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Anno XVIII N° 7/2009 - 15 maggio
UNIONE STAMPA PERIODICA ITALIANA
C
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La lotta agli sbarchi clandestini non è uno scandalo
anche perché “vengono trovati in acque internazionali”
Contrasto all’immigrazione clandestina
L’Italia multietnica e multiculturale è “un valore’’ ed esiste gà “di fatto’’.
Lo ha detto il segretario generale della Cei mons. Mariano Crociata
Giorgio Lambrinopulos
N
essuna
retromarcia sul contrasto
all’immigrazione
clandestina nonostante la
preoccupazione espressa
dal Vaticano per il respingimento di alcuni barconi
con a bordo uomini e donne provenienti dalla Libia.
A confermare la linea della
fermezza è il premier Silvio
Berlusconi che, nel corso
di una conferenza stampa
a palazzo Chigi con il titolare della Farnesina Franco
Frattini per illustrare la politica estera nel primo anno
di governo, ne approfitta
per chiarire le differenze tra
l’attuale esecutivo e la sinistra che “ha aperto le porte e che era ed è quella di
un’Italia multietnica”. Una
politica che non è poì quella
del governo attuale: “Noi chiarisce - abbiamo un’idea
diversa”. Ora, fa capire
bene il capo del governo,
l’Italia accoglierà “solo chi
ha le condizioni per ottenere l’asilo politico”. La
lotta agli sbarchi clandestini dunque prosegue, anzi
Berlusconi precisa che sulla materia non deve esserci
“nessuno scandalo” anche
perché i clandestini “ven-
Clandestini aiutati dalla Guardia di Finanza
gono trovati in acque internazionali”. In questo caso,
è il ragionamento di Berlusconi, “vale il nostro diritto
di respingerli”. Le scelte in
materia di immigrazione
non comporteranno però
una modifica della cosidetta
‘Bossi-Fini’, legge attual-
mente in vigore: “Non sarà
cambiata - dice - e non è
arrivata nessuna proposta al
mio tavolo”. A rafforzare la
tesi del presidente del Consiglio ci pensa il ministro
degli Esteri Franco Frattini
che ricorda come la politica
messa in campo dal nostro
Paese rispecchi “le norme
contenute nel patto europeo
firmato a fine dicembre”,
allo scadere della presidenza francese dell’Unione europea. E se la sinistra
è criticata per la politica
sull’immigrazione clandestina, l’opposizione è presa
Franceschini attacca Berlusconi
I
l segretario del Pd:
‘’L’Italia non è via dei
Coronari, è un’altra
cosa’’. E attacca: ‘’Berlu-
sconi si è costruito questo
grande reality, in cui si è
imprigionato e in cui vorrebbe coinvolgere anche
il Paese”. Sul
terremoto: ‘’Il
Cavaliere
è
stato in tenda
solo con Gheddafi, per chi
ci vive questa
estate la situazione non sarà
sopportabile’’
‘’Non votate
per
protesta
Di Pietro, è in
gioco la democrazia’’, dice il
segretario del
Pd Dario Franceschini. ‘’Siamo noi il vero
voto utile’’, replica Antonio
Di Pietro. E’
Il leader del PD, Dario Franceschini
lite sul prossimo voto europeo tra Partito democratico e Italia dei Valori. Ad
accendere la miccia è stato
l’appello a votare Pd rivolto
agli elettori dal segretario
Franceschini. “Rischiamo
di risvegliarci in un Paese
con un padrone assoluto”,
ha detto sottolineando l’importanza del distacco tra il
Pd e Berlusconi. Dunque no
“all’astensione o al voto di
protesta, perché quello per
Antonio Di Pietro non può
essere altro che un voto di
protesta”. ‘’Il 7 e l’8 giugno si svolgerà una partita
che determinerà la qualità
della democrazia italiana
nei prossimi anni - spiega - perché le democrazie
sono basate su un rapporto
di forza’’. ‘’Il paese - sottolinea Franceschini - corre
il rischio di cadere in uno
squilibrio troppo forte’’.
‘’Attenzione perché l’8 potremmo svegliarci in paese
diverso da quello che ci
hanno consegnato i nostri
padri’’, avverte. Le europee,
aggiunge il leader del Pd,
‘’sono uno spartiacque’’.
Il giorno dopo ‘’si misurerà la distanza tra il Pdl e il
Pd e si capirà se Berlusconi
ha stravinto o se l’Italia ha
ancora un equilibrio di forza’’. Il leader del Pd chiede
al premier di ‘’girare un po’
per il Paese reale”. “Dice
che parla con tutti - insiste
-, che gli piace scambiare
opinioni con i tassisti, stare
con la gente comune, poi
ieri è andato a fare un’immersione nel mondo reale a
via dei Coronari tra gli orafi
e gli antiquari...”. Il premier
Continua a pag 2
di mira anche per l’atteggiamento tenuto per affrontare la crisi economica: “I
suoi effetti - spiega - sono
dovuti in parte al fattore
psicologico” e, attacca il
Cavaliere, “sfortunatamente c’é un’opposizione che
guarda all’esistenza della
crisi quasi con soddisfazione”. L’Italia multietnica e
multiculturale e’ ‘’un valore’’ ed esiste gia’ ‘’di fatto’’.
Lo ha detto ai Giornalisti e
alle Agenzie il segretario
generale della Cei mons.
Mariano Crociata osservando che ‘’il problema e’
invece il modo in cui le culture e le presenze si rapportano’’ perché ‘’non si cresce
insieme in una accozzaglia
disordinata e sregolata’’.
Secondo il segretario generale della Conferenza episcopale italiana, le questioni legate alla multietnicità e
alla multiculturalità in Italia
‘’sono discorsi superati, nel
senso che la molteplicità
è un fatto. Ed è anche un
valore’’. ‘’Il problema - ha
avvertito mons. Crociata è invece il modo in cui le
culture e le presenze si rapportano’’. ‘’Non si cresce
insieme - ha spiegato - in
un’ accozzaglia disordinata
e sregolata ma a partire da
un tessuto storico, sociale
e culturale comune che costituisce il volto, l’identità
di un paese’’. Non si vuole, ha precisato il vescovo,
‘’cancellare l’identità di
ciascuno’’ ma nemmeno
teorizzare ‘’un’irreale parificazione che è cosa diversa
dall’eguaglianza’’. ‘’L’appiattimento infatti non aiuta
lo stare insieme, anzi lo distrugge’’, ha aggiunto concludendo che è necessario
‘’coordinarsi all’interno di
un orizzonte di fondo condiviso, di un tessuto comune che avvolga tutti, anche
chi viene’’ da fuori, come
gli immigrati. Il respingimento dei barconi di clandestini intercettati in acque
internazionali
risponde
‘’alla doverosa applicazione delle regole europee’’.
A spiegarlo, in collegamento telefonico con il Tg4, il
ministro degli Esteri Franco
Frattini, sottolineando che
‘’non si tratta di razzismo o
intolleranza’’, ma di dare un
segnale chiaro: ‘’In Italia e
Continua a pag 2
Renato Brunetta
Rivoluzione in corso
Mondadori
pp. 271 €. 18,00
“Il succo di queste pagine
è: cambiare si può, quindi si ha il dovere di farlo.
Uno dei mali che affligge
il nostro Paese è proprio
la diffusa convinzione che
tutto sia difficile, e forse
anche inutile. Invece capita
di verificare che una forte determinazione porta a
risultati importanti, anche
immediati.
Politica
2
Segue dalla prima
in Europa si entra solo rispettando la legge’’. ‘’Le motovedette
- ha rilevato Frattini - non hanno
la facoltà ma il dovere, per conto
dell’Unione europea, di intercettare’’ chi non ha ancora oltrepassato i confini Ue, ‘’perche’ quando uno entra in Italia e’ entrato
anche in Europa’’ e può andare in
qualsiasi dei suoi paesi. ‘’Siamo
obbligati dall’Unione a pattugliare il Mediterraneo - ha concluso
il ministro - e lo facciamo’’ come
lo devono fare gli altri paesi. Se,
ad esempio, l’intercettamento avviene da parte di una motovedetta
spagnola - ha spiegato il ministro - scattano gli stessi obblighi.
Quelli cioè di ‘’identificare i paesi da cui sono partiti riportare lì i
clandestini’’. I respingimenti, oltre ad essere un obbligo imposto
dalle norme Ue, rappresentano ha concluso il ministro - anche un
‘’principio di credibilità: come si
fa a parlare di politiche migratorie
se non si distinguono i clandestini
dagli immigrati che vengono per
lavorare?’’. Il ministro dell’Interno, Roberto Maroni ha riassunto
l’ultima azione del governo contro l’immigrazione clandestina
messa in atto questa mattina.
“Questa mattina (11 maggio ndr)
mi ha chiamato il capo della polizia Antonio Manganelli e quando
chiama il capo della polizia sono
sempre un pò preoccupato - dice
Maroni -: o è una buona notizia
o è una cattiva. Purtroppo lui ha
sempre la stessa voce e all’inizio
non si capisce che notizia sia. Per
fortuna questa volta mi ha detto
‘ministro, le confermo che alle
8.15 abbiamo riportato a Tripoli altri 240 clandestini’”. Maroni
ricorda che “abbiamo cominciato
dopo 10 mesi di trattativa complicata con la Libia ad applicare il
principio del respingimento. Sulle
acque internazionali che sono di
tutti e di nessuno non possiamo
lasciarli? Bene non facciamo altro
che riportarli da dove sono venuti”. “Abbiamo cominciato cinque
giorni fa - sottolinea il ministro
-. Sino a oggi abbiamo respinto oltre sei barconi per circa 500
clandestini che sarebbero dovuti
essere ospitati da noi. Una svolta
importante non è una novità in assoluto, ma assoluta nei confronti
della Libia da cui arrivano oltre
il 90% degli sbarchi avvenuti a
Lampedusa. Chiudendo l’emorragia dalla Libia, possiamo dire
che la piaga dell’immigrazione
clandestina può dirsi risolta. Non
è stato facile. Confermo e garantisco che le critiche, le accuse
anche violente che ci vengono
fatte da qualche rappresentante
dell’Onu, che non è l’Onu, e da
qualche organizzazione cattolica,
che non è il Vaticano, mi entrano
da una parte e escono dall’altra.
Siamo i garanti per tutta Europa
non solo per l’Italia”. “La nostra
linea fa proseliti”. Lo ha detto il
segretario federale della Lega
Nord, Umberto Bossi, arrivando a Vicenza per partecipare agli
Stati Generali del Carroccio, facendo riferimento alle posizioni
di maggioranza e del presidente
del Consiglio, Silvio Berlusconi,
sull’immigrazione.
L’intervento del presidente del Consiglio
che rifiuta un’Italia multietnica,
per Roberto Calderoli, “sottolinea un passaggio rivoluzionario
rispetto al passato”. Calderoli lo
ha osservato a Vicenza a margine degli Stati Generali della Lega
Nord. “I respingimenti non sono
mai esistiti prima d’oggi - ha proseguito - sono merito della Bossi
Fini e oggi si possono realizzare”.
Calderoli nega che questo nuovo
corso di Berlusconi possa influire
sul consenso elettorale.
Giorgio Lambrinopulos
Segue dalla prima
si è ‘’costruito questo grande reality - attacca Franceschini -, in cui
si è imprigionato e in cui vorrebbe
coinvolgere anche il Paese”. ‘’Io
sono stufo di sentir dire che Berlusconi e i ministri non vogliono
sentir parlare della crisi - continua
-. Vorrebbero una opposizione
addomesticata e silenziosa, complice di questa copertura intollerabile”. sottolinea Franceschini
- corre il rischio di cadere in uno
squilibrio troppo forte’’. ‘’Attenzione perché l’8 potremmo svegliarci in paese diverso da quello
che ci hanno consegnato i nostri
padri’’, avverte. Le europee, aggiunge il leader del Pd, ‘’sono uno
spartiacque’’. Il giorno dopo ‘’si
misurerà la distanza tra il Pdl e il
Pd e ì si capirà se Berlusconi ha
stravinto o se l’Italia ha ancora un
equilibrio di forza’’.
G. L.
N
el sud dell’Italia la realtà sociale è oggettivamente difficile e complicata. Le particolari vicissitudini storiche che
questa parte del Paese ha vissuto
dall’unità nazionale in poi ne hanno
condizionato e ne condizionano tuttora in maniera rilevante i processi di
modernizzazione. Alcuni gravosi
problemi, come la disoccupazione e
l’incapacità di produrre autonomamente ricchezza diffusa, non sono
stati ancora risolti, altri, come le mafie, sono addirittura aumentati, le
quali, divenute vere e proprie imprese multinazionali del crimine con
fatturati finanziari esorbitanti, continuano a corrodere con violenza le
deboli fondamenta dello Stato. In ciò
aiutate da una endemica e diffusa
corruzione politica ed economica a
livello nazionale. Il fatto che nel Sud
Italia l’illegalità sia diventata fondamentalmente legittima e che essa
venga utilizzata come sistema alternativo di regolazione sociale è certamente uno degli effetti più significativi, e nello stesso tempo più nefasti,
della debolezza del nostro sistema
democratico. E poiché l’illegalità genera illegalità, il risultato è che nel
sud dell’Italia il grado di perversione
dell’organizzazione sociale è elevatissimo e ogni tentativo di miglioramento civile è nella maggior parte
dei casi inconveniente e faticoso, in
quanto deve resistere alla corrente
contraria e vorticosa della mentalità
dominante pregna di sfiducia, rassegnazione, complicità, paura, sconforto, affezione al sistema. Noi cittadini meridionali questo lo sappiamo
bene e lo sappiamo da tempo: la famosa espressione popolare partenopea secondo cui “ca nisciun è fess”
(qui nessuno è fesso) dimostra appunto che siamo più o meno tutti
consapevoli che il sistema funzioni
male e che, in virtù di tale contezza,
più o meno tutti ci adeguiamo ad
esso per non diventarne a nostra volta vittime. E’ un ragionamento non
certo giustificabile ma quantomeno
comprensibile se si pensa che non è
facile, anzi è assai difficile, comportarsi correttamente in un contesto
N° 7/2009 - ANNO XVIII - 15 maggio
Le positività del Sud, motivo di fiducia
dove ognuno ha imparato ad arrangiarsi per soddisfare l’interesse personale e familiare, anche quando ciò
dovesse recare danno agli altri, nella
convinzione che anche gli altri facciano altrettanto. Non è facile, per
dirla in altre parole, essere angeli
all’inferno. La rappresentazione che
noi meridionali abbiamo adottato
della nostra realtà finora, il modo
cioè attraverso cui noi ci siamo percepiti e ci siamo raccontati quotidianamente attraverso le pagine dei
giornali e dei libri, le notizie e i programmi radiofonici e televisivi, la
letteratura cinematografica e teatrale, ci è servita ad approfondire tale
consapevolezza, per cercare di capire quello che siamo stati e quello che
siamo oggi, quali i nostri pregi ma
soprattutto i nostri difetti, gli errori
da evitare, i problemi da risolvere, i
comportamenti demoniaci da esorcizzare e stigmatizzare. E così hanno
fatto anche scrittori, giornalisti, studiosi e registi non meridionali e non
italiani che si sono interessati alla
nostra questione e che hanno cercato
di svelare i motivi della nostra arretratezza e della nostra diversità dal
resto del Paese. E’ grazie anche e soprattutto alle persone che hanno finora studiato, raccontato, interpretato e rappresentato la realtà sociale
del Mezzogiorno d’Italia in questi
decenni se oggi siamo in grado di
diagnosticarne efficacemente, e con
una certa precisione, le principali patologie e disfunzioni; è grazie anche
e soprattutto a costoro se il Mezzogiorno d’Italia ha fatto, e continua
fare, nonostante tutto, notevoli progressi culturali ed economici. Ciò
nonostante, il vortice vizioso in cui è
risucchiata la nostra mentalità è forte, impetuoso e travolgente ed esso,
fagocitando impietosamente i nuovi
entusiasmi, continua a pregiudicare
un cambiamento reale e duraturo del
modo di costruire collettivamente la
realtà. Come fare dunque per neutralizzare questo vortice o fare in modo
che la sua energia possa essere convertita in positivo e diventare virtuosa? Come contribuire al progresso
del Mezzogiorno, seria difficoltà
dell’Italia di oggi e vera opportunità
dell’Italia di domani? Essendo assiomatico che la realtà e la sua rappresentazione si muovano congiuntamente
e
si
condizionino
reciprocamente ed essendo complicato e rischioso agire direttamente
sulla realtà per modificarla, uno dei
modi efficaci per imprimere una
svolta decisiva al sistema è quello di
modificare la rappresentazione che
facciamo e che diamo pubblicamente della realtà stessa. Se, infatti, il teorema del sociologo Thomas è vero,
secondo il quale ‘ciò che gli individui percepiscono come reale, esso
diventa reale nelle sue conseguenze’, ne risulta che fino a quando noi
percepiremo come reale il fatto che
la nostra società sia impermeabile ad
un autentico cambiamento, l’autentico cambiamento non si concretizzerà mai. Così come, fintanto che noi
continueremo a pensare alla Calabria
e alle altre regioni del Sud solo e soltanto come patria di delinquenti, ladri, truffatori, persone incivili, noi
non avremo speranza di risanamento, di emancipazione, di risorgimento, di riscatto. Se invece iniziamo a
promuovere e celebrare la parte migliore di noi, i tanti buoni esempi, le
tante eccellenze, le tante positività,
gli eroi e le eroine di cui i nostri territori hanno abbondato e abbondano,
e che con grande sforzo hanno lotta-
to e lottano ogni giorno per contrastare la decadenza, allora il cambiamento lo inizieremo a percepire, ed
esso non tarderà a diventare reale. Si
realizzerà. Al pari di una profezia
che si auto-avvera. Non si tratta, è
ovvio, di nascondere le notizie negative, quelle di cronaca nera, quelle
per cui il Sud è tristemente famoso in
Italia e nel mondo e che riempiono i
nostri giornali, telegiornali, i nostri
immaginari e le nostre menti. Si tratta semplicemente di privilegiare ed
evidenziare le notizie positive e propositive che affiorano in superficie
ma che presto affondano nel mare
magnum del dimenticatoio, e magari
soltanto accennare a quelle negative
come avviene, non a caso, in altre
parti del Paese. Privilegiare, enfatizzare e premiare, dunque, chi costruisce.. e non chi contribuisce a distruggere. Le notizie negative del resto,
ormai lo abbiamo imparato, non
hanno bisogno di tanta pubblicità, si
promuovono da sole, corrono veloci
di bocca in bocca, di tastiera in tastiera, essendo noi esseri umani –
come diceva Tito Livio - più sensibili al dolore che al piacere. Sarà per
questo che tante buone notizie non
riescono spesso a bilanciare l’influenza esercitata da una sola cattiva
notizia. Quanti gesti eroici, quanti
piccoli e celati successi non riescono
a creare la stessa eco di quella emanata da uno stupro, da uno scippo, da
un accoltellamento o da un atto intimidatorio di stampo mafioso. Un
rapporto impari, sintetizzato egregiamente da un antico proverbio, che
recita: ‘fa più rumore un albero che
cade che una foresta che cresce’. Ma
noi meridionali non siamo solo mafiosi, truffatori, vagabondi e sfaticati.
Noi siamo, e siamo soprattutto, gente
onesta e lavoratrice, persone intelligenti ed ingegnose, valorose, creative, determinate e coraggiose. Tantissime le eccellenze umane, artistiche,
professionali e istituzionali, infiniti i
primati positivi, numerosi gli artigiani, i liberi professionisti e i sani imprenditori, che pur non rubando finanziamenti, con notevoli sforzi si
affermano brillantemente da anni nei
mercati nazionali ed internazionali,
offrendo lavoro a decine e centinaia
di persone. Il sud è strapieno di gente
come questa, giovane e meno giovane, che offre ogni giorno agli altri il
proprio entusiasmo, la propria energia, il proprio tempo, i propri valori
per migliorare il posto in cui vive. Il
sud è pieno di persone che denunciano le illegalità e gli atti di prepotenza
mafiosa. Eppure, di tutta questa gente
non si sa nulla, o molto poco. Di loro,
e dei loro successi, si parla poco o
quasi niente, e quando se ne parla, lo
si fa in maniera spesso fugace, distratta e sbrigativa. Gente che ha deciso di non andar via e di resistere
alla corrente, e che ogni giorno è costretta a districarsi in un organismo
sociale che nel peggiore dei casi li
ostacola, nel migliore li ignora. E
considerando che il nostro è un contesto sociale difficile e complicato,
non celebrandoli li mortifichiamo,
perché raggiungere da noi risultati
positivi è un merito doppio, triplo,
che farlo in contesti sociali favorevoli, e di converso, è doppia ed è tripla
la colpa che si ha nel non glorificare
tali sforzi e nel lasciarne implodere e
consumare la potenza nell’indifferenza generale. Vi sarà un motivo se
tra le condizioni del successo della
società statunitense, alcuni studiosi
annoverano proprio la capacità di
rendere positivo ciò che non sembra
esserlo, di mitizzare ciò che gli appartiene: come nel caso del cowboy,
che da semplice mandriano è stato
eretto a simbolo dell’uomo valoroso,
temerario ed avventuriero. In conclusione, uscire da questa trappola della
rappresentazione negativa della realtà meridionale non è affatto semplice,
ma è possibile, soprattutto se si tende
a commettere l’errore opposto: quello cioè di amplificare ed esaltare ciò
che di buono e di positivo siamo, abbiamo e produciamo. Così facendo
contribuiremo a restituire fiducia a
noi stessi e alla nostra società, e ristabilendo la fiducia, invertiremo il circuito, ed invertendo il circuito, aumenteranno automaticamente per noi
meridionali le occasioni di lavoro e di
realizzazione personale e, una volta
liberi di non emigrare, potremo accumulare l’ossigeno necessario a starnutire, una volta per sempre, i nostri
mali.
