FABIO
GALETTO
IL CUORE
BIANCO
Copyright © 2012 Fabio Galetto
© Seconda Edizione 2015 by Fabio Galetto
http://www.FabioGaletto.it
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NOTA DELL’AUTORE
È interessante ascoltare chi è convinto di comprendere la natura
umana. Queste persone si vantano di conoscere le dinamiche
comportamentali, eppure sono incapaci di fornire delle spiegazioni plausibili a riguardo delle proprie azioni.
Il Cuore Bianco nasce dalla convinzione che ognuno di noi debba
innanzitutto impegnarsi nella comprensione del proprio mondo
interiore. Gli studiosi reputano che l’universo mentale sia
caratterizzato da zone difficilmente accessibili, ma talmente
radicate da spingerci a ricadere negli stessi errori. Talvolta la
determinazione ci aiuta a cambiare le abitudini, eppure i
momenti di debolezza ci esortano a riprendere le brutte abitudini
iniziali. È per questo motivo che è assurdo formulare dei giudizi
sulle personalità altrui.
I protagonisti di questo thriller fantascientifico indossano una
maschera caratteriale che copre la vera personalità. L’ultima parte
del romanzo svelerà i retroscena degli eventi, sebbene la narrazione sia disseminata di indizi che consentono di scoprire il lato
nascosto dei personaggi.
FABIO GALETTO
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PRESENTAZIONE DELL’OPERA
Il Cuore Bianco è il primo libro della Trilogia della Folgore, un
trittico fantascientifico composto da romanzi ambientati nei
tempi odierni, con storie indipendenti e protagonisti differenti.
È possibile leggere l’intera trilogia senza un ordine preciso, pur
mantenendo il piacere della lettura. Tuttavia i romanzi sono
legati da un sottile filo conduttore che diverrà evidente nella
sequenza corretta:
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PREMESSA
Grandi conquiste, grandi imprese, grandi successi. L’errore
più comune è pensare che avvengano grazie alle eccezionali
capacità delle persone coinvolte. È un pensiero sbagliato,
influenzato dai libri di storia che mettono sul piedistallo i
protagonisti e puntano i riflettori sulle loro virtù, insabbiando gli
immancabili difetti.
Nel mondo reale, qualsiasi persona può raggiungere dei
grandi risultati, ma è fondamentale che valuti correttamente se
stessa, e tutto ciò che la circonda. È una regola ferrea che
determina la vittoria, oppure la sconfitta. Non esiste la fortuna.
Per trionfare è necessario conoscersi bene, pianificare le proprie
azioni, e soprattutto gestire con efficacia gli inevitabili ostacoli.
Tuttavia la mente è la trappola più grande da aggirare.
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FINE ATTIVITÀ
«Ora basta!» sbraitò Donny, staccando l’ascia dal supporto.
Caricò il colpo alzando il braccio, e si gettò furibondo verso
l’uomo muscoloso che sedeva sul divano.
Artes si spostò rapido. L’accetta sibilò alla sinistra del suo
volto. Afferrò un cuscino e lo lanciò con forza verso Donny,
centrandolo sul mento.
Donny emise un grugnito irritato. Lo guardò inferocito, sollevando nuovamente l’ascia per sferrare un secondo colpo.
«Sei ridicolo» disse Artes in tono pungente. «Dovresti brandire quell’accetta di gomma con più convinzione.»
Donny abbassò il giocattolo, gettandolo a terra con un gesto
stizzoso.
«È inutile, sembrerei innocuo anche se imbracciassi un vero
mitra» ammise scocciato. «Sono troppo esile per spaventare
qualcuno. Me ne resi conto fin da giovane, mentre ero in vacanza
a Creta ...» aggiunse, bloccandosi per osservare le reazioni di
Artes.
«Prosegui Donny, tanto non riuscirei a fermarti.»
Donny ignorò la stoccata dell’amico. «Ricordo con chiarezza
quel negozietto soffocante e ricolmo di cianfrusaglie. I turisti
commentavano con entusiasmo i dozzinali souvenir esposti sugli
scaffali di legno. Un uomo corpulento mi urtò goffamente, e il
mio nervosismo si gonfiò a dismisura. Lo guardai con occhi
accusatori, ma fui totalmente ignorato. Sentii il bisogno di
andarmene e spostare sgarbatamente le persone, ma ero consapevole che il mio metro e sessanta era inadeguato per qualsiasi
scontro fisico.»
«Cosa cercavi in quel posto?»
«Niente di particolare, ero entrato soltanto per soddisfare la
curiosità della mia bellissima fidanzata. Spesso la guardavo senza
capire che cosa la spingesse a frequentare uno come me, anche se
sospettavo che fosse affascinata dai miei eccessi d’ira. Forse mi
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immaginava come un condottiero senza paura, sebbene fossi alto
come un ragazzino nell’età dello sviluppo.»
«La natura è stata generosa con me» disse Artes gonfiando il
bicipite. «È un vantaggio, anche se ogni tanto mi complica le
cose.»
«Lo sosteneva anche la mia ragazza, ogni volta che parlava
della propria bellezza.»
«Trovò qualcosa di interessante in quel negozio?»
«Mi porse un libro di aneddoti e indicò una frase sottolineata.
Diceva, “Talvolta i traguardi semplici sono difficili da raggiungere, altre volte gli obiettivi complicati sono facili da realizzare”»
«Sono d’accordo» annuì Artes.
«Io ribattei che non avrei mai acquistato un libro pasticciato e
con la copertina consumata. Mi rispose che probabilmente era
appartenuto a un esploratore scampato a una furiosa tempesta.
La accusai di leggere troppi romanzi rosa, anche se sapevo che lei
voleva aiutarmi a essere più ottimista, e a credere nelle mie
capacità.»
Donny osservò sconfortato la confusione che regnava nel suo
appartamento, finché lo sguardo si posò sull’enorme televisore da
cui dipendeva il progetto più complesso della sua vita.
«Vorrei che quella frase fosse vera, invece qui è tutto difficile!» si lamentò aspramente. «Mi hai stremato con le tue continue
pretese. Ho trascorso molto tempo davanti a questo televisore,
rinunciando a tutto il resto!»
Artes si grattò distrattamente il collo muscoloso. I suoi occhi
scuri fissarono l’amico, accusandolo in silenzio.
«Anche oggi mi stai seccando con le crisi isteriche. Sono snervato quanto te, eppure non protesto, nonostante siano trascorsi
molti mesi da quando ci siamo svagati l’ultima volta.»
Donny si rasserenò al ricordo della serata. «Che bella festa,
con birra, superalcolici, e qualche bella tipa …»
«Eravamo completamente sbronzi» aggiunse Artes. «Eppure
siamo riusciti a evitare i controlli delle pattuglie. Abbiamo
imboccato le strade di campagna, sfuggendo alle multe della
polizia stradale.»
«È vero, ma in compenso hai centrato in pieno un cinghiale!»
«Era buio, e attraversò la strada all’improvviso. Comunque
ne siamo usciti illesi, nonostante il parafango distrutto.»
«E i danni al mio povero cuore. Lo schianto fu assordante!»
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Artes lo guardò scettico. «Non mi sembravi patito. Nemmeno
mentre recuperavi la tranquillità, mentre io spostavo il cinghiale.
Da solo, con l’alcol che mi annebbiava la vista.»
“Infatti” pensò Donny “E lo hai fatto con una semplicità
disarmante, nonostante quel bestione pesasse duecento chili”.
Dopo quell’episodio aveva compreso che dietro agli occhi
quieti di Artes si nascondeva la forza di un vulcano assopito, ma
pronto a esplodere. Invidiava l’autocontrollo di Artes, e il
carattere equilibrato che ostentava in ogni circostanza. Eppure
Artes era consapevole della propria forza che scaturiva dal metro
e novanta di poderosi muscoli. Incuteva timore e nessuno osava
scontrarsi contro quel colosso, nemmeno verbalmente. Tuttavia
Artes non abusava del vantaggio fisico.
«Ti agiti per qualunque cosa» disse Artes. «Continua così, e
finirai in cura da un bravo strizzacervelli.»
Donny strinse i pugni. «In cura ci finirò ugualmente. Ogni
giorno mi consumo gli occhi per guardare quest’attore da
strapazzo che si finge un nobile!»
Proprio in quel momento il Duca guardò verso di lui. Donny
rabbrividì. Era inquietante vedere quel viso enorme che lo
guardava dal gigantesco televisore da parete. Il nobile si era girato
lentamente, con sguardo interrogativo, come se avesse percepito
un rumore alle spalle. Sembrava che lo stesse guardando dritto
negli occhi, ma dopo pochi istanti il Duca si voltò dall’altra parte,
come se si fosse accorto di essere guardato.
Donny si rilassò. Lo schermo era costato una fortuna. Era il
modello più recente, e possedeva una tale nitidezza da soddisfare
anche il più pignolo dei perfezionisti. Le immagini erano così
realistiche che Donny si sentiva aggredito dai primi piani.
«Donny, devi frenare il nervosismo, altrimenti vanificherai
tutto.»
«Sto facendo il possibile, ma guardati attorno. Il mio appartamento è simile a una discarica comunale. Gli oggetti sono
ammassati alla rinfusa, e un groviglio di cavi attraversa il
pavimento in tutte le direzioni. Inoltre le scatole vuote della pizza
sono sparse dappertutto.»
«Il tempo stringe, e sai bene che la pizza è un cibo a buon
mercato. Oltretutto, la consegnano a domicilio.»
«Sono d’accordo sul fatto che sia una comodità, ma preferirei
che mandassero un altro garzone. Quel ragazzo è strano. Parla
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poco e sembra un po’ ottuso, anche se è tutt’altro che stupido,
perché ha capito che è inutile chiedere la mancia.
«Per forza, siamo sull’orlo del collasso economico.»
«Dannati soldi!» sbottò Donny. «La pizza è necessaria per
procurarci in fretta un pasto caldo, ma l’acidità di stomaco mi sta
distruggendo.»
«È un sacrificio sopportabile, dopotutto il nostro tenore di
vita subirà un netto miglioramento.»
«Lo spero, ma quando?»
«Abbiamo investito molto tempo su questo progetto, ed è
giunta l’ora di cogliere i frutti.»
«Era ora Artes!» esclamò, alzandosi e allungando le mani al
cielo. «Dio ha ascoltato le mie preghiere!»
«Evita le scenette da cabaret» ribatté seccato. «Concentrati sul
lavoro, e sul Duca» suggerì Artes.
Donny scattò ironico sull’attenti, poi si sedette con indifferenza sul logoro divano. Le immagini calamitarono la sua
attenzione. Sorrise al pensiero dell’uomo soprannominato il
Duca. Era normale che i nomignoli disorientassero le persone che
avevano la sfortuna di riceverli. La loro reazione era caratterizzata
dallo stupore, poiché spesso i soprannomi erano pungenti e
offensivi. Tuttavia la persona che stavano spiando mostrava
un’indiscutibile dignità nobiliare. Conosceva a memoria i
lineamenti di quell’uomo, ed era semplice capire perché Raymond fosse diventato Il Duca.
Donny sospirò irrequieto. Era impaziente di concretizzare il
duro lavoro, e sperava di avere l’occasione di sferrare un pugno al
Duca. Lo detestava, letteralmente.
***
Il Duca onorava il proprio soprannome, camminando lentamente e sfoggiando un portamento altezzoso, quasi regale.
Procedeva a testa alta con una mano in tasca, mentre muoveva
l’altra mano con movimenti ampi, assecondando il ritmo
dell’andatura. Manteneva lo sguardo fisso verso l’orizzonte, e
sembrava che stesse marciando durante la cerimonia che
l’avrebbe incoronato Re del mondo.
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Possedeva un innegabile carisma, assecondato dai capelli
argentati che valorizzavano il viso dai tratti signorili. La schiena
dritta gli conferiva una vestibilità elegante, nonostante il basso
valore dei vestiti che indossava. Elemosinava abiti e soldi,
soprattutto nei pressi dei centri commerciali, dove otteneva
spesso delle generose offerte grazie agli atteggiamenti dignitosi e
nobili. Dopotutto la città era grande, ed erano in pochi a
conoscere la sua abitudine all’accattonaggio.
Era un’afosa giornata di luglio. Camminava sul marciapiede
che fiancheggiava il giardino del parco. L’area era curata, con
l’erba tagliata a pochi centimetri dal terreno. Le persone si
godevano la frescura sotto le ampie fronde degli alberi, mentre
tenevano d’occhio i chiassosi bambini che giocavano e correvano,
incuranti del caldo.
Il Duca procedette disinvolto, gustandosi la passeggiata.
«Fermo! O per te saranno guai!» disse una voce maschile.
Il Duca si fermò, allarmato dal tono perentorio, ma non si
girò nella direzione da cui proveniva la voce.
«Quante volte ti ho raccomandato di restare vicino a me?»
proseguì la voce. «Vuoi cacciarti nei guai?»
«No, papà» replicò un’esile vocina.
«Non so cosa mi trattenga dal darti una sculacciata!» strepitò
la voce maschile.
La tensione abbandonò il Duca. Rilassò le spalle, riprendendo
a camminare verso l’ufficio postale. Era quasi arrivato.
***
«Ecco uno dei punti cruciali» disse Donny, alzandosi di scatto
e puntando il dito verso la tv. «Tra pochi istanti si avvicinerà alla
porta, e prima di entrare si fermerà nuovamente. Vorrei sapere
perché non riesco a correggerlo, dopotutto sono io il regista!»
esplose, in preda a un attacco isterico.
Artes lo guardò scettico, inarcando un sopracciglio. «Credi
veramente a quello che hai detto? Ti reputi un regista, e ritieni
che queste scene siano pertinenti e realistiche?»
«Certo che lo sono. Sono concrete e plausibili.»
«Questo lo dici tu, ma è una tua opinione. Per esserne certi,
dovremmo chiedere un parere imparziale.»
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«Sai bene che non possiamo, tuttavia abbiamo sudato sangue
per arrivare a questo risultato.»
«Non lo nego. Modestia a parte, è un'autentica opera d’arte.»
«Lo so, Artes. Ma temo che sarà un insuccesso, nonostante il
tuo ottimismo.»
«Smettila di frignare» protestò infastidito. «Il Duca sta entrando proprio in questo momento» aggiunse, concentrandosi
sulle immagini.
***
L’architettura dell’ufficio postale era moderna e scarna. Il
Duca entrò nel raggio d’azione della fotocellula, e la porta
scorrevole si aprì silenziosa. Avanzò con passo sicuro, ma a pochi
centimetri dalla porta si fermò all’improvviso, come folgorato da
un pensiero. Si guardò intorno perplesso, poi entrò lentamente,
lasciandosi alle spalle la calura della giornata torrida.
L’ufficio postale era affollato da file di persone che attendevano pazientemente il turno. Le più annoiate si voltavano a
guardare chi entrava, sperando di iniziare una conversazione con
qualche conoscente. L’aria condizionata rinfrescava l’ambiente.
Le persone apparivano rilassate, e non avevano fretta di tornare
all’opprimente calore esterno.
Il Duca si diresse verso le cassette automatizzate. Osservò la
cassetta blindata. Prese dalla tasca un biglietto da visita e lesse la
combinazione a bassa voce. La digitò. Un leggero click segnalò lo
sblocco dello sportello.
Infilò la mano, afferrando una scatola bianca con il coperchio
argentato su cui spiccava un'onda stilizzata. Strinse la scatola
sotto il braccio, richiuse la cassetta e uscì con un’andatura fiera,
come se si fosse riappropriato di qualcosa che era appartenuto
alla sua famiglia per intere generazioni.
Camminò senza esitare, finché vide un locale con una grossa
insegna e la scritta fosforescente “Internet Point”. Dalla vetrina si
intravedeva un locale spoglio. La porta era socchiusa, e il Duca la
aprì con decisione. Entrò, fermandosi sull’ingresso per osservare
l’arredamento.
Il locale era povero e asettico. Al centro della stanza dominava un dozzinale tavolino con una sedia imbottita. Sul ripiano del
tavolo erano posati un monitor spento, una tastiera, e un mouse
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wireless. Al di là della postazione Internet, due uomini erano
girati di spalle. Parlavano a bassa voce, discutendo animatamente.
Il Duca chiuse la porta, per attirare l’attenzione.
Gli uomini si voltarono. Il più piccolo era un cinese che raggiungeva a malapena il metro e sessanta. Era abbigliato come un
uomo di corte della dinastia Qing. I lunghi baffi si adagiavano
sull’abito cerimoniale giallo, decorato da un dragone rosso che
sputava fiamme. L’uomo aveva le braccia incrociate e le mani
nascoste dalle larghe maniche. Il cinese esibiva un viso altezzoso,
addolcito da un sorriso ingannevole, a labbra chiuse.
Al suo fianco aveva un muscoloso guerriero, simile agli indigeni dei villaggi africani. Era massiccio, e i due metri di altezza
incutevano un istintivo timore. Vestiva soltanto un drappo blu
che gli avvolgeva i fianchi, e una collana di perle che gli cingeva il
collo muscoloso. Il viso era distaccato, quasi insensibile. La sua
espressione comunicava una fredda crudeltà, accentuata da una
profonda cicatrice che gli imbruttiva la guancia destra.
***
Artes si voltò con sguardo interrogativo.
Donny sorrise beffardo. «La cicatrice ha ravvivato la scenetta.
Lo sai che adoro lo stile tribale!» aggiunse, scimmiottando un
guerriero che esultava. «Inoltre il viso deturpato era necessario
per consolidare lo stereotipo dell’africano taciturno ma muscoloso. Invece il cinese ha dei baffi lunghi e sottili, per rafforzare
l’immagine dell’orientale crudele. In parole povere, rappresentano il braccio e la mente.»
Artes si toccò nervosamente i lunghi capelli scuri. Aprì la
bocca per ribattere, ma ci ripensò e preferì rimanere in silenzio.
Donny incrociò le braccia e guardò il televisore, soddisfatto
per la vittoria verbale.
***
«Che cosa desidera?» chiese il cinese, visibilmente interessato
al pacco.
«Sono qui per la consegna» rispose il Duca.
«Mi dia la scatola» ordinò, indicandola con il dito affusolato.
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«Che cosa contiene?»
Il cinese fece una smorfia contrariata. «Confucio diceva che
un uomo può commettere un errore, ma se non lo ripara, avrà
commesso un secondo errore. Lei è qui per porre rimedio a uno
sbaglio, ma i dettagli sono riservati.»
«Ok, ma sia chiaro che voglio essere ricompensato.»
«Avrai il giusto compenso» esordì il nero con voce baritonale.
«Avete pilotato le mie azioni. Sono qui perché ho trovato un
biglietto da visita. Era vicino alla panchina, su cui mi siedo ogni
giorno.»
Il cinese annuì. «Il fato arriva sempre a destinazione, ma ogni
volta sceglie una strada diversa.»
«Ben detto, ma questa volta la sorte è stata aiutata» ribatté il
Duca. «Sul biglietto era annotato un promemoria per il ritiro di
un pacco all’ufficio postale. Fin qui sembrerebbe tutto normale,
ma è strano che qualcuno abbia avuto la premura di scrivere la
combinazione da digitare.»
«Ammetto che si tratta di un caso bizzarro. È stato baciato
dalla fortuna.»
«Non in questo caso. Avete organizzato questa sceneggiata
per trasformarmi nel vostro fattorino, e ora mi ricompenserete
con generosità.»
Il cinese aggrottò le sopracciglia. «Confucio consiglia di scegliere con cura gli amici, affinché si scelgano quelli che sono alla
nostra altezza. Il mio onorevole socio ha detto che lei avrà la
giusta ricompensa, e così sarà.»
«Non sono d’accordo.»
«Onorevole signore, lei mi delude, tuttavia sarò schietto. Il
pacco ha un logo molto conosciuto nel settore profumiero. Si
tratta di una famosa industria che ha ricavato una preziosa
essenza, dopo anni di accurate selezioni su centinaia di fiori.»
«Vuoi farmi credere che tutto questo casino è stato organizzato per un banale profumo?»
«Non si stupisca, lo spionaggio industriale colpisce qualsiasi
settore. La scatola contiene l’essenza e la documentazione
originale per riprodurla. Il furto ha creato un ingente danno alla
ditta.»
«Ok, fammi indovinare che cosa è successo» disse il Duca.
«Qualcuno ha rubato l’essenza e l’ha sigillata in questa scatola. Il
ladro ha voluto proteggerla da sguardi indiscreti, perciò ha deciso
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di chiuderla in una cassetta di sicurezza e di tornare a prenderla,
appena le acque si fossero calmate. Ma voi l’avete catturato e
costretto a confessare. Forse avete calcato troppo la mano, e il
ladro ha avuto un incidente imprevisto. Pertanto vi serviva
qualcuno che recuperasse la scatola. Ma doveva essere un
estraneo, che non fosse riconducibile alla vostra organizzazione.»
«Lei è un uomo acuto» convenne il cinese. «Riconsegneremo
il pacco al titolare dell’industria. La ditta pagherà senza fare
domande, e noi la ricontatteremo per ricompensarla.»
«Voi siete pazzi! Credete che vi consegnerò l’essenza e che me
ne andrò da qui, senza ricevere nulla in cambio?»
«Vogliamo quel pacco perché ci è stato sottratto con
l’inganno. Non siamo dei criminali, ma useremo qualunque
mezzo per ottenere l’essenza e la formula.»
«Mi state minacciando?»
«In realtà la stiamo convincendo. Quella formula arricchirà
noi, e anche lei.»
«Quali garanzie avrò che sarò pagato?»
«Nessuna, ma siamo persone oneste e onoreremo il patto. Lei
riceverà una grossa cifra che la arricchirà oltremisura, ma per noi
l’esborso sarà irrisorio, come una goccia nell’oceano.»
«Per me quella goccia è importante.»
«Ne sono certo, anche se il mio amico è convinto che lei si
rovinerà con le sue stesse mani. I soldi facili evaporano in fretta,
come neve al sole» aggiunse con cattiveria.
«E se ora scappassi?»
«Pensa di riuscirci?»
Il Duca strinse gli occhi. «Non so quante probabilità avrei di
aprire la porta, evitando che il suo amico mi agguanti. Ma posso
provarci.»
«Non credo che lo farà, poiché leggo perplessità nei suoi occhi» obiettò il cinese. «Le confiderò un segreto. Il mio amico è
anche convinto di un’altra cosa.»
«Il nero parla poco, eppure è una fonte inesauribile di suggerimenti.»
«Infatti» annuì. «Secondo lui esistono almeno quattro metodi
per fare soffrire un uomo, senza fargli perdere i sensi.»
«Scommetto che il suo amico è impaziente di mostrarmi
questi metodi» disse il Duca, con un filo di voce.
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«Sapevo che ci saremmo capiti» disse il cinese, esibendo un
sorriso malvagio.
«Mi avete convinto» mormorò il Duca. «Accetto le vostre
condizioni.»
***
«Questa è la parte che preferisco!» esplose Donny, assestando
una manata alla spalla muscolosa di Artes. «Tutto liscio come
l’olio!» continuò sorridendo.
«Forse intendevi olio bruciato» ribatté Artes. «È semplice
rallegrarsi quando va tutto bene, ma pochi minuti non smettevi
di lamentarti.»
«È vero, ma abbiamo deciso che questa sarà la versione definitiva. Sono fiducioso!» esclamò, esultando e inviando baci a un
pubblico immaginario.
Il campanello dell’ingresso suonò a lungo, interrompendo i
suoi festeggiamenti.
«Sarà il ragazzo delle pizze?» chiese Donny.
«È probabile. Solo lui suona così, come se si addormentasse
mentre preme il pulsante.»
«Sto arrivando, ambasciatore delle pizze!» urlò gioioso
Donny, imboccando il corridoio che conduceva all’ingresso.
Artes scosse la testa, infastidito dalla volubilità di Donny. Lo
irritavano i suoi imprevedibili sbalzi di umore.
Donny rientrò poco dopo. «Prestami dei soldi. Devo pagarlo,
ma sono al verde.»
Artes prese il portafoglio dalla tasca dei pantaloni. «Ti ricordo
che nemmeno io navigo nell’oro» disse, stringendo tra le dita
l’ultima banconota.
La porse controvoglia a Donny, ma si bloccò alla vista del
fattorino che fissava il televisore. Il display mostrava il fermo
immagine del cinese, il nero, e il Duca. Gli occhi del fattorino
erano parzialmente coperti da un lungo ciuffo biondo. Era magro
e slanciato, con un viso affilato e uno sguardo poco espressivo.
«Maledetto impiccione!» urlò Donny. «Non dovevi seguirmi!»
«Pensavo che ci fosse una festa, eri così felice» si giustificò il
ragazzo. «Ehi, avete un televisore troppo bello! Potete anche
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collegare la videocamera? I filmetti porno devono essere favolosi
su uno schermo così grande» continuò, strizzando l’occhio.
«Sì, è una bellissima tv» disse Artes stringato. «Ora prendi i
soldi e vattene.»
«Ok amico, ma qui è pieno di cavi. Penso che il vostro apparecchio non sia un semplice televisore. Mio fratello ha lavorato in
una ditta cinematografica e mi ha parlato di alcuni display
particolari, proprio come il vostro.»
«Non ha nulla di speciale.»
«Eppure questo è diverso» insistette il ragazzo. «Mio fratello
sostiene che esistono dei super computer che modificano le
immagini in tempo reale.»
«Stai fantasticando.»
«Non penso. La tecnica di modifica si chiama Modding!»
affermò convinto.
«Si pronuncia Morphing» commentò Donny irritato.
«Quindi ho ragione» disse il ragazzo annuendo. «Lavorate nel
settore cinematografico, siete registi?»
«Lui è soltanto un supervisore» disse Donny. «Il regista sono
io.»
«Fantastico, firmami un autografo!» disse, porgendo la penna
e il retro del taccuino delle consegne. «Mi chiamano Salgemma.»
Donny scrisse frettolosamente.
«Ecco a te, ficcanaso!» disse scortese.
Salgemma fissò l’autografo. «”Un saluto da Donny, al mio
amico Salgemma”» lesse perplesso. «Donny, senza un cognome.
Sei sicuro di essere un regista?»
«Sì, lo sono. Ma presto sarò soltanto un nevrotico perché tu
mostrerai l’autografo ai tuoi amici, e la mia pace terminerà!»
«Stai esagerando.»
«Tutt’altro. Sarò assalito da attori da strapazzo, e ognuno di
loro si proporrà per ottenere una parte nel mio film. Esci da qui,
altrimenti ti prenderò a calci!»
«Ok, ma prima pagami.»
Donny strappò la banconota dalle dita di Artes, porgendola
sgarbatamente al fattorino. «Il resto è mancia!» esplose, spingendolo verso l’ingresso.
Sbatté la porta e tornò a testa bassa, stringendo i pugni per il
nervosismo. Si sedette sul divano, incrociando le braccia in un
gesto seccato.
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Artes indico il fermo immagine sul televisore. «Che cosa ne
pensi?»
«Credo che sia uno schifo!» sbraitò Donny. «Quel fattorino
ha visto tutto. Salgemma, che nome stupido! Spero che la mancia
non lo abbia insospettito.»
«Stai tranquillo, si è bevuto tutto.»
«Me lo auguro. A proposito, perché hai scelto proprio un
cinese? Sembro un idiota!»
«Non volevo offenderti, ma avevamo concordato di usare dei
personaggi che ci somigliassero.»
«Ma quello è l’opposto di me!»
«Sei piccolo, basso, e nervoso. Pensavo che la parodia di un
cinese fosse azzeccata» spiegò Artes.
«Ok!» sbottò seccato. «Invece io ti paragono a un gorilla primitivo. E infatti eccoti lì, siete uguali!»
«Gentile» ribatté ironico. «Hai finito?»
«No, quel finto nobile è un attore indecente. Mio nonno ha
l’Alzheimer, ma recita meglio.»
«Ti ricordo che tu non sei un regista, e che lui non è un attore. Il Duca ignora tutto, e non sa che sta recitando la parte di un
copione.»
«Male!» sbottò una voce alle loro spalle.
Artes e Donny si voltarono stupiti.
Salgemma li guardò con un sorriso cattivo. «Forse dovremmo
informare il Duca». Il suo volto esprimeva compiacimento per la
posizione di vantaggio. «Vi state chiedendo perché sono qui?»
«Esatto …» rispose Artes, con un filo di voce.
«Non mi hanno convinto le vostre spiegazioni, così sono
tornato per capire che cosa stavate macchinando»
«E ora?»
«Vi garantisco il mio silenzio, ma alle mie condizioni»
«Altrimenti?»
«Vi denuncerò, e vedrete la televisione in una lurida prigione» aggiunse soddisfatto.
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BRILLANTI INVENTORI
Donny era indignato dall’arroganza di Salgemma. Il fattorino
li fronteggiava spavaldo, nonostante lo sguardo assonnato.
“Lo scemo del villaggio ci sta mettendo con le spalle al muro”
pensò Donny irritato. Si era fatto ingannare dal viso innocente da
bravo ragazzo, e lo aveva sottovalutato. Fantasticò su quanto
avrebbe goduto se lo avesse scagliato nel cuore di un inceneritore
rovente. Avrebbe riso di gusto, e poi sparso le ceneri ai quattro
venti.
«Demente!» esplose Donny. «Avresti il coraggio di denunciarci?»
«Esatto, ma vi consiglio di comprare il mio silenzio, così sparirò per un po’. Fino al mio prossimo prelievo» aggiunse con
un’ironica strizzata d’occhio.
«Perché sei tornato?»
«Ti sei sempre comportato da pezzente, ma oggi mi hai lasciato la mancia, per la prima volta. Volevi allontanarmi in fretta
e hai agito d’istinto, dimenticando la prudenza. Mi hai insospettito.»
«E adesso che cosa pensi di ottenere?»
«Chi può dirlo? Spesso le occasioni più ghiotte si nascondono
nei posti più impensati» terminò, sorridendo come un ebete.
«Come diavolo sei riuscito a entrare?» chiese Artes.
«Ho un sacco di tempo libero e lo dedico a imparare parecchie cose, tra cui aprire le serrature più comuni. All’inizio non ci
riuscivo, ma la pratica è un’eccellente maestra. Vi risparmio i
particolari, perché ora dobbiamo discutere di cose importanti.
Giusto?» concluse, sfoggiando un ampio sorriso e infilando le
mani nelle tasche della divisa beige.
«Ad esempio?» chiese Artes.
«Ad esempio?» ripeté Salgemma, scimmiottando il tono profondo di Artes. «Ritengo che stiate modificando le immagini per
ricattare le persone. Magari volete incastrare qualche moglie
infedele, oppure un marito con il vizio del gioco. Il mondo offre
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molte possibilità ai disonesti come voi» disse, allargando le
braccia.
«Hai ragione, quindi non ti tratteremo con i guanti bianchi»
sbottò Donny. «Il mio amico ti romperà le ossa. Inizierà da
quello più grande, e terminerà con il più piccolo.»
«Non mi fai paura» disse Salgemma. «Puoi fare di meglio.»
Donny pensò furiosamente a come spaventarlo. Ebbe un’idea
osservando il fermo dell’immagine sul display.
«Il mio amico Artes è convinto che esistano quattro metodi
per fare soffrire un uomo, senza che perda i sensi» affermò in
tono intimidatorio.
«Davvero piccolino?» chiese Salgemma ironico. «Adesso ti
spiego come stanno le cose, perché mi sembri un po’ confuso.
Forse ti manca la mamma?»
Donny prese fiato per rispondere, ma fu interrotto da Salgemma che mostrò un piccolo apparecchio.
«Guarda questo strano telecomando» disse rabbioso. «Questo
aggeggio lavora per me. Non costringetemi a premere questo
pulsante, altrimenti vi metterete nei guai» disse, appoggiando il
pollice sul tasto.
«Stai bleffando» disse Donny con voce alterata.
«Invece sono sincero. Questo aggeggio registrerà le nostre
voci, e le invierà in tempo reale al server aziendale che conserverà
una copia della nostra conversazione. Non sono uno stolto!
Credevi che i fattorini vivessero nel terrore di essere derubati da
qualche sbandato, oppure malmenati da qualche squilibrato?
Guadagno uno stipendio da fame, e non voglio rischiare l’osso
del collo ogni giorno!»
«A me sembra un semplice telecomando.»
«Sei duro di comprendonio! Questo apparecchio mi tutela
dai furti e dalle aggressioni. Prima della consegna devo soltanto
ricordarmi di premere il pulsante.»
«E allora?»
«Poi devo pronunciare il nome del cliente e l’ora, per comunicare che fino a quel momento non mi è accaduto nulla di male.
Quando esco dal cliente, devo ripetere la stessa procedura. Se
trascorre troppo tempo tra una consegna e l’altra, il collega
dell’ufficio riterrà che al fattorino sia accaduto un imprevisto e
sporgerà un’immediata denuncia. Naturalmente le indagini
partono sempre dall’ultima consegna effettuata.»
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«E pensi che questo stratagemma ti metta al sicuro?»
«Certamente! La polizia sarebbe qui in un batter d’occhio, e
arriverebbe dritta da voi perché non ho ancora confermato
l’uscita dal vostro appartamento. È tutto chiaro? Vi ho incastrato,
ammettetelo.»
«Ok, cosa vuoi?» tagliò corto.
«Per il momento mi accontento del tuo orologio d’oro» rispose Salgemma, indicando il polso di Artes.
Artes guardò il quadrante dell’orologio al quarzo. «Scordatelo, ha un valore affettivo. Mi ha salvato la vita.»
«Faresti meglio a cambiare idea, in fretta» insistette Salgemma.
«Ti sei mai chiesto perché nessuno ci ha mai scoperto?» chiese Artes, cambiando discorso.
«Forse perché conoscete soltanto persone stupide.»
«E tu credi di essere più intelligente di loro?»
«Certo!»
«Allora spiegami perché sei un umile fattorino.»
«Non capisco dove vuoi arrivare.»
«Guardaci bene, cosa vedi?»
«Vedo un nano e un gigante.»
«Soltanto questo? Sii più preciso.»
«Vedo un nano dallo sguardo furbo, e un gigante stupido e
cattivo.»
«Sei completamente fuori strada. Tu vedi un nano specializzato in campo tecnologico, e un gorilla esperto nell’uso di armi e
dei combattimenti corpo a corpo.»
«Quindi?» chiese Salgemma, improvvisamente attento.
«In che settore pensi che lavoriamo?»
«Non saprei …»
«Vuoi un aiuto?»
Salgemma lo guardò in silenzio, visibilmente confuso.
«Riepilogando» riprese Artes. «Siamo uomini specializzati e
dotati di attrezzature all’avanguardia. Indovina da che unità
proveniamo?»
«Siete militari dell’esercito» rispose Salgemma con un filo di
voce.
«Esatto. Ora riconsideriamo la tua brillante idea di premere il
pulsante per registrare le nostre voci, e strillare che ti stiamo
maltrattando. Potresti farlo, ma nel frattempo io prenderò
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contatto con un mio collega che cancellerà all’istante questa
registrazione dal server, comprese le tue urla di dolore, quelle
vere» aggiunse minaccioso.
«Non puoi, è illegale.»
«Mio ingenuo amico, la legge può essere aggirata. Ipotizziamo che oggi, durante il tuo turno di lavoro, tu abbia un incidente
in scooter. Chi dubiterebbe di due clienti abituali, perlopiù
innocui?»
«Che cosa vuoi farmi?» chiese spaventato.
«Niente! La gente penserà a una fatalità. Sarà un lavoretto
pulito, e tante persone assisteranno al tuo funerale. Sarà commovente» aggiunse in tono falsamente emozionato.
«Che cosa proponi?» domandò cedevole.
«Dipende soltanto da te. L’esercito ci ha autorizzati a usare la
violenza, soprattutto se è in gioco la segretezza militare.»
«Quindi?»
«Ti suggerisco di dimenticare questo episodio, altrimenti sarò
costretto a sporcarmi le mani con il tuo sangue. Credimi, detesto
farlo» aggiunse, scrocchiando le dita.
«Non mi vedrete più. Non vi ho mai incontrato» si arrese
Salgemma.
***
Donny era affacciato alla finestra. Osservò Salgemma che
saliva veloce sullo scooter, e lo metteva in moto.
«Ha l’agilità di un cowboy che monta in sella al proprio cavallo» disse sorridendo.
«Nel Far West, sarebbe un pessimo pistolero» commentò
Artes ironico.
«È soltanto un imbranato!» aggiunse Donny, scoppiando a
ridere. «Ha imboccato la curva troppo velocemente, rischiando
di sbattere contro il palo della luce! Ha evitato il disastro per un
soffio.»
«Come noi …»
«È vero. Ma ne siamo usciti bene, perché tu sei un genio!
Dove hai trovato l’ispirazione dei militari?»
«È stato un colpo di fortuna. Salgemma voleva il mio orologio. È un oggetto al quale sono particolarmente legato» disse
Artes, sfiorandolo leggermente.
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«È costoso?»
«Non molto, ma ci sono affezionato per motivi personali»
aggiunse, chiudendosi in un prolungato silenzio.
«Ok, non indagherò sulla tua privata. Quindi hai osservato
l’orologio e lo hai associato ai militari. Perché?»
«Segnava le 17:00 e mi ha fornito lo spunto per l’espediente.»
«Non capisco. In passato ho frequentato una ragazza benestante che era fissata con il galateo. Alle 17:00 beveva il tè con le
amiche perché sosteneva che fosse un’abitudine raffinata. Ma
qual è il nesso tra il tè e i militari?»
«Ovviamente nessuno. Guardando l’ora ho ricordato che le
forze armate utilizzano il sistema orario a ventiquattro ore. Così
ho provato a bleffare, fingendomi un militare.»
«Hai ragione! Anche nell’informatica si usa lo stesso metodo
per evitare delle ambiguità. Bingo!» disse Donny, scoppiando a
ridere.
«È così divertente?»
«È divertentissimo! Sto pensando alla faccia di quel ragazzo!
Immagina il suo stupore se scoprisse che l’esperto tecnologico è
soltanto un programmatore di videogiochi, e che lo specialista in
combattimenti è solamente un chimico» aggiunse sorridendo,
afferrando un pupazzetto antistress in morbida gomma.
