Gregorianum
Estratto
RECENSIONES
Pontificia Universitas Gregoriana
Roma 2013 - 94/3
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Gregorianum
L’INTERPRETAZIONE DELLA BIBBIA NELLA CHIESA VENT’ANNI DOPO
Presentazione
JEAN-PIERRE SONNET, S.I., La Bible et l’histoire, la Bible et son histoire:
une responsabilité critique
JACEK ONISZCZUK, S.I., L’analisi retorica biblica e semitica
ANDRE WÉNIN, Le récit et le lecteur
MASSIMO GRILLI, Parola di Dio e linguaggio umano. Verso una pragmatica
della comunicazione nei testi biblici
ROLAND MEYNET, S.I., Résurgence de l’exégèse typologique. Une dimension essentielle de l’intertexualité
VICTOR SALAS, Thomas Aquinas’s Metaphysics of the Person and Phenomenological Personalism. The Case of Incommunicability
FELIX KÖRNER, S.I., Salvific Community. Part One: Ignatius of Loyola
Pontificia Universitas Gregoriana
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GREGORIANUM, VOL 94 (2013) FASC. III: RECENSIONES
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RECENSIONES
BIBLIA
COOK, L. STEPHEN, On the Question of the «Cessation of Prophecy» in Ancient
Judaism, Texts and Studies in Ancient Judaism 145, Mohr Siebeck, Tübingen
2011; pp. xi + 226. 79,00. ISBN 978-3-16-150920-9.
Il libro di L.S. Cook è il frutto del lavoro svolto per la dissertazione dottorale
presentata in Biblical Studies Faculty presso The Catholic University of America
(2009). L’opera si inserisce nell’ambito di numerosi studi, apparsi negli ultimi
decenni, che riguardano il giudaismo del Secondo Tempio e affronta, nello specifico, lo status dei profeti e del profetismo in questo periodo. Fino al ventesimo
secolo si riteneva che i documenti antichi esprimessero un quadro piuttosto concorde
e unitario del processo storico sulla cessazione della profezia nel periodo persiano.
Negli ultimi decenni, però, sono state messe in questione tali conclusioni puntando
l’attenzione su altri testi che dimostrano la presenza dell’attività profetica nel
periodo che oltrepassa l’epoca della sua presunta fine. Da questi dati parte la ricerca
di Cook organizzata in tre parti.
Nella Prima, che porta il titolo Literature Review, l’A. presenta — in ordine
cronologico — una lista di testi chiave a motivo dei quali si era sviluppata la tradizionale convinzione della cessazione della profezia nel periodo persiano o subito
dopo (cap. 1). Di seguito (cap. 2) l’autore espone le discussioni accademiche sulla
questione negli ultimi 150 anni. Nella sua valutazione sullo stato di ricerca (cap. 3)
l’A. sposta l’interesse su una distinzione di fondo, espressa già da Barton: il fatto
che gli scrittori antichi (dagli autori dei testi biblici alla letteratura rabbinica,
passando per gli scritti apocrifi, Flavio Giuseppe, Filone e così via) credessero
generalmente che la profezia fosse cessata nel periodo post-esilico, non comporta
che una tale convinzione debba essere riproposta oggi in maniera acritica. La
Seconda e la Terza Parte dell’opera sono dedicate alla verifica di un tale assunto.
La Seconda Parte — Did Second Temple Jews Believe Prophecy Had Ceased?
— (capp. 4-12) comprende l’analisi dei testi antichi che contengono la visuale tradizionale. Secondo Cook è fondamentalmente corretto asserire che gli ebrei del
Secondo Tempio ritenessero il periodo persiano come il tempo della cessazione
della profezia. Tuttavia, è necessario specificare che, parlando di «cessazione», gli
autori moderni utilizzano un’espressione impropria, considerando la profezia come
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definitivamente scomparsa. Invece, gli ebrei del Secondo Tempio si ritenevano
appartenenti a un periodo intermedio, posto tra manifestazioni profetiche differenti:
veneravano infatti i profeti del passato e anticipavano il giorno in cui ne sarebbero
apparsi altri. Di conseguenza Cook sostiene che l’espressione «sospensione della
profezia» corrisponda meglio alla visuale espressa dagli autori di questo periodo.
La Terza Parte — The «Cessation of Prophecy» in the Modern Debate — consiste di un solo capitolo (13), in cui si espone e si valuta la ricerca contemporanea
sul problema in questione. La domanda alla quale si vuole rispondere è se, da un
punto di vista critico, i testi che attestano la presenza di alcune forme di attività
profetica nel periodo post-esilico invalidino del tutto la convinzione che la profezia
fosse ormai cessata. I due tipi di approccio che si contendono la risposta — quello
«tradizionale» e il «più recente» (o «non-tradizionale») — sono valutati dall’A. nei
loro aspetti positivi e negativi. In questo modo Cook spera di introdurre più chiarezza metodologica nella discussione accademica che si fa sull’argomento.
Nella conclusione del libro (Conclusions, cap. 14) viene specificata la novità dell’opera che consiste nel valutare la critica moderna alla tesi sulla cessazione della
profezia nel periodo del Secondo Tempio.
Secondo l’A. gli studiosi dell’orientamento non-tradizionale hanno il merito di
aver sottolineato, in base alle prove raccolte, l’esistenza dell’attività profetica nell’epoca del Secondo Tempio. In questo modo hanno colmato alcune carenze della
teoria tradizionale, che ha ignorato o minimizzato la persistenza del fenomeno
profetico in questo periodo. D’altra parte, l’A. insiste sul fatto che, nell’affrontare la
questione, è necessario individuare e descrivere il modo di concepire la profezia
proprio degli antichi, senza imporre la visuale moderna. In definitiva, a giudizio dell’A., i due approcci non sono contraddittori, come di solito viene affermato, ma
dipendono soprattutto dalla definizione della profezia che pongono alla base della
loro ricerca. Quindi la differenza non riguarda tanto le conclusioni alle quali
arrivano le due forme di pensiero ma i presupposti metodologici.
L’opera ha il merito di presentare, in maniera dettagliata, le fonti testuali e lo
status quaestionis sulla ricerca. Anche se la lettura non è sempre scorrevole a causa
delle frequenti ripetizioni, si tratta di un contributo utile e ben documentato su un
problema di vasto interesse.
ELZBIETA OBARA
LAVATORI, RENZO – SOLE, LUCIANO, Empi e giusti: quale sorte? Lettura di Sapienza
1–6, Biblica, EDB, Bologna 2011; pp. 176. 16,00. ISBN 978-88-10-22156-3.
Come indicato dal sottotitolo e spiegato nella prefazione, gli autori, un teologo
dogmatico (Lavatori) e un biblista (Sole), vogliono offrire una lettura (che risulta poi
corsiva) di Sap 1–6 con «la disanima letterale del testo, lo studio della sua struttura e
dello svolgimento concatenato» (p. 5). In questo modo, il volume «raccoglie le
riflessioni scaturite» da queste pagine bibliche con lo scopo di recuperare un
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atteggiamento sapienziale oggi e di «riscoprire le linee guida per un costruttivo
vivere nella docilità alla parola di Dio» (p. 9).
L’opera si articola in sette capitoli, che corrispondono alle altrettante sezioni
nella divisione di Sap 1–6 secondo gli autori. Così, si analizzano rispettivamente Sap
1,1-12 intitolato con «L’incompatibilità tra sapienza ed empietà», Sap 1,13–2,24 «Il
mortifero ragionare degli empi», Sap 3,1-12 «Congiunture umanamente paradossali», Sap 3,13–4,6 «Il raffronto sovvertitore tra sterilità e fecondità», Sap 4,7-20
«La morte precoce e la maturità del saggio», Sap 5,1-23 «Il totale rovesciamento
delle parti», e Sap 6,1-21 «Il giudizio di Dio e la sua sapienza». Alla fine, viene
allegata la bibliografia delle opere citate (pp.167-169).
Nei summenzionati capitoli, dopo una nota introduttiva, gli autori percorrono il
testo biblico versetto per versetto per presentare un commento esegetico-spirituale
abbastanza dettagliato alle sentenze sapienziali, raggruppate senza però troppa argomentazione in vari blocchi tematici, i cui titoli assai azzeccati fanno entrare già nella
dinamica del brano e dell’esegesi stessa. In concreto, nel primo capitolo, Sap 1,1-12
è analizzato in quattro momenti: 1) La semplicità di cuore e la manifestazione di Dio
(1,1-2); 2) Il dissidio tra la potenza divina e il peccato (1,3-5); 3) Lo Spirito amico,
testimone e giudice (1,6-10); 4) Nella maldicenza la morte dell’anima (1,11-12). Lo
stesso numero delle sottosezioni si trova nell’analisi della seconda e più lunga parte
di Sap 1,13–2,24, precisamente: 1) L’azione creatrice e vitale di Dio (1,13–2,1a); 2)
La mentalità mondana degli stolti (2,1b-11); 3) La rivalità e il disprezzo verso il
giusto (2,12-20); 4) L’accecamento di fronte ai misteri divini (2,21-24).
Segue la breve analisi di Sap 3,1-12 nel terzo capitolo con due sottosezioni: 1)
La tribolazione e la beatitudine dei giusti (3,1-9); 2) Il castigo e l’infelicità degli
insipienti (3,10-12). Viene poi il quarto capitolo con il commento su Sap 3,13–4,6,
di nuovo in quattro blocchi: 1) Il frutto beato della sterile e dell’eunuco (3,13-15); 2)
La prole miserevole degli adulteri (3,16-19); 3) La virtù e l’immortalità al di sopra
dei figli (4,1-2); 4) La discendenza illegale numerosa e inutile (4,3-6).
Subentrano i due capitoli che hanno il più grande numero di sottosezioni. Il quinto capitolo analizza Sap 4,7-20 in cinque parti: 1) Il riposo nella morte anticipata
(4,7); 2) Quale la vecchiaia venerabile? (4,8-9); 3) L’amore di Dio compimento
della vita (4,10-12); 4) La perfezione, pienezza del tempo (4,13-14ab); 5) L’incomprensione e il disprezzo umani (4,14cd-20). Il sesto capitolo, invece, tratta del brano
di Sap 5,1-23, diviso in sei parti: 1) La manifestazione gloriosa del giusto (5,1-3); 2)
L’inquietante reazione dei denigratori (5,4-5); 3) La confessione della deviante
cecità (5,6-7); 4) La vita scellerata e fugace (5,8-13); 5) La vana speranza o la
felicità perenne (5,14-16); 6) Il combattimento cosmico finale (5,17-23).
Il settimo e ultimo capitolo analizza il lungo brano di 6,1-21, diviso in due parti:
1) Ai governanti l’invito pressante (6,1-11); 2) Lo splendore della Sapienza (6,1221).
Per ogni capitolo, l’esegesi si fa sulla base della propria traduzione, che si allega
per intero alla fine (e che va messa meglio all’inizio per aiutare i lettori ad avere
subito uno sguardo globale e contestuale sul testo del brano o sezione da trattare e
così stimolare la meditazione diretta sulla parola di Dio). Inoltre, essa viene eseguita
in dialogo con gli studiosi del campo, tra cui spiccano G. Scarpat, A. Sisti, M.
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Gilbert, e L. Mazzinghi (pochi sono gli autori stranieri consultati). Il confronto con
altri autori avviene solo nelle note, forse per evitare la pesantezza di un’analisi
troppo accademica e quindi per una lettura meditativa più agevole del commento. Si
fa poi particolare attenzione ai significati dei termini chiave nel testo. Si potrebbe
arricchire quest’analisi filologico-teologica, anche per una meditazione più profonda, con più riferimenti ai passi biblici affini, come, a mo’ di esempio, nel caso di
logismoi «ragionamenti [cattivi]» (Sap 1,3.5; 11,15) (p. 18) che avrà piena sfumatura negativa con dialogismoi (cf. Is 59,7; Mt 15,19; Mc 7,21; Lc 2,35; 24,38), e di
aphr�n «stolto» (Sap 1,3; 3,2.12; 5,4) (p. 19) (cf. Pro 14,16; Qo 10,3; Sir 16,23; Lc
12,20).
Con stile e linguaggio raffinato ma mai complicato, il volume può servire come
(primo) commento e libro di meditazione su Sap 1–6 per un richiamo alle riflessioni
divinamente ispirate, i.e. normative per i credenti, su varie realtà della vita, e per una
formazione dei fedeli a un pensare e discernere sapienziale sempre di più secondo la
parola di Dio.
DINH ANH NHUE NGUYEN, OFMCONV
MACCHI, JEAN-DANIEL – NIHAN, CHRISTOPHE – RÖMER, THOMAS – RÜCKL, JAN, ed.
Les recueils prophétiques de la Bible. Origines, milieux, et contexte procheoriental, Le monde de la Bible 64, Labor et Fides, Genève 2012; pp. 552.
42,00. ISBN 978-2-8309-1436-8.
El presente volumen, editado por renombrados profesores de la Universidad de
Ginebra y Lausana, recoge las contribuciones de un programa doctoral organizado
por la universidades de Suiza occidental, cuyo objetivo es hacer una presentación de
las cuestiones relacionadas con la formación del corpus profético de la Biblia
hebrea.
La introducción («La formation des livres prophétiques: enjeux et débats»), a
cargo de J.-D. Macchi y T. Römer, afronta el problema de la formación de los libros
proféticos de forma ágil y pedagógica. No pretende ni mucho menos hacer una
historia de la investigación sobre estos libros, sino presentar las nuevas corrientes y
orientaciones que la caracterizan en la actualidad: la especificidad del profetismo
bíblico, el perfil «sociológico» de los profetas bíblicos, el paso del profeta al libro,
los diferentes modelos redaccionales que explican la formación de los libros
proféticos, los acercamientos sincrónicos, el profetismo fuera de los Nebiim, los tres
«grandes» profetas (Isaías, Jeremías y Ezequiel) y los Doce profetas menores.
La primera parte se ocupa de la profecía del antiguo Oriente próximo y contiene
dos contribuciones: una de D. Chaprin sobre el profetismo a partir de los archivos de
Mari («Le prophétisme dans le Proche-Orient d’après les archives de Mari») y otra
de M. Nissinen sobre la relación entre profetismo y culto a partir de una comparación entre los textos cuneiformes del segundo y primer milenio a.C. y los textos
bíblicos («Prophètes et temples dans le Proche-Orient ancien et les textes
bibliques»).
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La segunda parte, a cargo de K. Schmid, trata de la formación del corpus de los
Nebiim en general, es decir, los llamados profetas anteriores y posteriores («La formation des “Nebiim”: quelques observations sur la genèse rédactionnelle et les
profils théologiques de Josué-Malachie»).
La tercera parte, dedicada a la formación del libro de Isaías, recoge los estudios
de J. Vermeylen sobre las redacciones deuteronomistas en Isaías («Des rédactions
deutéronomistes dans le livre d’Esaïe?»), J.-D. Macchi sobre el Deuteroisaías
(«Deutéro-Esaïe: enjeux et recherche»), C. Nihan sobre el Tritoisaías («L’histoire
rédactionnelle du “Trito-Esaïe”: un essai de synthèse») y de Macchi – Nihan que se
concentran en el estudio de un texto a modo de ejemplo ilustrativo («Etude d’un cas:
Esaïe 54–55»).
La formación del libro de Jeremías es el tema de la cuarta parte. Sobre ella discuten extensamente T. Römer («Du livre au prophète: stratégies rédactionnelles dans le
rouleau prémassoretique de Jérémie») y J. Ferry, quien se concentra en un solo
capítulo del libro («“Le livre dans le livre”: lecture de Jérémie 36»).
La quinta parte, sobre la formación del libro de Ezequiel, contiene los estudios
de K.F. Pohlmann («La question de la formation du livre d’Ezéchiel») y J. Lust
(«Ezéchiel dans la LXX»).
La formación de los Doce profetas menores es el objeto de la sexta parte, en la
que participan cuatro autores. J.D. Nogalski estudia el proceso redaccional del libro
de los Doce («Un et douze livres; la nature du processus rédactionnel et les implications de la présence de matériau cultuel dans le Livre des XII Petits Prophètes»);
E. Ben Zvi discute la hipótesis de un Libro de los Doce («L’hypothèse d’un Livre
des Douze est-elle possible du point de vue des lecteurs anciens?»); R. Küng enfoca
la cuestión de los Doce a partir de Sofonías («Eclairages sur la question des XII à
partir du livre de Sophonie»); por último, I. Himbaza lo hace a partir de Malaquías
(«Malachie parmi les prophètes: témoin d’une longue histoire de la rédaction et de
l’évolution textuelle»).
La séptima y última parte está dedicada a la profecía fuera de los Nebiim, ya sea
en el corpus profético de la LXX (E. Bonns, «Dieu dans le corpus prophétique de la
Septante: quelques exemples d’exégèse intra-biblique et d’innovation théologique»),
en Qumrán (G.J. Brooke, «La Prophétie de Qumrân»), o en la literatura apocalíptica
(M. Leuenberger, «Histoire théonome: théologies prophétiques et apocalyptiques de
l’histoire»).
En resumen, el libro en cuestión es ciertamente muy interesante bajo diversos
aspectos. Pone en el tapete todas las cuestiones fundamentales del profetismo bíblico
y extra-bíblico y las discute abiertamente con los autores, ofreciendo un panorama
que, sin ser exhaustivo, es completo y sobre todo actual. Es de notar la variedad en
la modalidad de los artículos: algunos tratan de cuestiones y temas generales, mientras otros se concentran en el estudio de los textos concretos, lo cual no solo
contribuye a la presentación equilibrada de los contenidos sino que también favorece
la recepción de los mismos de parte del lector o lectora. Por último, quiero destacar
que los estudios sobre la profecía extra-bíblica ponen a disposición de los lectores
una serie de textos que suelen ser de difícil acceso para los no especialistas. Así
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pues, se trata de una obra indispensable para cuantos quieran ponerse al día y
ahondar en las cuestiones relativas al corpus profético.
NURIA CALDUCH-BENAGES
MCDONALD, LEE MARTIN, The Origin of the Bible: A Guide for the Perplexed,
Guides for the Perplexed, T&T Clark, London – New York 2011; pp. 257.
£ 16,99. ISBN 9780567139320.
La colección «Guides for the Perplexed» ofrece introducciones claras, concisas y
accesibles a pensadores y escritores, así como temas especialmente difíciles no sólo
para los estudiosos, sino también para el público interesado. De dicha colección
forma parte el presente volumen escrito por Lee Martin McDonald, profesor de
Nuevo Testamento emérito de la Acadia Divinity School de Nova Scotia (Canadá),
centro del cual había sido presidente.
