…) Le serate erano molto belle, perché la gente della borgata si radunava nella stalla. La stalla era allora un luogo di vita, perché era calda, illuminata e nello stesso tempo si lavorava. Noi abbiamo preso molta cultura contadina. Tutto questo accadeva fino agli anni ’60, poi si è perso. A me questo dispiace molto perché era un’occasione diversa. In quegli anni nelle campagne si guadagnava più che nelle città perché o si faceva il fabbro o si costruivano le selle e i finimenti dei cavalli oppure si prendevano gli strumenti e si facevano le serate musicali. Oggi si chiamano così ma allora erano l’occasione per bere un bicchiere di vino, mangiare un piatto di polenta, il pane bianco e fare tutti insieme bagna cauda, un piatto piemontese. I Rom e i Sinti6 Gli Zingari si dividono in Rom e Sinti. Preciso che Rom e Sinti non sono uguali, anche se l’origine è la stessa con qualche differenza. I Sinti sono originari del Rajastan, India del Nord, mentre i Rom sono del Centro. I Rom considerano i Sinti gagè, cioè forestieri, perché il nostro sistema di vita è improntato sul lavoro, sul viaggiare e sullo spostarsi continuamente, mentre i rom sono più sedentari. I Sinti sono cattolici, i Rom sono di religione varie. (…) La lingua, “il Romanès” è la stessa (…). I Sinti hanno inserito nella lingua frasi e modi di dire europei, tedeschi, inglesi e francesi. I Rom, invece i dialetti delle regioni dell’Est. 79. Zingare maritate Tutti e due i gruppi non hanno difficoltà a comunicare tra di loro, perché parlano il Valcio, il Teich, il Manush e il Kalò che sarebbe sempre il Romanès, parlato rispettivamente nella Francia Centrale; in Germania, Alsazia Lorena e Inghilterra; in Piemonte, Savoia, Ungheria, Romania, Bulgaria; in Spagna e Portogallo. 103 u baro drom L’ambiente raccontato Gli anziani7 Noi abbiamo un profondo rispetto per gli anziani, per qualunque divergenza all’interno del gruppo ci rivolgiamo a loro, a loro chiediamo un parere equo e riconosciamo la loro saggezza. E’ nostra abitudine rivolgerci alle persone più anziane che non siano i genitori, i nonni o i fratelli, chiamandoli zio o zia e non per nome come facciamo con i giovani, in questo modo rispettiamo la loro anzianità. 80. Fioraia, Ungheria Fiabe e storie degli Zingari.8 E proprio attraverso la memoria degli anziani, attraverso i racconti la sera accanto al fuoco, che la tradizione millenaria degli zingari si riaccende e si tramanda di generazione in generazione. Molti hanno raccolto queste storie e le hanno trascritte. Dietro ogni vicenda cè un mondo che si svela a noi, cè un universo costellato di aspetti tragici e comici della vita. Leggere quelle fiabe o leggende è un po come scoprire un tesoro, entrare in punta di piedi nel mondo magico dei gitani per svelarne i misteri. Ogni fiaba e ogni leggenda intrecciano lesperienza del narratore sedentario, del contadino che non si è mai mosso dalla sua terra, con quella del viaggiatore, del marinaio e del mercante, dellartigiano e del pellegrino sempre per la strada, in cammino. Le fiabe contengono le due antiche saggezze dellumanità, quella della terra e quella del mare: le hanno intrecciate insieme indissolubilmente; come in un cesto di vimini o in un pizzo, come in un tessuto, tanto prezioso proprio perché contiene le oltre seimila lingue vive del mondo. Attraverso questa breve antologia di fiabe zingare, tratta dalle principali raccolte edite in Europa, vogliamo indicarvi un sentiero. A volte sembra un po troppo faticoso, ma ci fa scoprire paesaggi sconosciuti e meravigliosi: sono le storie che popoli diversi si sono raccontate, che nascondono modi diversi di vedere la vita, il mondo, la natura e le relazioni tra gli esseri umani. Ci permettono di sorridere e di piangere senza avere troppa paura. Ci fanno capire quanto lincontro tra mondi e persone diverse sia una ricchezza per tutti, se si impara a rispettare e apprezzare ciò che non ci è né consueto, né abituale. 104 u baro drom L’ambiente raccontato La creazione9 (Nuova Zelanda) Al tempo della creazione Dio pensò che gli sarebbe piaciuto creare gli esseri umani a sua immagine. Così prese un bel po’ di farina e di acqua e li impastò insieme fino a formare dei piccoli uomini. Li mise a cuocere nel forno celeste ma, sfortunatamente, fu distratto da qualcos’altro e se ne dimenticò. Quando li tirò fuori dal forno erano tutti bruciati e fu così che furono creati i neri. Allora impastò dell’altra farina con dell’altra acqua, modellò l’impasto e di nuovo mise tutti gli omini nel forno. Ma stavolta era un po’ preoccupato che non gli bruciassero di nuovo, così finì per tirarli fuori in anticipo. E questi diventarono i bianchi. Quando riprovò per la terza volta, tanto per essere sicuro di non sbagliare i tempi di cottura, creò prima il tempo e l’orologio. E infatti quando tolse gli uomini dal forno, erano cotti proprio al punto giusto, appena appena bruniti. E questi erano gli zingari. 81. Bimbo Questa fiaba è stata raccontata da R. A. W. (Ron) Barnes. Egli racconta della sua infanzia: La mia vita è iniziata molto poveramente sul drom, sulla strada, fino a 82. India quando non ho compiuto otto anni. Poi, quando la grande depressione arrivò in Inghilterra e non si trovavano più lavori occasionali, la mia famiglia si trasferì a Londra. A 14 anni lascia la scuola, comincia a lavorare alle poste, poi diventa un dirigente delle telecomunicazioni. Durante la Seconda Guerra Mondiale si arruola nellesercito inglese e nel 1948, finita la guerra, si trasferisce in Australia. Nel 1950 va in Nuova Zelanda. Ha creato il centro sanitario Opre Roma (Sorgete zingari) e ora insegna nei centri sanitari di tutto il mondo. Questa fiaba è conosciuta e raccontata anche in Alsazia e in Cile. Le origini degli Zingari.10 (Spagna) Il Signore quando stava per tornare in paradiso, chiamò a raccolta nella Grande Plaza tutti i 83. Luomo più forte del mondo popoli del mondo e disse loro: “Domani vado in paradiso, ma prima di partire assegnerò il suo posto nella vita a chi si presenterà qui: chi arriverà troppo tardi si arrangerà”. Così, prima di andarsene assegnò ad ognuno una posizione: chi divenne maestro, chi dottore e così via. C’erano anche due zingari molto pigri e uno disse all’altro:”Guarda, cugino. Il Signore va via oggi. Se ne va in cielo e tutti sono andati a farsi dare il proprio destino. Arriveremo tardi.” Si misero a correre verso la Grande Plaza e quando arrivarono trovarono il Signore che stava già partendo, dato che erano stati così pigri. Allora lo chiamarono: “Ma padre, hai assegnato un destino a tutti gli uomini al mondo. Vuoi proprio andartene lasciando gli zingari senza un posto assegnato?”. Il Signore allora disse: “Andrete avanti come potrete”. E così se ne andò, lasciandoci senza un posto definito e che ci arrangiassimo un po’ come potevamo. Ora questa leggenda è mia, però è la verità. Gli zingari vivono d’espedienti e mangiano come possono. A loro non è stato assegnato un posto preciso nel mondo. Questa storia è stata raccontata da Isabel Fajardo Maya, una gitana del Sacro Monte, sorella dei famosi ballerini di flamenco La Golondrina e Joaquin Fajardo Maya. E stata raccolta e registrata da Berta Quintana nel 1971. 105 u baro drom L’ambiente raccontato Perché gli zingari sono sparpagliati sulla terra11 (Russia) Questo fatto accadde molto tempo fa. Uno zingaro era in viaggio con la sua famiglia. Il suo cavallo era magro e malfermo sulle gambe, e più la famiglia dello zingaro cresceva, più al cavallo riusciva difficile tirare avanti il suo pesantissimo carro. Ben presto, d’altronde, il carro fu talmente pieno di ragazzetti che saltavano uno sull’altro che il povero cavallo poteva a malapena trascinarsi lungo la pista sconnessa. Mentre il carro procedeva faticosamente, inclinandosi prima a sinistra, poi piegandosi a destra, pentole e padelle finivano per rotolare fuori e, di tanto in tanto, anche qualche bambino veniva scagliato a capofitto sulla strada. Certo, non era poi così terribile di giorno, quando potevi sempre fermarti a raccogliere da terra pentolame e marmocchi, ma di notte poteva cadere qualsiasi cosa e neppure te ne saresti accorto. E in ogni caso, chi mai sarebbe riuscito a tenere conto di una tribù simile? E intanto il ronzino continuava per la sua strada. Lo zingaro continuò a viaggiare per il mondo e, dovunque andasse, si lasciava dietro un figlio e un altro, e un altro ancora. E così, vedete, accadde che gli zingari si sparpagliarono in tutto il mondo. Raccolta in Russia da Yefim Druts, figlio di un rabbino di Mosca, e dal poeta Alexei Gressler 84. Ungheria Perché gli zingari non hanno un alfabeto12 (Grecia) C’era una volta un re che aveva l’alfabeto degli zingari. Dato che a quel tempo non esistevano ancora gli scaffali e le librerie, lo avvolse in certe foglie di cavolo e si mise a dormire vicino a una fonte. Passò di lì un somaro, bevve un po’ d’acqua e, già che c’era, si mangiò anche le foglie di cavolo. Ed ecco perché noi zingari non abbiamo un alfabeto. Questa storia è stata raccontata da Anastasia Dimou nel 1985 ad Atene. Oggi a Salonicco alcuni studenti zingari delle scuole superiori stanno progettando unortografia del romanès, la lingua degli zingari, che meglio dellalfabeto greco si adatti alla loro lingua. 106 u baro drom L’ambiente raccontato Le lingue13 (Argentina) U n giorno Dio, prima di lasciare l’umanità, disse: “Là dove vado io voi non potete seguirmi. E non provateci neppure” e, detto questo, se ne andò in cielo. Gli uomini però non gli diedero ascolto e si misero a costruire una grande montagna (ma qualcuno dice che fosse una torre). Lavorarono senza mai fermarsi e infatti arrivarono vicino al cielo. Quando Dio comprese che gli uomini non gli avevano obbedito disse loro: “Mischierò le vostre lingue”. Così fece e nessuno fu più in grado di finire la torre perché a chi chiedeva un martello veniva dato un chiodo e a chi chiedeva una sega davano un martello e così via. Ed ecco perché parliamo lingue diverse. Questa versione della storia della Torre di Babele è conosciuta tra gli zingari dellHonduras, del Brasile e dArgentina originari della Russia. 14 Il violino Tzigano A (Svezia) i tempi in cui gli zingari non avevano violini da suonare, viveva una splendida ragazza che era un po’ strega. (…) La ragazza faceva ogni tipo di sciocchezze e per questo nessuno la voleva sposare. La ragazza si era innamorata di un giovanotto (…). Il ragazzo era bello, forte e gran lavoratore, ma non voleva avere nulla a che fare con lei. (…). Per questo la ragazza era molto infelice. … Mentre camminava nel bosco si trovò davanti il diavolo in persona, nei panni di un giovane uomo tutto vestito di verde, dai capelli neri e con gli occhi fiammeggianti: dai capelli spuntavano due cornetti e un piede aveva lo zoccolo di un capro… “Ti ho vista piangere” disse alla ragazza. “Sei innamorata del figlio del tuo vicino ma lui non ti ama. Eppure, se tu volessi fare per me una piccola cosa che ora ti dirò, quel ragazzo ti amerebbe più della sua stessa vita e prestissimo ti sposerebbe”. “Farò qualsiasi cosa al mondo purché lui mi ami”, rispose la ragazza. “Allora fammi dono di tua madre e di tuo padre e dei tuoi quattro fratelli e io tornerò per donarti uno strumento e insegnarti a suonarlo. Quando il tuo uomo te lo sentirà suonare, ti amerà di un amore senza fine e farà per te qualunque cosa”. E quella sventata rispose: “Potrai avere mio padre e mia madre, i miei fratelli e tutto ciò che vorrai purché il mio amore mi sposi”. Il piede-di-capro tramutò il padre della ragazza in un violino, la madre in un archetto che aveva per corde i suoi bianchi capelli. Infine mutò i quattro fratelli nelle corde del violino. Si sedette poi accanto alla ragazza e le insegnò a suonare quello strumento. Ben presto la ragazza imparò a suonare così dolcemente che gli insetti smettevano di volare per ascoltarla e i rami degli alberi iniziavano a dimenarsi e a danzare. Era una musica che andava dritta al cuore e faceva venire la lacrime agli occhi. Mai era stata suonata una musica simile. Quando il giovane la sentì dimenticò la casa, il focolare, il lavoro e il ballo. Non fece altro che sposarla e così vissero felici insieme per molti anni. La tristezza non entrava mai nella loro casa poiché la musica argentina del violino creava una magia che scacciava tutta la tristezza, proprio 85. Lautari della come fa anche adesso. (…) Transilvania …Poi un giorno i due smarrirono il violino nel bosco, il Diavolo lo nascose ai loro occhi e li portò via con sé sul carro trainato da quattro cavalli neri… Per anni il violino rimase lì, abbandonato tra gli alberi, nascosto sotto il muschio e il fogliame. Per quanto tempo poi vi sia rimasto non saprei proprio dirvelo. Un giorno certi zingari si accamparono in quella foresta. Uno dei ragazzi zingari, uscito dall’accampamento in cerca di legna per il fuoco, capitò 107 u baro drom L’ambiente raccontato proprio nel posto dove era il violino e per caso colpì una delle corde con un pezzo di legno. Ne uscì il suono più bello che avesse mai udito, ma lui si spaventò e corse via. Poi però non potendo dimenticare quel suono magico, tornò sui suoi passi e tirò fuori il violino e l’archetto dal muschio e dal fogliame. Non appena iniziò a muovere l’archetto sulle corde, sgorgarono i suoni più ricchi e commoventi. Continuò allora a muovere l’archetto sulle corde e ne tirò fuori una musica, come fanno gli zingari ancora oggi. Gli uccelli smisero di cantare e il vento smise di soffiare solo per ascoltarlo. Il ragazzo corse allora all’accampamento e suonò il violino per la sua tribù. Nessuno aveva ascoltato prima di allora una melodia simile, e ciò agiva come un incantesimo su di loro: quando la musica era triste anch’essi erano tristi, e quando la musica era forte e selvaggia, anche essi si sentivano forti e selvaggi. Ben presto anche gli altri zingari impararono a suonare il violino, costruirono altri violini e insegnarono ad altri zingari ancora a suonarlo. Così oggi quasi tutti gli zingari sanno suonare il violino e suonano le melodie più celestiali al mondo. Perché quello strumento sa suonare solo queste melodie. Questa fiaba sullorigine dei violinisti zingari, la cui musica scaccia la tristezza e acquieta gli animi, è stata narrata da Milos Taikon. Come si sta nel Paradiso degli Zingari15 (Jugoslavia) I l figlio della santa Alta, la madre di tutti gli zingari, disse: “Che tu possa raggiungere la vecchiezza, mammina, ma dimmi: come si sta nel nostro paradiso zingaro?” La madre di tutti raccolse i suoi pensieri finché nella sua anima non si sentì pronta a rispondere. Allora rispose con tutto il cuore: “Nel nostro paradiso zingaro, nel nostro superparadiso, è tutto bello, bellissimo. Se solo sapessi che gran gioia attende noi zingari! I campi sono vasti e larghi, i cavalli galoppano, ci sono salici, c’è ombra e tutte quelle buone cose di cui abbiamo bisogno. E in mezzo ci sono grandi manzi che arrostiscono sugli spiedi mentre sulla brace tutt’intorno 86. Otto Pankok, Pasqua degli zingari, cuociono le trote. In tutta questa carne bella e grassa e 1953 ben arrostita sono infilzati dei coltelli d’oro. ‘Venite, fratelli, su, sedetevi e mangiate quanto il vostro stomaco riesce a reggere! Tagliate e mangiate quanto potete! Chiunque voglia può tagliare e mangiare quanto desidera il suo cuore. Bevete e mangiate tutto quello che volete!’ O buon Dio, devi essere stato anche tu uno zingaro per darci tutte queste ricchezze. In questo nostro paradiso zingaro tutti i nostri figli zingari si incontrano per contarsela e bere alla propria salute. I figli dei gagè, invece, se ne stanno fuori a tremare di fame e di freddo e a elemosinare un po’ di cibo dai nostri figli. Ma i nostri fortunati figli zingari ridono, ridono di loro. Li prendono in giro e mangiano, mangiano ma non danno loro neanche un boccone…. Questa fiaba, che dà voce alla fantasia degli zingari di Bosnia, è stata raccolta da Rade Uhlik e pubblicata nel 1944 dal Journal of the Gypsy Lore Society a cura di Frederick Gorge Ackerley. 108 u baro drom L’ambiente raccontato La famiglia zingara16 87. Yayà - nonna greca, Bimba, Germania meridionale, Vecchio, Saintes Marie de la Mer, Francia U n inverno, una famiglia zingara si scaldava accanto al fuoco. La padrona disse: “Ah, se avessimo del burro e anche della farina! Potremmo prendere una teglia in prestito, nel villaggio vicino, e fare una pita da signori.” Uno zingarello allora disse: “Io la porterei al forno per cuocerla”. L’altro muovendo la mano come se portasse qualcosa alla bocca disse: “Io, mamma, la mangerei così”. Vedendolo, il padre colpì il bambino sul braccio, dicendo: “E vacci piano! La vuoi mangiare tutta da solo?” Ninna nanna Rom17 Ninna nanna dormirà Lele lele crescerà Ninna nanna bambino mio Fortunato della mamma La pioggia cadrà E ti laverà Il vento soffierà E ti asciugherà. Nani nani ka sovól lele lele ka baról nani nani mo cavó e nanako bachtaló o buršun ka dol tut ka najaról i balval ka purdól tut ka šucarol. Ninna nanna crescerà Lele lele dormirà Gli agnelli passeranno Con la lana ti copriranno Le capre passeranno Con il latte ti nutriranno Non piangere Bambino mio Non piangere Nani nani ka baról Lele lele ka sovól E bakré ka nacén pe pošomasa tut k’ucarén e buzná ka nacen tut cuci ka den ma rov mo cavó ma rov. v v v v 88. Skopie, Ex Jugoslavia 109 u baro drom L’ambiente raccontato Note: DE BAR G., Strada, patria sinta. Cento anni di storia nel racconto di un saltimbanco sinto, Firenze 1998, pp. 1-5. 2 NIEMEN A., La casa con le ruote. O ker kun le penjà, Viterbo 2000, pp. 12-16. 3 Ivi, p. 42. 4 Ivi, p. 50. 5 Ivi, p. 56. 6 Ivi, p. 66. 7 Ivi, p. 84. 9 TONG D. (a cura di), Storie e fiabe degli zingari, Milano 1997, pp. 192-193. 10 Ivi, p. 234. 11 Ivi, p. 57. 12 Ivi, p. 223. 13 Ivi, p. 243. 14 Ivi, pp. 71-73. 15 Ivi, pp. 216-218. 16 UĆUR A., Fiabe dei Balcani, Torino 2000, p. 248. 17 CERCENÀ V., GIUSTI M., TASSINARI G., MORI T., ABMETOVIÈ L., Cici Daci Dom. Incontro con i bambini Rom, Firenze 1994, pp. 22-23. 1 Per saperne di più: AWOSUSI A.(a cura di), Zigeunerbilder in der Kinder- und Jugendliteratur, Heidelberg 2000. CAPORALI R., Fiabe zingare, Firenze 1980. CERCENÀ V., GIUSTI M., T ASSINARI G., M ORI T., A BMETOVIÈ L., Cici Daci Dom. Incontro con i bambini Rom, Firenze 1994. D E B AR G., Strada, patria sinta. Cento anni di storia nel racconto di un saltimbanco sinto, Firenze 1998. D ERDAK F., Zigeuner? Nein: Roma und Sinti, Wien 1994. FICOWSKI J., Il rametto dellalbero del sole, Roma 1985. Fra i Rom: vita e storie zingare, Brescia 1978. I quattro fratelli (fiaba zingara), Torino 1993. KARPATI M., I figli del vento. Gli zingari, Brescia 1978. L AZZARATO F., O NGINI V., Il vampiro riconoscente. Fiabe, leggende e miti della tradizione zingara, Milano 1993. MARCOLUNGO E., K ARPATI M., Chi sono gli zingari?, Torino 1985. MELIS A., Fiabe zingare, Cagliari 2000. MODE H., HÜBSCHMANNOVÀ M. (a cura di), Zigeunermärchen aus aller Welt, Leipzig 1983- 85. MOREAU R., Kinder des Windes, Bern 1999. N IEMEN A., La casa con le ruote. O ker kun le penjà, Viterbo 2000. UĆUR A., Fiabe dei Balcani, Torino 2000. TONG D. (a cura di), Storie e fiabe degli zingari, Milano 1997. 110 u baro drom di Elena Farruggia Mestieri Ninna nanna Rom17 b. Mestieri Come tutte le popolazioni nomadi, gli Zingari sviluppano nel tempo una grandissima abilità tecnica che consente loro non solo una relativa autosufficienza economica, ma anche la possibilità di proficui scambi commerciali con i sedentari con cui vengono in contatto. E necessario inoltre riflettere sullimportanza in ogni attività economica, sia commerciale che produttiva, dellintreccio tra le varie culture ed esperienze: girando tra lAsia, lAfrica, lEuropa dellest e Europa occidentale, nel tempo essi acquisiscono e perfezionano tecniche, conoscenze, abilità, (oltre a prodotti o addirittura costumi) sconosciute in altri luoghi, che fanno proprie, che si tramandano da gruppo a gruppo e che diffondono nei loro spostamenti. Risultano così nellEuropa preindustriale un tramite importantissimo di commercio e di scambio culturale, specie nel mondo rurale: pur rimanendo spesso ai margini dei villaggi (e pur con esempi di diffidenza nei loro confronti) il loro arrivo come fabbri, calderai, falegnami, commercianti, veterinari e venditori di rimedi contro i mali del corpo e dellanima, oltre che suonatori, giocolieri, circensi e ammaestratori di animali, è atteso dalla popolazione e risulta fondamentale per molte delle esigenze materiali dei villaggi stessi o delle case isolate nelle campagne. Secondo lepoca e il paese, gli Zingari si adattano ai bisogni locali. Riempiono i vuoti. Là dove la massa dei contadini è priva di artigianato vi portano il loro ed esercitano dei veri e propri monopoli: nei paesi dove trovano al loro arrivo un artigianato che corrisponde sufficientemente ai bisogni della popolazione, cercano altre risorse.1 Inoltre proprio le abilità tecniche e lestrema specializzazione in alcuni campi (come la lavorazione del metallo o lallevamento dei cavalli) saranno in alcuni casi lo strumento di inserimento nel tessuto sociale e di parziale o totale sedentarizzazione di alcuni gruppi di Zingari: è quanto avviene per lallevamento dei cavalli in Ungheria, o per i fabbri e i calderai nellisola di Corfù (già documentati dal XIV secolo), per i fabbri nellItalia meridionale: in Puglia ad esempio alcuni Zingari colpiti da decreto di espulsione nel 1635 non vennero infine cacciati proprio perché si appurò che lavoravano tutti come fabbri pagando regolarmente le tasse allo stato: tengono le loro famiglie, e case in due Città, e Terre, dove fanno lincolato, e sono nati, e vivono con le loro mogli, e figli, e portano li pesi conforme tutti laltri cittadini con 111 u baro drom Mestieri pagarne li pagamenti fiscali, allogiamenti; ed ognaltra contribuzione, e non sono inquisiti de delitto nessuno, vivendo con loro arte de forgiare, e di seminare, ed altri loro esercizji.2 La lavorazione del metallo, del legno e del vimini 89. Fabbro zingaro con aiutante, XVII sec. La tradizione zingara nel lavorare il metallo affonda nella notte dei tempi: si narra addirittura che siano stati loro a introdurre il bronzo in Occidente. Leggende a parte, labilità nelle lavorazioni del ferro e dei metalli in genere è, come abbiamo visto, storicamente documentata a partire dal XIV secolo e così fortemente collegata al mondo zingaro che in alcune zone (come ad esempio la Sicilia) lappellativo zingaro è stato usato per indicare chiunque lavorasse il metallo. La vita nomade, i continui spostamenti richiedono che la grande specializzazione tecnica sia supportata da attrezzature semplici e facili da trasportare. Per lo più gli attrezzi consistevano dunque in una incudine (a volte sostituita da un semplice sasso), due soffietti di solito in pelle di capra, un paio di pinze, un martello, una morsa, una lima, un piccolo fornello o una mola conica. Con questa strumentazione essenziale lo Zingaro lavorava nellaccampamento, di solito seduto allaper- 91. Zingaro che intreccia canestri 90. Fabbro a Choisy-le-Roy, 1911 to (ma anche sotto una tenda quando la stagione era particolarmente inclemente), aiutato dalla moglie o dai figli che manovravano il mantice. 112 u baro drom Mestieri 92. Venditrice di trogoli in legno, Ungheria 93. Zingaro che fabbrica trogoli, XIX sec. Il suo lavoro era indispensabile soprattutto per le comunità isolate, che potevano così acquistare ogni oggetto in metallo indispensabile per il lavoro nei campi o nella casa (falci, falcetti, vomeri di aratro, chiodi, punteruoli, aghi, coltelli, spiedi, paletti, tripodi, pentole, paioli ) o farsi riparare quelli rotti o usurati, caldaie comprese. Gli Zingari erano ottimi gioiellieri in grado di soddisfare nel loro commercio ambulante anche le richieste più economiche; oltre a lavorare loro e largento, infatti, sapevano produrre mirabili collane, orecchini, bracciali utilizzando il semplice stagno o il rame argentato. Gli Zingari erano anche abili falegnami e tornitori: producevano casse per riporre i vestiti e la biancheria, oltre a vassoi, piatti e cucchiai in legno, che vendevano al minuto ma anche agli stessi mercanti. La produzione di oggetti in legno era soprattutto praticata nei paesi balcanici e dellEuropa centrale. Ad essa spesso si affiancava la abilità nel lavorare il vimini; in Francia fino a tutto il XIX secolo spesso i venditori di cesti di vimini erano Zingari.3 Il commercio dei cavalli er renderci conto di quanto e quanto a lungo sia stato importante il mestiere di commerciante di cavalli dobbiamo riflettere su come sia breve, in unimmaginaria linea del tempo, la spazio in cui luomo ha fatto uso dei sistemi di locomozione che a noi oggi sembrano quasi essere sempre esistiti: automobili, treni, aerei; fino al XIX secolo in assoluto, e ancora per tutto il XX in alcune zone del mondo, invece, il cavallo, il mulo, lasino erano gli animali più usati per gli spostamenti di uomini e merci. Dalla loro comparsa in Europa fino a tutto il XX secolo, il commercio dei cavalli è stata la professione principale o accessoria di numerosi Zingari: una formula di ringraziamento molto in uso è: Ti auguro che i tuoi cavalli vivano a lungo.4 La conoscenza dei cavalli, larte di curarli e di accudirli, lamore per le cavalcature erano requisiti fondamentali per la loro vita nomade: nei loro spostamenti i cavalli servivano a una parte degli uomini, a qualche donna e ai bambini piccoli; altri utilizzati come animali da soma erano carichi di materiali e provviste; altri ancora erano attaccati ai carretti. Ma gli Zingari non tenevano i cavalli solo per proprio uso: li compravano, li vendevano, li scambiavano; proprio grazie alla fama che li contraddistingueva, alle loro frequentazioni dei più importanti luoghi P 113 u baro drom Mestieri 94. Maniscalco, Appleby 95. Car ro a cavalli di mercato degli animali, alla conoscenza delle strade, per lungo tempo (e in alcuni paesi ancora oggi) furono considerati i migliori mediatori o comunque esperti da consultare per lacquisto di una buona cavalcatura. Allo stesso modo larte di guarire i propri cavalli ne faceva anche degli abili veterinari, chiamati spesso dai contadini per curare il bestiame ammalato. In alcune zone dEuropa, in particolare in Francia e in Spagna, gli Zingari praticavano anche il commercio di muli e di asini; tra i Gitani di Spagna inoltre numerosi erano i tosatori di muli, che spesso nel loro lavoro ambulante si spostavano fino in Francia. Le elemosine, la buona ventura, larte del guarire el loro continuo spostarsi da un luogo allaltro, fin dalla loro comparsa in Europa i gruppi Zingari affidarono alle donne (e ai bambini) un particolare compito di sostentamento, praticato