«Tra qualche giorno Salgemma dimenticherà l’accaduto»
aggiunse Artes. «L’importante è che non capisca a cosa serve il
televisore. A volte nemmeno io riesco a capacitarmi di quello che
può fare, sembra incredibile.»
«Ti sembra incredibile perché ti sei limitato a guardare» replicò Donny, stringendo con forza il pupazzetto che diffuse nella
stanza un suono acuto. «Ma io ho lavorato a lungo sul progetto, e
ti assicuro che è molto reale.»
«Donny, non sei l’unico che ha contribuito. Anch’io mi sono
impegnato molto» ribatté Artes, irritato dal rumore del pupazzetto e dalle parole di Donny. «E ricorda che io non sono “solamente” un chimico, come hai detto tu. Sono un “brillante” chimico,
con un talento che risale alla gioventù scolastica.»
Gli balenò in mente il viso di Neck.
“Ai tempi della scuola i miei obiettivi erano diversi, del tutto
differenti da quelli attuali” pensò Artes, rievocando meccanicamente le memorie della sua giovinezza.
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L’appartamento sbiadì rapidamente ai suoi occhi. Si abbandonò ai ricordi, rivivendoli con intensità, come se il tempo si
fosse riavvolto.
***
Le ragazze correvano veloci, e oltrepassarono Artes che camminava a passo blando.
Artes si arrestò, soffermandosi ad ammirare il loro abbigliamento sportivo e attillato. Si reputava fortunato perché era uno
studente felice e soddisfatto. Aveva soltanto ventidue anni,
eppure era una celebrità nel campus universitario. La sera
precedente aveva partecipato a una festa, ed era stato approcciato
dalle ragazze più provocanti. Era abituato a ricevere molte
attenzioni poiché il fisico imponente lo aveva reso popolare e
desiderato, sin dal primo giorno. Lo sguardo seducente gli aveva
spalancato le porte dell’universo femminile, mentre lo spiccato
talento per la chimica era servito per ottenere il rispetto dei
docenti.
Si incamminò verso la mensa universitaria. All’ingresso vide
Neck che abbassò lo sguardo.
“Quando finirà questa storia?” pensò infastidito.
Lo studente lo odiava a causa di Runia, una bella ragazza
cubana di cui Neck si era infatuato. Artes l’aveva frequentata per
un paio di settimane. Una sera si erano appartati nel parco e
l’aveva baciata, ma un improvviso rumore lo aveva spinto a
voltarsi. In lontananza aveva visto Neck che si rialzava bestemmiando, e correva zoppicando verso gli appartamenti degli
studenti.
Da quel momento Neck aveva manifestato un palese risentimento nei suoi confronti. Spesso Artes pensava alla frase di
Giulio Cesare “Tanti nemici, tanto onore”, ma era cosciente che
nel mondo reale avere tanti nemici equivaleva ad affrontare tanti
problemi.
Entrò in mensa. Si servì al self-service, scambiò qualche battuta con le cameriere, e si sedette al solito tavolo.
«Oggi pranzerò con te» disse a Hugan, spettinandogli con
affetto i capelli.
«Sono io che pranzo con te, dopotutto questo è il tuo tavolo!»
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«Ti sbagli. Il tavolo è di tutti, ma le persone sono abitudinarie
e spesso sono schiave della routine. Ogni giorno ripetono gli
stessi gesti e scelgono lo stesso posto.»
«Perché sono pazze?»
«Forse, ma è più probabile che lo facciano per comodità»
commentò, sorridendo al gruppo di amici.
Hugan gli sedeva di fronte. Era disinteressato al contenuto del
piatto e fissava Artes con insistenza, manifestando un’ardente
voglia di parlargli. Artes lo ammirava per gli ottimi risultati
conseguiti negli studi, nonostante Hugan fosse penalizzato da un
fastidioso deficit di concentrazione.
«Che cosa ti turba Hugan?» gli chiese.
«Ho saputo che ti chiamano Astempione, o forse Astermone»
disse, sforzandosi per ricordare il nome esatto.
Al tavolo scese un silenzio carico di imbarazzo.
«Edoardo, di cosa sta parlando Hugan?»
«Ecco …» rispose a disagio, lisciandosi nervosamente i capelli
biondi sulla nuca. «Gira una voce.»
«Quale voce?»
«Quel collo lungo di Neck l’ha combinata grossa!» tuonò. «Lo
sai che ti odia a causa di Runia, ma è troppo codardo per dirtelo
in faccia. È un perdente, e l’unica strategia che conosce è quella di
sparlare e denigrare!»
«Ok, ma anche tu ti stai abbassando al suo livello. Hai appena
disprezzato un difetto fisico, di cui lui non ha colpa.»
Edoardo dominò a stento il disappunto. Un ragazzo seduto al
suo fianco si scostò prudentemente, allontanandosi dal massiccio
fisico del lottatore.
«Sono due cose diverse. Lui ti ha danneggiato con uno stratagemma subdolo. Sei al corrente che Neck ha origini argentine, e
adora i racconti di Borges?»
«Lo scrittore? Se ricordo bene, è un suo connazionale.»
«Esatto, Borges ha scritto un racconto sul Minotauro. Tutti
conosciamo la storia del labirinto, ma in pochi sanno che il vero
nome della bestia era Asterione.»
«E allora?»
«Neck ha diffuso la voce che Asterione è il tuo nuovo soprannome. Ha convinto gli studenti, dicendo che è il nome di un
carismatico Dio, che traeva le proprie origini dalla stella più
luminosa della costellazione dei Cani da Caccia. Ora hai un
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nomignolo che è tutt’altro che positivo, ed è troppo tardi per
tornare indietro» terminò irritato.
Artes meditò sulle parole di Edoardo. Il silenzio al tavolo era
in netto contrasto con le chiassose conversazioni che si svolgevano ai tavoli vicini.
«Astermone» disse Hugan, che nel frattempo aveva continuato a concentrarsi per ricordare il nome corretto. «Artestone.
Artes!» proruppe trionfante.
Artes sorrise. «Artes suona bene, e potrei usarlo come diminutivo di Asterione.»
«Ottimo, allora smantelliamo il subdolo piano di Neck!» disse
Edoardo. Salì sulla sedia, e si guardò intorno come un marinaio
che scrutasse il mare.
«Artes!» urlò, cercando di sovrastare il forte chiacchierio delle
persone. Alcuni studenti lo guardarono perplessi, incuriositi
dall’insolita iniziativa.
«Artes, Artes, Artes» insistette Edoardo, assestando ogni volta
dei poderosi pugni al tavolo che tremò sotto i suoi colpi.
«Artes!» ripeté Hugan, indicando Artes per chiarire le idee
alle numerose persone che ora li stavano osservando.
Gli amici della tavolata colsero l’imbeccata, e ribadirono
energicamente il nomignolo. I primi simpatizzanti si unirono alle
loro grida.
Lo schiamazzo prese forza rapidamente, coinvolgendo la
maggior parte dei presenti che urlarono elettrizzati.
Artes detestava i nomignoli, tuttavia il ruolo di leader gli
imponeva degli atteggiamenti dominanti. Alzò due dita al cielo in
segno di vittoria, e il boato degli studenti sancì il nuovo soprannome.
***
Artes intravide Neck che entrava nel campo di pallacanestro.
Era trascorsa una settimana dall’episodio della mensa, e immaginò che Neck fosse ancora furioso per il fallimento del piano.
Artes oltrepassò la segreteria, ed entrò pensieroso nella zona
delle docce collettive.
«Ciao Artes» disse la ragazza, uscendo dal corridoio antistante alle docce. Indossava un pantalone attillato e una camicetta
azzurra che si intonava con i suoi occhi chiari.
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«Ciao Ilena» rispose Artes, rassegnato a sentirsi chiamare da
tutti con il nuovo soprannome. «Complimenti per il successo del
giornale universitario. Ho saputo che hai attirato l’attenzione di
importanti sponsor locali.»
«Il merito non è soltanto mio, ma di tutta la redazione. Ne
siamo orgogliosi» disse raggiante. «Stasera partirò per festeggiare
l’evento. Mia sorella mi sta aspettando nel suo appartamento al
mare. Sarà una vacanza fantastica, sono elettrizzata!»
«Lo immagino» disse annuendo.
«Ti ho ricomprato lo shampoo che mi avevi prestato» gli
disse, porgendogli il flacone.
«Sei gentile, ma non dovevi disturbarti, mia diletta» la ringraziò, curvandosi in un galante inchino.
«Grazie a te» disse sorridendo. «Ci rivedremo tra una settimana» aggiunse, andandosene radiosa.
La osservò compiaciuto, giocherellando con il flacone di
shampoo, poi si diresse verso una doccia libera. Si tolse gli abiti,
appendendoli alla gruccia. Aprì l’acqua, e si concesse un paio di
minuti di relax, indugiando sotto il getto caldo. Lavò i capelli con
lo shampoo di Ilena, e li asciugò con una salvietta di spugna. Si
vestì velocemente, uscendo di corsa per arrivare in tempo alla
lezione di fisica.
Era in ritardo, e il passo affrettato attirò l’attenzione di parecchi studenti.
“Perché mi fissano?” pensò a disagio, seccato dal numero
crescente di sguardi puntati su di lui. Oltrepassò un gruppo di
ragazzi e si voltò all’improvviso verso di loro. Li colse mentre lo
stavano fissando, anche se si affrettarono a distogliere gli sguardi.
Nel gruppo riconobbe il gracile Grind. Lo avvicinò con decisione,
lo afferrò per un braccio e lo trascinò in disparte.
«Grind perché mi guardano tutti?» chiese irritato, a bassa
voce.
«Forse …» rispose timoroso. «Forse ti preferivano come eri
prima» aggiunse, osservando i capelli.
«Prima di cosa? Che cosa diavolo stai dicendo?» esclamò,
avvicinandosi a una vetrata a specchio.
Trasalì nel vedere i capelli. Erano tinti di una brillante tonalità blu.
***
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Neck sedeva sulla gradinata della pista di atletica. Fingeva di
interessarsi agli allenamenti femminili, ma in realtà meditava. Gli
piaceva quel luogo perché era tranquillo. Era l’unico posto in cui
i ragazzi non sbraitavano, poiché erano occupati a commentare i
corpi delle ragazze.
Si tormentò le labbra, pizzicandole con le dita. Il gesto lo
spazientì perché era il segno evidente di un nervosismo che non
riusciva a trattenere.
«Domingo, tu sai quanto mi sono impegnato per infangare la
reputazione di Artes» disse astioso, rivolgendosi all’amico seduto
a fianco. «Mi ha soffiato le attenzioni di Runia. Artes non può
passarla liscia, deve pagarla!»
«Certo, non si rubano le donne degli altri. Ha dimostrato di
essere meno intelligente di te» dichiarò Domingo.
«È vero, quindi spiegami perché continuo a fallire! Per quanto tempo dovrò sopportare la sua fortuna sfacciata? Artes ha
molte frecce al suo arco, è snervante.»
«Artes è furbo.»
«Non è furbo, è soltanto fortunato!» tuonò Neck, battendo
un pugno sulla gamba di Domingo.
Domingo si massaggiò il quadricipite dolorante. «Hai ragione, è tutta fortuna» gemette docile.
«Infatti, però ho esaurito le idee. Lo stratagemma di Asterione stava funzionando bene, ma quel demente di Hugan ha
rovinato tutto!»
«Ha avuto solo fortuna» annuì Domingo, con ampi gesti della
testa.
«In seguito ho dedicato tutto il mio tempo per creare una
formula che colorasse i capelli. La tinta doveva essere inattaccabile per settimane. Sono un disastro in chimica, eppure il rancore
mi ha dato lo stimolo, e alla fine ci sono riuscito! Ho sfruttato
Ilena, aggiungendo la sostanza colorante allo shampoo mentre lei
era distratta. Sono stato fortunato a incrociarla, proprio quando
parlava al telefono e diceva che avrebbe restituito lo shampoo ad
Artes.»
«Ancora una volta la fortuna è stata determinante» sentenziò
Domingo, con la sua voce esile.
«È vero, ma non mi è bastata! Artes si è imbrattato i capelli
con il colorante, e adesso tutti lo chiamano “lo Stallone Blu”»
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disse sprezzante. «Ora la squadra di basket lo imita, e i giocatori
hanno i capelli tinti di blu. Inoltre le matricole lo supplicano di
scattare una foto insieme!» concluse, portandosi nervosamente le
mani al volto.
«È soltanto fortuna» disse una voce profonda, diversa da
quella di Domingo.
Neck guardò alla sua destra. Intravide Domingo che spariva
dietro l’angolo. Al suo posto era seduto Artes.
Neck sbiancò e abbassò lo sguardo, pizzicando le labbra ancora più velocemente.
«Sono un convinto pacifista» esordì Artes. «Ritengo che il
rispetto reciproco sia la chiave per creare un mondo in cui regni
l’armonia. Preferisco incoraggiare la pace, piuttosto che scatenare
una guerra.»
Neck ascoltò in silenzio, sforzandosi furiosamente di capire a
cosa mirasse Artes.
«Stringiamoci la mano Neck, come agiscono gli uomini
d’onore.»
Neck esitò. Nella sua testa si affollarono pensieri contrastanti,
di odio e paura.
«Dammi la mano» insistette Artes. «Adesso.»
Neck strinse brevemente la mano di Artes. Eppure quei pochi
istanti gli bastarono per sentire la pressione di un’enorme forza,
seppure controllata. Lasciò subito la presa e abbassò lo sguardo,
ma ebbe il tempo di notare che i capelli di Artes erano tornati al
colore normale. Riprese a pizzicarsi le labbra con rinnovata
energia.
«Sarò sincero» disse Artes. «Avrei potuto rimuovere subito il
blu, ma ho preferito aspettare perché gli studenti credevano che
volessi lanciare una moda. Forse credevi che la tinta durasse
molto di più. Mi spiace dirtelo, ma sei un chimico scadente.»
Neck ascoltò in silenzio e a testa bassa, con gli occhi puntati
sulla maglietta bianca.
«Non ti offendere Neck, ma temo che tu abbia un carattere
fragile. Tuttavia ritengo che tu sia una brava persona, anche se
devi lavorare sull’autostima. Probabilmente pensi di essere
inadeguato e ti reputi di basso valore. È un male, perché questo
pensiero arreca un danno a te, e a chi ti circonda. Tu sei forte con
i deboli, ma sei debole con i forti.»
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“Qual è il suo scopo?” pensò Neck esasperato “Perché continua a parlare senza sosta?”. All’improvviso notò qualcosa di
bizzarro. La sua maglietta bianca era macchiata di arancione. La
osservò più attentamente, sembrava schiuma. Preoccupato, si
toccò la bocca. Stava sbavando.
«Non ti spaventare Neck, è una sostanza innocua di mia creazione. L’ho spalmata sulla mia mano, quella che hai stretto pochi
istanti fa. Anch’io sapevo del tuo vizio di pizzicarti le labbra, così
ti ho trasmesso un prodotto insapore che si è attivato con gli
ormoni della saliva.»
Neck cercò di pulirsi la bocca con un fazzoletto, ma peggiorò
la situazione, spalmandosi il colorante sul mento.
«Scommetto che non sapevi di avere tracce di ormoni in
bocca» aggiunse Artes compiaciuto. «È grazie a essi che ho potuto
avviare la reazione chimica. In principio, avevo pensato di
appestarti con una soluzione di idrosolfuro di ammonio, la
cosiddetta fialetta puzzolente. Ma non ero soddisfatto perché era
uno scherzo banale, perciò ho escogitato qualcosa di più
originale. L’arancione è meglio del blu» concluse, in tono
canzonatorio.
«Smettila di parlare!» sbraitò Neck, alzandosi di scatto. «Non
sono un pessimo chimico. Te lo dimostrerò diventando migliore
di te, sotto ogni punto di vista!» aggiunse fuori di sé, allontanandosi velocemente e strofinando le labbra con il fazzoletto.
***
Artes osservò Neck che si allontanava sdegnato, bestemmiando per le macchie arancioni che gli avevano imbrattato anche i
pantaloni. Alcuni studenti lo derisero, indicando il volto sporco.
“Non volevo farlo” pensò rammaricato. Eppure le circostanze
lo avevano costretto ad agire, per evitare che la sua inerzia fosse
fraintesa e sembrasse timore.
«Colpirne uno, per educarne cento» mormorò infastidito.
Detestava quella frase di Mao Tse-Tung, ma con Neck rappresentava l’unica strada percorribile.
***
«Augurami buona fortuna!» disse Ilena con voce squillante.
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«Non ne hai bisogno. Sono certo che primeggerai nello sfavillante mondo dell’alta moda» rispose Artes. «Presto sarai la nuova
regina delle Top Model.»
«Sei il solito adulatore! Ho ancora un sacco di cose di terminare, e poco tempo a disposizione. Tanti auguri anche a te,
bellissimo Artes» gli disse, congedandosi con un affettuoso bacio
sulla guancia.
Il breve incontro con Ilena gli ricordò l’incidente dello shampoo. Erano trascorsi tre mesi dall’incontro sulle gradinate, e da
allora non aveva più visto Neck.
«Herbert, che fine ha fatto Neck?» chiese Artes al grasso amico, che si era tenuto a rispettosa distanza durante i saluti di Ilena.
«Ho notizie contrastanti» rispose Herbert, masticando a bocca aperta. «È ottimo questo panino del chiosco, lo hai già
assaggiato?» disse, guardandolo con soddisfazione.
«Lo comprerò, ma ora parlami di Neck.»
«Dicono che viva trincerato nella sua stanza, isolato dal mondo esterno. Esce soltanto il minimo indispensabile, e si limita a
scambiare poche parole. Si mormora che il suo compagno di
stanza sia ospite di altri ragazzi del campus.»
«Quindi è in stanza da solo?»
«Esatto, Neck lo ha convinto ad andarsene, in cambio di
qualche dritta sulle corse di cavalli.»
«E perché si è isolato? Vuole diventare il nuovo dottor Frankenstein?»
«Forse sì» rispose, divertito dalla battuta.
«È un bel mistero, ma io non amo gli enigmi. Preferisco le
certezze» disse Artes.
***
Artes fissò la porta della stanza di Neck. Non sapeva che cosa
lo avesse condotto lì. Forse era una semplice curiosità, oppure la
voglia di recuperare la pecorella smarrita e riprendere il totale
controllo su tutto il campus, incluso Neck. Aveva bussato senza
ottenere risposta, ma era sicuro che Neck ci fosse perché sentiva
un rumore sordo e ritmato. Bussò con più decisione, e la porta
vibrò sotto i suoi vigorosi colpi.
I rumori nell’appartamento cessarono. Poco dopo la porta si
aprì. Voleva usare una frase semplice che servisse a rompere il
29
ghiaccio, ma l’aspetto di Neck lo colse alla sprovvista. Aveva la
barba incolta, capelli lunghi e disordinati. Indossava dei pantaloni corti, scarpe da ginnastica, e una camicia aperta a metà che
evidenziava il lungo collo. L’aspetto trasandato era in pieno
contrasto con lo sguardo luminoso. Per la prima volta Neck lo
fissò, guardandolo dritto negli occhi.
«Artes che sorpresa! Qual buon vento ti porta? Ho sempre
desiderato usare questa espressione marinaresca, mi ricorda i
film sui bucanieri. Vorrei essere un marinaio. Cavalcare le onde,
domare i venti, e sconfiggere le burrasche. E infine bere rum,
esclamando “Corpo di mille balene!”, come se fossi un vecchio
lupo di mare.»
Artes si paralizzò di fronte all’eccessiva energia di Neck.
«Forse hai bevuto troppi caffè» disse perplesso. «Vorrei soltanto scambiare due parole con te, e fumare il calumet della
pace.»
«Ottima espressione indiana! Conosci le loro tradizioni? Il
cannello del calumet simboleggia gli uomini, mentre il fornello
rappresenta la madre Terra. Lo sapevi?»
«Ora lo so.»
«Ma cosa fai lì fuori, sono proprio un pessimo padrone di
casa. Entra e accomodati!»
La stanza assomigliava a un caotico magazzino. Il pavimento
era cosparso di libri, scatole di puzzle, vestiti sporchi, provette,
distillatori, e un mortaio per pestare le sostanze solide. La
confusione era totale, tranne che per una sottile e incontaminata
striscia di pavimento che conduceva dalla porta al letto, e dal
letto al tapis roulant.
«Scusa se non ho aperto subito, ma è raro che riceva delle
visite. Sarà colpa del mio sorriso poco curato?» disse, saltando sul
tapis roulant con sorprendente agilità. Lo accese e impostò la
velocità sul massimo. Dopo qualche istante, correva come un
centometrista.
Artes lo guardò affascinato. Il tapis roulant cigolava per lo
sforzo, e sembrava che girasse a una velocità molto più elevata
rispetto agli standard. Neck correva con un ritmo indemoniato,
senza provare disagio e neppure fatica.
«L’ho modificato» disse Neck. «Ho guadagnato il venti per
cento in velocità. È ancora insufficiente ma devo accontentarmi,
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altrimenti rischio di fondere il motore» aggiunse, parlando con
voce calma.
«Neck, sei cambiato dall’ultima volta che ci siamo visti.»
«È vero. Sono cambiato molto, sotto molti aspetti» confermò
Neck, parlando con calma, senza il ritmo frenetico di qualche
istante prima.
Artes guardò il display del tapis roulant. L’andatura era di
trenta chilometri orari.
«Che cosa ti porta da me?» chiese Neck.
«Non avevamo tue notizie. Notizie attendibili» precisò.
«Capisco, sei passato a controllare se stavo bene. Molto premuroso.»
«Forse mi sentivo responsabile» disse, fissando incuriosito un
quadro appeso vicino a Neck. Era un quadro strano, rappresentava una donna a mezzo busto con un collo eccessivamente
lungo.
«È un dipinto di Modigliani» disse Neck. «Mi hanno sempre
deriso per il collo lungo, ma guardare quel quadro mi ha sempre
confortato. È come se avessi l’appoggio di una persona che mi
assomiglia e mi capisce.»
Per un attimo sembrò assorto nei suoi pensieri, ma continuò
a correre. Artes lo guardò affascinato.
«Si dice che Modigliani dipingesse i colli lunghi perché influenzato dalla scultura negra» riprese Neck. «Mi piace pensare
che esista un posto dove ogni persona ha il collo lungo, proprio
come me. Sei sempre stato la star dell’università, è difficile che tu
capisca quanto ho sofferto» concluse, scendendo rapidamente dal
tapis roulant e staccando una freccetta dal bersaglio appeso al
muro.
Risalì subito sul tapis roulant. Artes era riuscito a stento a
seguire i suoi movimenti fulminei. Neck era stato rapido, sia a
scendere, che e a risalire.
«Hai bisogno di tonificare» propose Neck, indicando la pancia di Artes.
«Sì, forse un pochino» ammise Artes, guardandosi il ventre
leggermente sporgente.
«Dovresti correre. Per me sono quattro ore.»
«Quattro ore di cosa?»
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«Quattro ore che corro, senza sosta. Guardami, non ho
nemmeno una goccia di sudore. Sono immacolato come un
bambino che sia stato lavato e asciugato.»
Artes era sbalordito dal cambiamento fisico. In passato Neck
era stato esile e goffo, ma ora la schiena era dritta e i muscoli
tonici spiccavano dal suo corpo atletico. «Se è vero che corri da
quattro ore, significa che hai il corpo di un culturista, ma con
l’elasticità di un podista. Sei una macchina perfetta.»
“Paurosamente perfetta” rifletté.
«Esatto, ho inventato una formula molto potente» disse
Neck, guardando intensamente Artes.
«I risultati sono evidenti, è innegabile.»
«Sono diventato un superuomo» affermò, stringendo la freccetta. «Te lo avevo promesso, e ci sono riuscito.»
Artes guardò Neck negli occhi. Il silenzio era rotto soltanto
dal rumore ritmato dei piedi, che battevano con forza sul tapis
roulant.
«Complimenti» disse Artes. «Hai dimostrato che con
l’impegno si può ottenere tutto.»
«Artes, sei sempre così corretto e leale. Mi disgusti. È vero, mi
sono impegnato, ma quello che vedi è niente rispetto a ciò che
voglio diventare. La mia massa muscolare è quadruplicata. La
mia resistenza agli sforzi è virtualmente infinita, ma non mi
basta.»
«Perché non ti basta?»
«Non mi basta perché voglio continuare a migliorare. Tra
poco tempo sarò laureato e uscirò da questo campus. Sarò ancora
più forte, e cercherò un uomo che mi ha deriso e umiliato. E
quando lo avrò trovato, è probabile che mi vendicherò» aggiunse,
continuando a correre a ritmo sostenuto.
Artes sentì un brivido corrergli lungo la schiena. «Lo conosco?» domandò, simulando a fatica un tono rilassato.
«Sei tu! Pensavi che mi fossi dimenticato di tutto, e che ti
avessi perdonato?»
Neck aumentò istintivamente il ritmo di corsa. Il tapis roulant cigolò, schiacciato dal peso del corpo lanciato a folle velocità.
«Non era mia intenzione danneggiarti» rispose Artes, cosciente della propria inferiorità in un ipotetico scontro con Neck.
«Ma lo hai fatto! Immagina un ragazzo che ha dei seri problemi a inserirsi, e a integrarsi con il resto degli studenti. Quel
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ragazzo ero io! Sono stato deriso, perché volevo corteggiare una
ragazza che interessava anche a te. Quante speranze potevo
avere?»
«In amore vince il più forte, non esistono regole.»
«È vero, infatti ho cercato di sminuire la tua popolarità fra gli
studenti, ma ho fallito. Erano tentativi puerili, ora me ne rendo
conto. E tu mi hai punito. Non mi hai toccato nemmeno con un
dito, eppure mi hai umiliato di fronte a tutti, con quel colorante
arancione.»
Artes allargò le braccia, come a dire che non aveva avuto altra
scelta.
«Ora sei qui Artes, di fronte a me con quel tuo atteggiamento
spavaldo che mi ha sempre irritato. Ho covato rancore nei tuoi
confronti, fin dal primo giorno che ti conobbi. Ma stai tranquillo, qui sei al sicuro!»
«Non ti temo» commentò Artes con poca convinzione.
«Bravo. Tuttavia guardati le spalle dopo la laurea, perché io ti
troverò e ti coglierò di sorpresa. E mi divertirò a farti soffrire!»
Artes contrasse i muscoli e si preparò alla lotta, seppure fosse
cosciente che sarebbe caduto al primo colpo.
«La vendetta è un piatto che va servito freddo» disse Neck.
«Ma ora voglio un antipasto!» urlò, scagliando la freccetta verso il
viso di Artes.
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ONNIPOTENZA
Artes si fece cogliere alla sprovvista dal gesto fulmineo, e gli
mancò la prontezza di riflessi per spostarsi in tempo. Sentì lo
schianto della freccetta che penetrava con forza nel muro.
«Potevo colpirti» precisò Neck. «Ma non ho voluto. Ora
tranquillizzati e ascoltami» proseguì, continuando a correre.
Artes era scosso. Posò lo sguardo su un bizzarro coltello appoggiato su una poltrona logora e piena di cianfrusaglie. Doveva
distrarre Neck, e afferrare l’arma al più presto.
«È un coltello vichingo» disse Neck. «La lama è lunga venti
centimetri. Ha l’impugnatura in corno, decorata a mano. Vale
una fortuna, ma puoi prenderlo se ti piace» aggiunse con
indifferenza.
Artes era incerto. Le parole di Neck sembravano una sfrontata provocazione per invogliarlo ad agire. Decise di rinunciare.
«Rilassati Artes. Sei fisicamente inferiore e ti potrei sopraffare
con estrema facilità, ma non è mia intenzione. Voltati, e guarda il
punto che ho colpito con la freccetta.»
Artes si girò e vide un appariscente poster appeso al muro.
Era colorato, formato da un collage di fotografie che avevano
immortalato turisti in costume da bagno, muscolosi canoisti, e
luci colorate di feste in spiaggia. In mezzo al poster spiccava la
scritta “Maiorca!”.
La freccetta aveva centrato esattamente il puntino del punto
esclamativo. Guardò Neck con aria perplessa.
«So che cosa stai pensando» disse Neck. «Credi che sia stato
un caso.»
Artes annuì.
«Passami la freccetta, e indicami una persona sul poster»
propose Neck.
Artes estrasse con fatica la freccetta e la passò a Neck. Si concentrò sul poster, e scelse un piccolo particolare. Appoggiò
l’indice vicino al cappello rosso di un’anziana signora. Un istante
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dopo una freccetta si materializzò a un centimetro dal suo dito.
Artes sobbalzò, e guardò nervosamente Neck.
«Ora sei convinto?» chiese Neck. «Posso colpire con assoluta
precisione qualunque punto.»
«Come ci sei riuscito?»
«Grazie al risentimento. Ti odiavo a tal punto che mi impegnai nella chimica.»
«A dire il vero, non sei mai stato un fenomeno.»
«Esatto. I professori mi hanno sempre denigrato e accusato di
essere uno studente mediocre. Eppure l’odio mi ha spronato a
sperimentare nuove formule, e a lavorarci fino a venti ore al
giorno. Tu avresti raggiunto i miei stessi risultati, ma in metà
tempo.»
«È probabile.»
«Mi serviva una totale concentrazione, ma il mio compagno
di stanza mi intralciava. Così l’ho pagato per convincerlo ad
allontanarsi. Ogni mese gli offro del denaro e qualche dritta sulle
scommesse. È un accanito scommettitore, e ho i miei sistemi per
dargli dei pronostici attendibili.»
Artes ascoltò interessato, ma continuò a guardarlo con sospetto.
«Ho inventato una sostanza che è l’essenza della divinità»
proseguì Neck. «L’ho chiamata la Folgore di Dio.»
«Quindi pensi di essere un Dio?»
«Io sono un Dio! Non posso spiegarti il funzionamento della
formula perché sei stupido. Siete tutti ottusi, come lo ero io in
passato. Vuoi sapere come l’ho inventata?»
«Presumo che ti abbia usato delle sostanze che hanno incrementato la potenza ormonale, e poi hai condotto degli esperimenti pilota per misurare i risultati.»
«No! Ti ho detto che ero stupido. Ci sono riuscito per caso.
Sai come hanno inventato i biglietti adesivi removibili?»
«Immagino che abbiano ideato un collante blando, con poca
tenuta.»
«Sei completamente fuori strada. Erano partiti con l’obiettivo
di inventare una super colla, ma hanno fallito. Per puro caso
hanno scoperto una sostanza adesiva che si stacca e si riattacca.
La colla è nata da un errore, capisci? Anch’io ho commesso un
errore.»
«A volte accade. Sei stato fortunato.»
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«Sono stato fortunato perché lo meritavo. Volevo inventare
una formula che aumentasse la forza, e invece ho scoperto una
sostanza che potenzia le capacità innate di resistenza, energia,
intelligenza, e facoltà deduttive.»
«Te la sei somministrata direttamente? Senza fasi intermedie?»
«Sì.»
«Hai rischiato molto …»
«Non avevo scelta. Mi mancava l’attrezzatura per testarla e
non avevo dei pazienti selezionati che la assumessero volontariamente. Eppure non mi pento, perché ho ingerito la sostanza e
ho scoperto un mondo nuovo. Non puoi immaginare quello che
riesco a fare. Ti piacciono i puzzle?»
«Qualche anno fa frequentavo una ragazza che li comprava»
rispose Artes, spiazzato dall’improvviso cambio di discorso.
«Erano la sua passione, e ne completava uno ogni settimana.»
«La tua ragazza era intelligente, ma io ho sempre odiato i
puzzle, forse perché faticavo a risolverli. Anche ora li detesto, ma
per un motivo diverso. Sono facili e noiosi, come quello»
aggiunse, indicando una scatola. «Prendila.»
Un’ape si era posata sul puzzle. Artes la allontanò con un
movimento della mano e afferrò la scatola. Sulla parte frontale
spiccava l’immagine di un terreno coperto di pini marittimi. La
boscaglia si affacciava su un mare cristallino, su cui si rifletteva il
cielo azzurro. Era un puzzle difficile perché i colori principali
erano il verde e l’azzurro. Inoltre era composto di 8000 pezzi, un
numero molto alto.
«Aprila» disse Neck.
Artes aprì la scatola. Ogni pezzo era numerato sul retro con
dell’inchiostro blu. Pareva la calligrafia di un bambino.
«Sai perché li ho numerati?» chiese Neck.
«Per comodità. Anche la mia ragazza li completava e li numerava. Ad esempio, in questo puzzle il primo pezzo a sinistra è il
numero uno, e l’ultimo a destra è l’ottomila. Dopo che lo hai
terminato, puoi riporlo nella scatola, e in seguito ricomporlo
velocemente per incorniciarlo, senza ricominciare da capo.»
«Giusto, ma io ho osservato il pezzo e ho compreso subito in
che posizione doveva essere incastrato. Ho visualizzato l’intero
puzzle, senza assemblarlo materialmente. Ho impiegato più
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tempo a scrivere il numero sul pezzo, che a capire in quale
posizione dovevo collocarlo.»
«Hai sviluppato delle capacità eccezionali.»
Neck indicò l’ape che ronzava nei pressi di Artes. «Guarda
quell’ape Artes. Secondo le leggi dell’aeronautica è impossibile
che un’ape riesca a volare. Da un punto di vista scientifico il volo
delle api è irrealizzabile, a causa di uno squilibrato rapporto fra la
superficie alare e il peso del corpo. Le ali sono troppo piccole, e il
corpo pesa troppo.»
«Eppure l’ape ci riesce» ribatté Artes. «Gli ultimi studi hanno
svelato che le piccole ali creano dei vortici di bassa pressione,
fornendo la spinta necessaria per sollevarsi. Da quel momento,
l’ape vola, grazie all’altissima frequenza dei battiti d’ala.»
«Sei informato, eppure è difficile riprodurre il modello aerodinamico delle api. I ricercatori si sono impegnati per anni, ma
hanno ottenuto pochi risultati. Io ho osservato l’ape, comprendendo le traiettorie. Posso influenzare il volo e spingerla a posarsi
sulla camicia a fiori.»
Neck scese dal tapis roulant, afferrò una rivista ed eseguì una
serie di ampi e vigorosi movimenti, creando degli spostamenti
d’aria. Sembrava che stesse scacciando una mosca, ma dopo
alcuni istanti l’ape si diresse verso la camicia e si posò sul tessuto.
«Bingo!» disse soddisfatto, buttò per terra la rivista e risalì
sull’attrezzo, riprendendo a correre.
«Incredibile» commentò Artes aggrottando la fronte. «Con la
Folgore di Dio rischi il delirio di onnipotenza.»
«All’inizio ne ero convinto anch’io» esclamò Neck. «Ma poi
arrivò la doccia fredda. Le proprietà della Folgore durano
soltanto cinque ore, e dopo mi assalgono dei dolori atroci. Il
fisico e la mente patiscono il super lavoro, costringendomi ad
assumere degli antidolorifici per sei giorni consecutivi. Emicranie
e crampi sono i sintomi più forti e frequenti.»
«Ti suggerisco di cercare una soluzione, mentre sei sotto
l’effetto della Folgore. Dopotutto in quei momenti sei super
intelligente.»
«Pensi che abbia trascurato una soluzione così banale? Secondo te, perché corro come un forsennato su quest’attrezzo?»
«Credevo che volessi sperimentare la tua resistenza fisica,
però ho notato che sei più quieto quando corri.»
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«Esatto. La Folgore mi dona una grande energia mentale e
fisica, ma è troppa. Ragiono velocemente quando sono immobile, tuttavia percepisco un fortissimo senso di disagio fisico, come
se il corpo mi implorasse di usarlo.»
«È chiaro che hai troppo energia mentale. Sei spronato ad
agire perché è l’unico modo per espellere la vitalità in eccesso.»
«Hai ragione, infatti rifletto più chiaramente se impegno il
corpo in una stancante attività fisica, però la mia intelligenza
subisce un tracollo. Quando corro sono molto più intelligente
dell’uomo medio, tuttavia sono lontano dalle vette che posso
raggiungere quando il mio corpo è a riposo.»
«Potresti fermarti, per pensare alla soluzione. E poi pronunciarla ad alta voce, registrandoti.»
«Il grande Artes! Se tu non esistessi, qualcuno ti dovrebbe
inventare» commentò ironico. «Quando sono fermo, i pensieri
ruotano vorticosamente e la mia intelligenza si espande
all’infinito. Purtroppo la parola è un sistema arcaico per esprimersi, e i miei pensieri sono così veloci che mi è impossibile
pronunciarli. Ho tentato e ritentato, ma con lo stesso risultato.
Quando mi riascolto, sento solo un gran farfugliare.»
«Ora capisco perché parlavi rapidamente quando hai aperto
la porta. Sembravi iperattivo.»
«È vero, ero elettrizzato. Inoltre stavo correndo da molte ore
e ho formulato delle frasi banali, di circostanza. Non potevo
esprimere dei concetti più elevati, altrimenti avrei parlato in
modo confuso e mi avresti compreso a stento.»
«Potresti scrivere.»
«Non funzionerebbe, hai visto come ho scribacchiato i numeri sui pezzi dei puzzle. Ho faticato molto per riuscire a scrivere in
modo leggibile, e nel frattempo fremevo per la voglia di riprendere subito l’attività fisica.»
«Sei come un cannone potentissimo che al momento dello
sparo vibra troppo, al punto da modificare la traiettoria del
colpo. Devi stabilizzare il cannone, cioè te stesso.»
«Mi sei poco utile, nonostante la tua bella metafora. Sono al
limite del collasso fisico e nervoso. Sento che l’assunzione di
un’altra dose sarebbe fatale.»
«Prosegui gli studi, e consentimi di aiutarti.»
«Tu, stupido umano! Dovrei dedicarti un mese per insegnarti
una piccola parte di quello che io ho appreso in pochi giorni,
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sotto l’effetto del potenziamento. L’invenzione è mia, e morrà
con me. Distruggerò tutto ciò che ne rimane.»
