04-61:Layout 1 06/09/2011 14.17 Pagina 66 stessa domanda, se pur con una formulazione diversa è stata posta anche ai genitori. Il lavoro veniva svolto in gruppo dagli insegnanti, dunque con la possibilità di contaminarsi reciprocamente rispetto alle diverse possibili opzioni di risposta. Ciò ha causato una esplosione di elementi le cui caratteristiche comuni erano: • la forte idealizzazione della professione docente; • la forte auto-centratura sul docente. Come si può notare anche da una delle tabelle da loro elaborate e posta nella pagina a fianco, non c’erano tra le parole chiave elementi che facessero riferimento agli obiettivi espliciti della scuola e dell’insegnamento: l’apprendimento, le competenze, gli esiti... La domanda posta era in effetti volutamente ambigua, ovvero lasciava spazio alla interpretazione istintiva dell’insegnante che l’ha subito colta in termini assolutamente personali: cosa chiede a me (una buona scuola). Secondo questo punto di vista, una “buona scuola” dipende in modo stretto da un “buon insegnante”, là dove il buon insegnante è il superman (o wonderwoman) dell’insegnamento. L’asse della buona scuola si mostra dunque spostato decisamente sul docente con un carico di “dover essere” veramente oneroso oltre che alto. Altro aspetto significativo, era l’assenza di espressioni quali: “accettazione di sé stesso” o dei propri limiti; “capacità di gestire (o accettare) la complessità”; “capacità di sopportare la frustrazione” ecc. L’assenza cioè di dotazioni in riferimento al riconoscimento del limite che naturalmente sta in ognuno e nella realtà stessa. Anche questo dato va nella direzione di una forte idealizzazione della professione docente, segnalando una caratteristica abbastanza tipica di tanti operatori del campo educativo: una certa “tentazione di onnipotenza”. Fortunatamente il mondo della scuola ha dei contrappesi piuttosto potenti a questa tentazione (pensiamo alla complessità e al disagio crescenti). Questa tentazione appare invece più evidente tra gli “educatori professionali”, attivi anche nella scuola, abituati ad un lavoro più “uno a uno” e normalmente più attrezzati sul versante educativo. Tuttavia, una certa predisposizione in questo senso, tende ad emergere da questo quadro. Stefano Sarzi Sartori L’idealità nella professione docente Un’esperienza di costruzione partecipata dal basso del Pof di una scuola i l Pof è giustamente indicato come il documento fondamentale dell’autonomia dell’Istituzione scolastica: esso costituisce infatti una sorta di “carta di identità” della scuola, sia per la rappresentazione della sua offerta, con la definizione del suo sfondo valoriale (l’essere), sia per la definizione degli obiettivi, le aspettative, le ipotesi di lavoro, le strategie, le sfide... (il poter essere). È pur vero che il transito dalla scuola centralistica alla scuola dell’autonomia non è stato seguito da un necessario transito da logiche standardizzate e centralistiche di costruzione e gestione della scuola a logiche più coerenti col nuovo Statuto. Il Pof è così diventato generalmente un documento svuotato di senso e poco significativo in relazione alla identità stessa della scuola. Per questo la sua stesura viene spesso affidata ad una commissione mista, relativamente ristretta (nel migliore dei casi) che in breve tempo porta a compimento l’opera di scrittura (solitamente di riscrittura). Sulla costruzione partecipata di un Piano dell’Offerta Formativa dal basso, in effetti, non esistono modelli di riferimento; le scuole si arrangiano ciclicamente come possono per assemblarlo salvo poi riporlo in un cassetto, magari dopo averne fatto un bell’opuscolo. I genitori raramente sanno cosa sia e cosa dica il Pof. In una scuola trentina si è perciò deciso di avviare un progetto per sperimentare, partendo da un plesso di Primaria, un percorso partecipato di costruzione del Pof, lavorando naturalmente con docenti, genitori e territorio. L’idea era di arrivare a definire un progetto di istituto (per il momento di plesso) come una sorta di “cantiere aperto” (tra docenti e genitori), attraverso il quale verificare di anno in anno le prassi, le sfide, le ipotesi, le azioni, le valutazioni che aiutino tutti a migliorare l’offerta formativa/educativa della scuola e naturalmente la sua efficacia. Il progetto è nella sua fase iniziale di realizzazione ma fornisce già indicazioni interessanti di cui si vorrebbe con questo primo intervento rendere conto. I rischi dell’idealizzazione nella professione docente. Il dato qui rappresentato è dunque indicativo da un lato della forte tensione ideale che ancora anima