ancor oggi: la raccolta delle elemosine. Le donne zingare eccellevano nellarte di impietosire i sedentari e farsi dare non solo denaro ma ogni sorta di provvigioni (cibo, vestiario, utensili) a volte esercitando semplicemente una notevole capacità di persuasione, a volte facendo leva sul timore, il pregiudizio, la paura. Spesso accompagnavano questa attività con la lettura della buona ventura, tanto che chiromante e zingara divengono presto quasi sinonimi: fin dal Cinquecento sia nellarte sia in letteratura la rappresentazione più tipica della Zingara è quella che la raffigura nellatto di leggere 96. Due indovine, Finlandia la mano. N 114 u baro drom Mestieri Attribuire agli Zingari poteri straordinari che consentono di leggere il futuro significa anche, specie in epoche in cui medicina e magia sono ancora strettamente collegate, riporre fiducia nelle loro capacità di guarire; per questa ragione (e per la loro effettiva conoscenza di erbe e sostanze medicinali, e addirittura delle tecniche chirurgiche)) il ricorso alle cure degli Zingari non era praticato solo negli ambienti popolari, ma diffuso talvolta anche tra laristocrazia: in un curioso disegno del XVI secolo, incluso nella Raccolta di Arras, in cui è raffigurata a mezzo busto una Zingara, la didascalia recita: LEgiziana che rese salute mediante arte di medicina al re di Scozia abbandonato dai medici.5 La loro competenza chirurgica era inoltre così riconosciuta che i chirurghi olandesi nel XVII secolo facevano a volte il tirocinio presso gli Zingari.6 Il mestiere delle armi er quanto possa sembrare curioso numerosi Zingari, soprattutto nel XVII e XVIII secolo servivano negli eserciti. Erano ricercati per la loro resistenza, la forza fisica, la conoscenza dei luoghi e in particolare di sentieri segreti e nascondigli, per la loro abilità nelle sorprese e nelle imboscate; ma anche e soprattutto perché il mestiere delle armi era fortemente legato alla loro tradizione. Infatti al loro apparire in Europa nel XV secolo, gli Zingari si presentavano frequentemente in bande armate: la grande banda di Sindel, la banda del Duca Andrea etc. Le tappezzerie di Tournai, dellinizio del XVI secolo, mostrano Zingari con 97. Armigeri con il carro del pane, XV sec. un bastone in mano o sulle spalle, una daga alla cintura, una spada dritta o una sciabola curva. I pedoni e i cavalieri Zingari, rappresentati su quattro incisioni di Callot, sono simili a uomini di guerra, abbigliati con grandi cappelli dai lunghi pennacchi o penne, stivali a imbuto; al fianco sinistro hanno la spada e a quello destro la daga ad anello, larchibugio a ruota o la pistola lunga ad armacollo, la mezza picca in mano o il moschetto sulla spalla.7 A volte si arruolavano individualmente, a volte intere bande zingare si univano alle truppe in guerra. Anche le donne (mogli o figlie di soldati), seguivano gli spostamenti dei reggimenti in cui prestavano servizio i loro uomini, spesso con il ruolo di vivandiere o di lavandaie della guarnigione. Durante la guerra dei Trentanni, lo scrittore (e soldato) tedesco Grimmelshausen scrisse un romanzo picaresco, La vagabonda Courage, che ha per protagonista, appunto, una vivandiera moglie di un luogotenente Zingaro assoldato nellesercito; il personaggio, in tutta la sua tragicità, sarà ripreso nel Novecento da Bertolt Brecht nel testo teatrale Madre Courage. Tra gli Zingari francesi era spesso praticata anche la professione di maestro darmi.8 P 115 u baro drom Mestieri 98. Zingari con gli orsi che ballano, Berlino 1927 99. Turchia Animali ammaestrati, circo, luna-park Mi chiamo Annibale Niemen, zingaro sinto. Sono nato in gennaio, nel 1944, da Niemen Nello e Dubois Margherita. [..] Mio padre proviene da una delle più antiche famiglie di artisti d’Italia. Mio nonno paterno gestiva un circo, lasciatogli da mio bisnonno[…] Mia nonna, a sua volta, apparteneva ad un’altra grande famiglia di artisti, molto antica, la famiglia De Bianchi. La loro unione diede vita al più grande circo che girasse l’Italia in quei tempi, «il Circo degli Angeli volanti». A loro volta le due famiglie erano imparentate con un’altra grande famiglia di circensi, la famiglia Gerardi, che erano noti con il nome di «I Diavoli del Trapezio». Il circo, quindi, era a conduzione familiare e gli spettacoli erano maestosi. Erano in tutto una settantina di persone, quasi tutte giovani. Allora, come oggi, ai bambini dai tre anni in su si insegnavano i numeri del circo, dall’acrobatica, che comprende tutti i numeri a terra, ai numeri volanti. Imparavano l’arte dei giocolieri (joungleur), dei domatori e addestratori di cavalli, via via fino alla musica, secondo le loro attitudini. Mio zio Guido era il comico. Oggi si chiama il clown; per noi è Toni, lo scemo. [..] Nei periodi invernali, quando la neve non permetteva che si alzassero i teloni, ci si divideva in squadre. Alcuni andavano nei paesi limitrofi e improvvisavano spettacolini nelle osterie, altri si recavano con il «carro di Tespi» nelle fattorie e portavano in scena storie importanti come «I Promessi Sposi», «Il Fornaretto di Venezia», «Pia de’Tolomei» e, nel periodo di Pasqua, «La Passione di Cristo». Altri ancora, con le marionette, facevano spettacoli nelle sale parrocchiali, oppure nei pochissimi teatri comunali («le serate») o giravano paese per paese, fattoria per fattoria, suonando i propri strumenti in veri e propri incontri musicali.” 9 G irare per i paesi, le città, proponendo spettacoli di vario genere è unattività praticata ancor oggi ma che affonda le radici nella più antica tradizione zingara. Fin dal Cinquecento nelle fiere, nelle piazze, gli Zingari proponevano spettacoli di acrobazia, di giochi di prestigio, di marionette. In un mondo privo delle forme di comunicazione e divertimento che oggi conosciamo (giornali, cinema, televisione, discoteche), le fiere, le sagre, le piazze erano i luoghi deputati al divertimento ma anche in cui si scambiavano informazioni, si veniva a conoscenza delle opere (o di parte di esse) rappresentate nei veri teatri, si rimaneva strabiliati di fronte a costumi e rappresentazioni esotiche. Tutto questo genere di esperienze veniva spesso portato dagli Zingari. Uno degli aspetti più stupefacenti, che destava maggiore curiosità e ammirazione, era la loro grande abilità nellammaestrare gli animali. Alla fine del XVIII secolo il capo zingaro Marcinkiewicz, per rendere visita in gran pompa al suo 116 u baro drom Mestieri 100. Scimmia 101. Acrobata 102. Oreste De Bar con zia Pepita sovrano, principe Radziwill, arrivò al palazzo in una carrozza tirata da sei orsi; sulla schiena degli orsi, scimmie vestite da postiglioni. Questo ingresso ottenne un vivo successo presso il principe, la sua corte e la gente del vicinato.10 Ma erano soprattutto gli orsi danzanti a divertire il pubblico. Furono per primi gli Zingari dei Carpazi a ammaestrare gli orsi alla danza, ma dallEuropa Orientale alcuni ammaestratori dorsi raggiunsero già nel Settecento la Spagna, la Francia, lItalia, dove fino ad allora erano tradizionali gli spettacoli di danza o acrobazie di scimmie e di cani ammaestrati. Nel corso dellOttocento e del Novecento accanto a queste forme di spettacolo (che si formalizzarono nei circhi), gli Zingari aggiunsero alle loro attrazioni le giostre, la lanterna magica e il cinema ambulante. Musica, canto e danza Come gli zingari sono diventati musicisti Una volta Iddio mise un violino sulle spalle di san Pietro. Senza saperlo, san Pietro andò in una locanda piena di gente allegra. Quando videro san Pietro con un violino, gli gridarono: “Suona, suona!” Ma lui si spaventò alle loro grida e si mise a scappare. 103. Il gruppo del Teatro Zingaro di Mosca, 1930 117 u baro drom Mestieri Sulla porta, però, il violino gli cadde dalle spalle. Lo tirò su e andò dritto da Dio per chiedergli: “Dio, che cosa significa questo?” “L’ho fatto per te” gli rispose il Signore. “Così potrai suonare per la gente quand’è vivace, tenerli di buon umore e evitare che si mettano a litigare.” “Se è questo che vuoi, allora fai che ci siano più musicisti.” “Ma chi potrebbe fare il musicista?” chiese Iddio “Potrebbero farlo gli zingari” rispose san Pietro. “Fai che divertano la gente così che non si sparga mai sangue quando si beve e si fa festa”. “Così sia” disse Dio. E così fu.11 infatti la musica zingara ottenne, e ottiene ancora, lascolto fedele e appassionato negli ambienti sociali più disparati. Già alla fine del XV secolo la corte del re Mattia Corvino e della regina dAragona accoglieva Zingari suonatori di liuto; nel 1525 alcuni zingari suonarono la cetra per Luigi II di Polonia, re di Boemia e di Ungheria.12 In Europa orientale nel corso dei secoli XVII, XVIII e XIX la loro presenza appariva indispensabile nei balli, nelle feste pubbliche o private, nelle fiere, nelle nozze paesane, nelle osterie dei villaggi come nei palazzi aristocratici; suonavano il cimbalo non pizzicando le corde con le dita secondo luso comune, ma servendosi di un bastoncino di legno; il tamburino, il violino, la cobza (specie di mandolino a nove corde), il naiu (flauto di Pan). Gli ursari, cioè gli ammaestratori di orsi, si accompagnavano con i tamburelli.13 NellItalia meridionale gli Zingari erano così abili a suonare e fabbricare lo scacciapensieri che questo semplice strumento ancora oggi, in Calabria, viene chiamato tromba 104. Mera, Romania degli Zingari.14 In Francia la musica zingara non ebbe tanto uno sviluppo autonomo, ma strettamente connesso allaccompagnamento della danza: le Zingare ritmavano le loro danze facendo tintinnare campanelli o schioccare nacchere, o percuotendo un tamburello basco.15 Per la loro abilità di suonatori, spesso gli Zingari venivano arruolati nelle bande militari francesi; nel corso della Rivoluzione vi fu un reggimento che addirittura reclutò una banda interamente zingara.16 In Spagna per molto tempo, contrariamente a quanto si potrebbe immaginare, salvo alcune eccezioni la musica gitana rimase per lo più ignorata dai payos spagnoli (appellativo con cui i Gitani definiscono i non Gitani) fino alla fine del Settecento; erano soprattutto i viaggiatori stranieri che lodavano musiche e canti gitani. Nella prima metà dellOttocento, invece, i cantanti e i musicisti gitani, girando nelle città e nei paesi, nelle piazze e nelle osterie in occasione di feste locali e di pellegrinaggi attiravano un pubblico E 118 u baro drom Mestieri estremamente vasto e variegato che andava dalla gente di malaffare ai pellegrini, ai viaggiatori, ai signori borghesi, allaristocrazia (lo stesso re Ferdinando VII frequentava in incognito osterie dove si esibivano musicisti gitani).17 E comunque da tener presente che la musica gitana è quasi sempre in stretta correlazione con la danza, che è stata, fin dalla loro comparsa in Europa, una delle attività zingare più apprezzate tanto a livello popolare quanto dalle aristocrazie europee. Immagini di danze zingare figurano negli arazzi di Tournai del XVI secolo; gli Zingari ballavano nelle piazze e nelle strade di città e villaggi, ma anche nei palazzi reali e nelle dimore principesche tanto che numerosa è la documentazione (soprattutto per il XVII secolo) di danzatori Zingari ingaggiati (e ospitati) delle famiglie aristocratiche. Labilità nel ballo non si limitava a dare spettacoli: nei luoghi dove si fermavano gli Zingari (ma soprattutto le Zingare) davano anche lezioni di danza, spesso senza altro ausilio musicale che il tamburello o addirittura il battito delle mani e dei piedi. Note: VAUX DE FOLETIER F., Mille anni di storia degli Zingari, Milano 1998, p. 177. VIAGGIO G., Storia degli Zingari in Italia, Roma 1997, p. 56. 3 VAUX DE FOLETIER F., op. cit., p. 184. 4 Ibidem, p. 177. 5 Ibidem, p. 171. 6 Ibidem, p. 172. 7 Ibidem, p. 131. 8 Ibidem, p. 132. 9 NIEMEN A., O ker kun le penijà la casa con le ruote, Roma 2000, pp. 11-12. 10 VAUX DE FOLETIER F., op. cit., p. 179. 11 TONG D. (a cura di), Storie e fiabe degli zingari, Milano 1997, pp. 141-142. 12 VAUX DE FOLETIER F., op. cit., p. 141. 13 Ibidem, p. 145. 14 Ibidem, p. 146. 15 Ibidem, p. 147. 16 Ibidem, pp. 147-148. 17 Ibidem, p. 148. 1 2 Per saperne di più: ARCA (a cura di), La mano allo zingaro. Magia di una cultura, Milano 1978. BLOCK M., Die Zigeuner : ihr Leben und ihre Seele - dargestellt auf Grund eigener Reisen und Forschungen, Frankfurt am Main, 1997. COLOCCI A., Gli Zingari. Storia di un popolo errante, Torino 1889. 