Francesco Lo Giudice
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N° 7/2009 - ANNO XVIII - 15 maggio
ß
Pagina Tre
3
San Nuno Alvares Pereira
ß
Il santo dell’indipendenza del Portogallo
Massimo Introvigne
L
a data del 26 aprile 2009 è
destinata a rimanere nella
storia del Portogallo e della
Chiesa per la canonizzazione di
San Nuno Alvares Pereira (13601431), una figura senza la quale –
come ha ricordato il vescovo di
Beja mons. Vitalino Dantas
O.C.D. – “il Portogallo non esisterebbe”. La canonizzazione di San
Nuno ha una lunga storia. Nel
1438, sette anni dopo la sua morte,
il re Edoardo I (1391-1438) ne
chiede la canonizzazione al Papa
Eugenio IV (1383-1447). Poiché
San Nuno aveva trascorso gran
parte della sua vita come militare
e generale combattendo contro la
Spagna per l’indipendenza del
Portogallo, il veto spagnolo impedisce che si dia corso alla richiesta
del re portoghese. La Spagna,
grande potenza cattolica di cui
non si può non tenere conto, continua a opporsi alle richieste di beatificazione e canonizzazione che
giungono a Roma dal Portogallo
ripetendosi in tutti i secoli, fino a
che nel 1918 è riconosciuto – senza processo canonico sulla santità
– il culto prestato da tempo immemorabile all’eroe portoghese, che
Benedetto XV (1854-1922) iscrive nell’albo dei beati. Le richieste
di canonizzazione continuano a
incontrare però l’ostilità della
Spagna. Nel 1940 Pio XII (18761958) vorrebbe canonizzare il Beato Nuno e proporlo come modello di soldato cristiano a quanti
combattono nella Seconda guerra
mondiale. Ma la canonizzazione
per decreto non comporterebbe
una cerimonia solenne in San Pietro. Il primo ministro portoghese
António de Oliveira Salazar
(1889-1970) insiste per tale cerimonia solenne. Pio XII rifiuta, sia
per il tempo di guerra sia – ancora
una volta – per evitare uno scontro
con la Spagna appena uscita dalla
guerra civile. Caduta la possibilità
della canonizzazione per decreto,
rimane l’interesse del Portogallo e
dell’Ordine dei Carmelitani, di
cui Nuno era diventato religioso
negli ultimi anni della sua vita,
per una ripresa della causa. È Giovanni Paolo II (1920-2005) – che
si sente specialmente legato al
Portogallo attraverso la sua devozione alla Madonna di Fatima –
che s’interessa alla riapertura del
processo canonico, la quale avviene nel 2004. Riesaminata la vita
del beato, e approvato dalla commissione medica un miracolo (il
recupero dell’uso di un occhio da
parte della signora Gulhermina de
Jesus, di Vila Franca de Xira), Benedetto XVI può procedere alla
canonizzazione, 571 anni dopo la
prima richiesta da parte del re
Edoardo I. E non senza nuovi problemi con la Spagna: secondo la
stampa portoghese insieme a San
Nuno il 26 aprile avrebbero dovuto essere canonizzati anche due
beati spagnoli, ma per loro la cerimonia è stata rimandata all’11 ottobre dopo un complesso negoziato fra la diplomazia vaticana e
quella spagnola, ancora oggi ostile alla canonizzazione del genera-
gli Oceani – non
senza un disegno
particolare di Dio
– aprendo nuove
rotte che avrebbero propiziato la
diffusione del Vangelo di Cristo fino
ai confini della
Terra”. San Nuno
è anzitutto una figura emblematica
della cavalleria.
Paggio alla corte
del re è armato cavaliere, per speciale concessione del
Gran
Maestro
dell’Ordine Militare di San Benedetto d’Avis, il futuro re Giovanni I
il Buono (13571433), all’età di
soli tredici anni. È
coinvolto, giovaMassimo Introvigne davanti al Convento do
nissimo,
nella
Carmo a Lisbona
causa dell’indile che inflisse alla Spagna una pendenza portoghese e della sucdelle più gravi sconfitte militari cessione al re Ferdinando il Bello
della sua storia. Per la verità non (1345-1383). La reggenza passa
sono mancate neppure polemiche alla vedova, la regina Eleonora
intra-cattoliche. Alcuni intellet- (1350-1386), notoriamente legata
tuali “progressisti” e almeno un al partito filo-spagnolo, che affretvescovo hanno criticato la cano- ta le nozze fra la figlia (1372nizzazione affermando che San 1408) e il re Giovanni I di CastiNuno “fu soprattutto un guerriero glia
(1358-1390),
premessa
e chi uccide il prossimo non meri- all’unione dei due regni e alla fine
ta il titolo di santo”. Queste posi- dell’indipendenza portoghese. I
zioni – che denotano peraltro una nobili e il popolo del Portogallo
profonda incomprensione della insorgono e si rivolgono all’Ordinatura della santità cattolica – ne d’Avis, guidato dal Gran Maehanno condotto altri a insistere stro Giovanni, fratellastro del deesclusivamente sugli ultimi nove funto re Ferdinando. Giovanni I di
anni della sua vita (1422-1431), Castiglia reagisce nel gennaio
nei quali il santo – dopo avere fat- 1384 invadendo la Spagna. Il
to costruire a sue spese il Conven- Gran Maestro Giovanni d’Avis,
to do Carmo a Lisbona – vi si riti- appena acclamato re del Portogalra come frate carmelitano, lo con il nome di Giovanni I, nel
interpretando questi anni quasi mese di aprile prende una decisiocome una penitenza per la passata ne che sembra avventata ma che si
vita militare, vista come qualche rivelerà decisiva: nomina Nuno
cosa di cui San Nuno avrebbe do- Alvares Pereira, che si è coperto
vuto chiedere perdono a Dio e agli di valore nelle prime battaglie con
uomini. Le parole di Benedetto gli spagnoli e ha appena guidato
XVI nella solenne cerimonia di un distaccamento portoghese alla
canonizzazione hanno fatto giusti- vittoria nella battaglia di Atoleizia di queste interpretazioni e di ros, ma ha solo ventiquattro anni,
questi pregiudizi. Il Papa al con- Connestabile del Portogallo e cotrario ha esaltato la figura di cava- mandante supremo dell’esercito
liere cristiano di San Nuno, impe- portoghese. Gli storici militari
gnato nella militia Christi, cioè considerano Nuno Alvares Pereira
nel servizio di testimonianza che uno dei più grandi generali euroogni cristiano è chiamato a dare al pei, e la battaglia di Aljubarrota –
mondo. Caratteristiche del santo del 14 agosto 1385, decisiva per
sono un’intensa vita di orazione e la vittoria portoghese – uno sconl’assoluta fiducia nell’aiuto divi- tro che merita di figurare nella
no. Benché fosse un ottimo mili- storia delle guerre europee, pertare e un grande capo, non consi- ché consacra la superiorità (già
derò le doti personali preminenti sperimentata dal futuro santo ad
rispetto all’azione suprema che Atoleiros) degli eserciti leggeri e
viene da Dio. San Nuno si sforza- molto mobili su forze numericava di non porre ostacoli all’azione mente preponderanti incentrate
di Dio nella sua vita, imitando sulla cavalleria. Seimila portoNostra Signora di cui era devotis- ghesi sconfiggono trentamila spasimo e cui attribuiva pubblica- gnoli grazie a una strategia che
mente le sue vittorie”. Così, il ge- prevede che la cavalleria pesante
nerale Nuno Alvares Pereira castigliana sia attirata su un terrediventa “strumento di un disegno no costellato di palizzate apposisuperiore” di Dio, quello della tamente erette per rendere difficili
fondazione della nazione porto- le manovre dei cavalli, i quali
ghese indipendente dalla Spagna sono uccisi da fanti o da cavalieri
come nazione missionaria desti- portoghesi capaci di smontare e
nata a portare il Vangelo fino agli risalire rapidamente, mentre i caestremi confini della Terra. Grazie valieri spagnoli disarcionati e cola Nuno il Portogallo può “conso- ti di sorpresa sono uccisi in gran
lidare la sua indipendenza dalla numero. Nuno Alvares Pereira
Castiglia ed estendersi attraverso combatte personalmente in prima
linea. La vittoria di Aljubarrota –
seguita da quella nella lunga (due
giorni e due notti) e sanguinosa
battaglia di Valverde (15-16 ottobre 1385) – pone fine al sogno
spagnolo di conquistare il Portogallo. Dopo la vittoria nella guerra contro la Castiglia, Nuno Alvares Pereira impegna le ricche
ricompense ricevute dal re nel
progetto di fondazione del grande
Convento do Carmo a Lisbona, la
cui costruzione inizia nel 1388.
Non pensa ancora a diventare frate: il re gli chiede di riorganizzare
l’esercito in vista di un’offensiva
contro i musulmani del Nordafrica che, lungamente preparata, culminerà nella battaglia di Ceuta del
21 agosto 1415, l’ultima battaglia
del Connestabile Nuno e l’inizio
dell’espansione del Portogallo al
di fuori dell’Europa. Vedovo, e
privato anche della figlia Beatriz
(1380-1415) che gli aveva dato
dopo avere sposato il duca Alfonso I di Bragança (1377-1461), figlio naturale del re Giovanni I, tre
nipoti – all’origine della casa reale e imperiale di Bragança di cui
quindi San Nuno è considerato il
capostipite – il Connestabile si ritira a vita privata e nel 1422 entra
nel Convento do Carmo, dove
pronuncia i voti – per umiltà come
semplice “semi-fratello” (semi-
stável a Lisbona. La canonizzazione di San Nuno, ha affermato
Benedetto XVI, vuole mostrare
alla Chiesa come “la vita di fede e
di preghiera è presente anche in
contesti apparentemente poco favorevoli alla stessa, ed è la prova
che in qualunque situazione, anche in quelle di carattere militare
e di guerra, è possibile mettere in
atto e realizzare i valori e i principi della vita cristiana, soprattutto
se questa è posta al servizio del
bene comune e della gloria di
Dio”. Se dunque vi è stato chi ha
cercato di sminuire la lunga fase
“militare e di guerra” della vita di
San Nuno – quasi che solo “il tramonto della sua vita” in convento
ne manifestasse la santità – Benedetto XVI al contrario dà rilievo
alla “figura esemplare” del Connestabile anzitutto come cavaliere, miles Christi: una vocazione di
cui la cavalleria è cifra e
nomen,che certo in epoche diverse si manifesta in modi diversi ma
che rimane una via eminente di
santità per il laico cattolico che
consacra la sua vita “al servizio
del bene comune e della gloria di
Dio”. Certo, Nuno Alvares Pereira vive in un’epoca in cui la cavalleria già inizia a decadere. Accanto a lui ad Aljubarrota combattono
i figli delle più grandi famiglie
portoghesi, duecento cavalieri che
formano “l’ala degli innamorati” e
che la leggenda del
Portogallo assimila ai cavalieri della
Tavola Rotonda. Il
nome fa riferimento alle insegne della promessa sposa
che ciascun cavaliere porta sul suo
scudo, un segno
della svolta della
La tomba di san Nuno Alvares Pereira nella
cavalleria verso
moderna Igreja do Santo Condestável a
un certo romantiLisbona
cismo sentimentale che tuttavia alla
frater), rifiutando tutte le cariche e vigilia di Aljubarrota San Nuno sa
distinzioni che gli sono offerte – il correggere con un severo richia15 agosto 1423. In convento si se- mo alla preghiera e alla vita etergnala per la vita poverissima – lui na. Di fatto, l’“ala degli innamoche era stato considerato l’uomo rati” si batterà con straordinario
più ricco del Portogallo – e per la valore e risulterà decisiva nella
grande carità: ma il re Giovanni I vittoria portoghese. Anche l’attiviene spesso a chiedergli consi- vità “militare e di guerra” del sanglio. Era, come ha affermato Be- to ora canonizzato partecipa
nedetto XVI, “il tramonto della dell’esemplarità della sua vita. Di
sua vita”. La morte, nel 1431 – più: mantenendo nella guerra e
sulla cui data gli storici disputano nelle battaglie la fiducia in Dio, la
ma tradizionalmente fissata alla vita di orazione e una grandissima
domenica di Pasqua, 1° aprile di devozione alla Madonna cui “atquell’anno – suscita grande emo- tribuiva pubblicamente le sue vitzione e ne mostra la fama di santi- torie”, San Nuno si mette al servità. Merita di essere citato il gesto zio di un “disegno particolare di
della regina di Spagna Isabella I la Dio” il quale misteriosamente è
Cattolica (1474-1504), che perso- alle origini dell’indipendenza delnalmente considera un santo e fa la nazione portoghese e del suo
invocare nelle Messe celebrate a servizio missionario al Vangelo
corte quello che era stato come attraverso le scoperte geografiche
generale un fiero avversario del e le conquiste, “fino ai confini delsuo Paese. Nuno Alvares Pereira è la Terra”. Un mistero che nel 1917
sepolto nel Convento do Carmo la Madonna verrà a confermare a
ma la tomba, il mausoleo e lo stes- Fatima promettendo che “in Porso convento saranno distrutti dal togallo si conserverà sempre il
grande terremoto di Lisbona del dogma della fede”, non una picco1755 (del mausoleo rimane nei re- la promessa per una nazione che
sti del convento, ora un museo, – avendo alle sue origini un santo,
una copia lignea). I resti sono stati San Nuno Alvares Pereira – in
ritrovati e dal 1951 riposano nella passato, al servizio della Chiesa,
moderna Igreja do Santo Conde- fu spesso grande.
Attualità
4
N° 7/2009 - ANNO XVIII - 15 maggio
Gli incendi boschivi in Puglia, Sicilia e Calabria
Cosimo Galasso
Prima Parte
P
untuale come un orologio,
ogni fin di primavera-inizio
estate scoppia, in Italia, il
grave problema degli incendi boschivi. Entro certi limiti, ciò è perfettamente normale; la peculiare
posizione geografica della nostra
penisola, sita al centro della fascia
temperata nel cuore del mediterraneo, determina, infatti, per almeno
6 mesi l’anno e soprattutto nelle
regioni centro-meridionali, un forte
irraggiamento solare. Questo fattore, unito alla tipica aridità estiva
mediterranea favorisce temperature
elevate creando, così, le condizioni ottimali per lo scoppio d’incendi di una certa entità, in particolar
modo in Sicilia, Calabria e Puglia,
oggetto specifico di questo articolo.
Prima di addentrarci dettagliatamente sul problema degli incendi
boschivi e specificando subito che
si tratta di uno dei maggiori pericoli
per la nostra vegetazione, occorre
anche ricordare che essa ha “sviluppato” delle strategie di difesa e
di recupero dopo il passaggio del
fuoco, come mi conferma l’esperto
biologo e faunista Giacomo Marzano. D’altronde, questo non bisogna dimenticarlo, gli incendi di
piccola entità hanno sempre fatto
parte delle dinamiche naturali ed
entro certi limiti, sono addirittura
benefici. Il fuoco, è noto, influisce
sulla composizione e sulla struttura
delle comunità vegetali ed animali
condizionandone, inevitabilmente,
lo sviluppo e la perpetuazione nel
tempo. In questo modo, piccoli ecosistemi perfettamente adattati - ad
es. i canneti- possono ricostituirsi
entro poco tempo, come ha spiegato il dott. Alessandro Ciccolella,
- biologo e direttore del Consorzio
che gestisce l’Area protetta di Torre Guaceto, in Puglia- riferendosi a
quanto spesso è avvenuto nella Riserva da lui diretta. Gli effetti benefici di incendi piccoli possono così
riassumersi: molte specie ricostruiscono la parte aerea, utilizzando le
riserve rimaste intatte nella parte
ipogea; infatti, occorre ricordare
che durante gli incendi la temperatura del suolo può variare grandemente nel raggio di soli pochi centimetri, passando, così, dai 500 gradi
in superficie a soli 50 gradi appena
due centimetri più giù! Altre specie,
invece, sono favorite nella riproduzione perché le alte temperature che
si raggiungono durante gli incendi
spaccano prima i tegumenti che
avvolgono il seme, consentendo,
Un incendio boschivo
Canadair
così, un più rapido assorbimento
dell’acqua e, dunque, una sua anticipata germinazione. Normalmente
queste specie, es. il ginepro coccolone, “affidano”la loro riproduzione
all’apparato digerente di fauna ed
avifauna: in questi casi i tegumenti avvolgenti il seme sono disciolti
dai succhi gastrici. Persino i fumi
degli incendi, contenenti etilene e
gas ammoniacale, favoriscono la
germinazione dei semi. Ciò detto
per amore della verità scientifica,
non è, ovviamente, un’istigazione
alla piromania! L’incendio, di per
sé, è incontrollabile e non bisogna
approfittare delle capacità rigenerative della natura. Come ha detto
il dott. Giorgio Corrado -Dirigente
Superiore del Corpo forestale dello
Stato- gli incendi boschivi sono in
gran parte l’effetto, spesso non voluto né progettato, di un anomalo
quanto errato uso del fuoco riconducibile allo stesso mondo agrosilvo-pastorale, che tuttavia ha abbandonato da tempo molte di quelle
pratiche che erano efficaci per controllare il sottobosco ed allontanare il pericolo del fuoco. Non si
possono inoltre disattendere i cambiamenti sociali ed economici, il
progressivo esodo rurale e l’invecchiamento della popolazione agricola che hanno di fatto determinato
una più marcata fragilità del bosco
rispetto al pericolo incendio. Il dott.
Corrado auspica, per migliorare la
situazione, una rivisitazione della
legge oggi vigente: Legge quadro
n 353 del 21 novembre 2000. In
pratica, questa legge, nazionale,
impone alle regioni la redazione dei
“Piani regionali per la programmazione delle attività di previsione,
prevenzione e lotta attiva contro gli
incendi boschivi.”Obiettivo primario di questa legge è non solo quello
di ridurre il numero degli incendi,
ma soprattutto di ridurre la quantità di superfici boscate percorse
dal fuoco. Inoltre, si propone lo
spostamento di risorse umane ed
economiche dalla fase esclusiva
dell’emergenza, a quella di prevenzione e controllo del territorio.
Proprio in vista di un miglior controllo del territorio, un’Ordinanza
del Consiglio dei Ministri - la 3606
del 28 agosto 2007 -ha disciplinato
i cosiddetti incendi d’interfaccia ossia relativi a peculiari caratteristiche
fisiche del territorio e alla vulnerabilità della vegetazione circostante
una superficie boschiva. In pratica,
i Comuni sono obbligati alla redazione di piani d’emergenza specifici per il territorio di loro pertinenza.
Quanto descritto sopra è, almeno
a grandi linee, il quadro generale:
vediamo ora, nel dettaglio, la situazione specifica delle regioni di
cui ci occupiamo in quest’articolo,
iniziando dalla Puglia.
Questa regione, molti lo ricorderanno, fu colpita da una serie
d’incendi devastanti nell’estate
2007, particolarmente torrida; con
temperature che per oltre 50 giorni superarono i 30 gradi con punte
di 46, in particolare il 24 luglio,
giorno del terribile incendio che
sconvolse il Gargano; altro incendio imponente il 21 agosto, che
interessò l’Area marina protetta
di Torre Guaceto, nel brindisino.
Quell’anno si registrarono quasi
600 incendi, molti dei quali di origine dolosa, in relazione alle superfici boscate. Il Corpo Forestale
dello Stato, nella persona dell’ing.
Flore ci ha fornito molti dati interessanti. Molti incendi sono ancora legati al pascolo e alla cattiva
abitudine di usare il fuoco come
elemento favorente il rinnovamento stagionale, in autunno e
primavera, della vegetazione erbacea destinata al bestiame: ciò
avviene, soprattutto, sul Gargano
e nell’Alta Murgia barese. Una
buona quota d’incendi, invece, è
ascrivibile, ahinoi, a comportamenti colposi di gente irresponsabile che lancia mozziconi accesi
di sigarette da auto che corrono
su strade circoscriventi le aree
boschive, con conseguenze facilmente immaginabili, specie in
giornate con vento di scirocco.
Dal punto di vista legislativo l’ente Regione Puglia, dopo la legge
quadro nazionale, emanò una legge regionale-18 del 30/11/2000con successive delibere fino
all’ultima, datata del 11 marzo
2009. In questo corpus legislativo
sono stati definiti sia lo schema
sia i contenuti del piano regionale.
Tale piano è stato materialmente
redatto dal Corpo Forestale dello
Stato di concerto con il Servizio
Foreste ed il Servizio Protezione
civile: sono stati utilizzati appositi
software, dati statistici, nonché le
superfici boscate già percorse da
incendi. Il Piano di previsione per
la protezione dagli incendi boschivi è stato approvato dalla Regione
nel 2005 ed esteso fino al 2012.
