Associazione Fare Europa LE ORIGINI CRISTIANE DELL’EUROPA Giovedì 16 dicembre 2010 – Centro Cardinal Urbani di Zelarino (VE) Contributo di Antonio Cancian, parlamentare europeo Ringrazio il dr. De Mezzo per avermi voluto coinvolgere in questo incontro al quale sono contento di partecipare con un grande amico come Magdi Cristiano, persona di cui ricordo, tra l‟altro, la testimonianza al convegno dei giovani a Jesolo sulla “Caritas in veritate” di Benedetto XVI, un anno fa. Sono contento di conoscere Alberto Laggia di cui da anni leggo gli interventi giornalistici su Famiglia Cristiana e che so attento soprattutto a questa realtà veneta ed alle sue straordinarie storie. Il processo per la nuova “Costituzione d’Europa”… La corsa verso l‟approvazione della Carta Costituzionale Europea entro il 2009, non lasciava spazio al dialogo intrapreso verso la riconsiderazione delle radici cristiane nel testo della costituzione. Il rischio, ammoniva il Papa, è il congedo dalla storia e l‟apostasia. Che tristezza ascoltare in quei giorni proprio dalla bocca del capo del governo Romano Prodi che tale decisione, anche se a suo “malincuore”, non va a negare la certezza di tali origini, ma che «dobbiamo guardare al futuro…ci sono momenti in cui bisogna chiudere con il passato e andare avanti sapendo che questo patrimonio comune può diventare il nostro modo di vivere quotidiano». Che tristezza vedere sfumato così l‟impegno che la stessa presidente Merkel si era proposta di portare avanti. Vedere liquidato senza alcun problema ogni richiamo, ogni ammonizione, ogni incoraggiamento, ogni sforzo sia di Giovanni Paolo II che dello stesso Benedetto XVI al valore e alla necessità di riconoscere ed affermare le origini cristiane del popolo europeo. «Com‟è possibile escludere un elemento essenziale dell‟identità europea qual è il Cristianesimo, in cui una vasta maggioranza continua a identificarsi?…Non è motivo di sorpresa che l‟Europa odierna, mentre ambisce a porsi come una comunità di valori, sembri più spesso contestare che ci siano valori universali e assoluti?…Questa singolare forma di apostasia da se stessa prima ancora che da Dio, non la induce forse a dubitare della sua stessa identità?». Queste sono le domande che Papa Benedetto XVI ha espresso domenica 25 marzo 2007 ai Vescovi della conferenza episcopale europea che hanno partecipato al congresso “I 50 anni dei Trattati di Roma - Valori e prospettive per l‟Europa di domani, convegno organizzato in occasione dell‟anniversario della firma dei Trattati di Roma. L‟Europa rischia il congedo dalla storia e l‟apostasia se dimentica le sue radici cristiane, chiarisce il Papa. Da parte sua Romano Prodi tentava di giustificare sé e i parlamentari europei, parte dei quali non condividevano affatto tale esclusione dalla carta costituzionale. Il nostro Presidente del Consiglio tentava di smorzare i toni con una Chiesa che non ammetteva compromessi, che non accettava di rinnegare se stessa per il quieto vivere e continuava coraggiosamente a battersi sul campo del dialogo civile. Una giustificazione che tentava di mantenere quieti gli animi, buone le relazioni con l‟istituzione ecclesiale, pacifici i rapporti con la gran parte dei cittadini cristiani che costituiscono il popolo votante italiano… La negazione delle radici cristiane, quelle radici che… Il governo europeo, dunque, non riteneva necessario ribadire le origini cristiane dell‟Europa, non riteneva necessario costituire coscienze consapevoli del fatto che le maggiori istituzioni di sostegno ai malati, ovvero gli ospedali, le istituzioni educative, gli enti di assistenza ai più poveri, ai bambini orfani, alle ragazze madri, alle persone affette da disabilità e malattie mentali…sono nate sotto l‟impegno, fino alla consumazione della vita personale, di uomini e donne animate da spirito cristiano. Per non parlare di tutto il patrimonio culturale di arte, letteratura, filosofia, musica…su cui è nata e cresciuta l‟Europa. Questo non occorre “sottolinearlo”, perché è cosa assodata. Non dichiarandolo non ne neghiamo la storicità, dicono loro… Ma per noi omettono una verità che contribuisce solo a favorire lo spirito relativista che dilaga in Occidente. Continuano