«Sarebbe un errore madornale. La Folgore ci renderà ricchi e
famosi!»
«Ho detto di no! Tuttavia apprezzerei il tuo aiuto se mi sostenessi nei prossimi giorni. Detesto ammetterlo, ma sei l’unica
persona che può aiutarmi.»
«È grottesco. Dopotutto non sono un tuo amico, bensì il tuo
“migliore nemico”.»
«Infatti, ma sono sull’orlo del baratro e non me la caverò da
solo. In tutta sincerità non so a chi affidarmi. Inoltre tu hai un
debito morale nei miei confronti.»
«Ti aiuterò» disse Artes annuendo. «Forse sarà un’occasione
per riconciliarsi.»
«Il valoroso Artes» disse Neck infastidito. «Anche se devo
ammettere che avevi ragione quando mi rimproverasti di essere
forte con i deboli. Durante il periodo degli esperimenti, ebbi la
fortuna di conoscere una ragazza che si innamorò di me. Non
chiedermi che cosa la spinse a sopportarmi nel periodo più
snervante della mia vita.»
«Non è difficile da capire. ”L’amore è cieco”, dice un aforisma. Tutto sommato, ha un fondo di verità.»
«È vero, ma la sua pazienza terminò. Mi lasciò, urlando che
avevo approfittato della sua debolezza, così mi ricordai delle tue
parole. Ho perso una persona stupenda» concluse rammaricato.
«Potrei aiutarti a ricucire il rapporto. Me la cavo bene in
queste cose.»
«Artes il consulente matrimoniale!» sbottò Neck, rischiando
di inciampare sul tapis roulant. «Non so cosa mi trattenga
dall’annodarti le gambe al collo» aggiunse, recuperando
l’equilibrio.
«Non ti conviene Neck. Io ti servo. Inoltre vorrei coinvolgerti
in un progetto.»
«Quale?»
«Ti confesso che penso spesso a quando conseguirò la laurea,
e aprirò un’attività in proprio. Però non intendo condividere i
miei studi con degli sconosciuti.»
«Non ti fidi?»
«Esatto, vivrei nel timore che qualcuno mi soffi gli affari più
vantaggiosi.»
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«Capisco, ma perché hai pensato a me?»
«Preferisco scegliere una persona determinata, proprio qui, al
campus. Mi hai stupito, anche se ritengo che tu abbia reagito in
maniera eccessiva perché eri animato dalle motivazioni sbagliate.
Ti aiuterò a disintossicarti, ma in cambio mi offrirai tutte le
informazioni sulla tua recente esperienza.»
«Tutto quanto, tranne la Folgore!»
«Ok, ma pretendo anche il resto, incluse le dritte sulle scommesse. Da oggi le suggerirai soltanto a me.»
***
Artes osservò Neck che armeggiava con la strumentazione del
laboratorio. Al termine degli studi universitari, avevano affittato
il locale e fondato una società. All’inizio il loro sodalizio era stato
complicato, spesso burrascoso e tempestato da violenti litigi.
Tuttavia l’allontanamento dal campus aveva contribuito a
soffocare gradualmente i vecchi rancori, e a spostare l’attenzione
sul denaro.
«Stai ancora lavorando su quell’alcheno?» chiese Artes, riferendosi al microscopio su cui trafficava Neck.
«Sì, gli ho dichiarato guerra aperta e la vincerò io» rispose
Neck, spostandosi un ciuffo dagli occhi.
«Quando ti deciderai ad accorciare i capelli? Ieri hai spaventato una cliente.»
«Intendi la signora Luand? Tornerà, nonostante i miei capelli
lunghi. L’hai stregata con il tuo sorriso. Era talmente luminoso
che la povera signora ha perso almeno una diottria» commentò
sorridendo.
«Speriamo che ci confermi il lavoro» replicò Artes. «Dopo la
laurea eravamo carichi di entusiasmo, perché le proposte
lavorative erano numerose. Ma ora i clienti sono contati, non mi
piace.»
«Non preoccuparti, è soltanto un periodo negativo. Il mio
settore è più stabile del tuo, e ci fornisce dei guadagni costanti.»
«Sono costanti perché ti sei adattato! In passato lavoravi sulla
chimica organica legata alle sperimentazioni scientifiche, ma ora
realizzi dei pesticidi per le aziende agricole. Non e molto
gratificante …»
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«Guarda il lato positivo! Ogni tanto mi sbizzarrisco con qualche agricoltore, e inventiamo dei distillati eccellenti. Essere un
chimico ha i suoi aspetti esaltanti.»
«Hai sbagliato l’aggettivo, volevi dire “ubriacanti”.»
«Esatto!» confermò Neck ridendo.
«Mi fa piacere che ti diverti, ma io ho poco da ridere. È difficile riciclare le mie competenze. La chimica computazionale è
una scienza a senso unico.»
«È ovvio, perché è terribilmente noiosa! Come riesci a stare
sveglio?»
«Non è per niente noiosa. Mi affascina prevedere i risultati
delle simulazioni in campo chimico, perché è come indovinare il
futuro. Però sto lavorando con la metà del mio potenziale. Mi
limito a formulare dei modelli, invece dovrei intervenire su di
essi, al cento per cento. Vorrei inventare una simulazione più
incisiva di quella attuale, e scommetto che ci riuscirò, capellone!»
«Capellone? Lo sai che ho deciso di lasciarli crescere per coprire il collo. E poi mi danno forza, come a Sansone.»
Artes sorrise. «Allora te li taglierò a zero, come accadde a lui.
E tornerai a essere un uomo debole, molto più fiacco di me.»
«Tra noi due, tu sei sempre stato il più forte» disse Neck,
abbuiandosi in volto. «Tranne che in quel periodo.»
Artes annuì comprensivo, appoggiando una mano sulla spalla
di Neck. «Sono passati quattro anni, non continuare a rivangare
il passato.»
«Quattro anni, eppure mi sembrano una vita» commentò
Neck amareggiato. «È stato doloroso disintossicarsi dalla Folgore
di Dio. Senza di te sarei probabilmente morto. Il recupero fisico è
stato duro, ma la vera sfida è stata riabituarsi alla mia mente
originale, piccola e mediocre. Mi sento più stupido che mai.»
«Adesso esageri! Consolati pensando che avevi raggiunto uno
stato mentale inimmaginabile. E ci sei riuscito soltanto tu.»
«È una magra consolazione. Mi sento un fallito, come Napoleone che fu confinato in esilio sull’isola d’Elba, dopo una vita di
successi e onorificenze. È brutto vivere, se sei rattristato dalla
mancanza di qualcosa che non tornerà mai più.»
Il computer emise un suono cristallino, notificando l’arrivo
di una nuova mail.
Artes si avvicinò per leggerla, lieto del diversivo che gli consentiva di cambiare discorso.
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«La signora Luand ha confermato il lavoro!» gongolò Artes.
«Un altro gol per il fuoriclasse Artes» esultò Neck. «Festeggiamo con un distillato speciale. Proviene dalle cantine del signor
Verri. Ti puoi fidare di lui, gestisce un agriturismo e si vanta di
essere un vero intenditore di liquori.»
Neck aprì un cassetto dell’archivio. Spostò un voluminoso
pacco di carta e prese una bottiglia.
«E quella da dove arriva?» chiese Artes stupito.
«L’ho conservata per le grandi occasioni, assaggiamola!» aggiunse sorridente.
Afferrò due bicchieri di plastica dal distributore d’acqua, e
versò il liquido ambrato. «Ne basta poco, raggiunge i quaranta
gradi alcolici.»
«Salute!» dissero entrambi, alzando i calici improvvisati e
svuotandoli in un solo sorso.
Artes avvertì un forte e piacevole senso di calore, seguito da
un’improvvisa mancanza di respiro.
«È buono, vero?» disse Neck con voce rauca, respirando a
fatica. «Vedrai che passa subito.»
«È una bomba alcolica!» gemette Artes. «Pensavo di morire
asfissiato! Cosa diavolo è?» aggiunse, asciugandosi le lacrime agli
occhi.
«Si chiama Poteen. È un liquore fabbricato clandestinamente
in Irlanda. In passato, ogni famiglia irlandese possedeva il
proprio alambicco.»
«Ma quale frutta hanno utilizzato? Un bicchiere di benzina è
molto più digeribile di questo intruglio!»
«Nessun frutto, lo ottengono dalle patate!»
«Incredibile, eppure è eccezionale questo Poteen. Mi sento un
leone!»
«Davvero? Sono riuscito a scuotere il razionale Artes, mille
punti per me!»
«Dieci, otto, quattro, due, sei, uno, sei!»
«Che cosa stai dicendo?» chiese Neck, alzando la voce in preda all’euforia alcolica.
Artes mimò il sollevamento di un bilanciere. «È il numero
della mia tessera di pesistica! L’ho rammentata all’improvviso,
nonostante siano passati dieci anni da quando frequentavo la
palestra. Ricordo anche la bellissima Svea. Insegnava spinning, ed
era un vero schianto!»
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«Sei il solito seduttore, e come al solito mi lasci le briciole.
Sono sempre stato un imbranato con le femmine, fin dai tempi
dell’asilo. Aida, Ruby, Jonas, Lisa!» strillò euforico.
«E questi chi sarebbero?» chiese Artes, con voce impastata.
«Erano i miei compagni dell’asilo. Saranno passati più di
vent’anni, eppure ora li ricordo benissimo. E Jonas possedeva un
cane dalmata che aveva chiamato Terry. Sono il migliore!»
concluse, esultando come se avesse segnato una meta.
«Ora tocca a me. Quarantasei, di cui quattro rotti. Era la casa
di mia nonna, ed erano i gradini che dovevo salire prima di
arrivare alla sua porta. A quei tempi avevo tre anni!»
«Ma eri soltanto un bambino! Artes, non puoi esserne certo.»
«E invece sono sicuro, e aggiungo che un suo vicino possedeva una Lancia Aurelia rossa con il volante di pelle. Ho vinto io!»
proseguì Artes, afferrando Neck e trascinandolo in un folle
balletto.
«Ok, basta, mi gira tutto!» gemette Neck, appoggiando un
ginocchio a terra per evitare di cadere.
«Mi spiace, ma questo liquore mi sta martellando il cervello»
gemette Artes. «Tra qualche ora starò malissimo.»
«Io no» disse pensieroso Neck, reggendosi la testa. «Sono
frastornato, come se avessi girato per due ore su una giostra. Ma
non tremo, tutt’altro» terminò enigmatico.
«Invece io mi sento svenire. Esco a fare due passi, e a prendere una boccata d’aria. Anzi, ci vedremo domani. Ho deciso che la
mia giornata lavorativa è terminata» aggiunse, barcollando verso
la porta.
«Ok, a presto» rispose Neck.
«Speriamo di ritrovarci qui, e non al pronto soccorso» disse
Artes, assalito da un forte senso di nausea.
***
Artes fissò il monitor del computer. Il display visualizzava
l’enigmatica mail inviata da Neck. La sbornia era passata, ma
l’indomani Neck non si era presentato al laboratorio. Artes aveva
tentato di contattarlo e sperato che si ripresentasse nei giorni
successivi, ma Neck era scomparso senza dare spiegazioni.
Le settimane erano passate veloci, finché aveva perso la speranza di rivederlo. Erano trascorsi sei mesi dal loro ultimo saluto,
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e ora non sapeva che cosa pensare di quell’inaspettata e-mail.
Tornò all’inizio della schermata, e la lesse per l’ennesima volta.
“Ciao Artes, sono Neck. Appena ci rivedremo ti spiegherò le
ragioni della mia scomparsa. Nel frattempo ti prego di seguire
scrupolosamente le mie istruzioni. Prendi la metropolitana.
Scendi alla fermata 13. Sali la scala e svolta a destra. Vedrai un
cestino dei rifiuti. Controllalo sul retro e troverai una busta. A
presto. Neck.”
Era la quinta volta che rileggeva il messaggio, nell’eventualità
di scoprire qualche dettaglio che lo illuminasse. Nutriva dei forti
dubbi sull’autenticità della mail. Il messaggio era stato spedito da
un sito anonimo che non prevedeva la possibilità di rispondere al
mittente. Neck mancava da sei mesi. Aveva spento il cellulare,
rendendosi irraggiungibile. Era scomparso, inghiottito dal nulla.
Un sms avrebbe dato qualche garanzia in più, ma l’e-mail
anonima era sospetta. Temeva che Neck fosse stato sequestrato, e
dubitava che qualcuno volesse chiedere un riscatto.
Gli ultimi mesi erano stati duri. La scomparsa di Neck aveva
decretato il tracollo della loro società. Artes si era procurato un
lavoro da butta dentro. Al colloquio aveva sbaragliato la concorrenza, poiché era più prestante e colto degli altri candidati,
eppure la considerava una vittoria amara e umiliante. Tuttavia
era un mestiere ben retribuito e facile da eseguire, perché la
tessera del club era costosa e il locale era frequentato soltanto da
benestanti annoiati.
Si alzò di scatto e uscì dall’ufficio, sbattendo la porta. Era
convinto che si sarebbe pentito della decisione. Scese le scale,
rimuginando sulla pessima idea di associarsi con Neck.
***
In strada, osservò distrattamente la macchia variopinta formata dalle persone che si alternavano sul marciapiede. Mantenne
un ritmo blando, guardandosi intorno ogni tanto, perché aveva
la sensazione che qualcuno lo seguisse. La gente si scostava per
evitare di scontrarsi con il suo fisico massiccio. Ed era un bene,
altrimenti al primo urto accidentale sarebbe scattato come una
molla.
Scese i gradini e si avvio verso la biglietteria automatica. Inserì le monete nel distributore di biglietti e rifletté sulla fermata 13.
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Non capiva perché Neck l’avesse scelta. Un signore borbottò
impaziente. Artes prelevò in fretta il biglietto. Si avvio verso la
fermata della metropolitana e si sedette su una panchina,
mettendo le mani in tasca. Si sentiva immerso in un film noir,
come se fosse un detective che indagava sulle torbide vicende di
scommettitori e donne di malaffare.
Si guardò intorno per identificare eventuali nemici, ma giunse alla conclusione di essere circondato da gente comune. Una
signora attempata indossava una pelliccia logora. Un ragazzo
ascoltava la musica usando le cuffie del cellulare. Una donna
avvenente flirtava con un uomo corpulento dai capelli rossi.
Sentì il rumore della metropolitana che si avvicinava. Poco
dopo, il convoglio si fermò pigramente di fronte alla sua panchina. Si alzò, ed entrò lentamente. L’anziana signora gli tagliò la
strada e lo squadrò con occhi arroganti, ma Artes le restituì lo
sguardo. Lei si allontanò inquieta, stringendosi al petto la vecchia
pelliccia. Il vagone era semivuoto. Artes preferì sedersi in un
posto vicino all’uscita.
Un segnale acustico segnalò l’imminente chiusura delle porte.
La donna attraente entrò rapida, seguita a ruota dall’uomo
imponente. Il convoglio ripartì e la donna si guardò intorno con
aria smarrita. Si sedette vicino ad Artes. Aveva un buon profumo
e la sua provocante scollatura prometteva notti infuocate. Anche
l’uomo dai capelli rossi doveva pensarla allo stesso modo, poiché
si sedette vicino a lei.
Lei abbassò lo sguardo. «Perché mi ha seguito? Per piacere mi
lasci stare.»
L’uomo fissò sfacciatamente la scollatura. «Prima mi stuzzichi e poi vorresti allontanarmi? Cattiva bambina, meriteresti una
bella sculacciata.»
«Io non ho provocato nessuno, è lei che si è avvicinato ...»
«Certo, voi donne dite sempre le stesse cose. Sostenete di
essere delle sante e accusate gli uomini, incolpandoli per la loro
cattiveria. Ci sommergete di parole per convincerci che avete
ragione, ma avete poca sostanza, siete soltanto chiacchiere.»
La donna si girò verso Artes, guardandolo con occhi imploranti per spronarlo a difenderla. Artes non ebbe il tempo di agire
perché la ragazza si alzò di scatto, e sedette più distante, vicino
alla signora impellicciata che lo fulminò con lo sguardo. Le due
donne iniziarono a parlare a bassa voce.
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Artes guardò l’uomo dai capelli rossi e notò il tatuaggio
all’altezza dell’occhio, sulla tempia destra. Era una piccola M,
schiacciata e arrotondata. L’uomo lo guardò e strizzò l’occhio,
alzando le spalle in un segno di disappunto.
«È andata male, ma dopotutto sono soltanto femmine» disse
ad Artes, in tono indifferente. Poi si chiuse in un religioso
silenzio, ignorando tutti e giocherellando con un appariscente
anello d’acciaio che si passò lentamente da un dito all’altro.
La metropolitana rallentò sino a fermarsi. Le porte si aprirono. Salì un uomo con un cane di taglia media al guinzaglio. Lo
sconosciuto si sedette di fronte ad Artes, e il cane si accucciò
vicino alle gambe del padrone. L’uomo aveva un fisico atletico, e
capelli folti di un nero corvino. I suoi gesti erano sciolti e decisi.
Artes si insospettì. Lo sconosciuto pareva uscito da un classico romanzo di spionaggio. Si chiese se ai cani fosse concesso di
salire in metropolitana, e dubitò che l’animale fosse soltanto un
pretesto per distrarlo.
“Sto ragionando come un paranoico” pensò turbato.
La metropolitana si arrestò alla fermata tredici e Artes scese.
Camminò lentamente, valutando il momento più opportuno per
voltarsi e controllare se qualcuno lo stesse pedinando.
Salì sulla scala che conduceva all’esterno. Si presentò
un’occasione propizia quando a un bambino cadde il sonaglio.
Artes si affrettò a raccoglierlo e lo porse alla mamma, approfittandone per dare un’occhiata furtiva intorno a sé. A pochi metri
di distanza, lo seguiva l’uomo con il cane. Lo sconosciuto
camminava con calma, come se volesse tallonarlo.
Artes salì la prima rampa di scale a un ritmo blando, ma accelerò il passo a quella successiva. Arrivò in cima e svoltò a destra,
cercando il cestino della spazzatura. Lo vide quasi subito e si
avvicinò rapido. Prese da terra un opuscolo che pubblicizzava un
ristorante argentino. Finse di buttarlo al volo nel cestino,
sbagliando volutamente la mira. Si chinò a raccogliere il dépliant,
approfittandone per tastare il retro del contenitore. La busta era
fissata con del nastro adesivo. La strappò delicatamente e la
osservò con attenzione. Era una busta azzurra, morbida al tatto
perché composta di materiale antiurto.
«Mi scusi» disse una voce che lo fece sobbalzare.
Artes si voltò di scatto, trovandosi il muso del cane all’altezza
degli occhi.
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«Se non le dispiace, dovrei buttare questo pacchetto di sigarette» disse l’uomo della metropolitana. «Purtroppo ho il vizio
del fumo e finisco un pacchetto dopo l’altro» aggiunse, schiacciandolo tra le mani.
Artes si alzò titubante, ed ebbe l’assurda sensazione che il
cane lo guardasse con occhi interrogativi.
«Mi scusi» disse borbottando.
Si allontanò rapido, a testa bassa. Svoltò l'angolo e iniziò a
correre, evitando con difficoltà le persone che giungevano dalla
direzione opposta.
Dopo qualche minuto si fermò a rifiatare, sfiancato più dal
nervosismo, che dalla fatica fisica. Si guardò intorno e vide
soltanto facce sconosciute. Pensò di avere seminato l’uomo, e
prese atto che durante la corsa aveva stretto convulsamente il
pacco.
Sperò che non contenesse qualcosa di delicato. Si appartò in
un angolo della strada e aprì la busta. Aveva il timore di vedere
una parte del corpo di Neck. Aveva visto dei film gialli, dove il
protagonista trovava il lembo di un orecchio dentro un sacchetto.
Pregò che ci fosse tutt’altro.
Estrasse una penna stilografica e sospirò di sollievo. Qualcuno aveva inciso la scritta “Esplorami”. Tolse il cappuccio e
guardò bene la penna, ma senza trovare altre scritte. La aprì e
tolse il contenitore d’inchiostro. Lo guardò controluce, senza
notare niente di anomalo, ma forse non era inchiostro. Rimontò
la penna e scarabocchiò sulla busta, tuttavia annusando il liquido
costatò che l’odore era giusto. Perplesso rimise il cappuccio, ma
la chiusura si fermò un attimo prima del click. Esaminò il
cappuccio, e intravide un sottile pezzo di carta velina che
avvolgeva la parte interna.
Si guardò intorno per cercare qualcosa di appuntito. Raccolse
da terra una scheggia di legno e la sfregò contro il muro per
renderla aguzza. La usò per estrarre il foglietto.
Lesse con ansia le poche parole “Prendi un taxi. La via è quella della Lancia. Il numero è quello dei gradini”.
Ora ne era certo, era senz’altro Neck! Soltanto lui poteva
conoscere i particolari di quella sera, che risaliva a sei mesi prima.
Chiamò un taxi e salì. «Conosce una Via Aurelia, oppure
qualcosa di simile?» chiese all’autista.
L’uomo annuì.
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«Perfetto, mi porti al numero 46» ordinò.
Il tassista lo guardò dallo specchietto. Gli lanciò un’occhiata
perplessa, ma partì senza dire una parola.
«Qualche problema?» chiese Artes, insospettito dalla bizzarra
reazione dell’autista.
«Nessun problema, il cliente ha sempre ragione. Arriveremo
in dieci minuti.»
Artes trascorse in silenzio il resto del tragitto, interrogandosi
sui motivi di tanta segretezza. Neck era un tipo diretto e concreto, ma ora agiva come una persona sfuggente e timorosa.
Arrivarono a destinazione, e comprese la precedente perplessità dell’autista. La zona era misera e fatiscente. Le poche persone
in strada si fermarono incuriosite, e fissarono il taxi.
«Perché ci guardano?» chiese Artes.
«È raro che qualcuno giunga in questo quartiere, sopratutto
in taxi.»
Artes pagò la corsa e scese. Si guardò intorno, valutando la
prossima mossa. Era giunto nel luogo d’incontro, e ora? Intorno
a sé vide soltanto una fabbrica abbandonata e una casa diroccata.
Notò un uomo a testa china che raccoglieva da terra le cartacce,
infilzandole con un bastone acuminato. Il viso dello spazzino era
parzialmente coperto da un cappello logoro, calcato sulla testa.
L’uomo si avvicinò ma proseguì nel suo lavoro, mostrando le
spalle ad Artes.
«Artes!» mormorò lo spazzino. «Non dire una parola!»
Artes riconobbe la voce di Neck. Voleva delle spiegazioni
immediate, ma riuscì a trattenersi.
«Guarda altrove e seguimi a distanza» aggiunse Neck.
Neck si diresse verso la casa abbandonata, continuando a
raccogliere le cartacce. Artes lo sorvegliò con la coda dell’occhio,
fingendo di usare il cellulare. Neck si avvicinò alla cadente
staccionata, buttò il bastone, e sparì in un’apertura dello steccato.
Artes si avvicinò, infilandosi nell’ampio squarcio.
All’interno l’erba era alta, e la spazzatura era ammucchiata
ovunque. Neck lo fissava con occhi terrorizzati.
«Neck perché tutto questo mistero? Pensavo ti fosse accaduto
qualcosa di grave! Sei impazzito?»
«Mi spiace Artes!» rispose Neck. «Dobbiamo parlare in fretta,
siamo in pericolo di morte!»
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GELO ARTICO
«Neck, sei ammattito! Chi avrebbe interesse a ucciderci? E per
quale motivo?»
«È colpa mia» gemette Neck. «Mi spiace ma l’ho rifatto. Ho
cercato di dominarmi, ma non ci sono riuscito.»
«Non ti capisco, che cosa hai rifatto?»
«Ti spiegherò tutto, ma abbiamo poco tempo. Potrebbero
arrivare da un momento all’altro!» disse inquieto, guardandosi
intorno con occhi sbarrati.
«Chi?»
«Loro! Ti ricordi quella sera con il liquore?»
«Certo che la ricordo, è l’ultima volta che ti ho visto!»
«Hai ragione, dovevo telefonarti. Ma ora ascoltami e smettila
d’interrompermi!»
«Ok» disse Artes, appoggiandosi alla staccionata scrostata e
incrociando le braccia per simulare una tranquillità che in realtà
non provava.
«Quella sera ebbi un’intuizione» cominciò Neck. «Avevamo
bevuto un liquore che esaltava la chiarezza mentale, quindi
fantasticai sugli strabilianti risultati che avrei ottenuto se lo avessi
abbinato alla Folgore. Ero certo di avere trovato l’ultimo tassello
per completare la più grande delle invenzioni.»
«Però era troppo tardi» obiettò Artes. «Quattro anni fa, hai
distrutto i tuoi appunti e hai gettato tutto ciò che rimaneva della
Folgore.»
«Non è del tutto vero, in realtà ho conservato una fiala. Non
mi biasimare, dopotutto ci avevo dedicato molto tempo e mi
sentivo un Dio quando la bevevo. Sono sempre stato un mediocre e ho voluto lasciarmi una porta aperta per il futuro. Ho
conservato la fiala per tutti questi anni, senza mai toccarla. Poi ci
siamo ubriacati ed esaltati, e ho provato l’irrefrenabile voglia di
abbinare le due sostanze, però avevo paura.»
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«È comprensibile. Ti sei disintossicato, ma non è stato facile.»
«Eppure non bastò a frenarmi! Quella sera tu uscisti, ed io mi
cercai di recuperare la lucidità. La testa mi girava. Un po’ alla
volta mi sentii meglio, ma ero tormentato dal pensiero della
Folgore.»
«Non ha resistito alla tentazione …»
«Esatto. Cercai una chiave che avevo quasi dimenticato di
possedere. La usai per aprire il cassetto in cui avevo riposto la
fialetta. Era accuratamente imballata, per evitare che un urto
accidentale la frantumasse. Le mani mi tremarono mentre
rimuovevo la protezione, ed ero atterrito dalla paura di rompere
la fialetta. Inoltre pregavo che il contenuto non fosse evaporato.»
Artes lo guardò interessato. Era affascinato dal racconto, ma
anche preoccupato dallo stato emotivo di Neck.
«La Folgore era intatta!» riprese Neck. «D’istinto trangugiai
un bicchiere di liquore. Poi presi la fialetta togliendo delicatamente il tappo, ma esitai al momento di berla. Tremavo al
pensiero di soffrire, perché sapevo che non sarei sopravvissuto a
un’altra disintossicazione.»
Artes annuì comprensivo.
«Attesi un po’, per tranquillizzarmi. Trascorse un quarto
d’ora e mi sentii meglio, ma l’effetto del liquore era svanito. Bevvi
il secondo e ultimo bicchiere di liquore. Il cuore pareva che
volesse esplodermi nel petto, ma fallii nuovamente! Avevo
terminato il liquore, senza trovare il coraggio di abbinare le due
sostanze. Mi ero giocato l’ultima possibilità!»
Una smorfia di dolore apparve sul viso di Neck. «Tornai a
casa e passai una notte tormentata. Alle prime luci dell’alba,
contattai il signor Verri chiedendogli di ricevermi con urgenza.
Disse di essere impegnato, ma poi rimandò un impegno lavorativo, probabilmente perché lo impietosì il mio tono disperato.
Corsi alla macchina e guidai in uno stato confusionale». Neck
spalancò gli occhi. «Fu un vero miracolo che non abbia investito
qualcuno!»
«Sei stato bravo» gli disse in tono rassicurante.
«Oppure soltanto fortunato» ribatté Neck. «Al mio arrivo
terminai rapidamente i convenevoli, e gli dissi che mi serviva
urgentemente un’altra bottiglia di whisky speciale. Mi inventai
una scusa, confessando che mi ero dimenticato di un’importante
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ricorrenza e che volevo rimediare in extremis con un regalo
originale.»
«Ti ha creduto?»
«Sì, ma disse di avermi regalato l’unica bottiglia che possedeva. Gli era stata donata in Irlanda, da un allevatore di pecore di
razza Suffolk. Aveva dimenticato il nome dell’uomo, tuttavia
ricordava vagamente la posizione della fattoria.»
«Le sue informazioni non furono di grande aiuto ...»
«Ero disperato! Le gambe mi tremavano e mi sedetti pesantemente su una poltrona. Era sfumata l’ultima possibilità di
migliorare la mia misera vita. Ero un fallito, volevo morire.»
«E poi cosa accadde?»
«Il signor Verri fu scosso dal mio profondo sconforto e si
affrettò a rincuorarmi. Mi disse che suo cugino era appena
tornato da una lunga gita in Irlanda, e si offrì di telefonargli
subito. Ascoltai con trepidazione il loro dialogo, sobbalzando
quando sentii che il cugino aveva il whisky! Salutai frettolosamente Verri, e mi avviai dall’uomo che abitava pochi chilometri
più a nord.»
Artes corrugò le sopracciglia. «Però è strano che il cugino non
avesse accennato all’effetto allucinogeno.»
«È quello che pensai anch’io! Guidai nervosamente, tormentato da un pensiero assillante. Perché non aveva parlato
dell’effetto narcotico del liquore? Ti ricordi quella sera? Eravamo
così euforici che rispolverammo dei vecchi ricordi, ed era
improbabile che soltanto noi fossimo predisposti a reagire in quel
modo.»
Neck parlava in tono concitato, agitando le mani con frenesia. Non riusciva a stare fermo e camminava di continuo, schiacciando l’erba alta. Ogni tanto inciampava nelle erbacce ma
recuperava subito l’equilibrio, senza interrompere il racconto.
Tra l’erba calpestata, si intravedevano delle assi rotte con chiodi
arrugginiti, probabilmente appartenenti al vecchio recinto.
«Finalmente arrivai dal cugino» proseguì Neck. «Chiesi di
assaggiare il liquore e mi offrì un bicchierino. Nessun effetto! Era
forte, ma niente di paragonabile alle sensazioni che avevamo
provato quella sera. Dissi che il gusto era strano, e gli chiesi se lo
avesse involontariamente alterato, magari durante il lungo
viaggio. Mi rispose che forse l’aveva comprato già deteriorato, e
disse che avrebbe chiesto il rimborso al proprietario del negozio.»
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«Negozio?»
«Infatti! Mi mancò il respiro quando scoprii che aveva acquistato un liquore “clandestino” da un venditore di souvenir! Era
ovvio che fosse diverso da quello che si era procurato Verri.
Dovevo andare in Irlanda e trovare qualcuno che lo producesse
con un alambicco, in casa propria!»
Neck si fermò a riprendere fiato, pallido in volto. Era immerso nel racconto e da parecchi minuti aveva dimenticato di
guardarsi intorno.
«Presi il primo aereo disponibile e arrivai in Irlanda» continuò Neck. «Verri mi aveva dato qualche indicazione, ma fu più
difficile di quanto immaginassi. Era come cercare un ago in un
pagliaio. Mi affidai alla fortuna, credendo che fosse sufficiente
andare in un’abitazione isolata, suonare il campanello, e offrire
molti soldi per ottenere il liquore. In realtà nessuno si fidava,
perché ero uno sconosciuto.»
«Neck, nemmeno io avrei venduto dell’alcol clandestino al
primo estraneo che si fosse presentato alla porta!»
«Hai ragione, ma non avevo alternative. Mi occorreva del
denaro e aiutai un agricoltore a migliorare il fertilizzante. Feci un
buon lavoro, guadagnandomi la sua fiducia. Mi volle premiare.
Una sera mi portò in un piccolo bar imboscato, dove servivano il
Poteen clandestino. Finalmente ci ero riuscito, anche se l’esito fu
deludente. Mi sentii soltanto brillo.»
Neck si fermò a riflettere, quasi in trance.
«Neck, riprenditi!» lo spronò Artes.
«Ok, scusami. Ultimamente ho dormito pochissimo. Sono a
pezzi» disse, stropicciandosi gli occhi. «Non ottenni alcun
risultato, però compresi il meccanismo. Dovevo guadagnarmi la
fiducia dei contadini, e poi attendere che mi portassero in un bar
gestito da un barista accomodante. Rispettai scrupolosamente il
mio piano, perlustrando i bar dei dintorni. Ogni volta mi
spostavo in una zona nuova, come un vagabondo. Dormivo dove
capitava, e ne risentì la mia salute perché il clima irlandese è una
stravagante alternanza di pioggia e sole.»
Artes gli credette, poiché il viso sciupato di Neck era la prova
evidente dei disagi patiti.
«Ho perso il conto del denaro che ho speso nei bar, e anche
delle volte che mi sono svegliato ubriaco con la testa che esplodeva» proseguì Neck. «Vivevo di espedienti perché il denaro non
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era sufficiente. Giocai spesso d’azzardo, e qualche volta fui
costretto a fuggire perché non potevo pagare. Non mi vergogno a
dire che ho anche rubato, altrimenti sarei morto di fame.»
Artes lo fissò, combattuto tra la comprensione e il biasimo.
Neck era sempre stato un ragazzo complessato, fin dai tempi del
campus. Eppure la recente esperienza lo aveva peggiorato
ulteriormente, riducendolo a un uomo sfiancato e imbruttito.
«Poi una sera avvenne la svolta» proseguì Neck. «Gironzolavo
con Teffia, una ragazza poco carina, ma molto socievole. Si era
infatuata di me e mi portò a conoscere il padre adottivo. Ti
assicuro che quell’uomo era la persona più bizzarra che avessi
mai conosciuto. Viveva in una stanza minuscola che usava come
cucina, distilleria, camera da letto, e persino come pisciatoio
quando era ubriaco. La puzza era asfissiante e il calore insopportabile, ma Teffia mi assicurò che era un luogo magico perché il
liquore aveva un sapore migliore.»
«Lo avevi trovato» lo interruppe Artes sorridendo.
«Sì, ci ero riuscito. L’ignoranza li aveva spinti a credere nella
magia, ma in realtà era il liquore a essere particolare. Mi sorbii
una notte di bevute e di canti irlandesi, ma all’alba presi la
Folgore dallo zaino e strinsi il liquore nell’altra mano. Teffia e
suo padre dormivano profondamente. Uscii in silenzio. Ero
distrutto e il mio corpo implorava un sonno ristoratore, ma ero
troppo eccitato per rimandare l’esperimento. Scesi nel cortile e
mi sedetti in un angolo appartato.»
Una luce si accese negli occhi di Neck. Sembrava in estasi
mentre riviveva le sensazioni di quella nebbiosa mattina in
Irlanda.
«Ero in overdose di emozioni» continuò Neck. «Mi tremava
la mano quando sorseggiai il Poteen clandestino, e il cuore
martellò mentre bevevo la Folgore, in piccola quantità per
ottenere un effetto breve.»
Lo sguardo di Neck si fece vitreo. Le pupille si dilatarono, e il
suo viso assunse l’immobilità di una statua.
«Appoggiai entrambe le bottiglie e attesi. Non sapevo cosa
immaginarmi. Speravo che funzionasse, ma avevo paura di
illudermi e impazzire dal dolore. Mi attendevo uno scoppio di
luci nella testa, oppure di essere proiettato in un’altra dimensione. Avevo immaginato di vedere il mondo dall’esterno, immerso
in un tripudio di sensazioni che si accavallavano nella mia mente.
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Invece non accadde nulla di tutto questo, però le mie paure mi
abbandonarono e divenni estremamente lucido.»
Artes ebbe l’impressione che Neck avesse smesso di respirare.
Ma poi l’amico sbatté le ciglia, riprendendo a parlare.
«Ero seduto, pienamente cosciente di cosa fossi e di dove mi
trovassi. Ero consapevole del mio corpo, a tal punto da percepire
ogni curva del muro irregolare su cui avevo appoggiato la
schiena. Mi alzai, uscendo dal cortile e inoltrandomi sul prato.
Guardai l’orizzonte, comprendendo per la prima volta il concetto
di sfericità della Terra.»
Artes lo guardò affascinato. Finalmente il viso di Neck era
rilassato. Parlava sereno, come un Dio che osservasse con
curiosità il genere umano.
«Fu come un’illuminazione. Mi abbassai per toccare il terreno e vidi delle formiche che procedevano in fila indiana» riprese,
accelerando il ritmo della narrazione. «All’improvviso compresi
quello che avevo studiato molti anni prima. Le formiche
comunicano con i feromoni, lasciando una scia che è un vero e
proprio segnale chimico. Le altre formiche percepiscono l’odore
con le antenne, ma per un fuggevole istante anch’io riuscii a
individuare il feromone. Mi apparve mentalmente la formula
chimica. Avrei potuto ricrearla e potenziarla.»
Neck descriveva con lucidità la propria condizione di super
uomo. Le parole erano affascinanti, ma anche inquietanti.
Artes fu distratto da un rumore in lontananza, tuttavia Neck
riprese a parlare e catturò nuovamente la sua attenzione.
«Alzai lo sguardo e vidi il campo di patate. Era poco curato e
zeppo di erbacce, poiché pagava lo sregolato stile di vita del papà
di Teffia. In quel momento mi meravigliai di quanto la natura
fosse forte e ostinata, nonostante la noncuranza degli uomini. Mi
interrogai sul perché quel liquore fosse diverso dagli altri. Forse
dipendeva dalla patata e meccanicamente ne assaggiai un pezzo,
intuendo la verità.»
Artes udì un secondo rumore, più vicino del precedente.
«Era probabile che la patata fosse malata e colpita da una
leggera forma di virulenza» proseguì Neck. «Probabilmente si
trattava della Peronospora. Ne avevo sentito parlare nei bar
perché i contadini si lamentavano di quanto fosse letale per i
raccolti. La malattia aveva modificato la coltivazione, ma il padre
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di Teffia aveva ugualmente prodotto del liquore, senza rendersi
conto di coltivare una pianta malata e speciale.»
«Gli altri liquori provenivano da coltivazioni certificate»
commentò Artes. «Ora mi spiego perché fossero dei semplici
alcolici, senza eccezionali qualità.»
«Esatto. In una frazione di secondo compresi quanta ricchezza ci avrebbe donato questa scoperta. Eppure stavo sperimentando una condizione mentale così elevata che il pensiero di
arricchirmi mi concedeva poca gratificazione. Invece mi esaltava
la prospettiva di ottenere la completa conoscenza del mondo.»