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La diversità, di genere, di sensibilità, quella fisica, culturale, psicologica, linguistica è stata da sempre uno degli ingredienti essenziali della letteratura europea: ha affascinato tutte le generazioni, ha colpito la fantasia degli autori e dei lettori, ha offerto occasioni per una scrittura dintrattenimento o educativa, poetica o satirica, comica o moralistica, ha dato lopportunità di ridurre le distanze nello spazio e nel tempo, per favorire nuovi contatti, immaginari eppure così reali da sembrare veri, tra mondi irrimediabilmente lontani. Da questi contatti, da questi scambi, da queste contaminazioni sono nate straordinarie opere poetiche e narrative. Lavventura dellincontro con la diversità ha fatto della lettura e dellascolto lo snodo essenziale per la formazione delle nuove generazioni, a cui spesso gli autori affidavano il sogno di una vita diversa e di un mondo migliore. Sconfinare in territori nuovi, fatti di sensibilità, di lingue, tradizioni, modi di vivere e di percepire il mondo e le relazioni tra gli esseri umani diverse, affascinava e faceva paura allo stesso tempo. La gioia nasce proprio dallo sconfinamento, dallincontro, dalla scoperta e dalle immagini che, dopo, riemergono alla memoria come diari di viaggio, schegge colorate della polifonia della vita. In questo cammino, attraverso i sentieri letterari dellincontro con la diversità, gli Zingari hanno un ruolo fondamentale: sono stati descritti come un mondo orribile, rozzo, violento, privo di valori, incompatibile con la civiltà e quindi da temere e tenere rigorosamente a distanza. Ma sono stati narrati anche come un ambiente umano autentico e vitale, anticonformista e creativo, fatto di danze, musiche, sentimenti forti e fragilità vissute con dignità e speranza. Il loro mondo colorato e sonoro ci permette sconfinamenti che non ci lasciano smarriti, ma affascinati e curiosi, pronti a nuovi incontri e nuovi scambi sulle strade delle diverse lingue e culture dellumanità. Lo spazio, in questa pubblicazione, non permette una rassegna esaustiva di tutti i testi letterari più significativi che, in diverso modo, hanno rappresentato la figura dello Zingaro e della Zingara nella letteratura colta e popolare europea. Proponiamo quindi un breve percorso tra frammenti di testi, tessere di un mosaico più grande e policromo, dal quale, però, emergono i principali modelli culturali che hanno fatto degli Zingari un ingrediente essenziale degli intrecci narrativi tra il XVI e il XX secolo. In particolare i testi poetici di 120 u baro drom Fascino e paura del diverso Puskin e di Baudelaire, a cui andrebbero affiancati alcuni versi tratti dal Romancero Gitano di Federico Garcia Lorca1 , danno voce allimmagine positiva del mondo Zingaro, assunto a simbolo della immediatezza e della istintività della vita, in armonia con la natura. Abbiamo scelto alcune pagine de La zingarella di Cervantes, che per primo dà ruolo da protagonista ad una fanciulla rapita che vive tra i gitani e con la sua danza e il suo canto tutti affascina e seduce; poi alcuni frammenti de Quelli del colera di Giovanni Verga in cui la furia del popolo senza freni, come nella novella Libertà, uccide e devasta spinta da un istinto primordiale, accecata dalla ricerca di un capro espiatorio, di qualcuno a cui attribuire la responsabilità della diffusione del colera, analogamente a come Manzoni ne I promessi sposi o ne La colonna infame parla degli untori e della costruzione del pregiudizio. Grazia Deledda, unica donna nella rassegna di autori che offrono spazio allimmagine degli Zingari, dà la parola a Madlen, una bimba zingara, che scopre oltre il dolore, la miseria e la malattia il vero tesoro degli Zingari. Canetti e Hrabal, in tempi e luoghi diversi, fanno del mondo degli Zingari unesperienza personale; Sgorlon, infine, propone lo Zingaro eroe, come paradigma dellimpegno sociale e della tolleranza in unEuropa trafitta dalla guerra e dalle persecuzioni razziali. Poi i testi delle canzonette di Jannacci, Dalla, De Gregori, De Andrè ripropongono a livello di cultura di massa limmagine romantica degli Zingari, ma anche intravedono la condizione nomade dellesistenza umana come paradigma della sua caducità. Apriamo con un testo del filosofo Lévinas sul rapporto con lAltro e la cultura del Novecento. Emmanuel Lévinas2 Fraternità e volto dellaltro (1961) Il povero, lo straniero si presenta come eguale. (...) La sua uguaglianza in questa povertà essenziale consiste nel riferirsi al terzo, così presente allincontro e che, nella sua miseria, è già servito da Altri.(...) Egli si unisce a me. (...)Ogni relazione sociale, al pari di una derivata, risale alla presentazione dellAltro al Medesimo, senza nessuna mediazione di immagini o di segni, ma grazie alla sola espressione del volto. (...) Il fatto che tutti gli uomini siano fratelli non è spiegato dalla loro somiglianza, né da una causa comune di cui sarebbero leffetto come succede per le medaglie che rinvìano allo stesso conio che le ha battute. (...) La paternità non si riconduce ad una causalità cui gli individui parteciperebbero misteriosamente e che determinerebbe, in base ad un effetto 105. Zingara non meno misterioso, un fenomeno di solidarietà.(...) Il fatto originario della fraternità è costituito dalla mia responsabilità di fronte ad un volto che mi guarda come assolutamente estraneo, e lepifania del volto coincide con questi due momenti. O luguaglianza si produce là dove lAltro comanda il Medesimo e gli si rivela nella responsabilità; o luguaglianza non è che unidea astratta e una parola. 121 u baro drom Fascino e paura del diverso Miguel de Cervantes 3 La Zingarella (1612) Sembra proprio che gitani e gitane siano venuti al mondo solo per rubare: nascono da genitori ladri, sono allevati tra ladri, studiano da ladri e alla fine ne escono ladri fatti e finiti, perfetti per ogni occasione; la voglia di rubare e il rubare, in loro, sono caratteri congeniti, che si tolgono solo con la morte. Vera dunque, in questa razza, una vecchia gitana, che poteva dirsi laureata nella scienza di Caco, 4 la quale allevò come fosse la propria nipote una ragazza, a cui mise il nome di Preciosa e a cui insegnò tutte le sue gitanerie, i modi per raggirare e larte del rubare. Questa Preciosa ne riuscì la 106. Hugo Pratt, Gitane, 1996 danzatrice più straordinaria che si potesse trovare in tutto il mondo gitano e la più bella e assennata che si potesse incontrare non solo tra i gitani, ma anche in confronto alle tante belle e assennate che la fama avesse proclamato tali. Né i soli, né i venti e neppure le tante inclemenze del cielo, alle quali i gitani sono esposti più delle altre genti, riuscirono a deturpare il suo volto o a scurirle le mani; e pure leducazione rozza con cui era stata educata mostrava in lei origini ben più elevate di quelle gitane, giacché era estremamente gentile e accorta. Nondimeno era assai disinvolta, ma non in modo da manifestare una qualche disonestà, anzi, pur essendo sagace, era così piena di ritegno, che in sua presenza nessuna, né vecchia né giovane, osava cantare canti lascivi né dire parole men che oneste. Fu così che un bel giorno la nonna, resasi conto di quale tesoro avesse trovato nella nipote, da quella vecchia aquila che era, decise di far volare il suo aquilotto e di insegnarle a vivere grazie ai propri artigli. Preciosa ne venne fuori ricca di ogni sorta di villanelle, strofette, seghidiglie e sarabande, nonché di altri versi ancora, soprattutto romances,5 che cantava con speciale garbo. La nonna sorniona aveva infatti ben inteso che tali giochetti e grazie, per i pochi anni e la bellezza della nipote, potevano essere attrazioni più che gradite e incentivi per incrementare il suo capitale; tantè che cercò e procurò ballate con tutti i mezzi che conosceva, e non mancò poeta che le offrisse, perché ci sono anche poeti che se lintendono coi gitani e vendono loro le proprie opere, come ci sono quelli dei ciechi, che sinventano per loro dei miracoli per dividerne i profitti. Cè di tutto nel mondo e la fame spinge talvolta gli ingegni a fare cose che non stanno né in cielo né in terra. Preciosa crebbe in diversi luoghi della Castiglia e, quando ebbe quindici anni, la nonna putativa la ricondusse alla capitale, nel vecchio accampamento, dove generalmente si attendono i gitani, nei campi di Santa Bárbara, perché pensava di vendere quella mercanzia nella capitale, dove tutto si compra e si vende. Il debutto di Preciosa a Madrid avvenne il giorno di SantAnna, patrona intermediaria della città, con una danza in cui figuravano otto gitane, quattro anziane e quattro ragazze, e un gitano, gran ballerino, che le guidava. E benché fossero tutte pulite e ben agghindate, lo splendore di Preciosa era tale che faceva via via innamorare gli occhi di quanti la guardavano. Tra il suono del tamburello, le nacchere e il vortice 107. Otto Pankok, della danza, prese a levarsi un brusio che benediceva la bellezza e la grazia Dinili la sordomuta della piccola gitana. I ragazzi accorrevano per vederla e gli uomini per ammirarla. E quando poi la udirono cantare, giacché era una danza cantata, allora sì che successe di tutto! Allora sì che si diede voce alla fama della piccola gitana e, con il consenso unanime dei deputati alla festa, le conferirono senzaltro il riconoscimento e il premio per la danza migliore. 122 u baro drom Fascino e paura del diverso Aleksandr Sergeeviè Pukin6 Gli zingari (1823-25) Gli zingari in chiassosa folla Vagano per la Bessarabia, Oggi sul fiume Nelle lacere tende pernottano, Come la libertà è giocondo il loro giaciglio E il pacifico sonno sotto il cielo, Tra le ruote dei carri Coperti a mezzo da tappeti, Arde il fuoco; la famiglia intorno Prepara la cena; nellaperta campagna Pascono i cavalli; dietro la tenda Lorso addomesticato giace in libertà. Tutto è vivo in mezzo alle steppe: Le calme occupazioni delle famiglie Pronte di bel mattino al non lungo cammino, E i canti delle donne e il grido dei bambini E il suono dellincudine portatile. Ma ecco sul nomade campo Scende silenzio di sonno E sode nella quiete della steppa Solo abbaiar di cani, nitrire di cavalli. I fuochi sono ovunque spenti, Tutto è tranquillo, la luna brilla Solitaria dalla celeste altezza E il calmo accampamento schiara. In una sola tenda un vecchio non dorme; Siede davanti alle bragi, Scaldato dal loro ultimo ardore, E guarda la lontana campagna Velata dal notturno vapore. La sua figliuola giovinetta E andata a passeggiare nella campagna deserta. Ella sè avvezza a libertà vivace, Verrà; ma ecco ormai la notte E presto ormai la luna avrà lasciato Le nubi del remoto cielo; Zemfira non è giunta, e si raffredda La povera cena del vecchio. Ma eccola. Al suo seguito Saffretta per la steppa un giovane; Allo zingaro egli è del tutto ignoto, Padre mio, dice la fanciulla Porto un ospite: oltre il tumulo Nel deserto lho trovato E lho invitato per la notte al campo. Vuol essere zingaro come noi; La legge lo perseguita Ma io gli sarò amica. 108. Coppia in viaggio Si chiama Aleko; E pronto a seguirmi dovunque VECCHIO Son contento. Rimani fino al mattino Allombra della nostra tenda, O sta con noi anche più a lungo, Come vorrai. Son pronto A dividere teco pane e tetto. Sii dei nostri, avvezzati alla nostra sorte, Alla errante povertà e libertà; E domani collaurora Nello stesso carro partiremo; Scegli il mestiere che ti piace; Batti il ferro o canta canzoni E gira i villaggi collorso ALEKO Resto. ZEMFIRA Sarà mio; Chi mai potrà allontanarlo da me? Ma è tardi la giovane luna E tramontata; i campi son coperti di tenebra, E minvade involontario sonno 123 u baro drom Fascino e paura del diverso Nicolaus Lenau7 I tre zingari (1830) Vidi un giorno tre zingari che stavano su un prato, mentre la mia carrozza strisciava faticosamente per la landa sabbiosa. Il primo teneva in mano un violino, solo per sé, e nella luce del tramonto suonava un canto appassionato. Il secondo aveva in bocca una pipa e ne seguiva il fumo con lo sguardo, contento, come se del mondo intero nulla gli ser visse per esser più felice. Il terzo dormiva beato, la sua cetra appesa a un ramo; tra le corde passava il vento e nel suo cuore un sogno. Gli abiti dei tre eran pieni di buchi, rammendi e toppe, eppure, testardi e liberi, si facevan beffe del mondo. Tre volte mi hanno mostrato come si affronta la vita che ci sfug ge fumando, dor mendo e suonando, la si disprezza tre volte. A lungo guardai i tre zingari mentre la carrozza si allontanava, guardai i loro volti abbronzati, i capelli ricci e neri. 124 u baro drom Fascino e paura del diverso Charles Baudelaire 8 Zingari in viaggio (1857-1861) probabilmente ispirata ad unincisione di Jacques Callot Ieri sè messa in viaggio la tribù profetica Dalle pupille ardenti, i piccoli in spalla, o abbandonando ai loro fieri appetiti il tesoro sempre pronto delle mammelle pendule. Gli uomini vanno a piedi sotto armi lucenti Lungo i carrozzoni dove sono rannicchiati i loro cari, scorrendo il cielo con gli occhi appesantiti dal mesto rimpianto di assenti chimere. Dal fondo della sabbiosa tana il grillo, vedendoli passare, raddoppia il suo canto; Cibele, che li ama, rende più vive le piante, crea zampilli dalla roccia e fiori nel deserto davanti a quei viaggiatori per i quali è aperto limpero familiare delle tenebre future. 