a sradicarci dai nostri valori, a relativizzare i nostri pensieri, ad omologare le nostre vite senza preoccuparsi minimamente a cosa porterà tutto questo. Si definiscono a capo di popoli “democratici” senza lasciarsi mettere minimamente in discussione, tanto che se si osa dire qualcosa di diverso si viene immediatamente azzittiti, magari con una bella carezza e un sorriso sornione… Romano Prodi nei suoi discorsi in occasione del 50° anniversario dei trattati di Roma (1957 – 2007) cita, con elogi, uno dei padri fondatori dell‟Europa quale fu Alcide De Gasperi. Di questo grande uomo, che meriterebbe un maggiore approfondimento, forse viene occultato proprio lo spirito che animò l‟azione politica: una profonda e viva coscienza cristiana. È lo stesso Prodi a ricordare «le quattro lezioni» di De Gasperi: «Lungimiranza, senso dell‟urgenza, consapevolezza dell‟unità ideale dell‟Europa e del proprio compito storico». Ma lo stesso De Gasperi ha voluto affermare di sé: «…Mi dicono abile e manovriero. Non è sempre un complimento. Preferirei vedessero in me un uomo di fede. L‟abilità è al servizio dell‟idea che mi conduce…». Ammettere le radici cristiane dell‟Europa costringe ad ammettere che tutti quei “buoni” sentimenti, di pace, solidarietà, giustizia, libertà, a cui sempre si fa appello, per primi sono stati affermati da un uomo di nome Gesù. E in questo tempo di Avvento che ci ripropone l‟evento del “Dio tra noi” non è poca cosa! Dal fallimento del progetto di Costituzione al Trattato di Lisbona Il processo avviato di Costituzione Europea, non ha prodotto l‟esito sperato da Valéry Giscard D‟Estaing e dalla commissione che aveva lavorato sul testo. Il trattato di Lisbona fu redatto per sostituire la Costituzione europea bocciata dal 'no' dei referendum francese e olandese del 2005. L'intesa è arrivata dopo due anni di "periodo di riflessione" ed è stata preceduta dalla Dichiarazione di Berlino del 25 marzo 2007, in occasione dei 50 anni dell'Europa unita, nella quale il cancelliere tedesco Angela Merkel e il presidente del Consiglio dei ministri italiano Romano Prodi esprimevano la volontà di sciogliere il nodo entro pochi mesi, al fine di consentire l'entrata in vigore di un nuovo trattato nel 2009 (anno delle elezioni del nuovo Parlamento europeo). Nello stesso periodo nasce a tal fine il cosiddetto "Gruppo Amato", chiamato ufficialmente "Comitato d'azione per la democrazia europea" (in inglese "Action Committee for European Democracy" o ACED) e supportato dalla Commissione europea (che ha inviato due suoi rappresentanti alle riunioni), con il mandato non ufficiale di prospettare una riscrittura della Costituzione basata sui criteri che erano emersi durante le consultazioni della Presidenza tedesca con le varie cancellerie europee. Angela Merkel e José Barroso a Berlino, per la celebrazione dei 50 anni dell'Europa unita, in occasione della quale è stata formalizzata la "Dichiarazione di Berlino", frutto di intensi colloqui precedenti che sono stati determinanti per trovare il consenso sul testo del Trattato di Lisbona. Il risultato è stato presentato il 4 giugno 2007: il nuovo testo presentava in 70 articoli e 12 800 parole circa le stesse innovazioni della Costituzione (che aveva 448 articoli e 63 000 parole) diventando così il punto di riferimento per i negoziati. Il Consiglio europeo di Bruxelles, sotto la presidenza tedesca, il 23 giugno 2007 raggiunse l'accordo sul nuovo Trattato di riforma. L'accordo recepisce gran parte delle innovazioni contenute nella Costituzione europea, poiché conferma la forma di Stato dell'Unione che era stata prevista dalla Costituzione europea, in un'ottica di continuità, pur eliminando alcuni elementi in essa contenuti. A proposito di "radici cristiane" dell'Europa A proposito delle discussioni circa le radici cristiane d‟Europa, si profilano da sempre due posizioni o schieramenti, non sempre facilmente identificabili, poiché per malcelato opportunismo o, più spesso, per deficienza di memoria storica, preferiscono dissimulare le loro idee, ben decisi, però, a difenderle fino all‟ultimo. Premettiamo subito che l‟aspetto che qui più ci interessa non è quello geopolitico, o puramente giuridico. Noi