«Ottimo!» sbottò una voce alla loro sinistra. «Invece noi siamo più materialisti e avidi di ricchezze!»
Artes si voltò e riconobbe il tizio tatuato della metropolitana.
L’uomo oltrepassò lo squarcio nella staccionata, minacciandoli
con una pistola di medio calibro. Lo raggiunse un uomo
incanutito. Nonostante l’età aveva un discreto portamento, e
movenze lente ma sciolte. Li fissò, scuotendo la testa con
disapprovazione.
«Signor Neck» esordì l’anziano. «Lei si ostina a commettere
degli errori madornali. È ovvio che questo squallido quartiere
non ha le risorse economiche per sostenere la spesa di uno
spazzino. Eravate quasi riusciti a seminarci, ma questa svista ci ha
permesso di ritrovarvi. A volte penso che le ho dato troppo
credito, e che lei sia soltanto uno stupido imbroglione.»
Neck tremava visibilmente. «Ti … ti hanno … seguito» disse
balbettando.
Artes si preparò all’azione, anche se riteneva sconsigliabile
fronteggiare un uomo armato di pistola.
«Chi siete?» chiese Artes, fissandoli con sguardo deciso.
«Mi fregio di essere un vero gentiluomo e un fine oratore»
rispose l’attempato signore, ostentando un atteggiamento fiero.
«Ritengo di essere uno degli ultimi galantuomini rimasti in
Irlanda. Mi chiamo Owen Walsh. E questo è Pierce, il mio
provinciale amico.»
«Mi chiamano Emme» disse l’uomo dai capelli rossi, indicando il tatuaggio a forma di M sulla tempia destra.
«Emme sostiene che il suo soprannome sia folcloristico, pertanto vi chiedo di assecondarlo» disse l’anziano Walsh. «Signor
Artes, vorrei chiarire sin d’ora la sua posizione. Il signor Neck ci
ha informati che lei ha prestato servizio presso le forze speciali.
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Però Emme ha una pistola. È mancino, ma non si lasci ingannare
poiché ha ugualmente un’ottima mira. Le consiglio vivamente di
evitare qualunque mossa brusca, perché voglio preservare la sua
incolumità» aggiunse, in tono falsamente preoccupato.
Artes restò impassibile. Era evidente che Neck aveva mentito
sull’inesistente addestramento militare. Era stata un’ottima
mossa poiché stava costringendo i delinquenti ad agire con
prudenza, esortandoli a non sottovalutare la presunta pericolosità di Artes.
«Non mi sembra turbato» disse Walsh perplesso. «Forse lei è
sicuro della propria forza, ma non ci sminuisca. Emme è un osso
duro. Inoltre è molto convincente, sopratutto quando si prefigge
di ottenere delle spiegazioni.»
Emme guardò Neck e gli sorrise con cattiveria.
«Non ti fidare!» strillò Neck sconvolto. «Ci uccideranno in
ogni caso!»
«Lei è troppo impulsivo signor Neck» disse l’anziano Walsh.
«Si sforzi di essere realista. Dopotutto non ho percorso tutta
questa strada, soltanto per eliminarla.»
«Che cosa vuole?» chiese Artes.
«Voglio sbrigare in fretta questo affare perché ho degli impegni urgenti che mi aspettano in Irlanda, senza contare che fare il
turista è stancante. Da adesso in poi esigo la vostra totale
collaborazione. Il signor Neck ha cercato di escludermi, e le
confesso che sono sinceramente contrariato.»
«Neck è una brava persona.»
«Si sbaglia. Mi rincresce dirle che il suo amico è un uomo
disonesto che gioca d’azzardo e punta forte. Di recente ha perso
una grossa cifra e si è rifiutato di onorare il proprio debito. È
inaccettabile. Di solito Emme risolve brillantemente questi
spiacevoli inconvenienti, ma in quel caso il signor Neck fuggì, ed
Emme non riuscì ad agguantarlo.»
«Correva come il vento!» protestò Emme. «Ho un buon passo, ma questa canaglia aveva le ali alle gambe.»
«Si dice, avere le ali ai piedi» precisò Walsh. «Non credo che
corresse così veloce, ma preferisco sorvolare. Due giorni dopo
ritrovammo il signor Neck a pochi chilometri dalla nostra bisca.
Era sdraiato per terra, ubriaco fradicio. Lo avevano buttato fuori
dal bar e farfugliava indignato, strepitando che una formula lo
avrebbe reso ricco.»
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«Gli ubriachi vaneggiano, lo sanno tutti» disse Artes.
«È vero. Molti pensano che gli ubriachi dicano soltanto delle
idiozie, ma io la penso diversamente. L’alcool abbatte le barriere
mentali e spinge le persone a essere sincere. Le assicuro che gli
sbronzi raccontano delle cose molto interessanti.»
«Anche il mio amico?»
«Soprattutto lui! Lo seguimmo, e provi a immaginare la nostra sorpresa quando scoprimmo che frequentava quella sgualdrina di Teffia, la figlia adottiva del vecchio Brin.»
Neck strinse i pugni e fissò Walsh con occhi infuocati.
«Brin è uno squilibrato» riprese Walsh. «Abita in una catapecchia e da anni produce un liquore con delle patate impestate.
Lui e sua figlia vivono di espedienti. Teffia è abile nell’adescare
qualsiasi sprovveduto che transiti in città. Lo attira in casa, e il
padre si occupa di farlo ubriacare. Poi gli ripuliscono il portafogli
e lo cacciano in malo modo. Lo costringono ad andarsene senza
fiatare, altrimenti Teffia minaccia di denunciarlo per stupro. Ma
quella volta non guadagnarono nulla perché il signor Neck era al
verde, anche se io ritenevo che valesse una miniera d’oro.»
«Teffia non è una sgualdrina!» urlò Neck, in uno slancio di
orgoglio.
Emme si avvicinò minaccioso e gli mostrò il pugno su cui
brillava l’anello d’acciaio. Neck riprese a tremare violentemente.
«Sopraggiunse l’alba, ed Emme arrivò nei pressi della casa del
vecchio Brin» continuò Walsh. «Emme aveva un compito facile,
poiché doveva convincere il signor Neck a confessare tutto quello
che sapeva sulla formula.»
Emme annuì. «Vidi Neck che vagava per il prato. Sembrava
un figlio dei fiori e barcollava come se fosse in estasi, ma dopo un
colpo alla nuca è caduto come un sacco di patate. L’ho portato
nel covo e al suo risveglio ha rifiutato di parlare, ma si è ricreduto
dopo un piccolo incoraggiamento» terminò con artificiosa
sofferenza.
Neck gemette, ed Emme allargò compiaciuto il suo malevolo
sorriso.
«Signor Artes, sarò sincero» riprese Walsh. «So tutto sulla
formula. Il Poteen ha delle eccezionali proprietà alcoliche, infatti
noi irlandesi ci vantiamo di possedere il liquore più forte che
esista. Ho appreso che la fiala contiene un reagente velenoso.
Soltanto lei conosce il sistema per renderlo innocuo, e innescare
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la reazione chimica che creerà la più potente delle droghe
conosciute.»
Artes sobbalzò lievemente. “I malviventi pensano che io sia la
chiave per unire un terzo elemento e ottenere la droga” rifletté.
Neck era stato sotto tortura, ma era ugualmente riuscito a trovare
la forza per confondere le acque e architettare l’inganno di un
inesistente terzo elemento. In tal modo, aveva evitato che i
delinquenti ingerissero in sequenza le due sostanze, e diventassero le persone più intelligenti della Terra.
L’anziano Walsh si schiarì la gola. «Deve sapere che il signor
Neck ha spedito il liquore e il reagente. Il pacco è stato recapitato
presso la cassetta di sicurezza del vostro ufficio postale. Ora la
accompagneremo a ritirarlo, mentre il signor Neck resterà con
noi, a titolo di garanzia. Poi lei si occuperà di completare la
reazione chimica, ed io otterrò ciò che mi ero prefissato. Mi
vanto di essere un uomo particolarmente intelligente» concluse
compiaciuto.
«Non credo» obiettò Artes. «Altrimenti non sarebbe qui, in
questo posto abbandonato.»
Il sorriso di Walsh si spense. «Mi ha colto in fallo. All’inizio il
mio programma era diverso. Volevo renderle omaggio con una
visita di cortesia per convincerla a cooperare, ma ho dovuto
variare i miei piani quando ho appreso che lei è un ex combattente.»
«La prudenza non è mai troppa» disse Artes, confermando i
timori di Walsh.
«Ne convengo, infatti ho preferito spedire il pacco in un luogo sicuro, dove soltanto lei potesse accedere. L’avremmo spiata
durante il ritiro, lei avrebbe attivato la formula, e il signor Neck le
avrebbe chiesto di rimettere il pacco nella cassetta. In seguito il
suo amico avrebbe prelevato il contenuto, naturalmente in nostra
compagnia. Avrei ottenuto la droga, senza entrare in contatto
con lei. Un piano quasi perfetto.»
«E cosa l’ha costretta a stravolgere il piano?»
«Purtroppo il signor Neck è riuscito a fuggire dopo la spedizione. Emme si distrae facilmente, se vede una bella donna.»
«Mi piacciono le femmine!» si giustificò Emme. «Ed io piaccio a loro» aggiunse ridacchiando.
Walsh sbuffò. «Per un breve periodo ci siamo appostati di
fronte all’ufficio postale, pensando che il signor Neck l’avesse
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avvisata. Ma in seguito ho compreso che era più pratico pedinare
lei, signor Artes.»
«Sapevo che ti avrebbero seguito» disse Neck spaventato. «Ti
ho guidato con degli indizi che conoscevi soltanto tu. Ma è stato
tutto vano. Ci useranno, e poi ci uccideranno!»
«Forse» disse Emme con voce cattiva. «Ma senza fretta perché
prima mi divertirò un po’. Ho comprato questo anello e non
vedo l’ora di battezzarlo sul tuo brutto muso» aggiunse, chiudendo a pugno la mano destra.
«Maledetto!» gemette Neck.
Emme fu veloce a sferrare il pugno. Il violento colpo fece
indietreggiare Neck, che inciampò su una trave. Puntò una
gamba per recuperare l’equilibrio, ma colpì in pieno un chiodo
che trapassò la suola sottile e si conficcò nel piede.
Neck urlò, accecato dal dolore. Si sbilanciò e si piegò
all’indietro. Cadde a peso morto e batté la nuca contro il
barbecue di pietra, appena visibile sotto l’erba alta.
Il tonfo dell’urto fece sobbalzare Artes. Fissò agghiacciato il
corpo immobile di Neck, e inorridì alla vista della chiazza di
sangue che si allargava rapidamente vicino alla testa.
«Neck!» urlò spaventato, avvicinandosi all’amico.
«Non ti muovere!» gli ordinò Emme, minacciandolo con la
pistola e facendogli cenno di retrocedere.
Artes era frastornato. Aveva l’impressione di sprofondare in
un incubo senza senso, dove la sua vita tranquilla crollava come
un castello di carte.
«Signor Neck!» urlò Walsh alterato, rivolgendosi al corpo
senza vita. «Mi ha deluso di nuovo, lei è totalmente inaffidabile!»
Le grida di Walsh lo scossero. L’anziano delinquente fissava
con ferocia il corpo inanimato.
«Cambio di scenario!» disse Walsh in tono sdegnato, con
occhi dilatati che lo rendevano simile a un invasato. «Signor
Artes, mi ascolti attentamente! Il suo amico è morto, ma non ha
alcuna importanza perché è lei che mi interessa. Da adesso in poi
collaborerà con noi, altrimenti Emme le sparerà. Non si azzardi a
fuggire, oppure a ribellarsi. È tutto chiaro?» terminò urlando.
Artes si sforzò di riprendere il controllo delle emozioni. Pensò furiosamente a una scappatoia. L’istinto gli suggeriva di
opporsi e vendicare la morte dell’amico. In teoria poteva
aggredire Emme, disarmarlo, e dettare le proprie condizioni.
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Tuttavia era cosciente che fare l’eroe era assurdo, poiché l’istinto
di sopravvivenza prevarica egoisticamente su tutti gli altri
pensieri. Voleva vivere, e la fuga era l’unico modo per riuscirci.
Un disordinato mucchio di mattoni era ammassato su un lato
della staccionata. Poteva usarlo come trampolino di lancio e
balzare oltre la recinzione, ma non era certo che la catasta fosse
stabile. Avrebbe retto il suo peso?
Lo squarcio nello steccato era piantonato da Emme, pertanto
la via d’uscita era preclusa. Emme non avrebbe sparato con
l’intenzione di ucciderlo, tuttavia un colpo fortuito poteva essere
fatale. Guardò i loro occhi malvagi, ed ebbe la conferma che lo
avrebbero sfruttato e poi ucciso. Decise di rischiare la fuga.
«Adesso lei si volterà» ordinò Walsh. «Si avvierà lentamente
verso la nostra auto e poi … fermo!» urlò.
Artes terminò la breve rincorsa, spiccando il salto sul mucchio di mattoni.
I mattoni scricchiolarono e tremarono visibilmente, ma ressero il peso. Artes pregò che resistessero ancora qualche istante.
Appoggiò la mano sull’asse dello steccato e con il polso fece leva
per saltare oltre la staccionata.
Il fragore di uno sparo lacerò l’aria. Per qualche istante tutti i
rumori si fermarono. Poi sentì la natura che lentamente riprendeva a mormorare. Eppure qualcosa non combaciava. Sentiva i
rumori e anche le voci, ma ogni suono gli giungeva distante e
ovattato.
«Lo hai ucciso!» strillò Walsh esasperato. «Idiota, non mi
serve a nulla un cadavere su un mucchio di mattoni!»
«Forse è ancora vivo» obiettò Emme.
«Il viso è macchiato di sangue. È morto, oppure è in fin di
vita!»
«Avevi detto di sparare …»
«Era un bluff! Volevo evitare che prendesse delle iniziative,
ma tu non hai capito niente!»
«Non trattarmi come uno stupido! Ho sparato per intimorirlo. L’ho colpito senza mirare al corpo, e non capisco come ho
fatto a centrarlo in pieno.»
«Dannazione! Mi eccitava l’idea di vendere in esclusiva la
super droga, e guadagnare una montagna di denaro. Il treno della
ricchezza passa soltanto una volta, e non ho intenzione di
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perderlo a causa di un tuo stupido errore!» esclamò Walsh,
chiudendosi in un prolungato silenzio.
«Qualche idea?» chiese infine Emme.
«Sì, sono convinto che questi due smidollati si siano confidati
con qualcuno. Magari hanno parlato della loro invenzione a un
parente, oppure a un amico fidato. Prima o poi, qualcuno si
presenterà alla cassetta per ritirare il pacco, e noi saremo lì.»
«Scordatelo! Non ho intenzione di sorvegliare l’ufficio postale
per un periodo indeterminato!»
«Però lo meriteresti! Tuttavia non ho intenzione di chiedertelo. Non mi fido di te, e poi ho in mente qualcosa di più facile.
Pensavo di …»
Artes si sforzò di comprendere le successive parole, ma gli
giunsero sempre più confuse e frammentate, finché perse i sensi.
***
Artes si svegliò in un posto buio. Sentiva un gran baccano e si
concentrò per identificare il rumore, finché ipotizzò che fosse
tormentato dall’assordante rumore di un tamburo che batteva a
ritmo cadenzato. All’improvviso ricordò i delinquenti, la morte
di Neck, e il tentativo di scavalcare la staccionata. Ci era riuscito?
Oppure era morto? Non era steso su un letto, poiché qualcosa di
duro gli premeva contro il petto e gli impediva di respirare bene.
Aprì gli occhi e vide un mattone. “Sono ancora nel cortile,
devo andarmene!” pensò agitato, ma il forte dolore alle tempie lo
colpì come una scudisciata.
Il sangue pulsava all’impazzata e gli bombardava le orecchie
con un ritmico frastuono. Doveva alzarsi. Recuperò l’equilibrio
con fatica, ma dopo il primo passo cascò a faccia in giù, ferendosi
il viso contro i mattoni spezzati. Ci riprovò. Riuscì a drizzarsi, e a
scendere dal mucchio.
La faccia gli prudeva. La toccò. Era incrostata e bagnata. Si
guardò la mano e vide del sangue. Si passò le mani sul viso,
grattando il sangue secco che gli tirava la pelle del volto.
Notò che un proiettile aveva scavato un foro rotondo sull’asse
dello steccato. Comprese che la pallottola aveva colpito il suo viso
di striscio, lacerando un punto ricco di capillari. Il sanguinamento copioso aveva ingannato i delinquenti, che credendolo morto
si erano allontanati e lo avevano abbandonato.
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Qualcosa non quadrava poiché ricordava un impatto violento. Rammentava il colpo con chiarezza, anche se non sapeva
quando tempo fosse trascorso da quel momento. Controllò l’ora.
L’orologio da polso era un pezzo raro, acquistato da suo fratello a
un’asta. Il quadrante digitale era impreziosito da elaborati disegni
in oro, eppure nonostante il design raffinato era un oggetto
robusto, grazie alla cassa di acciaio e al cinturino a doppio
gancio. Ma perché la cinghietta era quasi divelta? Capì che il
cinturino si era incastrato sullo steccato, mentre aveva preso lo
slancio per oltrepassare il recinto. Il colpo di frusta l’aveva
strattonato con forza, e il proiettile l’aveva sfiorato.
Artes si inginocchiò a terra tremante, con le mani sul volto.
Era stato salvato da un orologio robusto e da un proiettile
fortuito. Stentava a crederlo, eppure era ancora vivo.
Riprese lentamente il controllo e guardò addolorato il corpo
di Neck. Il suo caro amico era stato meno fortunato. Lo ammirava perché durante la prigionia era riuscito a mantenere la
lucidità, inventando una storia plausibile per evitare di perdere la
Folgore. In seguito era anche riuscito a fuggire, e a ideare un
piano per recuperare tutto.
Neck era morto e non poteva riportarlo in vita, ma si ripromise di onorarne il ricordo con il recupero della sua scoperta.
«Ma come riuscirò a riprendere il pacco?» disse disperato,
assalito da un improvviso sfinimento. Si rialzò e si diresse verso il
varco nella staccionata. Non poteva affidare l’incarico a un
conoscente, perché il recupero del pacco era pericoloso. Eppure
non intendeva rinunciare.
In strada non transitavano auto.
«La città fantasma» mormorò sfiduciato.
Vide in lontananza un paio di persone che ridevano. Si incamminò con passo barcollante verso di loro.
“Mi servirò di uno sconosciuto, e lo pagherò per il disturbo”,
pensò risoluto. Poi perse i sensi e cadde.
***
La sala d’attesa odorava di disinfettante.
«In questo ospedale dovrebbero usare un deodorante per
ambienti» disse Artes, infastidito dall’odore pungente. Si strinse il
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capo, cercando di arginare il dolore che percepiva nei punti in cui
era stato cucito.
«Come si sente?» chiese l’agente.
«Dipende dai punti di vista. L’infermiera sostiene che sono in
gran forma e che tra qualche giorno potrò togliere la medicazione. Eppure mi sento come se mi avessero frullato la testa. Sono
stremato.»
«Un paio di flebo non sono sufficienti per il suo fisico massiccio. Si sforzi di mangiare qualcosa di solido, così si riprenderà
in fretta.»
«D’accordo» rispose svogliato. Si massaggiò lentamente le
tempie, ed ebbe l’impressione che servisse ad attenuare le fitte.
«Mi spiace pressarla» disse l’uomo in divisa. «Ma deve concentrarsi sulle persone che l’hanno aggredita. È importante.
Altrimenti avrò pochi elementi su cui lavorare, e sarà difficile
identificarli.»
«Le ripeto che non li avevo mai visti. Purtroppo non ho niente da aggiungere alla mia precedente deposizione. Li catturerete
ugualmente?»
«Non voglio mentirle. Le descrizioni sono generiche. Mi ha
parlato di un uomo con un tatuaggio a forma di emme, e di un
vecchio con un cognome irlandese molto diffuso. Sarà quasi
impossibile ottenere dei risultati, ma ci proveremo.»
«Avete avvisato i familiari di Neck?»
«Sì, ma arriveranno tra un paio di ore. Abitano lontano da
qui.»
Artes abbassò la testa, chiudendosi in un doloroso silenzio.
«Le suggerisco nuovamente di riempirsi lo stomaco» ribadì
l’agente. «Inoltre stare in mezzo alla gente sarà utile per distrarsi.»
«Ok, ma non conosco questa zona. Forse potrei chiedere
aiuto al mio salvatore.»
«Lei è stato fortunato, ma ora sta esagerando.»
«Perché?»
«Perché ha trovato un buonuomo che si è impietosito, e l’ha
portata in ospedale. Ma il suo benefattore si è rifiutato di fornire
le proprie generalità, e si è dileguato.»
«Lo comprendo, dopotutto non era la mia balia.»
«Non si rammarichi. Si trovava in un quartiere povero che è
flagellato da una delinquenza dilagante. Ognuno si fa i fatti
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propri, incluse le persone oneste che non vogliono essere
interrogate e costrette a parlare. Mi creda, lavoro da molti anni
nelle forze dell’ordine e ho capito che gli agenti sono malvisti. Le
persone ci considerano un fastidio, e ci cercano soltanto quando
dobbiamo proteggerle. Poi l’emergenza termina, e torniamo a
essere etichettati come dei rompiscatole» concluse amareggiato.
Artes non commentò le parole dell’agente. Non era
dell’umore giusto per essere comprensivo, e neppure per
ascoltare delle lamentele.
«Uscirò e mi arrangerò da solo. Cercherò un bar, due panini
dovrebbero bastare.»
«Le suggerisco qualcosa di meglio. A pochi minuti da qui
troverà un self-service. Le pietanze non sono cucinate da un
grande chef, ma sono tutte commestibili.»
«Non pretendo che siano buone. Oggi è stata la giornata più
brutta della mia vita, perciò mangerò senza voglia e digerirò
qualsiasi cosa. Persino un’insalata di pietre.»
***
Artes osservò l’arredamento del piccolo self-service. Da fuori
gli era sembrato un posto misero, ma appena era entrato si era
ricreduto. Il locale era gradevole e affollato, nonostante la scelta
fosse limitata a pochi piatti, soprattutto freddi.
Prese una tovaglietta di carta e la posò sul vassoio. Appoggio
il contenitore sul binario e si mise in fila. Dopo di lui, si accodò
un uomo calvo dal fisico possente, seguito da un ometto gracile
contraddistinto da occhi azzurri e luminosi. Trascorsero pochi
istanti, e si unirono tre ragazzi dalla corporatura imponente.
Artes osservò il bizzarro gruppetto e trattenne un sorriso.
L’omino non riusciva a mascherare un’espressione seccata, ed era
visibilmente irritato dalla prestanza fisica di chi gli era accanto. Il
gigante biondo urtò intenzionalmente l’ometto, poi lo fissò e gli
sorrise.
«Hai problemi di equilibrio, piccoletto?» chiese il biondo.
«Forse il piccino sta imparando a camminare!» esclamò
l’enorme nero, scatenando le chiassose risate dei corpulenti
amici.
«È probabile che io sappia soltanto gattonare!» ribatté
l’ometto in tono scocciato. «Ma alla fine riuscirò a camminare,
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invece voi non imparerete mai a usare la segatura che avete al
posto del cervello!»
«Sei piccolo, ma pepato!» intervenne l’obeso dai lunghi capelli corvini. «Pensi di essere più intelligente di noi?»
«Sicuro!» gli rispose. «È facile essere più sveglio di quattro
trogloditi che vivono soltanto per giocare a rugby! Senza contare
che tu sei grasso e con i capelli lunghi. Visto da dietro, sei simile a
una corpulenta grassona. A Natale ti regalerò una borsetta!»
«Sei sfacciato, piccoletto» replicò infastidito. «Ma oggi hai
vinto alla lotteria perché la nostra squadra è alla ricerca di una
nuova mascotte. Abbiamo scelto te, sei contento?»
«Quale onore!» disse ironico. «Ma sono oberato dagli impegni, quindi sono costretto a rinunciare.»
«Invece iniziamo subito» si intromise il calvo. «Ho terminato
lo spazio nel vassoio, quindi poserò l’arancia sulla tua testa!»
aggiunse, spingendo il frutto contro i capelli dell’ometto.
Artes notò le smorfie imbarazzate dei dipendenti, e il disagio
dei clienti.
Il calvo rimise l’arancia nella fruttiera. «Ho un’idea. Allarga
bene le braccia, così diventerai il nostro appendiabiti. Devi
imitare uno spaventapasseri» aggiunse, estendendo le braccia e
urtando Artes.
Artes ignorò il colpo, continuando a esaminare le pietanze
esposte. Con la coda dell’occhio vide il calvo che sogghignava. Si
augurò che il giocatore non avesse frainteso l’indifferenza,
scambiandola per un segnale di debolezza.
«Ho un'altra idea brillante» disse il giocatore calvo, guardando con complicità i compagni, e appoggiando una mano sulla
spalla di Artes. «Il nostro nuovo amico è muscoloso, quindi
diventerà lo sgabello su cui mi siederò, mentre il piccoletto mi
luciderà le scarpe. Pubblicheremo la foto sul nostro blog, sarà un
successone!»
Gli amici esplosero in gridi di approvazione, e manifestarono
il loro entusiasmo intonando lo slogan della squadra.
Artes si voltò verso di loro. Li fissò senza dire una parola,
finché le grida si placarono.
«Non sono d’accordo» disse stringato.
Il calvo lo guardò con aria minacciosa. «Ammetto che sei
grande e grosso, ma non hai alcuna possibilità contro noi
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quattro. Ti pesteremo a sangue» aggiunse ostile, abbassando la
voce.
Artes lo fissò senza battere ciglio, ostentando una sfacciata
sicurezza per intimorirlo.
«Mi difenderò e ti colpirò duro» ribatté al rugbista. «I tuoi
amici impiegheranno poco a sopraffarmi, ma tu sarai a terra.
Forse ti godrai la scena del pestaggio, a patto che il dolore sia
sopportabile ...»
Il calvo perse la fiducia e mostrò un viso perplesso. Era probabile che stesse valutando le chance di vincere uno scontro
diretto.
Artes continuò a fissarlo, anche se temeva di essere colpito
all’improvviso sulla vistosa medicazione.
«Non esagerare Samson» si intromise il giocatore biondo.
«Sai bene che cosa accade ogni volta che scateniamo una rissa.
L’allenatore ci punisce con un allenamento extra, finché non
crolliamo sfiniti. Ma questo fine settimana andrò dalla mia
ragazza. Voglio arrivarci in forma, se capisci cosa intendo dire ...»
Samson si accarezzò la testa calva, in un gesto nervoso. «Ok,
rinuncerò per il bene della squadra» disse, visibilmente sollevato.
«Prendiamo qualche birra in più, voglio brindare alle pupe!»
Artes prese una macedonia di frutta e terminò di riempire il
vassoio. Pagò alla cassa, voltandosi un istante verso Samson. Il
giocatore si manteneva a rispettosa distanza, ma lanciava degli
sguardi infuocati all’omino che ribatteva con delle fiere occhiate
dal basso verso l’alto.
Artes scelse intenzionalmente un tavolo per due persone, con
un solo posto libero. Si sedette, osservando il gruppetto con la
coda dell’occhio. I giocatori confabularono per qualche istante,
ma si accomodavano a un tavolo distante dal suo.
“Meglio così” pensò sollevato.
La ragazza che gli sedeva di fronte era piuttosto carina, ma lei
guardò l’orologio e si affrettò a riporre le posate nel piatto vuoto.
La donna si alzò, dirigendosi verso il raccoglitore. Appoggiò il
proprio vassoio, chinandosi leggermente. Artes la osservò
compiaciuto, ma l’ometto gli ostruì la visuale. Appoggiò rumorosamente il vassoio sul tavolo, e si sedette.
«Piacere, sono Donny. E tu come ti chiami?» disse, allungando la mano verso Artes.
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«Artes» rispose. Gli strinse la mano, ma dosò la stretta per
evitare di stritolare le dita esili di Donny.
«Grazie Artes. Te ne sarò grato …» disse esitante.
«Per sempre?» concluse Artes. «Non credi che sia una frase
piuttosto banale, e anche un po’ melodrammatica?»
«Intendevo dire che te ne sarò grato per i prossimi cinque
minuti! Dopotutto ti hanno provocato, perciò non ti devo nulla.»
Artes gli sorrise. «Sei piccolo, ma determinato.»
«Devo esserlo per forza! Sembro un ragazzino, e sono addirittura più basso di mia mamma. Inoltre oggi ho un diavolo per
capello perché mi è sfumato un affare clamoroso» aggiunse
infastidito.
Afferrò il cucchiaino e assaggiò il budino al cioccolato.
«Buono» commentò, proseguendo con voracità.
Artes attese che terminasse la pietanza, osservandolo incuriosito. Donny iniziò a mangiare la pasta fredda.
«Sei strano» disse Artes, tagliando la bistecca. «Mangi senza
un ordine logico, rischiando l’indigestione. Sei spericolato anche
negli affari?»
«Forse» rispose, continuando a divorare la pasta.
«Hai detto che un affare ti è andato in fumo. Giochi in Borsa?»
«Detesto la Borsa! Sono un programmatore di videogiochi.
Mi hanno rubato un’idea che mi avrebbe reso ricchissimo, così
ora sono disoccupato e senza un centesimo. È brutto essere
poveri, anche se oggi mi è andata bene perché il gestore di questo
locale mi conosce, e mi ha regalato un buono pasto.»
«È un brutto periodo per te …»
«Puoi dirlo forte! Di solito mangio i sandwich al tonno perché sono economici, ma li digerisco due giorni dopo. Peccato che
quegli scimmioni mi abbiano rovinato l’appetito!»
Artes non replicò e terminò la bistecca. Donny fu più rapido
e trangugiò la macedonia, seguita da un’abbondante porzione di
patate fritte.
Forse l’ometto era un dono piovuto dal cielo. Valeva la pena
di rischiare, dopotutto non aveva nulla da perdere.
«Donny, posso procurarti un lavoro facile» gli disse, sforzandosi di mantenere un tono neutro, nonostante la tensione che lo
attanagliava.
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«I lavori facili sono sempre i più difficili» rispose Donny a
bocca piena, rallentando la masticazione.
«Ok, lo ammetto. Mi serve l’aiuto di uno sconosciuto.»
«Che strana spiegazione. Dopotutto non ti ho mai visto da
queste parti. Per quanto mi riguarda, anche tu sei uno sconosciuto.»
«È un affare vantaggioso.»
«Ne sono convinto» disse in tono ironico. «La tua proposta
mi ha rammentato la storiella del pescatore. La conosci?»
«No» rispose teso.
«Il pescatore prese l’amo, infilò il verme e gli disse, “Amico
mio, oggi avrai l’onore di nuotare nel lago finché vorrai!”»
Artes lo fissò in silenzio. Donny non era stupido, e nemmeno
così disperato da accettare qualsiasi proposta. Decise di giocare la
carta della trasparenza.
«L’ho promesso a un caro amico» confessò amareggiato.
Donny ci pensò qualche istante. «Questo cambia tutto. I
debiti con gli amici vanno saldati, e poi sono al verde. Per un po’
di denaro, entrerei persino in una gabbia di leoni.»
«Quindi accetti?» chiese, dominando a stento la tensione.
«Ti aiuterò, ma voglio vedere i contanti. E mi pagherai in
anticipo, senza protestare.»
«Bene! Ma anch’io non navigo nell’oro. Posso offrirti …»
«Fermo. Ragiono male quando ho lo stomaco vuoto. Questa
la mangi?» disse, afferrandogli la porzione di macedonia.
«No …»
«Ottimo. In questo locale le dosi sono minuscole. Il prossimo
giro lo pagherai tu» disse, riprendendo a mangiare con gusto.
68
LINEA
La musica del locale era quasi assordante, ma era ideale per
parlare liberamente senza il timore di essere ascoltati.
«Questo drink è micidiale!» esclamò Donny con una smorfia.
«Ti avevo avvisato» ribatté Artes, sorseggiando il cocktail con
aria soddisfatta. «L’Angelo Azzurro è molto alcolico.»
«Dovrebbero vietarlo!» disse Donny, parlando con difficoltà.
«Il mio stomaco sta implorando pietà»
«È troppo pesante?» gli chiese Artes, ammiccando alla cameriera che dal bancone gli sorrideva maliziosa.
«Temo di sì, anche se è meno indigesto di quanto mi hai
raccontato poco fa.»
Artes si rabbuiò. «Mi serve la collaborazione di uno sconosciuto, ma mi rendo conto che ti sto raccontando troppe cose.
Forse dovrò cercare un’altra persona.»
«Ti ringrazio per l’interesse paterno, ma riesco a cambiarmi il
pannolino da solo. Ho detto che è una faccenda indigesta, ma ti
aiuterò. Anche se preferirei diventare il tuo socio, invece del tuo
portaborse.»
«È impossibile! Un mio caro amico è morto, ed io sono vivo
per miracolo. Non è prudente farsi vedere insieme. Dovrai
comparire all’improvviso, e sparire per sempre.»
«Lo capisco, ma ripensaci. Sono convinto che possiamo trovare un accordo che soddisfi entrambi.»
Artes lo fissò a lungo. «Sono certo che l’unica scelta sensata
consista nel pagare uno sconosciuto per ritirare il pacco, ed
evitare che sia intercettato da quei due delinquenti.»
«Il tuo piano è semplicistico e remissivo. Per ogni problema
esistono diverse soluzioni, anche se più impegnative. Ad esempio
potremmo corrompere un dipendente e fornirgli il codice di
apertura della cassetta. Ci consegnerà il pacco quando tornerà a
casa.»
«Non funzionerà.»
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«Perché? Dopotutto quei due irlandesi cercano te, ma è impensabile che sorveglino tutte le persone che entrano ed escono
dalla posta, soprattutto i dipendenti!»
«Sei completamente fuori strada. Il loro compito sarà semplice perché sorveglieranno soltanto le persone che usciranno con
un pacco sottobraccio.»
«Chiediamo al dipendente di aprire il pacco, e svuotare il
contenuto in una borsa!»
«Scordatelo, ti ho già spiegato che contiene delle sostanze
preziose che possono stravolgere la vita di una persona. Non oso
immaginare che cosa accadrebbe, se il dipendente cedesse alla
tentazione di usarle. Sarebbe una catastrofe. Avrei perso tutto,
per sempre.»
«Potresti affidarti a qualcuno che sia onesto e irreprensibile.»
«A chi ti riferisci?»
«Alle forze dell’ordine, oppure a un notaio.»
«Non mi fido di nessuno. Voglio riavere il pacco integro, e
nessuno dovrà chiedermi di aprirlo.»
«Ok, ma come farai? Non hai delle certezze nemmeno sullo
sconosciuto che vorresti assoldare, poiché non potrai seguirlo
all’interno dell’ufficio postale.»
«Lo so» ammise scocciato. «Mi farebbe comodo avere una
sfera di cristallo per vedere nel futuro.»
«Come un indovino?»
«Esatto, anche se sarei un pessimo mago.»
«Oltretutto poco credibile» aggiunse Donny. «Hai troppi
muscoli.»
«Invece tu saresti un ottimo stregone. Piccolo e iperattivo. Ti
manca soltanto una bacchetta.»
«È troppo tardi» replicò serio.
«A cosa ti riferisci?»
«Lo vedrai con i tuoi occhi. Abito a pochi minuti da qui, e
voglio mostrarti la mia magia più potente» rispose Donny,
fingendo di scuotere una bacchetta.
***
«In questa stanza sono racchiusi tutti i miei sogni!» disse
Donny orgoglioso. «Ho sviluppato un’idea che è diventata la mia
croce, ma anche la mia delizia» aggiunse.
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Afferrò la tastiera, e la scosse bruscamente per allontanare il
gatto che si era accomodato.
«Sei un programmatore affermato?» chiese Artes, osservando
il disordine e la moltitudine di cavi ammucchiati ovunque.
«No, ma in compenso sono il re dei creduloni!» rispose amareggiato. Si accomodò sulla sedia girevole, macchiata di caffè.
«Vuoi mangiare qualcosa per contrastare l’alcol che hai in corpo?
Serviti dal frigorifero, fai come se fossi a casa tua.»
«Non ho fame, ma forse è rimasto il caffè che non hai rovesciato sulla sedia» disse scherzoso.
«Sei simpatico come un sassolino nella scarpa! Ma sappi che
io vivo e dormo su questa sedia. E se fossi fidanzato, la userei per
fare l’amore con la mia donna!»
«Ti accontenti di poco.»
«Ok, smettila di deliziarmi con le tue spassose battute. Guarda qui.»
Premette un pulsante e una fila d’interruttori si illuminò. Si
accesero i quattro computer appoggiati a terra, il monitor, e un
grosso televisore da parete appeso alle loro spalle.
«Ecco la mia creazione.»
«Di cosa si tratta?»
«Il monitor è integrato a un potente computer» iniziò Donny.
«Il cuore pulsante di tutto il sistema è qui dentro, dove inserisco
il codice di programmazione. I quattro computer sono di
supporto e servono per elaborare i dati più rapidamente. Li ho
collegati in cascata, e posso aumentarli all’infinito.»
«E il televisore a che cosa serve? Pensavo che un monitor
fosse sufficiente.»
«Il televisore visualizza i dati in tempo reale, ed è parte integrante del sistema. Ho aggiunto dei componenti per potenziarlo,
anche se ho prosciugato il mio conto in banca per riuscire a
pagarli.»
«È un videogioco?» chiese Artes titubante. Guardò affascinato
le immagini che scorrevano sul televisore. Lo scenario medioevale mostrava una miriade di omini che si muovevano freneticamente.
«È molto più di un videogioco! Ho inventato un software che
elabora le caratteristiche dei protagonisti, e modella le loro
personalità!»
71
«Ho capito, è un simulatore. Ho sentito parlare di questi
giochi. Ricreano ambienti concreti, per esempio una città, un
parco divertimenti, oppure uno zoo. Il giocatore deve coordinare
la manutenzione dell’ambiente, fornendo il cibo e le materie
prime. Inoltre deve verificare il livello di soddisfazione dei
personaggi.»