Tra le altre cose, fornisce supporti
cendi”. Oltre la vegetazione, in realtà, questa legge si proponeva lo
scopo di proteggere il patrimonio
forestale pubblico e privato, i terreni agricoli, i paesaggi e gli ambienti naturali e, naturalmente, le
persone. Per potenziare e migliorare l’azione di difesa dagli incendi,
fu emanata un’altra Legge Regionale, la n 10 del 15 maggio 2000,
che istituì l’Ufficio Speciale Servizio Antincendi Boschivi sotto le
dirette dipendenze dell’Assessore
regionale dell’Agricoltura. Questo
Ufficio è oggi diretto dall’Ing. Mario Arrigo che ne ha così tracciato
i compiti: le competenze assegnate
a questo Ufficio rientrano nell’ambito della Gestione del Rischio(…)
e riguardano le seguenti attività:
pianificazione, mappe dinamiche
di rischio incendio, telerilevamento e innovazioni tecnologiche con
applicazioni sperimentali, definizione di un nuovo programma di
vigilanza, attuazione d’iniziative
formative nel settore antincendio,
altre attività del comparto d’intesa
con il Dipartimento Regionale delle Foreste”. In pratica, il nocciolo
duro del Piano Regionale Antincendio della Regione Sicilia, mutuato dalla Legge Quadro nazionale, è il seguente: Pianificazione
–Previsione –Prevenzione -Lotta
attiva agli incendi.
Sempre nelle parole dell’ing. Arrigo, la redazione di tale Piano non
deve essere vista come un evento
occasionale e straordinario, ma
come un punto di riferimento per
Elicottero del Corpo Forestale dello Stato
operativi ai tecnici e alle Amministrazioni per metterle nelle migliori condizioni di ottemperare
alle decisioni di rispettiva competenza. Lo scorso anno, inoltre,
la Giunta regionale ha assunto 20
unità lavorative che ha impiegato,
così come prevede la legge quadro nazionale, nella Sala Operativa Unificata Permanente(SOUP),
presso la sede del Servizio di
Protezione Civile regionale. Il
SOUP ha agito, nell’estate 2008,
come struttura di coordinamento
ed effettivamente, complici anche
le migliori condizioni climatiche
rispetto al 2007, si è avuta una
riduzione sia nel numero degli
incendi, sia nella riduzione delle
superfici boscate danneggiate. Infine, la maggior parte dei comuni
pugliesi ha provveduto-così come
prevede la legge quadro nazionale- a censire, per mezzo di uno
specifico catasto, i soprassuoli
percorsi dal fuoco negli ultimi
cinque anni. Passiamo ora a considerare la situazione della Sicilia.
Dal punto di vista legislativo appare la più avanzata delle regioni
considerate. Già dal 6 aprile 1996,
infatti, si era dotata di una legge
regionale, la n 16, che stabiliva
la redazione di un “Piano per la
difesa della vegetazione dagli in-
ogni intervento successivo. A tale
scopo è stata istituita una Struttura
permanente che deve migliorare e
potenziare il comparto antincendio. Uno degli strumenti realizzati dall’Ufficio Speciale è la Carta
operativa delle aree a rischio incendi. Occorre ricordare che nelle
passate stagioni estive la Sicilia è
stata afflitta in misura ancor più
grave della Puglia dalla piaga degli incendi; molti sembrano di origine dolosa. Inoltre, sono ancora
pochi i comuni che hanno realizzato il catasto delle aree percorse
dal fuoco: questo è un fatto grave,
perché non consente di fermare
all’origine la speculazione sugli
incendi. I sindaci siciliani possono
fare molto per mettere la parola
fine a questa ciclica emergenza:
accelerare nella compilazione del
catasto, infatti, vuol dire difendere con maggior efficacia il proprio
territorio e quindi garantirsi anche
un futuro migliore. In conclusione,
occorre affermare che la Regione
Sicilia per meglio fronteggiare
l’emergenza incendi ha deciso di
stanziare sei milioni di euro per realizzare un progetto scientifico di
alto profilo che dal 2010 prevede
l’utilizzo di tecnologie satellitari
per la prevenzione e la lotta agli
incendi boschivi.
Politica
N° 7/2009 - ANNO XVIII - 15 maggio
T
I taglia lingue e il suicidio dell’Europa
ra qualche mese si rinnoverà il Parlamento Europeo,
chissà se la campagna elettorale affronterà quei temi che più
volte Benedetto XVI ha affrontato, come quello dell’Europa prossima a congedarsi dalla storia.
Un morire lento che si può riassumere, in alcuni passaggi come
il mancato riconoscimento delle
radici giudaico-cristiane nella Costituzione europea, la condanna
di un uomo politico perché, nella propria sfera privata, afferma
che il matrimonio omosessuale è
contrario al suo credo cristiano la
promozione nelle varie legislazioni della violazione di alcuni prin-
cipi cristiani ed etici come l’aborto, l’eugenetica, l’eutanasia, la
manipolazione degli embrioni, la
tolleranza della poligamia, l’abbassamento delle difese legislative contro la pedofilia. Questa
Europa scrive l’ex presidente del
senato Marcello Pera non è capace di difendere un Papa, Benedetto XVI, attaccato perché in una
sua lezione aveva sostenuto che
il cristianesimo è religione del
logos e non della spada e aveva
chiesto all’islam di pronunciarsi
in modo analogo. Inoltre impedisce a questo stesso Papa di parlare in una università, perché pubblica e laica. L’Europa nasconde
i suoi simboli cristiani, non si augura più Buona Natale o Buona
Pasqua perché dice di non voler
offendere i non credenti o gli altri
credenti. L’Europa concede nei
propri Stati la massima libertà religiosa e di culto agli islamici, ma
tollera che, nei loro Stati, questa
stessa libertà sia conculcata fino
al martirio dei cristiani, in Africa, in Cina, in Turchia, in India.
L’Europa protegge sotto lo scudo
della libertà d’espressione le opere d’arte blasfeme nei confronti
del cristianesimo, ma sospende
questa stessa libertà quando si
tratti di irriverenza satirica nei
confronti dell’islam. Infine que-
Geert Wilders Roma
Il Razzismo in Italia fra false accuse
e inconfutabili verità
I
5
l Commissario del Consiglio
d’Europa Thomas Hommarberg, il 20 Aprile u.s. in occasione della vicenda PINAR (il
cargo turco con 154 clandestini a
bordo) ha affermato che gli italiani sono razzisti e xenofobi. Questo
commissario che è stato giustamente definito un cialtrone e che è stato
accompagnato nel suo tour italiano
da esponenti di Rifondazione Comunista ha detto cose assolutamente false e che hanno nuociuto all’immagine dell’Italia. Le cronache
della PINAR invece sono uno spaccato sostanziale di un Paese quale
il nostro che non perde occasione
per mostrare la propria umanità e la
propria generosità verso chi arriva
dalle zone più povere del pianeta.
Sono stati infatti 154 i clandestini
a cui è stata letteralmente salvata la
vita dai nostri soldati pur essendo
in acque territoriali maltesi. Malta
a seguito di accordi con l’UE in-
fatti, dovrebbe recuperare questi
sventurati che finiscono nelle sue
acque anche perché riceve dall’UE
quantità inverosimili di denari per
svolgere questo compito. Ma questo Consiglio d’Europa non ha mai
ritenuto di richiamare i maltesi al
loro dovere e che se ne fregano se
qualche clandestino, passerà tra le
più indicibili sofferenze, ad altra
vita; mentre offende continuamente noi italiani che invece a gratis e
per vero spirito umanitario salviamo
questi poveretti. Questo esempio per
capire come siamo ingiustamente
trattati dall’Europa grazie ai veleni
che ci regalano coloro che tradiscono la Patria per motivazioni politiche. Conclusione, gli italiani non
sono né razzisti né xenofobi. Cosa
diversa è invece quanto accade negli
stadi calcistici dove giocatori di colore vengono offesi per la loro pelle.
L’ultimo in ordine in ordine di tempo, esattamente nella stessa giornata
Il giocatore dell’Inter, Mario Balotelli
del 20 Aprile, Mario Balotelli giocatore dell’Inter. Attenzione! Balotelli è un maleducato strutturato con
tendenze al bullismo e quindi attira
su di se molte antipatie, ma da qui
ai cori razzisti ce ne vuole. C’è nei
nostri stadi una antica cultura razzista che resiste a tutto e a tutti. Allora
delle due l’una: o i vertici del calcio
italiano e il Governo intervengono
ognuno per le proprie competenze
per risolvere questo problema con
pene severissime per i calciatori
che provocano (bianchi o neri poco
importa), e senza alcuna indulgenza
per il tifo organizzato che si macchia di quest’onta, oppure nessuno
si lamenti se poi ci dicono che siamo razzisti. E nessuna giustificazione potrà essere addotta, a maggior
ragione quella del Presidente della
Federcalcio Giancarlo Abete, che
conosco personalmente e che stimo
ma che stavolta è andato oltre nella
sua difesa d’ufficio, quando ha cercato di trovare le attenuanti generiche al nostro movimento calcistico,
“non siamo la feccia del mondo”, ha
dichiarato Abete. E invece no, Presidente! Nel calcio siamo la feccia del
mondo e la pessima reputazione che
godiamo, stavolta è più che giustificata. E tutto ciò perché culturalmente tanti opinion leader di destra o di
sinistra, atei o credenti, superficiali
o impegnati continuano, in nome di
una pseudo passione per i propri colori calcistici, a tollerare e difendere
l’indifendibile, anziché prendere la
giusta decisione per debellare questo triste fenomeno.
Alessandro Pagano
sta Europa reagisce flebilmente al
fondamentalismo e al terrorismo
islamici perché si considera colpevole di esportare la civiltà cristiana. (Marcello Pera, Perché
dobbiamo dirci cristiani, Mondadori). E’ sempre la stessa Europa
senza anima che rifiuta quella che
la sua storia le ha dato, e che ha
recentemente impedito di parlare
alla Camera dei Lords a Londra
a Geert Wilders, leader del PVV
(partito della libertà olandese),
autore del chiaccheratissimo film
Fitna. Il parlamentare eletto nella democratica Olanda, invitato
nella Camera dei Lord inglese,
non ha potuto esprimersi. Il Regno Unito ha infranto una tradizione liberale vecchia di secoli.
Certamente Geert Wilders si è più
volte espresso contro l’islamismo
integralista, in termini duri e decisi. “Ciò tuttavia non significa
che il leader del Partito della Libertà intenda condannare “tutto”
l’islamismo e “tutti” gli islamici,
come si vuol far credere da certa
stampa”. “La sua battaglia - ha
scritto l’Associazione Una via per
Oriana, che ha portato in Italia il
leader del Pvv - contro la violenza
e il terrorismo di matrice jihadista al contrario è una battaglia
per la pace e contro ogni violenza
e contro ogni fascismo. Pertanto
è in favore di tutte le popolazioni
dei paesi di tradizione musulmana, ostaggio di governi integralisti o di organizzazioni religiose
(o pseudoreligiose) che praticano il terrorismo e la violenza”.
Certo alcune posizioni di Wilders sono discutibili come quelle
in cui equipara la lettura jihadista del Corano al nazismo, ma il
leader olandese fa riferimento ai
legami storici tra Mussolini, Hitler e l’islamismo politico, come
dimostra tutta la biografia del
Muftì di Gerusalemme e la divisione di SS arabe che ha combattuto sul fronte della Bosnia.
Per questo motivo riteniamo
che la decisione del governo
inglese sia un suicidio politico e morale, tanto più visto che
in Europa e negli USA vengono
tollerate manifestazioni, slogan
e manifesti che inneggiano alla
distruzione dello Stato di Israele e all’uccisione degli ebrei.
Intervistato da Asianews Samir
Khalil Samir sj, noto islamologo
ha affermato che il film Fitna non
I
sia utile: esso serve solo a provocare i musulmani perché rompano
con la violenza, e i non musulmani
perché reagiscano e non tacciano.
D’altra parte, la reazione britannica non è nemmeno valida:
essa non aiuta né i musulmani a
fare l’autocritica, né a fermare
la violenza in nome dell’Islam.
È sempre più urgente un gruppo
di musulmani e non musulmani
che lottino insieme per la libertà
di parola e di coscienza e siano
capaci di dialogare; per far crescere l’autocritica delle persone
e delle civiltà; separando con
precisione religione e politica.
Non va in questa direzione le
varie querele che va gettando
addosso a giornalisti, scrittori, e
studiosi, una nota associazione
islamica presente in Italia, lo ha
scritto Maria Giovanna Maglie su
Il Giornale. L’associazione, che
opera per terrorizzare invita a risarcire immediatamente i danni
patrimoniali e non. Ad oggi oltre
alla Maglie, tra i querelati c’è e
non poteva mancare, Cristiano
Magdi Allam, Valentina Colombo, Souad Sbai, Andrea Ronchi,
Andrea Nardi, Antonello Palazzi,
Giancarlo Loquenzi, Carlo Panella, Dimitri Buffa, Massimo
Introvigne, Alberto Giannoni,
Massimiliano Lussana, Andrea
Morigi, Ahmad Giampiero Vincenzo, Daniela Santanchè, Yassim
Belkazei. Cito qualche giornale: il
Giornale, Libero, La Stampa, il
Corriere della Sera, Tempi, l’Opinione, l’Occidentale, la Padania.
L’elenco, è approssimativo, scrive
la Maglie. Ai metodi terroristici
tradizionali ora l’islam vicino al
movimento dei Fratelli musulmani, ha progettato di aggiungere un
altro tipo di jihad, quello che si
svolge nei tribunali e che ottiene
lo scopo di spaventare personalmente ed anche economicamente.
Chiunque, giornalista, politico
o studioso che sia, si occupi di
islam, rischia di venire citato in
tribunale per «oltraggio nei confronti di un gruppo di persone
in ragione della loro religione».
Gruppi minoritari e perfino isolati nella popolazione musulmana si
spacciano per suoi rappresentanti
unici. (Maria Giovanna Maglie,
Islam, il terrorismo delle querele,
14.4.09 Il Giornale).
Domenico Bonvegna
I Verdi contro i Verdi
Verdi contro i Verdi, si potrebbe sintetizzare. Dire oggi che
i gloriosi Verdi, ovvero quelli
che della lotta alla difesa dell’ambiente naturale e cittadino, e dunque in primo luogo dell’uomo
stesso, avevano fatto la bandiera
della loro stessa esistenza, sono
sull’orlo dell’estinzione (così
come la natura che hanno cercato di difendere) forse è solo un
eufemismo. Se i Verdi non vogliono definitivamente scomparire, almeno come tali, debbono
ritornare ad imbracciare le armi
nonviolente di quel movimento
edificato sugli ideali e sul volontariato abbandonato a se stesso
da coloro che invece hanno portato i Verdi italiani sull’orlo della
scomparsa. I Verdi avevano probabilmente un’ultima chance per
non rischiare di scomparire del
tutto: alle prossime elezioni Europee, a costo di non eleggere alcun rappresentante al Parlamento
europeo, avrebbero dovuto presentarsi da soli e con il proprio
simbolo e senza che questo venisse deturpato o mimetizzato.
Solo questa scelta avrebbe potuto
riabilitare agli occhi dei cittadini
i Verdi e le loro uniche peculiarità. Mi riferisco in primo luogo a
coloro che anni addietro davano
loro il voto garantendone, essi
sì, la presenza in ogni parte del
territorio italiano e così facendo
garantendo quell’osmosi contaminante ecologista che in parte è
riuscita a “condizionare” gli amministratori delle città e coloro
che promulgano le leggi di Stato
e Regioni.
Alfio Lisi
Politica
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N° 7/2009 - ANNO XVIII - 15 maggio
Il vero successore di Berlusconi, secondo Dario Franceschini, sarà suo figlio
Pier Silvio dopo Silvio
La dimostrazione? I giochi di Palazzo - Macherio come Versailles
U
na sola persona ha capito
tutto, in questo momento,
e mi pare che questa persona sia Dario Franceschini, quando in una sua recente intervista al
quotidiano “La Stampa” (27 aprile
2009) ha dichiarato: “Dopo Silvio
ci sarà Pier Silvio”. Non che ci sia
antipatico, per carità, il rampollo
della famiglia Berlusconi. Anzi,
è chiaro che l’erede presunto (in
anni che auguriamo al Presidente del Consiglio siano lontanissimi) è una persona estremamente
aziendale, seria e preparata. Ma
tanti avvenimenti, dichiarazioni,
giochi di facciata, stanno dimostrando con più o meno garbo che
quanto avviene in queste settimane
nei saloni delle residenze pubbliche o private di Silvio Berlusconi
assomiglia molto più a una trama
degna di Versailles che agli uffici
della Presidenza del Consiglio. Un
lungo servizio sui quarant’anni di
Pier Silvio, andato in onda su un
Telegiornale Mediaset ha consacrato il ruolo di presenza pubblica
del “delfino” naturale e ufficiale,
con un commento entusiastico che
senza molta discrezione e mezzi
termini ha ribadito i meriti e la dedizione al lavoro di questo giovane
uomo. Le successive dichiarazioni
della signora Veronica sulle veline
candidate, hanno consentito di aggiustare il tiro, e la dama, più che
una moglie inquieta e aspirante
divorziata per disperazione, indispettita dalle affascinanti frequentazioni del marito, ci è sembrata
una delle settecentesche mogli del
Sultano di Costantinopoli che dedicavano tutta la vita a sorvegliare
e riequilibrare il potere di figli e
pretendenti all’interno del Palazzo
imperiale. Per poi poter diventare
un giorno la persona più importante dello Stato: la Sultana Validè, ossia la madre del Sovrano in
carica, onnipotente ed ossequiata
presenza istituzionale dall’influenza politica incalcolabile. E’ chiaro
che per bellezza, intelligenza e per
la discrezione che l’hanno caratterizzata, la signora Veronica non
ha niente a che invidiare alle madri degli Imperatori islamici. Ma
è chiaro anche che le sue dichiarazioni, più che la normale stizza di
una moglie che mal sopporta tante
ragazze in giro intorno a un importante consorte, a qualcuno sono
sembrate un voler spezzare le righe, voler azzerare i conti, proprio
nel momento in cui alla corte di
Berlusconi sta crescendo l’importanza del ruolo del figlio maggiore.
Se dal punto di vista economico
non abbiamo alcun dubbio che il
Presidente del Consiglio disporrà
equamente dei suoi beni, non così
sarà per i suoi incarichi aziendali,
per quelle posizioni di prestigio
del mondo dell’informazione e
dell’imprenditoria che oltre e più
del danaro, sono in grado di conferire il potere. Ci auspichiamo che
le parti in causa sappiano gestire
una vicenda così delicata con il
buon gusto necessario. Ma certo,
come ha sostenuto Rosi Bindi, personaggi così pubblici non possono
aspirare al silenzio della stampa.
Un uguale silenzio non è stato
preteso per la Regina Elisabetta o
Piersilvio Berlusconi
Terremoto, una catastrofe annunciata
R
ovinarono in gran parte le
Chiese di S.Massimo, di
S.Giusta, di S.Agostino,
di S.Domenico, di S.Silvestro, di
S.Maria in Paganica, ed altre pure
assai. Nel Palazzo del Capitanio furono oppresse assai genti, e le strade pubbliche, per i cimenti rovinati,
non potean pratticarsi. Fu per ordine del Vescovo fatto un altare in
piedi alla Piazza, nel quale fu collocato il Santissimo Sacramento,
ritrovato nell’Altare di Colle Majo, e quivi si celebravan
le Messe, ed il Popolo stava ad
udirle su la Piazza, non si confidando di star sotto i tetti. Furono
trovate circa 80 persone sotto le
rovine oppresse per questi gran
terremoto, oltre molti poveri, che
nell’Ospedale di S.Pietro di Sassa,
e di S.Giacomo alla porta Paganica
perirono.
Nel suo linguaggio seicentesco
Marcello Bonito, l’Autore del volume Terra tremante, edito a Napoli nel 1691, descrive con precisione
gli effetti del catastrofico terremoto che il 5 dicembre 1456 sconvolse L’Aquila e la regione vicina,
producendo danni incalcolabili in
un’area che risulta identica a quella
del recente sisma che tanti morti ha
provocato prima di Pasqua. E’ da
molti anni, ormai, che gli esperti di sismologia hanno avvertito
l’opinione pubblica come non
sia ancora possibile prevedere
i terremoti ma come sia invece
assolutamente certo sapere le
aree che saranno interessate dai
fenomeni. Più che lo studio delle dinamiche fisiche, è la lettura
delle notizie storiche a renderci
consapevoli del fatto che quando
un terremoto ha colpito una zona,
esso si ripeterà nei decenni e nei
secoli futuri, con la stessa intensità, le medesime caratteristiche
e con una gradazione nella scala
Mercalli che esattamente corrisponde a quella già registrata in
passato, se si tiene conto dei danni
che ci vengono riportati dalle cronache. Insomma, non si conosce
il quando ma si conosce il dove.
Basterebbe ricordare, a proposito
del terremoto del 1980 che sconvolse la Campania e la Basilicata,
come la catastrofe si verificò con
assoluta precisione nelle stesse
aree interessate ad altri fenomeni
simili già avvenuti nei secoli passati, ed in particolare nel 1694.
I paesi colpiti furono gli stessi,
i morti e i danni maggiori si lamentarono negli stessi luoghi.
Nel periodo che seguì il sisma, si
scoprì che in una provincia come
quella di Salerno che aveva avuto
tante vittime (si pensi al solo comune di Laviano, completamente raso al suolo e dove morirono
circa 300 persone), nessun paese
era classificato a rischio sismico.
Sarebbe bastato scorrere le pagine di libri non solo antichi o i
fogli di un registro parrocchiale,
per diventare consapevoli di una
realtà fisica ben diversa, e cioè
che in molte parti d’Italia il terremoto è sempre in agguato e che
quindi può ripetersi con puntuale
dinamica. Il libro di Marcello Bonito che costituisce un monumento letterario con la sua immensa
per gli affari di cuore del Principe
Carlo, e quindi nessuno lo pretenda. Diremo invece che a noi non
interessa se un giorno la Presidenza (o le Presidenze) del Consiglio
o della Repubblica diventeranno
ereditarie. O se questa ereditarietà
sarà in linea primogenita o all’islamica, ossia conferita al parente
più capace o più anziano. Qualche
anno fa, un gruppo di giovani milanesi aveva già proposto che l’Italia diventasse una monarchia e che
la corona fosse assunta da Silvio
Berlusconi. Che male ci sarebbe?