vorremmo fermarci un istante su quel problema che è stato sollevato – e risollevato in maniera sempre più energica – da Giovanni Paolo II e che può essere citato come il problema delle "radici cristiane dell’Europa". E‟ noto che la semplice proposta d‟inserire nel preambolo della futura Costituzione un accenno alle radici cristiane dell‟Europa, fatta eccezione di pochi spiriti veramente pensanti e storicamente documentati, negli ambienti laici, e non solo, ha incontrato o un tenace rigetto, o un imbarazzato silenzio, oppure farisaiche proposte d‟accomodamento. I pretesti addotti per questo diniego si aggrappano a sedicenti motivi storici (l‟Europa avrebbe subito l‟influsso anche di altre religioni) o abbracciano posizioni filosofiche (la futura Europa dev‟essere un organismo "laico") per poi ridiscendere sul piano meramente sociologico (la maggioranza degli Stati che costituiscono l‟Unione Europea nelle loro costituzioni non fanno riferimento a Dio o alla religione). L’Europa di Wojtyla e l’Europa di Giscard: il monito a riscoprire le radici cristiane… A chi vuole seriamente affrontare questo dibattito dovrebbe essere anzitutto ben chiaro che qui non si tratta di un problema puramente storico, se cioè le radici culturali, morali e giuridiche dell‟Europa siano o no di origine cristiana. Il solo porre questo problema sul piano storico, significherebbe ignorare sostanzialmente origine e natura del fenomeno Europa, oltre – s‟intende dell‟evento cristiano con tutte le sue implicazioni culturali e sociali. In altre parole: le ripetute e pressanti richieste del Papa non si limitano a chiedere di inserire nel preambolo della Costituzione la parola "Dio" o "religione cristiana". Egli parla espressamente di: "riscoprire le radici cristiane dell’Europa", che è ben altro e molto di più. Riscoprire vuol dire riportare in superficie, allo scoperto, far risaltare qualcosa che già esiste e ma che è invisibile oppure occultata. A questo punto sorge il paradosso: se quasi universalmente si ammette che sul piano storico l‟Europa non è concepibile senza il Cristianesimo, allora perché questa levata di scudi contro l‟ammissione di questa incontestabile verità storica? Le ragioni non ci sono, ma parecchi motivi, sì. Il più profondo di questi motivi, anche se sottaciuto e dissimulato alla men peggio, è che in molta parte dell‟odierna Europa, dall‟Illuminismo in poi, si è prefisso di "rimuovere" dalla vita culturale e sociale qualsiasi riferimento a Cristo, alla rivelazione ed alla Chiesa di Cristo. Già prima della Rivoluzione francese, in nome di un più elevato culto della ragione e della religione, comincia il tentativo di eliminare la figura, la dottrina e la Chiesa di Cristo (si pensi a Spinoza), soprattutto nella versione classica, cioè cattolica. Questa lotta viene condotta su tutti i campi e con ogni mezzo. Se si tiene presente il fanatismo con cui questo programma – che si pretende di far passare come progresso - è stato perseguito negli ultimi secoli, allora si capisce il motivo, più o meno inconfessato, e la pertinacia nel rifiutare un‟esplicita menzione delle radici cristiane d‟Europa nella futura Costituzione. Da tutto il dibattito emerge con sufficiente chiarezza che l‟Europa di Wojtyla e l‟Europa di Giscard sono due realtà ben distinte e separate. Se si comprende in tutta la sua drammaticità questo stato di cose, allora si renderanno meno incomprensibili i veri motivi del rifiuto, sia di quelli aperti e sprezzanti e sia quelli più soffici e contorti. Si capisce, allora, l‟ostinazione di voler citare nel Proemio l‟Illuminismo, a preferenza e a scapito delle tante scuole filosofiche, enormemente più importanti e decisive che l‟Europa ha prodotto: l‟Illuminismo, infatti, è la dottrina che pretende di eliminare il messaggio cristiano in nome di una superiore e più illuminata ragione. Si capisce, allora, la preoccupazione tartufesca di non escludere nessun‟altra fede religiosa che ha posto piede in Europa, anche se di passaggio o con intenti aggressivi. Tutte le radici religiose sono accette, anche se passeggere e poco diffuse, ma non quelle cristiane, perché queste non sono riducibili nell‟ambito di quella "ragion pura", che prima