El tema abordado es sin lugar a dudas, difícil, desafiante y de gran actualidad no
sólo en los círculos académicos sino también en las distintas iglesias. Se trata del
origen y formación de la Biblia con todas las cuestiones relativas, a saber, el
concepto de canon, el proceso de canonización, inspiración, Escritura, libros deuterocanónicos, pseudepigráficos, apócrifos, Antiguo/primer Testamento, Nuevo
/segundo Testamento, entre otras.
Con una pluma ágil y un estilo muy pedagógico, intercalando experiencias
personales de su vida académica y pastoral, el autor demuestra su dominio del tema
y una gran capacidad para explicarlo de forma accesible a los no especialistas. Al
objeto de despertar el interés de los lectores, recorre a menudo a preguntas como las
siguientes: ¿cómo se explica que en las comunidades judías y cristianas algunos
libros que gozaban del favor popular fueran eventualmente excluidos? ¿qué criterios
fueron utilizados en el proceso de selección? ¿por qué algunos libros fueron
inicialmente aceptados y, sin embargo, rechazados más tarde? ¿se tendría que volver
a incluir estos libros en nuestras Biblias? ¿se debería seguir incluyendo aquellos
textos que hoy resultan incómodos en nuestras iglesias? ¿está la Biblia abierta para
incluir otros libros o está cerrada? ¿hay argumentos bíblicos o teológicos que se
oponen una eventual apertura?
El libro consta de ocho capítulos. El primero es una especie de introducción en la
que se defiende la importancia y la actualidad del problema («Introduction and
Preliminary Observations»). A su vez, se clarifican algunas cuestiones como son la
diferencia entre escritura y canon, el origen de las expresiones «Antiguo Testamento» y «Nuevo Testamento», así como el proceso de canonización. El segundo
capìtulo presenta una panorámica histórica («An Overview of the Story»). A partir
de la historia de un pueblo que emigró de Egipto a Canaán bajo la guía y protección
de Dios (el Éxodo), el autor avanza en el tiempo para detenerse en los escritos
sagrados de los judíos y los cristianos, así como en los considerados deuterocanónicos (apócrifos según la tradición protestante) y pseudepigráficos,
ofreciendo las listas completas con la información sobre cada uno de ellos. Los
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capítulos tercero («The Emergence of the Old Testament Canon») y cuarto («The
Completion of the Old Testament Canon») están enteramente dedicados al canon del
AT. Ellos se ocupan, entre otras cosas, de los textos que reflejan la autoridad de las
Escrituras de Israel (el libro de Ben Sira y el prólogo de su versión griega; 1 Mac
1,56-57; 2 Mac 2,13-15; 4QMMT; De Vita Contemplativa, 3,25-28; Lc 11,48-51 y
Mt 23,34-35; Lc 24,44; Contra Apión de Flavio Josefo; 2 Esd 4,28-48; Melitón de
Sardis; b. Baba Bathra 14b), de la relación entre los escritos de Qumrán y el canon
del AT, el judaísmo rabínico y el de la diáspora, el orden de la Biblia hebrea y el del
AT, las decisiones tomadas en los concilios.
A partir del quinto capítulo («The Emergence of Christian Scriptures») el interés
se centra en el NT: la autoridad de Jesús y los primeros escritos cristianos, la
autoridad de los apóstoles y sus escritos, la autoridad de los escritos apostólicos, los
agrapha (los dichos no-canónicos de Jesús) y los apócrifos cristianos. El capítulo
sexto («The Influence of “Heresy” and “Orthodoxy” on Canon Formation») discute
el papel que jugaron herejía y ortodoxia en la formación del canon de la Biblia
cristiana: Marción, Valentino, los gnósticos y los montanistas por un lado, y por
otro, Ireneo, Clemente de Alejandría, Tertuliano y Orígenes. El capítulo séptimo
(«Fixing the New Testament Canon») está dedicado a la fijación del canon del NT.
El autor examina algunos de los factores más importantes que llevaron a las iglesias
a adoptar el canon definitivo del NT y los criterios antiguos fundamentales utilizados por las iglesias primitivas para determinar el objetivo de sus sagradas escrituras (apostolicidad, ortodoxia, antigüedad, inspiración, uso y adaptabilidad).
Además de la breve lista bibliografíca al final de cada capítulo, el octavo («Final
Comment»), que sirve de conclusión, va seguido de las notas a cada sección y de
una bibliografía general.
A mi juicio, este volumen es una buena introducción al origen de la Biblia y
puede resultar muy útil no sólo para los estudiantes y personas interesadas en el
tema, sino también para los profesores que tienen que impartir esta materia introductoria. A excepción de algunas repeticiones propias del lenguaje coloquial y de la
dificultad que representa para los lectores la colocación de las notas al final del
libro, el autor ha conseguido su objetivo: «This small volume aims at shedding some
light on some of the most important aspects of how we got our Bible» (p. 1).
NURIA CALDUCH-BENAGES
SICRE, JOSÉ LUIS, Introducción al profetismo bíblico, Verbo Divino, Estella 2011;
pp. 557. 25,48. ISBN 978-84-9945-247-0.
No debe ser pequeña para el autor la satisfacción de ver una segunda edición de
su estudio, aunque ya las siete reediciones que siguieron a la primera aparición del
título «Profetismo en Israel» (1992) certifican por sí solas la gran aceptación que
éste ha tenido.
Pero 10 años de vida para un trabajo de investigación bíblica son ya muchos: la
bibliografía ha crecido enormemente y sobre todo han brotado, vitales y frescas,
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GREGORIANUM, VOL 94 (2013) FASC. III: RECENSIONES
nuevas corrientes exegéticas. Como señala el mismo José Luis Sicre (p. 29), en el
terreno profético el interés se ha desplazado: actualmente cuenta menos el autor con
todo su bagaje personal de experiencias proféticas; ahora se escruta más el escrito, el
libro profético, que para la investigación es además un punto de arranque mucho
más objetivo. Y éste ha sido, por tanto, el objetivo básico de la segunda edición del
SU trabajo de JLS: conceder mayor peso a escritores anónimos, [que son los]
grandes responsables de la redacción final. No por ello la obra resulta más voluminosa; al contrario, baja de peso en algunas páginas. Sin modificar sustancialmente
su organización, el autor ha recortado p. ej. unas 15 pp. en el cap. I, que antes contenía 40 (pp. 25-65) y ahora sólo 25 (pp. 35-60). El antiguo capítulo 9 «Antecedentes
de la profecía bíblica» ha sido recolocado después de haber reducido su temática. El
capítulo 21 de la 1ª edición («El imperialismo») desaparece por completo distribuyendo la temática en los propios contextos naturales. Sicre ha sido también mucho
más escrupuloso en la organización del material profético: si la 1ª edición contenía
22 capítulos, ahora sólo llegan a 29; y esto sin aumento de páginas, al contrario.
También son diversos sus criterios para la Bibliografía, siempre abundante (pp. 479528), que justamente concede más espacio a contribuciones recientes.
Estas y otras observaciones, recogidas y motivadas en el prólogo a la 2ª edición
(pp. 29s) aumentan la calidad del presente trabajo. Inútil repetir aquí una evaluación
crítica del estudio, ya recogida en numerosas recensiones anteriores (cf. p. ej.: J.A.
Soggin en TLZ 119 [1994]19; S. Ausín en ScripTPamp 25 [1993] 1165s; J. García
Trapiello en Ang 75 [1994] 579-82). Por su equilibrio y sus observaciones puntuales,
la presentación de A. Spreafico en Bib 70 (1993) 255-259 es, a mi parecer, una de
las mejores. Y en las recensiones encontrará el lector más detalles sobre la organización fundamental de la obra, que en esta nueva edición tampoco ha cambiado.
Obviamente, se mantienen las tres grandes partes de la 1ª edición: I. El profeta (pp.
31-152). II. Historia del movimiento profético (pp. 153-372). III. El mensaje (pp.
373-478).
La 1ª edición recogía en un subtítulo esta división: «Profetismo en Israel. El
Profeta. Los Profetas. El mensaje». En el título, la 2ª edición es más sobria, pero
más precisa: «Introducción al profetismo bíblico». De hecho, esto es lo que siempre
ha pretendido el autor: «introducir» al lector, «ayudar a abrirse paso en este mundo
[profético] tan complejo». Sicre sabe cómo ayudar: con originalidad, claridad,
excelente capacidad expositiva y una solidez científica indiscutible.
SANTIAGO BRETÓN
WILLI-PLEIN, INA, Das Buch Genesis. Kapitel 12-50, Neuer Stuttgarter Kommentar.
AT 1/2, Katholisches Bibelwerk,Stuttgart 2011; pp. 356. 29,90. ISBN 978-3460-07012-7.
En el reciente estudio de Gen 12–50 late el corazón de un lector actual. Éste es, a
mi modo de ver, uno de los mayores méritos de Ina Willi-Plein.
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La autora dividide la obra en tres partes: I. Introducción compuesta por dos
secciones: 1. Gen 12–50 contemplada como parte integrante del Gènesis y del
Pentateuco (pp. 11-15); 2. Historia del origen literario del Gen (pp. 16-23). II.
Comentario propiamente dicho (pp. 25-320): lo constituyen 67 unidades textuales
que abrazan desde la llamada de Abraham (Gen 12,1-3; p. 23), hasta el capítulo final
(Gen 50; p. 320). III. Apéndice (pp. 321-356): 1. Influjo histórico [Wirkungsgeschichte] del Génesis (pp. 321-345); 2. Literatura selecta (pp. 347-355); 3. Reseña
de imágenes (p. 355); 4. Abreviaturas (p. 356). La obra cuenta, además, con 11
excursus entremezclados dentro de las unidades y señalados por orden al final del
índice (p. 8).
Con admirable pericia, Willi Plein extrae lo nuevo de lo antiguo. Al mencionar
lo «antiguo» pienso en la hipótesis documental. La autora opera bajo el influjo de
èsta sacando el máximo partido de sus muchos méritos exegéticos. Hablar,
por ejemplo, de «fuentes», no significa para la autora enzarzarse en disquisiciones
teológicas en torno a la terminología clásica de los nombres divinos. Su visión de las
fuentes es mucho más «profana», y por ello sustanciosa y abundante.
Así, la sigla «J» es un referente del antiguo reino de Judá (s. VIII). J apunta a un
mundo social formado por campesinos y ganaderos sin la presión asfixiante del
régimen estatal. Lo que para J cuentan son las grandes familias, sus historias. En
ellas queda un enorme espacio para la mujer. Por eso, la autora prescinde del
término «antepasados» contemplados exclusivamente como «patriarcas», pues
desea mantener vivo el protagonismo femenino. Otra visión cultural diversa anida en
la mente de la fuente «Sacerdotal». El modelo aquí no es Judá, más bien, P está
imbuida de la cultura babilónica, y esto impone una remodelación completamente
nueva.
La reflexión de Willi Plein gira en torno a las situaciones socio-culturales de los
textos y no alrededor del nombre divino. Este cambio de perspectiva provoca en el
lector la sensación de estar leyendo un texto totalmente nuevo. Bastaría mencionar
aquí a modo de ejemplo las agudas reflexiones de la autora sobre Gen 12,10-20
(Abraham – Sara en Egipto, pp. 33-39), que disuelven sin esfuerzo el mito de «la
mujer del antepasado» en peligro. No es éste el interés primario del texto, como
tampoco las posibles elucubraciones religiosas. No está en juego un individuo, sino.
Si las intuiciones de Willi-plein son justas — y no hay por qué dudarlo —, Gen
12,10-20 es la historia de un matrimonio de refugiados dispuestos a adoptar
cualquier estrategia con tal de salvar la vida. Tal vez un título más apropiado sería:
«Un matrimonio en lucha por la supervivencia».
Nuestra autora esmuy sensible a lo humano y las complejas relaciones de los
protagonistas observan un gran realismo. Interpelan al lector con una cuestión de
fondo:¿Quién está de parte de la víctima? El lector sabe la respuesta porque es la
misma que vive en su mundo actual: la humillación de Dina, que punza por dentro,
en realidad no le importa a nadie (pp. 222-225).
La obra hace reflexionar sobre lo que supone el parto para la mujer (p. 259),
desvela los entresijos pasionales de la esposa de Putifar (pp. 261s), se adentra en el
laberinto de resentimientos, odio endurecido, vanidad y caprichos de la historia de
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GREGORIANUM, VOL 94 (2013) FASC. III: RECENSIONES
José. Los títulos de ciertas unidades del estudio van repletas de una gran carga
emotiva.
Estas rápidas observaciones ilustran la novedad del comentario de Willi-Plein.
Con ello nada se quita al mérito científico de la obra: la autora conoce de sobra la
investigación exegética, pero sin hacer alardes, y no siente el prurito de confrontarse
con ella a cada momento. Delimita con objetividad los textos de análisis; es escrupulosa al confirmar sus sugerencias mediante la precisión terminológica o la
construcción sintáctica de la frase hebrea. Su estilo sobrio, de comunicación fácil, le
acerca más aún al lector actual, que puede contemplar en el texto bíblico un reflejo
no distorsionado de su propio mundo. El estudio muestra que los resultados actuales
de la ciencia bíblica se pueden compartir con el lector. En este punto, tal vez podría
haberse filtrado más aún la información: No sé si un lector medio está interesado,
por ejemplo, en aclaraciones sobre «petucha» o «setuma» (p. 25).
¿No hubiera sido útil ofrecer el texto antes de cada comentario? Quizá se han
impuesto otras decisiones de tipo más práctico. Tampoco resulta «apetecible» el
color grisáceo de los excursus. ¿Se les quiere restar importancia con ello? Ojalá que
Willi Plein pudiera continuar a regalarnos comentarios bíblicos de este tipo.
SANTIAGO BRETÓN
THEOLOGIA
FERRETTI, GIOVANNI, Essere cristiani oggi. Il «nostro» cristianesimo nel moderno
mondo secolare, Meditare, Elledici, Leumann (TO) 2011; pp. 184. 11,50.
ISBN 978-88-01-04803-2.
On tient couramment l’idée que la sécularisation est le fruit de la modernité et
une sorte de trahison de l’identité chrétienne. En fait, rien n’est moins sûr. L’Église,
lorsqu’elle s’est emparée du pouvoir politique et en a pris les structures, lorsqu’elle a
fait le choix d’adopter des philosophies païennes plutôt que les religions «civiles» il
y a de cela plus de 17 siècles, n’a-t-elle pas adopté des processus de sécularisation?
Répondre à cette question demanderait évidemment bien des réflexions, et des
nuances sans fin.
L’A., professeur émérite de l’université de Macerata et fin connaisseur de la
philosophie contemporaine, note que la pente habituelle de l’Église à s’allier aux
structures du monde a fait que, trop souvent, les pouvoirs politiques n’ont eu aucune
peine à l’utiliser à leurs propres fins. Reste toutefois le problème de savoir ce que
l’on peut entendre aujourd’hui par «sécularisation». Il est évident que l’Église
rencontre de nombreuses oppositions. Par exemple, on l’oppose à l’esprit moderne
qui est créateur tandis qu’elle serait naturellement «réactionnaire». Une critique plus
convaincante vient de Niklas Luhmann, pour qui les structures religieuses sont
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GREGORIANUM, VOL 94 (2013) FASC. III: RECENSIONES
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devenues aujourd’hui des sous-structures sociales; le mot «sécularisation» aurait ce
sens-là, assez précis. Le message de l’Église ne toucherait l’existence humaine que
de manière particulière, pour ne pas dire insignifiante.
Et pourtant le message de l’Église n’est-il pas d’espérance, capable de futur?
Certes, mais à certaines conditions. Ce message est de liberté et de respect; il requiert donc de la part de l’Église de ne plus se croire l’unique dépositaire des valeurs
les plus hautes de l’humanité, de savoir coopérer avec d’autres pour qu’advienne la
paix, pour défendre ceux que les pouvoirs détruisent, pour annoncer la plénitude de
la vie et pas seulement son sacrifice, pour révéler le vrai visage de Dieu et son
humble amour de l’humanité.
La théologie est traversée aujourd’hui par des tensions ancestrales devenues plus
âpres. Deux types de christologies, par exemple, s’affrontent, l’une d’en haut,
d’autre d’en bas. En fait, chaque mode de christologie a ses avantages et ses inconvénients. La christologie d’en bas a cependant aujourd’hui plus d’atouts que la
christologie d’en haut. L’excellence de la christologie d’en haut vient de ce qu’elle
tient fermement à une certaine identité de Dieu, au «qui» du Christ; son désavantage
principal est de rendre difficile la compréhension de l’humanité du Christ en
tronquant le sens réaliste de la miséricorde de Dieu; la théologie d’en haut est en
effet liée spontanément aux attitudes du pouvoir et de la richesse, à une pitié qui
contente l’orgueil du puissant. L’avantage contraire de la christologie d’en bas est de
ne rien délaisser de l’humanité du Christ, du «comment» de Dieu, un «comment» si
radicalement humain qu’il ne peut être que divin. Les évangiles ne disent-ils pas que
«personne n’a jamais parlé comme lui» (Jn 7,46 cité p. 85)? Le désavantage de la
christologie d’en bas est cependant de ne pas se préoccuper suffisamment du «qui»
du Christ. L’A. dégage toutefois quatre traits essentiels du Christ, (1) «l’homme de
Dieu» (2) qui a compassion pour toute souffrance humaine, (3) si libre de soi qu’il
est entièrement disponible pour autrui, (4) non-violent, accueillant et pardonnant —
l’A. suit sur ce point Pierangelo Sequeri pour qui Jésus n’a rien à donner pour
pardonner sinon lui-même.
Il convient donc de relancer la théologie sur des voies plus proches de la phénoménologie, de l’attention aux événements. Par exemple, pour parler de la résurrection, le langage du miracle ne touche plus les consciences; il vaudrait mieux
rendre attentif à la volonté de lutter contre le mal; les apparitions, durant lesquelles
d’ailleurs Jésus n’a jamais été immédiatement reconnu, sont à comprendre comme
des «événements de révélation» plutôt que comme des retours fantastiques; elles
mettent en lumière «ce qui était caché dans ce qui a été visible dans la vie, et surtout
la mort de Jésus» (124). En éthique, l’A. souhaite que la vertu de charité soit moins
entendue comme un effort de l’homme que comme «l’humain qui fleurit» (153).