Chi è in grado di gestire il potere
liberandosi da eletti, portaborse,
ricattatori, affaristi, se lo prenda.
I tempi imposero che Napoleone
Bonaparte diventasse imperatore
dei Francesi; a Firenze i Medici
prima di Lorenzo il Magnifico (si
pensi a Cosimo il Vecchio) erano
i signori di fatto dello Stato senza
neppure che uno di loro assumesse cariche ufficiali, e si limitavano a governare “consigliando” i
pubblici reggitori; in tante città
italiane (come fecero a Mantova
i Gonzaga) i Capitani del Popolo
trasformarono la loro funzione in
principato ereditario. Non troverei
niente di male se, mentre Emanuele Filiberto cerca di propagandarsi
ballando e candidandosi, il figlio
di Silvio Berlusconi si prepara ad
una vera successione. “Chi sarà il
successore di Berlusconi”, è stato
chiesto a Franceschini. E lui: “A
volte temo che sarà Pier Silvio, il
figlio. Non sto scherzando. In Italia purtroppo nessuno si scandalizzerebbe. Anzi temo che alla gente
piacerebbe”. E a tutti e due i coniugi di cui oggi tanto si parla, tanti
auguri di felicità e di serenità.
Carmelo Currò
pubblicamente, in televisione,
del perché troppe facoltà italiane continuino a produrre laureati
che sono assolutamente inadatti
mole di notizie riguardanti l’Italia in cui il fenomeno fu avvertito. ai loro futuri ruoli. Ho ricordae il mondo, ha avuto una gran- E invece no. Ancora una volta to come la vecchia rete di amide fortuna, ed è stato ristampato abbiamo scoperto che tecnici ed cizie e di raccomandazioni sia
nel 1980 con molta pubblicità. Si amministratori non si sono nep- in grado di far superare esami,
tratta, dunque, di un volume che pure sognati di andare a vedere aumentare i voti, sorvolare su
ha avuto notevole circolazione e che cosa sia accaduto nelle loro tesi cretine, introdurre nel mondo
che dovrebbe essere conosciu- città e nei loro paesi in passato. del lavoro personaggi che rimanto agli addetti ai lavori, presente Ancora una volta una distratta re- gono per tutta la vita assolute nullinelle biblioteche universitarie, lazione di un qualsiasi laureato (e tà ma che in pratica possono avere
utilizzato come manuale di con- si sa come vengono conseguite in mano interi paesi e vite umane.
sultazione quotidiana per chi si certe lauree) abbia potuto decidere Se a questo si unisce la cupidigia
appresta a costruire e disegnare. la vita di tante persone. Possibile del guadagno, l’avidità di danaro
Così come dovrebbero essere co- che, con tanti tecnici e tanti con- che il Papa ha recentemente indinosciuti, consultati, divorati, i vo- sulenti strapagati che affollano gli cato come la vera causa dei granlumi pubblicati da anni dall’Enea enti pubblici italiani, nessun abbia di mali morali ed economici degli
e che contengono studi di valore pensato di andare a cercare un libro ultimi tempi, la situazione appare
incalcolabile sui terremoti. Mi in biblioteca per rendersi conto di spiegata in tutta la sua gravità.
riferisco, ad esempio, a quello di eventuali pericoli che incombeva- Noi possiamo fare molto, oltre
Magri e Molin “Il terremoto del di- no sul territorio? Abbiamo sentito che protestare. In primo luogo,
cembre 1456 nell’Appennino cen- notizie inimmaginabili che sono al possiamo non rieleggere chi ci ha
tro-meridionale”, in cui si trovano limite della fantascienza. Come è deluso, evitando il rispetto umano
annotate con estrema precisione possibile introdurre nelle pareti la che ci induce a sopportare, sorrile località che furono colpite, le “plastica espansa”? è vero? perché dere ed affidare la nostra sorte ad
descrizioni dei danni e il calco- vi è stata messa? risultava un mate- assoluti incapaci che ci ricambialo dei gradi della scala Mercal- riale insicuro?e se si trovava nelle no con sorrisi e strette di mano. I
li dall’epicentro fino alle zone mura della facoltà di ingegneria professori possono bocciare senza
a L’Aquila, è remissione chi in università o ai
possibile che concorsi si presenta impreparato,
sia stata uti- respingendo le raccomandazioni
lizzata anche di personaggi che si rivestono di
altrove? Gli in- autorevolezza. I sacerdoti o i sinterrogativi che daci possono pretendere relazioni
ci attanagliano tecniche e storiche dettagliate,
sono molti e prima di affidare a un professiogravissimi. Ma nista la realizzazione dei lavori in
probabilmente parrocchia o in un centro abitaanche
questi to. Da fare c’è molto ma prima
non
avranno di tutto, come sempre, c’è da
risposta. Come vincere il nostro maggior difetnon
avran- to: quello del tacere “perché pare
no risposta le brutto”.
domande che
mi sono fatto
C. C.
Un’immagine del terremoto in Abruzzo
INSERTO
Corriere Letterario
N° 7/2009 - ANNO XVIII - 15 maggio
A cura di Antonio D’Ettoris
Il crocifisso del samurai
Andrea Bartelloni
I
l Giappone è un paese lontano
da noi non solo geograficamente, ma anche e soprattutto
da un punto di vista culturale, filosofico e religioso. Sicuramente
non mancano testi e manuali che
approfondiscono la storia e la cultura di questo paese, ma, spesso, il
romanzo e quello storico in particolare, sono efficaci veicoli di conoscenza. Rino Cammilleri è un
autore di saggi e romanzi. Ultimamente ci ha abituati a letture che
portano ad approfondire la storia
dei periodi in cui si svolgono le
vicende raccontate. Non fa eccezione la sua ultima fatica (Il crocifisso del samurai, Rizzoli) che
affronta la storia del Giappone,
degli anni dal XVI al XIX secolo,
attraverso la storia dell’evangelizzazione cristiana. Ne parliamo
con l’autore iniziando a chiedergli cosa lo ha spinto ad affrontare
questo periodo di storia e della
storia di questo particolare paese.
Ci sono state, nella storia, situazioni in cui i cristiani perseguitati
hanno cercato di difendere il loro
diritto alla libertà religiosa con
le armi. Questi episodi sono poco
conosciuti, anche perché per certa sensibilità odierna il cristiano
dovrebbe solo fare il martire e non
reagire al sopruso. Ma la Chiesa ha una precisa dottrina sulla
«guerra giusta» che il cristiano
può, se del caso, intraprendere.
Così, ho voluto far conoscere un
episodio cruciale della cristianità
giapponese, la grande rivolta cristiana del 1638, di cui solo pochi
sanno, sebbene sia fondamentale
per l’intera storia del Giappone.
Letta nella giusta prospettiva,
quella cattolica, è ignota anche
ai giapponesi stessi. L’evangelizzazione del Giappone ha caratteristiche particolari, ma nello
stesso tempo simili a quella delle
nazioni “barbare” dell’Europa.
Dove stanno le analogie e le differenze? Il primo evangelizzatore,
s. Francesco Saverio, si rese presto conto della similitudine: se si
fossero convertiti i capi, il popolo
avrebbe seguito l’esempio. Così,
in breve tempo, parecchi signori
feudali del Giappone accettarono
il battesimo e i cristiani arrivarono prestissimo alle 300mila unità.
Ma fu proprio questo a perderli:
quando lo Shogun si accorse che i
battezzati obbedivano a Dio piuttosto che a lui, iniziò la persecuzione. C’è una parte del suo libro
(la vicenda si svolge tra il 1637 e
il 1638) dove i cristiani superstiti
della prima evangelizzazione fanno una specie di esame al sacerdote che li trova. Quali insegnamenti possiamo trarne? I gesuiti
evangelizzatori avevano insegnato ai loro padri che la Cristianità
era divisa e che parte dell’Europa era diventata protestante.
I discendenti dei pochi cristiani
giapponesi sopravvissuti alle persecuzioni, quando nel XIX secolo
incontrarono un missionario, vollero accertarsi che fosse cattolico. Una buona evangelizzazione,
operata in profondità e accolta
di cuore, non si cancella e, concretizzandosi nella virtù della
speranza, attraversa i secoli. Il
popolo giapponese ha un carattere estremamente forte, estremo in
tutte le sue manifestazioni, è forse
questo che ha consentito ai personaggi del suo romanzo di conservare la fede? I personaggi del mio
romanzo, tranne pochissimi, sono
tutti realmente esistiti. I giapponesi erano (e sono) educati fin da
piccoli all’autodisciplina e alla
fedeltà fino alla morte alle istanze
superiori. I pagani usavano questa loro virtù con l’Imperatore, i
cristiani lo fecero (e lo fanno) con
Cristo. Nagasaki. È una città che
si ritrova spesso come sede di persecuzioni dei cristiani. La bomba
atomica del 1945 è forse stata
l’ultima di queste? Nagasaki era
il porto obbligato per gli occidentali e là si concentrava la maggior
parte dei cristiani. Furono decimati là nel 1638 e una seconda
volta nel 1945. Le bombe furono
due, una a Hiroshima e l’altra
a Nagasaki. Ancora oggi, nelle
commemorazioni, si usa dire da
quelle parti che «Hiroshima protesta, Nagasaki prega». In fondo,
tutt’ora gli storici non hanno una
spiegazione soddisfacente sul perché si
voll e
Stefania Limiti
L’anello della Repubblica
Chiarelettere
pp. 337 €. 16,00
Seguendo le tracce del “noto servizio”, il libro rivela il coinvolgimento di questa struttura
in tre episodi fondamentali: la fuga del nazista Kappler dal Celio, frutto di un accordo
tra governo italiano e tedesco; la trattativa del
Vaticano con le Brigate rosse per la liberazione di Aldo Moro;
l’accordo con la camorra per la liberazione dell’assessore democristiano Ciro Grillo. Con la prefazione di Giuseppe De Lutiis.
I Tableaux firmati da Christofle de Savigny
Annarita Angelini
(1587) individuano nell’enciclopedia la formula Metodo ed enciclopedia nel
più funzionale alla diffusione di un sapere utiCinquecento francese
le alla vita, che aggancia alla riforma di Pietro
Olschki
Ramo gli esiti più aggiornati della cultura tar- 2 vol. pp. 594 €. 63,00
docinquecentesca. Il primo tomo è dedicato al
contesto filosofico, scientifico e politico entro il
quale si composero i Tableaux; il secondo comprende l’edizione critica del
testo cinquecentesco con ampio apparato di fonti e traduzione italiana.
Relegate ai margini della lotta per il potere, che
Alain Touraine
ruolo hanno oggi le donne nel mondo globalizIl mondo è delle donne
zato? Come interpretano l’eredità del femminiIl Saggiatore
smo? Che definizione danno di sé? Un gruppo di
pp. 242 €. 20,00 ricercatori coordinati da Alain Touraine ha posto
questi interrogativi a un gruppo di donne di varia
estrazione sociale e diversa religione, ottenendone l’unanime
risposta: “Io sono una donna, io costruisco me stessa in quanto donna attraverso la mia sessualità”.
Un’introduzione alla figura e all’opera di Ingmar
Bergman (1918-2007) attraverso l’analisi dei suoi
film più amati (Monica e il desiderio, II settimo sigillo, II posto delle fragole, Persona, Sussurri e grida,
Fanny e Alexander) e una curiosa incursione nella
sua attività di realizzatore di short pubblicitari.
A cura di Antonio
Costa
Ingmar Bergman
Marsilio
pp. 189 €. 12,50
2
7
Gli ultimi giorni di
Benito Mussolini
8 aprile 1945: Benito Mussolini e Claretta Petacci vengono fucilati a Giulino di Mezzegra. Il giorno dopo, i loro corpi - con
quelli degli altri gerarchi fascisti uccisi a Dongo - sono esposti a
Milano, in piazzale Loreto. La morte di Mussolini chiude tragicamente
il ventennio fascista e segna al tempo stesso la fine di una gigantesca
caccia all’uomo. Sono in molti a voler catturare il duce, primi tra tutti
gli americani, che vorrebbero sottoporlo a un regolare processo. Bruciati dall’azione dei partigiani comunisti, più veloci di loro a mettere le
mani sulla colonna in fuga, i servizi segreti statunitensi vogliono capire
subito come e perché il loro piano è fallito e incaricano uno dei loro più
abili agenti, Valerian Lada-Mocarski, di ricostruire la disperata fuga e
la fine di Mussolini. Pochi giorni di indagine sul campo e di colloqui
con i testimoni e, dopo una prima relazione più approssimativa, il 30
maggio 1945 l’agente numero 441 dell’OSS è in grado di inviare al
suo capo, Allen Dulles, un rapporto definitivo. Ora questo materiale
è tornato finalmente alla luce. È un documento in presa diretta, scritto
a caldo, che racconta con precisione e uno stile essenziale ma vivido
l’episodio più drammatico e significativo della recente storia italiana.
Soprattutto, il rapporto di Lada-Mocarski fa piazza pulita, una volta per
tutte, delle fantasiose ipotesi sulla fine di Mussolini, a cominciare dalle
reticenti ricostruzioni del Partito comunista italiano.
Il libro
G. Cavalleri, F. Giannantoni,
M. J. Cereghino
La fine
Garzanti
pp. 273 €. 16,60
colpire con l’atomica non una
ma due volte, e la seconda proprio a Nagasaki. Padre Bernard
Petijean, il gesuita al quale viene
raccontata l’epopea dei cristiani giapponesi da parte dei
discendenti dei superstiti, fa un paragone tra
le persecuzioni subite
in Giappone e quelle
che i cristiani dell’Africa mediterranea subirono
da parte dei musulma-
Enrico Tiozzo
La letteratura italiana e il
premio Nobel
Olschki
pp. VIII-358 €. 34,00
Il presente volume raccoglie il materiale inedito contenuto nell’archivio privato dell’Accademia di Svezia, riguardante i candidati
italiani al premio Nobel per la letteratura dal
1901 al 1957. Le lettere di candidatura, i giudizi degli esperti, le motivazioni politiche, le
simpatie personali, gli errori di valutazione
vengono analizzati sulla base di documenti
finora sconosciuti.
Il volumeIl volume espone le ricerche più aggiornate sulle delicate e importanti fasi iniziali del collezionismo a Venezia, dal Trecento al
Cinquecento, attraverso saggi critici e analisi di
casi studio, seguiti da quaranta voci biografiche
e da un’appendice documentaria con testamenti
e inventari inediti di oggi.
Gian Piero Brunetta
Il cinema neorealista
italiano
Laterza
pp. XI-313 €. 17,00
ni. Dove stanno, se ci sono le
differenze? Tranne alcuni casi,
l’Africa romana non subì una
persecuzione religiosa ma una
conquista militare. I musulmani
tolleravano i cristiani, purché
restassero nella posizione subordinata di dimmi. Non così in
Giappone, dove il cristianesimo,
a differenza di tutte le altre fedi
(buddismo, shintoismo, confucianesimo), fu quasi completamente cancellato.
Hochmann. Luber, Mason
Il collezionismo d’arte a
Venezia
Marsilio
pp. 422 €. 35,00
Il cinema del dopoguerra attraversa, in modo più o
meno inconsapevole, la storia del paese. Per merito
di Rossellini e De Sica, ma anche di De Santis, Visconti, Germi, Lattuada, Soldati, Castellani, Zampa
e di titoli che in vario modo rientrano nel campo di
tensioni del neorealismo, si assiste a una bruciante
scoperta dell’Italia, con tutti i suoi problemi e la sua
voglia di ripartire da zero”.
Questo manuale non ha la pretesa di insegnare: serve semmai da “buca del suggeritore”
per chiunque - giovane e meno giovane - voglia avvicinarsi a un mestiere che, nonostante
una certa inflazione e la conseguente qualità
al ribasso, non ha ancora perso il suo fascino.
Massimo Tecca
Il giornalismo sportivo
Gremese
pp. 156 €. 18,00
LIBRI DA LEGGERE
8
Napoleone Bonaparte
Manuale del capo
Einaudi
pp. XI-99 €. 12,00
In questo libro sono raccolti i pensieri, i consigli, gli
ordini, i giudizi, che Napoleone ha dedicato alla difficile arte di comandare, di
condurre forze militari, di
governare una nazione.
L’ultimo fascismo
R
LIBRI
INSERTO
oberto
Chiarini,
ordinario di storia
contemporaneamente alla Statale di Milano e
presidente del “Centro studi
e documentazioni sul periodo storico della Rsi” (con
sede in Salò), ne L’ultimo
fascismo (Marsilio ed., pp.
144 con ill., € 18) ricostruisce sinteticamente la storia della guerra civile fra il
1943 e il ’45. Guarda essenzialmente al fascismo repubblicano, con una lettura
che tiene conto di ricordi e
di polemiche del dopoguerra, evitando il più possibile
i facili vezzi del “politicamente corretto”. Chiarini
ripercorre con durezza limiti, errori, colpe della Rsi.
Il dramma di quel fascismo
è – forse – sintetizzabile in
due affermazioni di Mussolini. La prima è la frase
con la quale egli iniziò il
discorso da Radio Monaco il 18 settembre del ’43,
poco dopo essere stato liberato dalla prigionia e recato in volo da Hitler. “Dopo
un lungo silenzio ecco che
nuovamente vi giunge la
mia voce e sono sicuro che
voi la riconoscerete. È la
voce che vi ha chiamato a
raccolta in momenti difficili e che ha celebrato con
voi le giornate trionfali della Patria.” Invece, quella
voce non fu riconosciuta,
perché non sembrava più
quella di Mussolini, tanto
era stanca, vecchia, debole. I prodromi indicavano
limiti e difficoltà del cammino poi intrapreso. L’altra frase fu pronunciata
durante un breve discorso
tenuto a un piccolo gruppo di militari, su un palco
da comizio di provincia,
ben lontano dal balcone
di Piazza Venezia: senza
il 25 luglio, “a quest’ora
io vi parlerei in una piazza
del Cairo, non in un sobborgo di Brescia”. Era
la tragedia di un uomo
che ammetteva la propria
sconfitta e che misurava
quanto fossero distanti
realtà e ambizioni di pochi anni prima dall’amara quotidianità dei giorni
sentiti come finali.
Marco Bertoncini
C
Serge Latouche
Mondializzazione
e decrescita
Dedalo
pp. 121 €. 14,00
(da un antico detto monastico)
a cura di Maria Grazia D’Ettoris
L’economia liberale di
Luigi Einaudi
F
rancesco Forte, successore
di Luigi Einaudi sulla cattedra
torinese di diritto
finanziario e scienza
delle
finanze,
poi politico di lungo corso e ministro,
oggi acuto osservatore di vicende
economiche,
politiche e finanziarie,
raccoglie nel vasto
v o l u m e L’ e c o n o m i a
liberale
di
Luigi
Einaudi. Saggi (Olschki ed., pp. XVIII
+ 368, € 41) un’ampia serie di poderosi
e documentati studi
sul grande maestro
del liberalismo italiano. Forte rilegge Einaudi sia nella
prospettiva storica
dei suoi tempi, sia
per
comprenderne gl’insegnamenti
sempre attuali che
ci ha donato.
Gli
aspetti della produzione scientifica di
Einaudi sono analizzati tanto con vastità
di riferimenti, quanto con un esame diffuso dei molteplici
settori in cui il gran-
Roberto Mazzarella
L’uomo d’onore
non paga il pizzo
Città Nuova
pp. 184 €. 13,00
L’Autore disegna una lucida radiografia
del fenomeno “mafia”; ne evidenzia le caratteristiche, le attività di mantenimento e
sviluppo; ne esplicita la cultura e i valori di cui è portatrice, mettendo in luce, di
contro, le forze positive - come l’Associazione” Addiopizzo” - che operano nei più
vari ambienti sociali per la promozione di
una cultura della legalità. Un libro di denuncia forte e appassionata.
Thibault Damour
Albert Einstein
Einaudi
pp. IX-238 €. 18,00
de liberale volle soffermarsi: dalla storia
economica, ai tributi, dall’economia di
guerra, alla finanza,
dall’europeismo,
ai
monopolii, dal liberismo (molte le pagine
dedicate alla polemica con Croce sulla
relazione fra libertà
etico-politica e libertà economica), alla
moneta, dalla scuola,
ai rapporti con politici, economisti, studiosi. Ne emerge un
compiuto ritratto di
Einaudi, che Forte
espressamente sente
come un maestro (non
mancano
specifiche
pagine dedicate agli
allievi di Einaudi).
m. b.
A cura di aa.Vv.
Italia non spagnola e
monarchia spagnola
tra ‘500 e ‘600
Olschki
pp. XII-238 € 25,00 Gli undici saggi qui raccolti ripropongono i
frutti ancora attuali di un incontro tenuto a
Pisa nel 1998 tra studiosi spagnoli, italiani e
francesi sui rapporti tra gli Stati italiani e la
Spagna durante il periodo della “preponderanza” di quest’ultima. Tema classico, che è
stato considerato in questo caso in un’ottica
interdisciplinare e alla luce degli scambi di
civiltà (politici, culturali, letterari) che si
sono stabiliti fra i diversi poli nel corso del
Cinque-Seicento.