o dopo sfocia nell‟agnosticismo e poi nell‟ateismo, come dimostra la storia, non tanto gloriosa, dell‟Europa illuminata. A questo proposito, Enzo Bettiza ha osservato con molto acume: "Da De Gaulle in poi il vizio a suo modo nobile della grandeur è diventato una perversione stabile, ricercata a qualsiasi costo: una volta mediante tresche col mondo comunista, oggi mediante patteggiamenti con l‟universo islamico. Comunismo e islamismo non sono stati né sono grandi amici dell‟Occidente. Ma i francesi, purtroppo, danno l‟impressione che si alleerebbero anche col diavolo pur di dare sfogo alle loro artefatte diffidenze all‟interno del mondo cui essi stessi appartengono da sempre" (Panorama, n.30, 2003, p.106). E quel "mondo cui essi stessi appartengono", per chi non vuole dimenticare la storia, è l‟antica, vera Europa, germogliata da radici cristiane. Si capisce, allora, l‟equivoco di chi pretende di escludere Cristo in nome della "laicità". Perché di equivoco si tratta. Infatti, se per laicità s‟intende l‟autonomia dello Stato nell‟ambito delle sue funzioni, allora bisogna riconoscere che il primo, vero, radicale fautore di questa laicità è stato Cristo con il suo"date a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio". Ma la "laicità" di molti degli attuali padri d‟Europa vuol dire, in realtà, laicismo: cioè assoluto rifiuto da parte dello Stato di riconoscere l‟esistenza del fenomeno religioso cristiano come entità autonoma e capace di concorrere, con il suo patrimonio ideale, alla costituzione di uno Stato. Si tollera, tutt‟al più, la presenza di una comunità credente e praticante, ma si rifiuta come ingerenza, ogni sua potenziale cooperazione - autonoma, ma non subalterna - nell‟ambito della città terrena. Wojtyla è un laico genuino e convinto, Giscard - che pure si professa cattolico - appare come un laicista più o meno cosciente. Si capisce, allora, come la pretesa di costruire una città, anzi una sovracittà europea senza l‟apporto che ha offerto e potrà offrire la fede cristiana rischia di far cadere la futura Europa in un passato ancestrale, in cui Cesare considera la realtà religiosa come un fattore secondario, inglobato e succube di uno Stato assoluto, di tipo più o meno faraonico. Papa Giovanni Paolo II temeva un‟impalcatura giuridica che avrebbe travolto in breve tempo un‟Europa costruita su un fondamento labile e sdrucciolevole. Non credo che sia esagerata o irreale la costatazione che, dall‟epoca del laicismo trionfante in poi, l‟Europa ha perduto coesione, si è macchiata dei crimini più orrendi di tutta la sua storia ed ha perduto non solo la consistenza e coesione politica, ma ha cessato di essere quell‟angolo della terra, impregnato di spirito cristiano che, nonostante trasgressioni ed incoerenze, è stato nel campo della cultura, del diritto, della vita politica e civile un punto di riferimento per l‟umanità intera. In fondo, la carta che veniva proposta – o peggio, imposta - alla futura Europa, è la tacita legittimazione di quella "apostasia silenziosa " (l‟espressione è di papa Wojtyla) che non conduce a nulla. Anzi conduce al nulla, al suicidio di Giuda. Gli eredi smemorati In questi ultimi tempi, però, l‟Europa sta partorendo un‟altra genìa di figli alquanto strani. Non appartengono, propriamente, alle fila degli apostati. Parecchi di essi sono religiosi, anzi cattolici, o almeno pretendono di esserlo, come e meglio degli altri, in maniera più "illuminata", se non proprio più " illuminista ". Questi singolari studiosi si dedicano con tenacia alla scoperta non delle radici, ma degli errori ed orrori (veri o supposti, da loro, come tali) compiuti dai figli dell‟Europa cristiana. Sia ben chiaro: in venti secoli di un organismo, composito e cangiante, com‟è stata il continente europeo, è fuori dubbio che, anche "da parte dei figli della Chiesa " (attenzione a questa locuzione, usata spesso dal Papa, ma che non equivale affatto a quell‟altra: "da parte della Chiesa" troppo spesso e troppo disinvoltamente adoperata da questi neocultori di una certa storia) siano accaduti errori e misfatti. Riconoscerli e denunciarli è legittimo e, in certo senso, doveroso. Purché avvenga con cognizione di cause (storiche), con