L’ouvrage se termine par un chapitre important sur l’absolutisation ou la relativisation des valeurs; ce qui est non négociable ne provient pas de dogmes abstraits,
irrationnels et sans arguments, mais du respect divin pour l’humain le plus faible.
PAUL GILBERT, S.I.
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GREGORIANUM, VOL 94 (2013) FASC. III: RECENSIONES
FLORENSKIJ, PAVEL A., Il significato dell’idealismo. La metafisica del genere e dello
sguardo, ed. N. Valentini, trad. R. Zugan, Testi e Documenti 217, SE, Milano
2012; pp. 174. 20,00. ISBN 978-88-7710-915-6.
L’enigma degli universali, strettamente connesso con la teoria platonica delle
idee, «è l’apice del problema fondamentale della filosofia e bisognerebbe non
comprendere affatto la filosofia per non vederlo». Per poterlo risolvere bisogna
partire dai seguenti presupposti: che in ogni singola realtà (hypostasis) si annida in
toto la corrispettiva «idea» (la sua ousia, ovvero l’universale); che ogni conoscenza
è di per sé un atto di vita e, perciò, che solo nel vissuto concreto la realtà si svela
come qualcosa di uno-molteplice; e che l’atto cognitivo non è riducibile ad una mera
attività noetica essendo un esodo del conoscente verso il conosciuto, una comunione
psico-somatica erotica (nel senso patristico del termine) con questo. Questi
presupposti costituiscono il fondamento dell’ «idealismo» florenskijano.
L’esperienza vitale può essere espressa mediante il linguaggio e l’arte. Ogni
concetto o giudizio, benché «uno», è sintesi di molti giudizi. I termini adoperati per
l’enunciazione verbale dello stesso non possono contenere la unipluralità della realtà
a cui essi si riferiscono; i vocaboli, quindi, smettono di essere termini in senso stretto
e si trasmutano in «simboli vivi dei moti interiori». Le raffigurazioni artistiche
presuppongono a loro volta un intrinseco afflato vitale, che trova la massima
espressione nella raffigurazione dello sguardo del volto umano, attraverso cui il
ritrattista si propone di rappresentare l’idea del personaggio raffigurato. La
contemplazione dell’opera d’arte (specie se trattasi di raffigurazione artistica del
prosopon, ovvero di una icona) richiede l’aggiunta alle tre dimensioni della visione
prospettica «canonica» (larghezza lunghezza altezza) di una quarta dimensione: la
profondità (cf. Ef 3,18). La vita, postulato e deduzione di conoscenza, assurge al
rango degli universali, ne diviene il più universale verso cui convergono unificandosi tutte le forme e tutte le potenzialità degli organismi viventi. Fulcro terminale
dell’iter ascensionale verso «l’Idea delle idee» è il Principio di Tutto: la Triunità di
Dio, la quale, con le sue energie infinite, è en kai; polla; in senso proprio totale e
definitivo. Il dogma trinitario avvolge nel suo mistero il mistero degli universali; disvela se medesimo come fondamento della unipluralità dell’uomo e delle cose;
testimonia che la unipluralità del Creato è ad immagine del suo Creatore Uno-trinoinfinito.
La soluzione dell’enigma degli universali proposta da Florenskij, che scorge
nella verità vitale la possibilità di contemplare l’infinito nel finito, si riallaccia alla
patristica primitiva (Ignazio di Antiochia, Ireneo di Lione) che, sulla base di testi
giovannei (cf. Gv 3,15-16; 14,6; 17,3), identifica la Verità con la Vita. Il «realismo
ideale» florenskijano si rifà alla teoria dei Cappadoci secondo cui Dio non crea
essenze astratte ma ipostasi concrete contenenti la loro ousia. Né mancano rinvii agli
Apologeti, a Dionigi Areopagita, a Giovanni Damasceno. Pur prendendo, quindi,
spunto dalla teoria platonica delle Idee e pur rinviando frequentemente ad essa,
«l’idealismo reale» florenskijano è ancorato nel dogma filosofico della creazione e,
ancor più, nel dogma trinitario. Il che induce a riflettere sulla portata e sui contenuti
dell’espressione «(neo)platonismo cristiano» con cui si è soliti definire, spesso in
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GREGORIANUM, VOL 94 (2013) FASC. III: RECENSIONES
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maniera fuorviante se non proprio fallace, il pensiero filosofico-teologico del mondo
cristiano d’Oriente.
La dotta postfazione di N. Valentini è una valida guida alla comprensione di
questo opuscolo breve e denso. La riproduzione in copertina della Raffigurazione
delle porte Regali dell’iconostasi della Chiesa della Trinità e del Beato Sergio, oltre
che confermare in maniera iconica la mutua cuimsessione «uno-molti», aggiunge al
volumetto un tocco di eleganza.
ANTONIS FYRIGOS
PERSZYK, KEN, ed., Molinism. The Contemporary Debate, Oxford University Press,
Oxford 2011; pp. 336. £ 40,00. ISBN 978-0-19-959062-9.
El volumen editado por Ken Perzyk tiene su origen en un taller titulado «El
molinismo: el debate contemporáneo», llevado a cabo en Victoria University en
Wellington, Nueva Zelanda del 11 al 13 de junio de 2008. La estructura del texto
revela este origen. El editor, junto a las ponencias presentadas en el taller, ha dado la
oportunidad a algunos de los participantes de replicar en pocas páginas, a las
posiciones mantenidas en otras intervenciones. Este aspecto dota al libro de una
vivacidad que anima a la lectura y hace honor al subtítulo del libro, que pretende
presentar el debate contemporáneo sobre el molinismo.
El volumen se abre con una buena presentación del editor sobre los orígenes del
molinismo y del debate actual, despertado en el mundo anglo-sajón por Alvin Plantiga a principios de los años 70. Siguen dos presentaciones de los argumentos contra
el molinismo, «La (no) existencia de los contrafactuales» de William Hasker, y a
favor del molinismo, «De dónde viene y a dónde va el debate sobre el molinismo»
de Thomas P. Flint. A estos dos artículos sigue otro de Trenton Merrick sobre «Verdad y molinismo», con una secuela de respuestas de Hasker y Dean Zimmerman y
una contestación de Merrick.
Hay un tercer grupo de artículos de Edwin Mares, Perszyk, Edward Wierenga,
Zimmerman y William Lane Craig, en que se desmenuzan, se refutan y se defienden
los argumentos molinistas a propósito de los contrafactuales. La discusión pasa
después a lo que se llama el molinismo aplicado. Un artículo de Flint sobre «El
molinismo y la Encarnación» explora las posibles consecuencias del molinismo para
el dogma de la Encarnación. Dos artículos de John Marin Fisher y Greg Restall
afrontan (críticamente) lo que el molinismo sostiene a propósito de la Providencia
divina y el libre arbitrio. El volumen se concluye con tres artículos de Hugh J.
McCann, Derek Pereboom y Hasker sobre el problema de la existencia del mal,
acaso la objeción de mayor peso a la existencia de un Dios creador omnisciente,
omnipotente, personal y bondadoso.
El libro muestra la gran cantidad de cuestiones implicadas en la propuesta
molinista. De todas ellas, la que se explora y desarrolla con mayor profundidad y
maestría es la concerniente a la semántica lógica y a la lógica proposicional. La
discusión que se hace del molinismo está determinada por la filosofía analítica
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GREGORIANUM, VOL 94 (2013) FASC. III: RECENSIONES
dominante en el mundo anglosajón. Esta es la virtud y al mismo tiempo la dificultad
del libro. Quien se adentre en su lectura penetrará en refinados argumentos sobre la
validez lógica del molinismo los cuales, demostrando gran competencia lógica,
parecen quedar lejos del problema original del molinismo, a saber, «concordar» el
libre arbitrio con la gracia.
Para hacer progresar el debate entre molinistas y antimolinistas, la propuesta más
sensata es, en nuestra opinión, la de Thomas P. Flint. Éste propone mirar al pasado
intentando ir más allá de las batallas recientes las cuales han favorecido ciertas
fijaciones que impiden el progreso. Tal propósito requeriría trascender el ámbito
anglófono, aspecto que no se da precisamente en en la obra editada por Perzyk y que
constituye tal vez su mayor limitación.
De hecho, la bibliografía final no incluye ninguna referencia que no sea en
inglés. Se podrían haber tenido en cuenta contribuciones de las últimas décadas,
como la de Antonio Queralt, Libertad humana en Luis de Molina (Granada 1977),
Georg Kraus, Vorherbestimmung. Traditionelle Praëdistinationslehre im Licht
gegenwärtiger Theologie (Freiburg 1977), o la reciente de Alexander Aichele,
«Moral und Seelenheil. Luis de Molinas Lehre von den zwei Freiheiten zwischen
Augustin und Aristoteles» en el volumen Politische Metaphysik (Frankfurt 2007).
Un cierto retorno a las fuentes seguramente sería de ayuda para superar ciertas fijaciones. Aunque el título del libro especifica que se trata del debate contemporáneo,
probablemente hay aportaciones del pasado dignas de mención, de ser consideradas
y también actualizadas.
El autor de la presente recensión se dedica a la teología, por ello encuentra
especialmente deseable la exploración de la vía del molinismo aplicado. En cuanto
doctrina teológica, lo que «prueba» o «refuta» el molinismo son las consecuencias
teológicas que éste pueda tener. El volumen, bien preparado e intelectualmente muy
sólido, es en última instancia un homenaje al genio de Molina, quien en su
Concordia abordó tantos temas que más de 400 años después siguen siendo tratados,
desarrollados, transformados y discutidos.
DIEGO ALONSO-LASHERAS, S.I.
THOMASSET, ALAIN, Interpréter et agir. Jalons pour une étique chrétienne,
Initiations, Les Éditions du Cerf, Paris 2011; pp. 422. 32,00. ISBN 978-2-20408977-7.
Para Thomasset, profesor del Centre Sèvres de Paris, la moral ha de ser un
camino de humanización y por ello la norma moral ha de indicar, en un sector
particular de la existencia, el camino para alcanzarla (35) en base al respeto, reforzando así el vínculo social (42).
La reflexión y la actuación moral suponen una interpretación que se apoya sobre
cuatro fuentes interdependientes: la Palabra de Dios, la Tradición de la Iglesia y el
magisterio, la razón humana y la experiencia. La obra se estructura en cuatro seccio-
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GREGORIANUM, VOL 94 (2013) FASC. III: RECENSIONES
639
nes correspondientes a las cuatro fuentes mencionadas, precedidas por un capítulo
introductorio.
La primera parte comienza afrontando la relación de la Teología moral con la
sagrada Escritura, «norma normante» de la fe cristiana. Frente a la diversidad de
interpretaciones, Tomasset explica las dificultades de su correcto uso en Teología
moral, ya sea recurriendo a la historia, ya exponiedo diversos modos de utilización
según los modelos de la teoría del texto; a continuación expone seis modelos
presentes en la Teología moral contemporánea, y dos ejemplos de articulación entre
Biblia y moral (80-89). El autor presenta el mensaje ético-moral en base a una
Teología de la Alianza y de la Creación, teniendo en cuenta el aporte del magisterio
y de los teólogos contemporáneos.
La segunda parte de la obra expone la aportación de San Agustín, quien
despliega una moral de la gracia centrada en el amor; la síntesis de Santo Tomas de
Aquino, quien insiste ante todo sobre la centralidad de la razón y de las virtudes, en
una moral de la felicidad orientada hacia su último fin en Dios; su contrapunto
nominalista, Guillermo de Ockam, quien coloca la cuestión de la libertad al centro
de su preocupación, iniciando una moral de la obligación y de la ley; y la respuesta
de San Alfonso Maria de Ligorio a la controversia entre los diversos sistemas
morales, en un ambiente cultural marcado por el juridicismo y centrando su preocupación en la conciencia. A través de estos modelos, el autor muestra la evolución
de las ideas que han alumbrado la cultura religiosa cristiana de Occidente, sobre
todo en el ámbito católico, y ayuda a comprender el proceso de la renovación actual
de la Teologia moral. Tomasset deja abiertas algunas preguntas acerca del lugar de
la felicidad, de las virtudes, de la razón (y su relación a la ley natural) y de la
conciencia (en relación al binomio objetivo-subjetivo), que serán respondidas en los
capítulos siguientes al exponer el debate contemporáneo entre la ética de la fe y la
moral autónoma. El autor intenta integrar ambas posturas, pero tomando en
consideración el lugar de la imaginación, de los sentimientos, de las diversas
visiones del mundo, así como de las actitudes fundamentales del ser, intentando de
este modo superar una aproximación superadora de ambos modelos.
La tercera parte comienza considerando a la persona humana como «criterio
central de la moralidad», en la línea de la Gaudium et spes. Continuando con el
intento de superar el debate mencionado, el autor propone una hermenéutica de la
existencia cristiana que tenga en cuenta los diversos elementos de la experiencia
moral en toda su riqueza, asumiendo la aportación de Paul Ricoeur; siguiendo a
Klaus Demmer respecto a las implicaciones antropológicas de la fe, y a L. Janssens
en el análisis del hombre en su relación con el mundo, con la historia, con él mismo
y con los otros. El capítulo 7 «La conciencia, la libertad y la ley. El juicio moral en
situación», acoge la tradición católica que concede el primado, la dignidad y la
inviolabilidad a la conciencia moral, distinguiéndola de la corriente contemporánea
que toma un sentido de libertad y autonomía aislado de la sociedad y de toda
referencia objetiva de su obrar. La ética de la virtud (cap. 8), es considerada desde el
debate reciente en ámbito teológico y filosófico. Para Thomasset ni virtud ni norma
son suficientes para expresar la plenitud de la vida moral. El autor apunta a una ética
del ser que acompaña una ética del hacer, siguiendo la teoría de Richard Gula.
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GREGORIANUM, VOL 94 (2013) FASC. III: RECENSIONES
Postula la integración entre la vida espiritual y la vida moral en la experiencia
humana, cada una según su autonomía y coherencia propia. El discernimiento espiritual juega un rol importante en la decisión moral en situación, a causa del aporte de
la percepción de la realidad y de la dimensión del «sentir» los dinamismos y las
inspiraciones del sujeto.
La cuarta parte presenta la dimensión eclesial y social del obrar moral. Seguir a
Cristo implica un «ser con» los hermanos y las hermanas en la fe (cap. 10). La
manera de comprender la articulación entre el derecho y la moral es esencial para
situar la posición cristiana en el debate pluralista contemporáneo (cap. 11). La
situación presente invita a los católicos a una verdadera espiritualidad del
reencuentro.
El libro está didácticamente bien estructurado: cada capítulo se abre con una
síntesis de la problemática, está acompañado por mapas conceptuales, y al final se
ofrece una conclusión y una bibliografía actualizada de la temática. Aunque se presenta como una «suerte de manual de Teología moral fundamental», se percibe una
madura reflexión basada en un amplio conocimiento de las fuentes, en diálogo con
la modernidad y en sintonía con el Magisterio, que supera ampliamente el enfoque
manualistico.
HUMBERTO MIGUEL YÁÑEZ, S.I.
PHILOSOPHIA
AIME, ORESTE, Il circolo e la dissonanza. Filosofia e religione nel Novecento e
oltre, Studia Taurinensia 32, Effatà, Cantalupa (TO) 2010; pp. 462. 29,00.
ISBN 978-88-7402-573-2.
La philosophie de notre époque sécularisée ne manque pas d’interroger les
phénomènes religieux. L’ouvrage ici présenté se distingue des publications similaires par son ampleur et par la compétence de son auteur, professeur de philosophie
contemporaine à la Faculté de Turin, qui a publié récemment, entre autres, une belle
somme sur Paul Ricœur (Senso e essere, Assisi 2007). Le point de vue proposé est
celui de l’interrogation que les philosophes rencontrent quand y apparaissent les
phénomènes religieux, sans que cette apparition puisse éteindre l’effort de la raison
ni celle-ci rendre compte par elle-même de celle-là. Il ne s’agit pas de montrer comment passer de la réflexion philosophique à la foi religieuse sans aucune rupture,
sans dissonance au cœur même de leur circularité.
L’ouvrage comporte trois parties. La première («Phénoménologie et religion»)
décrit les aventures de la phénoménologie chez ses fondateurs en Allemagne
(E. Husserl, M. Heidegger, M. Scheler, R. Otto), puis en France (le mot «dis-
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GREGORIANUM, VOL 94 (2013) FASC. III: RECENSIONES
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sonance» dans le titre de l’ouvrage renvoie à Marion présenté de cette façon: «Le Pli
et la dissonance» [186]). La France connaît un grand attrait pour la phénoménologie;
elle est d’abord fidèle et à la fois hérétique envers les pères fondateurs (J.-P. Sartre,
M. Merleau-Ponty, E. Lévinas, P. Ricœur), et s’interroge ensuite sur les débordements théologiques de son entreprise (J. Benoist, M. Henry, J.-L. Marion, J.-Y.
Lacoste). La phénoménologie française a besoin de sources autres que phénoménologiques, par exemple du marxisme (Sartre), d’un excès éthique (Lévinas), de
l’herméneutique (Ricœur). C’est que la description des phénomènes ne suffit pas à
son projet radical: la phénoménologie se veut en effet «philosophique», c’est-à-dire
inquiète d’absolu et d’immédiateté � ce qu’elle trouve précisément dans les
expressions religieuses. On observera cependant que, le plus souvent, les phénoménologues français ne se préoccupent guère de l’historicité (ce qui n’est cependant
pas le cas de Claude Romano, dont le nom n’apparaît pas dans l’ouvrage).
On rencontre dans la seconde partie («Profils et discussions») des noms déjà
présents dans la première (Lévinas, Ricœur, Marion). En fait, l’ouvrage est composé
de textes brefs déjà publiés dans différentes revues; seuls quelques chapitres sont
originaux, les autres étant réécrits en vue de leur nouvelle situation. Cette partie met
en évidence la préoccupation qui guide les auteurs, c’est-à-dire l’articulation entre
d’une part la phénoménologie et d’autre part l’herméneutique et les pensées de la
«déconstruction». On verra ainsi comment W. James tente de résister aux réductions
positivistes des sciences humaines sur les questions de la vie religieuse, puis l’importance de la notion de «lecture» chez S. Weil, l’originalité de l’«anarchisme» d’E.
Lévinas, l’implication de la liberté dans l’acte d’interprétation selon L. Pareyson, la
difficulté d’une saine articulation de la phénoménologie et de la révélation chez J.-L.