Si estende su tutti i continenti l’Impero britannico
nel 1897. Le Indie, il Sudafrica, il Kenia, il Sudan,
la Rhodesia, il Canada, i Caraibi, e poi ancora tutta
l’Oceania, persino la gelida Terra di Graham nella
penisola antartica. La regina Vittoria può festeggiare
il giubileo di diamante del suo regno vantando il più
vasto e potente dominio coloniale di tutti i tempi. Ne
è trascorso di tempo da quel 20 giugno 1837, quando
la diciannovenne Vittoria venne incoronata. Allora la
ricchezza della Gran Bretagna era già incalcolabile, la
sua flotta e la sua supremazia commerciale, alimentata
dalla Compagnia delle Indie orientali, non avevano rivali. Su queste solide fondamenta la regina e Benjamin
Disraeli costruirono il loro immenso potere. “Per volontà
del cielo” ripercorre l’ascesa della potenza britannica,
la storia di sessant’anni di ambizioni e progressi tecnologici, di guerre feroci e di oppressione coloniale.
Farian Sabahi
Storia dell’Iran
1890-2008
Bruno Mondadori
pp. 266 €. 20,00
Per spiegare il presente è necessario conoscere la storia:
è intorno a questa premessa che nasce “Storia dell’Iran”,
un libro importarne per comprendere una realtà complessa dove il Novecento inizia con qualche anno di
anticipo: nel 1890. quando i religiosi stringono alleanza
con i mercanti per protestare con un vero e proprio boi-
cottaggio - contro la decisione dello scià di dare a uno
straniero la concessione del tabacco. Un’alleanza, quella
tra religiosi e mercanti, destinata a riannodarsi lungo tutto
il secolo e a culminare, nel 1979, nella rivoluzione che
trasformerà l’Iran in teocrazia. Un’alleanza che sembra
B
Tutti sanno che Einstein ha creato la fisica del XX secolo con i suoi lavori sulla
relatività e i quanti. Ma cosa sappiamo
veramente delle idee fondamentali che
ha offerto alla cultura contemporanea?
Come vi è arrivato? Che cosa rimane
oggi degli sconvolgimenti concettuali da
lui inaugurati?
Jan Morris
Per volontà del cielo
Il Saggiatore
pp. 503 €. 24,00
CULTURA
Una casa senza biblioteca è
come una fortezza senza armeria
onservali nella tua
In una forma accessibile al grande pubblico, Latouche mette a fuoco, con competenza e passione, temi e questioni che
riguardano da vicino, oggi più che mai,
il presente e il futuro dell’umanità e del
nostro pianeta. Nel contesto di una severa
analisi della logica dello sviluppo occidentale, interamente votata ai (dis)valori
della proprietà e del profitto, sorda agli
autentici bisogni delle persone e dell’ambiente, sale alla ribalta l’ambivalente situazione africana.
è
LEGGERE
N° 7/2009 - ANNO XVIII - 15 maggio
però compromessa dall’ingresso sulla scena politica
dei pasdaran rappresentati dal presidente Ahmadinejad.
iblioteca
Felipe Fernandez-Armesto
Amerigo
Bruno Mondadori
pp. 221 €. 18,00
Chi era in realtà Amerigo Vespucci,
l’uomo al quale la storia ha deciso di
intitolare un intero continente? Protettore di prostitute, mercante di gioielli,
stregone dedito alle pratiche di magia:
con le sue contraddizioni e le sue zone
d’ombra, Amerigo incarna l’emblema
dell’avventuriero moderno, capace di
fallimenti disastrosi e imprese straordinarie.
Giovanni Codovini
Geopolitica del conflitto
arabo israeliano palestinese
Bruno Mondadori
pp. VIII-311 €. 20,00
Calando la lettura degli eventi nella cornice dei delicati equilibri geopolitici mediorientali e mondiali, l’autore amplia la nostra visione del conflitto e della questione
israeliano palestinese, esaminandola da
un’angolazione più complessa, capace di
coniugare il rigore dell’indagine storica
all’attualità scottante dell’analisi geopolitica, geoeconomica e geoculturale.
Enrico Castelnuovo
Arte delle città,
arte delle corti
Einaudi
pp. XVI-109 €. 18,50
A partire dalla nascita della nozione
dello stile gotico in architettura (opus
francigenum), “Arte delle città, arte
delle corti” illumina, attraverso la produzione artistica dei principali centri
propulsori, gli scambi intercorsi tra
l’arte italiana e quella d’Oltralpe dal
tardo XII al XIV secolo.
A cura di Alessandro Campi
e Angelo Mellone
La destra nuova
Marsilio
pp. 205 € 11,00
La trasformazione della destra come categoria politica si intreccia con l’emersione di nuove sfide sociali - la sicurezza
individuale e sociale, il rapporto tra immigrazione e cittadinanza, la riforma del
welfare state, l’emersione della questione ambientale - che superano le vecchie
dicotomie e le ridefiniscono in chiave di
modernizzazione dell’offerta politica.
Religione
N° 7/2009 - ANNO XVIII - 15 maggio
La guerra del comunismo
alla religione
Domenico Bonvegna
A
vent’anni di distanza dall’abbattimento del Muro di Berlino, il
mensile cattolico di informazione e formazione apologetica Il Timone,
nel numero di Marzo ha proposto un
Dossier, dal titolo, Chiesa perseguitata nell’Europa dell’Est, per ricordare le
persecuzioni che la Chiesa Cattolica ha
subito in Urss e in tutti i Paesi dell’est,
dalla fine della seconda guerra mondiale
fino al 1989. “Sono cifre importanti e
dimenticate, o forse addirittura mai conosciute se non dagli specialisti. Infatti, fa scalpore il fatto che ancora oggi,
vent’anni dopo la caduta dei regimi comunisti dell’Est europeo, la memoria
della persecuzione religiosa subita da
quei popoli – ben superiore a quella patita dai soli cattolici, basti pensare alle
Chiese ortodosse in Russia, Romania,
Bulgaria, Albania – stenti a penetrare
nella cultura condivisa degli europei”.
Il costo umano totale del comunismo in
Russia e in Europa, deve ancora essere
approfondito, si parla di quasi 100 milioni di morti. A vent’anni dalla caduta
del più grande impero della Storia, quello sovietico, è necessario fare un esame
approfondito di quello che è successo al
di là della Cortina di Ferro, per dare un
giudizio storico a quello che realmente
è stata l’ideologia socialcomunista. Un
ottimo contributo lo potrebbe dare il recente film, Katyn, un vero e proprio capolavoro del regista Andrzey Wajda, che
racconta il massacro delle milizie sovietiche di oltre 22 mila ufficiali polacchi.
Ma anche Katyn si è imbattuto nella
censura silenziosa dei guardiani della
memoria. Victor Zaslavsky intervistato
da Tempi, non riesce a comprendere il
boicottaggio. E’ il segno che in Italia
A cura di Maurizio Tagliaferri
Pier Damiani
L’eremita, il teologo, il
riformatore (1007-2007)
Edb
pp. 4000 €. 28,00
La riforma monastica ed ecclesiastica del
secolo XI, l’azione politica e spirituale, le
relazioni di ampio respiro sono solo alcuni dei motivi che segnalano Pier Damiani
fra gli intellettuali più raffinati e dinamici
del tempo. Eremita, teologo, riformatore:
questi i nuclei attorno a cui si sono mossi
i vari contribuiti degli studiosi, che ben
sintetizzano la complessità di una vita
spesa “tra cielo e terra”.
Suor Emmanuelle
Straccivendola con gli
straccivendoli
Messaggero
pp. 160 €. 20,00
In questo suo libro suor Emmanuelle
racconta lo choc del suo incontro con gli
abitanti delle baraccopoli della capitale
egiziana. Nel 1972, a sessantatré anni,
sfidando il fango, i topi, le malattie, le
botte date alle donne, suor Emmanuelle
fa sorgere scuole, cooperative, dispensari e rivela la loro dignità a quei paria del
Cairo che sono gli straccivendoli.
manca ancora una sensibilità storica,
culturale. Il film di Wajda per Zaslavsky
spiega come pochi altri cosa fu il Novecento e cos’è l’ideologia. Si riuscirà
a far diventare l’anticomunismo come
lo è l’antifascismo un modo di pensare condiviso da tutti? La risoluzione su
“coscienza europea e totalitarismi”,
proposta recentemente dall’onorevole
Mario Mauro e di altri 10 deputati del
Gruppo del Partito Popolare europeo,
va in questa direzione. La risoluzione
chiede che l’Europa riconosca il totalitarismo comunista come parte integrante
e terribile della storia comune d’Europa
e che la responsabilità per i suoi crimini
sia accettata a livello europeo, così come
da decenni si agisce per i crimini del nazismo e del fascismo. “Infatti, una persona con meno di trent’anni, cresciuta in
un Paese occidentale, dove ha frequentato le scuole in cui sono adottati gli
attuali libri di testo di storia (salvo poche eccezioni), rischia veramente di non
conoscere che cosa il comunismo abbia
rappresentato nella storia europea o,
peggio, di riceverne un’interpretazione
stravolta dell’ideologia”. Purtroppo anche negli ambienti anticomunisti è difficile incontrare la percezione dell’importanza della persecuzione religiosa
nell’opera di distruzione della società
dell’Est. Si comprende la devastazione
economica che ha causato il totalitarismo comunista, ma si fa fatica a cogliere
la “catastrofe antropologica” prodotta
perseguendo la religione, facendola, di
fatto, scomparire. Marta Dell’Asta, direttrice di La Nuova Europa, a questo
proposito ha detto che l’eliminazione
violenta della fede dalla vita delle varie società dell’Est ha avuto una profonda incidenza sull’aspetto spirituale
e materiale di questi paesi. Tagliando i
legami con il passato, i comunisti hanno
fatto perdere la speranza nel futuro. Le
società dell’est impregnate di violenza,
I
L
Bernard Sesboue
Fuori dalla Chiesa
nessuna salvezza
San Paolo
pp. 344 €. 34,00
Una biografia essenziale, che segue le
tappe, tra vita attiva e contemplativa,
penitenza ed entusiasmo, di un cammino che per 44 anni porta san Leonardo
in missione in innumerevoli città italiane, dove raduna, intorno alla Croce, folle
alle quali raccomanda, da autentico figlio
di san Francesco d’Assisi, santità di vita
e preghiera incessante.
Francesco di Sales,
Giovanna Chantal
Missione e spirito
Città Nuova
pp. 72 €. 4,50
Nel 1604 Francesco di Sales incontra a
Dijon Giovanna di Chantal. La profonda amicizia spirituale che subito li lega è
all’origine della Congregazione femminile della Visitazione di Santa Maria che
Francesco di Sales fonda ad Annecy nel
1610. In essa la vita comune di contemplazione viene unita ad una vita di azione
nell’esercizio della carità verso i poveri e
gli ammalati.
“Fuori dalla Chiesa nessuna salvezza”. Come comprendere questo detto? È la domanda che si pone il
teologo Bernard Sesboué. Non costituisce l’espressione più compiuta di un atteggiamento di esclusione
nei confronti di tutti quelli che non condividono la
fede cattolica?
“Maria non è mai stata una causa di separazione tra
Giancarlo Bruni
le Chiese. Al contrario, essa ne è diventata la vittima,
Mariologia
ecumenica
addirittura l’espressione esacerbata. Su di lei si poEdb
larizzano e in lei si riflettono numerosi altri fattori di
pp. 576 €. 44,90
disunione”. In questo modo netto e deciso si esprime il
documento ecumenico di Dombes sulla Madonna.
Lucia e Francesco
A tu per tu con il diavolo
San Paolo
pp. 240 €. 13,00
Una famiglia normale, un lavoro ben avviato,
due figli. L’esistenza di Lucia e Francesco
(nomi di fantasia per tutelare la privacy degli
autori) è sconvolta improvvisamente da malattie inspiegabili, rumori improvvisi, folate
di aria gelida, percezione di presenze ostili,
difficoltà sul lavoro. Inutili le visite da psichiatri e
specialisti, fino alla scoperta sconvolgente di essere oggetto delle attenzioni del Demonio.
Nella società francese del XIX secolo, cattoliYves Ledure
cesimo sociale e questione ebraica si incontrano Antisemitismo cristiano?
e si incrociano. Con l’avvento del capitalismo,
Il caso di Leone Dehon
il rapido sviluppo dell’industria trova ingenti
Edb
risorse presso i grandi esponenti della finanza
pp.
216
€. 16,60
del tempo, in larga parte ebrei, come i Rotschild
o i Pereire. Questa configurazione genererà una
situazione sociale catastrofica per il mondo del
lavoro e una ventata antigiudaica molto marcata nella seconda metà
del secolo. Essa investirà anche la maggior parte degli attori sociali
cattolici dell’epoca, fra cui p. Leone Dehon.
hanno prodotto il calo demografico, l’alcolismo, la crisi della famiglia, i suicidi. Due anni dopo la caduta del Muro,
i vescovi europei dell’est, dell’Europa
centrale e occidentale si sono riuniti insieme per la prima volta, in un Sinodo
speciale, hanno stilato un vero e proprio
Manifesto programmatico per la riconquista dell’Europa alla fede cristiana, un
documento di fondamentale importanza,
non solo perché gettavano le basi per
una nuova evangelizzazione dell’Europa
dopo la caduta dei regimi comunisti. I
vescovi ricordano che quanto è accaduto
in Europa oltre alle ragioni economiche
e politiche, ci sono sicuramente delle
ibri dello
Katalin Soltész Frattaioli
Leonardo da Porto Maurizio
Città Nuova
pp. 112 €. 9,00
Riflettiamo con i Libri
9
S
pirito
Rinaldo Falsini
Celebrare e vivere il mistero
eucaristico
Edb
pp. 160 €. 14,00
Il volume vede la luce a pochi mesi dalla
scomparsa dell’autore, ma da lui era stato
fortemente voluto, tant’è che egli stesso
aveva affidato alle EDB l’incarico di provvedere alla cura redazionale di una selezione di articoli e studi che aveva pubblicato
nell’arco di un trentennio. Il suo insegnamento assume così un carattere profetico e
testamentario.
Godfried Danneels
Non abbiate paura...
Edb
pp. 72 €. 4,90
A volte si punta il dito anche contro il cristianesimo e più di una persona ha preso le
distanze dalla propria educazione cattolica,
ritenendola responsabile di ‘tarpare le ali’
rispetto alla possibilità di inseguire i propri desideri. Il cardinale Danneels invita ad
andare alle vere cause di tanto malessere,
a non conformarsi alla mentalità del secolo, a superare un’immotivata condizione di
vergogna, a non avere paura di annunciare
a chiare lettere il messaggio del Risorto:
“La pace sia con voi!”.
ragioni soprannaturali; la caduta del comunismo sa del miracoloso. Soprattutto
i vescovi ricordano che i problemi non
sono finiti, l’ideologia comunista ha
lasciato profonde ferite nelle persone
che gli sono sopravvissute, sia di natura morale sia materiale. E ricordano
che “Il crollo del comunismo mette in
questione l’intero itinerario culturale e
socio-politico dell’umanesimo europeo,
segnato dall’ateismo non solo nel suo
esito marxista”. Invitano a ripensare
completamente la storia dell’Occidente
dal Rinascimento ad oggi, evidenziando
quelle tappe che hanno poi portato agli
orrori dell’ideologia marxista.
Maria Tondo
Con Maria di Magdala
Edb
pp. 208 €. 15,70
Maria di Magdala, di cui parlano i Vangeli di Luca e Giovanni, è diventata
soggetto della narrativa e dell’arte lungo i secoli. I credenti la contemplano
come la discepola del Signore. “Tale io
la vedo e voglio continuare a guardarla
come fonte d’ispirazione. Quando mi
accosto al giardino pasquale per capire
“chi cerco” nella mia vita, trovo in lei la
risposta soprattutto nei momenti di assenza e di perdita.” (dalla Introduzione).
A cura di G. Giorgio
e M. Melone
Credo nello Spirito Santo
Edb
pp. 240 €. 21,60
I saggi raccolti nel volume rappresentano
i contributi offerti all’XI Simposio della
SIRT in collaborazione con il Servizio
nazionale per il progetto culturale della
CEI: essi vertono attorno all’ottavo articolo del simbolo apostolico “Credo nello
Spirito Santo” e si dedicano a una ricognizione, complessa ma stimolante, delle
questioni connesse alla figura e al ruolo
della terza persona della Santissima Trinità.
Economia
10
Libretto casa bocciato
già otto volte
Corrado Sforza Fogliani
Presidente Confedilizia
L
a crisi finanziaria in atto (che
trova la sua prima origine nel
fatto, creduto per più anni,
che fosse possibile creare ricchezza
prescindendo dall’economia reale,
l’unica che produce invece concreta
ricchezza) non ha insegnato nulla ai
sostenitori del lavoro “buroindotto”
(indotto da prescrizioni della burocrazia, cioè). Anzi, il terremoto
in Abruzzo - per rimediare ai cui
danni occorrono risorse vere, che
non vanno perciò distolte da questo obiettivo per essere destinate a
spese improduttive - ha paradossalmente consentito ai professionisti
(e ai politici che ne cercano il facile
consenso, a spese dei terzi) di rilanciare la vetusta idea di dotare ogni
unità immobiliare di un “libretto
casa”. L’idea - nata, ovviamente,
per iniziativa di tecnici - risale al
Governo D’Alema e quindi a più
di 10 anni fa. Ma da allora ad oggi,
i Giudici non hanno mai voluto saperne e, sempre investiti della questione dalla Confedilizia, l’hanno
bocciata con ben 8 decisioni: una
della Corte costituzionale, tre del
Consiglio di Stato, due del Tar Lazio e due del Tar Puglia. Ma tant’è:
ora, per rilanciare il “libretto” e
sottoporre condòmini e proprietari
di casa in genere alla spesa-tassa
relativa (circa 5mila euro almeno,
per appartamento), si sfrutta anche
il terremoto, che pure con il libretto in questione non c’entra niente.
Sarà allora bene ricordare che il
Tar Lazio (con sentenza integralmente confermata dal Consiglio di
Stato) ha sottolineato che il libretto
casa non fa che mettere insieme
documenti e dati già noti. I giudici amministrativi l’hanno proprio
per questo - nella citata decisione,
e tanto per citarne una - cassato,
testualmente rilevando come il libretto non possa “legittimamente
essere il duplicato dei dati già acquisiti o esistenti presso la P.A. e
che sono richiesti sol perché essa
non è in grado di ordinarli e valutarli correttamente” ed aggiungendo, anche, che è “illegittima
l’imposizione di oneri complessi e
di peso eccessivo per tutti i tipi di
edifici”. Il Tar ha altresì detto che
accertamenti generalizzati sono
consentiti solo in caso di evidente,
indifferibile necessità (argomento
che non può essere superato solo
cambiando le prescrizioni previste per l’erezione del libretto). E
la Corte costituzionale - dando una
sonora lezione di (vera) socialità ai
politici che l’avevano varato - ha
duramente condannato l’imposizione, attraverso l’obbligatorietà
del libretto, di oneri gravosi a tutti i
proprietari di casa e, quindi, anche
a quelli di più modeste condizioni
economiche. Molti dei quali hanno problemi economici quotidiani,
con i quali mal si accoppia il solo
obiettivo di procurare lavoro ai
professionisti.
L
Tutti i principali aspetti dello sviluppo
del sistema imprenditoriale vengono analizzati nei capitoli di questo libro, sia per
quanto riguarda le tipologie d’impresa
sia per quel che concerne la relazione con
il sistema istituzionale. Un forte accento
viene posto sull’azione e la responsabilità di imprenditori e manager, determinanti nel configurare assetti direzionali
da cui è dipeso il successo economico
delle loro organizzazioni.
Donald Thompson
Lo squalo da 12 milioni di
dollari
Mondadori
pp. 370 €. 18,00
Don Thompson Racconta il modo di
operare delle case d’aste (colossi come
Christie’s e Sotheby’s), ma anche di galleristi e collezionisti, e ci svela la psicologia sottesa a questo particolare mercato, mostrando quanto esso sia connotato
da smania di possesso, ricerca di status,
potere del brand e da clamorosi conflitti
di interesse, esattamente come molti altri
sistemi economici.
A cura di Gianfranco D’Ettoris
È COMUNE L’INTERCAPEDINE
ESISTENTE TRA IL
PIANO DI POSA DELLE FONDAZIONI E
IL PIANO TERRA
Si domanda se l’intercapedine
esistente tra il piano di posa
delle fondazioni e il piano terra di un edificio condominiale
possa ritenersi di proprietà comune.
Al quesito ha risposto la Cassazione, la quale ha precisato che lo
spazio di cui trattasi, “se non risulta diversamente dai titoli di acquisto delle singole proprietà, appartiene, come parte comune, a tutti
i condòmini”, in quanto destinato
“all’aerazione e alla coibentazione
del fabbricato” (sent. n. 3854 del
15.2.’08).
AGENZIA IMMOBILIARE E DIRITTO
DI PRELAZIONE
Si domanda se vada riconosciuto il diritto di prelazione al con-
Affitti e condominio
Confedilizia risponde
La rubrica fornisce risposta solo a quesiti di interesse generale. Non saranno, pertanto, presi in considerazione quesiti
né a carattere personale né relativi a questioni già pendenti
innanzi all’Autorità Giudi­zia­ria.
I quesiti vanno inoltrati alla Confedilizia tramite le oltre 200
Associazioni territoriali aderenti alla stessa e presso le quali è
possibile attingere anche ogni ulteriore informazione. Per gli
indirizzi delle Associazioni consultare i siti www.con­fe­dilizia.it
www.con­f e­d i­l i­z ia.­e u oppure telefonare al numero
06.67.93.489.
duttore che svolga nell’immobile a lui locato l’attività di agente
immobiliare.