metodo (storico e non ideologico) e con il dovuto senso della misura e delle proporzioni. Ora, da qualche tempo in qua, un certo numero di "storici" (le virgolette sono quasi sempre di rigore) o di intellettuali, che quasi sempre si ritengono più illuminati o addirittura illuministi, stanno conducendo una campagna denigratoria nei riguardi non tanto del cattolicesimo presente, il che potrebbe configurarsi come una volontà di critica o di purificazione, ma che comporterebbe anche la possibilità non gradita di una risposta dei diretti interessati. No, questi visitatori, un po‟ frettolosi, di biblioteche a volte inesistenti, confrontano le soluzioni date nel passato a problemi che con quelli attuali molto spesso hanno solo un rapporto di analogia, e non certo di univocità, e si consacrano con furia a criticare e demolire (per lo meno lo sperano) fatti ed eventi di prima grandezza nella storia dell‟Europa e della Chiesa in Europa. Il primo bersaglio, va da sé, sono le Crociate. Le condannano in blocco con un‟avversione che viene superata solo dal linguaggio minaccioso dei più irreducibili talebani, con i quali i nostri bravi "revisionisti " pensano di avviare un compiacente "dialogo interreligioso" che, con quello vero e genuino, promosso dalla Gerarchia cattolica e dai teologi responsabili, ha ben poco da spartire. Perché se è vero che nella lunga vicenda delle Crociate vi furono anche da parte di alcuni cristiani crimini e nefandezze, voler demolire tutta quella epopea con un‟ipotetica "sacralizzazione della guerra", in opposizione allo spirito pacifico degli inizi cristiani, significa misconoscere il significato e la portata di un evento storico epocale: cioè la ritrovata coscienza, da parte di migliaia e migliaia europei di ogni condizione, della propria dignità e dei propri irrinunciabili diritti, dopo aver subito per secoli non la predicazione ma l‟occupazione e lo schiacciamento da parte di orde islamiche, bramose di saccheggiare e distruggere le migliori acquisizioni dell‟Europa cristiana. E quando gli stessi "smemorati" si danno a decantare con toni arcadici le condizioni di convivenza delle popolazioni cristiane all‟ombra della Mezzaluna, allora o ignorano o non hanno la minima idea di quel che in realtà significava – ed oggi significa - una tale convivenza. Si spostino dai loro tavoli e divani, salgano su un aereo, e si rechino in un paese dominato dall‟Islam. Scelgano, come primo impatto, uno di quei paesi che vengono definiti "moderati", ci restino un po‟ di mesi, escano a piedi dai club turistici, vadano nei suk e tra la gente, osservino e cerchino di capire ed allora, ne siamo certi, saranno meno impreparati a valutare i veri motivi di quei moti d‟indipendenza del passato europeo, che essi pensano di poter addossare interamente a maniaci religiosi, a ladroni o a feroci assassini. A "Crociati", per l‟appunto. Allora forse, saranno meglio in grado di capire le ragioni nonché il coraggio di Isabella la Cattolica (altro personaggio bersaglio dei nostri smemorati ricercatori) che decide di restituire la sua terra agli eredi di diritto, allontanando gli invasori di fatto. E non parliamo della scure impietosa che i nostri "revisionisti smemorati" calano sulla testa di numerosi papi del passato: da Urbano II a Eugenio III, da Gregorio X a Innocenzo III, per non parlare di S. Pio V, "reo" di aver promosso la coalizione delle forze cristiane contro l'invasione e il terrore dell'Islam. Sotto sotto si vergognano o si rammaricano per la vittoria di Lepanto: non ne vogliono sentir parlare, come se si trattasse di un genocidio o di un‟invasione perpetrato dalle armate cristiane, e non come il tentativo, doloroso ma doveroso, di difendere l‟identità e la libertà dell‟Europa cristiana. Analogo disagio dimostrano i nostri smemorati figli d‟Europa per analoghi eventi, che salvarono l‟Europa dalla furia della potenza ottomana. Il "caso" Marco d’Aviano Qualche tempo fa è stato beatificato il cappuccino Marco d‟Aviano.Lasciatemi che ne parli perché Padre Marco ha vissuto anche a Conegliano, la mia terra. Mentre il mondo germanico non ha mai cessato di ricordarlo e venerarlo, sconcerta, da parte degli italiani, la quasi totale