la professione docente; dall’altro, della forte tensione reale (fisica e mentale) che attraversa oggi una buona parte del mondo docente. È enorme infatti la fatica e lo stress quando ci si percepisce da un lato al centro di attese, di traguardi veramente alti e, dall’altro lato, al centro di grandi vuoti educativi, sociali, formativi, valoriali...; vuoti che guardano sempre di più alla scuola per risolversi, dal momento che le famiglie sono sempre più sole e fragili e i servizi sociali sempre più schiacciati sulle gravi emergenze. In questa forte auto centratura manifestata dagli insegnanti, tutti gli altri soggetti (che siano vissuti in termini difensivi o Le parole chiave della buona scuola. “Una buona scuola che cosa chiede?”. Questa la domanda inizialmente posta ai docenti e alla quale essi hanno risposto in forma di “parole chiave”, poi, sempre da loro, raggruppate in aree omogenee. La 66 n. 4 - 1 ottobre 2011 04-61:Layout 1 06/09/2011 14.17 Pagina 67 Ecco alcune delle parole chiave rilevate dagli insegnanti e poste nell’area “Relazioni” Con alunni Con colleghi Con famiglie Con l’Istituzione Con ambiente e territ. Disponibilità Disponibilità Disponibilità Disponibilità Disponibilità Collaborazione Collaborazione Collaborazione Collaborazione Collaborazione Confronto Confronto Confronto Confronto Confronto Educazione Educazione Educazione Educazione Educazione Comunicazione Comunicazione Comunicazione Comunicazione Comunicazione Scambio Scambio Scambio Scambio Scambio Considerazione Considerazione Considerazione Considerazione Considerazione Rispetto Rispetto Rispetto Rispetto Ascolto Ascolto Ascolto Ascolto Fiducia Fiducia Fiducia Fiducia Serenità Serenità Serenità Serenità Leggerezza Leggerezza Leggerezza Leggerezza Solidarietà Solidarietà Sensibilità Sensibilità Empatia Empatia Autocontrollo Autocontrollo Solidarietà Sensibilità Accoglienza Accoglienza Impegno Impegno Interesse Interesse Intenti comuni Intenti comuni Pazienza collaborativi) appaiono attorno e sullo sfondo, come semplici elementi di riferimento indiretto, collaterale del proprio lavoro. A questa visione implicita o a questa percezione del proprio ruolo sono connessi dei rischi, sempre più evidenti nel mondo della scuola e che si stanno esasperando anche a causa dei più recenti mutamenti di assetto scolastico-istituzionale. I rischi di: Quello che qui si definisce “solipsismo interpretativo” è il modo (che ha profonde radici storiche) di intendere la propria professione come assolutamente individuale: il successo o l’insuccesso della scuola è legato solo al successo o all’insuccesso del singolo insegnante, ovvero alle sue singole capacità o incapacità. Questo solipsismo è apparso evidente al gruppo di insegnanti quando si è guardato insieme al quadro degli “Indicatori di idealità” (così sono stati definiti) esito del brain storming sulla buona scuola. Razionalmente pochi di loro si sarebbero immediatamente ricondotti ad una visione solipsistica del proprio ruolo, ma dinanzi al quadro mostrato si sono accorti con stupore che in effetti non era così; le loro prassi, se non totalmente almeno parzialmente, erano condizionate nel profondo da questa visione non chiarita, non esplicitata, quasi subconscia. In una interpretazione solipsistica, in effetti, non ci si può permettere doti come “accettazione di sé o dei propri limiti” ..., poiché si è sottoposti ad una verifica e pressione continua da chi ci sta di fronte (i genitori) e dietro (il dirigente o l’istituzione in genere); e ogni forma di indulgenza verso i propri limiti potrebbe essere letta come incapacità, o lassismo, o inadempienza. • solipsismo interpretativo del ruolo docente e dei relativi obiettivi posti dalla scuola; • forte demotivazione, per il fatto di non riuscire a corrispondere a quel modello di perfezione. Ciò che genera anche una • profonda frustrazione per non riuscire a raggiungere gli obiettivi prefissati; • conflittualità crescente, là dove colleghi, dirigenti o più facilmente i genitori sono legittimati a pretendere in termini personali esattamente ciò che sta dentro a quella visione. Solitudine e solipsismo. Un dato sempre più riscontrato nel mondo docente è in effetti la solitudine, il senso di abbandono percepito dagli insegnanti; spesso nei soggetti più motivati e sensibili. La solitudine può essere ricondotta a molteplici ragioni, ma quel che qui vorrei rimarcare è il suo legame con la interpretazione stessa del ruolo da parte degli insegnanti. 