Marion, la question du nihilisme chez G. Vattimo, la lecture déconstructive de la
religion chez J. Derrida, la déconstruction du christianisme dans un monde fini selon
J.-L. Nancy, le problème de la modernité vu par C. Taylor. Des auteurs comme
James et Taylor pourront apparaître étrangers à la problématique de cette partie de
l’ouvrage mais, soutient l’auteur, leurs perspectives peuvent au contraire, grâce à
leur attention aux phénomènes, dynamiser la phénoménologie dans sa version
herméneutique. Cette partie de l’ouvrage se termine par une réflexion sur la «géométrie variable» typique de la pensée contemporaine sur la religion, et sur le
christianisme en particulier.
La troisième partie («Entre philosophie et théologie») traite parfois d’auteurs en
particulier, par exemple de G. Ferretti; elle propose cependant plutôt des thèmes qui
s’enrichissent à travers divers auteurs, sur fond de «territoires communs ou
limitrophes entre la philosophie et la théologie, terres de confrontation et de
disputes» (443). L’idée de fond est qu’il y a une circularité entre la pensée philosophique et la vie religieuse, et que cette circularité peut prendre différentes figures,
dont celle de la phénoménologie. Des thèmes communs traversent en fait les
discours contemporains de la raison comme de la foi, particulièrement la tension
messianique, ou la figure de Paul de Tarse (auquel se sont intéressés Heidegger, A.
Badiou, G. Agamben, Ricœur pour ne citer que quelques noms), ou encore l’amour,
outre la grâce dont l’idée connote celle de don. L’appel mutuel de la phénoméno-
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GREGORIANUM, VOL 94 (2013) FASC. III: RECENSIONES
logie et de la religion ne se met cependant pas en boucle: le cercle herméneutique
connaît un moment essentiel de rupture.
PAUL GILBERT, S.I.
FIERRO, MASSIMILIANO, Tra le immagini. Per una teoria dell’intervallo, Fai
Cinema, Falsopiano, Alessandria 2012; pp. 148. 18,00. ISBN 978-88-8978282-8.
Che cos’è il cinema? Quello imperante, di sintesi e degli effetti speciali, è il
regno di un’immagine inviolabile, che avvolge senza mediazioni lo spettatore,
passivo, narcotizzato, anestetizzato. L’ipotesi teoretica che sottostà a una simile
fruizione cinematografica è che il percorso tra emittente e destinatario sia senza
ostacoli e del tutto interattivo, come in un videogioco o in un reality show televisivo,
dove non c’è più spazio né luogo per l’incontro con l’altro, ma solo per l’autocompiacimento. Ma il mondo non smette di (r)esistere!
È questa la tesi di fondo dalla quale prende le mosse Tra le immagini. Per una
teoria dell’intervallo, saggio d’esordio di Massimiliano Fierro, ricercatore presso
l’Università di Bergamo. L’autore, con competenza filosofica, ci introduce a un altro
cinema, il cosiddetto cinema di avanguardia, che non è macchina dei sogni, cine-nicotina, bensì luogo di incontro tra sguardi e corpi. Lo spettatore, anziché essere
anestetizzato dal fluire di immagini senza tempo e senza ombre, è educato a sentire
il tempo (la cronoestesia di cui parla Gillo Dorfles). In questa accezione il tempo, in
quanto intervallo, viene inteso quale spazio di relazione con l’altro. Dunque il
cinema non come mero fluire orizzontale della narrazione, della diegesi, ma come
frattura nel flusso, ombra nella luce, opacità nella trasparenza, come intervallo
appunto.
Il primo capitolo del saggio presenta le due forme che il linguaggio intervallare
proprio del cinema, nel corso della sua storia, ha assunto. Da una parte, l’intervallo
quale andirivieni tra sguardo e mondo, tra vedente e visibile, il cui paradigma resta il
cineocchio del regista russo Dziga Vertov, che è specifico oggetto di studio del
secondo capitolo. L’immagine cinematografica deve far sentire l’attività formativa
dell’occhio che guarda, cosicché, anziché compiersi in sé stessa, si apra a un processo illimitato di interpretazioni. Il cinema diventa una forma di esperienza del
mondo, una scrittura della vita. Dall’altra parte, l’intervallo come intreccio di
materia e flusso, di supporto materico (la pellicola, i tagli, …) e flusso diegetico,
esemplarmente messo in mostra nel cinema dell’austriaco Peter Tscherkassky, cui è
dedicato monograficamente il terzo capitolo. Ancora una volta, cosa vista e atto del
vedere, campo e fuori campo, ciò che è osservato e chi osserva, devono entrambi
comparire sullo schermo, cinematograficamente nella forma della sovrimpressione e
dello sdoppiamento figurativo. Occorre sbarazzarsi di una realtà falsamente data,
che si finge innocente e vergine, presente e trasparente, non scritta. Né lo sguardo
domina ciò che vede, come secondo il vecchio parametro prospettico; piuttosto può
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solo perlustrare zone intervallari che lo uniscono e separano a un tempo dall’altro.
Lo sguardo è irriducibilmente invischiato nel mondo che guarda e lo (ri)guarda.
In entrambi gli approcci, ciò che viene problematizzato è il concetto di immagine. Che cos’è l’immagine? Ma potremmo anche aggiungere: che cos’è la parola?
Non copia del reale, ma incrocio tra sguardi, incontro tra corpi, relazione con l’altro,
in un ossimorico e irrisolto rapporto di vicinanza/lontananza, continuità/discontinuità, presenza/assenza.
Un libro dunque che riflette sulla specificità del linguaggio cinematografico e su
una sensibilità diastematica da recuperare. Ma all’interno di un orizzonte di ricerca
ancora più ampio, un libro da non perdere per chi sia interessato a un’indagine
filosofica sull’essere come intervallo, come diástema, come limite, come relazione:
intreccio, symploké, incrocio di identità e differenza, stasi e moto, pieno e vuoto,
orizzontalità e verticalità, flusso e interruzione, luce e ombra, trasparenza e opacità,
spirito e carne.
MASSIMILIANO ZUPI
LÓPEZ GUZMÁN, MARÍA DOLORES, Desafíos del perdón después de Auschwitz.
Reflexiones de Jankélévitch desde la Shoa, Teología Comillas 14, San Pablo –
Universidad Pontificia Comillas, Madrid 2010; pp. 376. 22,00. ISBN 798-848468-334-6.
Vladimir Jankélévitch publia en 1967 un libre important, original pour l’époque,
sur le pardon. La réflexion sur l’histoire récente de l’Europe était en train de
s’approfondir; le cas de la Shoa pesait fortement sur les consciences et provoquait la
réflexion des philosophes sur l’essence de l’Occident. Les premiers «Colloques des
intellectuels juifs de langue française», créés en 1957, s’arrêtèrent à l’interrogation
que la Shoa posait à la conscience juive, et tout simplement humaine. On peut croire
aussi que la manière qu’avait l’armée française de s’engager en Algérie poussèrent
les intellectuels, du moins certains d’entre eux, à poser des interrogations éthiques
de premier ordre. Jankélévitch avait déjà publié de nombreux ouvrages, par exemple
sur la «mauvaise conscience», en 1933, un texte repris et amplifié en 1966, un an
avant Le Pardon. L’intérêt éthique et existentiel de l’auteur, féru aussi de musique,
se confirme dans des titres comme Le Pur et l’Impur (de 1960), ou encore, sinon
surtout, dans La mort, de 1966 également. Quelques années plus tard, en 1986,
Jankélévitch publia un texte qui évoquait un titre de chapitre dans l’Essai sur le mal
(1955) de Jean Nabert, L’Imprescriptible. Notons que cet ouvrage reprend des pages
de 1971 intitulées Pardonner? On le voit, la question du pardon revient constamment dans la recherche de Jankélévitch, qui a été marqué par ses racines religieuses
et culturelles dans le judaïsme.
L’ouvrage ici présenté est composé de deux parties; la première expose les
thèses du Pardon, la seconde celles de L’imprescriptible. La première partie dégage
les traits les plus fondamentaux du pardon. Il en indique tout d’abord les conceptions
erronées autant que faciles, pour lesquelles le pardon est quasi spontané quand passe
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le temps des blessures, ou quand on comprend des raisons qui permettent d’excuser
le mal provoqué, ou encore quand on pardonne en tenant une attitude de suffisance,
de supériorité. Un pardon authentique est en fait difficile: la tradition spirituelle de
l’Occident le sait depuis toujours. Le pardon structure le temps: il constitue un
événement ponctuel qui divise le passé et le futur; il disparaît à peine est-il donné,
laissant pourtant voir, pour qui sait voir, une nouveauté inscrite dans le temps. Voilà
pourquoi le pardon est irréversible. Il n’exige d’ailleurs aucune réciprocité, il est
gratuit. On peut même voir en lui quelque chose de quasi surnaturel: il fait comme si
ce qui a eu lieu n’ait pas eu lieu, sans nier toutefois qu’il a eu effectivement lieu; il
est ainsi comme un «acte de pure création» (166). Le pardon est en ce sens paradoxal; il engage l’âme dans un drame, car celle-ci s’y «arrache à son être propre»
(182).
Cela dit, peut-on encore parler d’un mal imprescriptible, c’est-à-dire sans pardon
possible? Le pardon ne connaît en principe aucune impossibilité, déclarait
Jankélévitch � mais ce qui s’est passé à Auschwitz échappe à toute possibilité de
pardon. Comment cela? Le thème développé en 1986 avait déjà été avancé par le
philosophe français dans un article de 1965: on ne pourra donc pas évoquer une
évolution de sa pensée. La Shoa présente un mal impardonnable. Pourquoi? Parce
que ses crimes furent commis dans le silence de tous, y compris des victimes. Parce
que les victimes, avant d’être mises à mort, étaient réduites à moins qu’humaines.
Parce que des hommes ont été capables de nier l’humanité de leurs semblables et de
porter ce mensonge au plan des vertus politiques ou sociales. Un crime contre
l’humanité, littéralement. La justice doit être ici ferme. Aucun pardon ne pourra
jamais ignorer ce mensonge de l’homme sur l’homme.
L’ouvrage se termine par un chapitre qui met en lumière des convergences entre
les traditions juives et chrétiennes sur les signes de conversion et sur l’absolution, et
par un dernier chapitre sur un dépassement possible des thèses du philosophe ukrainien et français dans les trois domaines théologiques du surnaturel, de la sotériologie
et de l’eschatologie.
PAUL GILBERT, S.I.
LUPO, ROSA-MARIA, Aristotele dopo Heidegger. Per una riabilitazione dell’ontoteologia, Biblioteca del Giornale di Metafisica, Tilgher, Genova 2010; pp. 476.
40,00. ISBN 978-88-7903-174-5.
Nous sommes presqu’obligés aujourd’hui de regarder de haut les efforts spéculatifs des auteurs modernes et d’en dénoncer les origines rationalisantes dans
l’antiquité grecque qui aurait tendu ses efforts pour voiler déjà ce qu’il y a de
meilleur en l’homme. La pensée grecque ne pouvait pas se passer de nos
représentations ni se libérer de leur destin; elle aurait ainsi réduit toute réalité à son
essence abstraite. Le gros ouvrage de R.M. Lupo entend vérifier et contester ces
affirmations en relisant Aristote à partir de Heidegger.
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La métaphysique du Stagirite aurait eu plusieurs objectifs: mettre en évidence la
cause absolument première dans les deux ordres de la formalité (l’étant en tant
qu’étant) et de la réalité (Dieu comme cause première). Unifier ces deux ordres est
une tâche complexe, ou même impossible. Selon le premier chapitre, la tradition
scolastique aurait voulu systématiser ces ordres, en effacer les différences sous
l’univocité. Pour des nombreux scolastiques, ne faut-il pas dire que Dieu est l’Être
comme tel, ipsum esse? Les deux filons de la recherche aristotélicienne, ontologique
et théologique, finissent ainsi par se confondre en onto-théologie. Cet effort scolastique doit être critiqué. Le second chapitre observe que Heidegger conteste l’idée
d’une fidélité de la scolastique à Aristote car celui-ci, au lieu de réduire le divin dans
le concept formel d’étant, pense qu’il réalise ce qu’exige ce concept. L’ontologie
n’absorbe donc pas la théologie, mais elle y conduit. Ou plus exactement, en cherchant l’essence commune de l’étant, la réflexion finit par voir que le concept général
d’étant est aussi le plus réservé au divin. Il y aurait chez Aristote une circularité
inévitable entre l’ontologie et la théologie, sans réduction possible de l’une à l’autre.
Le troisième chapitre s’attache à la question de l’essentialisme d’Aristote. Les
thèses de Heidegger et d’Étienne Gilson convergent sur de nombreux points; Gilson
limite cependant le domaine de l’essence par l’exister tandis que Heidegger envisage
plutôt l’interrogation en direction du principe premier à travers l’essence. L’originalité du principe premier métaphysique est que, contrairement aux «archai» qui
doivent être premières dans chacune des sciences, il ne peut jamais clore la
recherche (cf. 179). Serait-ce que ce principe serait indéterminable? Non, car même
s’il n’est pas «saisi», il est au moins pensé de manière significative par le «no�s». Le
chapitre quatrième précise la distinction des sciences épistémiques et de la sagesse
noétique. Les sciences se déploient dans le langage, ce qui suppose qu’elles s’accordent à un monde déjà connu; la métaphysique met par contre en question nos savoirs
«des» principes pour interroger en direction «du» principe. L’épistémologie des
sciences ne suffit pas à cette tâche, qui exige de mettre en œuvre le «no�s». Le
«no�s» perçoit en fait en chaque affirmation vraie ce par quoi la vérité de l’affirmation est affermie en réalité, c’est-à-dire l’étant en tant qu’étant qui ne se perd en
aucun étant multiplié dans nos jugements et dont nous reconnaissons donc la
permanence dans nos actes cognitifs d’un moment. Nous avons là la thèse
aristotélicienne, reconnue par Heidegger et au cœur de la recherche de l’ouvrage ici
présenté, qui fonde l’onto-théologie.
Le chapitre cinquième présente l’influence de Heidegger sur les études aristotéliciennes récentes, surtout dans le courant phénoménologique français. Le thème de
la «différence ontologique» détermine de nombreuses analyses d’Aristote. L’ambiguïté de Heidegger est cependant à mettre en évidence. Franco Chiereghin note que
la différence ontologique entendue par Heidegger pousse la pensée à se taire, à
moins de récupérer le «lógos» en remémorant l’histoire de la philosophie comme
histoire de l’épuisement de l’être dans les étants; mais le «lógos» se montre là
nihiliste et sans raison, une thèse historiquement fausse. Le dernier chapitre cerne
enfin la question de la signification du mot «premier» dans l’expression «principe
premier». Puisque l’ontologie est la science de l’étant, c’est-à-dire de tout ce qui est,
elle n’est pas sans la physique qu’elle est habilitée à élargir en cosmologie.
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L’approche du principe comme tel demeure toutefois aporétique, puisque toute
science est science de la cause et que le principe premier est sans cause au regard de
la raison. La recherche suit cependant l’exigence d’une «protologie» qui appartient
moins au monde de la définition et de la représentation qu’à celui de l’«action»
(396) cognitive en laquelle les pôles opposés de la «différence ontologique» sont
médiatisés. L’ouvrage se termine par l’exposé de cette action déployée par Aristote
au début du livre E de la Métaphysique.
L’ouvrage, remarquable par ses observations spéculatives aussi bien que par ses
commentaires des textes, ne contient hélas pas d’index onomastique; il se termine
par une bibliographie de 22 pages.
PAUL GILBERT, S.I.
PRZYWARA, ERICH, Leçons sur Dieu. Paroles et figures d’éternité, Introduction,
traduction et annotation par Philibert Secretan, Philosophie & théologie, Les
Éditions du Cerf, Paris 2011; pp. 193. 25,00. ISBN 978-2-204-09332-3.
L’A., jésuite né en 1889 et mort en 1972, a été l’un des esprits les plus aigus que
la Compagnie de Jésus allemande ait connu à son époque. Le public ami des jésuites
connaît ses interprétations des Exercices spirituels d’Ignace de Loyola (Deus semper
maior, en 1938); les philosophes les plus courageux se sont sans doute arrêtés à son
Analogia entis (1932). Un penseur religieux donc, ou un religieux qui pense sa foi.
Sa pensée est dialectique; son sens de la relativité des thèses est équilibré par celui
de leur essence relationnelle. Sa culture, autant philosophique (Augustin et Thomas,
mais aussi les mystiques allemands, Kant, Kierkegaard, Nietzsche, Husserl, Stein,
etc.) qu’esthétique (musicale surtout) est énorme. L’ouvrage ici présenté offre la
traduction, dans sa première partie, de cinq conférences tenues à Leipzig en février
1922 «sur Dieu» et, dans sa seconde, de trois textes datant de 1956-1959. Cet
ensemble est précédé par un article de 1956 («Métaphysique, religion, analogie»),
où le traducteur voit le programme entier de Przywara.
Arrêtons-nous d’abord à cet article. L’idée de fond est que la métaphysique et la
religion jouent chacune un rôle de médiation, ce qui invite à penser qu’il y a entre
elles des analogies; or chacune joue son rôle médiateur en reconnaissant des analogies entre les pôles qu’elle met elle-même en relation, entre l’empirique sensible et
le fond ultime en métaphysique, entre le créé et le Créateur en religion. Un discours
devrait être possible qui met en évidence une analogie à un second degré entre la
structure analogique de la métaphysique et celle de la religion; la réflexion fondamentale aurait à établir les modes de ce discours à la seconde puissance. Or la règle
de toute analogie a été dictée en 1215 par le concile Latran IV : «de toute ressemblance aussi forte soit-elle, [surgit …] une plus grande dissemblance» (cité p. 29).
Cette règle théologique s’impose si bien en métaphysique que l’A. peut soutenir, en
relisant son œuvre déjà publiée, que «l’analogie comme métaphysique et l’analogie
comme religion […] sont dans un rapport de similitude tel que c’est toujours la plus
grande dissimilitude qui l’emporte dans le “Dieu toujours le plus grand” [en théo© Gregorian Biblical Press 2013 - Tutti i diritti riservati
GREGORIANUM, VOL 94 (2013) FASC. III: RECENSIONES
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logie] qui fait sauter toute métaphysique et qui, dans le domaine de la religion,
retourne tout enracinement en pure dépendance» (32). De là l’idée que l’oubli de
Dieu en métaphysique pourrait être compris comme une invitation à reconnaître son
grand mystère au cœur du monde.
