ORESTE RAGGI
IMPORTANTE STORICO DELL’OTTOCENTO
DEL TERRITORIO TUSCOLANO
Ediz. marzo 2009
Oreste Raggi, autore di una autobiografia e di una nutrita corrispondenza che si
conserva all’Accademia di S. Luca, è nato a Milano il 6 settembre 1812 da genitori di
origine carrarese. Viene a Roma giovanissimo, studia al Collegio Romano (gesuiti),
alla Sapienza, ma si laurea a Pisa in diritto criminale a pieni voti.
A Roma esercita la professione di avvocato e si occupa altresì di arte e letteratura.
Polemico oltre misura, vive in pieno Ottocento nel caos istituzionale e terminale dello
Stato pontificio, ormai noto a tutti.
Non ha nessun riferimento anagrafico con l’omonima famiglia frascatana.
E’ un uomo scomodo con molte antipatie e non pochi nemici (clericali). Si trova
incolpato e coinvolto in questioni politiche. Al momento della Restaurazione
pontificia viene incarcerato a Castel S.Angelo per essersi dimostrato influente oratore
nel periodo rivoluzionario. Uscito dopo un mese, in libertà provvisoria, assolto dal
Tribunale militare francese, veniva epurato con il divieto assoluto di difendere
imputati politici e di praticare l’esercizio di qualsiasi procura nonché il soggiorno a
Roma. Da questo momento comincia l’odissea del povero Oreste.
Dopo una breve sosta a Carrara, sua città natale, si rifugia in Piemonte presso
amici, poi in Lombardia, infine a Modena dove insegna italiano presso l’Accademia
militare e dove conosce Edmondo De Amicis. L’amicizia con questo letterato durerà
per tutta la vita.
A Roma, prima del suo esilio, il Raggi era diventato famoso per avere pubblicato
(1844) un’opera dal titolo “Sui Colli Albani e Tuscolani - Lettere di Oreste
Raggi al Cav. Luigi Poletti”, che era un architetto modenese. Il quale si trovava
nell’Urbe per prendere parte ai lavori di rifacimento della basilica di S.Paolo.
Appassionato di archeologia e della storia antica del territorio tuscolano, il Poletti si
recava con il Raggi, nel tempo libero, a visitare i dintorni di Roma con intimo
godimento per quanto vedeva. Quando poi dovette lasciare Roma e ritornare a
Modena, ci pensò l’amico Oreste a inviargli quelle “lettere” che furono
successivamente pubblicate dall’editore Crispino Puccinelli, nel testo suindicato ora
reperibile in internet.
Il Raggi sa immortalare in queste missive la storia, le tradizioni, le meraviglie della
natura delle località castellane che visitava durante le feste e le ferie estive riposandosi
dalle fatiche forensi. Trasferisce in queste lettere, scritte in elegante forma, la passione
che nutriva per la bellezza delle cose che incontrava. Cita spesso i classici latini:
Catullo, Orazio, Seneca, Plinio, ma gli piaceva anche raccontare le memorie di gente
sconosciuta che potessero elevare lo spirito del lettore. A titolo di curiosità rileviamo
che soltanto per Rocca di Papa, il Raggi giudicò arretrata la situazione del paese. La
qual cosa, purtroppo, corrispondeva alla verità.
Come sappiamo, già all’inizio dell’Ottocento moltissimi studiosi romani e stranieri
si recavano a villeggiare nei Castelli romani per godere non soltanto delle bellezze
naturali ma anche per esaminare gli avvenimenti storici del passato. Così Giovanni
Battista De Rossi ( 1822 – 1894), archeologo morto a Castel Gandolfo, così
l’architetto Luigi Canina (1795 – 1856), lo storico Giuseppe Tomassetti (1848 –
1911), l’archeologo Antonio Nibby (1792- 1839), che era stato apprezzato professore
del Raggi e dal quale ha tratto l’entusiasmo per approfondire la storiografia di Roma.
Sono tutti studiosi importanti che hanno lasciato scritti fondamentali sull’archeologia
e sulla storiografia locale. Ma il nostro autore si differenzia da costoro per avere
focalizzato anche l’aspetto sociologico e folcloristico, assente nelle opere dei suoi
coetanei e colleghi.
Il Raggi per svolgere meglio il suo lavoro (intorno al 1840) è ospite, in una casa a
Grottaferrata (loc. Squarciarelli), di una vecchia madre vedova con le grucce,
Marianna Ceci, che aveva quattro figli, due femmine, una maritata l’altra monaca, e
due maschi, uno “attendente alla campagna”, l’altro “collocato nel seminario di
Frascati per farne un prete”. Quest’ultimo divenne in seguito canonico della
cattedrale di Frascati, noto per la vivacità delle lettere, sepolto nel nostro cimitero con
tanto di cippo marmoreo ed erma che guarda in faccia quella più imponente del
canonico Pietro Santovetti, di ben altra caratura culturale.