La risposta è positiva, purché
l’attività di intermediazione immobiliare sia rivolta a soddisfare
le esigenze di una indistinta generalità di persone, “raggiunta attraverso la diffusione dei messaggi
tipici per tale tipo di attività (inserzioni sui giornali, cartelli affissi
all’esterno dei locali da affittare
o vendere, manifesti, ecc.) ed incanalata attraverso tali messaggi
verso la sede dell’azienda” (Cass.
sent. n. 1363 del 20.1.’09).
DIVIETO DI BATTITURA DEI TAPPETI
In un condominio è stato deliberato - a maggioranza - di aggiungere ai divieti già elencati
nel regolamento anche quello di
battitura dei tappeti. Si chiede
un parere al riguardo.
“E’ nulla la delibera con cui l’assemblea condominiale abbia, a semplice maggioranza e non all’unanimità, deliberato di aggiungere ai
divieti già elencati dal regolamento
la voce battitura tappeti” (Trib. Brescia, sent. n. 3066 del 6.7.’00).
Indagine conoscitiva sulla finanza locale
a Confedilizia l’ha proposta
nel luglio dell’anno scorso.
Il Parlamento l’ha varata
alla fine di gennaio, dopo soli 6
mesi. Dobbiamo esserne grati (per
la sensibilità portata al tema) alla
presidenza, ed ai rappresentanti dei
gruppi parlamentari, della Commissione Bilancio, tesoro e programmazione della Camera dei deputati.
Parliamo dell’Indagine conoscitiva
sulla finanza locale. La stessa –
come risulta dal suo “programma”,
ufficialmente adottato dalla precitata Commissione – dovrà fra l’altro
soffermarsi (ed in questo esattamente consisteva la proposta della
Confedilizia) ad analizzare “l’effettiva gestione
economico-finanziaria de-
Franco Amatori
La storia d’impresa come
professione
Marsilio
pp. 627 €. 45,00
N° 7/2009 - ANNO XVIII - 15 maggio
gli Enti locali, anche al fine di valutare l’adeguatezza dei controlli
previsti dal nostro ordinamento”. A
tale proposito – dice testualmente il
documento parlamentare – “appare
significativa la circostanza che nel
nostro Paese il sistema dei controlli
è incentrato su forme di verifica di
carattere essenzialmente interno,
affidate ad un organo di revisione i
cui componenti sono nominati dagli
stessi enti locali mentre i controlli
affidati alle sezioni regionali della
Corte dei conti, che pure sono stati potenziati e aggiornati, in molti
U
tilità
John Naish
Basta!
Fazi
pp. 229 €. 16,50
Oggi, grazie alle moderne tecnologie, viviamo addirittura nell’eccesso: abbiamo
molto più di quanto sia mai possibile usare, godere, permetterci. Ciò nonostante,
continuiamo a volere di più, con la conseguenza che, pur di seguire questo istinto, finiamo per ammalarci, stressarci, ingrassare, arrabbiarci e indebitarci. Per non
parlare delle ripercussioni sull’ambiente.
Adesso è giunto il momento di smettere.
Nino Luca
Parentopoli
Quando l’università è un affare
di famiglia
Marsilio
pp. 315 €. 18,00
“I nostri figli sono più bravi perché hanno
la forma mentis tipica di noi professori”. È
normale, per questo docente, che il figlio
abbia vinto il concorso universitario. È una
questione di geni, di educazione, di ambiente. Una “selezione naturale”. Da questa storia pubblicata sul sito del Corriere.it
è nato un libro-inchiesta, scritto grazie alle
centinaia di e-mail spedite da tutta Italia.
casi si limitano ad aspetti di carattere formale e sono, comunque,
prevalentemente indirizzati agli
stessi enti interessati dai controlli”.
Con riferimento a tale ultimo aspetto – continua ancora il programma
dell’Indagine – oltre ad un esame
dell’effettivo funzionamento dei
controlli previsti dalla legislazione vigente, appare opportuno
svolgere un’analisi di tipo comparato dei sistemi di controllo
sull’autonomia contabile e finanziaria degli Enti locali previsti nei
principali ordinamenti continen-
tali, che in molti casi consentono
agli organismi di controllo interventi particolarmente incisivi ed
efficaci. “Tale analisi – conclude
in punto il documento parlamentare, ed è proprio quanto voleva
la Confedilizia – potrebbe, infatti,
consentire di individuare misure
utili ad una migliore gestione delle risorse da parte degli Enti locali, le quali potrebbero tradursi in
concrete proposte di riforma della
normativa vigente”.
C. S. F.
A cura della CONFEDILIZIA di Crotone - Via Lucifero 40 - Tel. 0962/905192
Sito Internet: www.godel.it/confediliziakr
G. Ciccarone, C. Gnesutta
Moneta e finanza
nell’economia contemporanea
Carocci
pp. 352 €. 28,50
Il libro illustra il funzionamento del sistema finanziario e la condotta della politica
monetaria agli studenti dei primi anni delle
lauree triennali e a tutti i lettori interessati
alle attuali dinamiche finanziarie. Si analizzano le istituzioni monetarie e finanziarie e
ciò che determina i prezzi dei titoli, la struttura dei tassi d’interesse, i tassi di cambio
e l’ammontare del credito e della moneta.
Luigi Furini
L’Italia in bolletta
Garzanti
pp. 185 €. 11,00
Fino a pochi anni fa, gli italiani erano un
popolo di risparmiatori. Oggi non più. Luigi Furini compie un viaggio-inchiesta tra
gli italiani ormai strozzati dai debiti. Furini
ci fa capire perché questa crisi ci sta toccando tutti e di certo non bastano gli inviti
all’ottimismo, i salvataggi miliardari delle
grandi banche e dei banchieri (gli stessi che
ci hanno portato fino a questo punto) o le
sparate demagogiche a rimetterci in carreggiata.
Orazio Carabini
Generazione no risk
Elementi di autodifesa per
risparmiatori
Fazi
pp. 212 €. 18,00
Lo scenario finanziario sembra molto tragico: era dai tempi della Grande Depressione, infatti, che non si verificava una
congiuntura tanto negativa come quella
degli ultimi due anni. Ma come è possibile difendersi? E cosa bisogna sapere
per non ripetere gli stessi fatali errori?
Grazio Carabini, analista del “Sole 24
Ore”, spiega, senza annoiare con formule
matematiche o richiami giuridici, poche
semplici regole da seguire.
Andrea Zanzotto
In questo progresso scorsoio
Garzanti
pp. 127 €. 13,00
Una certa teoria del progresso, sordida e
indifferente all’etica, rischia di portarci
verso l’autodistruzione. Sono riflessioni
come queste ad angosciare oggi Andrea
Zanzotto, maestro di coscienza, oltre che
autore di versi fra i più importanti e profetici del Novecento. In queste conversazioni, frutto di una lunga amicizia e consuetudine, il poeta ripercorre con Marzio
Breda la propria esperienza umana, culturale e creativa.
Politica
N° 7/2009 - ANNO XVIII - 15 maggio
11
Verso un «nuovo» 25 Aprile
Oscar Sanguinetti
T
orna, puntuale come ogni
anno dal 1945, il 25 Aprile. Nominalmente questa
festa ha lo scopo di commemorare l’avvenuta liberazione dell’Italia dalla tragica occupazione del
Terzo Reich nazionalsocialista e
dall’ultimo regime mussoliniano
e, inevitabilmente, le tante vittime: italiani e stranieri, militari e
civili – caduti, giustiziati, torturati, deportati, in qualche modo
colpiti nella salute, negli affetti o
nei beni –, che questo sforzo collettivo è costato. Se cerchiamo
di capire, in ordine di importanza, quali sono stati gli artefici di
questa liberazione, al primo posto, ovviamente, non si possono
non situare gli eserciti alleati:
americano, inglese e della Francia Libera — con tutte le loro le
propaggini coloniali: marocchini, maori, sikh, canadese, polacco, sudafricano, neozelandese,
australiano – che hanno sconfitto
militarmente le forze germaniche. Quindi il contingente italiano che dopo l’8 settembre 1943
iniziò ad affiancare gli Alleati
nella riconquista della Penisola,
combattendo con valore a Mignano Montelungo (Caserta) e
Filottrano (Ancona). Solo dopo,
quindi – non me ne voglia il Presidente Giorgio Napolitano, il
quale nel suo discorso del 23
aprile a Forno di Coazze, in provincia di Torino, ha detto che la
lotta partigiana fu «decisiva» e
«determinante» –, vengono le
formazioni irregolari promosse
nel Centro-Nord innanzitutto da
resti dell’esercito nazionale e poi
anche dai partiti politici rinati
dopo il ventennio autoritario:
partigiani monarchici, azionisti,
cattolici, socialcomunisti. Infine,
vengono i privati cittadini, di tutti i ceti, che parteciparono alla
lotta clandestina o furono coinvolti nel conflitto uti singuli. Fra
costoro le vittime furono altissime: vittime di rappresaglie ed eccidi, persone arrestate perché ritenute sostenitori dei partigiani,
semplici ostaggi, militari internati in Germania, civili e soldati arruolati nelle organizzazioni di lavoro forzato come la Todt. La celebrazione dovrebbe quindi
seguire questa scala di precedenze e aprirsi con un tributo di onore ai tanti caduti alleati, da Salerno a Cassino, da Anzio fino alla
Linea Gotica. In realtà, fin da
principio le commemorazioni annuali della liberazione hanno seguito un altro e ben diverso copione: la componente del fronte
resistenziale che, sovvertendo le
precedenze, ha fatto la voce più
grossa, indossando i panni del
vincitore unico e definitivo, sono
stati i reduci e gli epigoni delle
formazioni armate socialcomuniste, inquadrati nell’Anpi, che un
po’ alla volta è riuscita a eclissare tutto il resto della galassia associativa dei combattenti e dei
resistenti trasformando il 25 aprile in una festa politica. Ovvero in
un momento vessillare della solidarietà «ciellenistica» del 19431947, il cui ripristino è stato
l’obiettivo costante delle forze di
estrema sinistra dal 1948 in avanti, cioè un’occasione per ribadire
Italiani in festa il 25 aprile 1945
che questa formula politica
«escludente» era la sola legittimata a governare il Paese in
quanto artefice unica della liberazione e della costruzione della
Repubblica. Nonostante il riequilibrio imposto dalla riedificazione dello Stato di diritto, dalla
nuova Costituzione e dalla rinascita di una nozione meno ideologica dell’identità nazionale con
le elezioni del 1948, da una certa
data in avanti il 25 aprile ha rappresentato costantemente l’occasione per lanciare al Paese il
messaggio che vi era una parte
degl’italiani legittimata a dirigere e un’altra – quanto grande fosse non importava – a subirne la
volontà. Gli esclusi ovviamente
erano i reduci dell’esperienza fascista sconfitta, i monarchici, i
conservatori, i moderati, i cattolici «integralisti», gli anticomunisti, e via via sempre più selettivamente anche non pochi dei compagni di strada, a partire dai
partigiani non comunisti alla Edgardo Sogno o alla Randolfo
Pacciardi. L’antiamericanismo
delle sinistre – in forte crescita
negli anni della guerra del Vietnam del Sud (1962-1975) e il
suo forte residuare successivo –
faceva poi automaticamente mettere in secondo piano – se non
proprio tacerlo – anche ai massimi livelli di autorità il ruolo svolto nella liberazione dalla coalizione militare anti-hitleriana
messa in atto sotto la regia americana. Oltre a ciò, si dimenticava,
ancora, che il fascismo era imploso da solo, che la Repubblica
di Mussolini aveva oggettivamente attenuato il peso della vendetta germanica contro l’alleato
traditore, che ben ottocentomila
giovani italiani non erano, come
tanti altri, andati a ingrossare sui
monti le formazioni partigiane
per sfuggire ai «bandi Graziani»,
ma avevano scelto di difendere a
modo loro l’onore italiano e avevano combattuto con valore contro gli Alleati, che chi si arrogava
il ruolo di nucleo «motore» della
Resistenza era prevalso solo grazie ad altri, che i martiri della lotta non erano stati solo i comunisti, che enormi erano state le sofferenze di tutti gl’italiani e che
queste talora erano state acuite
proprio dal modo – cioè con pochi scrupoli, secondo i canoni
della guerra sovversiva rivoluzionaria insegnata a Mosca – con
cui le formazioni terroriste comuniste nelle città del Centro e
del Nord avevano agito contro tedeschi e quadri fascisti. Se questo squilibrio di toni, se questa
distorsione di visuale può essere
comprensibile
nell’immediato
dopoguerra, quando l’abbrivio e
le passioni della lotta sono ancora intensi, non si può certo giustificare nel prosieguo. Il 25 aprile
non è mai stata una festa nazionale veramente e collettivamente
sentita, nonostante il peso straordinario messo sulla bilancia in
ogni occasione dalle istituzioni
nazionali e locali. E questo non
certo per l’offuscamento dell’icona resistenziale verificatosi oggettivamente negli anni dei governi democristiani – la mitologia resistenziale sarà rilanciata
con straordinaria veemenza non
appena saliti al potere i socialisti
nel 1963 e conoscerà l’acme negli anni della devastante ventata
neocomunista post-sessantottina
–, ma perché l’appello era sentito
in ultima analisi solo da una percentuale nemmeno elevatissima
del corpo nazionale. In quella data, infatti, non tutti potevano gioire: per esempio i vinti del 1945,
i congiunti – o semplicemente gli
spettatori: mia madre mi raccontava delle montagne di cadaveri
di militi fascisti e di civili che vide accatastati al Cimitero Maggiore di Milano nei giorni seguenti il 25 aprile 1945… – delle
vittime della feroce e prolungata
vendetta antifascista del 19451948, i cui estremi e le cui dimensioni solo ora stanno affiorando, insieme ai resti dei sepolti
nelle fosse comuni e i familiari
degl’«infoibati» dai comunisti
jugoslavi. Senza dimenticare gli
orfani dei morti nei bombardamenti dell’air force alleata, reclamati – pare – dal direttivo del
Cln Alta Italia, le contadine «marocchinate» nei dintorni di Cassino, e i reduci dai duri campi di
prigionia alleata. Infine, gli anticomunisti, cattolici e non, politicizzati e non, che vedevano esaurirsi un po’ alla volta la virata
contraria al «vento» della Resistenza che il 1948 aveva impresso al Paese, così come, in generale, tutti coloro che capivano che
l’enfasi sulla Resistenza e sulla
Resistenza «rossa» avevano un carattere fondamentalmente fraudolento e ricattatorio.
Così come la maggioranza degl’italiani, “anti-politica” da sempre, ma
ancor di più dopo
l’8 Settembre, in
quella data ha
sempre
pensato
piuttosto ad “andare al mare”, che
non a scendere in
piazza. Non voglio, dicendo quel
che dico, porre
sullo stesso piano
nulla: anche in una
guerra civile esistono ragioni e torti oggettivi, che
non sono cancellati dalle scelte personali ed è più che
ne astratte, all’ulteriore appesantimento della sfera pubblica, ai sacrifici patiti dell’accoppiamento di
una sempre più rigorosa – e costosa – applicazione del «politicamente corretto» imposto dalla sfera politica con una carenza sempre
più evidente di strutture efficienti
di servizio e di sicurezza personale. Anzi, c’è addirittura chi parla di
ripristinare la festa del 20 settembre 1870, quando la Roma di Pio
IX fu occupata dal Regno d’Italia,
una festa messa in sordina dal
Concordato del 1929 e che solo i
circoli anticlericali e le logge massoniche continuano a celebrare,
così avremmo non una ma due ricorrenze altamente divisive, una
che celebra la vittoria nella guerra
civile, l’altra che solennizza la
sconfitta politica e, anzi, preconizza l’imminente tramonto spirituale
– questa volta non di un semplice
partito o di un regime, ma – della
Chiesa cattolica stessa. La discrasia fra la sfera dei presunti valori
Silvio Berlusconi che durante la celebrazione del 25 Aprile
legittimo per il Paese celebrare
un evento importante come la Liberazione. Voglio solo denunciare un uso abusivo e ripetuto di
una commemorazione piegata a
finalità diverse da quelle «naturali» e accompagnata da pesanti
omissioni e palesi ingiustizie. Se
la giornata di aprile fosse stata
promossa e vissuta con un diverso spirito, avrebbe potuto davvero diventare festa di tutti, la vera
giornata della riconciliazione nazionale dopo le lacerazioni e i
lutti di un quinquennio devastante. Ma non è andata così e gli appelli a «[…] ricomporre in spirito di verità la storia della nazione, la storia della Repubblica,
per giungere finalmente ad un
comune sentire storico», come
auspica oggi il nostro Presidente,
si rivelano forzatamente sterili.
Molta acqua è passata sotto i
ponti, ma nulla pare incrinare la
ferrea determinazione di alcune
residuali forze politiche di trasformare – fra ancor flebili distinguo delle più alte istituzioni –
di nuovo il 25 aprile in un «tribunale rivoluzionario allargato»,
destinato a giudicare in nome di
un popolo fittizio il popolo reale
stesso e le sue scelte pubbliche.
Pare non siano serviti la rimozione
del muro di Berlino e la fine
dell’Urss fra il 1989 e il 1991, né
la fine dei partiti antifascisti del
1945 e del 1948, né i chiari segnali che il corpo sociale invia, almeno dal 1994, di una sua ogni giorno più forte allergia all’ideologia
progressista, alle prese di posizio-
che il 25 aprile — così com’è celebrato — veicola e la realtà di un
mondo che non è più quello del
1945 pare oggi al culmine e bisogna quindi aver il coraggio di
cambiare. I mezzi sono tanti, alcuni semplici – qualche segnale, di
buona carica simbolica, viene dalla Presidenza del Consiglio –, altri
invece di lungo periodo. Purtroppo, credo, che una rettificazione
delle finalità e degli accenti della
Festa della Liberazione potrà darsi solo quando i vertici della Repubblica accetteranno di rimettere
in discussione quell’obsoleta pregiudiziale «antifascista» che, pur
meno riscontrabile nelle carte
fondamentali, grava di fatto come
una pesante spada di Damocle su
ogni azione che intenda a migliorare i lineamenti della convivenza
civile dei popoli della Penisola.
Ma soprattutto quando si abbandonerà la rigida, antistorica e ipocrita difesa dell’attuale Carta e si
deciderà di riscrivere le regole del
gioco tenendo conto non solo del
nuovo, ma anche del passato – anche di quello più profondo – e di
quanto il passato ci dice in relazione alle nostre radici comuni.
Personalmente vedo oggi questo
cammino assai difficile, in quanto
l’attaccamento a paradigmi divisivi da parte di certe forze – vogliamo fare, per esempio, il nome della Cgil? – non è unicamente questione di debolezza di pensiero e
di scarsa creatività, ma proprio
unica ragione di sopravvivenza
politica, rimossa la quale vi è solo
il vuoto.
Attualità
12
Una “Santa alleanza” tra
giornalisti e avvocati
Q
uesta ipotesi, a nostro
avviso, in primis, poggia su un recente fatto
di cronaca registrato a Napoli.
L’Ordine dei Giornalisti della
Campania si è costituito parte
civile nel processo che ha visto
imputati alcuni congiunti di Salvatore Giuliano, condannato per
l’omicidio di Annalisa Durante, avvenuta nel rione Forcella.
Gli imputati sono stati accusati
di minacce a violenza privata
ai danni del giornalista Arnaldo
Capezzuto, difeso dall’avvocato
Cesare Amodio. I fatti si riferiscono al periodo in cui si svolse
a Napoli il processo per l’uccisione della ragazza. A margine
delle udienze, secondo l’accusa,
alcuni parenti di Salvatore Giuliano avvicinarono, minacciarono e tentarono di intimidire
il cronista che lavorava per il
quotidiano “Napoli più”. Pertanto, poi, l’Ordine degli avvocati
di Napoli ha deciso di assistere
l’Ordine dei giornalisti nel procedimento giudiziario. Lo stesso
presidente dell’Ordine degli avvocati, Francesco Caia e il consigliere penalista più anziano
dell’ordine forense si sono costituiti, in giudizio, per conto del
legale rappresentante dell’ordine dei giornalisti, il Presidente
Ottavio Lucarelli. “Un’iniziativa, questa- hanno dichiarato
congiuntamente i presidenti degli Ordini- per ribadire la collaborazione tra gli Ordini professionali campani sulla difesa
della legalità”(Cfr. “Corriere del
Mezzogiorno.it dell’1/12/2008).
Poi, ci sono alcuni altri casi, di
vita vissuta, che non possono
essere ignorati. Il primo è la
confluenza dei due Ordini professionali in un’unica persona. Si tratta dell’Avv. Osvaldo
Papa, del libero Foro di Lucca,
nonché, giornalista, Direttore
della rivista “Il Giudice Tributario”. Il secondo è costituito
dall’avv. Antonio Franchini,
famoso penalista veneziano che
nel raccontare il percorso della memoria per sua attività di
penalista, si è fatto accompagnare dal giornalista, Giuseppe Pietrobelli, inviato speciale
del Gazzettino, con il quale
ha scritto questo volume:”Gli
anni delle toghe/Appunti di un
avvocato 1972-2007,”Gli specchi”,( Marzilio editore). Il terzo
è rappresentato da un ForumAssociazione di donne giuriste,
nel quale avvocatesse e giornaliste analizzano, a fondo, il
fenomeno dello Stalking, con
analisi comparate, raccontando il tutto, in un volume dal
titolo”Stalking e violenza alle
donne”;(Franco Angeli, editore). Ma c’è di più. Di recente, una sorta di “Bavaglio alla
stampa”,( con le intercettazioni
vietate), creato dal disegno di
legge Alfano, ha visto crescere
il fronte del no da parte degli
N° 7/2009 - ANNO XVIII - 15 maggio
Ordini di Avvocati e Giornalisti, nonchè di magistrati , giuristi e investigatori(Cfr. “Quotidiano” del 4 marzo 2009).