«Sì, ma ti ho detto che il mio software modella anche le personalità. Osserva!»
Spostò il mouse e sul televisore apparve un puntatore a forma
di bacchetta magica. Selezionò un personaggio vestito da
cavaliere e apparvero le caratteristiche fisiche del personaggio, il
suo umore, il suo stato emotivo, i denari posseduti, e i parametri
caratteriali.
«Che cosa significa, “Scaltrezza in corso”?» chiese Artes, increspando le sopracciglia.
«Si tratta di un parametro evolutivo. Il personaggio è affascinato dai lussi di cui godono i Reali. È un semplice cavaliere e ha
poche possibilità di migliorare il proprio stato sociale, eppure
d’ora in poi approfitterà di qualsiasi opportunità. Tra qualche
giorno starà corteggiando una dama di corte, oppure sarà
accoltellato per avere ricattato un nobile.»
«Mi incuriosisce l’indicatore, “Emotività medio-bassa”.»
«È un parametro che indica il livello di reattività del personaggio. Per esempio, ho notato che i cavalieri più aggressivi
abitano nei pressi di una fucina. È probabile che il fracasso del
ferro battuto li innervosisca, aumentando la loro forza collerica
in battaglia. Ho inserito pochi parametri caratteriali, poiché
l’elaborazione era così complessa da bloccare le azioni dei
personaggi.»
Artes era incantato. «Quanti dati hai inserito per ottenere
questo risultato?»
«Moltissimi!» rispose Donny esasperato. «Ho impiegato quasi
tre settimane. Considera che ho duplicato i personaggi per
risparmiare tempo. Poi ho inserito delle personalità casuali,
lasciando che mutassero spontaneamente.»
«È incredibile, hai inventato un simulatore che può essere
impiegato in qualsiasi settore!»
«Grazie» disse compiaciuto.
«Questo capolavoro si vende da solo! In quali difficoltà ti sei
imbattuto?»
72
«Nessuna difficoltà, però mi hanno rubato l’idea! La settimana scorsa conobbi un dirigente di una grossa azienda. Mi disse di
essere il responsabile dei nuovi progetti, inclusa la sezione dei
videogiochi. Lo incuriosii dicendo che avevo inventato un
rivoluzionario sistema di simulazione. Mi fissò un colloquio ed
ero così eccitato che mi presentai con un’ora di anticipo, ma
attesi pazientemente il suo arrivo.»
«Non ti ha ricevuto?»
«Tutto il contrario! Mi ascoltò con molta attenzione, assicurandomi che avrebbe valutato seriamente la proposta. Abbozzammo addirittura un progetto di sviluppo e realizzazione» disse
velocemente. Si fermò per recuperare il fiato.
Artes lo fissò incuriosito.
Donny riprese furibondo. «Stamattina ho ricevuto la telefonata di un amico programmatore. È stato assunto dalla stessa
società che mi fece il colloquio, e indovina che cosa gli hanno
proposto? Gli hanno affidato il compito di sviluppare un
ambizioso progetto di simulazione. Hai capito che cosa è
accaduto? Mi hanno raggirato e ho perso i diritti d’autore! La mia
unica consolazione deriva dal fatto che impiegheranno molte
risorse per realizzare il videogioco.»
«È così complesso?»
«Abbastanza, anche se un valido team di programmatori lo
replicherà in poche settimane. Tuttavia non sanno che il software
si avvale di svariate unità hardware, indispensabili per alleggerire
la colossale elaborazione dei dati. Per farla breve, a loro servirà
una piattaforma digitale che gestisca soltanto quel gioco. Sarà
costoso e poco commerciabile.»
«Però tu hai già realizzato il prototipo funzionante di un
software che può predire gli eventi, compresi quelli che coinvolgono le persone nel mondo reale» suggerì Artes, accarezzando il
gatto che si strusciava sulle gambe.
Donny lo fissò perplesso. «Non rientra nei miei progetti.
Programmo i videogiochi e mi avvalgo di simulatori evoluti, ma
io non sono una mescolanza tra un veggente e un sociologo.»
«Ok, ma ipotizziamo che io ti chieda di creare una chiaroveggenza ragionata. Saresti in grado di realizzarla?»
«Direi di sì, a patto di potenziare l’hardware e il televisore.
Ovviamente dovrei verificare l’esattezza delle mie previsioni,
73
poiché finora ho osservato soltanto dei personaggi fittizi che non
fornivano dei feedback.»
«Quindi è fattibile?»
«Sicuro! Basterebbe allineare i miei pronostici con gli eventi
che accadranno nella realtà, ma sarei impegnato a programmare
a pieno ritmo e non avrei tempo per dedicarmi ad altre attività.»
«Bene, mi hai convinto.»
«Riguardo a cosa?»
«Vuoi ancora diventare il mio socio?»
«Certo.»
«Perfetto. Ti finanzierò il progetto, anche se mi ridurrà sul
lastrico. In seguito saremo ampiamente ricompensati, posso
assicurartelo.»
«E il pacco?»
«Lo otterremo grazie al nuovo simulatore. Il software ridurrà
i rischi al minimo.»
«Sei pazzo!» esclamò Donny. «Vuoi affidarti a un videogioco?»
«Sicuro! Ti rammento che alcuni videogiochi vengono sviluppati per simulare delle vendite telefoniche, oppure per affinare
le tecniche comunicative in occasione di importanti riunioni
politiche. Inoltre i militari utilizzano degli speciali videogiochi
per addestrare il personale tecnico addetto agli elicotteri e alle
navi.»
Donny annuì pensieroso.
«Ok, mi hai convinto. Anche se ti detesto, perché mi stai
caricando di un’enorme responsabilità.»
«Ti spaventa?»
«Tutt’altro, iniziamo subito!»
***
Il televisore mostrava il fermo immagine di Donny e una
ragazza.
«Ci sono delle novità rispetto ai precedenti test?» chiese Artes.
«Certo!» rispose Donny. «La principale novità è che sono
ancora vivo, nonostante la stanchezza. Sono trascorse soltanto
due settimane da quando ho accettato di aiutarti, eppure mi
sento come se avessi lavorato per due mesi.»
«Ti lamenti sempre, procediamo ...»
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«Ok, dittatore! Ho apportato delle ulteriori modifiche. Ora il
software si avvale di ambientazioni standard che mostrano i
movimenti delle persone e i cambi di prospettiva, tutto in tempo
reale.»
«Finalmente! La prima versione del simulatore era talmente
indecente che avrebbe indignato persino i pionieri della programmazione informatica.»
«Grazie per la stima e la fiducia» ribatté Donny, inchinando
la testa con ironia. «Ho inserito le fotografie dei protagonisti per
consentire al software di elaborare i volti e aumentare il realismo,
perciò sembrerà di assistere alla proiezione di un film ritoccato
con la grafica computerizzata. D’ora in poi il simulatore calcolerà
qualsiasi posizione del corpo, però ...»
«Che cosa?»
«I dialoghi sono banali e poco credibili. Devo perfezionare la
ritmica della conversazione, e inserire le pause che dividono le
frasi.»
«Pazienza, le implementerai nella prossima versione. Ora
sono curioso di vedere il risultato dei tuoi sforzi» disse interessato. Premette il tasto “Play”.
«Questo pavimento è molto lucido» esordì Donny sullo
schermo. «Forse riuscirei a pattinarci anche con le mie scarpe di
gomma.»
«Non credo» disse la selezionatrice del personale. «Il pattinaggio fu inventato in Svezia. Agli inizi lo sport fu praticato con i
pattini di legno, ma con la gomma non sarebbe mai nato.»
«Signorina, lei parla come una professionista» commentò
Donny. «Chissà quante gare avrà vinto. Scommetto che possiede
un abito scintillante da indossare alle premiazioni!»
«A dire il vero, mi ha letto nel pensiero. Ho vinto qualche
piccola gara a livello amatoriale, e mi piace essere aggiornata sulle
ultime tendenze della moda. Adoro gli stilisti italiani.»
«Sono i migliori!» si esaltò Donny. «Il mio preferito è quello
con i capelli brizzolati, anche se ora non ricordo il nome.
Comunque seguo sempre i suoi flirt sui rotocalchi rosa.»
«Anch’io! Donny, è raro conoscere una persona come lei. Di
solito gli uomini non si appassionano ai gossip.»
«È vero. Ma io sono diverso, e questa volta ha trovato pane
per i suoi denti» disse Donny, strizzando l’occhio.
75
Artes fermò la simulazione e si stropicciò gli occhi.
Nell’ultimo periodo si era concesso poche ore di sonno. Aveva
rispolverato la specializzazione in chimica computazionale, e
generato degli schemi comportamentali. Donny li aveva tradotti
in linguaggio di programmazione, e inseriti nel computer.
Nonostante le battute pungenti, erano entrambi soddisfatti dei
risultati che avevano ottenuto. Ma il prezzo da pagare era stato
alto, poiché il riposo si era ridotto a tre ore per notte.
Si voltò verso Donny. «Il simulatore ha azzeccato il dialogo
reale?»
«Sì, il software ha predetto la conversazione con una buona
approssimazione.»
«Quindi è affidabile?»
«Senza dubbio. Ho utilizzato i dialoghi suggeriti dal simulatore, stabilendo un forte legame empatico con l’impiegata. Alla fine
del colloquio ero senza dubbio il candidato con le maggiori
probabilità di assunzione.»
«Tuttavia lei non sapeva che sei amico di un suo collega, perciò ignorava che hai raccolto delle informazioni sulla sua vita
privata e sugli hobby che predilige.»
«Era inevitabile. Il simulatore affonda le radici precognitive
su un terreno fertile, pertanto le informazioni devono essere
precise e attendibili. Il software deve simulare, mica indovinare.»
«La ragazza è carina, le hai chiesto il numero di telefono?»
«Artes, mi offendi!» rispose in tono semi-serio. «Avevamo
stabilito che la simulazione dovesse servire soltanto per scopi
etici, e non per trarre dei vantaggi personali.»
«Esatto, ma ero convinto che lo avessi dimenticato.»
«In realtà sei tu che hai fissato questa regola, ed io mi sono
adeguato. Ma stai tranquillo, sono troppo impegnato con questo
progetto e non ho tempo per pensare ad altro. Non ho il suo
numero, lo giuro!» aggiunse, sollevando con teatralità la mano
destra.
«Donny, sei il solito commediante.»
Donny alzò le spalle in un gesto di indifferenza. «Qualche
commento sulla simulazione?»
«In apparenza è perfetta, ma non mi fido dei risultati ottenuti
con troppa facilità. Abbiamo inserito le caratteristiche fisiche di
una donna, il suo carattere, i suoi hobby, e la sua occupazione. E
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magicamente abbiamo fatto centro al primo colpo, anche se
obiettivamente la simulazione è stata pilotata.»
«Non è vero, è il quarto successo di fila! Puoi ribattere che nei
test precedenti ci hanno agevolato i nostri amici. Dopotutto noi li
conoscevamo bene, e hanno partecipato inconsapevolmente alle
nostre prove. Invece l’impiegata era una sconosciuta, eppure
abbiamo ottenuto un successo importante. Ho piena fiducia nel
mio simulatore!»
«Ne ho anch’io, ma voglio affinare la simulazione e inserire
delle combinazioni più complesse.»
«Forse hai ragione» commentò perplesso. «Telefonerò alla
ragazza, e la inviterò a cena per un nuovo test.»
«Donny!» sbraitò Artes.
«Stavo scherzando!» si affrettò a dire, minacciato dallo sguardo furibondo di Artes.
***
Artes osservò l’amico da lontano. Donny si era appostato nei
pressi di un chiosco di dolciumi e fingeva indifferenza, sebbene
sorvegliasse con estrema attenzione la via dalla quale Lazar stava
giungendo a piedi.
Il test sulla ragazza era servito come trampolino di lancio per
migliorare il software, ma era giunto il momento di verificare se i
due giorni di programmazioni erano stati utili, oppure vani.
Artes era certo che l’imminente esperimento avrebbe confermato
l’attendibilità del simulatore, e convalidato alcune teorie
comportamentali. A tale scopo aveva scelto uno scontroso vicino
da sfruttare come cavia. Non si sentiva in colpa poiché Lazar era
una persona avida e propensa ai piccoli furti, ma soltanto quando
il rischio era basso.
Artes si nascose dietro a un furgone, e si appostò in un punto
che gli consentiva di vedere tutto ciò che accadeva nei pressi del
chiosco. Fece un cenno a Donny per allertarlo sull’arrivo di
Lazar.
Donny avvistò Lazar, e si affrettò a ordinare una fetta di torta
al cioccolato. Scherzò con il commerciante, attendendo che Lazar
si avvicinasse. Pagò il dolce, e fece il gesto di mettere il portafoglio nella tasca posteriore dei jeans. Lasciò cadere intenzionalmente il borsello, simulando una distrazione. Lazar se ne accorse
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e rallentò, senza perdere di vista Donny che parlava animatamente. Lazar approfittò del momento favorevole, e con un gesto
rapido raccolse il portafoglio da terra. Lo tenne in mano,
appoggiandolo al fianco destro per mascherarlo. Ma non lo mise
in tasca per essere pronto a restituirlo, qualora Donny avesse
preteso di riaverlo.
Lazar oltrepassò il chiosco, aumentando l’andatura senza mai
voltarsi. Svoltò in una via e scomparve dalla vista.
Artes chiamò Donny. L’amico si avvicinò.
Donny era visibilmente soddisfatto. «Il simulatore ha predetto gli eventi con precisione chirurgica.»
«Infatti, ma sarei curioso di sapere se ha azzeccato la delusione di Lazar.»
«Nel filmato si vedeva Lazar che bestemmiava senza ritegno»
commentò Donny sorridendo. «Dopotutto ha ottenuto un
magro bottino. Un vecchio portafoglio, contenente un documento falso e poche monete.»
«Avrei aggiunto anche una polverina irritante» disse Artes.
«Ma ho rinunciato perché Lazar dovrà essere in forma per il
secondo test.»
***
Artes temporeggiò nello spogliatoio della palestra, attendendo che Lazar entrasse. Lo vide e appoggiò il ciondolo sulla panca.
Uscì rapido, dirigendosi a grandi passi verso l’entrata. Si avvicinò
al lucido bancone della segreteria. Il dipendente terminò di
pinzare un fascicolo, applicò il bollino dorato “Centro Benessere
Kappa”, e alzò lo sguardo.
«Mi dica» esordì cortese.
«Ho perso il ciondolo d’argento. Ha un discreto valore, ed è
un regalo di mia moglie. Devo ritrovarlo assolutamente. È
probabile che sia caduto nella doccia, qualcuno l’ha trovato?»
«Sono mortificato, ma per il momento non si è presentato
nessuno.»
«È veramente importante» sottolineò Artes.
«Sono convinto che lo riporteranno al più presto. Ci vantiamo di avere una clientela selezionata, e attenta ai doveri sociali.»
«Me lo auguro. Mi accomoderò al bar, e attenderò qualche
minuto.»
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«Come preferisce. La informerò appena avrò delle novità.»
Artes si spostò sul lato opposto dell’entrata. Prese uno sgabello del bar e si sedette. Afferrò un quotidiano, fingendosi interessato per non essere infastidito. Si era iscritto alla palestra soltanto
per annotare gli orari in cui Lazar si allenava, e aveva atteso il
momento opportuno per lasciare il ciondolo.
Sobbalzò appena vide Lazar. Alzò il giornale all’altezza del
viso, per osservare l’uomo senza essere visto. Lazar si avvicinò
alla segreteria e consegnò il ciondolo. Poco dopo se ne andò,
senza riuscire a reprimere un’espressione irritata.
Il dipendente era raggiante, mentre mostrava il gioiello in
direzione del bar. Artes si avvicinò veloce. Simulò gioia e sollievo,
dichiarandosi riconoscente. Infine uscì in strada.
Vide Donny che parcheggiava il fuoristrada e lo raggiunse,
salendo sulla vettura.
«Com’è andata?» chiese Donny.
«Tutto ok.»
«Avevi ragione tu. Le abitudini collettive modificano le azioni
di una singola persona. Lazar sapeva che i membri del club
avrebbero consegnato il ciondolo. Non voleva attirare i sospetti
su di sé, così ha preferito riportarlo.»
«Ne ero quasi certo, tuttavia ti confesso che ero molto teso
mentre aspettavo al bar.»
«Lo immagino, ma ora dovrò modificare nuovamente il software. Prevedo una settimana di duro lavoro!»
«Non esagerare, impiegherai pochi giorni» ribatté Artes. «Inoltre la programmazione è incompleta senza il terzo test.»
Donny sgranò gli occhi furibondo.
«Il terzo e ultimo test» disse l’omino risoluto. «Altrimenti ti
cercherai un altro socio!»
***
«Artes, sto per raggiungere il limite della sopportazione!»
disse Donny. «Prima ho investito dieci giorni per affinare il
secondo parametro, e ora ne ho impiegati ancora di più per
inserire il terzo. In origine pensavo di programmare il simulatore
sulla base dei risultati, invece il mio lavoro è doppio!»
«Perché doppio?» chiese Artes, per consentire a Donny di
sfogarsi.
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«Perché prima devo modificarlo, inserendo le variazioni che
ritieni importanti. Poi devo riprogrammarlo, appena otteniamo i
risultati dei test. Sto impazzendo!»
«Ti comprendo, ma i parametri caratteriali del videogioco
erano rudimentali. La personalità di un individuo è molto più
complessa, e richiede tempo.»
«Certo, ma per il terzo test ho inserito un’infinità di dati sui
gusti e sugli hobby di cinque nuovi profili!»
«Mi spiace, ma devo verificare come mutano le azioni di una
persona che subisce la pressione di personalità divergenti. Ho
dedicato una settimana ad approfondire questo modulo comportamentale, ed è indispensabile approfittare del torneo amatoriale
di calcetto. È perfetto per lo scopo.»
Donny sospirò. «È perfetto anche per il mio esaurimento. Il
simulatore determinerà i comportamenti dei cinque giocatori,
però abbiamo dimenticato di specificare le loro preferenze sulla
carta igienica» aggiunse acido.
Artes lo guardò impassibile, sorvolando sul sarcasmo. «Perché il capitano Bull è così importante?» chiese, per distrarlo dalle
lamentele.
Donny rispose di malavoglia. «È sposato, ed è soprannominato Bull perché ha il muso di un Bulldog e le gambe tozze. È
appassionato di belle donne, ma è anche un marito fedele. Non
tradirebbe mai sua moglie, però sappiamo che le abitudini
collettive possono modificare le azioni del singolo.»
«Perfetto, continua.»
«Stasera Bull giocherà l’ultima partita del torneo, e dopo si
ubriacherà al bar con i compagni di squadra. A quel punto noterà
una bellissima donna, provocante e disponibile.»
«La virtuosa Lucille mi saluta?» chiese Artes in tono canzonatorio.
«Bull sarà incitato ad abbordare Lucille» riprese Donny, ignorando l’interruzione. «Lui si avvicinerà e le parlerà. Pregusterà
una notte di piaceri, rassicurato dal fatto che i compagni non lo
tradiranno. Eppure rinuncerà a divertirsi perché è un leader
caratterizzato da un’intrinseca timidezza.»
«Esatto» confermò Artes. «Spesso approfitta delle pause di
gioco per consultarsi con i compagni. Accetta sempre i loro
consigli, e di solito non li guarda negli occhi. Inoltre non li
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rimprovera mai, nemmeno quando lo meriterebbero. Bull è un
insicuro, sebbene sia il capitano della squadra.»
«Amen» concluse Donny. «Speriamo che il test sia un successo, altrimenti distruggerò il simulatore e mi ubriacherò con lui!»
***
Artes era seduto al bar, vicino a Donny. A pochi metri, Lucille
era voltata di spalle.
Ci siamo, pensò Artes. Era tutto pronto per il test finale. Finse
di sorseggiare distrattamente un Daiquiri alla fragola, ma in
realtà osservava il volto di Donny, dal quale trapelava un’evidente
tensione.
«Stai tranquillo» disse Artes. «La personalità di un individuo
è la principale caratteristica psichica, ed è talmente radicata che
può sovrastare persino l’istinto sessuale.»
«Lucille è una professionista del sesso» obiettò Donny. «È
raro che fallisca un abbordaggio con un potenziale cliente.»
«Sei troppo ansioso. Era meglio se aspettavi fuori.»
«Non questa volta. Sei un insopportabile perfezionista, ed
escogiteresti l’ennesimo cavillo per rimandare nuovamente il
recupero del pacco.»
«Ti ho assicurato che questa sarà l’ultima modifica al simulatore. Non ti fidi?»
«No, preferisco assistere personalmente all’esito del test.»
La tavolata di Bull era chiassosa, e gli schiamazzi salirono
d’intensità.
«Vai Bull, e castigala con il tuo grande martello!» urlò il giocatore ubriaco, sovrastando la chiassosa musica del bar con la
propria voce.
«La vedi questa fede nuziale?» chiese Bull brillo, sventolandogli il dito sotto il naso, e dandogli involontariamente un pugno
leggero.
«No, non la vedo!» disse l’amico, biascicando le parole. «E voi
la vedete?» chiese ai compagni di squadra, scuotendo energicamente la testa per invitarli a negare.
«No!» risposero all’unisono, ridendo soddisfatti.
«Bull, stasera sei single, ma soltanto per poche ore! Lo sai che
ti puoi fidare del nostro silenzio. È da mezzora che stai spogliando quella donna con gli occhi. Il barista mi ha confidato che lei
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dice sempre di sì, a tutti! Adesso vai, e rendici orgogliosi. Saremo
muti come pesci!» aggiunse, tirandolo per un braccio e spingendolo verso lo sgabello, sul quale era seduta Lucille in posizione
sensuale.
«Ho detto di no!» protestò Bull. «Sono sposato!» aggiunse,
tornando a sedersi.
«Ti sbagli. Per noi sei soltanto il capitano della nostra squadra, e devi festeggiare. Che insegnamento vuoi trasmettere ai
membri più giovani del gruppo?» disse, indicando i gemelli che
guardarono Bull con aria comicamente imbronciata.
«Nessuno può accusarmi di essere un pessimo capobranco, lo
farò per loro!» disse, alzandosi deciso e dirigendosi senza esitare
verso Lucille.
A Donny mancò il respiro e il cocktail gli scese di traverso.
Tossì più volte per recuperare il respiro.
«Che cosa diavolo sta facendo quell’idiota?» bisbigliò preoccupato ad Artes. «È troppo determinato!»
Bull si sedette sullo sgabello, barcollando leggermente. Lucille
lo guardò, inarcando un sopracciglio.
«Signorina» esordì Bull. «Lei è molto carina e vorrei conoscerla meglio» dichiarò, accarezzandole la gamba nuda.
Lucille osservò la mano appoggiata sulla gamba. Poi guardò
Bull, regalandogli uno sguardo lussurioso e carico di silenziose
promesse.
Artes osservò Donny che ascoltava a bocca aperta. Probabilmente stava pensando al tempo sprecato nel programmare il
software, e stava decidendo di distruggerlo con le proprie mani.
Forse l’omino avvertiva l’impulso di saltare al collo di Bull,
strozzandolo davanti a tutti.
Bull aprì la bocca per parlare, ma si bloccò. «Mi piacerebbe
molto …» disse infine, balbettando leggermente e faticando a
guardare Lucille negli occhi. «Mi piacerebbe passare una notte
infuocata con te.»
«A casa mia, oppure a casa tua?» chiese Lucille, inclinando la
testa e guardandolo con occhi lascivi.
«A dire il vero …» rispose imbarazzato. «Non sono mai stato
un seduttore, oltretutto sono sposato da molti anni. Non sono
sicuro di riuscire a fare sesso con una donna, che non sia mia
moglie.»
«Ti aiuterò io» lo incoraggiò Lucille.
82
«Non servirà. Devo scegliere se fare una figuraccia con te,
oppure con i miei amici.»
«Tentare non nuoce» insistette Lucille.
«Preferisco di no. Sono un pessimo bugiardo, e loro mi scoprirebbero se facessi cilecca. Ti prego di respingermi, così potrò
tornare dai miei compagni e proseguire la serata …»
Lucille esitò, stupita dalla proposta. Poi gli gettò in faccia il
cocktail.
Bull tornò mortificato dagli amici, e subì i loro sberleffi.
Lucille si alzò e si avvicinò a Donny. «Il tuo amico mi ha
rifiutato, ma voglio ugualmente la tariffa intera» disse.
«Avrai tutto, fino all’ultimo centesimo!» esclamò Donny
soddisfatto. «Finalmente inizieremo a fare sul serio!» aggiunse,
vuotando il cocktail di un fiato.
Uscirono dal locale. Salirono in silenzio sul fuoristrada e
partirono.
«Implementerò quest’ultima modifica» esordì Donny.
«E il resto della simulazione?» chiese Artes.
«Non possiamo avvicinarci all’ufficio postale, ma da lontano
riusciremo a ricavare una mappa attendibile degli interni.
Inserirò i profili di alcuni dipendenti assegnando delle personalità standard, ad esempio un paio di sportellisti svogliati e un
commerciale insistente. Aggiungerò il perimetro degli edifici
limitrofi, il parco, il clima previsto, e la pattuglia municipale che
ispeziona quotidianamente la zona dell’ufficio postale.»
«Sono d’accordo, e includeremo qualche piccolo inconveniente. Ieri ho perlustrato il parco per chiarirmi le idee. Ho visto
una signora che passeggiava con il barboncino, e poi un padre
che sgridava un figlio vivace.»
«È tutto lavoro in più! Non serve a nulla!»
«Ogni cosa è utile, non voglio fallire per colpa dei tuoi capricci!»
«Ok» replicò Donny a denti stretti. «Ti ricordo che ci saremo
anche noi nella simulazione. Però camufferò le nostre sembianze,
nell’ipotesi che il filmato sia esaminato dalla polizia. Inventa un
personaggio strambo che mi somigli.»
«Ad esempio?»
«Io ti immagino nei panni di un africano taciturno.»
«Capisco» commentò risentito. «Invece tu sei perfetto per
interpretare un piccolo cinese.»
83
«Grazie Artes.»
«Di niente» replicò.
Si voltò a guardare le luci della città.
“Il giorno del giudizio si avvicina” rifletté pensieroso.
***
«Pronto?» sbraitò Donny irritato. «Base Terra chiama Luna!
Qualcuno è in casa?» aggiunse ironico, accompagnando ogni
parola con il suono acuto del pupazzetto antistress.
Artes si destò dai ricordi. I tempi dell’università, la morte di
Neck, e i primi test con il simulatore. Tutto tornò ad appartenere
al passato. Si guardò intorno, completamente spaesato. Mise a
fuoco l’appartamento, e rammentò dove si trovava.
«Scusa Donny, mi sono distratto un attimo.»
«È durato molto più di un attimo, ma era ovvio che non mi
sentivi. Infatti mi hai lasciato parlare a lungo, senza interrompermi»
«Mi hanno assalito i ricordi …» si giustificò Artes.
«Piacevoli?»
«Non tutti.»
«Mi spiace, tuttavia le brutte esperienze ti hanno condotto da
me. Il Simulatore non sarebbe mai nato senza il tuo contributo.
Per certi versi, sei stato addirittura determinante» aggiunse
sogghignando.
«Scommetto che stai pensando al garzone delle pizze.»
«Certo! Vorrei possedere la macchina del tempo e tornare
indietro di dieci minuti per filmare tutto! Rivedrei Salgemma che
ci appare alle spalle con la sua faccia da ottuso, poi tu che lo
intimorisci, e infine lui che guida lo scooter ed evita il muro per
un pelo. Mi ha fatto ridere di gusto! La programmazione del
simulatore ha assorbito tutta la mia attenzione, e non ho avuto
tempo per divertirmi.»
«Il Simulatore è stato un progetto impegnativo, ma domani
avremo il verdetto finale.»
«Infatti, ma mi preoccupa il Duca. Temo che sia pazzo» disse
Donny.
«Ne abbiamo parlato più volte» obiettò Artes. «È un disadattato senza famiglia. La sua emarginazione gioca a nostro vantaggio, perché ci tutela contro gli imprevisti. Non gli auguro di
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morire, ma in tal caso le indagini saranno veloci e poco accurate.»
«Esatto Artes. Inoltre potrebbero arrestarlo, ma le parole di
un barbone avrebbero poco valore per la polizia.»
«Mi spiace coinvolgerlo, ma non abbiamo alternative.»
«Non drammatizzare, il Duca non è un martire. Ti rammento
che lo ricompenseremo, se tutto filerà liscio.»
«In ogni caso, spero che ne esca pulito.»
«Artes, sei il solito santo!»
«E pensi che sia un vantaggio?»
«Direi di no» rispose Donny, sorridendo. «Io sostengo che i
santi hanno avuto un gran passato, ma i peccatori avranno
sempre un gran futuro!»
«A proposito di peccatori, che cosa ne pensi degli irlandesi.»
«Li ho inseriti nel simulatore, ma i loro profili hanno dei
grossi limiti» ammise Donny. «Emme e Walsh sono dei perfetti
sconosciuti perché li hai visti soltanto per pochi minuti, in
condizioni mentali sfavorevoli.»
«Gli irlandesi mi conoscono, ma ultimamente mi sono mosso
con cautela. Sono sicuro che non mi abbiano mai visto con te,
ma per prudenza dovremo ipotizzare un pedinamento.»
Donny annuì. «È difficile che gli irlandesi stiano piantonando
l’ufficio postale, poiché sarebbe un impegno logorante. Finora
non hanno forzato la cassetta, altrimenti il direttore ti avrebbe
avvisato. Inoltre non possono rubare il pacco perché non hanno
il terzo elemento. Ovviamente non esiste, ma loro sono convinti
del contrario.»
«È una situazione complicata anche per loro, eppure sono
certo che non rinunceranno mai a quest’affare.»
«Domani mattina sarà il gran giorno per tutti.»
«Che inizino le danze» aggiunse Artes.
***
Artes uscì dal palazzo, seguito da Donny. La giornata era
calda e soleggiata. Artes era irrequieto per gli eventi imminenti,
ma anche sollevato per la fine degli snervanti preparativi.
«Sei pronto?» chiese all’amico.
«L’attesa mi sta uccidendo, ma presto sarà tutto finito» rispose Donny. «Pensi che gli irlandesi ci stiano osservando?»
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«È improbabile, ma preferisco ipotizzare che lo stiano facendo, così non ci coglieranno impreparati.»
Salirono in auto, partendo senza fretta. Donny guidò piano,
nonostante il traffico fosse scarso.
Un automobilista strombazzò per l’eccessiva lentezza, e li
sorpassò facendo un gestaccio.
«Che situazione assurda» si sfogò Donny.
«Non ti spazientire. Voglio capire se qualcuno ci sta pedinando.»
«Hai visto qualche auto sospetta?»
«Nessuna. Un furgone ci ha seguito per un breve tratto, ma
poi ha svoltato.»
«Bene» commentò Donny stringato.
Trascorsero il resto del tragitto in silenzio.
Giunsero al parco. Artes scese e si diresse verso un grosso
abete. Posò un biglietto da visita vicino a una panchina. Tornò da
Donny, risalendo in fretta sull’auto.
«Il Duca arriverà tra poco» disse Donny, spostando il fuoristrada all’estremità opposta dell’ufficio postale.
Si fermò in un parcheggio che consentiva di sorvegliare
l’entrata. «Adesso dobbiamo soltanto attendere, e sperare che il
simulatore abbia predetto correttamente gli eventi.»
Artes sospirò nervoso. «Gli irlandesi potrebbero essere a poca
distanza da noi, oppure hanno ideato uno stratagemma per
essere costantemente informati. Il Duca vedrà il biglietto e sarà
invogliato dalla ricompensa. Si presenterà in posta e ritirerà il
pacco. Da quel momento partirà il diversivo per consentirgli di
uscire indisturbato. All’esterno, Lucille sfoggerà le proprie grazie
e distrarrà Emme, ipotizzando che lui sia effettivamente nei
paraggi.»
Donny annuì con esagerata convinzione. «Nel frattempo
l’amico di Lucille si fingerà un critico d’arte e intratterrà Walsh,
se l’anziano si farà vedere.»
Si guardarono perplessi.
«Siano rovinati» dichiarò Donny. «Fino a ieri pareva che
avessimo architettato un ottimo piano, ma ora sembra il disegno
di un bambino dell’asilo.»
«È il massimo che potevamo ottenere» ribatté Artes. «Le informazioni sui due irlandesi erano poche e imprecise.»
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Si guardò intorno. Desiderò ardentemente che i delinquenti
avessero desistito, e fossero tornati in Irlanda.
***
Il Duca osservò il pettirosso. Il piccolo passero zampettava
sull’erba ed esaminava il biglietto colorato. Lo beccò, e saltellò
intorno ad esso. Il Duca si avvicinò, allungando la mano.
L’uccellino sfrecciò su un ramo vicino. Il Duca raccolse il
biglietto. Sorrise divertito, quando vide il pettirosso che cinguettava risentito verso di lui.
Il Duca sedeva ogni giorno nello stesso posto. Lo aveva scelto
con cura durante i vagabondaggi nel parco. Gli piaceva quella
panchina perché era sotto i rami di un grosso abete. Adorava
godere dell’ombra, e osservare i giochi di luce che si creavano tra
le fronde dell’albero. Inoltre la panchina era sempre libera perché
era lontana dall’area giochi dei bambini.
Esaminò con attenzione il biglietto dalle finiture curate. Era
stampato su carta lucida. Pubblicizzava l’imminente apertura di
un’agenzia di consulenza, in una zona che conosceva bene. Era
certo che quel locale fosse vuoto, poiché di recente si era rifugiato
all'interno, per fuggire alla pioggia scrosciante. I muri erano
scrostati e aveva faticato a trovare un angolo che non fosse
imbrattato dalla sporcizia. Forse i nuovi proprietari avevano
urgenza di inaugurare e si erano limitati a una veloce pulizia, ma
era poco convinto della spiegazione.
Lesse l’annotazione scritta sul retro del biglietto. “Ritirare il
pacco presso l’ufficio postale – Codice 254587 – Cassetta 40/C”.
Si guardò intorno, osservando le persone. Gli anziani passeggiavano con calma, e le mamme accompagnavano i bambini a
scuola. Passò un podista che correva a ritmo blando. Un ragazzo
liberò il cane dal guinzaglio, poi si sedette su una panchina e
sorvegliò l’animale.
Erano tutte persone comuni, ed era improbabile che qualcuno di loro avesse perso il biglietto, perciò restava soltanto una
spiegazione.
“Un estraneo lo ha posato intenzionalmente” pensò. Era
perplesso, poiché non capiva quale fosse l’obiettivo dello
sconosciuto. Doveva accettare l’incarico? Equivaleva a fare un
salto nel buio, ma era ugualmente tentato perché era affamato. La
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fame lo spingeva ad accettare quasi tutte le opportunità, e spesso
non si lasciava dissuadere nemmeno dalla mancanza d’igiene e
dal pericolo di malattie. La sera precedente aveva cenato con una
pizza alle acciughe. Era buona, ma l’aveva trovata per caso,
rovistando in un cassonetto dell’immondizia. Si era nutrito, ma
era stato un pasto frugale che non aveva placato l’appetito.
Guardò il biglietto, riflettendo sulle possibili conseguenze.
“Le persone sono strane e non hanno le mezze misure” pensò
combattuto. “Potrebbero accusarmi di furto, oppure premiarmi
con una ricompensa”. Forse avrebbe aperto il pacco, anche se
correva il rischio di trovare qualcosa che non fosse barattabile al
banco dei pegni. Il gestore del banco era zoppo, ma tutt’altro che
stupido, infatti era diventato prudente dopo l’accusa per
ricettazione di cellulari rubati. D’altra parte, il pacco poteva
contenere dei documenti preziosi che avrebbe restituito a caro
prezzo.
Lo assalì un improvviso crampo allo stomaco. La prudenza lo
stava frenando, e non lo aiutava a riempirsi la pancia. Si alzò,
persuaso a non perdere altro tempo. Si sarebbe presentato in
posta per ritirare il pacco, e poi avrebbe deciso se tenerlo, oppure
se consegnarlo ai legittimi proprietari.
Mise in tasca il biglietto, avviandosi verso l’ufficio postale con
un portamento altezzoso.
***
«Si sta dirigendo verso la posta» disse Donny, appoggiando il
cannocchiale sulle ginocchia.
«Finora la simulazione ha predetto correttamente gli avvenimenti» disse Artes, sistemandosi meglio sul sedile del fuoristrada.
«Lucille è al suo posto?»
«Certo, e le ho ricordato di non distrarsi. Purtroppo quella
sgualdrina ha intuito che l’affare era importante, e ha preteso il
doppio della tariffa!»
«Pazienza, il suo amico è con lei?»
«Sì, e mi ha assicurato di essere un ottimo commediante. Mi
sono fidato, ma sanno entrambi che non devono commettere
errori, altrimenti perderanno tutto il compenso.»
«Speriamo che non ci deludano, ma ora non perdere di vista
il mendicante.»
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«D’accordo, anche se questo dannato arnese mi sta procurando un fastidioso mal di testa» disse Donny, appoggiando il
cannocchiale sugli occhi.
Si agitò improvvisamente ed esaminò un ampio spazio, spostando il cannocchiale con movimenti bruschi.
«Che cosa succede?» chiese Artes preoccupato.
«Il Duca è sparito!»
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ESPERIMENTI
Il Duca temeva che qualcuno lo rincorresse, e si era rintanato
dietro la fitta siepe per non correre rischi. Trattenne il respiro,
preoccupato dall’avvicinarsi dei passi veloci.
Apparve una bambina che correva ridendo, e un uomo che la
inseguiva. L’uomo la afferrò al volo e la sollevò da terra, strappandole uno strillo felice.
«Ti ho presa!» disse, in finto tono minaccioso.
«Papà, cos’è quello?» chiese la bimba, fissando a occhi sgranati un leprotto.
«È un coniglio selvatico.»
«Corre veloce?»
«Certo, ma non quanto te» le rispose, appoggiandola sulle
spalle.