L’analogie fondamentale a la forme d’un balancement ou d’un «rythme oscillant» (26) entre des thèses opposées, entre la subjectivité et l’objectivité, entre
l’idéalisme et le réalisme, avec intégration de ce qui est juste et bon de chaque côté
grâce au discernement de ce que chacune promet sans pouvoir le tenir: chaque pôle a
besoin de son opposé pour se maintenir lui-même droitement. L’influence de
Nicolas de Cues soutient les cinq conférences «sur Dieu». Ces conférences ont été
prononcées devant un public qui n’était pas uniquement catholique; l’A. y tente
cependant une démonstration apologétique de grande puissance intellectuelle. Sa
méthode d’analogie, théorisée plus tard mais déjà opérante à l’époque de ces conférences, conduit la réflexion jusqu’à affirmer ceci: «Dans le problème de l’Église se
manifeste le problème du Christ, dans le problème du Christ celui de Dieu. L’énigme de l’Église est finalement l’énigme du Christ et l’énigme du Christ celle de Dieu.
Deus incomprehensibilis. “Dieu l’Incompréhensible”: voilà le dernier mot de la
philosophie de la religion» (114). Le parcours est très marqué par l’opposition entre
l’idéalisme subjectif de l’augustinisme et le réalisme objectif du thomisme, une
opposition qui s’enracine dans celle du platonisme et de l’aristotélisme et qui se
poursuit durant la Modernité entre le protestantisme et le catholicisme, puis entre les
grands mouvements philosophiques qui se nouent autour de la question de Dieu.
Le premier des trois textes réunis dans la seconde partie de l’ouvrage déploie la
structure interne de l’analogie en précisant des termes comme «image», «parabole»,
«symbole», «mythe» et «logos», chaque fois en insistant sur le principe analogique
de Latran IV. Le deuxième texte, «Beau, sacré, chrétien», explore «toute la gamme
des possibilités de la vraie “beauté” d’un “art” véritable, pour ensuite les confronter
au large spectre des possibilités du sacré et de l’ordre chrétien» (162). Le dernier
texte, «Temps, espace, éternité», approche les fondements de l’esthétique avec les
catégories mises en œuvre dans les pages précédentes, la subjectivité et l’objectivité,
telles qu’elles apparaissent dans les doctrines philosophiques de la transcendance
immanente (Augustin) et de l’immanence transcendante (Thomas).
PAUL GILBERT, S.I.
TRAVERSA, GUIDO, L’identità in sé distinta. «Agere seguitur esse», Collana di
Filosofia dell’Università Europea di Roma, Editori Riuniti University Press,
Roma 2012; pp. 151. 15,00. ISBN 978-88-6473-094-3.
Al presente volume bene si potrebbe applicare il detto «bonum si brevis, bis
bonum». Già il solo titolo L’identità in sé distinta, conciso, stringato, così
concentrato da apparire paradossale, è una sintesi di tutto il breve, ma denso,
contenuto. L’autore non è nuovo a queste sfide. Basti pensare alla sua prima
pubblicazione (L’unità che lega l’uno ai molti, Japadre 1991) per rendersi conto del
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GREGORIANUM, VOL 94 (2013) FASC. III: RECENSIONES
filo conduttore che lega il suo pensiero. L’approdo alla dimensione antropologica
dell’ «identità in sé distinta» era inevitabile. Come si concilia l’agire libero con
l’identità personale? Quale spazio rimane alle nostre azioni quando l’esperienza
sembra condannarci ad una identità assoluta? Il libro cerca d’impostare adeguatamente tali domande e di individuare delle risposte capaci di tenere insieme
l’identità e la distinzione. L’autore lo fa servendosi della figura sovratemporale di
Giobbe, degli insegnamenti di Epitteto, e del commento alla Critica del capire di
Luigi Scaravelli, il che gli permette di aprirsi alla dimensione spirituale.
La prima parte del volume si scandisce in cinque capitoli. Il primo è dedicato alla
metafisica dell’identità in sé distinta. Il secondo descrive come l’agire libero si
dispiega dall’esse. I tre capitoli che seguono presentano tre casi di «identità in sé
distinta»: la figura di Giobbe, gli insegnamenti di Epitteto, il «peccare». La seconda
parte comprende tre capitoli. Nel sesto si procede ad un commento della Critica del
capire di Scaravelli, finalizzato a sostenere «la giustificabilità critica di una logica,
di una ontologia e di un’etica della identità in sé distinta» (p. 11). Il settimo capitolo
è dedicato alla nozione di bellezza come espressione di una identità in sé distinta: si
tratta di mostrare la «bellezza della realtà osservata, capita e spiegata, piuttosto che
confinare il bello al solo soggetto percipiente» (p. 128). L’ottavo e ultimo capitolo
presenta alcune conseguenze etiche, cioè, l’identità univoca come genesi comune di
relativismo e di realismo determinista.
La questione di fondo del volume è «quella dell’agere sequitur esse: si tratta di
comprendere sia come le azioni possano provenire dall’essere dell’uomo in modo
non meccanico, evitando il determinismo, sia come l’essere stesso possa non essere
determinato completamente dall’agire, evitando il relativismo» (p. 9). La questione è
di grande spessore filosofico e la storia della filosofia ne dà atto. La risposta
«antropologica» va tuttavia fondata su una metafisica dell’actus essendi, «identità
che contiene in sé la distinzione e la relazione» (p. 26). Ci possiamo domandare: se
l’agire è ontologicamente dipendente dall’essere, come può determinarlo e perfezionarlo? Per rispondere correttamente bisogna ricordare che le nozioni metafisiche
di essere e accidente si verificano in modo analogico. Si dovranno distinguere due
piani: sul piano dell’essere, l’agire — che è un accidente — si presenta
ontologicamente inferiore rispetto all’essere perché esiste soltanto in esso e per
mezzo di esso; ma sul piano delle determinazioni dell’essere, l’agire apporta una
perfezione, lo determina alla maniera d’un atto. Così, l’identità in sé distinta, cioè la
finitezza-infinitezza che caratterizza lo spirito-incarnato, si trova già nel suo stesso
essere. Come giustamente dice De Finance, «C’è una prima apertura, un primo
rapporto indeterminato che costituisce la stessa natura dello spirito. Le operazioni
attualizzano e determinano questo rapporto» (Conoscenza dell’essere, Roma 1993,
267). In questo modo la sostantività personale non è chiusa, finita come un
constitutum, aspettando che l’agire sopraggiunga come una determinazione
accidentale.
Il legittimo intento di salvaguardare la dinamicità dell’uomo ha portato non
pochi pensatori contemporanei al rifiuto del sostrato ontologico che regge l’agire
umano, dovuto a una visione staticista dell’essere. Senza dubbio questa filosofia si
vede incapace di trovare una comprensione dell’uomo che spieghi l’essenziale
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GREGORIANUM, VOL 94 (2013) FASC. III: RECENSIONES
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universalmente umano e l’esistenziale personale, o detto con le parole dell’autore
«la relazione tra identità e distinzione interna all’identità stessa» (p. 27); cioè, che
l’uomo faccia parte della natura e che, nello stesso tempo, come soggetto libero,
assuma la propria esistenza personale in modo responsabile, con una «responsabilità
allargata» (p. 31). S’impone, quindi, una fondazione di questa libertà che risolva
l’apparente antitesi tra la natura e la libertà. La soluzione passa attraverso il recupero
della nozione di essere, mediante la speculazione metafisica. L’uomo è padrone del
proprio agire proprio perché è padrone del proprio essere. Allo stesso modo come la
libertà non è fare ciò che si vuole in modo libertario, essere uomo non è cambiare
continuamente essenza, perché egli è un’ «identità in sé distinta».
RAMÓN LUCAS LUCAS, LC
HISTORIA ECCLESIAE
MARCHETTO, AGOSTINO, Il Concilio Ecumenico Vaticano II. Per la sua corretta
ermeneutica, Storia e attualità 18, LEV, Città del Vaticano 2012; pp. 380.
35,00. ISBN 978-88-209-8855-5.
Le présent volume complète heureusement celui que l’auteur a déjà publié sur la
genèse des documents du deuxième concile du Vatican; on se souviendra qu’il avait
mis en évidence les compromis souvent laborieux qui avaient été nécessaires pour
arriver à un accord sur les textes fondamentaux qui furent adoptés; il était alors
inévitable que les interprétations qui en seraient proposées en viennent à osciller
entre des positions diverses et parfois opposées. Le présent ouvrage porte un regard
critique sur une vingtaine d’œuvres dont les auteurs ont présenté leur vision de
l’évènement conciliaire. Tandis que les uns se sont réclamés d’une rupture avec le
passé insistant sur la nouveauté de certaines formules sans se soucier de leur lien
avec la tradition, d’autres au contraire se sont préoccupés d’établir cette continuité
d’une manière parfois unilatérale. L’auteur ne cache pas sa préférence pour l’adoption d’une voie médiane dans l’interprétation de Vatican II comme le demande
d’ailleurs Benoît XVI. Ce volume présente un grand intérêt du fait que son auteur ne
défend pas sa position en développant une argumentation systématique; il analyse
méthodiquement les ouvrages qu’il a sélectionnés et dont certains auteurs ont été
eux-mêmes des acteurs importants durant le concile et exprime son point de vue sur
les interprétations qu’ils avancent. Cette lecture critique couvre une vingtaine de
pages pour chacune des publications; elle permet ainsi de mieux comprendre les
enjeux des textes conciliaires mais aussi le processus par lequel ils sont venus au
jour; chacun d’eux est le fruit d’une longue préparation durant laquelle ont joué un
rôle essentiel les experts ou les théologiens des évêques au sein des commissions qui
refondaient les schémas au cours des sessions comme entre elles. Parmi les auteurs
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GREGORIANUM, VOL 94 (2013) FASC. III: RECENSIONES
recensés mentionnons le père Tromp, Mgr Philips, les cardinaux Willebrands, de
Lubac et Mejia; de même Pesch, Routhier, O’Malley, Théobald ou Mgr Capovilla.
La plupart des auteurs sélectionnés ont été des acteurs du concile Vatican II comme
auteurs de schémas préparatoires (Tromp) soit comme experts (de Lubac) soit
comme conseillers, notamment Capovilla qui était le secrétaire de Jean XXIII.
Six chapitres composent l’ouvrage: le premier, plus personnel, pose la question
de ce qu’il faut entendre par une juste réception du concile, le deuxième porte sur
diverses études consacrées au rôle joué par Jean XXIII et Paul VI pour sauvegarder
la fonction de la papauté dans des circonstances nouvelles. Les derniers chapitres
regroupent les auteurs dont les ouvrages sont examinés selon leur tendance, ceux
dont certains vont jusqu’à parler d’une rupture avec la tradition et ceux qui en
proposent une lecture nouvelle mais dans la continuité. Le soin mis à remettre les
positions des divers auteurs dans l’histoire des débats conciliaires permettra à ceux
qui n’ont pas vécu cette période de mieux comprendre l’importance des experts dans
la préparation des documents en leur faisant saisir le souci qu’ils pouvaient avoir d’y
faire entrer le fruit des recherches théologiques auxquelles ils s’étaient livrés auparavant. Cet ouvrage sera d’autant plus utile aux historiens et aux théologiens qu’il met
à leur disposition nombre d’informations critiques ouvrant la voie à une meilleure
assimilation des enseignements de Vatican II. Un index des noms de personnes et
de lieux rend aisée la consultation de l’ouvrage.
JOSEPH JOBLIN, S.I.
SPIRITUALITAS
ABEL, OLIVIER – al., Qu’est-ce qu’une spiritualité chrétienne? Colloque des 14 et
15 octobre 2011, Les rencontres du Centre Sèvres, Éditions Facultés jésuites de
Paris, Paris 2012; pp. 135. 12,00. ISBN 978-2-84847-036-8.
Este librito nace de un coloquio de expertos en el Centre Sèvres de Paris. Busca
ofrecer una primera aproximación a la espiritualidad mediante, una serie de ensayos
de naturaleza filosófica, teológica y experiencial, encargados a otros tantos autores.
Éstos son profesores (la mitad, docentes en las Facultés Jésuites de Paris); pero
escriben para un público no sólo universitario, a juzgar por la sencillez y brevedad
de sus escritos, así como por la escasez de notas y de referencias bibliográficas.
Los ensayos explican la espiritualidad para un contexto europeo occidental (spiritualité); a partir de un diagnóstico («figuras» y «demandas») y la reflexión sobre la
literatura contemporánea (Salin): «quizá la espiritualidad reivindica la ausencia de
Dios». Otro trabajo ofrece una introducción a la espiritualidad todavía en el marco
del diálogo con las tradiciones orientales «abisales» (Scheuer), intentando clarificar
algunos elementos distintivos de la «inspiración que nutre la existencia en fidelidad
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GREGORIANUM, VOL 94 (2013) FASC. III: RECENSIONES
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a Jesucristo». Un estudio asequible y claro intenta poner de manifiesto las raíces
cristianas de la oración cristiana (Thabut), mientras que en otro se reflexiona sobre
la «inquietante» aportación que la espiritualidad hace a la inteligencia de la fe
(Theobald). La secuencia de estos ensayos alcanza un punto sintético en aquél que
trata las características de la espiritualidad cristiana y, en particular, la cualidad
encarnada que la distingue (Forthomme). El testimonio de Vanier y la experiencia
espiritual de las comunidades de El Arca concluyen el libro.
Fijaremos nuestra atención en tres ensayos. Theobald considera que hoy la
espiritualidad ha problematizado la teología, en la medida que lo subjetivo estaría
desafiando a lo objetivo y la experiencia al discurso sobre la fe de la Iglesia. En un
contexto cultural en el que ya no basta ser conspicuo profesor universitario, sino dar
testimonio, la cuestiones que la espiritualidad plantea hoy al teólogo serían:¿qué
espiritualidad practicas tú?; y en segundo lugar, ¿tu teología, qué espiritualidad acaba suscitando en tus oyentes? La fe necesita ser incorporada en prácticas y el
sentimiento de gratitud debe mover al creyente a la acción de gracias. En fin, la
tercera pregunta es: ¿Cómo se asemeja/distingue la cristiana de los demás tipos de
espiritualidad? Pues existe un sentido primario del término espiritualidad que
conviene reconocer también en la cristiana.
El ensayo de Forthomme es menos claro y sintético que retórico y proclamativo.
«No habrá espiritualidad cristiana», afirma de modo conclusivo, «allí donde no haya
continuidad entre las Escrituras, la forma oracional de la existencia entera, la
dimensión histórica, la tensión hacia el futuro inminente, la experiencia común o
particular de cada cual y la razón, por irreductible que ésta sea a la lógica y al acto
intelectual».
Llegamos así al ensayo conclusivo: un buen contrapunto para el discurso
teológico anterior, un broche espiritual para este librito. El estilo narrativo de Jean
Vanier enfoca a lo particular y a lo experiencial, rasgos de su propia fe que se
expanden, sin embargo, bendiciendo a otros, ejemplificando una espiritualidad
compartida (comunidades del Arche y de Foi et lumière: unas 1.700 por todo el
mundo). Vanier presenta esta espiritualidad con la narración de una experiencia: la
de Pauline, una mujer con minusvalías. Es posible comparar el proceso espiritual de
Pauline, que va desde su ingreso en la comunidad de Trosly (1973) hasta su muerte,
con un viaje. El viaje que va de la violencia inicial, causada por las humillaciones
padecidas en el pasado, a la madurez, cuando llegaría a expresarse tiernamente.
No sólo residentes con minusvalías como Pauline, sino también el personal que
les asiste (profesionales y voluntarios) componen las comunidades del Arche. A la
luz de la dependencia manifiesta de aquéllos, estos últimos descubren dimensiones
escondidas en sí mismos; se atreven a mirar el trasfondo de su verdad que nutre su
vida verdaderamente. En una vida cotidiana compartida así, todos reciben y cada
cual tiene qué dar, en esto consiste el reencuentro. La espiritualidad trasforma cada
comunidad en lugar donde descubrirse amado por Jesús; y podríamos añadir,
muchos en el Arche mudan la fe superficial de los inicios por otra enraizada en el
corazón.
JOSE CARLOS COUPEAU, S.I.
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652
GREGORIANUM, VOL 94 (2013) FASC. III: RECENSIONES
O’LEARY, BRIAN, Sent into the Lord’s Vineyard. Explorations in the Jesuit
Constitutions, The Way, Oxford 2012; pp. 170. ISBN 978-0-904717-38-9.
Brian O’Leary, jesuita irlandés, compagina la práctica docente en el Milltown
Institute de Dublin con la experiencia pastoral directa en el Jesuit Centre of
Spirituality at Manresa House. Ha publicado recientemente: An Introduction to
Ignatian Spirituality, Dublin 2009 y ha visto su Pierre Favre and Discernment
(1979), reimpreso (The Way, 2006) y traducido al italiano (Roma 2006). El libro
ofrece en sustancia la presentación de las Constituciones a los jesuitas que se
encuentran en la última etapa de formación (Tercera Probación).
La obra presenta aspectos más relacionados con el Examen General y las partes
VI, VII, VIII, IX, X de las Constituciones. Después del capítulo introductorio, el
segundo se ocupa del discernimiento y desarrollo de la vocación a la Compañía de
Jesús, profundizando un texto excepcional en la historia de la vida consagrada: el
Examen General, haciéndolo en paralelo con los Ejercicios. Pero si Ignacio habría
presupuesto — afirma — que quien accede a la Compañía desea en primer lugar
seguir a Cristo consagrándose según los consejos de perfección, O’Leary presenta
un número de objecciones. Interpretamos que se trata de una de las explorations, a
que refiere el título del libro (pp. 34-38). O’Leary afirma: «Muchos candidatos se
sienten atraídos a la Compañía específicamente por las oportunidades apostólicas
que les ofrece».
El capítulo 3 estudia los votos de castidad, pobreza y obediencia, así como la
práctica de oración propia de los jesuitas. Si un celibato temporal es el mejor modo
de vivir la sexualidad, cuando uno está de paso, afirma, un celibato permanente es el
modo de vivir la sexualidad cuando uno elige vivir como peregrino. La obediencia
se trata considerando sus cuatro tipos: ascético, místico, unitivo y apostólico.
Respecto a la pobreza, corrobora que ésta se funda no ya en la tradición de la vida
religiosa anterior a la Compañía, sino en la experiencia de Ignacio y sus primeros
compañeros.