109. Convivenza Giovanni Verga9 Quelli del colera (1887) Il colera mieteva la povera gente colla falce, a Regalbuto, a Leonforte, a San Filippo, a Centurie, per tutto il contado e anche dei ricchi [ ]. Cose da far rizzare i capelli in testa! Avvelenata persino la fontana delle Quattro Vie; [ ]. Ciascuno badava quindi ai casi propri, collo schioppo in mano, appiattato dietro luscio, accanto la siepe, bocconi nel fossatello, per le fattorie, nei casolari, da per tutto. Quelli di San Martino serano anche armati, uomini e donne. Volevano morir piuttosto di una schioppettata, o daltra morte che manda Dio. Ma il colera, no, non lo volevano! [ ] La domenica mattina, spuntava appena lalba, si vide una cosa nuova nel Prato della Fiera, appena fuori del villaggio. Era come una casa di legno, su quattro ruote, con certe figuracce brutte dipinte sopra, e lì vicino un vecchio carponi, che andava cogliendo erbe selvatiche. [ ] Sul finestrino del carrozzone era passata una figura scarna di donna, coi capelli scarmigliati; poi serano uditi strilli di ragazzi e pianti soffocati. Dalla strada principale giungevano il farmacista, il Capo Urbano, le guardie, col giglio sul berretto e grossi randelli in mano. La folla dietro, come un torrente, mormorando, uomini torvi, donne col lattante al petto. Da lontano, verso San Rocco, la campana sonava sempre a distesa. Don Ramando, colle mani e colla voce, andava dicendo alla folla: - Largo, largo, signori miei! Lasciatemi vedere di che si tratta -. [ ] - Niente! Niente! Son poveri commedianti che vanno intorno per buscarsi il pane. Poveri diavoli morti di fame -. [ ] La folla cominciò a diradarsi. Alcuni andarono a casa a contar la notizia [ ]. Qualcheduno, più ostinato, ritornò verso il Prato della Fiera. Quei poveri diavoli di comici, che si tiravano dietro la loro casa al par della lumaca, passato il temporale, tornarono a mettere fuori le corna ad uno ad uno, appunto come fa la lumaca. Il vecchio aveva sciorinato alluscio un gran cartellone dipinto. La moglie, con un tamburo al collo, chiamava gente; i ragazzi, camuffati da pagliacci, facevano mille buffonerie, e la giovinetta, colle gambe magre nella maglie color carne fresca, un fiore di carta nei capelli, il gonnellino più gonfio di una bolla di sapone, le braccia e le spalle nere fuori dal corpetto di seta stinta, soffiava nella tromba col poco fiato del suo petto scarno. Pure era una novità pel paese, e i giovinastri correvano a vedere, spingendosi col gomito. Inoltre i comici avevano altri richiami per il pubblico: un cardellino che dava i numeri del lotto; il ronzino che contava le ore e indovinava gli anni degli spettatori colla zampa; un ragazzo che camminava sulle mani, portando in giro, stretto fra i denti, il piattello per raccogliere la buona grazia. Quando si era fatta un po di gente, calavano il tendone unaltra volta, e rientravano tutti a rappresentare la commedia coi burattini, la donna col tamburone al collo, gridando sempre dalla piattaforma: - Avanti, signori! Avanti, che comincia! -. [ ] Nessuno pensava più al castigo di Dio che avevano addosso. 125 u baro drom Fascino e paura del diverso [Durante la notte il colera si diffonde e tutti accusano gli zingari di essere gli untori] Allora la folla, quasi fosse corsa una parola dordine, si mosse tutta come una fiumana, gridando e minacciando. [ ] Quelli del baraccone stavano facendo cuocere quattro fave, a ridosso del muricciolo, seduti sulle calcagna, per covar la pentola cogli occhi, tutta la famiglia. A un tratto udirono gridare: Dàlli! Dàlli! e videro la folla inferocita che correva per sbranarli. Signori miei! Siamo poveri diavoli, poveri commedianti che andiamo intorno per buscarci il pane! Il vecchio annaspava colle mani, per fare intendere le sue ragioni; la donna copriva i figlioletti colle ali, come una chioccia; la giovinetta colle braccia in aria. Arrivò la prima sassata, che fece colare il sangue. Poi un parapiglia, la gente in mucchio accapigliandosi, gli strilli delle vittime, che si udivano più forte. No! No! Non li ammazzate ancora! Vediamo prima se sono innocenti! Vediamo prima se portano il colèra! [ ] Dove avevano saputo fare le cose per bene era stato a Miraglia, un paesetto mangiato dal colera e dalla fame, il giorno in cui serano viste pure lì certe facce nuove per la via dove da un mese non passava un cane, e la povera gente, 110. Sciallato, Sicilia, inizi del XX sec. senza pane e senza lavoro, aspettava il colera colle mani in mano. Anche costoro mostravano di essere dei viandanti rifiniti dal lungo viaggio, come una famigliola di zingari: luomo che si dava per calderaio, la moglie che diceva la buona ventura, la figlia, una bella bruna, la quale doveva averne fatte molte, così giovane comera, e portava attaccato al petto cascante un bambino affamato e macilento. Dei suoi diciotto anni non le erano rimasti che due grandi occhi neri, degli occhi scomunicati che vi mangiavano vivo. Anchessi si portavano dietro tutta la loro casa in un carretto sconquassato, coperto da una tenda a brandelli, che veniva avanti traballando, tirato da un somarello sfinito.Siccome la popolazione si era commossa al loro apparire, e minacciava, il sindaco accorse anche qui colle guardie, armate sino ai denti, gridando da lontano: -Via! Via! come si fa ai lupi. Loro a ripeter la commedia che venivano da lontano, che li avevano scacciati da ogni dove, che erano affamati, e preferivano li uccidessero a schioppettate. Allora, per non saper che fare, temendo di accostarsi per paura del colera, li lasciarono lì, fuori del paese, guardati a vista come bestie pericolose. Nessuno chiuse occhio, quella notte, la vigilia di San Giovanni, che cera un chiaro di luna come di giorno. Tutta un tratto, coloro che stavano a guardia, nascosti dietro il muro, videro lo zingaro che sera avventurato carponi sino alle prime case, razzolando in un mondezzaio. Colà luccisero di una schioppettata, senza dirgli neppure: - guardati! -. Dopo gli trovarono un torsolo di cavolo che ci aveva ancora in pugno, e il petto della camicia tutto gonfio di bucce e frutta marcia. Al rumore, alle grida che si udivano da lontano, tutto il paese fu in piedi subito, e la caccia incominciò. La vecchia fu raggiunta allargine del fossatello, barcollando sulle gambe stecchite. La giovane dinanzi al carretto, che voleva difendere la sua creatura, come succede anche alle bestie, con certi occhi che facevano paura, e cercava di afferrare le scuri per aria, colle mani insanguinate. Dopo, frugando fra i cenci della carretta, si disse che avevano scovato le pillole del colera e ogni cosa. Ma quegli occhi più duno non poté dimenticarli. E ancora, dopo cinquantanni, Vito Sgarra, che aveva menato il primo colpo, vede in sogno quelle mani nere e sanguinose che brancicano nel buio. Però, se erano davvero innocenti, perché la vecchia, che diceva la buona ventura, non aveva previsto come andava a finire? 126 u baro drom Fascino e paura del diverso Grazia Deledda10 Il tesoro degli Zingari La notizia del tesoro ritrovato dagli zingari arrivò anche alla piccola Madlen, che da settimane giaceva malata nella prima tenda del loro accampamento; e non lavrebbe distolta troppo dal suo soffrire senza i particolari misteriosi coi quali la sorella maggiore laccompagnava. - Pare sia stata la vecchia a sognarselo. Sentiva come un rumore dacqua, sotto la testa, mentre dormiva; e vedeva una grande luce. Allora hanno scavato, lei e il figlio, e hanno subito trovato un vuoto, perché pare che qui sotto esistano grotte profonde, dove si nascondevano i cristiani e vi seppellivano i loro morti. Il tesoro è, dicono, dentro un vaso di oro: non si sa di preciso in che consista, forse in monete, forse in diamanti. A guardarci dentro, nel vaso, viene una barbaglio che acceca. La vecchia piange e ride; pare divenuta matta, mentre quel barbone del figlio è più nero che mai: non parla con nessuno e non si allontana più dalla loro tenda. Essi sono i padroni mormorò Madlen, volgendosi verso la parete di tela. Pareva infastidita; eppure da quel momento il pensiero del tesoro 111. Lettura le alleggerì il mal di testa e il dolore alle reni che la stroncavano tutta. Il tesoro, infine, apparteneva a tutti; perché tutto, nella tribù, era della comunità. Dunque apparteneva anche a lei, e lei doveva rallegrarsene, o almeno interessarsene. Non che le premesse il valore delle cose contenute dal vaso: ma il mistero della cose stesse, e quella luce che emanavano. Che cosa sarà? Qualche cosa più fulgida degli zecchini, delle sterline, delle perle false e delle patacche rilucenti che brillan sui corsetti delle sue parenti e compagne: qualche cosa che non si può fissare, come il sole. Ma il sole lei era buona a fissarlo, quando stava bene, e dentro il vaso doro lei sola, forse, è capace di guardarci a lungo come dentro un pozzo senza fondo. Prima che la vecchia e il figlio lo lascino vedere ci vorrà del tempo, però. Loro sono i capi della tribù: veramente il capo dovrebbe essere il figlio, ma è talmente attaccato e ligio alla madre, che la vera padrona di tutti è lei. Lei tiene la cassa della comunità, lei impartisce ordini, da lei dipende lo stare in un posto o nellAltro: lei presiede ai lavori degli zingari magnani e ramai; infine è lei che adocchia se cè qualche cosa da prendere nei dintorni e comanda sia presa, o se la prende lei senza far chiacchiere. Adesso possono anche far venire il dottore a visitarmi pensava Madlen, rivoltandosi con dolore nel suo giaciglio. Io sono stanca, stanca, stanca. E più che stanca si sentiva infinitamente triste: il pensiero che la morte poteva dar fine al suo male non le passava neppure in mente: la sua mente, anzi, era piena di immagini di vita, e questo continuo imponente fantasticare accresceva la sua stanchezza. Dallapertura della tende intravedeva lofficina primordiale dove gli zingari, coi calzoni di velluto nero e la camicia gialla o turchina, lavoravano il rame. I bei paioli dalle cupole splendenti, le teglie rotonde che luccicavano al sole, le padelle fuori doro e dentro dargento, le richiamavano continuamente al pensiero il misterioso vaso ritrovato dai capi della tribù. Eccola lì, la vecchia, con le mani sui fianchi, alta e dura come una regina. Dallampia sottana pieghettata si slancia la vita sottile circondata da una cintura di perline: un fazzoletto verde e viola le stringe la testa serpentina, e dalle orecchie le scendono, coi lunghi pendenti, due treccioline bianche con due uncini in fondo. Anche il viso pare tinto con la terra gialla e il bistro; gli occhi dorati, il naso, le dita adunche, ricordano un qualche uccello da preda. Va di qua, va di là, osservando tutto [ ]. Madlen la segue con uno sguardo fra di ammirazione e di odio. Di lei ha una grande stima, mista a terrore, perché oltre il resto la sa brava a fare i sortilegi: ma dal giorno della notizia del tesoro sente anche di odiarla. Il tesoro appartiene a tutti, perché dunque non lo lascia vedere, almeno vedere se non toccare? E perché non spende una delle monete ritrovate, per chiamare il medico? Io sono stanca, stanca, stanca ripete fra sé Madlen; e chiude gli occhi per sentire meglio la sua infinita stanchezza. [ ] 127 u baro drom Fascino e paura del diverso Di solito era la vecchia, che curava i malati; nella sua tenda esisteva un piccolo reparto farmaceutico, e lei distribuiva continuamente il chinino agli zingari, e preparava unguenti contro le malattie della pelle: per questo aveva fama di fare stregonerie. Fu chiamata presso Madlen: il suo solo entrare maestoso e luminoso nella capanna fece bene alla fanciulla. Le parve che il sole stesso, coi suoi zecchini scintillanti e il rosso il giallo il viola dei suoi raggi guardati ad occhi socchiusi, si affacciasse allapertura del suo triste covo. E quando le dita sottili della vecchia, dure e rossastre come i pampini secchi, le toccarono il polso e le sollevarono le palpebre, rabbrividì tutta. Adesso le domando che mi faccia vedere il tesoro. Adesso le dico che è di tutti; che deve farlo vedere a tutti pensava con audacia. Ma non osava neppure guardarla in viso ed anzi aveva paura che quella indovinasse i suoi pensieri. Dopo aver bevuto un bicchierino dacquavite offertole dalla madre della piccola malata, la vecchia andò sullapertura della tenda e sputò fuori. La bimba non ha niente disse, senza voltarsi. Piuttosto dovreste metterla un po fuori, al sole. Oggi è davvero una giornata di primavera. [ ] Questa cura le giovò meglio che se avessero chiamato il più famoso dei dottori. Già al terzo giorno poté, sorretta dalla madre, fare qualche passo fino alla siepe dellaccampamento; vide gli orti già tutti fioriti, le canne che rinascevano, i carciofi che parevano, sugli alti gambi argentei, grandi bocciuoli di rose. Un odore di giaggioli e di glicine portato dal venticello daprile dava lidea, a Madlen, che una bella signora passasse dietro la siepe lasciando nellaria il suo profumo. Era la signora primavera. [ ] Stesa sulla pelle dellorso il cui pelo e lodore si confondevano con quelli dellerba, pensava al tesoro della vecchia e al modo di poterlo vedere. Oh, ci arriverà certo: fra un anno, fra dieci, quando anche lei avrà venti anni e leggerà la sorte sulla palma liscia dei bei ragazzi che vengono nellaccampamento per vedere le zingare belle, e sarà furba e forte anche lei, arriverà a vederlo, il tesoro. E poi è di tutti, è della comunità, e la vecchia dovrà bene tirarlo fuori. È di tutti, come il sole mormorava Madlen; e per farsi unidea del misterioso splendore che sgorga dal vaso doro, trae lo specchietto rotondo e lo contrappone al sole. Lo specchietto brilla e vuole davvero follemente parere un piccolo sole. Madlen lo fissa, ma non è soddisfatta: altra luce è quella che splende dentro il vaso doro. Allora dopo essersi divertita a giocare un po col sole, agitando lo specchietto e facendone balzare il riverbero intorno sullerba e la siepe, pensa che forse il tesoro si vedrà meglio nel sole stesso. Si butta supina e poiché gli occhi non vogliono stare aperti si tira in su le palpebre con le dita: un grande barbaglio la investe tutta: le lagrime che le velano gli occhi lo accrescono: le pare di essere sotto una pioggia di perle, di monete, di gioielli e di stelle. E finalmente ha davvero limpressione di quello che è il tesoro