«Quanti anni ha?»
«Non saprei» rispose, incamminandosi. «Torniamo dalla
mamma.»
«Forse il coniglio ha quattro anni, come me.»
«Non credo, sembrava piccolo. È probabile che abbia soltanto un anno.»
«Così poco?»
«Sì, le lepri vivono circa cinque anni. A quattro anni sono già
vecchie e ...»
La voce si affievolì, fino a svanire.
“Sono troppo ansioso, devo calmarmi” pensò il Duca. “Sono
il custode del mio destino, e il padrone del mio successo” recitò
mentalmente, utilizzando una frase di training autogeno che
aveva ideato per calmare lo stress. Era scettico sui reali benefici
della tecnica, ma la utilizzava ugualmente poiché lo costringeva a
concentrarsi sulle parole.
Si alzò, acquisendo il portamento aristocratico che spesso
l’aveva aiutato a superare il biasimo nei confronti dei mendicanti.
Molti anni prima, aveva imparato che un giusto linguaggio del
corpo influenzava i giudizi delle persone.
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Ricordava con precisione il giorno in cui aveva osservato la
vetrina di un negozio di elettrodomestici. Un televisore visualizzava uno spot che mostrava le blande abitudini degli anni
sessanta, contrapponendole alla frenesia dei tempi odierni. Si era
stupito quando due ragazze avevano apprezzato la signorile
virilità degli uomini di quei tempi. La curiosità lo aveva spinto a
esaminare il filmato con attenzione. Era lo spezzone di un film di
spionaggio, ed era interpretato da un attore che vestiva elegante,
in giacca e cravatta. L’uomo esibiva uno sguardo fiero. Camminava a testa alta e teneva la mano destra in tasca, mentre muoveva la sinistra ritmicamente e con eleganza.
Era trascorso molto tempo da quel giorno, ma non aveva
scordato il filmato. Guardò distrattamente le persone del parco e
si incamminò verso l’ufficio postale. Era consapevole di imitare il
portamento dell’attore, ma l’aveva assimilato così a fondo che
ormai lo considerava soltanto suo.
***
«Eccolo!» esclamò Donny. «Era nascosto dietro a un cespuglio! Perché diavolo lo avrà fatto? La simulazione ha più buchi di
una groviera!»
«Il software non può essere preciso al cento per cento» ribatté
Artes, sforzandosi di controllare l’agitazione. «L’unica cosa
importante, è che il Duca si stia dirigendo all’ufficio postale»
«Stai tranquillo Artes. Ora sta camminando verso la posta,
ma come al solito passeggia come se fosse il padrone della città.
Vorrei rompergli una gamba per vederlo zoppicare!»
***
«Fermo!» ordinò una voce femminile.
Il Duca rallentò, ma si rifiutò di obbedire.
«Ho detto di fermarti!»
Il Duca si bloccò e percepì il battito del cuore che accelerava.
Alla sua destra apparve un barboncino bianco con una targhetta
argentata al collo. Si leggeva distintamente la scritta “Bilo”.
«Cattivo Bilo!» disse l’attempata signora, ansimando per la
corsa. La donna vestiva elegante con un cappello a tese larghe e
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grossi occhiali, come una diva del cinema che volesse mantenere
l’incognito.
Il cane annusò le scarpe del Duca.
«Fermo Bilo. Mi rincresce, ma è nervoso ultimamente» disse
la signora. «È turbato dagli ultimi avvenimenti perché è molto
sensibile» disse, portandosi una mano al cuore.
Il Duca fece un cenno affermativo della testa, ignorando quali
fossero gli inquietanti avvenimenti menzionati dalla donna.
«Saluta il signore.»
Il cane alzò la zampa destra, e abbozzò un movimento che
ricordava vagamente un saluto.
«Bravo Bilo!» applaudì la signora estasiata. «Oggi il mio barboncino si esibirà qui al parco, insieme ad altri cani al Festival
della Zampa. Bilo si cimenterà in prove d’intelligenza e di abilità.
Interverrà anche lei, vero?»
Il Duca la guardò, pensando a una scusa plausibile che stroncasse ulteriori insistenze.
Il cane ripartì all’improvviso, costringendo la signora ad adeguarsi al passo veloce del barboncino.
«La aspettiamo!» gli disse, senza voltarsi e calcandosi sulla
testa il grosso cappello.
Il Duca tolse dalla tasca la mano destra, umida per la tensione. La asciugò dal sudore, fregandola distrattamente sul pantalone.
Riprese a camminare, augurandosi di arrivare all’ufficio postale senza rischiare un infarto ogni cinque minuti.
***
«In questo caso la simulazione è stata attendibile» disse
Donny. «Il Duca si è fermato per colpa della vecchia e del cane
rompiscatole. Quella donna era ridicola. Indossava degli orribili
occhiali e uno strano cappello, come le dive degli anni sessanta.»
«Il software sta funzionando bene, è un ottimo segno» ribatté
Artes.
«Certo, ma vorrei che il Duca si sbrigasse a ritirare il pacco!»
***
92
Il Duca camminava lentamente per recuperare la padronanza
delle emozioni, e si vide riflesso sul finestrino di un’auto
parcheggiata. I capelli argentati erano mossi da una leggera
brezza e gli occhi verdi brillavano di fiducia, nonostante percepisse un forte disagio al pensiero di entrare nell’ufficio postale.
Avvertì un picco emotivo quando svoltò l’angolo e vide l’entrata
dell’edificio a una decina di metri. La porta scorrevole si apriva al
passaggio delle persone, e si richiudeva dopo qualche secondo.
“Sono quasi al punto di non ritorno” pensò il Duca, avvicinandosi a grandi a passi.
La fotocellula dell’entrata si inceppò, e il Duca rischiò di sbattere contro la porta a vetri.
“Perché ha smesso di funzionare proprio ora?” si chiese perplesso. “È il terzo segno sfavorevole. Il padre con la bambina, la
signora del cane, e ora la fotocellula. È meglio se rinuncio” pensò
agitato, retrocedendo di qualche passo.
La porta si aprì e uscì un ragazzo con una vistosa T-shirt a
larghe strisce colorate. Camminava a testa bassa, contando
attentamente il denaro appena prelevato. Il Duca lo guardò con
invidia.
“Maledizione” pensò spazientito. Entrò senza indugiare,
spinto da una rinnovata determinazione.
L’interno era poco affollato. Si guardò intorno, muovendosi
nervosamente alla ricerca delle cassette di sicurezza.
***
«Una stupida fotocellula!» strepitò Donny, posando il cannocchiale. «Nella simulazione il Duca si fermava sempre
all’ingresso, e poco fa è stato frenato da un insignificante
meccanismo!»
«Dovresti rallegrarti» disse Artes. «Significa che il simulatore
può prevedere anche i piccoli imprevisti, dopotutto abbiamo
lavorato duramente per cercare di includere anche queste
eventualità.»
Gli occhi azzurri di Donny lo fissarono per un istante. «Mi
rallegrerò quando mi godrò una bionda strepitosa e sfreccerò su
una costosa auto sportiva, infischiandomene delle multe» disse,
afferrando il cellulare e cercando Lucille in rubrica.
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Compose il numero, ma suonò occupato. «A chi diavolo starà
telefonando? Lo sapeva che doveva lasciare libera la linea. Ne ho
piene le scatole dei suoi comportamenti da primadonna!»
«Ed io sono stufo di sentirti urlare! Mi innervosisco ad ascoltare la tua voce acida e stridula.»
Donny lo fissò, visibilmente meravigliato per l’inconsueta
reazione di Artes.
«Per piacere» aggiunse Artes, sforzandosi per recuperare la
calma. «Anch’io sono teso, ma cerco di controllarmi. Provaci
anche tu.»
«Artes lo strizzacervelli» disse Donny sbuffando. «Ora riprovo a contattare Lucille.»
Artes sperò che Lucille si fosse liberata. Il tempo scorreva
veloce. Il Duca avrebbe impiegato un paio di minuti per dirigersi
verso la cassetta di sicurezza, digitare la combinazione, prelevare
il pacco, e uscire.
«Squilla!» esplose Donny.
«Pronto!» disse la voce di Lucille
«Tra pochi istanti uscirà!» disse Donny. «Occhi aperti e lascia
libera la linea, altrimenti ti scordi il denaro!» minacciò, terminando bruscamente la telefonata.
«Finora tutto bene» disse Artes parzialmente sollevato. «Il
Duca è entrato. Lucille e il suo amico sono in posizione. Ma gli
irlandesi dove sono? Tu li vedi?»
«No.»
«Pensi che abbiano rinunciato?» chiese perplesso.
«Non credo. Hai qualche spiegazione?»
«Può darsi che abbiano un aggancio all’interno» rispose preoccupato.
***
Il cellulare segnalò l’arrivo di un nuovo messaggio. L’anziano
Walsh lo lesse attentamente.
«Qualcuno ha prelevato il pacco» disse.
«Sei un genio!» esclamò Emme, grattandosi il voluminoso
bicipite. «Ero stufo marcio dell’ufficio postale e dei continui
piantonamenti. Adoro essere di nuovo qui, in Irlanda» aggiunse
compiaciuto.»
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«Anch’io non vedevo l’ora, ma siamo tornati appena è stato
possibile. Prima ho dovuto disporre la mia pedina.»
«Non è stato semplice trovare Shullen» protestò Emme.
«Era ovvio. La sua fedina penale non è immacolata, e si sposta
di frequente per confondere le tracce.»
«Lo comprendo, ma poi gli abbiamo cercato un lavoro vicino
all’ufficio postale» rincarò imbronciato.
«Era indispensabile, e abbiamo impiegato più tempo del previsto.»
«Comunque sono certo che sarà un ottimo dipendente»
commentò Emme sogghignando.
«Ne dubito. Non era entusiasta all’idea di lavare i piatti, ma
era importante trovargli un’occupazione vicino alla posta. Era
l’unico sistema per consentirgli di intervenire durante l’orario di
apertura, e in tempi brevi.»
«Ricordo ancora la sua faccia delusa, quando ha dovuto lasciare il posto da buttafuori nel nightclub. Si sarà divertito un
mondo, in mezzo a quelle bambole.»
«Trattieni il sarcasmo, bestione» attaccò Walsh. «Dopotutto
stiamo parlando di mio cugino.»
«Ok» annuì irrigidendosi. «Ma non chiamarmi bestione, lo
sai che mi innervosisce.»
«Invece continuerò a farlo perché sono vendicativo, e ostinato. Ne sa qualcosa il nostro “amico” Ludovico.»
«Ricordo ancora la scena!» esplose Emme, riacquistando il
buonumore. «Siamo entrati nella stanza del motel, mentre
Ludovico faceva sesso con la prostituta che avevamo ingaggiato a
sua insaputa. Povero imbecille, la sua faccia stupita era troppo
comica.»
«Siamo stati fortunati» annuì Walsh. «Probabilmente Ludovico era l’unico dipendente postale che fosse corruttibile. Si è
sposato con una benestante, ma lo ha fatto soltanto per il denaro.
È incatenato a una vita lussuosa che paga a caro prezzo, con
un’obbedienza totale nei confronti della moglie.»
«Si è tolto uno sfizio con la prostituta, ma ignorava che fosse
uno stratagemma per fotografarlo» ridacchiò Emme.
«Esatto, e da quel momento è stato semplice ricattarlo. Lo
abbiamo costretto ad avvisarci, e ora sappiamo che qualcuno ha
prelevato il pacco dalla cassetta di sicurezza.»
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«Ludovico non ci ha deluso, ed è stato puntuale come un
orologio svizzero. Ma ora, è il turno di tuo cugino.»
«Per Shullen sarà un vero piacere» disse Walsh soddisfatto.
«Maneggia il coltello come un artista, e freme dalla voglia di
usarlo.»
***
Donny guardò nervosamente nel cannocchiale, osservando
l’entrata della posta e i dintorni.
«Sono svaniti tutti?» disse irritato. «Gli irlandesi non si vedono, e tutto sommato potrebbe essere un vantaggio. Ma perché
quel pezzente è ancora dentro? Doveva uscire parecchi minuti
fa!»
Artes abbassò il finestrino dell’auto. Non era prudente mostrarsi apertamente, ma ormai temeva che il piano fosse fallito.
«Forse ha avuto un malore» disse perplesso. «La tensione lo
avrà tradito.»
«Pensi che sia svenuto? Auguriamoci che non abbia aperto la
cassetta, altrimenti il pacco sarà a disposizione di tutti!» esclamò
Donny, infastidito dal sudore che gli colava nella camicia.
«Magari sta parlando con un conoscente.»
«Certo! Forse ha incontrato Babbo Natale, e ora stanno concordando il piano di consegna dei regali. Eccolo!»
Artes si raddrizzò all’istante. «Ha il pacco?» chiese agitato.
«No. È a mani vuote. L’ha aperto e ha preso il contenuto!»
«Inseguiamolo!» esplose Artes, spalancando la portiera e
correndo verso il Duca.
***
Il Duca camminava rapido e si guardava intorno nervoso. Era
preparato all’eventualità di un tallonamento. Ma fu colto alla
sprovvista, quando vide il colosso che correva verso di lui, e gli
intimava di fermarsi.
Superò i primi istanti di sbandamento e iniziò a correre più
forte che poteva, augurandosi che le gambe e il cuore lo sostenessero.
***
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Artes vide il Duca che fuggiva attraverso il parco, valutando
che lo svantaggio fosse di un centinaio di metri. Era certo di
raggiungerlo entro un minuto, ma non doveva perderlo di vista e
nemmeno urtare le persone che passeggiavano.
Artes giunse correndo nel parco e il Duca sparì al di là di un
salice piangente, dove iniziava un sentiero che conduceva al
laghetto. Artes si buttò verso il salice per guadagnare tempo, ma
il viso fu sferzato dai rami bassi e dalle foglie seghettate. Oltrepassò l’albero e si guardò intorno, leggermente frastornato. Vide il
Duca che correva lentamente e respirava con affanno.
Ai bordi del laghetto alcune persone chiacchieravano sulle
panchine di legno. Il Duca si avvicinò a una panchina occupata
da due ragazze. Entrambe ascoltavano con interesse un giovane
muscoloso in piedi, che gesticolava animatamente.
«Aiutatemi!» esordì il Duca. Urtò il giovane, e si sedette tra le
ragazze che lo guardarono impaurite.
«Cosa vuoi?» chiese il ragazzo in tono minaccioso.
«Un uomo ha tentato di derubarmi e ora mi insegue!» rispose
il Duca.
«Paul, guarda!» disse una ragazza, indicando Artes.
Paul si voltò risoluto, ma sobbalzò nel vedere il fisico imponente di Artes.
Artes rallentò la corsa, e alzò le mani in segno di resa.
«Non cerco grane» disse. «Quell’uomo ha una cosa che mi
appartiene, e vorrei riaverla.»
Il tono conciliante fu un errore. Lo sguardo del ragazzo si
riaccese.
«Stai mentendo» disse Paul. «Ti vuoi approfittare di questo
vecchio»
«Non dire stupidaggini. Lo perquisirò e ti dimostrerò che ho
ragione.»
«Non ci provare, stai mentendo» ribatté Paul, gonfiandosi di
orgoglio nel vedere gli sguardi ammirati delle amiche.
«Per piacere, non farti ingannare dal suo aspetto signorile. È
soltanto un barbone» disse, dominando il nervosismo. Una rissa
in un parco era assolutamente da evitare.
«Ragazze, portate il vecchio al centro commerciale. In mezzo
alla gente sarete al sicuro. Andate!» disse perentorio.
Le amiche si alzarono veloci, prendendo sottobraccio il Duca.
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Il Duca le guardò grato, come un debole anziano sopraffatto
dagli eventi.
***
Donny sbucò dal vialetto principale, sbuffando per la corsa.
Alla destra, vide Artes che fronteggiava un ragazzo muscoloso.
Dalla parte opposta il Duca camminava veloce, accompagnato da
alcune ragazze.
«Fermo!» gli urlò.
Il gruppetto accelerò il passo. Alcune persone si voltarono
perplesse, fissandolo con occhi accusatori.
“Fantastico”, pensò infastidito.
Rallentò, fino a camminare a ritmo sostenuto. Doveva essere
prudente, poiché il fisico esile gli impediva di fronteggiare
chiunque volesse bloccargli la strada.
Seguì a distanza la stravagante comitiva, sperando che Artes
lo raggiungesse presto.
***
Il Duca sogghignò soddisfatto. Ingannava con facilità le persone, anche se il merito era della vecchia Emily. Era stata lei a
insegnargli alcuni stratagemmi per sopravvivere nel tormentato
mondo dei mendicanti. Emily parlava poco, ma diceva cose
importanti. «Sono venticinque anni che mi dedico
all’accattonaggio» gli aveva confidato in un raro momento di
loquacità. «In tutto questo tempo, ho imparato che se la cavano
soltanto i più furbi. La forza è inutile, tranne che in rare occasioni.»
“Parole sante”, pensò il Duca.
«Hai ancora fiato per camminare?» gli chiese la ragazza, in
tono premuroso.
«Certo» rispose, fingendo caparbietà.
«Bene, siamo quasi arrivati. Il centro commerciale è vicino.»
“Lo so”, pensò compiaciuto. Conosceva la zona del parco
come le sue tasche. Poco più avanti, un semaforo regolava il
traffico di una strada caotica. Sorrise soddisfatto. Presto si
sarebbe liberato anche del secondo inseguitore. L’omino esile si
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manteneva a distanza, ma era evidente che non aveva intenzione
di rinunciare al pedinamento.
Doveva seminarlo con astuzia. Avrebbe camminato lentamente sulle strisce pedonali, tergiversando per giungere sul lato
opposto nell’esatto momento in cui il semaforo delle auto fosse
tornato sul verde.
***
Artes era in una posizione di stallo. Poteva forzare il blocco
del ragazzo, ma lo scontro avrebbe attirato l’attenzione delle
persone. D'altronde non poteva indugiare, altrimenti avrebbe
perso il Duca e Donny. Artes esaminò il laghetto alle spalle di
Paul, ed ebbe un’idea.
«Ok, mi hai smascherato» ammise Artes. «Volevo procurarmi
qualche spicciolo per comprarmi una dose. Sei giovane, e confido
nel tuo perdono» disse, allungando la mano in segno di tregua.
Paul lo guardò titubante, ma le amiche erano lontane ed era
probabile che il ragazzo volesse evitare delle inutili seccature.
Allungò la mano e Artes ne approfittò. Lo tirò bruscamente a sé,
assestandogli una potente spallata che proiettò il giovane in
acqua.
Artes urlò. «Paul, io non so nuotare! Ti aspetterò sulla riva
opposta!» aggiunse, sperando che la gente pensasse a una
spacconata del ragazzo.
Paul annaspò nell’acqua, cercando di ritrovare l’equilibrio
per rialzarsi. Alcune persone lo guardarono contrariate, ma
nessuna si intromise.
Artes riprese a correre furiosamente. Sbucò sulla strada principale e raggiunse Donny. Il Duca salì sul marciapiede opposto,
in compagnia delle ragazze. Il semaforo pedonale scattò sul rosso,
e quello riservato alle auto cambiò in verde.
«Siamo bloccati!» disse Donny, osservando nervosamente le
vetture che ripartivano veloci.
Il Duca si liberò bruscamente delle ragazze, e corse verso
l’entrata della metropolitana.
Il traffico era intenso ma Artes si buttò in carreggiata. Evitò
un furgone per un soffio. Un automobilista frenò all’improvviso
per non investirlo, e fermò la vettura di traverso sulla corsia.
Seguì uno stridere di freni e gomme. La strada era intasata da
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auto ferme e automobilisti infuriati. Artes approfittò del momento favorevole, attraversando veloce in diagonale. Rischiò di essere
investito da uno spericolato motociclista, ma giunse illeso sul
marciapiede opposto.
***
Il Duca imboccò l’entrata della metropolitana, ma con la
coda dell’occhio vide Artes che recuperava terreno. Poco
distante, scorse Donny che attendeva impaziente il segnale verde.
Il Duca era stanco e i muscoli gli bruciavano. In lontananza
sentì lo stridere dei freni che annunciava l’arrivo della metropolitana. Si affrettò a scendere la scala mobile, impegnandosi per lo
sforzo finale.
***
Artes si domandava come il Duca riuscisse a resistere senza
crollare a terra sfinito. Vide l’uomo che scendeva velocemente gli
scalini della scala mobile. La metropolitana stava rallentando e a
breve si sarebbe fermata. Doveva bloccare il Duca, e impedirgli di
salire.
Artes balzò sul largo corrimano della scala mobile, sperando
che le scarpe non scivolassero. Si assicurò che le suole facessero
presa e corse sul corrimano. Scese a forte velocità, arrivando in
fondo in una manciata di secondi. Spiccò un salto, ma atterrò
malamente sul lastricato. Sentì un dolore lancinante al piede
destro.
Procedette zoppicando, reggendosi la gamba dolorante. Il
Duca entrò nella metropolitana dal portellone centrale, ma Artes
fu costretto a fermarsi per prendersi una tregua dalle violente
fitte.
Vide Donny che sopraggiungeva, e gli fece cenno di salire alla
sinistra. Donny alzò una mano in segno d’intesa. Artes si trascinò
verso il lato destro, entrando dal portellone più distante.
Avrebbero stretto il Duca in una morsa.
***
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Il Duca era preoccupato dalla tenacia dei due uomini. Il contenuto del pacco doveva essere molto importante. Si sedette
vicino a un uomo addormentato e gli prese il cappello, calcandoselo sul viso. Abbassò la testa, fingendo di dormire.
Era stremato. Doveva rifiatare, altrimenti il cuore sarebbe
esploso.
***
Donny attraversò il secondo vagone, osservando le persone
sedute e attirando parecchi sguardi infastiditi. Sapeva che Artes
stava rastrellando allo stesso modo l’altra estremità del convoglio.
Al più presto, avrebbero individuato il Duca.
La metropolitana procedeva a bassa velocità e frenò. Le porte
si aprirono.
“La corsa è durata poco più di un minuto”, meditò perplesso.
Scese dal vagone, assalito dal dubbio che il Duca conoscesse la
sequenza delle fermate.
Un uomo con un cappello camminava verso di lui, ma si
fermò bruscamente appena vide Donny.
***
All’interno del vagone, Artes camminava piano, tormentato
dal forte dolore. Il convoglio si era fermato, ma escluse l’idea di
iniziare un altro inseguimento perché le fitte lo avrebbero
bloccato dopo pochi metri.
Decise di continuare a ispezionare i vagoni, confidando nella
buona sorte.
***
Il Duca si agitò appena vide Donny, ma era troppo stanco per
riprendere la fuga. Svoltò in un corridoio, sperando che Donny
non lo avesse visto. Rimase deluso quando sentì dei passi alle sue
spalle, e vide Donny che lo seguiva.
Una curva a gomito lo condusse in un corridoio tappezzato
da poster che simulavano l’interno di un ghiacciaio. Il senso di
claustrofobia era ragguardevole. Si fermò stordito, appoggiandosi
a una parete e maledicendo la propria debolezza.
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Donny lo raggiunse, e prese un ombrello rotto da un bidone
dell’immondizia. Lo impugnò come un bastone e si avvicinò al
Duca.
«Ti ho preso!» disse con cattiveria.
La mano aperta del Duca scattò rapida e colpì con violenza
l’orecchio di Donny. L’improvvisa compressione dell’aria
procurò un dolore lancinante a Donny, che strinse la testa fra le
mani e si inginocchiò a terra, lasciando cadere l’ombrello.
«Scacco matto» disse il Duca, afferrando l’ombrello per il
manico e sferrando un colpo violento alla testa di Donny.
Lo guardò a terra, svenuto. Avvertì l’impulso di assestargli un
calcio alle costole, ma si limitò a gettargli addosso l’ombrello con
un gesto sprezzante. Lo perquisì, e qualche minuto dopo si
incamminò verso l’uscita. Non osò prendere la metropolitana per
timore di incrociare Artes. Salì le scale affaticato e finalmente uscì
all’aria aperta.
“Emily, grazie per avermi insegnato lo stratagemma dello
schiaffo a mano aperta”, pensò il Duca.
Alzò gli occhi e fissò una nuvola. Fantasticò sul fatto che
anche Emily stesse guardando il cielo, proprio in quel momento.
***
Artes sedeva sul divano dell’appartamento, e si tastava la
gamba distesa su una sedia.
«Devo ammettere che quell’uomo mi ha stupito. Non pensavo che avesse tanta forza vitale» disse, appoggiando una borsa del
ghiaccio sul piede.
«È un gran bastardo!» strepitò Donny. «Poteva spaccarmi la
testa con quel colpo! Vorrei stringergli il collo, fino a vedere i
suoi occhi che schizzano dalle orbite» disse, prendendo una birra
dal frigorifero.
«Sei troppo aggressivo. Devi essere più razionale, altrimenti
perderemo tutto.»
«Parli come se avessimo la possibilità di rintracciarlo! Ormai
sono trascorse tre ore e si sarà rintanato in un posto sicuro!»
Artes lo guardò in silenzio.
Donny allargò gli occhi. «Tu sai dove si trova?»
«Non esattamente. Diciamo che potrei saperlo.»
«Spiegati meglio!»
102
«Possiamo scoprire dove si trova il Duca, ma ammetto che è
una possibilità remota» disse Artes, mentre avviava un software
sul computer portatile.
«A cosa serve?»
«Questo programma ci aiuterà a localizzare il sensore inserito
in una finta moneta da due euro. Neck era un appassionato di
gadget tecnologici, e di solito aggiungeva una finta moneta nei
pacchi dal contenuto importante. In tal modo, poteva rintracciarli in caso di smarrimento. Auguriamoci che l’abbia fatto
anche stavolta.»
«Perché hai aspettato finora a dirmelo? Potevamo localizzare
il Duca in qualunque momento, magari pagandolo per ritirare il
pacco e dicendogli di lasciarlo in un posto di nostra scelta.»
«Non è così semplice. Anzitutto hai dimenticato l’eventualità
che gli irlandesi fermassero il Duca, e poi ti ricordo che soltanto
io devo aprire il pacco. Comunque il congegno ha dei limiti.»
«Quali limiti?»
«Il localizzatore è alimentato da una micro batteria che fornisce l’energia a un chip. Il consumo è minimo perché il chip è in
attesa di ricevere un impulso, pertanto la batteria regge un anno.»
«Quindi il chip è raggiungibile come se fosse un cellulare?»
«Esatto. Il software invia l’impulso e attiva il segnale che consente la localizzazione, ma da quel momento la carica della
batteria si esaurisce rapidamente.»
«Ho capito, ma non mi sembra un problema. L’autonomia
sarà di almeno un’ora.»
«Scordatelo. Una batteria nuova resisterebbe cinque minuti,
ma lo sviluppo del simulatore ha preteso molto tempo e nel
frattempo la batteria si è consumata. Durerà circa trenta secondi,
se saremo fortunati.»
«Solo trenta secondi! E se il Duca fosse distante, oppure se si
spostasse?»
«È per questo motivo che ho atteso a dirtelo. A quest’ora il
Duca si sarà senz’altro ripreso dallo spavento e sarà tornato nelle
sue zone. Non abbandonerà le sue cose, e probabilmente si è
rifugiato in un posto che conosce bene.»
Donny sbuffò infastidito. «Per farla breve, dobbiamo augurarci che Neck abbia inserito la finta moneta nel pacco e che il
Duca l’abbia presa. Inoltre è fondamentale che il Duca non abbia
ancora bevuto il contenuto delle bottigliette. E infine dovrà stare
103
immobile, altrimenti il localizzatore sarà inutile perché si
scaricherà dopo mezzo minuto.»
«Esatto ...»
«È pazzesco, le probabilità di riuscire a localizzarlo sono bassissime! Avrei maggiori chance se fossi bendato e dovessi centrare
un bersaglio grande come un piattino!»
«Lo so, è uno schifo, però proviamoci ugualmente. Il Duca è
un mendicante, e avrà senz’altro preso la moneta.»
«Ok» annuì scettico.
«Abbiamo tre localizzatori che attendono di essere attivati.
Due potrebbero essere in questo appartamento, tra le cianfrusaglie di Neck che ho preso dal laboratorio.»
«Non perdere altro tempo, avanti!»
«Attivo il primo» disse Artes, afferrando il mouse e spostando
il puntatore su un pulsante a forma di lampo. Cliccò e apparve
un pallino rosso, affiancato dalla scritta “Connessione in corso”.
Artes guardò incuriosito il monitor. Paragonava il software a
un cane segugio che fiutava il chip e stanava la preda.
Il pallino divenne verde e la scritta cambiò in “Connesso –
Distanza 0,0 km”.
«Che iella!» esclamò Donny. «La prima moneta è nel nostro
appartamento! Attiva le altre.»
Artes cliccò sui due rimanenti lampi e attese.
Il secondo pallino passò al verde, “Connesso – Distanza 0,0
km”.
Donny non disse nulla, visibilmente deluso.
Artes fissò il terzo pallino sullo schermo, attendendo impaziente.
Sul display lampeggiò la scritta “Connesso – Distanza 0,1
km”. L’immagine di una bussola indicava la direzione da seguire.
Donny si alzò dal divano e corse verso la porta. La spalancò,
precipitandosi verso le scale. Artes imprecò e lo seguì con
difficoltà.
«Stiamo arrivando Duca, inizia il secondo round!» disse elettrizzato.
104
TORRE
Il Duca si allontanò dall’appartamento di Donny. Camminava distrattamente, osservando le persone comuni che affollavano
la via. Anche l’appartamento di Donny gli era sembrato ordinario.
Sospirò frustrato. Aveva progettato di chiedere una grossa
ricompensa per la restituzione del pacco, ma il sopralluogo della
zona era stato deludente. I benestanti più scaltri avevano
l’abitudine di camuffare la propria ricchezza, ma non era il caso
di Donny. Era sicuramente uno spiantato. Avrebbe dovuto
capirlo quando aveva esaminato la presunta agenzia. Il locale gli
era parso un evidente bluff, a partire dall’insegna economica e
senza luci. Aveva appoggiato il viso alla vetrina e osservato
l’arredamento, giudicandolo dozzinale. Era perplesso. Non si
spiegava perché quei due uomini avessero organizzato una
trappola così complicata.
Lo scontro in metropolitana era terminato a suo vantaggio, e
lo svenimento di Donny gli aveva consentito di curiosare nel
portafoglio. Si era stupito nel leggere “Programmatore” sulla
carta d’identità. Aveva annotato l’indirizzo, rimettendo tutto a
posto per non insospettirlo.
Si era prefissato di trarre il massimo profitto dal contenuto
del pacco, invece ora camminava deluso, lasciandosi alle spalle
l’abitazione di Donny. Era immerso nelle amare considerazioni
della sua miserevole vita, e lo colse impreparato la presa di Artes.
L’uomo strinse con forza sul braccio, e il dolore lo lasciò senza
fiato.
«Adesso mi seguirai tranquillamente, oppure ti spezzerò
l’osso» disse Artes.
***
105
«Dove hai nascosto il contenuto del pacco!» urlò Donny,
colpendo la schiena nuda del Duca con una mazza da cricket.
«Vi ripeto che non l’ho preso io!» gemette il Duca, immobilizzato su uno sgabello dalla presa possente di Artes.
«Voglio la verità!» ordinò Donny.
«La cassetta di sicurezza era già aperta, è questa la verità!»
strillò, vedendo Donny che si preparava a colpire di nuovo la
schiena dolorante.
«Non mentire, hai preso il localizzatore che era nel pacco»
disse Artes.
«Quale … quale localizzatore?» balbettò.
«La moneta da due euro contiene un micro-segnalatore.»
«Ma che cosa stai dicendo, quale moneta?»
«L’hai presa in posta, dopo aver aperto il pacco!» disse
Donny. Assestò un colpo più forte di quelli precedenti, e posò la
mazza per massaggiarsi le dita indolenzite.
Il Duca era tormentato dalle fitte di dolore. Faticava a pensare, ma si affrettò a parlare quando vide Donny che riprendeva la
mazza. «Ho trovato i due euro per terra! Li aveva persi un tizio. È
stato un gesto meccanico, raccolgo sempre il denaro che vedo.
Ignoravo che fosse vostro!» disse, supplicandoli con lo sguardo.
Artes lo fissò pensieroso. «Penso che tu sia sincero.»
«Se non hai preso il pacco, chi è stato?» chiese Donny.
«È stata la Corporazione!» esplose il Duca. «Ho visto i loro
uomini che varcavano l’ingresso della posta. È accaduto poco
prima che entrassi.»
«La Corporazione?» domandò Artes.
«La Corporazione è dappertutto! Gestisce anche il racket della
spazzatura. La vecchia Emily ha dovuto cambiare zona per colpa
loro. Era ostinata, e ogni tanto rubava i rifiuti che potevamo
riutilizzare. L’hanno costretta ad andarsene, povera Emily»
concluse gemendo.
Artes guardò Donny. «Chi sarà questa Emily?» gli chiese confuso.
«Lo ignoro, ma conosco bene la Corporazione Sunvan» rispose Donny. «La sede principale è a dieci minuti da qui. È un
colosso finanziario con attività che si estendono in molti settori. I
profitti principali derivano dalle telecomunicazioni e dalle
industrie minerarie. Non hanno scrupoli, e operano ai confini
della legalità per incrementare il patrimonio.»
106
«Li conosci bene.»
Donny lo guardò, controllando a stento l’irritazione. «Sono
loro che mi hanno sottratto il progetto del simulatore!»
Artes rifletté perplesso. «Credo che sia giunto il momento di
ritornare alla Corporazione.»
Donny meditò per qualche istante, poi gettò la mazza sul
divano. Artes mollò la presa sul Duca.
«Raccogli i tuoi stracci e vattene» disse Donny.
Il Duca si alzò dolorante. Afferrò la canottiera e la camicia,
gemendo mentre li indossava.
Artes lo guardò impietosito. «Nella vita tutto ha un senso,
anche quando sembra che manchi ogni logica» gli disse.
Il Duca si voltò e lo guardò con ostilità, ma negli occhi di
Artes lesse un dispiacere sincero. Si avviò mestamente verso
l’ingresso, lamentandosi per le fitte.
Un attimo prima di chiudere la porta, sentì le parole di Artes.
«Prima di andare alla Corporazione voglio controllare la cassetta
di sicurezza alla posta, ormai non abbiamo più nulla da perdere.»
***
Artes guardò il maestoso edificio di dieci piani. La facciata era
tappezzata da ampie vetrate a specchio. L’entrata era lussuosa, e
arricchita da una pavimentazione rossa che creava l’illusione di
una passerella pedonale. Un arcigno addetto alla sicurezza
vigilava in silenzio, poco distante dall’ingresso e dalla scritta
“Sunvan” incassata in una scultura cubista.
«Avrei scommesso che non sarei più tornato in questo dannato posto» disse Donny amareggiato. «Se avessi puntato dei soldi,
li avrei persi tutti.»
Artes preferì restare in silenzio, rispettando le emozioni
dell’amico.
Donny sbuffò. «D’altronde non abbiamo scelta perché la
cassetta di sicurezza è vuota.»
«Non ti scoraggiare. Giochiamo la partita fino in fondo, e
tentiamo di vincerla all’ultimo secondo.»
«Hai ragione, castighiamo queste canaglie!»
***
107
Entrarono in un’ampia sala d’attesa. La segretaria parlava al
telefono e con un cenno li invitò a sedersi. Le telecamere della
videosorveglianza puntavano verso il centro del locale, ma Artes
ebbe la sensazione che la videocamera più vicina si spostasse
leggermente per inquadrarlo meglio.
Si accomodò sulla poltrona di pelle e osservò i preziosi quadri
appesi alle pareti. La Corporazione spendeva fiumi di denaro per
ostentare gli imponenti guadagni, ed estendeva il buon gusto
anche nella scelta del personale. La segretaria era molto attraente.
I capelli biondi sfioravano la pelle candida del volto, e si appoggiavano sull’elegante scollatura. La voce era gradevole e melodiosa.
«Ancora pochi istanti di attesa» esordì cordiale, appoggiando
la cornetta. «Il signor Colin vi riceverà presto.»
La porta si aprì con prepotenza, e ne uscì un uomo che indossava un elegante abito grigio. Teneva le mani infilate nelle tasche
della giacca, ed esibiva un atteggiamento strafottente.
«Signorina Pann, nel mio caffè voglio soltanto il dolcificante
estratto dal succo di agave. Pensavo che fosse chiaro.»
Pann lo guardò dispiaciuta. «Mi scusi signor Colin. Le preparerò un altro caffè, e presterò attenzione alla bustina di zucchero.»
«È dolcificante, non è zucchero!» strepitò, tornando in ufficio
e sbattendo la porta dietro di sé.
Artes si avvicinò a Pann. «Il tuo capo è stato morso da una
tarantola?» chiese in tono scherzoso.
La segretaria lo guardò con occhi divertiti. «Non ti nascondo
che ogni tanto commetto qualche errore, ma preferisco ammetterlo, senza badare al tono del mio superiore.»
Artes annuì. «Ammiro la tua buona volontà nel riconoscere
gli errori, ma Colin è veramente sgarbato. Dovremmo iscriverlo a
un corso di buone maniere.»
«Lo penso anch’io» disse Pann ridendo. «Mi chiamo Allison.»
«È un piacere conoscerti.»
«Io so molte cose di te» disse imbarazzata. «Il direttore esige
delle indagini preliminari sulle persone che riceve per la prima
volta. Preferisce studiarle a fondo, per avere un vantaggio
psicologico.»
«A fondo?» si intromise Donny. «È più corretto dire che le
affonda!»
108
Un cicalino trillò acuto. «Il direttore si è liberato e vi attende»
disse Allison. «Ma ricordate che l’apparenza inganna» aggiunse in
tono da cospiratrice.
Artes la guardò perplesso.
Donny gli toccò un braccio per sollecitarlo a entrare.
«Andiamo Don Giovanni, concentrati sui nostri affari» gli
disse.
***
La stanza era enorme. Una decina di metri separavano la
porta dalla scrivania. Colin era appoggiato al bordo esterno e li
attendeva a braccia conserte.