En el capítulo 4, O’Leary trata de la misión, que presenta como fruto de la
experiencia mística que se encuentra a la base del texto; algo contradistinto de otras
empresas contemporáneas como por ejemplo el management internacional (86:5).
En este capítulo y el siguiente resume los comentarios que Jerónimo Nadal hiciera a
la segunda generación de jesuitas.
El envío apostólico a lo largo y ancho de una Viña sin límites nacionales
complica la coesión entre los jesuitas particulares. Así, O’Leary afronta en el capítulo 5 esta tensión característica, discute la ausencia de una comunidad local en el
texto y presenta la categoría «incorporación». O’Leary ofrece los motivos
evangélicos y de carácter práctico que justifican el que Ignacio reflexionara profundamente sobre el modo de estrechar los lazos entre los repartidos por la Viña.
El capítulo 6 se concentra en materiales tomados de la Parte IX. Se esfuerza por
pensar el modo de gobierno distintivo de la Compañía de Jesús, distinguiéndolo del
«management» contemporáneo. Las Constituciones se refieren a la Compañía como
a un «cuerpo» y a su General como a la «cabeza» del mismo.
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GREGORIANUM, VOL 94 (2013) FASC. III: RECENSIONES
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El último capítulo se ocupa de la Parte X y explica la mirada que este cuerpo
coesionado y dispuesto bajo su «cabeza» lanza hacia el futuro. Esta Parte constituye
el extremo de un dinamismo pretendido desde el principio, pero sólo ahora comprensible. De nuevo, O’Leary establece una analogía entre el texto de los Ejercicios
y el de las Constituciones, leyendo la Parte X a la luz de la Contemplación para
alcanzar amor.
Este último rasgo muestra que la interpretación es primariamente espiritual, a
partir de un criterio externo al mismo texto. Identificamos, además, tres acentos en
estas exploraciones: la experiencia de Ignacio (por encima de la «mente» del autor),
la misión apostólica (verdadero filo rosso del libro) y el cuerpo unificado por el
amor (característico y distintivo de la leadership y del management contemporáneos). Aplaudimos el interés por descubrir en qué modo el amor está presente
en el tejido del texto (88-89; 114-115). También valoramos las correlaciones que
establece entre las Constituciones y el Cuarto Evangelio. El libro, en fin, explora
cuestiones interesantes relativas a nuestro tiempo como por ejemplo ¿Por qué el
texto es tan escueto en materia de oración? ¿Por qué hablar así de la castidad? ¿El
interés por la «comunidad» local, es una innovación distintiva de la era Kolvenbach?
JOSE CARLOS COUPEAU, S.I.
SCIENTIAE SOCIALES
ANDRE, VALERIE – CONTZEN, JEAN-PIERRE – HOTTOIS, GILBERT, ed., L’idéologie du
progrès dans la tourmente du postmodernisme. Actes de colloque, Académie
royale de Belgique 2012; p. 256. 12,00. ISBN 978-2-8031-0297-6.
L’idéologie du progrès qui a dominé la pensée occidentale depuis le XVIIIe
siècle s’est vue attribuer le mérite de l’essor et des techniques qui a fait entrer le
monde contemporain dans une ère nouvelle après avoir rompu ses attaches avec les
époques qui l’ont précédé; cependant ce qu’il est convenu d’appeler le postmodernisme met ce jugement en question. Il faut se réjouir de ce que l’Académie royale de
Belgique ait organisé un colloque pour examiner s’il y avait lieu de retenir encore
aujourd’hui un culte du progrès. Les débats ont été orientés grâce aux questions qui
avaient été soumises préalablement aux participants: Quelle est l’origine de l’idée de
progrès? Concerne-t-elle seulement l’essor des sciences et des techniques ou faut-il
y intégrer le développement économique et social ainsi que l’affirmation des droits
de l’homme et celle de libertés considérées comme fondamentales? De quelles adaptations cette idéologie est-elle capable quand elle est confrontée aux transformations
de la société et au désir de l’adapter à des revendications nouvelles considérées
comme des valeurs (démographie, féminisme, gender...)? Toutes ces questions
viennent au jour du fait que l’homme découvre à travers la science qu’il n’est pas le
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GREGORIANUM, VOL 94 (2013) FASC. III: RECENSIONES
centre de l’univers; l’ordre social qu’il prétend imposer apparait alors comme une
illusion de puissance sur la création, alors qu’il n’est pas même maître de sa vie
intérieure comme le lui a appris la psychanalyse? L’ère postmoderne prend alors sa
définition propre; elle n’est plus seulement celle ainsi nommée par Toynbee en 1934
pour caractériser le consumérisme conditionné par les médias; il caractérise désormais, depuis 1970, la transformation perpétuelle du cadre dans lequel se déroule la
vie humaine et dont elle dépend. Une telle contestation du progrès demandait de
présenter de manière extensive l’un des philosophes qui lui a donné sa forme
philosophique voire idéologique. De là le chapitre sur Condorcet et la substitution
qu’il a entreprise de la préoccupation dominante pour le salut individuel par celle
d’une perfectibilité constante de l’humain. Il est évident que cette proposition rompt
avec la philosophie occidentale d’origine platonicienne, puisque la vérité n’est plus
dans une idée qui s’offre à la contemplation de l’homme mais dans la connaissance
qu’il acquiert par l’expérience. Il est exact que l’idée de progrès s’est imposée en
Occident et qu’elle a servi de fondement à son développement encore impensable au
temps des premiers Philosophes car elle a montré tout ce que pouvait entreprendre
l’homme indépendant; il est non moins certain que «réduit au statut d’assisté, le
citoyen des social-démocraties ne peut actualiser qu’une partie de plus en plus
étriquée de son potentiel spirituel (et que) [...] l’égalité produit la stagnation» (88).
Au terme des seize contributions que contient cet ouvrage il apparait que l’analyse
de progrès ne permet pas en elle-même de dire en quel sens penchera le débat entre
croissance humaine et stagnation car elle ne tient en elle-même aucune garantie de
survie; on est renvoyé au choix philosophique de base auquel est confronté l’humanité, celui du sens ou de la finalité qu’elle donne à la succession des époques dans
l’univers.
Le progrès va-t-il se poursuivre? La question devrait être posée de manière plus
réaliste, c’est-à-dire quelles sont les caractéristiques futures appelées à apparaître et
à quelles conditions? La contribution du sénateur brésilien Buarque éclaire la
première de ces interrogations en parlant d’une réorientation des processus de
production et de consommation grâce à l’adoption de critères nouveaux, rendue
indispensable par la menace, entre autres, d’une catastrophe écologique. Il ne fait
pas de doute que des critères quantitatifs devront être élaborés mais on s’étonne du
caractère scientiste de la plupart des contributions à ce volume car il n’y a pas de
mention du rôle possible que les forces spirituelles ou religieuses pourraient jouer
pour s’engager d’une manière réfléchie dans cette direction.
JOSEPH JOBLIN, S.I.
BIERLAIRE, FRANZ – al., Les minorités, un défi pour les États. Minorities, a
challenge for the States. Actes du colloque des 12 et 13 mai 2011, organisé au
Palais des Académies à Bruxelles par l’Académie royale de Belgique et l’Union
Académique Internationale, Académie royale de Belgique, Bruxelles 2012; pp.
272. 12,00. ISBN 978-2-8031-0292-1.
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GREGORIANUM, VOL 94 (2013) FASC. III: RECENSIONES
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La présence de minorités dans les États nationaux est souvent source de difficultés et le fait de leur existence s’impose à la réflexion. L’Académie Royale de
Belgique a eu le mérite d’organiser un colloque scientifique sur ce thème qui est
souvent abordé dans les médias sous forme passionnelle voire polémique. L’on ne
peut se dégager des prises de position tenant à l’émotion qu’en prenant la mesure
des divers aspects et défis que pose aujourd’hui le phénomène migratoire qui affecte
tous les continents avec des caractères nouveaux. Les organisateurs du colloque dont
les communications sont ici publiées ont eu le mérite du réalisme en se limitant à
l’Europe. Les sessions ont été réparties en trois grands thèmes: naissance et développement du phénomène migratoire en Europe, étude des grandes théories politiques
mises en avant pour résoudre les problèmes qui lui sont inhérents, étude de cas
particuliers en fonction du cadre institutionnel européen depuis la tentative de la
Société des Nations, la Charte onusienne et les grandes conventions européennes.
La constitution des États nationaux en Europe a tenté dans un premier temps de
maintenir la règle héritée du Moyen Age qui venait elle-même de l’Antiquité selon
laquelle l’unité d’une cité reposait sur la reconnaissance d’une même religion; mais
certaines des communautés politiques qui se formèrent à la suite de la Réforme
protestante sur le principe cujus regio ejus religio trouvèrent préférable d’inventer la
tolérance en vue de mettre fin aux guerres entre fidèles des diverses confessions. Les
premières minorités auxquelles des droits furent concédés furent religieuses et une
paix confessionnelle s’installa progressivement en Europe. Cet état de choses fut mis
à mal à la suite de la première guerre mondiale. Le découpage imposé à l’empire
austro-hongrois et à l’empire ottoman imposèrent à des minorités religieuses de
vivre dans des milieux politiques qui leur étaient étrangers voire hostiles; elles
prirent alors conscience de leur identité en tant que minorités ethniques et revendiquèrent leur droit à une reconnaissance politique, pouvant aller jusqu’à l’indépendance, surtout si elles étaient concentrées sur un même territoire. Ce problème — il
se présente aujourd’hui dans tous les continents — est étudié ici dans le contexte
européen où depuis un demi-siècle les minorités nationales ne sont plus seulement
religieuses au sein d’une culture dont les bases étaient communes à tous mais
culturelles et raciales du fait des grandes migrations internationales. Face à la
complexité de ces situations, les intervenants ont observé que les pays européens ont
cherché une solution dans trois directions différentes: le modèle libéral reposant sur
l’égalité de chacun des membres en tant qu’individu (1789), celui dit républicain
qui, à l’opposé, juge légitime de faire prévaloir l’intérêt collectif sur les aspirations
des particuliers (France) et celui du multiculturalisme qui, donnant à chaque communauté le plein exercice de ses droits, risque de conduire à une dislocation du
corps social (Royaume Uni). Les auteurs des diverses contributions offrent ainsi un
abondant matériel à la réflexion mais on peut s’étonner du fait qu’aucune ne fasse
place — surtout en Europe — au rôle du christianisme dans l’élaboration et l’application de ces modèles comme dans leurs transformations. Ceux-ci évoluent en effet
sous l’influence de valeurs qu’appuient ou combattent les religions. Cet oubli est un
aspect de l’oubli dans lequel peuvent être mis certains courants de l’opinion par un
certain politically correct même s’ils sont quantitativement majoritaires. Mise à part
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GREGORIANUM, VOL 94 (2013) FASC. III: RECENSIONES
cette observation, il faut se réjouir de la publication des Actes d’un colloque qui a
touché d’une manière intelligente nombre de points d’actualité.
JOSEPH JOBLIN, S.I.
MUÑOZ, RODRIGO – SÁNCHEZ CAÑIZARES, JAVIER –GUITIÁN, GREGORIO, ed.,
Religión, sociedad y razón práctica. Facultad de Teología, Universidad de
Navarra. Actas del XXXII Simposio Internacional, Simposios Internacionales de
Teología, EUNSA, Brañáin 2012; pp. 296; 19,00. ISBN 978-84-313-2855-9.
Un’indagine sulle origini dei fenomeni che hanno sconvolto il Novecento e
stanno travagliando il terzo millennio, non può esimersi dal porre in evidenza il
progressivo allontanamento dalla morale tradizionale. Ad essa la cultura «ufficiale»,
che sempre più tende a configurarsi come cultura egemone, è andata sostituendo un
relativismo etico vieppiù aggressivo che, mettendo in discussione i fondamenti
religiosi della morale, ha proposto la loro sostituzione con modelli «laici». A questo
riguardo, il rev. Adoukonou segnala la tendenza a imporre l’opzione atea dell’Occidente «al resto del mondo, composto per l’80% da nazioni che vivono in sistemi
culturali aperti alla trascendenza e nelle quali la religione continua a svolgere un
ruolo importante costituendo il fondamento della cultura». L’orientamento neoliberista sta producendo una deriva etica che privilegia l’ideale del profitto, esalta la
componente edonistica, fa coincidere il prestigio con la ricchezza e tende a sostituire
la politica con le leggi del mercato. Da questa prospettiva, il concetto stesso di
«Stato» è destinato ad essere superato in vista di un super-governo mondiale retto da
una comune ideologia laicista, gestito da multinazionali in grado di dettare il corso
della politica. L’attuale crisi è il prodotto d’una deregulation di natura etica la quale
ha ordito una trama — portata a compimento da lobbies prive di scrupoli — che non
esclude la frode sistematica. Quindici anni fa, le stime riguardanti la distribuzione
planetaria della ricchezza delineavano un quadro allarmante; il 17% della
popolazione mondiale — circa 800 milioni distribuiti principalmente fra USA,
Canada, Europa occidentale, Giappone, Australia — deteneva l’83% della ricchezza
del pianeta; il resto — circa 5 miliardi — aveva accesso al 17% delle risorse, un
accesso spesso virtuale per mancanza d’idonee tecnologie. Nelle nazioni ricche, la
distribuzione del benessere lasciava spazio ad aree di indigenza che l’attuale crisi sta
rendendo più vaste. Il crescente tasso di disoccupazione è il risultato di un progetto
che si è disinteressato della sorte delle generazioni future. Lo stesso può affermarsi
per quanto riguarda il dissesto dell’ecosistema, come scrive Gregorio Guitián: «Una
visione materialistica dello sviluppo, la quale ricerca unicamente il benessere
materiale, ha generato di fatto il consumismo, visione limitata a una breve durata,
assieme a un maggior degrado della natura». La retorica del progresso incita ad
aumentare senza sosta il consumo in modo da incrementare la produzione,
occultando volutamente che le risorse naturali costituiscono un sistema chiuso. A
questo proposito, Ernst Böckenförde notava che «Lo stato liberale secolarizzato si
fonda su presupposti che, da solo, non è in grado di garantire». Come porre rimedio?
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GREGORIANUM, VOL 94 (2013) FASC. III: RECENSIONES
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Gli autori sono concordi circa l’urgenza di un diverso orientamento antropologico,
in primo luogo etico, cui la religione può contribuire efficacemente dalla prospettiva
tracciata dalla Gaudium et Spes: «La comunità politica e la Chiesa sono indipendenti
e autonome, ognuna nel proprio terreno. Entrambi, tuttavia, sebbene a diverso titolo,
sono al servizio della vocazione personale e sociale dell’uomo». Ciascun autore,
nell’ambito delle proprie competenze, si propone di far luce sul contributo che le
religioni potrebbero dare a questo progetto che è, innanzitutto, un progetto di
civiltà. La prima parte degli Atti è dedicata al tema «Religione e politica»; la
seconda al tema «Economia sviluppo e scienza»; la terza a «Famiglia e educazione».
Tra i saggi della prima parte: «La religione nella sfera pubblica. Compiti per la
teologia» di Rodrigo Muñoz (Univ. Navarra); «Legge naturale, società e religione»
di Javier Sánchez Cañizares (Univ. Navarra); «Democrazia e relativismo etico» di
Ignacio Sánchez Cámara (Univ. La Coruña); «L’evangelizzazione come servizio
all’uomo e alla società. Centralità della Croce di Cristo» del rev. Barthélemy Adounokonou (Segetario del Pontificio Consiglio per la Cultura). Tra i saggi della
seconda parte: «Crisi ecologica e crisi economica: radici comuni e implicazioni da
una prospettiva cristiana» di Gregorio Guitián (Univ. Navarra). Nella terza parte:
«La funzione strategica della famiglia e la sua protezione sociale» di Javier Escrivá
(Univ. Navarra); «Famiglia religione e società» di Antonio Porras (Pontificia Università della S. Croce, Roma). Ognuno dei contributi, oltre al valore intrinseco degli
stessi, è corredato da riferimenti bibliografici puntuali e circostanziati che rendono
questa raccolta un prezioso strumento di orientamento e un valido sussidio per la
ricerca.
MARIO POLIA
PAPETTI, RENATO, ed., Verso la civiltà dell’amore. Paolo VI e la costruzione della
comunità umana. Colloquio internazionale di studio, Concesio (Brescia), 24-26
settembre 2010, Quaderni dell’Istituto Paolo VI, Edizioni Studium, Brescia
2012; pp. 296. 35,00. ISBN 978-88-382-4180-2.
Cet ouvrage contient l’ensemble des contributions (en italien et en français) au
XIe colloque organisé par l’Institut Paul VI pour étudier un aspect particulier de
l’action du Pape Montini; l’objectif de cette rencontre était d’éclairer le sens qu’il
convient de donner à cette expression dont Paul VI a usé avec insistance à la fin de
son pontificat, celle de «civilisation de l’amour». Les travaux de la rencontre ont mis
en évidence le processus historique qui est à son origine et l’importance qu’elle
revêt pour la présence de l’Église dans le monde de ce temps. Le discours social de
l’Église a insisté depuis bientôt un siècle sur le rapport intrinsèque dans lequel il faut
étudier la relation entre la justice et la charité. Pie XI l’ayant souligné à deux
reprises dans l’encyclique Quadragesimo Anno, les théologiens voulant donner un
sens chrétien aux réalités sociopolitiques n’ont cessé de l’approfondir; ainsi notamment le père Oscar von Nell Breuning dans son ouvrage sur l’encyclique de Pie XI
(1932) ou Gaston Fessard dans Pax Nostra où il étudie l’attitude de la conscience
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GREGORIANUM, VOL 94 (2013) FASC. III: RECENSIONES
chrétienne devant la crise internationale de 1937. Ce thème a été repris par Paul VI
dans ce qu’il a appelé la civilisation de l’amour, notamment dans l’allocution par
laquelle il a clôturé l’Année Sainte en 1975; on le retrouve ensuite dans le magistère
de Jean-Paul II comme dans celui de Benoît XVI et l’on ne compte pas les théologiens qui en ont traité (de Laubier,Toso, Salvini, Trobajo, etc.); aussi faut-il se
féliciter de ce que l’Istituto Paolo VI ait repris cette question dans un colloque
international en 2010.