della comunità degli uomini tutti, la gioia di vivere. Elias Canetti 11 Gli zingari (1977) 112. Zingaro Ogni venerdì arrivavano gli zingari. Il venerdì nelle case ebraiche era dedicato ai preparativi per il sabato. La casa veniva ripulita da cima a fondo, le ragazzine bulgare correvano avanti e indietro come razzi, in cucina tutti si davano un gran daffare e nessuno aveva il tempo di occuparsi di me. Così ero completamente solo e aspettavo gli zingari, la faccia premuta contro la vetrata che dal grande salone dava sul giardino. Vivevo in un terrore panico degli zingari. Suppongo che fossero state le ragazze a raccontarmi di loro nelle lunghe serate che passavamo al buio sul sofà. Io pensavo che rubassero i bambini ed ero convinto che avessero messo gli occhi su di me. Ma nonostante questa tremenda paura, mai mi sarei lasciato sfuggire lo spettacolo della loro visita, che era davvero splendido. Il cancello veniva spalancato, perché loro avevano bisogno di spazio. Arrivavano come una vera tribù, nel mezzo, a testa alta, il patriarca cieco, il bisnonno, mi fu detto, un bellissimo vecchio dai capelli candidi che camminava molto lentamente sostenuto a destra e a sinistra da due nipoti adulte, vestite di stracci multicolori. Intorno a lui, pigiandosi gli uni contro gli altri, zingari di ogni età, pochissimi uomini, quasi tutte donne e innumerevoli bambini, i più piccini in braccio alle madri, 128 u baro drom Fascino e paura del diverso altri che saltavano intorno senza però allontanarsi molto da quel superbo vegliardo che restava sempre al centro del gruppo. Il corteo folto e denso comera aveva qualcosa di inquietante, tanta gente che avanzava compatta tutta insieme non lavevo mai vista da nessuna parte: ed era davvero lo spettacolo più variopinto che si potesse osservare in quella città, pur così variopinta. I pezzi di stracci di cui era fatto il loro vestiario erano smaglianti di mille colori, ma sopra ogni altro era sempre il rosso che spiccava. Dalle spalle di molti di loro pendevano dei sacchi, ed io, guardandoli, non riuscivo a fare a meno di immaginare che contenessero bambini rubati. A me quegli zingari sembravano ancora uninfinità, 113. Gertrude Kasebier, La strada per Roma, 1903 ma se ora cerco di farmi unidea del loro numero in base allimmagine che me ne è rimasta, sono propenso a credere che non fossero più di trenta o quaranta persone. Daltro canto, tante persone tutte insieme nel nostro grande cortile non le avevo mai viste, e poiché a causa del vegliardo venivano avanti con grande lentezza, il cortile rimaneva pieno per un tempo che a me pareva infinitamente lungo. Ma non si fermavano nel cortile, giravano intorno alla casa fino a raggiungere il cortiletto della cucina in cui era accatastata la legna e poi si mettevano a sedere. Io ero solito aspettare il momento in cui comparivano davanti al cancello e, non appena avvistato il vecchio cieco, mi mettevo a correre urlando con voce stridula Ziganas! Ziganas! per tutto il lungo salone e lancor più lungo corridoio che lo collegava con la cucina, nella parte posteriore della casa. Là cera la mamma che dava istruzioni su quel che bisognava cucinare per il sabato [ ]. Ma invece di rimanere accanto a lei, ritornavo indietro di corsa, gettavo unocchiata dalla finestra allavanzare degli zingari, che nel frattempo erano già un po più vicini, e subito andavo a dare la notizia in cucina. Li volevo vedere, ero preso dalla smania di vederli, ma non appena li avvistavo, subito mi riprendeva la paura che avessero messo gli occhi su di me e urlando me ne scappavo via. [ ] Non appena erano arrivati alla meta, davanti alla cucina, il vecchio si metteva a sedere e gli altri si raggruppavano intorno a lui; venivano aperti i sacchi e le donne, senza bisticciarsi, prendevano i doni. Dalla catasta di legna venivano loro offerti grossi ceppi, ai quali parevano tenere in maniera particolare; e il cibo che ricevevano era vario e abbondante. Avevano la loro parte di tutto quello che stavano preparando in cucina, non venivano certo nutriti con gli avanzi. Io provavo un gran sollievo quando vedevo che nei sacchi non avevano bambini e, sotto la protezione della mamma, passavo in mezzo a loro, me li guardavo ben bene, stando attendo però a non avvicinarmi troppo alle donne che mi volevano accarezzare. Il vecchio cieco mangiava lentamente dalla sua ciotola, si riposava, se la prendeva comoda. Gli altri invece non toccavano cibo, tutto quello che ricevevano scompariva nei grandi sacchi, e solo i bambini avevano il permesso di sgranocchiare i dolciumi che gli erano stati regalati. Io ero stupito di quanto fossero affettuosi con i loro bambini, non avevano per nulla laria di rapitori di bambini. Questo però non serviva a mitigare il terrore che mi incutevano. Dopo un certo tempo, che mi pareva lunghissimo, si rimettevano in moto [ ]. Io li stavo a guardare dalla finestra mentre scomparivano oltre il cancello. Poi correvo unultima volta in cucina e annunciavo: Gli zingari se ne sono andati!; il nostro servitore mi prendeva allora per mano, mi conduceva fino al cancello e richiudendolo diceva: Adesso non torneranno: Di solito il cancello rimaneva aperto di giorno, ma in quei venerdì lo si chiudeva, così se unaltra carovana di zingari arrivava a seguito della prima, capiva che la loro gente era già stata lì, e procedeva oltre. Carlo Sgorlon12 Calderas (1988) Il vecchio si chiamava Vissalòm. Era nato in Valacchia13 tanti anni prima, ma non sapeva con precisione quanti anni fossero. Aveva sempre girato per tutti i territori dellImpero, dalla Boemia fino dove cominciavano le terre dei turchi. Adesso aveva un solo pensiero, fuggire lontano, dove la notizia della moria non potesse neppure arrivare. I cavalli corsero al trotto per ore, e lui cominciò a sentirsi più tranquillo. Vissalòm tendeva ad allargare sopra tutte le cose il mantello pacato della saggezza. Sapeva che il mondo era pieno di fatti scuri e sconvolgenti, 129 u baro drom Fascino e paura del diverso e lui, di fronte ad essi, chinava il capo e li accettava con tranquillità. Aveva pensato che certi casi rivelano a prima vista il volere misterioso di Devèl. 14 Cercare dintenderli era come voler entrare nei suoi enigmatici territori, forzando i cancelli e i confini. No, non era una cosa per Vissalòm. I cavalli si misero al passo. La luna illuminava debolmente la strada. Il bambino dormiva, rilasciato sullo schienale. Era una cosa anomala per uno zingaro andare così nella notte perché le ombre e le tenebre non appartenevano a Devèl, ma piuttosto a Beng, il suo nemico. Non si poteva mai sapere cosa contenevano, e di esse Vissalom diffidava, provando una segreta ripugnanza. Di notte si era sempre fermato, 114. Otto Pankok, Notte di luna per accamparsi alla periferia di un villaggio, staccando i cavalli dal vecchio wurdon scolorito. 15 Ma quella era una notte speciale. Era la notte che veniva subito dopo la strage assurda e senza spiegazioni. Via, via, il più lontano possibile da quellevento pauroso. Dormi, dormi, bambino. Dormi Sindel (gli aveva detto di chiamarsi così) e dimentica nel sonno tutto quello che hai visto pensò. Lui stesso aveva voglia di fermarsi, di entrare nel wurdon e di scivolare nel sonno, o almeno di riposare. Era combattuto tra il desiderio di accamparsi e quello di allontanarsi il più possibile dal villaggio della morte Fermò i cavalli in mezzo alla campagna. Laria fresca gli portava alle nari il vago sentore di un acquitrino. I suoi occhi abituati alloscurità riuscirono a distinguere due villaggi non lontani, uno di qua e uno di là. Vide distintamente la chiesa con il campanile a cipolla di lamiera. Sollevò Sindel tra le braccia e lo portò allinterno del carrozzone, su un giaciglio di paglia pulita e odorosa. Poi sospirò, scosso da un brivido di malinconia improvvisa. Sarebbe stato in grado lui, anziano e senza donne, di allevare da solo il bambino? Sua moglie, Runa, era morta da tempo, e i tre figli lavevano lasciato per andare a lavorare in un circo. Sarebbe vissuto abbastanza per insegnare a Sindel i mestieri degli zingari e a guidare il wurdon da solo? Scosse la testa e alzò le spalle. Non voleva pensarci e non gli interessava. Gli parevano problemi più remoti delle pianure ungheresi o rumene. [ ] Non devi piangere disse Vissalòm. Non lo faccio apposta fece Sindel Gli zingari non piangono mai, neanche quando hanno un grosso motivo per essere tristi. Gli zingari suonano e ballano. Prova a cantare. Vissalòm gli insegnò delle canzoni, nel loro linguaggio che aveva qualcosa di indiano, ma anche di tedesco, di slavo, di rumeno, anzi di tutti i linguaggi che si parlavano nei territori dellImpero e in tutti i Balcani. Sindel qualche filastrocca la sapeva già. E quando Vissalòm gli cantò una melodia conosciuta, lui fece gli occhi dellallegria, per il piacere di riconoscere qualcosa che aveva fatto parte del suo mondo prima di Novigora, quando stava con i suoi. Ora suono il mio violino disse il vecchio. E attaccò con musiche che nascevano da lui, inventate lì per lì, sonate che avevano qualche rapporto con le canzoni popolari rumene, conosciute in gioventù. Vissalòm intuiva che così stavano le cose con la musica, ma non sapeva bene perché, e non ci pensava neppure. Quando suonava tutta la sua persona diventava nientaltro che la fontana delle note che stava inventando. La musica gli faceva brillare gli occhi. Era una rivelazione che nasceva chissà come, e usciva così vivace dal suo strumento che chi la sentiva non poteva trattenersi dal battere aritmicamente le mani o i piedi. Da dove veniva? Vissalòm non lo sapeva. Gli sembrava che non nascesse da lui ma da molto più lontano. Forse veniva da suo padre, Spiridon, o da suo nonno, Grigore, che suonavano come lui, inventando e inserendo nelle proprie invenzioni le canzoni popolari di Moldavia, Valacchia e Transilvania. Ma a loro da chi veniva? Forse da un ignoto spirito folletto, oppure da Devèl Una cosa era certa, ossia che quando Vissalòm suonava, aveva la sensazione di non sapere più dove cominciasse e dove finisse la sua persona. Capiva che lui era se stesso, ma era anche nello stesso tempo tutti gli zingari, di ogni stirpe, che lavevano preceduto nei secoli. Quella musica non chagall 49 130 u baro drom Fascino e paura del diverso aveva né un prima né un poi. Un attimo avanti che nascesse dalla cassa del suo violino lui non sapeva nemmeno che andamento avrebbe preso, e un attimo dopo spariva nellaria e gli pareva di non ricordarla nemmeno. Così era la musica degli zingari. Soltanto quella dei gagè veniva scritta sui fogli di carta rigata, e i loro musicisti ed esecutori sapevano rifarla tale e quale. La loro musica aveva una durata e si conservava nel tempo. Ma per gli zingari era una cosa diversissima. Per loro essa era estro, libertà, improvvisazione. Era una cosa che correva nella mente e nel sangue, unispirazione, uno stato di grazia, come lamore o il desiderio di ballare e di cantare. Era un momento in cui si era in contatto con lo spirito del mondo, o con Devèl stesso. Un momento unico. Bohumil Hrabal 16 Una solitudine troppo rumorosa (1979) Cosí lanciammo ancora alcune volte laquilone ai cieli, la zingara sera fatta coraggio e reggeva i fili e tremava tutta proprio come me, tremava come tremava anche laquilone sotto i colpi del vento, reggeva il filo col ditolino e gridava per lentusiasmo... Una volta a sera tornai a casa, la zingara non mi aspettava, accesi la luce, uscii e riuscii fino al mattino davanti alla casa, ma la zingara non venne, non venne neanche il giorno dopo, non venne mai piú. La cercai, ma non la vidi mai piú, la zingara bambinella piccolina, semplice come un legno non sgrossato, la zingara come respiro dello Spirito divino, la zingara che non voleva niente piú che accendere la stufa con la legna che portava sulle spalle, quei pali e tavole pesanti dei cantieri di demolizione, legni grandi come una croce, davvero non voleva piú che cucinare gulasch di patate con salame di cavallo, aggiungere carbone nella stufa e in autunno lanciare laquilone ai cieli. Soltanto dopo venni a sapere che laveva presa la Gestapo con gli altri zingari e laveva portata in un lager dal quale non tornò piú, la bruciarono da qualche parte a Majdanek o Osvètim nei forni crematori. I cieli non sono umani eppure io quella volta ero ancora umano. Dopo la guerra, 115. Zingare in festa quando non venne, bruciai nel cortile laquilone con tutti i fili, la lunga coda la cui colombella aveva fatta la zingara piccolina il cui nome ho ormai dimenticato. Quando finí la guerra, ancora negli anni cinquanta avevo il magazzino pieno di letteratura nazista, pressavo con enorme gusto, alla luce della leggiadra sonata della mia piccola zingara, quintali di quegli opuscoli e libretti sempre sullo stesso tema, pressavo centinaia di migliaia di pagine con le fotografie di uomini e donne e bambini esultanti, vecchi esultanti, operai esultanti, contadini esultanti, SS esultanti, soldati dellesercito esultanti, nel tino della mia pressa meccanica gettavo di gusto Hitler e il suo seguito che entrava in Danzica liberata, Hitler che entrava in Varsavia liberata, Hitler che entrava in Praga liberata, Hitler che entrava in Vienna liberata, Hitler che entrava in Parigi liberata, Hitler nel suo appartamento privato, Hitler alla festa del raccolto, Hitler col suo fedele cane lupo, Hitler coi