67 n. 4 - 1 ottobre 2011 04-61:Layout 1 06/09/2011 14.17 Pagina 68 La via d’uscita. Lo spunto di riflessione che si è naturalmente posto ai docenti era innanzitutto: cosa significa spostare l’asse degli obiettivi della buona scuola dal docente ai bambini e abbandonare una interpretazione solipsistica del ruolo docente? La presenza di indicatori quali “accettazione di sé” o dei propri limiti, “capacità di gestire la complessità”; “capacità di sopportare la frustrazione” ecc. presuppone in effetti negli insegnanti due consapevolezze: 1. che l’idealità è una utopia: necessaria ma pur sempre utopia, ovvero qualcosa “da costruire”; è un “già e non ancora”; 2. che l’obiettivo vero della scuola non sta nella perfezione professionale del docente, ma nell’esito del lavoro svolto dalla intera istituzione scolastica (di cui sono parte anche i genitori). Se il primo punto appare piuttosto scontato, il secondo invece è tutto da comprendere alla luce di alcune parole chiave in verità molto rappresentate dagli insegnanti. Tale riflessione coglieva in effetti un’esigenza profonda di molti insegnanti implicati nel lavoro. A partire dal quadro degli indicatori di idealità (confermato successivamente dalla riflessione sulle prassi di lavoro effettive della scuola) si evidenziava infatti come dietro ai termini condivisione, confronto, innovazione, ecc. ci fosse un forte bisogno di “spazi” strutturati dove riflettere le esperienze, le prassi, i metodi e gli approcci del proprio lavoro. Le ore di programmazione, pur così utili a definire un percorso comune, non risultavano agli insegnanti, quantitativamente e qualitativamente adeguate a definire questo obiettivo di lavoro. Inoltre, si mostravano molteplici “resistenze” verso quella prospettiva, non solo in termini strutturali/normativi ma anche personali, sia come dotazione caratteriale sia come adesione profonda a un modello di scuola. Un obiettivo partecipato. Posizionare l’obiettivo-scuola fuori di sé può sembrare sufficiente a risolvere l’auto-centratura del docente, ma non risolve né la distanza tra obiettivo e strumento (l’insegnante), né quindi l’ansia di chi persegue quell’obiettivo; a meno che non non si concepiscano dei dispositivi sistemici, strutturali/strumentali che permettano a quell’obiettivo d’essere effettivamente condiviso e collegialmente perseguito dagli insegnanti e dalla scuola (e non solo). In tal modo, per fare un banale esempio, la lacuna dell’insegnante che non è naturalmente dotato di pazienza e di capacità analitica ma invece di determinazione, potrà essere colmato dall’insegnante più osservatore e paziente; e a sua volta questo insegnante potrà invece godere della determinazione dell’altro. Porre la qualità della scuola dentro ad obiettivi “esterni”, legati alla mission della scuola stessa, implica la consapevolezza che la dotazione necessaria a raggiungere quegli obiettivi discende non solo dalla dotazione individuale del singolo docente, ma in buona parte anche dalla capacità di mettere insieme e dunque valorizzare e potenziare al massimo le diverse doti/competenze di ognuno. Tra l’altro, si permette così sia la reciproca contaminazione positiva, dunque la crescita professionale di ognuno (per co-formazione), sia la levigatura o la neutralizzazione dei normali limiti personali di ognuno. È indubbio che dietro a questo obiettivo di sistema c’è la determinante funzione del dirigente scolastico: la sua volontà e anche la sua specifica preparazione nella gestione dei processi partecipativi come processi di innovazione. Questo modo “partecipato” (termine che preferisco a “collegiale”) di concepire la professione docente può alleggerire il peso di responsabilità anche rispetto al vuoto di supporti percepito attorno alla scuola. Permette infatti di concepire gli obiettivi come esiti di un lavoro corale, sinfonico, lavoro nel quale rientrano naturalmente (ma per nulla automaticamente) tutti i soggetti a vario titolo implicati nei processi di educazione e di apprendimento: in primo luogo i genitori. Non è naturalmente questa la fase di lavoro del progetto in cui definire le possibili risposte concrete a questa esigenza. Si riferirà a suo tempo di questi esiti del lavoro. Per il momento, la consapevolezza condivisa tra insegnanti di questa forte esigenza, così decisiva per il lavoro della scuola, è già un esito molto significativo del progetto, volto, lo ricordiamo, proprio a costruire in modo partecipato un progetto di Istituto e rilevarne un modello trasferibile in altre scuole. L’illustrazione di Valentina Mai per la copertina de La tosse di Zeno, prima avventura della serie di Petra pediatra, di Roberto Piumini e Alessandro Monestier 68 n. 4 - 1 ottobre 2011 Stefano Sarzi Sartori Consulente e formatore