L’exposé introductif du cardinal Paul Poupard, l’un des plus proches collaborateurs de Paul VI, contient ce qui peut être considéré comme l’âme de ce colloque
(p. 20); ll y insiste en effet sur le fait que Paul VI a définitivement dépassé l’opposition historique entre Ecclesia et Civitas pour affirmer leur complémentarité impliquant, selon les paroles mêmes du pape, «la légitime liberté de conscience et
d’action, la possibilité d’infuser dans la société temporelle autonome une dignité et
une richesse d’énergies morales que celle-ci ne saurait acquérir par elle-même».
L’ensemble des contributions illustre le sens qu’il convient de donner à cette
expression de civilisation de l’amour; il ne s’agit pas d’une doctrine mais d’une vie
chrétienne cohérente (Giorgi) dans une société acceptant le défi du pluralisme
(Veneruso) en vue de le rendre plus humain (J-P. Durand). Un tel projet repose sur
une anthropologie qui considère l’homme, non comme un individu, mais un être
personnel et donc social (Sesboüé) et construisant la communauté humaine en
faisant de la charité le critère de discernement dans les actions de développement et
de paix qui étaient au premier plan des préoccupations sociales sous le pontificat de
Paul VI (Joblin). Toutes ces interventions cherchent à mettre en relief ce que fut
l’intention de Paul VI, celle de susciter dans le peuple chrétien une foi vécue dans la
charité afin que chacun devienne pour sa part un protagoniste de l’aventure humaine
(Salvini 236) pour construire un nouvel humanisme planétaire (Paul VI) dont le
ciment sera l’amour que les hommes se porteront effectivement.
JOSEPH JOBLIN, S.I.
VARIA
HOWARD, DAMIAN A., Being Human in Islam. The Impact of the Evolutionary
Worldview, Culture and Civilization in the Middle East 24, Routledge, London –
New York 2011; pp. 226. £ 75.00. ISBN 978-0-415-60368-3.
What happens when Muslim authors engage with an evolutionary anthropology?
H. considers four «founding moments» (7), they are:
(a) The traumatic encounter with Western colonialism — combined with materialist and nationalist thinking: Muslim reactions to theories of evolutionary biology
studied by H. fall into two types: either rejection; or a «compatibilism» (46) that
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GREGORIANUM, VOL 94 (2013) FASC. III: RECENSIONES
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claims an a priori harmony between Islam and the sciences. The deplorable level of
discussion may be due to the fact that if believing Muslims discussed evolution they
were religious professionals (cf. 50), whose automatic defensive reactions made
them say that Islam was nevertheless true — and in need of modernisation. Thus, a
powerful, indeed explosive, encounter was meant to be watered down.
(b) The fascination of spiritualist optimism — represented particularly by
Bergsonians: Henri Bergson is a rather surprising interlocutor for Islam, given that
his philosophy is personalist if not individualist. He has, however, a well established
Muslim discipleship. For Bergson, within «creative evolution» the human being is
not a substance but an action. The French Jew was proclaimed as the new Aristotle
(84) for religious thought, that is, the provider of a new ontological framework for a
philosophically alert theology. He was seminal for, among others (cf. 78-84.187),
the founding father of modern Pakistan, Muhammad Iqbal (d. 1938), and for the
Moroccan thinker Mohammed Aziz Lahbabi (d. 1993). Iqbal reconstructed a
classical Sunni theology in the light of Bergson’s anthropology of aspiration (58),
while Lahbabi outlines a Muslim personalism based on the act of a Muslim’s
initiating faith proclamation «I witness that there is no divinity but God». The result
is a view of the human being which becomes person as witness in community, rather
than a Cartesian thinker in the loneliness of his subjectivity. Lahbabi had promised
to provide a Muslim theology of human liberation; but the Bergsonian framework
proved to have, in Lahbabi, merely descriptive but not emancipatory force (54).
Lahbabi remains an apologist; and H. has an explanation for the lack of creativity in
the Moroccan’s thought: he kept the contributions from mystical and philosophical
expressions too neatly out of his theology (78); but more than that: the Bergsonian
heritage made him keep out of his anthropology even God, claiming that I become a
person because I enter the umma.
(c) The spread of apocalyptic post-World War I despair — paired with the socalled Tradionalist Perennialism: Perennialists are fighting against a non-spiritual
view of life. According to them, God has revealed the same, everlasting («perennial») truth in several teachings that are now transmitted through the different
traditional civilisations of traditions, that is, through the religions. Tradition’s
manifold liveliness is blocked only by one man-made barrier, viz., Western
Modernity. The modern attempt to interrupt, by its anti-traditionalism, the flow of
divinely founded cultures, according to Traditionalism, manifests its perversion —
and reaches its peak — in the theory of evolution. (The import of H.’s study in this
area has already been explored by the present reviewer in his article:
«Verständigung durch Vereinnahmung?», in CH. BÖTTIGHEIMER, ed., Glaubensverantwortung im Horizont der «Zeichen der Zeit», Freiburg 2011, 107-134). H.
displays comprehension for their intention to stop any abuse of the evolutionary
paradigm (cf. 119), but he has four critical points to make against Perennial
Traditionalists: their analysis of modernity as pure negation of the transcendent is
simplistic (118); they do not even discuss possible alternative approaches (117);
their teaching is an inconsistent and artificial combination of an emanationist
metaphysics, an initiatory esotericism, and some kind of theology of revelation
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GREGORIANUM, VOL 94 (2013) FASC. III: RECENSIONES
(117); and finally: Traditionalism implies a «thorough-going individualism, elitism
and, possibly, nihilism» (117).
(d) Post colonial Islam — with its integralist re-affirmation in the project of
Islamizing the sciences: H. studies the Malaysian Syed Muhammad Naquib al-Attas
(b. 1931), who comes from a Sufi inspiration; the Palestinian American Ismail alFaruqi (d. 1986), whose approach is, rather, based on jurisprudence; and the Welsh
convert to Islam Merryl Wyn Davies, an anthropologist. Al-Faruqi heads the
«International Institute for Islamic Thought». It has been described by Bassam Tibi
as post-modern and de-westernizing — according to H., quite wrongly so (143.
197); their programme is, rather, «additive» (143): both science and revelation, the
Institute presupposes, provide relevant data; one data package needs to be added to
the other.
The book is an enjoyable and intelligent contribution to the encounter with
Islamic thought.
FELIX KÖRNER, S.I.
MONFASANI, JOHN, Bessarion Scholasticus: A Study of Cardinal Bessarion’s Latin
Library, Byzantios. Studies in Byzantine History and Civilization 3, Brepols,
Turnhout 2011; pp. 306. 65,00. ISBN 978-2-503-54154-9.
Umanista filosofo e filologo, Bessarione (1403-1472) è stato anche un grande
bibliofilo. J. Monfasani stima che la biblioteca personale del Cardinal Niceno
lasciata in eredità alla Biblioteca Marciana (Venezia) contava, tra manoscritti e
incunaboli, circa 1160 volumi (660 greci e 500 latini). Peraltro, il presente studio
non verte sulla formazione della biblioteca ma sugli interessi culturali che, sulla base
dei libri raccolti, l’illustre porporato mostra di avere, specie nei confronti della
cultura latina. Così si viene a sapere che, curiosamente, l’interesse di Bessarione nei
confronti degli umanisti contemporanei era piuttosti limitato (8 volumi). Più
spiccato, invece, era il suo interesse per la letteratura latina classica. Della letteratura
profana egli possedeva 75 volumi, di cui 21 di Cicerone (cf. App. III), mentre della
patristica latina i volumi ammontano a 49, di cui 18 di Agostino (cf. cap. 1,
specialmente pp. 19-21). Della scolastica, Bessarione possedeva 204 volumi contenenti opere di più di 110 autori diversi (non conto gli Anonimi e i volumi
miscellanei), tra cui Tommaso (30 volumi), Alberto Magno (17), Pietro Lombardo
(5), Giovanni Duns Scoto (4), Guglielmo di Ockam (4) (cf. cap. 2 e App. I). Di
Tommaso, Bessarione conobbe le opere in Grecia nella traduzione di Demetrio
Cidone e ne perfezionò la conoscenza in Italia possedendo quasi tutte le opere.
Peraltro, la lista contenente i Principalia puncta in quibus differunt Thomatiste a
Scotistis, trascritta da Bessarione nel Marc. gr. 148, non è frutto dell’erudizione dell’illustre porporato (App. II). Mentre nei primi tempi Bessarione cita frequentemente
le opere di Tommaso nella traduzione cidoniana, negli ultimi tempi, invece, egli cita
il Tommaso latino molto raramente (cap. 3).
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GREGORIANUM, VOL 94 (2013) FASC. III: RECENSIONES
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Completano il volume l’elenco dei libri latini di diritto civile e di diritto canonico
contenuti nella biblioteca bessarionea (App. IV-V); l’individuazione dei «familiari»
di Bessarione ante 1450 (VI); l’edizione di dediche, che alcuni «familiari» di
Bessarione hanno anteposto in loro pubblicazioni (App. VII-IX, XI-XII) e l’edizione
di una lettera di Lauro Quirini indirizzata a Bessarione (X). Il volume si chiude con
la bibliografia (pp. 245-277), l’Index dei manoscritti e degli incunabuli citati (279292), l’indice dei nomi (293-306).
Dallo studio di J. Monfasani emerge che, malgrado il lungo soggiorno in Italia e
la brillante carriera fatta all’interno della gerarchia latina, Bessarione è rimasto fino
alla fine della sua vita un patriota greco. Più che a testi latini, le sue convinzioni
unionistiche si ricollegano a posizioni dottrinali greche (di Niceforo Vlemmide,
Giovanni Veccos, Demetrio Cidone, Manuele Caleca, i fratelli Crisoberga). Malgrado la buona conoscenza da lui acquisita della lingua latina, fino ancora il 1459
Bessarione preferiva scrivere le sue opere in greco (ivi inclusa la prima redazione
dell’In calumniatorem Platonis). Contariamente ad altri suoi contemporanei che,
passati al dogma occidentale, entrarono nell’Ordine dei Domenicani, Bessarione
rimase monaco basiliano.
Di Gregorio Palamas, Bessarione s’interessò, a quanto pare, solo in vista della
sua partecipazione al Concilio di Firenze. Negli anni successivi al Concilio, tranne
qualche fugace intervento dettato dalle circostanze, della teologia palamitica egli
non si occupò più di tanto: di fatto, nella biblioteca bessarionea non compare nessuna opera palamitica. Di Tommaso, Bessarione ammirò e condivise l’aristotelismo:
per lui l’Aquinate è «il miglior conoscitore della filosofia di Aristotele», «il vero
diadoco della Scuola peripatetica». Il confronto con il testo originale latino che
Bessarione fece delle traduzioni di opere tomistiche da parte di Demetrio Cidone,
lungi dal tradire interessi specificamente teologici, è circoscritto nell’ambito
filologico. Di carattere filologico è anche il suo In illud Evangelii: Sic eum volo
manere, quid ad te? (Jo. 21, 22), ove Bessarione rileva che il «Sic» (pro «Si») della
Vulgata è un errore del copista. Nelle refutazioni bessarionee di opere antilatine (di
Massimo Planude, di Marco Eugenico), il discorso si sviluppa non sulla base di testi
biblici e patristici ma su ragionamenti sillogistici. È questo «razionalismo»
sufficiente per considerare Bessarione un tomista? Il cardinal Niceno, che non è
palamita, non è nemmeno tomista. Il libro di J. Monfasani, nel tratteggiare in
maniera nitida gli interessi culturali di Bessarione nei confronti della cultura
occidentale, stimola tra l’altro uno studio volto all’individuazione delle convinzioni
teologiche più intime dell’illustre porporato e, di riflesso, alla comprensione della
sua personalità complessa, controversa e affascinante.
ANTONIS FYRIGOS
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GREGORIANUM, VOL 94 (2013) FASC. III: INDICATIONES
INDICATIONES
BELLARMINE, ROBERT, On the Eternal Happiness of the Saints, Jesuit Primary
Sources in English Translations 27, The Institute of Jesuit Sources, Saint Louis
(MO) 2012; pp. 244. US$ 22.95. ISBN 978-1-880810-79-4.
On the Eternal Happiness of the Saints (2012) is the third English translation of
the book De Aeterna felicitate sanctorum (1616) of St. Robert Bellarmine, S.J. The
intention of the translator, Charles S. Kraszewski, is to provide a translation in
modern English. Kraszewski has been successful in fulfilling the desired objective.
The contemporary English reader can enjoy a smooth and easy reading of the book.
Kraszewski’s scholarly introduction to the book helps the reader understand its
contents. He takes pains to explain the key theological ideas underlying the author’s
thought. Such an explanation proves helpful to follow the book better, as the
contemporary reader may not be familiar with the theology prevailing at the time of
the book’s composition.
Bellarmine wrote this book towards the end of his life. It is developed in a clear
and systematic way, without being a treatise of systematic theology. Like the
Spiritual Exercises of St. Ignatius, it is a spiritual manual meant for the spiritual
growth of a Christian reader. Consequently one will benefit more by meditating on
its contents, a chapter a day, much like a spiritual exercise. Bellarmine provokes an
intense desire for heaven in the heart of the reader. In order to do so, he keeps
switching between earthly and heavenly spheres, proposing the latter as infinitely
more delightful than the former. In most chapters, the first part is in the indicative
mood, exposing the splendor of paradise, and the second part is in the imperative
mood, urging the reader to strive after eternal happiness.
The book is divided into five chapters that discuss twelve aspects of the eternal
happiness of the saints. The first four books discuss one aspect each, while the last
book deals with the remaining eight aspects. The first four books explain eternity in
four metaphors, namely, kingdom of God, City of God, House of God and Paradise.
Infinity, liberty, familiarity and delight respectively, characterize each of the four
metaphors. The last book which deals with the remaining eight aspects, explains
eternal bliss in terms of six kingdom parables (treasure, pearl, daily wage, banquet,
talents and wedding feast) from the synoptic gospels and the metaphors of «prize»
and «crown» from the Pauline epistles. In both the exposition of the heavenly sphere
and the proposition of the measures to be taken to enter it, St. Robert Bellarmine
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GREGORIANUM, VOL 94 (2013) FASC. III: INDICATIONES
663
makes extensive use of the Scriptures and his profound knowledge of the Church
Fathers.
ROLPHY PINTO, S.I.
KONRAD, MICHAEL, Crescere nella giustizia. Introduzione all’etica sociale, Dialogo
di Filosofia 21, Lateran University Press, Città del Vaticano 2012; pp. 270.
25,00. ISBN 978-88-465-0838-6.
Cet ouvrage se présente comme un manuel mettant à la disposition des étudiants
en théologie comme de tout lecteur désireux de se cultiver les noyaux de l’éthique
sociale; ceux-ci sont envisagés dans une perspective catholique; il mérite de retenir
l’attention car il montre comment les problèmes contemporains sur la personne,
l’organisation de la société s’enracinent dans le passé et comment la doctrine sociale
de l’Église a été élaborée d’une manière «expérimentale» grâce à «la rencontre de la
vie et de la conscience chrétienne avec les situations du monde, et (comment) elle se
manifeste dans les efforts accomplis par les individus, les familles, les agents culturels et sociaux, les politiciens et les hommes d’État pour lui donner sa forme et son
application dans l’histoire» (Centesimus Annus 59). Les questions abordées sont
celles de la philosophie sociale, la personne, la société et les corps intermédiaires,
les principes fondamentaux qui commandent leurs rapports que sont la solidarité et
la subsidiarité, le conflit Église/État dans l’histoire et dans l’actualité, ce qui permet
de traiter des grandes questions que sont la liberté de conscience, le droit de résistance, l’organisation internationale et la guerre juste. Nul doute que ceux qui se
familiariseront avec cet ouvrage auront acquis une méthode pour affronter les
questions nouvelles qui se présentent chaque jour avec l’énergie nucléaire, le respect
des identités culturelles, les questions de finances, d’économie et d’écologie.
JOSEPH JOBLIN, S.I.
PUTHENPURACKAL, JOHNSON J., ed., ACPI Encyclopedia of Philosophy. I. A-K, II.
L-Z, Asian Trading Corporation, Bangalore (India) 2010; pp. xxvii + 1574. Rs.
2400.00. ISBN I: 81-7086-574-3; II: 81-7086-575-1.
L’Association of Christian Philosophers of India (ACPI) a publié une importante
Encyclopédie de Philosophie, très marquée par le lieu et la culture de ses origines.
L’Avant-Propos du Dalai Lama souligne d’abord qu’une encyclopédie est indispensable pour qu’un dialogue entre des penseurs puisse s’engager dans la paix et le
respect mutuel. George Panthanmackel, président de l’ACPI, raconte ensuite que
cette Encyclopedia fut imaginée en 2004 lors d’un congrès de l’Association, fondée
en 1976 par des membres de congrégations religieuses, dont le jésuite belge De
Smet; ce congrès mit en exergue la nécessité de compléter la culture contemporaine
par un amour de la sagesse dont la technique ne peut pas se rendre maître. Les
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GREGORIANUM, VOL 94 (2013) FASC. III: INDICATIONES
chrétiens indiens, souligne l’éditeur de l’ouvrage, peuvent donner un apport philosophique original: telle est la motivation de l’entreprise ici réalisée.
L’Inde a depuis longtemps l’amour de la sagesse. Il convient de se mettre à
l’écoute des attitudes les plus universelles et de les proposer avec toute la richesse
que les cultures, et le christianisme, peuvent leur insuffler. Les 422 articles de
l’Encyclopedia sont attentifs à la pluralité des significations mises en jeu, surtout à
partir des cultures différentes qui les ont élaborées. L’œuvre manifeste ainsi une
tension où chacune des cultures, orientale et occidentale, renonce à épuiser les significations examinées, encore que certaines cultures soient plus compétentes que d’autres quant à tel ou tel sujet. Prenons le mot «absolu», que traitent deux auteurs de
manières différentes, d’abord selon la mentalité indienne puis selon la mentalité
occidentale. Des entrées tentent ainsi un dialogue direct entre l’Inde et l’Occident.
Autres exemples: le mot «Space» (du moins dans une moitié de la première des huit
colonnes), ou le terme «Pilgrimage» (dont l’explication entière engage dans un essai
de dialogue). Certains termes sont par contre propres à une culture, par exemple
«Dar�ana», «Sankara», des mots de l’Inde, ou des mots de l’Occident comme
«Déconstruction» (quasi 13 colonnes d’explication avec Heidegger et Derrida),
«Rationalisme» (Descartes, Spinoza, Leibniz). L’intérêt de l’Encyclopedia apparaît
ainsi évident, un travail soigneux élaboré par des professeurs hautement qualifiés
d’universités indiennes.