Dopo la pubblicazione delle “Lettere”, avversato dal governo pontificio, il Raggi se
ne va via da Roma, come detto, e si rifugia in Piemonte dove trova anche moglie
rasserenandosi nello spirito e nel carattere. Seguiamo in breve la sua vita itinerante e
tormentata.
In Piemonte insegna retorica nella cittadina di Dogliani, e per otto anni a Casal
Monferrato. A Torino stampa “Della lingua e della letteratura italiana considerate
relativamente alla indipendenza e alla nazionalità”.
Nel 1859, a Milano liberata, è professore di lettere al Collegio militare e vi pubblica
una risposta al famoso opuscolo “Le pape et le Congrès” del visconte La Guerronière.
Trascorre un biennio al Collegio di Firenze pubblicando un discorso sulla corona
ferrea.
Nel 1865 tenta la scalata parlamentare e rivolge una lettera a stampa agli elettori di
Pontremoli, ma viene trombato.
Nominato docente alla Scuola di cavalleria di Modena, sostiene dure polemiche
sull’insegnamento delle materia letterarie nelle scuole militari. Alla fine del 1873,
ormai raggiunta l’unità d’Italia, si fa trasferire a Roma e prende di nuovo ad insegnare
retorica in vari Istituti Tecnici.
“Le Lettere” erano state dimenticate dall’autore, pure se l’editore Puccinelli gli
scriveva per avere l’autorizzazione di ristampare il libro richiesto da tanta gente, ma
senza ottenere risposta.
O.Raggi, non più giovane, ma sempre convinto della bontà della sua opera, riprende
le ricerche per una nuova e diversa edizione del testo. La perdita della moglie gli offre
l’opportunità di trovare il tempo per dedicarsi alla revisione del suo lavoro storico.
Ritorna nei posti che da giovane lo avevano attratto, ma a Grotteferrata non trova
più la vecchia Marianna né la casupola che l’aveva ospitato, abbattuta per un altro
fabbricato più signorile.
Il libro, al termine, subisce una profonda trasformazione, più scientifica, più
intrigante, più bella. Così dopo 35 anni, nel 1879, esce la seconda edizione, diversa
sia nel titolo: “I Colli Albani e Tusculani” sia nell’editore: “Unione TipograficoEditrice Torinese” con sede in Roma.
Nella presentazione l’editore ci fa sapere che la prima edizione ebbe l’onore di
essere tradotta in varie lingue, specie in tedesco da Adolfo Stahr nel 1846, che la
incluse quasi per intero nella sua opera in tre volumi “Un anno in Italia”; la seconda
si avvalse di una pregevole veste tipografica e di deliziosi disegni riguardanti i luoghi
descritti e i costumi di quelle popolazioni, e resta ancora oggi una preziosa fonte per
gli studiosi dei Castelli Romani. Nella seconda pagina
giganteggia la fotografia di Oreste Raggi con la sua firma autografa, che riportiamo.
Come pure riproduciamo due immagini a colori di donne vestite con i costumi
tradizionali contenute nell’opera.
L’importanza di questo libro è tale da costituire, insieme a quello di Clara Wells pubblicato un anno prima (1878) e ristampato di recente dal “Centro Studi” - uno
spaccato vivo e palpitante del territorio tuscolano.
Natura, arte, ambienti, folclore, aneddoti, personaggi famosi e sconosciuti escono
da queste due testi e ci fanno conoscere il passato, il nostro passato con una vastità di
indagine che corre tra architettura, archeologia e umanità di piccoli e grandi uomini,
compresa quella di Casate nobili presenti nella nostra zona.
Di tutte le località castellane visitate, l’autore sa cogliere il lato nobile e gentile delle
tradizioni e degli usi locali, la bellezza della natura, la gagliardia delle donne e il loro
spirito attivo, il carattere forte e sereno di un ambiente dove egli ricercava gli antichi
segni della stirpe latina e il fascino di un mondo sommerso da resuscitare.
Dopo la pubblicazione del volume, O. Raggi rinuncia alla cattedra di retorica e si
ritira a La Spezia dove muore il 1 maggio 1882. Aveva 70 anni, vissuti in pieno
Risorgimento di cui conservava addosso tante cicatrici esistenziali. Le sofferenze da
lui patite sono state dimenticate, fortunatamente il suo testo no.
Frascati, Via dell’Armetta, immagine pubblicata nel libro del Raggi
Lucio De Felici
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