suoi soldati al fronte, Hitler che passava in rassegna il vallo atlantico, Hitler in partenza per le città conquistate allEst e allOvest, Hitler chino sulle mappe militari, e quanto piú pressavo le donne e gli uomini e i bambini esultanti, tanto piú pensavo alla mia zingara, che non esultava mai, che non voleva niente altro che aggiungere carbone nella stufa e cucinare gulasch di patate con salame di cavallo e andare a prendere la birra dalla brocca grande, non voleva altro che spezzare il pane come lostia santa e poi guardare attraverso lo sportellino aperto della stufa le fiamme e i raggi, lo scoppiettio melodioso del fuoco, il canto del fuoco che lei conosceva dallinfanzia e che era sacralmente unito con la sua razza, il fuoco la cui luce lascia sotto di sé ogni dolore e evoca in viso il sorriso malinconico che era il riflesso dellidea che aveva la zingara della perfetta felicità . La persecuzione nazista degli Zingari. Sara Nomberg-Przytyk17 Il piccolo zingaro I dottori tedeschi venivano di solito verso le dodici. Ispezionavano i malati che erano entrati in ospedale la matttina e dopo firmavano la cosiddetta Beffkarte, che equivaleva al permesso di rimanere lì per un giorno. Dopo restavamo sole. Pulivamo e preparavamo il necessario per la sera quando il kommando ritornava dal lavoro. In quei momenti ci sentivamo un po meno tese. 131 u baro drom Fascino e paura del diverso Eravamo sedute in una stanzetta dellinfermeria quando Marusia gridò: Achtung!. Balzammo in piedi e corremmo dentro. Stavamo sullattenti quando Mengele entrò con un piccolo zingaro che avrà potuto avere quattro anni. Il piccolo era una bellezza. Indossava una sontuosa uniforme bianca costituita da lunghi pantaloni bianchi dalla riga ben stirata, una giacca con i bottoni doro, una camicia da uomo e una cravatta. Era chiaro che a Mengele faceva piacere vederci così incantate. Portò una sedia in mezzo allinfermeria e vi 116. Auschwitz si sedette, tenendo il piccolo zingaro ben stretto tra le sue ginocchia. Il bambino capiva il tedesco. Mostra loro come balli il kozak, disse Mengele e iniziò a battere aritmicamente le mani. Il piccolo allora iniziò a scalciare i talloni pur mantenendo la posizione seduta. Era stupefacente. E ora canta una canzone. Il picolo cantò unammaliante melodia zingara. Noi continuavamo a stare sullattenti mentre il bambino si esibiva di fronte a Mengele. Era evidente che a Mengele piaceva. Se lo palleggiò delicatamente tra le braccia e lo baciò. Sei stato molto bravo. Ed ecco qualcosa per lesibizione, disse, tirando fuori dalla tasca una scatola di cioccolatini. Poi se ne andarono. Ci guardammo lun laltra senza capire perché Mengele ci avesse portato il bambino, perché mai avesse voluto esibire il suo talento davanti a noi. Marusia disse: Sono sicura che lo ucciderà presto. Noi tutte sentimmo un brivido freddo. Per tutta lestate Mengele sfilò per il campo con il piccolo zingaro che era sempre vestito di bianco. Anche quando ci furono le selezioni il piccolo bambino così bello rimase al suo fianco. Cera un campo per le famiglie di zingari ad Auschwitz nel settore C. Cerano venticinquemila zingari nel campo. I bambini vivevano con le loro famiglie. È difficile dire perché ad Auschwitz avessero aperto un campo per le famiglie, perché avessero fatto credere loro che gli avrebbero permesso di sopravvivere alla guerra. Alla fine del 1944 arrivò la fine anche per il campo degli zingari. Non ricordo la data esatta, comunque la soluzione finale ebbe luogo una sera dottobre. La mattina furono prese tutte le giovani zingare. Mentre venivano radunate per essere portate via, le donne piangevano e gridavano in maniera straziante. Avevano evidentemente capito che coloro che rimanevano nel campo erano condannati a morte. Ed era vero. Quella stessa sera si udì il mormorio dei motori. Furono condotti tutti alle camere a gas. In quella sola notte furono assassinati venticinquemila zingari. E strano, ma in mezzo a tutta quella carneficina noi riuscivamo a chiederci solo una cosa: Mengele aveva intenzione di salvare quel bambino bellissimo dalla camera a gas? Ma il giorno dopo egli sfilò per il campo senza il piccolo zingaro. Gli uomini ci dissero che allultimo minuto era stato lo stesso Mengele a gettarlo con le sua mani nella camera a gas. Sono solo canzonette? La radio sarà lo strumento che trasformerà radicalmente il ruolo della canzone nel panorama della cultura del Novecento. Attraverso la radio laura della canzone, la cantata classica, si trasforma in prodotto di massa e diventa canzonetta, proprio perché segna la diffusione popolare di motivi e testi di svago e disimpegno: il Festival di Sanremo, poi la televisione e gli spettacoli dintrattenimento, daranno alla canzonetta il sigillo di paradigma di ogni stagione culturale. I cantautori spezzeranno il binomio canzonetta/disimpegno, contribuendo, in Italia, in Francia e in Germania, alla condivisione dellimpegno sociale e della critica agli stereotipi culturali. Gli Zingari, nella canzonetta, sono entrati con tutto il bagaglio di pregiudizi e stereotipi della tradizione popolare italiana. Così i primi testi, prevalentemente legati alla tradizione napoletana, parlano di Zingare ammaliatrici, che leggono il destino e intravedono il futuro di amori infelici o incompresi. Nun cè bisogno a zingara / pandiviná, Cuncè... / Comme tha fatto mámmeta,o ssaccio meglio e te!... (Non cè bisogno di una zingara per indovinare, Concetta, come ti ha fatto mamma, lo so meglio di te!). 132 u baro drom Fascino e paura del diverso A Sanremo nel 1969 Iva Zanicchi presenta una canzone nella quale il /la protagonista si affida alla Zingara che predice la buona ventura: Prendi questa mano, / zingara, / dimmi pure che destino avrò / parla del mio amore, / io non ho paura / perché / lo so / che ormai / non mappartiene./ Guarda nei miei occhi, / zingara / vedi loro dei capelli suoi. / Dimmi se ricambia / parte del mio amore, / devi dirlo / questo / tocca a te. Ma se e scritto che / lo perderò, / come neve al sole / si scioglierà / un amore. È dello stesso anno la canzonetta di rottura, che muta il punto di vista: non si parla più di Zingara, ma di Zingari, del popolo intero. E quando gli Zingari arrivarono al mare è di Enzo Jannacci, cantautore, medico cardiochirurgo milanese di origini mediterranee, che con Giorgio Gaber e Dario Fo ha inaugurato la grande stagione del Cabaret milanese degli anni Sessanta. Jannacci aveva avuto grande successo di pubblico nel 1968 con una canzonetta apparentemente disimpegnata (o forse solo ironica) Vengo anchio. No, tu no!; lanno dopo presenta al pubblico una canzone che invece fa riflettere sulla vita, la sensibilità e la cultura degli Zingari: Enzo Jannacci18 E quando gli zingari arrivarono al mare Fu quando gli zingari arrivarono al mare che la gente li vide, che la gente li vide come si presentano loro, loro, loro gli zingari, come un gruppo cencioso, così disuguale e negli occhi, negli occhi impossibile, impossibile poterli guardare. E allora gli zingari guardarono il mare e restettero muti perché subito intesero che lì non cera niente, niente da dover capire, niente da stare a parlare, niente da stare a parlare cera solo da stare, fermarsi e ascoltare. Sì perché il vecchio, proprio lui, il mare, parlò a quella gente ridotta, sfinita, parlò ma non disse di stragi, di morti, di incendi, di guerra, damore, di bene e di male, non disse lui li ringraziò solo tutti di quel loro muto guardare. E allora lui il vecchio, sì proprio lui, il mare parlò a quella gente bizzarra, svilita e diede al suo corpo un colore anormale di un rosso tremendo, qualcuno a star male, qualcuno a star male questo fu quando gli zingari arrivarono al mare. 117. Gustave le Gray, Il sole allo zenith in Normandia 133 u baro drom Fascino e paura del diverso Altri cantautori presero questa direzione, in Italia: Zingaro/Zingari divenne il paradigma di libertà, spontaneità, autonomia, anticonformismo, critica sociale. Umberto Tozzi Zingaro (1978) Zingaro voglio vivere come te / andare dove mi pare non come me e quando trovi uno spiazzo nella città / montare la giostra e il disco di un anno fa. Zingaro senti lossido di che sa / attento a non ammalarti di civiltà tua moglie col parrucchiere e quel che vuoi / la scuola ti prende i figli e non son più tuoi. Zingaro dente doro dellUngheria / un piatto dei tuoi fagioli che vuoi che sia la notte io dormo al fuoco se tocca a me / ma zingaro voglio vivere come te. Abito là ma vengo via / costa unenormità e poi non ce più poesia lei su di me pesa di più /di tutta la neve che negli anni avrai visto tu. Zingaro voglio vivere come te / oh zingaro voglio vivere come te Zingaro quel seno al lunapark / e quello era il tirassegno degli occhi miei mia madre diceva zingaro finirai / e adesso che sono zingaro e ha vinto lei. Sento che va sento che va / delle frittelle il fumo ecco la libertà. Vento che va vento che va / non sono una Ferrari eppure sento che amico mio amico dio / dimmi la verità il pazzo sono io che amo di più che ho i nervi giù. 118. Il violinista Zingaro voglio vivere come te /oh zingaro voglio vivere come te Lucio Dalla Quante notti da ragazzo / maddormentavo sopra al tetto e sognavo di andare / marrampicavo a dorso nudo sui cornicioni del collegio / per sentire il vento un pensiero come un tarlo la mia mente divorava / città e immagini passavano furbo e bugiardo fin da bambino / non dormivo la notte / per aspettare il mattino 19 Zingaro (2001) Andare senza meta e vagare / per i paesi e le città sognare ad occhi aperti anche per ore / così incontrai la musica per non lasciarla mai / e questa sì che è libertà Quanti volti scoloriti / quanti giorni spettinati vivo così senza rimpianti / angeli e demoni nascosti tra le note / da usare come un Dio / indifferentemente quante notti ho rubato per le strade e tra la gente / illusioni e sofferenze vento nel vento / voglio essere io / senza confini e pareti Andare senza meta e vagare / per i paesi e le città amare quello che ti porta il cuore / partire e poi tornare e non fermarsi mai / andare fino al cielo e ritornare è il gioco dellamore non finirà mai / andare fino in fondo con amore e vivere felici anche il dolore che ti dà Ecco stasera mi piace così /con queste stelle appiccicate al cielo Francesco De Gregori20 Due zingari (1978) la lama del coltello nascosta nello stivale / e il tuo sorriso trentadue perle così disse il ragazzo nella mia vita non ho mai avuto fame / e non ricordo sete di acqua o di vino 134 u baro drom Fascino e paura del diverso ho sempre corso libero, felice come un cane. Tra la campagna e la periferia e chissà da dove venivano i miei / dalla Sicilia o dallUngheria avevano occhi veloci come il vento leggevano la musica / leggevano la musica nel firmamento Rispose la ragazza ho tredici anni / trentadue perle nella notte e se potessi ti sposerei per avere dei figli / con le scarpe rotte girerebbero questa ed altre città / questa ed altre città a costruire giostre e a vagabondare ma adesso è tardi anche per chiacchierare. E due zingari stavano appoggiati alla notte / forse mano nella mano e si tenevano negli occhi aspettavano il sole del giorno dopo / senza guardare niente sullautostrada accanto al campo / le macchine passano velocemente e gli autotreni mangiano chilometri / sicuramente vanno molto lontano gli autisti si fermano e poi ripartono / dicono cè nebbia, bisogna andare piano si lasciano dietro un sogno metropolitano. Prendi questa mano, zingara dimmi pure che futuro avrò. Ora che il vento porta in giro le foglie e la pioggia fa fumare i falò. E cè uno che dice Guarda! Uno che dice Dove?, uno che dice Chissà. E cè acqua che è ferma, acqua che si muove, acqua che se ne va. Prendi questa mano zingara, leggila fin che vuoi. Leggila fino allultimo, leggila come puoi. Prendi questa mano zingara, dimmi ancora quanta vita ci va. Di quanti anni sarà fatto il tempo, e il tempo cosa sembrerà. Saranno macchine o fili derba? Saranno numeri da ricordare. Saranno barche da ridipingere, saranno alberi da piantare. Prendi questa mano, zingara. Raccontami il buio comè. La notte è lunga da attraversare, fammi spazio vicino a te. I tuoi occhi risplendono nel buio. La tua bocca e le tue dita parlano. Il tuo anello rovesciato si illumina. Alla luce dellinsegna dellalbergo di fronte i tuoi denti e la tua schiena brillano mentre i tuoi sensi scintillano, nelloscurità. Prendi questa mano, zingara. Fammi posto vicino a te. La notte è lunga da attraversare, fammi posto vicino a te. I tuoi occhi sorridono nellombra le tue carte si aprono le nostre mani si mischiano. E il presente e linfinito nel buio si confondono, mentre i tuoi sensi rispondono, nellimmensità. Francesco De Gregori 21 Prendi questa mano, zingara (1996) 119. Otto Müller, Le due zingare Fabrizio De Andrè22 Khorakhanè (A forza di essere vento) I l cuore rallenta la testa cammina / in quel pozzo di piscio e cemento a quel campo strappato dal vento / a forza di essere vento porto il nome di tutti i battesimi / ogni nome il sigillo di un lasciapassare per un guado una terra una nuvola un canto / un diamante nascosto nel pane per un solo dolcissimo umore del sangue / per la stessa ragione del viaggio viaggiare Il cuore rallenta e la testa cammina / in un buio di giostre in disuso 135 u baro drom Fascino e paura del diverso qualche rom si è fermato