PAUL GILBERT, S.I.
XERAVITS, GÉZA G., ed., A Pious Seductress. Studies in the Book of Judith, Deuterocanonical and Cognate Literature Studies 14, De Gruyter, Berlin – Boston 2012;
pp. 225. 79,95. ISBN 978-3-11-027994-8.
El presente volumen contiene las actas de la «International Conference on the
Deuterocanonical Books», celebrada en el «Sapientia College of Theology» de
Budapest (Hungría) del 14 al 16 de mayo de 2009, bajo la dirección de Géza G.
Xeravits. En total son 11 artículos, todos en inglés a excepción de uno escrito en
alemán, sobre varios aspectos del libro de Judit: antiguas versiones, análisis de
personajes, contenido teológico y recepción literaria.
El primer artículo, a cargo de S.D. Ryan («The Ancient Versions of Judith and
the Place of the Septuagint in the Catholic Church»), presenta las antiguas versiones
de Judit (los textos griegos, la Vulgata, la Nova Vulgata y los textos siríacos) para
luego concentrase en las diferencias entre el griego y la Vulgata, a través del análisis
de textos concretos, para terminar tratando del lugar que ocupa la LXX en la Iglesia
católica.
Cuatro artículos se centran en los personajes más relevantes del libro: Nabucodonosor (G. Boccaccini, «Tigranes the Great as “Nebuchadnezzar” in the Book of
Judith»), Holofernes (J. Corley, «Imitation of Septuagintal Narrative and Greek
Historiography in the Portrait of Holofernes»), Judit (E. Juhl Christiansen, «Judith:
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Defender of Israel — Preserver of the Temple») y Ajior (F.V. Reiterer, «“Meines
Bruders Licht”. Untersuchungen zur Rolle des Achior»).
Otros cinco se ocupan de temas teológicos como la moral (M. Wojciechowski,
«Moral Teaching of the Book of Judith»), la ley (T. Hiecke, «Torah in Judith.
Dietary Laws, Purity and Other Torah Issues in the Book of Judith») o la oración. A
este último tema están dedicados los estudios de G.G. Xeravits («The Supplication
of Judith: Judith 9:1-14»), J. Lang («The Lord Who Crushes Wars. Studies on Judith
9:7; Judith 16:2 and Exodus 15,3») y E. Balassa («The Consequences of Dinah’s
Rape»).
Por último, la contribución de K. Schöpflin aborda la recepción del libro de Judit
en la literatura. Presenta dos obras de teatro dedicadas a Judit realizadas por tres
autores, dos alemanes y un francés, de los siglos XVI, XIX y XX respectivamente:
Sixt Birck, alias Xistus Betulius (1501-1554), Friedrich Hebbel (1813-1863) y Jean
Giradoux (1882-1944). En ellas estudia la caracterización de los personajes, la
función de la comunidad judía de Betulia y el papel de Dios en la obra.
NURIA CALDUCH-BENAGES
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GREGORIANUM, VOL 94 (2013) FASC. III: LIBRI NOSTRI
LIBRI NOSTRI
EHRAT, JOHANNES, Power of scandal. Semiotic and pragmatic in mass media,
Toronto studies in semiotics and communication, University of Toronto Press,
Toronto 2011; pp. 432. US$ 75.00. ISBN 978-1-44264125-9.
After developing a new Semiotic theory of public opinion, this book studies
media scandals as the industrial production of meaning of a certain type.
Televangelism and some of the scandals around Child Sexual Abuse relating to the
Church are analyzed in greater detail. In many theories of journalism, scandals are
treated «naturalistically», mostly as indignation effect in readers, but little effort has
been directed to the question how media industries produce this effect. Here this
production is understood as meaning in signs, bringing forth at a historical juncture
the idea of a «public opinion» as legitimization of power, making use of longstanding cultural models going back to the ancient theatre. Scandal is, together with
investigative journalism, merely the paroxysm of «being public». Evidently, this has
consequences for crisis communication plans on the part of the Church, the lack of
which can be studied in the recent abuse scandals.
KÖRNER, FELIX, ed., La riscoperta dell’identità religiosa. Un dialogo interdisciplinare, Documenta Missionalia 38, GBPress, Roma 2013; pp. 128. 23.00.
ISBN 978-88-7839-246-5.
Il volume prende spunto da un dubbio talvolta espresso di fronte al dialogo
interreligioso: dialogare con l’altro credente non indebolisce la nostra identità religiosa? Il già papa Benedetto XVI ha risposto a questa domanda in occasione della
presentazione degli ultimi auguri natalizi della Curia Romana nel 2012 dicendo: «il
cristiano ha […] la grande certezza di fondo di poter prendere tranquillamente il
largo nel vasto mare della verità, senza dover temere per la sua identità di cristiano.
Certo, non siamo noi a possedere la verità, ma è essa a possedere noi». In questa
fiducia, si dà voce nel libro a sei esperti. S.E. Cardinal Jean-Louis Tauran, diplomatico vaticano e presidente del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso, offre
un quadro teologico per comprendere le dinamiche dell’incontro fra cristiani e noncristiani: la sfida dell’identità, dell’alterità e della sincerità. Il teologo pastorale
P. Michael Sievernich, S.J. (Francoforte) presenta la terminologia missiologica e
analizza i diversi modelli di missione odierna: capillare, professionale e istituzionale. Prof. Andrea Di Maio, filosofo alla Gregoriana, passa in rassegna i paradigmi
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GREGORIANUM, VOL 94 (2013) FASC. III: LIBRI NOSTRI
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argomentativi dei pensatori antichi e medievali nei dialoghi interreligiosi. Il teologo
battista Harvey Cox (Harvard) propone un modello dell’incontro interreligioso come
svuotamento di se stessi e, allo stesso tempo, riscoperta della propria identità. Frà
Alberto Ambrosio, O.P. (Istanbul), islamologo, apre il tesoro concettuale ed esperienziale dei Sufi alla questione dell’identità. Rev. Bernard J. O’Connor, esperto nella
ecclesial mediation, fornisce un quadro pratico per la risoluzione dei conflitti.
KOWAL, JANUSZ – KOVA�, MIRJAM, ed., Matrimonio e famiglia in una società
multireligiosa e multiculturale. Giornata Accademica e Solenne Atto Accademico della Pontificia Università Gregoriana, 10 marzo 2011, Diritto Canonico
1, GBP Press, Roma 2012; pp. 425. 30,00. ISBN 978-88-7839-235-9.
Il libro raccoglie testi di relazioni e dibattiti della Giornata Accademica
organizzata dalla Facoltà di Diritto Canonico nella Pontificia Università Gregoriana.
La prima parte dell’evento si è articolata in otto sessioni contemporanee, preparate
da altrettante unità accademiche. I professori e i dottorandi, relatori alle sessioni,
hanno presentato le sfide che il matrimonio e la famiglia lanciano oggi ai rispettivi
campi di studio e di ricerca. Le relazioni di ogni singola sessione sono state seguite
dalla discussione. I temi proposti erano i seguenti: matrimonio e famiglia come
sacramento di dialogo e amore (Facoltà di Teologia); prevenzione della nullità del
matrimonio nella preparazione alle nozze (Facoltà di Diritto Canonico); la cultura
della vita come sfida per il futuro (Facoltà di Filosofia); matrimonio e famiglia nella
storia e nell’arte (Facoltà di Storia e Beni Culturali); matrimonio e famiglia in altre
religioni (Facoltà di Missiologia ed Istituto di Studi Interdisciplinari su Religioni e
Culture); famiglia contemporanea davanti alle sfide della crisi economica (Facoltà di
Scienze Sociali); spiritualità del matrimonio e della famiglia come percorso verso
l’accoglienza (Istituto della Spiritualità); matrimonio come ultimo simbolo di
eternità dell’uomo moderno (Istituto di Psicologia).
La seconda parte, il Solenne Atto Accademico, è stata progettata come culmine e
sintesi dell’evento. I partecipanti delle singole sessioni si sono radunati nell’Aula
Magna per ascoltare le riflessioni sulle sfide della «società liquida» al matrimonio
(Prof. Ivo Stefano Germano, sociologo), sui matrimoni interconfessionali (Dott.ssa
Maria Elena Campagnola, canonista) e sulla communicatio in sacris nei matrimoni
inter-religiosi (Prof. Janusz Kowal, S.I., Decano della Facoltà di Diritto Canonico).
Anche questa parte si è conclusa con un dibattito inerente i temi trattati.
La nuova collana «Diritto Canonico», che è stata inaugurata con il presente
volume, «mette a disposizione atti di eventi organizzati dalla Facoltà di Diritto
Canonico e opere di professori e di altri canonisti. Offre uno spazio per il confronto
e la condivisione delle idee, dei risultati delle indagini e degli studi nella prospettiva
di ulteriori approfondimenti e nuove ricerche» (dalla presentazione della collana).
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GREGORIANUM, VOL 94 (2013) FASC. III: LIBRI NOSTRI
MEYNET, ROLAND – ONISZCZUK, JACEK, Exercices d’analyse rhétorique,
Rhétorique Sémitique 12, Gabalda, Pendé 2013; pp. 358. 55.00. ISBN 378-285021-220-8
MEYNET, ROLAND, Traité de rhétorique, deuxième édition revue et corrigée,
Rhétorique Sémitique 11, Gabalda, Pendé 2013; pp. 715. 95.00. ISBN 378-285021-219-2.
La première édition du Traité de rhétorique biblique était parue chez Lethielleux
en 2007 (voir Gregorianum 84 [2007] 926). La deuxième édition n’est pas substantiellement différente; outre les mises à jour qui s’imposaient, y sont corrigées un
certain nombre d’erreurs, en particulier dans l’analyse de quelques textes.
Un Traité de cette sorte représente pour la rhétorique ce qu’est une grammaire
pour la langue. Y sont exposées les règles dans un système qui se veut cohérent et
exhaustif. Même si les exemples qui illustrent les règles sont nombreux, c’est un
ouvrage théorique, dont la consultation est utile. Mais, de même qu’une grammaire
n’enseigne ni à parler ni à écrire une langue, ainsi le Traité de rhétorique biblique
n’enseigne pas à pratiquer l’analyse rhétorique des textes bibliques. Pour apprendre
une langue étrangère, à jouer d’un instrument, à maitriser tout autre métier, il y faut
des exercices, beaucoup d’exercices.
Les Exercices d’analyse rhétorique sont donc destinés à ceux qui désirent se
familiariser avec la pratique de l’analyse rhétorique biblique et sémitique. Après un
«Avant-propos» qui présente les grandes lignes de la rhétorique propre aux textes
bibliques, et après une «Introduction» où sont exposées les consignes générales
destinées aux apprenants, les exercices se développent en deux étapes, qui correspondent à deux niveaux d’organisation des textes: celui des «passages» (ou
péricopes), puis celui des «séquences», ou groupes organiques formés de plusieurs
passages.
La première partie propose donc d’analyser onze «passages», alternativement de
l’Ancien puis du Nouveau Testament, les uns construits en parallèle, les autres de
manière concentrique (Jr 17,5-8; Mt 7,24-27; Ps 2; Col 1,15-20; Pr 26,1-12; Jn
19,17-22; Ps 34; Mc 6,1-6 & 7-13; Ps 98; Ap 19,1-8). Ces onze passages sont
encadrés par une «énigme» apéritive et par un «jeu» de reconstitution. Dans la
deuxième partie, l’apprenant est invité à étudier d’abord la sous-séquence de Marc
6,1-13, puis les séquences d’Ex 25,10-40, de 1Jn 3,2-24, d’Am 5,1-17, enfin de Mc
1,14-45.
Le volume ayant atteint 358 pages, il a fallu renoncer à une troisième partie où
l’on avait prévu l’analyse de deux livres entiers, Jonas et la lettre aux Colossiens.
Qui aura le courage et la persévérance, non pas de lire simplement, mais de faire
tous les exercices, qui représentent au total trente et une péricopes (onze pour la
première partie, vingt pour la deuxième), devrait acquérir suffisamment de métier
pour être en mesure de poursuivre personnellement.
L’apprenti sera aidé par les indications des exercices qui ont été conçues pour
aider à mettre sur la voie celui qui se trouverait perdu; par les «solutions» qui sont
proposées en fin de volume, lesquelles permettent de vérifier la justesse des résultats
obtenus.
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GREGORIANUM, VOL 94 (2013) FASC. III: LIBRI NOSTRI
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PIERI, FABRIZIO, Giobbe e il suo Dio. L’incontro-scontro con il Semplicemente
Altro, Spiritualità 2, GBPress, Roma 2013; pp. 80. 16,00. ISBN 978-88-7839243-4.
Attraverso uno studio di esegesi teologica, in risposta all’invito di Papa Benedetto nell’Esortazione post-sinodale Verbum Domini, e cosciente della formulazione
depositata al numero 24 della Dei Verbum secondo cui «lo studio delle sacre pagine
è come l’anima della sacra teologia», l’autore conduce il lettore a penetrare nel
pellegrinaggio spirituale credente di Giobbe che deve incontrare nella Teofania
finale del Libro (Gb 38,1-42, 6) il Volto e la Presenza trascendente di Dio, che pian
piano gli si rivela come il Semplice Altro, che domanda al suo interlocutore di
rispettare e contemplare il Suo piano provvidente libero e gratuito che è la garanzia
della realizzazione piena dell’uomo nella sua dignità creaturale e della sua vocazione personale.
Il cammino di Giobbe diventa l’itinerario del lettore, che penetrando nel libro,
come mashal bipolare, è provocato a fare la sua scelta e mettersi in gioco nella
speranza di poter incontrare il Dio della Teofania con la stessa intensa esperienza del
pellegrino Giobbe, che alla fine può dire al Signore: «Ti conoscevo per sentito dire
ora i miei occhi ti vedono» (Gb 42,5).
Nell’ultimo capitolo del libro l’esegesi teologico-spirituale cede il posto alla contemplazione per tentare di presentare il parallelo Giobbe-Cantico.
Alla domanda sulla relazione tra Giobbe e il Cantico l’autore risponde: «Se si
entra nel mistero profondo di questi due libri, si scopre che essi incarnano una
ricerca del vero volto di Dio. Giobbe è una ricerca spasmodica della Giustizia di
Dio, il Cantico una ricerca viscerale e continua dell’amore».
SANS, GEORG, Sintesi a priori. La filosofia critica di Immanuel Kant, La Crisalide
33, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli 2013; pp. 183. 18,00. ISBN 978-88495-2583-0.
In un momento caratterizzato dall’opposizione tra empirismo e razionalismo —
il primo spesso legato ad una sorta di scetticismo, il secondo vicino al dogmatismo,
specialmente in metafisica — Kant propose la sua filosofia trascendentale come
rimedio contro ogni forma di misologia, cioè disprezzo o sospetto nei confronti della
nostra ragione. «Critica della ragione», in tale contesto, vuol dire non tanto porre dei
limiti alle pretese vane ed illusorie della metafisica razionalista bensì scoprire i
principi fondamentali sia del sapere teoretico sia del dovere pratico nella stessa
ragione umana. La filosofia critica intende promuovere la capacità dell’uomo di servirsi del proprio intelletto e della propria ragione. La parola d’ordine per quell’uso è
la sintesi a priori. Le riflessioni kantiane, lungi dal portare a conseguenze
soggettivistiche oppure a risultati casuali, mettono in evidenza l’ordine oggettivo
della natura e le norme universali dell’agire. Occuparsi di Kant significa non solo
voler pensare con rigore, ma lasciarsi interrogare sulla sua visione del mondo e
dell’uomo, e riproporre la questione circa il senso della sua libertà.
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GREGORIANUM, VOL 94 (2013) FASC. III: LIBRI NOSTRI
Il saggio ricostruisce le idee portanti della filosofia kantiana, offrendo una
visione unitaria del suo pensiero. Dopo una breve rassegna dell’Estetica trascendentale (cap. 1), sono affrontati i temi centrali dell’Analitica trascendentale, quali le
categorie (cap. 2) e i principi a priori dell’intelletto (cap. 3). In seguito si tratta delle
questioni pratiche, quali la legge morale (cap. 4) e la filosofia del diritto (cap. 6). In
questo contesto si inseriscono gli argomenti metafisici, presentati nella Dialettica
trascendentale, come pure il concetto kantiano di fede pratica (cap. 5). L’ultimo
capitolo, infine, è dedicato ai temi della bellezza e della finalità nella natura (cap. 7).
Si spera di mostrare che i famosi giudizi sintetici a priori non sono solo grilli nella
testa di qualche filosofo di professione. Senza sintesi a priori, infatti, non è concepibile nessun calcolo matematico, nessuna legge naturale, nessun comandamento
morale, nessun giudizio di valore. La nostra esistenza priva di tutto ciò sarebbe
ridotta quasi alle funzioni vegetative, l’uomo perderebbe lo stato di un io che pensa
e di soggetto autonomo. Con la dottrina della sintesi a priori, invece, Kant ci offre
una nuova concezione della ragione umana, che può finalmente aiutarci a
comprendere meglio chi siamo.
TANNER, NORMAN, Kratka zgodovina katoliške Cerkve, Družina, Ljubljana 2013;
pp. 340. 29,50. ISBN 978-961-222-952-8.
Aggiungendosi all’originale New Short History of the Catholic Church, 2011
(vedi Gregorianum 92 [2011] 657) e alla traduzione in italiano, 2012 (ibid. 94
[2013] p. 224), sono state pubblicate in marzo 2013 le traduzioni dello stesso libro in
sloveno, Kratka zgodovina katoliške Cerkve (Družina, Ljubljana), e in giapponese
(Kyo Bun Kwan, Tokyo).NORMAN TANNER, S.I.
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GREGORIANUM, VOL 94 (2013) FASC. III: OPERA ACCEPTA
671
OPERA ACCEPTA
1.III.2013 – 10.V.2013
Publicantur ordine alphabetico omnes libri ad nos missi.
Opera relata, in quantum expedit, recensioni subiicientur.
Opera sponte ad redactionem missa in nullo casu remittentur.
AGOSTINI, DOMENICO, Ay�dg�r � j�m�sp�g. Un texte eschatologique zoroastrien,
Biblica et Orientalia 50, GBPress, Roma 2013; pp. 540. 60,00. ISBN 978-887653-353-2.
BAMBERG, ANNE, Introduction au droit canonique. Principes généraux et méthodes
de travail, Mise au point, Ellipses, Paris 2013; pp. 132. 13,20. ISBN 978-27298-7684-5.
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