Ebbene, sulla base di questi
dati, riteniamo che ci possa essere una “Santa alleanza” tra
le due categorie professionali,
le quali, la possono sottoscrivere sulla base di due punti
fondamentali. Il primo,- fermo
restando che alla magistratura,
in uno Stato di diritto compete
un’alta responsabilità istituzionale,- è in difesa della “giustizia giusta”. Ovvero, riguarda
la “vexata quaestio” della separazione delle carriere, o distinzione delle funzioni fra magistrati inquirenti e giudicanti,
fra pubblici ministeri e giudici.
Fino a quando nel processo non
sarà garantita la parità tra accusa e difesa, e di conseguenza la
“terzietà del giudice”, il ruolo
dell’avvocato resterà inevitabilmente subalterno, nell’impossibilità concreta di svolgere
indagini autonome. Il secondo
punto riguarda i processi contro i giornalisti, quelli penali
per diffamazione e quelli civili
per risarcimento danni, magari
in solido con i propri editori(
Il futuro della famiglia tra speranze e difficoltà
Paola Zerman
P
er riflettere sulla crisi della famiglia e studiare politiche concrete che aiutino
a risolverla, l’associazione Famiglia Domani ha organizzato a
Roma, in collaborazione con la
Fondazione Lepanto, una tavola
rotonda dal titolo: “La famiglia
serbatoio culturale e morale: politiche familiari per la società di
domani”. Introdotta dal professor Roberto de Mattei, presidente della Fondazione Lepanto, la
serata ha visto la partecipazione
di qualificati esperti e studiosi
della famiglia tra cui Paola Zerman, avvocato dello stato, Paolo Floris, presidente del Forum
delle Associazioni Familiari del
Lazio e Giuseppe Brienza storico della famiglia, oltre all’assessore alla scuola e alla famiglia
del Comune di Roma, Laura
Marsilio. Nel primo intervento
Zerman ha presentato il dossier
“Famiglia Roma 2008”, curato
dal Consiglio Comunale, e illustrato i dati relativi alla condi-
zione della famiglia nel Lazio:
soltanto lo 0,8% delle famiglie
ha più di 6 componenti, mentre
aumentano quelle composte da
sole persone anziane (il rapporto con le altre è di 1 a 2). Se a
questo si aggiunge che l’età
media della popolazione italiana è di 43 anni, con 10 bambini
ogni 150 anziani, si avrà forse
un’idea della crisi demografica
che l’Italia sta vivendo. La situazione di oggi però, non è casuale, ma determinata da precise
cause storiche tra cui anzitutto,
fin dal dopoguerra, l’assenza di
una qualsiasi politica familiare
nonché, in seguito, l’affermazione della mentalità individualistica di massa post-sessantottina per cui creare una famiglia
viene considerato un ostacolo
alla realizzazione del proprio
ego personale. Si rileva infine,
soprattutto in ambito parlamentare, un problema ideologico
dovuto al fatto che la famiglia
è identificata pregiudizialmente
come un retaggio della cultura
cattolica e non come la cellula
fondamentale della società attorno a cui ogni società cresce
e matura. Per affrontare questa
situazione Zerman ha proposto essenzialmente tre rimedi:
la creazione di un parametro
che misuri l’incidenza reale dei
provvedimenti legislativi sulle
famiglie, l’istituzione di un’autorità garante della famiglia per
tutelare la sua assoluta unicità e
appropriate misure che aiutino i
genitori a conciliare casa e lavoro, agevolando la maternità. Paolo Floris ha invece evidenziato
come oggi più che mai occorre
che alla famiglia “venga riconosciuta una soggettività sociale” che ne legittimi lo status di
soggetto giuridico. Essa “non
può essere ridotta a una mera
somma di individui” ma va riconosciuta come realtà universale
e società naturale, secondo lo
stesso dettato della Costituzione
(articolo 29). In questo senso,
l’istituzione del quoziente familiare può essere un primo passo
per inaugurare, finalmente, adeguate politiche fiscali e tributarie a suo sostegno. Non va peraltro dimenticato il problema della
libertà di educazione che, pur
sancita nella carta costituzionale
e fortemente auspicata in ragione del principio di sussidiarietà,
non ha mai trovato attuazione
nel nostro Paese limitando fortemente l’offerta formativa per le
giovani generazioni. A seguire
Giuseppe Brienza, dialogando
con l’assessore Marsilio, ha attirato l’attenzione sulla rivoluzione culturale in atto, soprattutto
a livello mass-mediatico, che a
partire dal linguaggio tenta di
cambiare la realtà (come la pretesa di definire ‘famiglie’ coppie
dello stesso sesso e nuclei monoparentali,
marginalizzando
così di fatto la famiglia in senso
proprio) e auspicando una revisione dei criteri delle graduatorie per gli asili nido. Da parte
sua Marsilio si è detta concorde
aggiungendo che la “promozio-
ne della cultura della famiglia”
è senz’altro una questione centrale (“a livello nazionale si potrebbe istituire una festa della
famiglia”) e che il potenziamento degli asili-nido della Capitale è nell’agenda politica della
nuova Giunta. In conclusione il
professor de Mattei ha riassunto i vari interventi raccolti nella serata auspicando che, “se la
Cfr.”la Repubblica” del 15/XI/
2008). Questo a volte può avvenire, in seguito ad una persecuzione politico-giudiziaria,
pur di fronte all’esercizio di
un diritto fondamentale di tutta
l’informazione, previsto dalla nostra Costituzione. E qui
non possiamo dimenticare che
“L’obbligo del cronista di non
omettere niente” è venuto fuori
dal Palazzo di giustizia di Lecce, ovvero “ è arrivata una precisa, forte e motivata tutela del
diritto di cronaca nell’interesse
della collettività, quel diritto
che sempre più spesso e da più
parti si vuole mettere in discussione”; questo lo ha stabilito la
sentenza del Gip, Ercole Aprile che ha assolto tre giornalisti
querelati da un magistrato(si
veda il “Quotidiano” di Lecce, del 5 ottobre 2007, pag.6)).
Ecco, come si evince da questo
caso, a nostro avviso, gli avvocati potrebbero solidarizzare
con i giornalisti in una mobilitazione comune, per la difesa
di quel diritto fondamentale di
tutta l’informazione al servizio
dei cittadini.
Salvatore Resta
mentalità radicale ha cambiato
la famiglia italiana con la rivoluzione del Sessantotto, la
rivoluzione anti-familista per
eccellenza”, tuttavia non è ancora troppo tardi per rispondere
con “una rivoluzione contraria
di segno opposto, anzitutto culturale, che riporti la famiglia al
centro della società e a svolgere
la fondamentale funzione naturale che le spetta”.
Omar Ebrahime
Paolo Floris
Il mito della Liberazione
N
ei giorni scorsi il presidente Napolitano, ha dichiarato che “la giornata del 25 aprile deve unire tutti gli italiani e che piaccia o non
piaccia, il ruolo dei partigiani fu determinante per restituire dignità, indipendenza e libertà all’Italia”. Peccato che il mito della liberazione
dell’Italia da parte dei partigiani rossi, altro non sia che una delle tante
leggende metropolitane mantenute vive dalla sinistra per ottenere consensi,
plausi, voti e gloria. Se l’Italia è rimasta un paese libero, lo si deve in primis
all’intervento degli alleati, in infima parte ai partigiani, ma soprattutto alle
“circostanze fortuite” della storia. Se la spartizione del bottino di guerra di
Yalta avesse deciso diversamente, anche l’Italia avrebbe subito la medesima infausta sorte dell’Europa dell’est. I partigiani rossi, non è un mistero,
avrebbero preferito che l’Italia cadesse sotto le grinfie dell’URSS. Dovettero accontentarsi dell’annessione dell’Istria e della Dalmazia da parte dei
colleghi partigiani rossi titini. Per fortuna, il fato, o più probabilmente la
mano di Dio, decise altrimenti. Circa l’operato dei “liberatori”a guerra finita, basti leggere i libri di Gianpaolo Pansa per avere una pallida idea di
quali efferatezze furono capaci. Non solo ammazzarono per odio o vendetta, centinaia di colleghi di brigata “bianchi” o non filo sovietici, ma anche
migliaia di inermi civili, rei di “simpatie” fasciste. Se non si vuole subire
all’infinito i revisionismi storici imposti dai nipotini di Stalin, piaccia o non
piaccia, si abolisca una volta per tutte l’inutile farsa del 25 aprile.
Gianni Toffali
Attualità
N° 7/2009 - ANNO XVIII - 15 maggio
13
La capitale italiana è anche sinonimo di trappole e sporcizia
(19%). Altra nota positiva il secondo posto in Europa (12%) dopo Barcellona e subito prima
di Madrid - per l’accoglienza e
disponibilità verso i turisti.
La classifica delle metropoli d’Europa
Roma in testa per bellezza architettonica e fascino degli abitanti
P
arigi la più amata in assoluto, Londra la meta più
gettonata per i prossimi 12
mesi, pur se la più cara d’Europa. A Barcellona le migliori offerte turistiche e il miglior rapporto qualità-prezzo.
Milano, 30 Aprile 2009 – Il
vecchio continente non ha perso smalto né appeal per i turisti
Web 2.0, che nel 90% dei casi
dichiarano, nonostante la crisi,
di avere in programma un viaggio in Europa nel corso dei prossimi 12 mesi, conservando nel
62% dei casi un budget invariato rispetto a quello delle vacanze
targate 2008.
A rivelarlo è il recente sondaggio condotto fra 700 turisti
italiani di TripAdvisor® (www.
tripadvisor.it), la più grande e rinomata community di viaggiatori al mondo, con oltre 10 milioni di utenti registrati, più di 25
milioni di visitatori mensili e 23
milioni di recensioni e opinioni,
che ha stilato le classifiche delle
principali città del vecchio continente. E anche questa volta, fedele alla promessa di raccontare
sempre tutto, “il buono, il brutto
e il cattivo” di ogni destinazione
di viaggio, l’indagine di TripAdvisor svela una serie di interessanti curiosità e assegna anche
le temute “maglie nere”.
Europa: chi sale e chi scende
In linea generale, Parigi rimane, secondo un turista su
quattro, la regina fra le città più
amate d’Europa, nonostante non
si distingua certo per accoglien-
Chiude la Top 3 delle più amate
d’Europa Barcellona (11%), che
– eletta la destinazione con il miglior rapporto qualità/prezzo e le
migliori offerte per i turisti (25%)
nonché la città con gli abitanti
più amichevoli e ospitali (24%) consente di soddisfare la propria
voglia di evasione anche in tempi
di crisi. In ribasso invece le quotazioni generali di Venezia, Vienna,
Firenze e Madrid, che chiudono la
classifica europea.
Parigi, la torre Eiffel
za verso gli stranieri: è in vetta
infatti anche tra le meno ospitali
(23%) - insieme a Londra e Zurigo - e al 2° posto fra le città
europee che più attentano al portafoglio dei viaggiatori internazionali (11%).
Segue per gradimento generale la sempre affascinante Londra
(19%) che continua ad attrarre
turisti anche nel 2009: è in testa infatti tra le destinazioni più
gettonate per quest’anno (17%),
seguita da Parigi (13%) e da
Barcellona (8%). Il forte richiamo della capitale britannica si
deve probabilmente al fatto che
- pur venendo giudicata la città
più cara (32%) - vanta anche il
record assoluto di città più verde d’Europa per parchi pubblici
(47%) e di città con le più belle
attrazioni gratuite (23%) – primati che evidentemente controbilanciano le spese di soggiorno
elevate.
La moda dell’esterofilia
N
ella messa di inizio pon- verno gentile e persuasivo. Chi ha
tificato, il 24 aprile 2005, insinuato spaccature nella Curia,
Benedetto XVI esordì con divisioni con la Segreteria di Stato,
un sibillino “pregate per me, per- o ha dipinto l’immagine di un ponché io non fugga davanti ai lupi”. tefice isolato”. Strano non sia stato
Meno di un mese prima nei testi inserito nell’elencazione il branco
della Via Crucis, l’allora Cardi- di lupi in clergyman che predicano
nale Ratzinger aveva esclamato” teologie pseudo cattoliche, (come
quanta sporcizia c’è nella Chiesa, ad esempio il pacifismo, l’interprequanta superbia!”. Di recente nel- tazione letterale e soggettiva della lettera ai vescovi, ha citato San la Sacre Scritture, il modernismo
Paolo e scritto “ancora oggi nella e la teologia della liberazione) o
Chiesa c’è il mordersi e il divorarsi che negano l’esistenza dei miraa vicenda”. Nel corso del pontifi- coli, delle apparizioni, del diavolo
cato, il vicario di Cristo ha tuttavia e dell’inferno. A quanto sembra,
alluso ripetutamente a chi gli rema nell’ovile di Ratzinger, c’è ancocontro e alle lotte intestine in seno ra molta spazzatura da bruciare e
alla Chiesa. A decifrare le critiche molti lupi da “castigare”.
“lamentazioni” del papa ci ha pensato il direttore de L’Osservatore
Gianni Toffali
Romano, Giovanni
Maria Vian che in un
editoriale ha spiegato
chi sono i lupi. “I più
pericolosi – ha precisato Vian – sono quelli che si travestono e
stanno nell’ovile. Gli
oltranzisti delle due
parti che nel caso dei
lefreviani non hanno
capito il suo gesto
di misericordia. Chi
è arrivato a negare
la sua amicizia con
l’ebraismo. Chi non
condivide il suo go- Giovanni Maria Vian
Roma: “Caput …Deceptionis
et Pulchritudinis” - inganni e
bellezze della capitale
Roma – quarta classificata tra le
mete preferite del vecchio continente – merita con le sue contraddizioni un capitolo a sé: è ritenuta
infatti la città più bella d’Europa
dal punto di vista architettonico (20%) – seguita da Firenze
e Parigi (15%) – ma ha anche il
demerito di essere la città dove è
più facile imbattersi nelle cosiddette “trappole per turisti” (20%),
un primato poco lusinghiero che
condivide con un’altra perla italiana, Venezia (17%), seguite solo
a notevole distanza da Parigi (7%)
e da Istanbul (6%).
Roma non se la passa bene
nemmeno in termini di pulizia,
seconda – con il 23% dei voti solo ad Atene (25%) tra le città
più sporche d’Europa, ma riacquista un posto nel cuore dei
turisti europei grazie alle sue
“bellezze naturali”: siano esse
infatti legate alle sue molteplici
attrazioni gratuite (14%) - seconde solo a Londra - o al fascino dei suoi abitanti, giudicati
anche quest’anno i più attraenti
d’Europa (12%), le “grazie” di
Roma rimangono saldamente
in cima alle classifiche. Le note
dello stornello “Fatece largo
Barcellona, la Sagrada Familia
Londra, il Parlamento
che passamo noi” possono accompagnare anche un altro primato romano: quello dell’eleganza nel vestire. Col 36% dei
voti infatti i cittadini romani
ricevono il plauso dei meglio
vestiti in Europa, seguiti dai
Fiorentini (20%) e dai Parigini
Roma, la cupola di San Pietro
Le maglie nere: Zurigo e Bucarest ultime della classe
I turisti intervistati non hanno
dubbi: Zurigo - pur vantando il
merito di essere in assoluto la
città più pulita d’Europa (20%)
- è una destinazione da evitare. Al terzo posto per la scortesia e poca disponibilità dei
suoi abitanti verso gli stranieri
(dopo Parigi e Londra), la metropoli svizzera è anche la più
noiosa città d’Europa (12%),
sbalzando dal podio del 2008
Bruxelles (11%), e seguita da
Bucarest (6%). Quest’ultima fa
un en plein di primati negativi:
la capitale romena figura infatti
in vetta tra le città architettonicamente più brutte (16%) e con
i cittadini al terzo posto tra i
meno attraenti d’Europa (10% dopo quelli di Istanbul e Atene)
probabilmente non aiutati dalla
mancanza di buon gusto nell’abbigliamento: sono infatti al top
tra i peggio vestiti (15%), seguiti dagli abitanti di Londra (12%)
e di Istanbul (7%).
Gianfranco Nitti
Cultura
14
Storia di Sophie Scholl
e della Rosa Bianca
Da sinistra Hans e Sophie
Scholl, Christoph Probst
è
esistita una resistenza tedesca al Terzo Reich? Chi e
quanti furono, se ci furono,
gli oppositori del regime hitleriano? E’ vero che anche la Chiesa
non fece nulla per denunciare
quanto avveniva? Questi interrogativi, che periodicamente riemergono sui mezzi di comunicazione e nel dibattito pubblico
suscitando non poche polemiche,
vengono ora ripresi e sviluppati
ampiamente in un saggio pubblicato da Lindau scritto a quattro
mani da due studiosi ebrei, una
giornalista e uno storico statunitensi (Annette Dumbach, Jud
Newborn, Storia di Sophie Scholl
e della Rosa Bianca, Lindau, Torino 2008, pp. 310, euro 22,00). Il
titolo rimanda infatti ad uno dei
gruppi tedeschi di opposizione al
regime hitleriano (non l’unico)
più noti, la cosiddetta Rosa Bianca di Monaco di Baviera. Si tratta
di quel gruppo formato da cinque
giovani universitari tedeschi che
nel corso del 1942 e nelle prime
settimane del 1943 sfidarono il regime nazionalsocialista stampando e diffondendo clandestinamente in Germania e Austria sei
opuscoli contro Hitler. La Rosa
Bianca fu un’organizzazione unica, tanto nei componenti quanto
nei suoi ideali fondativi, che non
era strutturata in nessun modo né
diffusa capillarmente con collegamenti a livello di partito o sostegni internazionali, come poteva
accadere ad esempio per altre
esperienze del mondo ‘resistenziale’ nel Vecchio Continente (si
pensi alla Francia o alla stessa Italia). Non fu infatti un’ideologia
che spinse quei ragazzi all’azione,
né tantomeno una convinzione
politica. La leva che li spinse ad
agire va invece ricercata in una
passione genuina per la sacralità
della vita e per l’affermazione
della giustizia derivata ultimamente dalla fede e dal messaggio
cristiano. La Rosa Bianca fu dunque un’espressione de ‘l’altra
Germania’, quella che vide diversi uomini e donne tedeschi battersi per un mondo migliore, tra cui
non pochi ecclesiastici e religiosi
(ricordiamo tra questi l’eroico vescovo, soprannominato ‘il leone
di Münster’ per il suo coraggio,
Clemens August von Galen
(1878-1946), il cardinale Michael
von Faulhaber (1869-1952), il gesuita Rupert Mayer (1876-1945),
alcuni di loro proclamati poi beati
o santi (si pensi solo a Otto Neururer (1882-1940) o alla patrona
d’Europa Edith Stein, Santa Teresa Benedetta della Croce (18891942)). Ad animare la Rosa Bianca (il nome agli occhi dei
fondatori richiamava la purezza e
l’innocenza contro l’enigma del
male che agisce nella storia e aveva quindi una valenza simbolica
artistica e poetica, più che politica), come detto, furono cinque ragazzi poco più che ventenni: So-
phie Scholl (1921-1943), suo
fratello Hans (1918-1943), Christoph Probst (1919-1943), Alexander Schmorell (1917-1943) e
Willi Graf (1918-1943). Il saggio
ripercorre la storia delle loro famiglie e delle loro amicizie concentrandosi principalmente sugli
anni 1942-1943 che segnano la
svolta decisiva della loro vita. Le
riflessioni degli studiosi vengono
accompagnate ad ampi stralci degli scritti dei protagonisti così che
gran parte del lavoro è reso vivo
di volta in volta dalla voce dei ragazzi, specchio di un animo teso
alla ricerca delle cose ultime,
come si può evincere da queste
righe del diario di Sophie Scholl:
“Molta gente crede che oggi la
fine del mondo sia imminente e
tanti spaventosi segni potrebbero
farlo pensare. Ma quest’opinione
non è forse di secondaria importanza? L’uomo, qualunque sia
l’epoca in cui vive, non deve forse
tener sempre presente che Dio gli
può chiedere conto delle sue azioni nell’istante successivo? Posso
forse sapere se sarò ancora viva
domattina ?” (cit. a pag. 38). Così,
non stupisce che anche un
sant’Agostino (354-430) e la sua
teologia possano entrare a pieno
titolo nella ricostruzione storica
sull’opposizione tedesca al regime hitleriano nella seconda guerra mondiale. Il santo di Ippona era
infatti una delle letture preferite
dei fratelli Scholl ed echi del suo
pensiero si ritroveranno anche nei
volantini che vorranno diffusi in
Germania e che porteranno al loro
arresto, laddove si sosterrà espressamente che ”lo stato deve manifestarsi in analogia con l’ordine
divino” e che “la ‘civitas dei’ è il
modello cui ogni governo deve in
definitiva ispirarsi” (cit. a pag.
257). I volantini della Rosa Bianca iniziarono ad apparire a Monaco nel 1942, verso la metà di giugno. Ne uscirono rapidamente
quattro a breve distanza l’uno
dall’altro; più tardi, nell’inverno
dell’anno successivo, ne verranno
pubblicati altri due. Un settimo
non farà in tempo ad uscire perché
i tutti i membri del gruppo verranno arrestati e condannati a morte.