ignoranza o dimenticanza di questo straordinario e insospettabile personaggio carismatico, che ha avuto un ruolo determinante nella sopravvivenza dell‟Europa. In nome di un presunto pacifismo, che con la pax christiana ha poco da spartire, si cerca di sminuire o negare la parte che egli ha avuto nel raccogliere le forze cristiane per la liberazione di Vienna – avamposto del resto dell‟Europa - nella storica battaglia del Kahlenberg del 1683. In occasione della beatificazione, soprattutto dalle nostre parti, sono apparse alcune "ricostruzioni storiche" del cappuccino di Aviano. Si è parlato dei suoi poteri taumaturgici, della sua eloquenza trascinante, della sua profonda spiritualità che ribadisce i temi fondamentali dell‟annuncio cristiano, e cioè la conversione e la remissione dei peccati, con l‟introduzione dell‟atto di pentimento perfetto. Come si vede c‟è tutta la materia sufficiente ed abbondante per riconoscere in Marco una grande figura di santo. Ma domandiamoci onestamente: per il suo secolo è stato solo questo il Marco d‟Aviano? Come spiegare, per esempio, che moltissimi componenti della casa Imperiale d‟Austria–Ungheria, maschi e femmine, portino da secoli anche il nome di Marcus d‟Aviano? Solo perché era un santo predicatore e taumaturgo? E come spiegare i quattro densissimi volumi di lettere che il beato ha intrattenuto con le massime autorità religiose e civili del suo tempo? . In altre parole: possiamo pretendere di possedere un ritratto autentico e completo di Marco d‟Aviano, prescindendo o anche solo tratteggiando di sfuggita il suo ruolo predominante nella salvezza di Vienna e dell‟Europa del suo tempo dal pericolo ottomano? E‟ concepibile che si tracci un profilo del cappuccino accennando solo di passaggio alla sua diuturna ed infaticabile attività per indurre i principi cristiani del suo tempo a stringere un‟alleanza che scongiurasse il pericolo turco? E ciò nonostante le renitenze, gli indugi, i calcoli (non sempre disinteressati) dei personaggi in questione? E vi sembra davvero così scontato o di nessun rilievo il particolare che il Papa (beato) Innocenzo XI, nomini il cappuccino Marco Delegato Pontificio presso l‟Imperatore? Ci si occupa tanto dei suoi opuscoli spirituali, e sta bene. Ma perché ci si occupa, tra noi, così poco dei quattro poderosi volumi della sua corrispondenza con tutte le massime autorità politiche d‟Europa? La sua partecipazione alla liberazione di Vienna non si svolse certo con un elmo in testa ed una spada al fianco. Ma non si può neppure "ridimensionare" il suo apporto decisivo a quell‟evento, sostenendo che durante la battaglia egli pregava nella chiesetta del Kahlenberg. No, quella difesa era l‟epilogo del suo lungo e tormentato itinerario per tutte le corti e i palazzi d‟Europa per convincere i regnanti che non si poteva e non si doveva in coscienza correre il pericolo di una definitiva scomparsa dell‟Europa cristiana sotto l „avanzare delle orde ottomane che non avrebbero solo ridotto il Vaticano a stalle per i suoi cavalli, come si auspicava Mustafà, ma che avrebbero sommerso l‟Europa intera, analogamente a quanto era avvenuto un millennio prima. La realtà è che, per il suo tempo, Marco aveva intuito che l‟Europa, l‟autentica Europa, correva il vero pericolo del declino o addirittura della sparizione. Quel pericolo, anche se sotto forme meno appariscenti ma certamente non meno aggressive e pericolose, oggi per l‟Europa persiste, ed anzi si aggrava. L‟Europa di Giscard, illuminista ed agnostica, non si accorge che è in pericolo la sua genuina identità, perché l‟ha negata o dimenticata. L‟Europa "illuminata" di Woytila sa di avviarsi al definitivo tramonto se non riscopre e rianima le sue vere, autentiche radici cristiane. Il 28 luglio 1923, Giuseppe Moscati da Edinburgo narrava ai suoi familiari: "Ieri, con un tempo inglese, stetti con i miei ospiti a Melrose (paese di W.Scott) …non c‟è che un‟abbazia in rovina, un vicino cimitero. Feci notare alle due compagne di viaggio che le abbazie benedettine formarono la civiltà inglese".Le due compagne di viaggio erano protestanti, e capirono. Allora. Oggi, gli apostati illuministi non vogliono; e i cristiani smemorati faticano a capire.