Artes sbuffò, infastidito dall’impeccabile organizzazione della
Sunvan. La scelta della stanza era premeditata e sfruttava il
principio psicologico dell’abbondanza. L’apparente spreco di
spazio era uno stratagemma per creare un senso di disagio negli
ospiti, ed enfatizzare la ricchezza della Corporazione. Inoltre
Colin adottava una postura che trasmetteva un atteggiamento di
chiusura. Il colloquio con il direttore si prospettava più difficile
del previsto.
«Accomodatevi» disse Colin, indicando delle sedie imbottite e
spostandosi verso l’immensa vetrata alle spalle della scrivania.
Attese che si sedettero, poi si accomodò sulla poltrona di pelle,
con atteggiamento spavaldo. A turno li fissò negli occhi.
«La Corporazione compra tutto quello che vuole, e distrugge
chiunque la intralci» esordì in tono duro. I lineamenti erano
delicati e Artes notò che gli occhi erano azzurri con riflessi scuri,
probabilmente causati dalle lenti a contatto. I capelli erano bruni,
mossi e curati. Colin era indubbiamente un uomo affascinante e
carismatico.
«I miei occhi sono caratterizzati dall’eterocromia. Sa che cosa
significa?» chiese Colin, fissando Artes con arroganza e sporgendosi leggermente verso di lui.
«Significa che gli occhi hanno colori diversi» rispose Artes.
«Avevo notato qualcosa di anomalo, ma non riuscivo a identificarlo con precisione.»
«Non è un’anomalia. Ritengo di essere una persona speciale, e
non solo a causa dei miei occhi. Gestisco un’azienda straordina109
ria che possiede gli strumenti per ottenere il meglio, a qualunque
costo» disse, spostando lo sguardo minaccioso su Donny.
«Voi avete rubato l’idea del mio simulatore!» esplose Donny.
«E ora, anche la nostra scoperta!»
«Ho letto il suo fascicolo» disse il direttore, appoggiandosi
allo schienale della poltrona. «Lei era un programmatore
promettente, ma è stato imprudente. La stupidità si paga.»
«Sono tuttora un programmatore promettente. Avete cercato
di soffocarmi, ma avete fallito!» esplose, alzandosi dalla sedia.
Il direttore abbassò lo sguardo, osservando brevemente il
ripiano della scrivania con atteggiamento adirato, simile al
carnivoro che si prepara a lanciarsi verso il debole erbivoro.
Fissò Donny con occhi duri. «L’abbiamo osservata. Volevamo
comprendere se avesse le capacità per raggiungere dei grandi
traguardi. Crede di esserci riuscito?»
«Certo! Ho sviluppato l’idea che mi avete rubato, e poi l’ho
perfezionata!»
«Eppure ha funzionato male» ribatté Colin. «Lei ha fallito.»
«Ho fallito perché mi avete spiato, e replicato il mio progetto
di simulazione!» urlò Donny, appoggiando le mani sulla scrivania
e sporgendosi verso il direttore. «Avete sviluppato un progetto
parallelo e avete prelevato il pacco, prima di noi! Come vi siete
procurati il codice della cassetta di sicurezza? Avete installato
delle telecamere anche nel mio appartamento?» urlò, indicando
la videocamera puntata sulla scrivania.
Donny tremava. Si risedette pesantemente sulla sedia, stremato dalla propria violenza verbale.
Colin contemplò brevemente il ripiano della scrivania, poi
rivolse lo sguardo su Artes.
«Il pacco è nostro» disse Colin.
«Le quantità sono limitate» ribatté Artes nervoso. «Avrete
bisogno di noi per procurarvi altre dosi.»
«Possiamo produrre tutte le dosi che vogliamo.»
«Il mio amico è morto, e ha nascosto la formula.»
«Le formule si possono replicare. Abbiamo dei laboratori
all’avanguardia e dei chimici eccellenti.»
«Non ne sia così certo, dopotutto un imprevisto può sempre
accadere. Il componente principale è stato ottenuto in laboratorio, pertanto può essere facilmente sintetizzato. Ma ha valore
soltanto se è associato al reagente che stabilizza la reazione
110
chimica. Il mio amico l’ha trovato dopo molti mesi. Non è stato
facile, ma era animato da una ferrea ostinazione.»
«Noi impiegheremo pochi giorni. Il territorio non è così vasto.»
«L’Irlanda è estesa» disse Artes a disagio.
Colin sorrise ironicamente. «Entro un mese lo immetteremo
sui mercati generali.»
«Siete impazziti! Volete diffondere un prodotto così potente
all’intera comunità?» chiese, allargando gli occhi per lo stupore.
«Ovviamente no. Lo venderemo soltanto a una ristretta cerchia di persone influenti. Sarò un acquisto esclusivo e molto
costoso.»
«Ladri!» intervenne Donny con voce strozzata, respirando
con affanno.
Il direttore ignorò Donny e fissò Artes.
«Vi denunceremo» attaccò Artes. «Abbiamo le prove per
dimostrare che la formula è il frutto del nostro lavoro» disse
Artes, tentando il bluff.
«Il nostro ufficio legale è agguerrito. Sgonfierà le vostre accuse, e vi chiederà i danni per diffamazione.»
«Coinvolgeremo la stampa» insistette Artes. «Sarà una pessima pubblicità per la Sunvan.»
Colin sorrise. «I tempi sono cambiati. La pubblicità è sempre
favorevole, anche quando sembra negativa.»
Artes comprese di essere alle corde, ma si rifiutava di andarsene beffato. La disperazione lo spinse a tentare un ultimo bluff.
«Ci rivolgeremo a una ditta concorrente. Sintetizzeremo
subito la formula, al contrario dei vostri chimici che perderanno
tempo con le prime sperimentazioni. Entrerete sul mercato in
netto ritardo.»
Colin rifletté qualche istante, osservando il ripiano della scrivania.
«Vi assumeremo noi» rispose deciso. «Tuttavia non avrete la
paternità della scoperta, poiché la Corporazione sarà l’unica
detentrice dei diritti sul prodotto finale. In compenso riceverete
un risarcimento generoso, oltre al prestigioso compito di
coordinare tutto il personale che impiegheremo in questo
progetto.»
111
«Accettiamo!» esclamò Artes, stupito per avere ribaltato le
sorti dell’incontro. La proposta di Colin era un duro colpo per
l’orgoglio, eppure non poteva rifiutarla.
«Ci penseremo!» intervenne Donny acido, senza nascondere
il proprio disgusto.
«Come volete, vi concedo un giorno. Rifletteteci e fissate un
appuntamento con la mia segretaria» disse Colin, afferrando il
computer portatile e disinteressandosi di loro.
Donny si alzò. Artes attese qualche istante per stringere la
mano al direttore, ma Colin continuò a ignorarlo.
Artes si arrese e si diresse verso la porta, seguito da Donny.
***
Colin alzò lo sguardo, osservando i due amici che uscivano e
chiudevano la porta.
Guardò per l’ennesima volta il ripiano lucido della scrivania.
Il display era incassato all’interno, ed era visibile soltanto a lui.
Apparvero le parole, “Ottimo lavoro, più tardi passa nel mio
ufficio”.
Sbuffò infastidito.
«Agli ordini» mormorò ironico.
***
Artes era frastornato dal serrato colloquio e salutò Allison
distrattamente.
«Aspetta, questo è per te» gli disse Allison.
Artes prese la chiavetta usb, sfiorando le dita di Allison.
«Grazie» rispose imbarazzato. «Che cosa contiene?»
«Le canzoni del mio gruppo preferito. Ne abbiamo parlato
pochi minuti fa, ti ricordi?»
Artes era confuso. Il colloquio con Colin era stato stressante,
ma non aveva dimenticato la recente chiacchierata con Allison.
Era certo che non avessero parlato di gruppi musicali.
Allison proseguì. «Ti ho copiato i brani migliori. Il cantante è
mio cugino, e sono sicura che presto diventerà famoso in tutto il
mondo.»
«Grazie» ripeté Artes perplesso.
112
«Ti ho anche inserito il mio indirizzo e-mail. Scrivimi le tue
opinioni, così le pubblicheremo sul blog del gruppo. Ci conto»
aggiunse sorridente.
Artes annuì e ricambiò il sorriso. «Ok.»
Il telefono squillò. «A presto Artes!» gli disse, poi prese la
chiamata.
«A presto» mormorò Artes.
Donny gli diede una gomitata, indicando l’uscita. Si incamminarono e Donny lo guardò infastidito.
«Artes, riesco a sentire il fragore della battaglia che si sta
combattendo nel tuo corpo» disse in tono sarcastico. «Ormoni
contro neuroni. Hanno vinto gli ormoni ...»
***
«L’antiacido è il mio farmaco preferito» disse Donny irritato,
chiudendo l’anta del pensile in cucina. «Quel disgustoso direttore
mi ha rovinato la giornata.»
«Poteva andare peggio» ribatté Artes dal salotto.
Donny lo raggiunse. Reggeva un bicchiere d’acqua in cui
sfrigolava una compressa effervescente.
«Alla salute!» disse, bevendo svogliatamente.
Artes sedeva sul divano e indossava le cuffie collegate al computer portatile. Tamburellò con le dita sulla chiavetta Usb.
«Stai ascoltando le canzoni della tua principessa?» lo schernì
Donny, sbattendo le ciglia. «La vostra storia d’amore sta spopolando sul web. Siete il video più cliccato. Ci sei tu che ascolti i
deliranti discorsi di quella bionda, mentre la contempli con una
faccia da stupido.»
«Smettila, non è quello che sembra» disse Artes, guardandolo
seriamente.
«Continua» disse Donny, improvvisamente attento.
«La chiavetta contiene due file musicali del gruppo di suo
cugino, gli Stondblast.»
«È robaccia?»
«Non saprei, si sente soltanto un fruscio. Comunque non
esiste un gruppo con questo nome. Ho verificato anche su
Internet. Allison mi ha assicurato che avrebbero pubblicato i miei
commenti, ma non ho trovato neppure il blog.»
«È impazzita!»
113
«Tutt’altro, poiché ha aggiunto anche un file audio dal titolo,
“L’apparenza inganna”.»
«Che cosa contiene?»
«È la registrazione della nostra conversazione con Colin. Il
gruppo musicale era soltanto una scusa. Voleva consegnarmi
l’audio, senza destare i sospetti della Corporazione.»
«Ma perché ti ha dato l’audio del colloquio? Noi eravamo lì.
Sappiamo già tutto!»
«Purtroppo ci è sfuggito qualcosa. Avrai notato che ogni
tanto Colin si interrompeva, e guardava il ripiano della scrivania.»
«Certo, forse leggeva delle note su di noi. Li avrà appuntati su
un foglietto.»
«Sono certo che non ci fossero dei fogli sulla scrivania» replicò Artes perplesso. «Ritengo che Colin fosse in contatto con
qualcuno. Forse tramite un auricolare nascosto fra i capelli,
oppure con un sistema simile.»
«Per quale motivo?»
Artes si agitò. «Ci ha raggirato Donny. Ho ascoltato la registrazione per una decina di volte. Colin ignorava tutto, ma noi gli
abbiamo fornito le informazioni.»
«Tu sei pazzo! Colin sapeva tutto sul simulatore e sulla formula!»
«Ti sbagli. Fin dall’inizio si è limitato a provocarci e a innervosirci. Ha ripetuto le nostre parole e ha usato delle frasi
ambigue. Ci ha indotto a credere che sapesse tutto, ma stava
bluffando e ci ha persuaso a raccontargli ogni cosa. È stato abile a
cavalcare l’onda» terminò contrariato.
«Stai sostenendo che abbiamo spifferato tutto, come dei perfetti idioti?»
«L’apparenza inganna» rispose amaro Artes. «Dovevamo
capirlo quando Colin ha proposto di lanciare il prodotto sui
mercati generali. Ignorava di cosa stesse parlando, e ha immaginato che fosse commerciabile su vasta scala. Ma chi sarebbe così
pazzo da diffondere un prodotto che può trasformare chiunque
nella persona più intelligente della Terra?»
«Ora capisco perché si è offerto di assumerci!» esplose
Donny, sgranando gli occhi. «Vuole ottenere la formula e capire
che cosa abbiamo inventato!»
114
«Esatto, ma non sa che abbiamo scoperto il suo bluff. Possiamo sfruttare il vantaggio e tornare alla carica» propose Artes.
«Non servirà a nulla! Inoltre vorrei capire chi ha il contenuto
del nostro pacco!» strepitò frustrato.
«Il Duca era certo sul coinvolgimento della Corporazione, ma
sono sicuro che nemmeno Colin sappia come si sono svolti i fatti.
Dobbiamo convincerlo a svolgere delle indagini, ma questa volta
ci presenteremo con degli assi nella manica. Ho contattato
Allison. Sta venendo qui.»
«Perché?» protestò Donny. «Non voglio affidare i miei problemi a una donna!»
«È necessario. Ci ha aiutato, e lo farà di nuovo.»
«La tua futura sposa ci salverà?» chiese sarcastico.
«Lo scopriremo presto.»
«Auguri e figli maschi!» ribatté stizzito, tornando in cucina.
***
Wanda Sunvan posò sulla scrivania il resoconto che la ragguagliava sull’acquisizione della piattaforma petrolifera. Il lavoro
era prioritario, ma era impaziente di concedersi qualche minuto
di relax, per commentare l'incontro avuto con Artes e Donny.
Premette il pulsante per convocare Colin.
Sorrise ironica. Un chimico e un programmatore, vale a dire
due microbi che sfidavano la Corporazione.
Colin entrò in ufficio silenziosamente, e attese istruzioni.
Lo aveva assunto soltanto perché era attraente, ma in seguito
aveva scoperto che era un’utile marionetta da manovrare con fili
invisibili. Sapeva di essere una donna senza scrupoli, simile
all’inflessibile padre, un uomo duro e odiato da tutti. Il padre si
era ammalato all’improvviso, colpito da un male incurabile che
lo aveva spento pochi giorni dopo. Nemmeno la malattia aveva
frenato i commenti acidi dei dipendenti, poiché nessuno di loro
aveva lesinato le aspre critiche e le frasi liberatorie.
Il funerale aveva infiammato la lotta per il controllo della
Corporazione, ma i figli maschi desideravano cedere alle
seduzioni del lusso e della bella vita, senza assumersi alcuna
responsabilità. I fratelli si erano accordati per assegnarle la
gestione dell’intero patrimonio, strappandole l’obbligo di
soddisfare ogni loro vizio. Lei aveva accettato con riluttanza,
115
poiché era cosciente che gli innumerevoli impegni lavorativi
avrebbero azzerato la sua vita privata. Tuttavia era l’unico modo
per salvaguardare l’impero dei Sunvan, e sottrarlo all’inettitudine
dei fratelli.
Era l’unica figlia e sapeva di essere poco apprezzata, sia come
femmina che come donna. I dipendenti la chiamavano “La
Vergine Nera”. Il soprannome la infastidiva, eppure si ostinava a
indossare i completi neri che si fondevano con i capelli corvini.
Talvolta si guardava allo specchio e pensava che la sua bellezza
rievocasse il fascino arcigno dei nobili, come ai tempi del Re Sole.
Lo sguardo era severo, e si inaspriva quando stringeva gli occhi
per contrastare la miopia che si rifiutava di correggere. Si
truccava poco e rinunciava agli interventi estetici, mostrando con
orgoglio le prime rughe.
Guardò il segretario che attendeva pazientemente gli ordini.
Era una donna possessiva, e si compiaceva al pensiero di essere la
padrona della bellezza di Colin, come se lui fosse un prezioso
oggetto che avesse acquistato.
«Ti ricordi quando ti convocai per la prima volta?»
«Impossibile dimenticarlo» disse Colin ironico.
«Il tuo aspetto seducente mi spinse a raddoppiarti lo stipendio. In tal modo ti convinsi a diventare il mio segretario.»
«A quei tempi non conoscevo i tuoi obiettivi, altrimenti avrei
rifiutato» commentò infastidito.
«Ero compiaciuta di possedere un meraviglioso segretario. Ti
esibivo a ogni riunione perché godevo nel suscitare l’invidia delle
mie colleghe manager. Tuttavia non colpevolizzarmi, dopotutto
avevo soltanto ricalcato le abitudini dei dirigenti maschi. Loro
assumevano delle segretarie avvenenti, perciò decisi di farlo
anch’io.»
«Ero il tuo uomo oggetto, molto bello e altrettanto stupido.
Ti eri prefissata di avermi come amante, e ho dovuto cedere alle
tue continue insistenze.»
«È vero. Eppure ci hai guadagnato anche tu, appena compresi
che il tuo carisma era accentuato da una naturale predisposizione
alla recitazione. Decisi di valorizzare il tuo talento, e ti iscrissi a
dei corsi privati che ti insegnarono le raffinate tecniche teatrali.
Ovviamente le lezioni si svolgevano sempre nel mio ufficio, in
segreto e sotto la mia supervisione.»
«Il pupazzo Colin» aggiunse aspro.
116
«Ti trasformai in un attore professionista» continuò Wanda.
«Eri smaliziato e reagivi bene agli improvvisi cambi di copione.
Ti sfruttai per mascherare il mio ruolo di donna manager, poiché
i vecchi azionisti preferivano che la Corporazione fosse guidata
da un uomo.»
«E fu così che divenni il nuovo direttore generale» continuò
Colin. «Inizialmente fui ostacolato dalla mia pessima fama di
amante opportunista, ma in seguito fui apprezzato per le mie
spiccate doti imprenditoriali. Il complotto è stato ordito e
ultimato, mia signora.»
Wanda sorrise ai formalismi di Colin. Amava le congiure e gli
intrighi di corte del romanticismo francese, ai tempi in cui gli
stupidi re erano manovrati da cardinali astuti e da scaltre regine.
Analogamente i suoi ordini raggiungevano Colin attraverso il
monitor incassato nella scrivania. Lo stratagemma era efficiente e
ingegnoso poiché il display era invisibile a chiunque sedesse di
fronte al finto direttore. Wanda trascorreva molte ore chiusa nel
suo ufficio, alimentando i pettegolezzi che la descrivevano come
un’introversa nevrotica, ma in realtà dirigeva Colin e gli faceva
recitare la parte del manager abile e arrivista.
«Passano gli anni, eppure continuo a stupirmi di quanto
possano essere potenti i bluff» disse Wanda.
«È il mio mestiere» commentò risentito.
Wanda lo guardò perplessa. «Sappiamo entrambi che stai
recitando una parte. Sei come gli attori di film western che non
hanno mai toccato una pistola vera, eppure la loro simulazione è
convincente e credibile. Anche tu sembri un direttore, ma non lo
sei. Tuttavia se lo desideri, posso agevolare la tua assunzione
presso un gruppo teatrale. Forse ritieni di essere sprecato in
questo ruolo di finto manager ...»
«Lo sai che intendo restare, ma anch’io vorrei decidere qualcosa, senza leggere ogni volta i tuoi suggerimenti.»
«Ti sposterò nell’ufficio contabilità» rincarò Wanda. «Potrai
decidere se archiviare le fatture nel raccoglitore blu, oppure in
quello verde.»
«Sempre ai tuoi ordini» ribatté Colin, incassando la sconfitta.
«Per ora mi servi qui. Sei troppo prezioso, oltre che bello»
disse Wanda, addolcendo leggermente lo sguardo.
«Conosco persone che maledicono per tutta la vita le loro
deformità. Perciò mi accontenterò di essere soltanto bello, anche
117
se la bellezza è solo una questione di fortuna. Potevo nascere
brutto, e invece eccomi qui …»
«Mi costringi a contraddirti, poiché la buona sorte non è
sempre determinante. Ad esempio i bluff sono efficaci soltanto se
recitati con abilità.»
«In passato ti sei salvata grazie alla fortuna. Dovresti parlarne
con più benevolenza.»
«Ti riferisci a Dan» disse stizzita. «Ero una giovane ingenua e
mi persuase la sua bravura di scalatore. Credetti di affidarmi alla
sua esperienza di guida alpina, ma ignoravo che avesse mentito
per impressionarmi. Passammo una bella giornata in montagna,
ma al ritorno confuse il sentiero e ci perdemmo sul ghiacciaio. Il
sole tramontò, e rischiammo di morire quando rasentammo i
crepacci in piena notte.»
«Eppure la fortuna vi condusse illesi a valle» disse Colin.
Wanda emise un tenue soffio. «In quell’occasione compresi la
forza delle menzogne. Tempo fa, lessi un aforisma che diceva,
“Una verità dichiarata con poca convinzione, ha meno forza di
una falsità declamata con ardore”»
Colin sorrise sarcastico. «È perfetto per Artes e Donny.»
«Quegli stupidi hanno osservato solo le telecamere, sottovalutando i microfoni mascherati da allarmi antincendio» disse
Wanda, strizzando gli occhi per fissare i finti sensori applicati al
soffitto.
«Dovresti comprare delle lenti a contatto.»
Wanda lo guardò irritata. «Non posso farlo perché l’oculista
mi ha diagnosticato un lieve danno alla retina. In alternativa
potrei usare degli occhiali, ma perderei il piacere di fissare le
persone negli occhi.»
«È un innegabile godimento, sono il primo ad ammetterlo»
«È divertente guardarti mentre reciti il ruolo del grande inquisitore, e incenerisci i tuoi interlocutori con lo sguardo. Inoltre
sei bravo, perché leggi le mie istruzioni e le esegui pochi istanti
dopo. Pensi che ti abbiano scoperto?»
«Impossibile, erano convinti che io sapessi tutto. Artes ha
notato che a volte guardavo la scrivania, ma avrà pensato che mi
stessi concentrando sulla prossima mossa. Donny era visibilmente alterato, e la sua rabbia mi è servita per scoprire molti dettagli.
Se fossi un orco, avrei potuto mangiarmeli.»
118
«Avresti fatto bene. Non avrò pietà di loro e porrò fine a tutti
i loro sogni. Sono soltanto due ometti presuntuosi che si sono
presentati con la convinzione di essere nel giusto.»
«Il bluff ha funzionato, ma la prossima volta dovremo essere
più cinici» disse Colin. «Altrimenti perderemo tutto il vantaggio.»
«Stai tranquillo, non riusciranno a ribaltare le sorti del destino» ribatté Wanda. «Ho investito molto denaro in questo
progetto e voglio completarlo. Inoltre potrebbe essere l’inizio di
un disegno molto più ampio» continuò pensierosa.
Colin la fissò. «Un mio collega pensa che tu sia affascinante e
terrificante.»
Wanda sbuffò. «Mi hanno costretta a occuparmi di un incarico difficile. L’odio mi ha plasmata, ma potevo essere un’ottima
manager, a patto che operassi in un settore più femminile. La
Corporazione mi ha indurita, fino al punto di non ritorno.»
«Cosa ne pensi del pacco?» chiese pacato, per strapparla dai
pensieri negativi.
«Sono certa che sia importante, devo averlo al più presto.»
«Possiamo perquisire la loro casa. È il metodo più rapido.»
«È una pessima idea. Voglio che ci svelino tutto volontariamente, altrimenti perderò metà delle informazioni. Conosci la
teoria sulla distruzione selettiva della memoria?»
Colin annuì. «Certo, è lo shock che segue un trauma mentale.
Colpisce soprattutto gli ostaggi.»
«Esatto. I prigionieri dimenticano le informazioni vitali, poiché sanno che saranno uccisi dopo averle rivelate. Allo stesso
modo, non voglio che i miei uomini aggrediscano Artes e Donny,
altrimenti rischierei di vanificare tempo e denaro.»
«Che cosa consigli?»
«Perché me lo chiedi? Ti lamenti sempre perché vorresti avere
più facoltà decisionali, ma come al solito ti limiti a sollecitare le
mie istruzioni.»
Colin incassò la cattiveria, senza battere ciglio.
Wanda lo fissò con acredine. «Ora preferisci rispondere con
un diplomatico silenzio. Mi conosci bene e sai quando devi
tacere.»
Lo fissò, provocandolo con una smorfia derisoria, ma Colin
restò impassibile. Lo congedò con un secco cenno della mano, e
si chiuse nei propri pensieri.
119
***
Colin uscì dall’ufficio, accostando silenziosamente la porta
che collegava il suo ufficio a quello di Wanda. Aprì il cassetto
della scrivania e prese il contenitore delle lenti a contatto. Pizzicò
le lenti dagli occhi. Le tolse, sospirando di sollievo.
Rammentava la gioventù tormentata dagli sberleffi. Soltanto
lui possedeva un occhio azzurro e uno marrone. Inizialmente
aveva mascherato la diversità con degli occhiali, nonostante la
vista fosse perfetta. Poi aveva scoperto che anche Alessandro
Magno era caratterizzato dall’eterocromia. Da quel giorno aveva
sfoggiato con orgoglio la propria peculiarità, ma Wanda lo aveva
costretto a soffocarla, imponendogli di utilizzare le lenti a
contatto.
Colin era consapevole della propria debolezza caratteriale.
Talvolta recitava volutamente il ruolo del dipendente offeso, per
stuzzicare Wanda e valutare le reazioni della donna. Sapeva che
era una femmina vendicativa, pertanto preferiva tollerarla da
amica, poiché era sconveniente scontrarsi con lei. La direttrice
non gli piaceva e aveva meditato più volte di mollare il lavoro,
ma attendeva uno stimolo forte che gli facesse dimenticare il
rischio che avrebbe corso. Le dimissioni lo spaventavano poiché
potevano provocare delle gravi conseguenze, come nel caso di
Dan.
L’unica colpa di Dan era stata l’eccessiva sicurezza. Si era
pavoneggiato con Wanda, e aveva finto di essere un abile
alpinista. Tuttavia aveva pagato oltremisura l’errore, subendo la
prepotente vendetta dei Sunvan. Ogni tanto Colin passava
davanti al centro di recupero per tossicodipendenti, e si fermava
a osservarlo da lontano. Di solito Dan era in giardino, ma
gironzolava a testa bassa, perso nei propri pensieri. Il padre di
Wanda aveva commissionato delle false accuse di corruzione che
avevano totalmente screditato il giovane e brillante avvocato,
trasformandolo nel patetico spettro di sé stesso. Come se non
bastasse, Dan era anche stato diseredato dalla propria famiglia, e
condannato a un’esistenza di miserie.
Colin percepì nell’aria il profumo di Allison. Una cartelletta
scura era appoggiata alla destra della scrivania, confermando che
la segretaria era entrata durante la sua assenza. Aveva smesso di
120
frequentare Allison, poiché voleva salvarla dalla folle gelosia di
Wanda. In azienda nessuno aveva saputo della breve relazione tra
lui e la segretaria. Tuttavia ogni giorno la criticava aspramente,
per allontanare qualsiasi pettegolezzo.
Immaginava Allison come la controparte di Wanda. Talvolta
fantasticava su un ipotetico scontro fra le due donne, come se il
Bene sfidasse il Male. Colin osservava spesso la propria segretaria,
ma prestava attenzione a non farsi scorgere. Ammirava l’infinita
pazienza della donna, e la considerava come un’ancora di
salvataggio nel burrascoso mare della Corporazione.
Il display lampeggiò, interrompendo i suoi pensieri. Si avvicinò alla scrivania per leggere il messaggio di Wanda. Era curioso
di scoprire quali fossero le decisioni nei confronti di Artes e
Donny.
Sobbalzò quando lesse il verdetto. Il monitor visualizzava,
“Estinzione Totale”.
121
TATTICHE
«Accomodati Allison» disse Artes imbarazzato, spostando
una maglietta sporca di Donny dal divano. «Da un paio di mesi,
abbiamo dedicato tutte le nostre energie a un importante
progetto, perciò scusaci per il disordine.»
«In questo appartamento manca il tocco di una donna, è
evidente» disse Allison sorridendo.
«È ovvio» si intromise Donny seccato. «Ho indossato una
gonna fucsia e un grembiulino, ma stonava con il mio berretto
del wrestling» disse ironico.
Artes lo fulminò con lo sguardo. Donny se ne accorse e alzò la
mano in un segno di resa.
«Scherzi a parte» disse Donny, addolcendo il tono. «Ti siamo
grati per l’aiuto. Colin ci ha manovrato come delle marionette.»
Allison annuì. «Conosco bene i suoi metodi. Ufficialmente è
il direttore della Corporazione, ma io osservo il suo lavoro e ho la
certezza che sia soltanto un portavoce della signora Wanda.»
«Perché lavori per un uomo così spregevole?» chiese Artes.
«La paga è alta, e Colin mi rimprovera soltanto per delle
sciocchezze. Non ha mai criticato la mia professionalità, altrimenti mi sarei dimessa ...»
«Sostieni che Colin sia soltanto il portavoce della direttrice.
Tuttavia non è un uomo dimesso, poiché si comporta da
superiore arcigno.»
Allison arrossì. «Temo che lo faccia per ripicca. Abbiamo
avuto un breve flirt.»
Donny fissò Artes con uno sguardo visibilmente divertito. «È
normale che le segretarie siano affascinate dal proprio superiore»
disse annuendo.
«Nel mio caso è stato diverso perché lo conobbi molti anni fa,
ma poi le nostre strade si separarono» precisò Allison.
«Come vi siete rivisti?.»
«Per combinazione Ho una totale negazione per le piante e
cercavo su Internet qualche articolo che mi aiutasse a coltivarle.
122
Mi collegai a un motore di ricerca e digitai la parola “alloro”. Mi
comparvero svariati risultati, incluso il sito della mia università
poiché ha uno stemma con due rami di allori intrecciati.»
«I motori di ricerca sono veramente bizzarri» commentò
Donny. «Anche a me accade di entrare per caso sui siti pornografici, ma Artes è convinto che i miei errori siano intenzionali.»
«Sta scherzando» puntualizzò Artes.
Allison annuì sorridendo. «Ero incuriosita, ed entrai nella
sezione dedicata alle fotografie universitarie. Cercai qualche
vecchia immagine e lessi i commenti degli ex studenti. Colin era
divenuto un affermato dirigente, e scoprii che era decisamente
diverso dal timido ragazzo occhialuto che avevo conosciuto
parecchi anni prima.»
«Le persone cambiano» confermò Artes. «Purché si impegnino a fondo.»
«Sono d’accordo, infatti compresi che anch’io avrei potuto
migliorare la mia autostima. Frequentai dei corsi serali e potenziai il mio carattere. Inviai il mio curriculum alle grosse aziende e
attesi impaziente, finché la Corporazione Sunvan mi convocò per
un colloquio. Ero agitata, ma consapevole delle mie qualità.»
Artes le sorrise, invitandola a proseguire.
«Superai brillantemente i test di ammissione, e fui assunta
nell’importante ruolo di segretaria di Colin. Ero felicissima. Mi
piaceva molto lavorare con lui, e nacque un sentimento reciproco. Ci frequentammo, ma la nostra breve relazione terminò
bruscamente, senza una ragione precisa. La mia mansione si
complicò, poiché temevo la vendetta di Colin. Ma tenni duro,
superando il periodo più critico» terminò.
«Interessante» disse Donny in tono annoiato. «E hai trovato
delle informazioni utili per le piante?» chiese pungente.
«Certo, ma sono tuttora negata» ammise Allison.
Artes notò la smorfia di Donny, e si schiarì la voce per prendere la parola e bloccare la replica dell’amico.
«Allison, ci hai aiutato molto, perciò sarò sincero. Qualcuno
ci ha sottratto un pacco prezioso. Pensavamo che fosse in mano
alla Corporazione, ma la registrazione audio ci ha smentito.»
«Chi vi ha spinto a sospettare della Sunvan?» chiese Allison.
«È una persona che non conosci, ma di cui ci fidiamo.»
«Si tratta di un vostro amico?»
«Non esattamente, è un mendicante.»
123
«Ma è assurdo! Non potete credere alle sue chiacchiere» obiettò.
«Lo abbiamo interrogato e poi pedinato. Il suo stile di vita è
rimasto invariato, pertanto è impossibile che ci abbia mentito.»
«Pensate che Wanda sia implicata in questa faccenda?»
«Penso di no, però il Duca ha insistito più volte sul coinvolgimento degli uomini della Corporazione. Temiamo che la
curiosità li abbia spinti a impossessarsi del pacco, a insaputa di
Wanda.»
«Il Duca, che strano soprannome. E ora cosa volete fare?»
«Vogliamo tornare da Colin, e convincerlo a indagare sui
dipendenti che hanno aperto il pacco. È probabile che si siano
dileguati, ma vogliamo tentare ugualmente.»
«È pericoloso Artes!» esclamò Allison, stringendolo per un
braccio. Lo guardò con occhi imploranti. «Ti ho inviato la
registrazione perché sapevo che Colin vi avrebbe ingannato,
anche se ignoravo in che modo intendesse farlo.»
«Dobbiamo provarci» ribatté Artes risoluto.
«Non tornate da lui, è pericoloso. In quella stanza sono entrati degli uomini influenti e spavaldi, ma ne sono usciti frastornati!
La Corporazione nasconde un segreto. Non so quale sia, ma mi
terrorizza.»
Donny sbuffò. «Grazie per l’avvertimento, ma ci proteggeremo con il pannolone per l’incontinenza.»
Artes lo incenerì con lo sguardo. Tirò Allison verso di sé,
stringendola e guardandola negli occhi. «Apprezzo le tue parole,
ma dobbiamo andare. L’inerzia ci sta costando cara.»
Donny si voltò seccato. «Mi sento il terzo incomodo!» disse,
andando in cucina. Prese una birra dal frigorifero.
«L’eroe e la principessa» mormorò, guardandoli abbracciati.
***
«Buongiorno, abbiamo un appuntamento con il direttore»
esordì Artes, sforzandosi di usare una voce neutra.
«Solo un attimo» disse Allison con voce tesa.
Artes attese in piedi, mentre Allison telefonava a Colin.
Donny lo fissò con occhi interrogativi, mostrando i primi segni
di nervosismo.
«Il direttore è disponibile, potete entrare» disse Allison.
124
Artes si diresse verso la porta e varcò la soglia, seguito da
Donny.
L’ufficio era stato modificato. Gli spazi vuoti erano pressoché
svaniti ed erano occupati da divanetti dalla linea moderna,
affiancati da piante decorative dalle foglie larghe. Una complicata
attrezzatura era appoggiata contro una parete. Somigliava a una
poltrona da dentista, ma era più bassa ed era corredata da lunghi
cavi che confluivano in un casco appeso sopra al poggiatesta.
La vetrata alle spalle di Colin era tappezzata da grossi quadri.
Alla sinistra i dipinti raffiguravano dei paesaggi dalle linee
rotonde. Alla destra ritraevano delle donne in costume, sdraiate e
appoggiate su un fianco. Colin era seduto sulla poltrona della
scrivania, al centro dei dipinti. Fissò Artes, unendo le mani a
guglia e appoggiando i gomiti sui braccioli.
«Sedetevi» disse autoritario.
Artes e Donny si avvicinarono alle sedie. Erano entrambe
occupate da grossi mazzi di fiori blu. I boccioli erano protetti dal
cellofan, ma i gambi erano scoperti.
Colin indicò i fiori. «È saltato un appuntamento con due
signore che appartengono a una casata di origine nobiliare.
Hanno preteso di essere accolte con un mazzo di fiori freschi
sulla sedia, e con del costoso champagne da sorseggiare» aggiunse, indicando un tavolino con una bottiglia e tre bicchieri. «I
clienti più facoltosi si vantano di essere delle persone semplici,
ma in realtà sono degli individui capricciosi. Li accontento, ma
poi non esito a spremere i loro conti correnti» concluse cinico.
«Gettate i fiori nel cestino» ordinò.
Artes afferrò malvolentieri il mazzo, gettandolo in un capiente cestino ai lati della scrivania. Si osservò la mano. I gambi dei
fiori erano stati recisi recentemente e la linfa gli aveva imbrattato
le dita. Donny lo fissò perplesso, ma poi si disfò del mazzo,
borbottando infastidito per l’inconveniente della linfa.
«Una mentina aromatizzata?» chiese Colin, porgendo una
scatoletta. «È il regalo di un fornitore francese. Le pasticche si
sciolgono in bocca e sono deliziose, ma preferisco offrirle, così
evito di abbuffarmi.»
«No, grazie» disse Artes.
«Idem» si associò Donny. «Non voglio aromatizzare l’alito.»
125
Colin li fissò risentito. «Temete che siano drogate?» disse,
premendo contrariato il bottone sulla scatoletta. Scesero un paio
di mentine. Le mise in bocca e le masticò con esagerato piacere.
Artes lo osservò impassibile, anche se faticò a mantenere la
calma.
«Ora siete convinti?» disse Colin, porgendo nuovamente la
scatoletta e guardandoli con aria di sfida.
Artes afferrò una mentina con le dita appiccicose e la mise in
bocca. Donny fece altrettanto, ma brontolò per le dita rese
ancora più collose dal contatto con la mentina.
Colin attese qualche istante. «Sono lieto di costatare che siete
ancora vivi, nonostante i miei sforzi per avvelenarvi» disse
pungente. «Mi auguro che siate qui per confermare il nostro
accordo» aggiunse in tono sbrigativo.
«Siamo qui per modificare il nostro accordo» precisò Artes.
«Ma non con lei» aggiunse determinato.
Colin fu scosso da un sussulto. «Sono io il direttore, è con me
che dovete parlare.»
«Insisto» ribadì Artes. «Sappiamo che lei è soltanto il portavoce della signora Sunvan.»
Colin era visibilmente colpito. Si sporse verso di loro con aria
feroce, ma fu fermato da una voce.
«Perché vuole parlare con me?» chiese Wanda.
I tre uomini si girarono verso la parete destra. Un pannello
era scivolato verso l’alto, rivelando un display a schermo piatto
con delle casse acustiche. Il monitor si accese, e mostrò il logo
della Corporazione.
«Le ho chiesto perché vuole parlare con me» ripeté la voce in
tono autoritario.
«Lei ha qualcosa che ci appartiene» attaccò Artes.
«Si sbaglia, non ho nulla.»
«Chieda ai suoi uomini» ribatté Artes.
Il display oscurò il logo, mostrando il viso di Wanda. «Si
riferisce al pacco?»