Ricostruendo l’atmosfera di quei
giorni i due autori notano che i
volantini destarono grande impressione anzitutto perché Monaco di Baviera, dove furono diffusi
in misura maggiore, era per certi
versi la capitale del movimento
nazista e veniva considerata la
roccaforte più sicura dalla Gestapo (il termine è l’acronimo di Geheime Staatspolizei, la “Polizia
segreta” del Terzo Reich), da sempre apparentemente fedele al regime. In secondo luogo appunto
perché dimostravano l’esistenza
di un’altra Germania, non visibile
sui giornali e sulle televisioni ma
non per questo meno vera. Infine,
quei volantini sorprendevano per
un richiamo forte ad un’altra tradizione e a ben altre radici spirituali, rispetto a quelle rivendicate
da sempre dal regime: “Ogni singolo, cosciente della propria responsabilità come membro della
cultura cristiana e occidentale,
deve coscientemente difendersi
con ogni sua forza, opporsi in
quest’ultima ora al flagello
dell’umanità […] Impedite che
questa atea macchina da guerra
N° 7/2009 - ANNO XVIII - 15 maggio
La toponomastica in
Italia va rivista
ia Garibaldi dalle strade e
dalle piazze siciliane e al
suo posto mettiamo Federico II. La proposta, secondo quanto riferisce ‘Il Giornale’, arriva dal
sottosegretario alla Presidenza del
Consiglio Gianfranco Miccichè.
Apriti cielo! Subito si è sollevato
un vespaio di polemiche come,
del resto, sempre succede quando
si toccano miti intoccabili come
quello, nella fattispecie, di Garibaldi. Per fare chiarezza sul punto abbiamo intervistato Francesco
Pappalardo, autore dell’opera Il
mito di Garibaldi, edito nel 2002
da Piemme. Dottor Pappalardo ha
sentito della polemica innescata
dalle dichiarazioni del sottosegretario alla Presidenza del Consiglio,
Gianfranco Miccichè? Ho sentito e
non mi stupiscono talune reazioni
a difesa della «leggenda garibaldina», che è, in realtà, «il solo filo
nazionale della nostra storia moderna», come sosteneva Giovanni
Spadolini. Mi stupisce piuttosto
il fatto che tali affermazioni non
vengano più solo da esponenti di
partiti politici radicati nel Settentrione d’Italia... Secondo il sottosegretario andrebbe tolto dalle
vie dei comuni siciliani il nome
di Garibaldi per sostituirlo con
quello dell’imperatore Federico II
di Svevia. Non è necessario sostituirvi solo e sempre l’imperatore
Federico II, perché non mancano
alla Sicilia glorie nazionali, ma sarebbe un’opera meritoria rivedere,
e non solo nell’isola, la toponomastica, come primo passo verso
una serena revisione della storia
italiana e per ricostruire una memoria comune del nostro popolo,
sulla quale fondare nuove regole
di convivenza civile. Il sindaco di
Salemi (TP), Vittorio Sgarbi ha affermato che «Le parole del sottosegretario sono un insulto al buon
senso e alla storia». Poiché uno
dei fattori di debolezza dell’identità italiana sta proprio nel fatto che
la sua elaborazione si è fondata su
una memoria pubblica ritagliata a
seconda delle finalità politiche e
ideologiche della cultura egemone, il vero insulto al buon senso e
alla storia è tenere in vita il mito
risorgimentale, sempre più in crisi sotto il profilo storiografico.
Ma chi era davvero costui, chi era
Giuseppe Garibaldi? Garibaldi era
l’antitaliano per eccellenza, che
si è impegnato apertamente nello
sradicamento della cultura religiosa diffusa presso la stragrande
maggioranza della popolazione, dopo aver guidato nel 1860
un’operazione compiuta da un
gruppo di uomini armati non aventi alcuna legittimazione giuridica e
condotta contro le più elementari
norme del diritto internazionale.
La partecipazione popolare, limitata e iniziale, si esaurisce non appena sono chiari gli scopi politici
— l’annessione dell’ex Regno di
Sicilia al costituendo Regno d’Italia — e socio-economici, cioè la
salvaguardia dell’ordine esistente, come risulterà chiaro a Bronte,
dove lo stesso Garibaldi autorizza
la strage. Una figura tutt’altro che
limpida ed esemplare, tanto nel-
la prospettiva religiosa quanto in
quella civile, una figura che contribuisce a dividere e non, come auspicato, a unire: accettarne l’icona
equivarrebbe infatti ad accettare
un’unità intossicata da una falsa
e ideologica nozione d’italianità.
Ma è proprio un male ricordare un
passato che non c’è più, una storia
comunque gloriosa come quella
della dinastia dei Borbone di Napoli? «Parlar male» di Garibaldi
non comporta necessariamente
«parlar bene» della dinastia borbonica, cioè sostituire una leggenda
rosa a una leggenda nera, però una
maggiore attenzione alla storia locale aiuta a far chiarezza su una
realtà, il Mezzogiorno d’Italia, che
ebbe per secoli un’autonoma logica di sviluppo e le cui vicende non
vanno concepite semplicemente
come funzionali a un’inevitabile
unità, ma che sopporta da tempo
un processo di alienazione culturale, noto con il nome di Questione Meridionale, la cui soluzione
passa attraverso la rinascita reli­
gio­sa e civile del Mezzogiorno e
il ricupero delle sue radici storiche
e nazionali, da tempo conculcate e
disprezzate.
continui a funzionare” (pag. 92).
Emerge qui chiaramente che “le
istanze intellettuali ed emotive di
quella protesta contro i nazisti
avevano un che di religioso: il
ruolo della religione in quella resistenza fu cruciale” (pag. 95). E’
noto peraltro lo stato di sofferenza
che i cristiani e anzitutto la Chiesa
cattolica vivevano in quegli in
Germania: che oggi a rimarcarlo
siano due studiosi ebrei, oggettivamente, non può che far riflettere. Si apprende così, ad esempio,
che migliaia di preti, suore e laici
“furono arrestati per ‘immoralità’
o per ‘contrabbando di moneta
straniera’, un’accusa surrettizia
spesso impiegata dai nazisti nella
loro folle caccia ai dissidenti”
(pag. 96). Con gli anni poi, gli
stessi dirigenti nazionalsocialisti,
che pure si erano impegnati a firmare un Concordato, non nascosero il loro latente disprezzo per la
religione e le istituzioni cattoliche: “gli ecclesiastici che osarono
dar voce alle proprie idee finirono
in galera; il segreto del confessionale fu violato molte volte dalla
Gestapo; le pubblicazioni cattoliche non furono più soltanto censurate ma vennero costrette a
chiudere i battenti, così come
molti monasteri e conventi” (pag.
97). Furono anni di rapporti burrascosi, culminati in vari scontri
tra cui merita di essere ricordato
quello dell’aprile 1941 quando il
Gauleiter (così veniva chiamato il
capo di una sezione locale del partito nazista) dell’Alta Baviera e di
Monaco, nonché ministro bavarese della cultura, Adolf Wagner,
proclamò il bando di tutti i crocifissi dalle scuole. Seguì una reazione popolare veemente, talmente inaspettata (in alcuni villaggi i
contadini marciarono sulle scuole
e gettarono dalle finestre delle
aule l’onnipresente ritratto di Hitler) che lo stesso Hitler si vide costretto a intervenire personalmente nella diatriba locale cancellando
il decreto sul crocifisso. Tra l’estate del 1942 e l’inverno del 1943
uscirono gli altri volantini della
Rosa Bianca, in quantità sempre
maggiori: in essi si denunciava,
tra l’altro, la spaventosa confitta
di Stalingrado a lungo occultata
dal regime (200.000 i tedeschi
uccisi in battaglia, almeno 90.000
i prigionieri condotti nei campi
di prigionia in Siberia), la persecuzione brutale dei dissidenti di
ogni genere e specie, l’eliminazione fisica dei più deboli e indifesi (vennero avviati, come noto,
veri e propri protocolli eutanasi-
ci). Il 18 febbraio 1943 i fratelli
Scholl furono sorpresi all’Università di Monaco mentre cercavano di diffondere i volantini
contro Hitler nei locali dell’ateneo. Dopo un interrogatorio durato diciassette ore, il Tribunale
del Popolo con un processo a dir
poco discutibile decretò la pena
di morte (tramite decapitazione)
per tradimento contro lo Stato e il
Führer. Insieme ai due fratelli furono ghigliottinati anche tutti gli
altri membri della Rosa Bianca
(Probst, Schmorell, Graf, Huber). Tre settimane dopo l’esecuzione, sul New York Times, apparve un editoriale dal titolo
“Young German Martyrs” (Quei
giovani martiri tedeschi) che per
la prima volta rendeva nota al
pubblico la vicenda dei cinque
ragazzi auspicando che negli
anni a seguire la loro memoria
venisse onorata come meritava.
Il volume si conclude con una
ricca appendice (documentale e
fotografica) che riporta il testo
dei volantini diffusi, i più importanti atti del processo e alcuni articoli commemorativi apparsi nei
principali quotidiani internazionali dal dopoguerra ad oggi.
Giuseppe Garibaldi
V
Antonio D’Ettoris
Federico II di Svevia
Omar Ebrahime
Cultura
N° 7/2009 - ANNO XVIII - 15 maggio
15
Le cause economiche e politiche del terrorismo
Omar Ebrahime
A
lan Krueger è uno degli
economisti statunitensi attualmente più autorevoli:
docente di Economia e Politiche
Pubbliche all’Università di Princeton, è inoltre consulente del National Counterterrorism Center (uno
dei principali centri-antiterrorismo
americani) e ricercatore di livello
internazionale specializzato in terrorismo. Esce ora in Italia il suo
primo libro tradotto sulla materia,
un agevole indagine riepilogativa
che elabora i dati a disposizione
sui più importanti attentati internazionali degli ultimi dieci anni (Terroristi, perché. Le cause economiche e politiche, Laterza, Bari 2009,
pp. 187 €. 15,00). Il saggio, suddiviso in tre ampi capitoli si sofferma
anzitutto sulla tipologia moderna
del terrorista, la sua ‘storia’ e il suo
retroterra culturale (“Chi diventa
terrorista? Caratteristiche individuali”, pp. 13-49), quindi passa ad
occuparsi delle cause-radici del
terrorismo (“Dove nasce il terrorismo? Condizioni economiche e
politiche”, pp. 51-97), infine analizza i risultati conseguiti secondo
la più classica delle ottiche economiche di mercato: il rapporto costibenefici (“Quali risultati ottiene il
terrorismo? Conseguenze economiche, psicologiche e politiche”,
pp. 99-136). Conclude il lavoro
una rassegna di interessanti domande poste all’Autore (con relative risposte) nel corso delle conferenze tematiche da lui tenute presso la prestigiosa London School of
Economics and Political Science.
Pur essendo di formazione liberal,
l’Autore in quest’opera non ha tuttavia paura di affrontare i luoghi
comuni più fuorvianti sul terrorismo internazionale diffusi dai
mezzi di comunicazione e non solo, portando all’attenzione del pubblico una quantità rilevante di fonti
e di dati, delle matrici più diverse.
Solitamente, ad esempio, si pensa
che una persona sia spinta ad abbracciare il terrorismo solo in presenza di condizioni atroci sotto le
quali è condannata a vivere e che,
se non ci fossero queste condizioni, non ci sarebbe nemmeno il terrorismo. Così si è portati a pensare,
certi che non si sarà smentiti, che
sono principalmente la povertà e la
mancanza di istruzione a fare di
una persona un terrorista: si crea in
questo modo lo stereotipo
dell’analfabeta senza niente da
perdere. Tuttavia, osserva l’economista, la realtà fornisce dei dati assai differenti, se solo si avesse la
pazienza di interrogarli. Krueger si
sofferma anzitutto sugli attentatori
della metropolitana di Londra del 7
luglio 2005: i loro profili parlavano
di uomini benestanti ed istruiti,
provenienti da famiglie pakistane e
giamaicane residenti ormai da anni
nei quartieri-bene di Leeds e Aylesbury. Persone sicuramente con
un più di un buon curriculum alle
spalle: generalmente di discreta
cultura o comunque istruite al di
sopra la media, motivate però da
idee radicali e spinte non dalla ricerca del profitto o del benessere
(che possedevano già in apparenza, o almeno si trovava alla loro
portata) ma da una motivazione
Villa Bellini in pericolo
C
atania - Ancora i lavori di riqualificazione non sono terminati,
anche se sarebbero dovuti finire da mesi, e qualcuno all’interno
dell’Amministrazione comunale pensa di dare in gestione(?) la
Villa Bellini. Quello che fu il tempio della bellezza catanese, almeno
fino a pochi decenni addietro, rischia di essere declassato al livello di
una qualsiasi villetta moderna. Eppure gli Amministratori politici di
questa città dovrebbero ben conoscere il valore storico e architettonico
oltre, ovviamente, a quello peculiare delle numerose specie botaniche
autoctone ed esotiche (che peraltro ospitano decine di varietà di animali
selvatici) che ne fanno un vero giardino botanico. Se così è, e lo speriamo tutti, come si può pensare di dare in gestione, come se si trattasse
di un’attività che produce incassi (forse si vuole mettere il biglietto
d’ingresso?), un bene di così tanto valore culturale e artistico, simbolo
esso stesso della nostra città? Non sarebbe invece il caso di attivare
in modo formale e permanente un rapporto tecnico scientifico con la
Facoltà di botanica? Aspettiamo con ansia una risposta pubblica dal
Sindaco che smentisca quanto trapelato attraverso alcuni organi d’informazione cittadini.
Alfio Lisi
L’attentato alla metro di Londra del 7 luglio 05
politica totalizzante. Discorso analogo per i dirottatori dell’11 settembre 2001 negli Stati Uniti, che
erano in possesso addirittura di
brevetti da pilota e perfettamente
in grado di parlare due o tre lingue.
Ne deriva che, se anche l’idea di
“ricondurre la causa degli attentati terroristici alle condizioni economiche e alla mancanza di istruzione riscuote un certo consenso
superficiale, i dati sono pressoché
unanimi nel respingere le privazioni materiali e la scarsa istruzione
quali motivazioni importanti alla
base del sostegno al terrorismo o
della partecipazione ad attività
terroristiche” (pag. 4). Le giustificazioni comuni del terrorismo insomma, “sono semplicemente prive di fondamento empirico sistematico” (pag. 4). A costo di essere
crudo l’Autore insiste con la logica
stringente dell’economista: “La
metà della popolazione mondiale
vive con 2 dollari al giorno o meno. Nel mondo le persone con un
livello di istruzione elementare o
inferiore sono più di un miliardo, e
circa 785 milioni di adulti sono
analfabeti […] Se la povertà e la
mancanza di istruzione fossero
cause, anche minori del terrorismo, il mondo sarebbe pieno zeppo
di terroristi pronti a distruggere il
nostro stile di vita” (pag. 4). La verità è un’altra: numerosi sono ormai gli studi, tanto accademici
quanto governativi, dai quali emerge come dato di fatto che, anziché
essere reclutati tra le masse di poveri, i terroristi tendono a provenire da famiglie di ceto medio o alto
con un buon livello di istruzione.
Lo dimostra in dettaglio il primo
capitolo, dove, cifre alla mano,
l’Autore osserva che, come gruppo, i terroristi hanno un livello di
istruzione più elevato e appartengono a famiglie più ricche rispetto
all’individuo tipico della stessa fascia di età della società di provenienza. La popolazione analfabeta
e sottoccupata, d’altronde, a ben
vedere è lungi dall’esprimere un
parere sulle questioni politiche
poiché “probabilmente ha problemi più pressanti di cui occuparsi”
(pag. 8). E’ questa una tendenza
osservata più volte: le persone a
più basso reddito danno priorità a
vantaggi materiali rispetto agli
obiettivi ideologici. Gli indicatori
socioeconomici a disposizione
(analfabetismo, mortalità infantile,
prodotto interno lordo pro capite)
sono insomma del tutto ininfluenti
sulla scelta di una persona di partecipare ad attività terroristiche.
Krueger cita peraltro studi vecchi e
nuovi a dimostrazione di quanto
afferma e del fatto che la sua tesi,
ormai ampiamente fondata, non è
certo una semplice provocazione:
già negli anni Sessanta ad esempio, il sociologo Daniel Lerner
(1917-1980) aveva pubblicato un
famoso libro (La scomparsa della
società tradizionale) in cui dopo
aver raccolto e analizzato svariati
rapporti sull’estremismo in sei paesi del Medio Oriente concludeva
che “i dati confutano l’ipotesi tradizionale secondo cui gli estremisti
sono semplicemente indigenti. La
povertà è predominante soltanto
tra le masse apolitiche” (cit. a pag.
32). Perfino gli operatori umanitari
dell’ONU che lavorano nelle aree
di crisi confermano quanto sopra,
come emerge nel secondo capitolo.
Krueger cita l’esempio di Nasra
Mohammed Silique Khan
Hassan, un’operatrice umanitaria
in servizio in Cisgiordania e nella
striscia di Gaza che ha recentemente pubblicato una testimonianza in prima persona in cui descrive
le interviste condotte con 250 militanti e i loro sostenitori impegnati
a vari livelli nella causa palestinese
alla fine degli Novanta. Le conclusioni sono impressionanti: “Nessuno di loro era privo di istruzione,
particolarmente povero, sprovveduto o depresso. Molti appartenevano alla classe media e, se non
erano latitanti, avevano impieghi
ben retribuiti. Due erano figli di
milionari” (cit. a pag. 34). Eppure,
osserva l’Autore a commento della
citazione, per gli esperti di politica
internazionale e gli operatori
dell’informazione presenti
nell’area questi dati non dovrebbero essere poi così sorprendenti dal
momento che non è un segreto per
nessuno che “sia Hamas sia il
jihad islamico palestinese, cui si
riferiscono questi dati, reclutano i
loro membri principalmente negli
ambienti universitari e […] gli studenti universitari sono tendenzialmente figli di famiglie benestanti e
ricche” (pag. 35). Che cosa allora
fa sì che una persona diventi un
terrorista? Lo aveva confessato a
suo tempo la mente degli attentati
di Londra, Mohammed Sidique
M
Khan: “io e migliaia di persone come me stiamo rinunciando a tutto
per ciò in cui crediamo. La nostra
motivazione non deriva dai beni
materiali che questo mondo ha da
offrire” (cit. a pag. 45). La discriminante è data dal fattore-ideologia. I terroristi sono persone con
convinzioni talmente salde da essere disposte a sacrificare la vita
per la propria causa. Non è che non
abbiano idee; ne hanno diverse e
ne hanno di radicali. L’atto terroristico allora diventa nient’altro che
una tattica, una strategia, per raggiungere la mèta che l’ideologia di
riferimento propone loro in quel
momento. Un mezzo per conseguire un fine, se si vuole. Per quanto
assurdo possa sembrare, questi e
numerosi altri dati portati all’attenzione del pubblico dall’Autore
sembrano proprio indicare che “il
terrorismo è spesso un atto razionale da parte delle organizzazioni
terroriste” (pag. 155) e per chi è
chiamato a rispondere alla sfida
terroristica ignorare questa dimensione fondamentale del conflitto
potrebbe davvero significare sbagliare la lettura degli avvenimenti
presenti. E’ questo un rischio che,
dinanzi all’inquietante minaccia
che si è palesata all’orizzonte
all’inizio del XXI secolo, l’Occidente non può certo permettersi.
L’Islam e le donne
entre in Occidente si discute se il burqa debba essere considerato un simbolo di libertà femminile alternativa a quella che
conosciamo, nei giorni scorsi i media hanno mandato in onda
scenette di ordinaria vita quotidiana islamica. Dalle donne afgane prese
a sassate da connazionali maschi perché protestavano contro la legge
che legalizzava lo stupro in famiglia, alla fustigazione pubblica di una
giovane donna pachistana “rea” di essere stata vista a chiacchierare
con un uomo che non era suo marito, per finire con la fucilazione in
Pakistan di due presunti giovani amanti. Ciò che per ignoranza o accecamento ideologico, gli infatuati del multiculturalismo non riescono
a ficcarsi in testa, è che la sharia, cioè il complesso degli ordinamenti
giuridici dell’islam, è desunta dal Corano. Quindi intoccabile, e soprattutto sprezzante del principio di laicità occidentalmente inteso e dei
diritti umani incentrati sulla Magna Charta dell’Onu. Bisogna capire
una volta per tutte che il refrain dell’equipollenza di tutte religioni e
culture, è una panzana inventata da chi vuole distruggere la civiltà occidentale.
Gianni Toffali
Jean Lahaye
Fiori bianchi nel mese di maggio
ogni grazia venga a noi
segna san Bernardo.
mese mariano per eccelMaria più desidera essere
icurando materna protenche il tempo in cui traa invita alla meditazione
gura, facendo tesoro dehe nel corso della storia
devozione alla Madre di
r arrivare al Cielo.
conduce per mano per
rdinarie meraviglie che
noi.
Jean Lahaye
Fiori bianchi
nel mese di maggio
Riflessioni su Maria
ISBN 978-88-89341-15-5
9 788889 341155
Jean Lahaye
Fiori bianchi nel mese di maggio
Riflessioni su Maria
“è volontà di Dio che ogni grazia venga a noi per mezzo di Maria” insegna san Bernardo.
Maggio è da sempre il mese mariano per eccellenza: il mese in cui Maria più desidera es-
sere onorata e invocata, assicurando materna protezione ai Suoi figli. è anche il tempo in
cui tradizionalmente la Chiesa invita alla meditazione della Sua celestiale figura, facendo
tesoro degli esempi dei Santi che nel corso della storia hanno raccomandato la devozione
alla Madre di Dio come via sicura per arrivare al Cielo.
Padre Jean Lahaye ci conduce per mano per farci scoprire le straordinarie meraviglie che
Maria ha preparato per noi.
I-88900 Crotone, via Lucifero 40
tel. 0962/90.51.92 fax 0962/1920413
ISBN 978-88-89341-15-5
pp. 46, € 3,90
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Contrasto all`immigrazione clandestina