italiano / come un rame a imbrunire su un muro saper leggere il libro del mondo / con parole cangianti e nessuna scrittura nei sentieri costretti in un palmo di mano / i segreti che fanno paura finchè un uomo ti incontra e non si riconosce / e ogni terra si accende e si arrende la pace i figli cadevano dal calendario /Yugoslavia Polonia Ungheria i soldati prendevano tutti / e tutti buttavano via e poi Mirka a San Giorgio di maggio / tra le fiamme dei fiori a ridere a bere e un sollievo di lacrime a invadere gli occhi / e dagli occhi cadere ora alzatevi spose bambine / che è venuto il tempo di andare con le vene celesti dei polsi / anche oggi si va a caritare e se questo vuol dire rubare / questo filo di pane tra miseria e sfortuna allo specchio di questa kampina / ai miei occhi limpidi come un addio lo può dire soltanto chi sa di raccogliere in bocca / il punto di vista di Dio Cvava sero po tute / i kerava jek sano ot mori / i taha jek jak kon kasta Poserò la testa sulla tua spalla / e farò un sogno di mare / e domani un fuoco di legna vasu ti baro nebo / avi ker kon ovla so mutavia / kon ovla perché laria azzurra / diventi casa chi sarà a raccontare / chi sarà ovla kon ascovi / me gava palan ladi me gava / palan bura ot croiuti sarà chi rimane / io seguirò questo migrare seguirò / questa corrente di ali. 120. Otto Müller, Zingare Wolfdietrich Schnurre23 Ballata degli Zingari (1988) A mezzogiorno gli zingari non viaggiano. A mezzogiorno cè in giro Mulo, lo spirito dei morti. E lora senza ombre. Il sole è allo Zenit tra Oriente e Occidente. Ora tutto appartiene ai Mulé: i campi scintillanti e le luccicanti antenne della televisione, le borchie cromate delle macchine e la venata volta celeste. Vito va a prendere le patate. Gaspar e Kukas scendono dai loro trattori. I glutei sono ancora contratti; si stiracchiano lamentandosi. Chrapos protegge dalla parte del sole le gomme del suo camion con del cartone ondulato. Ruben mette dellacqua nel radiatore che sfrigola. Cè sabbia rossa sulle roulotte, sulle carrozzerie. Le donne la puliscono dai vetri dei finestrini con il palmo delle mani. Il cane di Mischgas ha catturato una talpa. Tutte le famiglie del clan fanno un fuoco; ogni famiglia un fuoco per sé. Fino a quando le patate non sono nere come il carbone di legna e dentro dolci come il pane bianco, gli uomini parlano. Il loro parlottare è gradevole. Si sa, dove è il posto di ognuno, lo si ha nellorecchio. Però Vito oggi lo dimenticherà. Perché Vito avrebbe parlato volentieri al Mulo, per quanto davvero terribile possa apparire. Vito lo aspetta da molto. Ma il Mulo da lui non si fa vedere. Le donne dicono che di giorno lui abita nel vento. Certo nelle scie di polvere, che il respiro dellestate soffia sui campi, non si riesce a distinguere il Mulo. 136 u baro drom Fascino e paura del diverso Note: GARCIA LORCA F., Romancero Gitano, 1928. Federico Garcia Lorca (1899-1936), poeta e drammaturgo spagnolo, tra i fondatori dellAssociazione degli intellettuali antifascisti (1936) fu arrestato e fucilato dai franchisti allinizio della guerra civile. La sua attività si muove nel campo della musica, del teatro, della poesia, della pittura ed è caratterizzato da una molteplicità di suggestioni e ispirazioni: il canto e la poesia gitana, la tradizione Andalusa, la tradizione metaforica, il surrealismo, limpegno sociale. Pubblica Romancero Gitano nel 1928 dove rappresenta il mondo dei Gitani dellAndalusia deformandolo in chiave irreale, per trasformarlo nel simbolo della naturalità e della innocenza che sono, per Lorca, il paradiso della poesia. Amore e morte sono colti nella loro essenzialità e fisicità umana, come ingredienti della vita. 2 LÉVINAS E., Totalità e infinito, Milano, 1980, p. 217-219. Emmanuel Lévinas è nato a Kaunas, in Lituania, il 12 gennaio del 1905. Ha vissuto la rivoluzione russa in Ucraina. Nel 1923 insieme alla sua famiglia si trasferisce in Francia a Strasburgo, dove inizia gli studi univeristari. È di questi anni la sua amicizia con Maurice Blanchot. Nel 1928-1929 va a Friburgo, dove assiste alle ultime lezioni di Husserl e conosce Heidegger. Consegue il dottorato nel 1930, con la tesi La teoria dellintuizione nella fenomenologia di Husserl. Partecipa nellimmediato dopoguerra allavanguardia filosofica francese con G. Marcel e J. Wahl. In questi anni inizia anche la direzione della Scuola Normale Israelita Orientale e lamicizia con Henri Nerson a cui dedicherà il suo primo libro di scritti giudaici, Difficile Liberté (1963). Nel 1957 inizia anche lattività di lettura e commento del Talmud ai Colloqui degli intellettuali ebrei francesi. Nel 1961, dopo la pubblicazione di Totalità e Infinito, inizia linsegnamento allUniversità di Poitiers, nel 1967 passa allUniversità di Paris-Nanterre e dal 1973 alla Sorbonne. Muore il 25 dicembre del 1995. Tra le altre opere: Dallesistenza allesistente (1947); Il tempo e laltro (1949); Alla scoperta dellesistenza con Husserl e Heidegger (1949); Quattro letture talmudiche (1968); Umanismo dellaltro uomo (1972); Altrimenti che essere o al di là dellessenza (1974); Nomi propri (1976); Di Dio che viene allidea (1982); Etica e infinito (1982). 3 CERVANTES DE M., La zingarella, in Novelle esemplari, Torino 2002, pp. 9-85. Si è deciso di tradurre, scrivono i curatori, il titolo originale La gitanilla con il termine zingarella, perché non andasse perduta la consuetudine di riferirsi in lingua italiana a questa novella chiamandola La zingarella. In realtà si vuole distinguere, nella presente traduzione, il termine gitano dal termine zingaro: mentre gli zingari sono una popolazione prettamente nomade proveniente da Oriente, i gitani, che pare provengano dal medesimo ceppo, si sono fin dallantichità stabiliti e integrati in Spagna, e sono portatori di un intreccio culturale ormai antico e specifico. Miguel de Cervantes (1547-1616), scrittore spagnolo, fu in Italia per sfuggire a una condanna in patria, intraprese la vita militare, combatté a Lepanto, dove fu ferito, a Navarino, Biserta e Tunisi. Catturato da pirati barbareschi, fu schiavo ad Algeri per cinque anni. Riscattato e tornato in Spagna negli ultimi anni della sua vita si dedicò alla scrittura. Scrisse Il fantastico cavaliere Don Chisciotte della Mancia (1605) e le 12 Novelle esemplari (1613), che vanno dal racconto di aventura, allo studio di caratteri, alla rappresentazione realistica di ambienti umili. 4 Si intende larte del furto. Caco era un mostro a tre teste, figlio di Vulcano, che sottrasse alcuni buoi a Ercole il quale, scopertolo, lo uccise. 5 Romances, componimento di origine casigliana a carattere epico e lirico. 6 PUKIN A., Gli zingari, in Poemi e liriche, versioni, introduzione e note di Tommaso Landolfi, Torino 1982, pp. 195-231. Nasce a Mosca nel 1799 e muore in duello a S. Pietroburgo nel 1837. È il più importante poeta russo di tutti i tempi. Esponente del movimento romantico, autore di racconti e poemi in versi, tra cui Evgenij Onegin Eugenio Onegin musicato in seguito da Piotr Ilic Ciakovskij; trascorse un periodo della sua vita tra gli Zingari. 7 LENAU N., Die drei Zigeuner, in Gedichte, Stuttgart und Augsburg 1857; traduzione italiana di Maria Soresina in Testi originali e traduzioni Lieder, Milano 1970. Nikolaus Lenau nasce nel 1802 e muore nel 1850, poeta austriaco dellepoca del Biedermeier. Nella sua poesia melanconica e triste costruisce metafore con immagini della natura per rappresentare la condizione umana, fatta di fragilità e di caducità. 8 BAUDELAIRE C., I fiori del male, Milano 1996, p. 47. 9 VERGA G., Quelli del colera (1887), in Tutte le novelle, Milano 1996. 10 DELEDDA G., Il tesoro degli zingari, in Romanzi e novelle, Milano 1994. Grazia Deledda (1871-1936), scrittrice, autodidatta, autrice di romanzi e racconti, anche romanzi dappendice, fu premio Nobel per la letteratura nel 1926. Lambiente verista e il clima dannunziano hanno caratterizzato la sua produzione narrativa. Opere principali: La via del male, La giustizia, Elias Portolu, Cenere, I giuochi della vita, Ledera, Chiaroscuro, Canne al vento, La madre, Il segreto delluomo solitario, Il Dio dei viventi, Annalena Bilsini, Il dono di Natale. 11 CANETTI E., La lingua salvata. Storia di una giovinezza, Milano 1980, pp. 25-26. Elias Canetti nasce nel 1905 in Bulgaria da una famiglia ebraica di origine spagnola. Ebbe come lingue materne lantico spagnolo parlato in casa e il bulgaro. Nel 1911 si trasferì con la famiglia a Manchester, dove imparò linglese. Viaggiò molto, e, tra il 1913 e il 1916, acquisì come quarta lingua il tedesco, prediletto dalla madre: lo definirà poi «la lingua salvata», alla quale resterà sempre fedele, anche negli anni del nazismo e dellesilio a Londra, dal 1938. Dal 1924 a Vienna, studiò chimica per volere della madre, ma, pur laureandosi, decise di dedicarsi alla letteratura. Nel 1935 esce il suo primo e unico romanzo, Die Blendung, tradotto in italiano, per volere dello stesso Canetti, come Auto da fé (1935), incentrato sulla solitudine nella società contemporanea. Vanno segnalati Massa e potere (1960), saggio sulla psicologia del controllo sociale e lautobiografia, divisa nei volumi La lingua salvata (1977), Il frutto del fuoco (1980) e Il gioco degli occhi (1985). Nel 1981 ottiene il premio Nobel per la letteratura. Muore a Zurigo il 14 agosto del 1994. 12 SGORLON C., Il Caldèras, Milano 1988 e 1991, pp. 8-17. Carlo Sgorlon nasce a Cassacco, in Friuli, nel 1930, scrittore e giornalista, ha raccontato nelle sue opere la vita e i miti di un Friuli arcaico e fiabesco. Tra le sue opere principali ricordiamo: Il trono di legno (1973), Regina di Saba (1975), Larmata dei fiumi profondi (1985), La fontana di Lorena (1990), Il regno delluomo (1994). 1 v 137 v u baro drom Fascino e paura del diverso Regione della attuale Romania tra le Alpi Transilvaniche e il fiume Danubio. Il romanzo fa riferimento ai territori dellImpero Austroungarico tra il 1914 (vigilia della prima guerra mondiale) e il 1948 (secondo dopoguerra). 14 Devèl è la divinità, la forza del bene, cui si oppone Beng, divinità che rappresenta la forza del male. 15 Così gli Zingari chiamano il carrozzone. 16 HRABAL B., Una solitudine troppo rumorosa, Torino 1987, pp. 54-55. Bohumil Hrabal nasce il 28 marzo1914 a Brno-Zidenice. Scrittore ceco, autore di racconti dalla paradossale ironia, costruiti avvicinando elementi e linguaggi diversi. Tra le sue opere principali ricordiamo: 1964 Luragano di novembre; Lezioni di ballo per adulti e perfezionandi; Vuol vedere Praga doro?; 1965 Inserzione per una casa che non voglio più abitare; Ostre sledované vlaky Treni strettamente sorvegliati; 1968 Leggende e storie truci ;1970 Boccioli; 1971 Obsluhoval jsem anglického krále - Ho servito il re dInghilterra; 1973 Un tenero barbaro; 1976 Tonsura; 1976 Una solitudine troppo rumorosa; 1979 Tristezza per la bellezza; 1981 I club della poesia; Kluby poezie: Prilis hlucná samota - Una solitudine troppo rumorosa; 1985 Autobiografia [3 voll.]; 1990 Totální strachy - La tendenza alle sbornie e al comunismo; 1991 Luragano di novembre; Nozze in casa. Muore a Praga nel 1977. 17 PRZYTYK S., Auschwitz: storie vere da un paese grottesco, cit. in TONG D. (a cura di), Storie e fiabe degli Zingari, Milano 1997, pp. 15-16. 18 JANNACCI E., E quando gli Zingari arrivarono al mare (1969), in La mia gente, 1970. 19 DALLA L., Luna Matana, 2001. 20 DE GREGORI F., De Gregori, 1978. 21 DE GREGORI F., Prendi questa mano, Zingara, da Prendere o lasciare, 1996. 13 DE ANDRÈ F., Khorakhanè, in Anime Salve, 1996. Khorakhanè è tribù Rom di provenienza serbo-montenegrina. 23 SCHNURRE W., Zigeunerballade, Berlin 1988, pp. 7-8. Immagini di Marina Schnurre. Wolfdietrich Schnurre nasce il 22 agosto 1920 a Francoforte e muore il 9 giugno 1989 a Felde. Trascorre la sua infanzia a Berlino; è soldato durante la seconda guerra mondiale. Dopo la guerra torna a Berlino, inizialmente nel settore Est della città, dove vive il padre con cui ha un buon rapporto. Lavora come redattore volontario presso Ullstein e nel 1946, quando i sovietici gli impediscono di collaborare per un giornale dellOvest, si trasferisce nel settore occidentale di Berlino. Dal 1950 è un libero professionista della scrittura, prima a Berlino e poi a Felde, vicino a Kiel. Co-fondatore della associazione di intellettuali Gruppo 47, ottiene il premio Georg-Büchner e il premio Fontane. Nel 1962 si dimette da membro del P.E.N.-Club, poiché lassociazione non si era pronunciata apertamente contro la costruzione del muro di Berlino. I suoi libri per linfanzia si avvalgono del contributo artistico della moglie Marina. 22 Per saperne di più BAUDELAIRE C., I fiori del male, Milano 1996. CANETTI E., La lingua salvata. Storia di una giovinezza, Milano 1980. CERVANTES DE M., La zingarella, in Novelle esemplari, Torino 2002. D ELEDDA G., Il tesoro degli zingari, in Romanzi e novelle, Milano 1994 G ARCIA L ORCA F., Romancero Gitano (1928), Milano 1977. HRABAL B., Una solitudine troppo rumorosa, Torino 1987. L ÉVINAS E., Totalità e infinito, Milano, 1980. N ARCISO L., La maschera e il pregiudizio. Storia degli Zingari, Roma 1990. PUKIN A., Poemi e liriche, Torino 1982. SGORLON C., Il Caldèras, Milano 1988 e 1991. VAUX DE F OLETIER F., Mille anni di storia degli Zingari, Milano 1990. VERGA G., Quelli del colera (1887), Tutte le novelle, Milano 1996. 138