Artes fissò il volto della donna. I lineamenti erano gradevoli,
ma gli occhi ardevano come braci. «Esatto. Il contenuto del pacco
è nostro, e lo rivogliamo.»
«La sua determinazione è ammirevole, ma inopportuna. Che
cosa mi offrite in cambio?»
126
«Un accordo» propose Artes. «Vi sveleremo come ottenere il
massimo profitto dal pacco.»
Wanda rifletté, concedendosi una breve pausa. «Non è necessario. Posso piegare la vostra volontà, e costringervi a darmi tutte
le informazioni.»
«Lei è pazza!» esplose Donny.
Gli occhi di Wanda si allargarono e il viso scomparve dal
video. La porta comunicante si aprì con violenza. Wanda uscì, e
si diresse verso il display sulla parete. Premette un pulsante
contrassegnato dal logo della Corporazione. «Attivazione del
Protocollo Loki» disse, impartendo il comando vocale.
Il monitor visualizzò l’immagine di un bellicoso vichingo che
protendeva uno scettro verso il cielo.
«Protocollo Loki attivato» disse una voce robotica dagli altoparlanti del display.
Wanda si voltò. Lo sguardo era furente.
«Voi due mi appartenete» disse, indicando Donny e Artes.
«Siamo dei liberi professionisti, e non siamo alle sue dipendenze!» urlò Donny, alzandosi di scatto dalla sedia.
«Voi non sapete nulla» ribatté Wanda. «Mappa!»
Il display visualizzò una mappa della Terra, puntinata da led
rossi che si illuminavano a intermittenza. Le luci erano numerose, sopratutto sull’America del Nord, sull’Europa, e sull’Asia.
«Questi sono i soggetti che controllo» disse orgogliosa.
«Impressionante» commentò Donny in tono ironico. «Che
cosa accade quando queste persone disobbediscono? Devono
restituire la merenda?»
Wanda si voltò verso Donny. «Ti è sfuggito un particolare.
Non ho detto persone, bensì soggetti.»
«Vuole annoiarci con una lezione di semantica?»
Gli occhi di Wanda s’infiammarono. «La linguistica non mi
interessa, alludevo alla robotica.»
Artes si accigliò. «Intende dire che ogni puntino è un robot al
suo comando?»
«Esatto.»
«Ma è illogico. Avranno senz’altro un aspetto artificiale. Come minimo, la gente sarà sospettosa e intimorita.»
«Ti sbagli. Hanno sembianze umane, come voi.»
«Lei è squilibrata, oppure ha visto troppi film di fantascienza.»
127
«Lo squilibrato sei tu! I robot sono una realtà da molti anni.
Cerca dei vecchi filmati su Internet, e scoprirai che gli scienziati
inventarono un automa che camminava. Inoltre spostava gli
oggetti, ballava, e dirigeva un’orchestra.»
«Mi ricordo di quel buffo robot. Somigliava a un astronauta
sulla luna, ed era più basso di me. Inoltre aveva un’autonomia
limitata» disse Donny. «Dove li utilizza questi presunti robot?
Nei centri commerciali durante le feste natalizie?»
«Si sieda Donny» disse Colin. «Le spiegherò il progetto Loki,
anche se mi limiterò a informarla sugli aspetti essenziali, poiché
ignoro la parte tecnica.»
Donny si sedette irrequieto. «La ascolto professore» aggiunse
astioso.
Colin annuì paziente. «Il più grosso errore è credere che le
invenzioni tecnologiche derivino da progetti sviluppati in ambito
civile. In realtà nascono spesso in ambienti militari.»
«Non vorrà annoiarmi con la storia di Internet! Anche i ragazzini sanno che Arpanet nacque durante la guerra fredda tra
Stati Uniti e Russia. Il governo statunitense inventò un efficace
sistema di difesa e di controspionaggio, ma il progetto fu
abbandonato perché divenne obsoleto. Arpanet fu modificato per
l’uso civile, diventando Internet.»
Colin lo guardò stizzito. «Conosce bene la storia del progetto
Arpanet, perciò non mi dilungherò sulle invenzioni che ognuno
di noi utilizza ogni giorno, senza sapere che nacquero per scopi
militari.»
«Ad esempio la ferrovia, che fu inventata per trasferire rapidamente le truppe» si intromise Donny. «Oppure le microonde,
che nacquero come radar per rilevare la presenza e il movimento
di oggetti». Guardò Colin con aria spazientita. «Si sbrighi,
altrimenti ce ne andremo.»
«Lei dovrebbe ascoltare le sue stesse parole» suggerì Colin.
«Le invenzioni che ci circondano sono obsolete, poiché la ricerca
militare è in vantaggio di almeno vent’anni. Le attuali novità in
ambito civile sono antiquate, se paragonate a quelle utilizzate in
campo militare. Prima parlavate di un automa che appartiene alla
preistoria robotica. La Corporazione utilizza dei modelli recenti.
Androidi a base organica, che sembrano esseri umani.»
«È assurdo! Com’è possibile che non sia trapelata qualche
indiscrezione?»
128
«I segreti militari sono ben custoditi. L’aspetto più interessante è che gli androidi credono di essere vivi, e si considerano dei
normali esseri umani.»
«Che cosa sta cercando di dirci?» chiese Artes, muovendosi a
disagio sulla poltrona.
«Voi siete sotto il mio controllo» rispose Wanda. «Siete il
frutto di un moderno Dottor Frankenstein. Io vi ho creato, e ora
posso distruggervi!»
«È impossibile» ribatté Artes perplesso.
Wanda lo fissò inviperita. «Tu sei carne e microcircuiti integrati. Sei tutto, e nel contempo sei niente. Ritenevi che la tua
forza fosse naturale?»
«È evidente» rispose confuso.
«Illuso» disse arrogante. Spostò lo sguardo su Donny. «E tu?
Pensavi che fossero genuine le tue doti di instancabile e ingegnoso programmatore?»
«Sta bleffando» disse Donny con un filo di voce. «Non posso
essere un androide, altrimenti mi ricorderei della fase di programmazione, e avrei coscienza di essere una creatura artificiale.»
Colin sorrise compiaciuto. «Lei conosce la procedura di sospensione sui computer?» chiese il direttore, alzandosi e spostandosi alla sinistra della scrivania, sotto i quadri paesaggistici.
«Certo che la conosco» rispose Donny inasprito. «Consiste
nel salvare i dati prima dello spegnimento, con lo scopo di
riavviare il computer velocemente. I software attivi si ripristinano
in pochi secondi. È come se fosse trascorso solo un istante, anche
se il computer è stato spento per mesi.»
Colin annuì. «Esatto, la vostra programmazione ha seguito
un percorso simile a quello che ha appena descritto. Un androide
sperimentale è servito per implementare il software di base. In
seguito abbiamo costruito la memoria e i relativi ricordi. Il
progetto è stato perfezionato e potenziato, fino a quando è stato
avviato sugli androidi definitivi.»
«I miei ricordi sono artificiali?» chiese Artes sbigottito.
«Solo una parte» rispose Colin. «Siete androidi allo stato
adulto. Gli anni precedenti alla pubertà sono fasulli, e ideati da
esperti psicologi. Gli androidi non possono crescere, né procreare. Eppure invecchiano grazie a un countdown interno che
deteriora lentamente la struttura fisica. Ora stiamo lavorando su
129
nuovi esemplari paragonabili ai bambini, ma sono i primi
prototipi, pertanto piuttosto imprecisi.»
Artes era sbalordito. «Non potete pretendere che vi crediamo
sulla parola. E inconcepibile che nessuno si sia accorto della
nostra condizione, nemmeno, i dottori che ci hanno occasionalmente visitato.»
Wanda si spostò alla destra della scrivania, avvicinandosi ai
quadri raffiguranti le donne in costume. «Non è semplice
distinguere le differenze tra voi e gli esseri umani. Un dottore le
scoverebbe soltanto se visionasse delle lastre, oppure se operasse
chirurgicamente. Ma voi siete programmati per ammalarvi
raramente, con alterazioni organiche lievi, al fine di evitare il
ricorso alle visite specialistiche. Inoltre, molti dei vostri dottori
sono al nostro servizio.»
«È assurdo!» strepitò Donny, in preda a un inizio di shock
nervoso. «Dimostratelo!»
«Ti accontento subito» disse Wanda. «Struttura, matricola
Gamma 21.»
Il monitor cancellò l’immagine della mappa e visualizzò quella di un corpo umano minuto, simile a Donny.
Donny guardò il display sbigottito. «Quello sono io?»
«Sei tu» confermò Wanda. «Su quel tavolo ci sono dei bicchieri in cristallo temperato. Sono molto resistenti, tuttavia
afferrane uno e cerca di romperlo.»
Donny si alzò, spinto dalla curiosità. Afferrò il bicchiere e
provò a frantumarlo, ma senza successo. La fissò con sguardo
confuso.
«Ti abbiamo programmato per essere gracile e debole, ma
possiamo variare i parametri. Potenza raddoppiata!»
Sul display il corpo umano si scurì nelle fasce muscolari.
«Ora hai più forza, frantumalo!»
Artes sentì lo schianto, e vide il bicchiere sbriciolato nella
mano di Donny.
«Potenza standard» disse Wanda. Sul monitor i muscoli tornarono alla colorazione precedente. Guardò Artes infastidita.
«Allo stesso modo, posso potenziare le capacità mentali di chi
ha soltanto muscoli. Omega 60, intelligenza raddoppiata.»
Artes vide il monitor che cancellava l’immagine di Donny, e
la sostituiva con quella del suo corpo. I colori della testa si
130
scurirono. Sulla parte bassa del display apparve una complessa
operazione matematica, “4.705.029 : 987 : 1589”.
«Qual è il risultato della divisione?» chiese Wanda.
«È un calcolo troppo difficile» protestò Artes.
«Dammi il risultato!»
Artes la guardò per qualche istante. «Tre, il risultato è tre»
disse con voce strozzata.
«Esatto.»
Artes tolse il cellulare dalla tasca dei pantaloni. Avviò la calcolatrice e verificò l’operazione con mano tremante. Sobbalzò, e
guardò Wanda meravigliato.
«È giusto, vero?» chiese Wanda. «Intelligenza standard». I
colori sul monitor tornarono normali. «Matricola Gamma 21,
intelligenza raddoppiata». Il monitor aggiornò l’immagine di
Donny.
Colin guardò Donny. «Ora le proporremo qualcosa di difficile, poiché lei era già dotato di un’intelligenza superiore alla
media.»
Il display visualizzò l’operazione, “√16.777.216 : 512”.
«È una radice quadrata» si lamentò Donny.
«Mi dia il risultato!»
Donny guardò Colin a occhi sbarrati. «Otto» disse, girandosi
di scatto verso Artes. L’amico verificò il risultato sulla calcolatrice
e gli mostrò il display dello smartphone. Visualizzava il numero
otto.
«Intelligenza standard» disse Wanda, osservando l’immagine
che cambiava in seguito al suo comando. «Ora basta giocare. È
giunto il tempo di recuperare il denaro investito.»
Artes la guardò distrattamente. Da parecchi minuti era dominato da un senso di stanchezza che aumentava senza sosta.
All’inizio aveva pensato che fosse causata dalle forti emozioni, ma
ora la stanchezza era troppo accentuata. Si voltò a guardare
Donny, e notò che l’amico appariva altrettanto intontito.
Artes faticava a concentrarsi. «Siamo androidi, quindi possiamo soggiogarvi. Basterà utilizzare i comandi vocali adeguati»
disse sottovoce.
«Stupido e patetico ometto!» strillò Wanda. «Riepilogo energetico.»
131
Il monitor visualizzò i due corpi, e vicino a essi apparve una
barra verticale con una percentuale. In entrambi i casi indicava
“45%”, con una freccia che puntava verso il basso.
Wanda li guardò con crudeltà. «Prima del vostro ingresso ho
dato il comando di spegnimento graduale. State perdendo le
forze. È un processo lento ma inesorabile. Un mio comando
ripristinerà l’energia, altrimenti vi spegnerete progressivamente
fino ad arrestare il software e le funzioni vitali. In tal caso, il
processo sarà irreversibile. In altre parole, morirete.»
«Come possiamo evitarlo?» chiese Donny implorante.
«Sedetevi su quella sedia» rispose Wanda, indicando
l’appariscente attrezzatura. «Trasferirò sul sistema centrale tutti i
vostri ricordi e le vostre esperienze. Saranno utilissimi per
migliorare i prossimi esemplari. Ne approfitteremo per caricarvi
un nuovo software che vi persuaderà a obbedire a ogni ordine
della Corporazione. Sarà la fine per il vostro libero arbitrio, ma
resterete in vita.»
Donny si avvicinò docilmente alla sedia. Si accomodò, e Colin spinse il casco sulla testa dell’uomo.
Artes vide il monitor che cambiava l’immagine, e visualizzava
le nervature di un cervello.
«Non sarà doloroso» disse Colin, guardando Donny. «Sentirà
solo una leggera pressione e avvertirà uno stato confusionale. I
primi esperimenti furono realizzati in campo medico. Servirono
per curare le patologie delle persone che soffrivano di incubi
ricorrenti.»
«Tu parli troppo, Colin. Agisci!»
«Lo strumento ha un funzionamento relativamente semplice»
continuò Colin, ignorando Wanda. «Analizza lo spettro dei
segnali elettrici, e li confronta con le informazioni contenute in
una banca dati. I nostri tecnici convertiranno i risultati in
formule matematiche, e ricaveranno i vostri ricordi.»
«Finiscila Colin, non stai intrattenendo degli scienziati a un
convegno. Caricamento, potenza a cento.»
Colin afferrò il casco e lo alzò con decisione, allontanandolo
dalla testa di Colin. L’omino lo guardò disorientato.
«Colin, perché hai interrotto il processo di acquisizione dei
dati?» chiese la donna adirata.
132
«Stai esagerando Wanda. Hai dimenticato cosa accadde al
signor Medly, quando in un eccesso d’ira attivasti la potenza a
cento?»
«Non è mai tornato a lamentarsi …»
«Soltanto perché è immobile su un letto, ed è costretto a
vivere come un vegetale. La Corporazione ha insabbiato
l’incidente e ha ottenuto il silenzio dei famigliari. Ma ogni mese
dobbiamo sborsare un cospicuo importo per le spese mediche, e
per i vizi dei parenti che lo accudiscono. Dopo quell’episodio,
avevamo concordato che la massima potenza fosse settanta,
proprio per evitare altri spiacevoli incidenti.»
«Questi due stolti hanno abusato della mia pazienza. Mi hanno insultata e sbeffeggiata! Sono i miei androidi e posso cambiare
le loro sorti, in qualunque momento!»
«Sono esseri umani, Wanda. Come noi.»
«Sono androidi che somigliano agli uomini!»
«No Wanda, sai perfettamente che anche loro sono uomini.»
Colin afferrò dal tavolino due bicchieri e attinse dal distributore
per riempirli d’acqua. Si avvicinò alla scrivania, aprì un cassetto e
prese due compresse che mise nei bicchieri. Le pastiglie effervescenti iniziarono a sfrigolare.
«Colin! Smettila, oppure ti rovinerò!»
Colin porse un bicchiere ad Artes, e uno a Donny. «Lo beva e
si sentirà subito meglio» gli disse, appoggiandogli una mano sulla
spalla.
«Non morirò?» chiese Donny debolmente.
A Colin sfuggì un sorriso. «Morirà quando sarà troppo vecchio» disse, guardandolo con occhi comprensivi.
Wanda lo guardò paralizzata. «Mi hai deluso Colin, ti schiaccerò senza pietà.»
«Invece io avrò compassione di te, perché sei mentalmente
instabile. Confondi la finzione con la realtà, e ti occorrono delle
cure immediate.»
«Non siamo androidi?» chiese Artes, rinvigorito dalla compressa.
«Ovviamente no» disse Colin. «Il senso di spossatezza derivava da una droga che avete inconsciamente assorbito.»
«Ci ha drogato con la mentina!» esclamò Donny.
133
«Troppo banale, e poi dimentica che le mentine le ho mangiate anch’io. Vi ho drogato con la linfa tossica di una pianta».
Colin indicò i fiori blu nel cestino.
«Ma sono soltanto dei fiori» ribatté Artes.
«È vero. Ma sono fiori di aconito, una pianta molto velenosa
utilizzata nel medioevo. La somministravano in forti dosi per
uccidere i prigionieri. I malcapitati erano straziati da debolezza
cronica e insopportabili vertigini. Vi ho somministrato una dose
minima, pertanto il processo d’indebolimento è stato blando, ma
altrettanto efficace.»
«Ci siamo imbrattati le dita con la linfa, e l’abbiamo ingerita
perché abbiamo toccato le mentine» disse Artes.
«Esatto» confermò Colin. «È uno stratagemma che abbiamo
utilizzato decine di volte, per estorcere delle informazioni agli
sfortunati che si sono seduti su quella diavoleria» aggiunse,
indicando la poltrona su cui sedeva Donny. L’omino si alzò,
allontanandosi disgustato dalla sedia.
«Quindi era tutta una farsa.»
«Purtroppo no. Vi stupirà sapere che il metodo funziona
realmente, anche se in un modo leggermente diverso da come
l’ho spiegato. Anzitutto poniamo delle precise domande alle
persone, suggestionandole con delle accurate tecniche verbali per
ottenere le risposte corrette.»
«E il casco a cosa serve?»
«Il casco invia delle onde elettromagnetiche che eccitano il
soggetto, e lo inducono a rispondere a qualsiasi domanda che gli
poniamo. Tuttavia abbiamo scoperto che le potenze elevate
danneggiano irreversibilmente i tessuti celebrali, perciò abbiamo
architettato un sistema diverso. Innanzitutto gettiamo i soggetti
in un profondo stato confusionale, e poi utilizziamo le basse
intensità, che sono ugualmente efficaci.»
«Basta Colin!» strillò Wanda stringendo i pugni.
«Il bicchiere che si sbriciola è una mia idea» proseguì Colin
impassibile. «Ho lavorato nel cinema e ho visto le controfigure
che si buttavano contro le vetrate. Sembrava vetro, ma il
materiale era del semplice caramello che si frantumava al minimo
impatto. Abbiamo scelto Donny perché è debole.»
«Ma perché l’ho rotto soltanto al secondo tentativo?» chiese
Donny perplesso.
134
«Si tratta di una banale suggestione ipnotica. Wanda ha simulato un potenziamento muscolare, e le ha seccamente ordinato di
rompere il bicchiere. È un sistema che funziona sempre. Ad
esempio, ho visto delle persone camminare sui carboni ardenti.
All’inizio erano reticenti e si rifiutavano, eppure dopo ci riuscivano perché un finto guru le incitava, spingendole a credere di
essere invincibili.»
«Abbiamo risolto delle operazioni matematiche molto complesse» replicò Artes.
«Ci siete riusciti grazie agli stratagemmi che utilizzano anche i
finti chiromanti. I quadri inviano dei messaggi subliminali.
Osservate bene i paesaggi, e noterete delle curve e delle rotondità
che disegnano il numero otto.»
Donny fissò un quadro. Vide delle spirali di fumo che uscivano da un camino e si alzavano in cielo, formando parecchie
volte il numero otto.
«Lo stesso espediente è stato adottato nei quadri con le ragazze in costume» continuò Colin. «Guardatele bene e noterete che
sono appoggiate a un fianco. I seni, i fianchi, e altri particolari
contribuiscono a creare parecchi numeri tre.»
«Ma come potevate essere certi delle nostre risposte?»
«Vi ponevamo le domande e ci spostavamo sotto i quadri
corrispondenti. In questa stanza è stato allestito un grande
spettacolo di magia, ma voi non eravate il pubblico, bensì le
vittime.»
«Grazie per averci salvato» disse Artes frastornato, ma riconoscente.
«Non meritavate un trattamento così disumano. Come posso
aiutarvi, per risarcirvi di quanto stavate per subire?»
«Siamo venuti qua perché vogliamo delle informazioni sul
nostro pacco. È importante, un mio caro amico è morto per
proteggere il contenuto.»
«Mi spiace ma la Corporazione non sa nulla di questa vicenda. Wanda è inebriata dal potere, ed io assecondo le sue fantasie
spionistiche. Ma vi garantisco che la Corporazione è soltanto
un’influente multinazionale composta di impiegati e dirigenti.
Noi non possediamo dei corpi speciali, e neppure degli agenti
segreti.»
«Io non ho fantasie spionistiche!» strillò Wanda. «Sei sempre
stato uno stupido e pagherai per la tua impertinenza!»
135
«Ho imparato dalla tua esperienza!» esplose Colin, abbandonando il tono pacato. «Ti ho modellato e ho assorbito la tua
capacità imprenditoriale. Ho creato una società parallela che
gestisco da molto tempo. È piccola, ma cresce rapidamente
perché sono maturato sotto la tua guida.»
«Tu non oserai sfidarmi!»
«Ne sei convinta? Mi dimetterò e mi dedicherò al mio progetto. Conosco tutto il tuo personale, e avvicinerò i migliori
dipendenti. Anche Allison è un’impiegata competente e le
proporrò una posizione di rilievo nella mia società, dandole la
possibilità di diventare un’affermata dirigente.»
«È soltanto una segretaria!»
«Lo è adesso, ma un giorno potrebbe tornare per sostituirti.
Al tuo posto non escluderei questa eventualità.»
«Ti denuncerò! Mi hai aiutato a plagiare degli innocenti, e a
estorcere delle informazioni. È un reato perseguibile con la
carcerazione.»
«Se affondo, tu mi seguirai. Nemmeno il tuo denaro ti salverà
dalle registrazioni audio che ho salvato sui server. Ho istruito
Allison sulla copia dei file, proprio per questa evenienza.»
«Cancellerò i file!»
Colin sbuffò con noncuranza. «Ogni settimana creiamo dei
duplicati degli archivi informatici, e li affidiamo a una società
specializzata nella tutela dei dati aziendali. Tu occupi la posizione
più prestigiosa della tua società, ma ignori molti meccanismi
aziendali.»
«Li ignoro perché gli aspetti più insignificanti sono curati
dagli inutili stipendiati come te.»
«Giusto, e me ne servirò per incastrarti. Inoltre ti ricordo che
queste due persone conoscono tutti i particolari. Prega perché
siano benevoli nei tuoi confronti, e si accontentino della considerevole donazione che ti consiglio di versare sul loro conto
corrente» aggiunse minaccioso.
Wanda lo guardò, lanciandogli occhiate cariche di ostilità.
«Cala il sipario Wanda» disse Colin, avviandosi verso la porta, seguito da Artes e Donny.
***
136
Wanda si irrigidì sdegnata, guardandoli uscire. Restò sola,
immersa nel silenzio della stanza. Il monitor emise un suono
cristallino, e la donna si voltò a guardarlo.
Il display visualizzava, “Nessun comando rilevato. Fine del
programma”.
La manager afferrò la bottiglia di champagne, scagliandola
con rabbia contro il monitor. Lo schianto fu fragoroso. Il video
era leggermente crepato, ma funzionante. Guardò delusa il
monitor, poi setacciò istericamente la stanza, alla ricerca di un
oggetto più pesante da buttare contro il display.
137
OMBRE
Artes sorrise ad Allison, indicando il televisore, i computer, e
i cavi. «Ho terminato, adesso conosci la storia completa. Le
boccette contengono un prodotto rivoluzionario» le disse.
Allison fissò Artes. «Chi avrà preso il pacco?»
«Lo vorrei sapere anch’io!» strepitò Donny, maledicendo
mentalmente Artes. L’amico lo aveva costretto a pulire
l’appartamento e a indossare abiti puliti, soltanto per compiacere
Allison.
«Penso che abbiate sbagliato a valutare le personalità» disse
Allison. «È probabile che vi abbia ingannato il cuore bianco.
Dopotutto avete osservato le persone, senza mai parlare con
nessuna di loro.»
«Ti assicuro che i dati erano attendibili, poiché abbiamo valutato ogni aspetto» ribatté Artes. «Che cosa intendi per cuore
bianco?»
«È una cosa che ho imparato per caso, in ufficio. A proposito,
Colin mi ha offerto un importante impiego nella sua nuova
società. Ho accettato!» disse radiosa.
«Benissimo, ma per cortesia continua» disse Donny.
«Ok. Stavo dicendo che le persone attendono a lungo in sala
d’attesa, e spesso chiacchierano con me per ingannare il tempo.
Un noto diplomatico mi ha confessato la sua grande passione per
la mitologia azteca. Lo sapevate che erano un popolo ossessionato dai riti sanguinari?»
«Ho visto un film sugli aztechi. Erano uomini fieri e violenti»
rispose Artes.
«Il diplomatico sosteneva che i sacrifici umani fossero dei
doni indispensabili per placare l’ira degli dei» continuò Allison.
«Il rito si svolgeva con la vittima stesa su una lastra di pietra. Un
sacerdote le tagliava l’addome con un coltello di selce, e strappava
il cuore ancora pulsante.»
«Era una vera crudeltà.»
138
«È vero Artes» confermò Allison. «Eppure, pare che
l’asportazione del cuore avesse uno scopo preciso. Gli storici lo
definiscono un rituale cruento, ma il diplomatico sosteneva che
fosse l’unico modo per ottenere un sacrificio sincero, ed estrarre
il cuore rosso, invece di quello bianco.»
«È poco chiaro, spiegati meglio.»
«Spesso etichettiamo le persone in base ai loro atteggiamenti,
senza chiederci perché adottano uno specifico comportamento.»
Artes la guardò incuriosito.
Allison proseguì. «Per esempio, una donna con un comportamento astioso è additata come una persona irascibile. Oppure
un uomo gioviale può sembrare che abbia un carattere bonario.
In realtà si tratta di personalità che sono maturate in seguito a
degli specifici eventi. Noi vediamo il Cuore Bianco.»
«Forse ho capito. Il vero carattere sarebbe soffocato da circostanze sfavorevoli.»
«Esatto. Una donna può essere astiosa perché un uomo ha
tradito la sua fiducia. Allo stesso modo, un uomo può essere
gioviale perché ha perduto una persona amata, pertanto preferisce parlare di cose positive per allontanare i pensieri tristi.»
«È plausibile.»
«Queste due persone mostrerebbero il vero carattere in circostanze particolari, ad esempio se l’istinto soffocasse la parte
razionale» continuò Allison infervorandosi. «Soltanto in quel
caso, riusciremmo a vedere il loro cuore rosso.»
Artes riprese dubbioso. «Stai sostenendo che la donna astiosa
potrebbe dare la massima fiducia a un uomo, purché lo veda
realmente in difficoltà.»
Allison annuì. «Giusto. E l’uomo gioviale mostrerebbe un
carattere fragile, se fosse invischiato in un violento litigio tra
sconosciuti. È per questo motivo che le vittime azteche rivelavano il cuore rosso, ma soltanto un attimo prima di morire.»
«In tal modo svelavano la loro vera assenza.»
«Esatto Artes. Le vittime si immolavano per compiacere il
proprio Dio, ma alcune non si rassegnavano al proprio destino.
Talvolta poteva accadere che la vittima altezzosa mostrasse
improvvisamente un carattere vile e implorasse pietà, piangendo
disperato. Oppure accadeva che un uomo quieto manifestasse
una personalità battagliera per sfuggire alla morte, liberandosi del
sacerdote e affrontando le guardie. In tutti i casi, si trattava di
139
reazioni autentiche, ben diverse da un sacrificio ottenuto con
metodi compassionevoli e meno cruenti.»
«Le tue ipotesi sono assurde» esplose Donny. «Eppure ipotizziamo che siano vere. In tal caso, significherebbe che tutta la
simulazione sarebbe un miscuglio di dati senza senso, invece
molte predizioni si sono avverate. Ritengo che nell’ufficio postale
sia accaduto qualcosa che non avevamo predetto, e che ha
invalidato le nostre previsioni.»
«A volte le persone recitano dei ruoli per comodità, altre volte
sono dominate dal cuore bianco» ribatté Allison paziente. «La
vostra simulazione si basa sulla previsione degli eventi, ma è più
semplice influenzare le masse, piuttosto che un singolo individuo.»
«Una volta lessi un articolo che parlava del condizionamento
di massa» disse Artes. «Sosteneva che se all’improvviso un uomo
gridasse che è scoppiato un incendio, molte persone lo imiterebbero e urlerebbero la stessa cosa, senza verificare l’autenticità
dell’allarme. Forse abbiamo sbagliato. Dovevamo influenzare un
singolo uomo per coinvolgerne altri, innescando un inarrestabile
effetto domino.»
«Le vostre parole non hanno senso» insistette Donny. «Ad
esempio, Artes è un uomo risoluto. Non ha paura, ed è pronto a
battersi in qualsiasi momento. È il suo carattere! Basta guardarlo
per capirlo» disse interrompendosi, costatando lo sguardo
imbarazzato di Artes.
«Penso che tu abbia equivocato i miei atteggiamenti» disse
Artes. «Sembro risoluto perché anni fa appresi delle tecniche per
ottenere uno sguardo volitivo, ma voglio precisare che non ho
mai usato la violenza. In quante circostanze mi hai visto colpire
una persona?»
«Mai» disse Donny stupito. «Ma sembravi pronto a farlo ...»
«È vero, ma non è mai accaduto. Ho un atteggiamento deciso
perché voglio evitare la violenza. Oltretutto, sono agevolato dal
mio fisico imponente che serve spesso da deterrente.»
«E se ti costringessero a batterti?»
«Colpirei con poca convinzione, e probabilmente sarei sconfitto.»
«Siamo rovinati! Alla luce di questi ragionamenti non riusciremo a recuperare il pacco. Abbiamo perso tempo e denaro!»
140
«Non sono d’accordo. Dimentichi che Wanda ci darà molti
soldi per comprare il nostro silenzio. Inoltre ho conosciuto
Allison» disse, afferrandole una mano con dolcezza.
«Tanti auguri agli sposi!» ribatté Donny sarcastico. «Pagherei
con la mia mano destra per tornare a quel maledetto giorno, e
scoprire chi è la carogna che ha preso il nostro pacco!»
«Anch’io vorrei saperlo» aggiunse Artes. «E mi piacerebbe
scoprire qual è il cuore rosso del Duca. Temo che il nostro errore
di valutazione sia iniziato con lui, e forse con qualcuno di cui
ignoriamo l’identità.»
«Pensi che sia accaduto qualcosa, quando il Duca ha raccolto
il biglietto? Forse si è insospettito.»
«No, è probabile che un banale imprevisto abbia modificato il
corso degli eventi. Magari è avvenuto quando si è bloccato per
colpa del barboncino.»
«Può darsi, dopotutto anche la simulazione aveva predetto
questa eventualità» confermò Donny.
«Eppure devo ammettere che un semplice inconveniente non
poteva spazzare l’intera simulazione, come se fosse un instabile
castello di carte.»
«Forse ha ragione Allison. Il cuore bianco è un’incognita che
è sfuggita al nostro controllo» aggiunse Donny.
«Senz’altro, soprattutto il cuore bianco di un protagonista
sconosciuto. Qualcuno che ha seguito nell’ombra tutta la vicenda
del parco, e ha agito al momento giusto. Aveva un piano preciso,
e probabilmente è stato aiutato dalla fortuna.»
Donny non riuscì a reprimere un gesto di stizza. «Ogni volta
che vedrò un barboncino, oppure un mendicante, sarò assalito da
atroci dubbi e la mia acidità di stomaco salirà alle stelle!»
«Il denaro che ci darà Wanda ti aiuterà a placare la gastrite»
rispose Artes sorridendo.
«Hai ragione, però sono ugualmente scocciato! Non sapremo
mai che cosa è accaduto in quel fatidico giorno al parco!»
***
Il parco offriva ampi spazi d’ombra, consentendo alle persone
di godersi l’aria fresca per rilassarsi. Tuttavia il Duca era teso
mentre ascoltava l’attempata signora che lo intratteneva con una
serrata oratoria. La donna vestiva elegante, ma era ridicola con il
141
cappello a tese larghe e i grossi occhiali. Sembrava una diva degli
anni sessanta che volesse mantenere l’anonimato.
Il Duca la guardava nervosamente, e le rispondeva soltanto
con brevi cenni del capo. All’improvviso fu graziato dal barboncino che strattonò il guinzaglio, costringendo la padrona a
congedarsi in fretta.
«Mi raccomando, la aspettiamo! Si ricordi che Bilo si esibirà
soltanto oggi al festival della zampa!» gli disse, senza voltarsi e
calcandosi sulla testa il grosso cappello.
Il Duca tolse la mano sudata dalla tasca e la asciugò, fregandola sul pantalone. Riprese a camminare verso la sua meta, senza
accorgersi che il biglietto gli era caduto dalla tasca.
Salgemma attese un minuto, guardando il Duca che si allontanava. Si avvicinò al biglietto e lo raccolse, leggendo il nome
dell’agenzia di consulenza. Si chiese quale fosse il nesso tra un
mendicante e dei consulenti, ma non trovò una correlazione
plausibile. Eppure il mestiere di fattorino lo aiutava a ragionare
rapidamente, afferrando al volo le opportunità. Una smorfia del
cliente gli bastava per capire se era opportuno chiedere la mancia,
oppure rinunciare. Sorrise, pensando alla superficialità delle
persone che lo deridevano. La gente si lasciava ingannare
dall’aspetto stralunato che lo rendeva simile a un ottuso. Ma i
suoi detrattori si sarebbero stupiti, se avessero visto la laurea che
aveva conseguito con il massimo dei voti.
Salgemma si grattò la testa, arruffando ulteriormente i capelli
biondi. Spostò il ciuffo dagli occhi, e maledisse le innumerevoli
notti insonni che aveva trascorso a preparare gli esami. Ripensò
con amarezza a quando era diventato un neo laureato. Come
prima cosa, si era recato nello chalet di montagna dei nonni,
pregustando un meritato periodo di riposo. Aveva soggiornato
una settimana, tuttavia l’umore era peggiorato poiché aveva
dormito soltanto un’ora per notte. Aveva pensato che fosse colpa
del silenzio che regnava sui monti, e si era convinto di essersi
urbanizzato a tal punto da rilassarsi soltanto nella chiassosa
metropoli. Era tornato in città, ma le ore di sonno non erano
cambiate. Da quel momento aveva provato molte tecniche di
rilassamento e svariati sonniferi, fino a rassegnarsi alla condizione di insonne cronico.
142
Nel parco era pieno giorno, ma la sua mente era stordita dalla
stanchezza. Osservò il Duca che si allontanava con passo sicuro, e
lo invidiò.
«Sei un mendicante, e forse di notte ti avvolgi in un lurido
cartone. Dormi sotto a un ponte, però ti riposi» mormorò
astioso. «Di giorno la tua mente è lucida, mentre la mia è così
confusa che a volte mi costringe a mormorare ciò che penso,
altrimenti rischio di perdere la concentrazione. Quando brontolo
sono irrequieto, perché temo di essere pazzo. Eppure sono
costretto a mormorare, proprio per salvarmi dalla pazzia.»
Osservò la sagoma del Duca.
«Trascorro le ore notturne in preda al nervosismo» proseguì,
immaginando un discorso a distanza con il mendicante.
«All’inizio ho ingannato la noia guardando la televisione, ma
cadevo sempre nel tranello di fissare l’orologio. Detestavo chi
aveva inventato la misurazione del tempo, perché avevo la
sensazione che le ore scorressero più lentamente. Scoprii che
coltivare un hobby mi distraeva, e mi appassionai allo studio
delle lingue. Di notte imparai l’arabo e lessi tutte le versioni del
Corano. Poi studiai il cirillico e il giapponese. Infine approdai al
cinese e alla comprensione degli ideogrammi.»
Un ragazzo gli passò accanto, guardandolo incuriosito. Salgemma si interruppe per qualche istante, poi riprese a mormorare.
«Ho esaurito l’entusiasmo per le lingue e mi sono dedicato ad
altri hobby. Ti stupisce?» chiese, fingendo di dialogare con il
ragazzo ormai lontano. «Acquistai delle riviste di bricolage,
affascinandomi agli ingegnosi meccanismi delle serrature. Mi
sono dotato di uno specifico attrezzo, e ho imparato i primi
segreti sulle toppe e sull’allineamento dei pistoncini. La mia
abilità è cresciuta, finché ho deciso di avere sempre un grimaldello a portata di mano» concluse, toccando il rigonfiamento della
tasca interna.
La capacità di forzare le serrature era servita per entrare
nell’appartamento di Donny e Artes. Anche loro lo avevano
giudicato frettolosamente, relegandolo al ruolo di ragazzo ottuso.
Tuttavia non era una novità, poiché accadeva spesso che le
persone lo accusassero di essere soltanto uno stupido. Eppure il
loro disprezzo si trasformava in un vantaggio perché le spingeva a
sottovalutarlo, e a commettere dei passi falsi.
143
Talvolta si era confidato con qualche amico, confessando il
vero motivo del suo continuo stordimento. Ma poi aveva
desistito perché le persone faticavano a immedesimarsi nel suo
stato d’animo, e lo ascoltavano senza interesse. Soltanto lui era
consapevole della tortura che lo obbligava a trascorrere la notte
con la mente vigile, mentre durante le ore diurne era oppresso da
un’incessante sensazione di sfinimento.
Artes e Donny l’avevano ingannato, e lui era fuggito con la
convinzione che fossero dei militari. Ma di notte aveva ragionato
lucidamente sulle loro parole, smascherando il bluff.
«Sembro stupido, e invece sono più furbo di voi!» urlò, fissando il fuoristrada in lontananza. Li intravedeva, anche se erano
piuttosto distanti.
«Avete acquistato un enorme televisore e molti computer»
proseguì a bassa voce. «È un’attrezzatura costosa, quindi stavate
senz’altro lavorando a un progetto importante che prometteva
dei guadagni elevati. Volevo una parte dei vostri profitti perciò
mi sono accordato con Larry. Il mio amico ha sistemato il
chiosco ambulante di fronte al vostro appartamento, e ha
promesso di avvisarmi appena foste usciti. Pensavo di attendere
delle settimane, invece vi siete mossi in fretta!» concluse, alzando
il tono della voce.
Alla sua destra passeggiavano due anziane, ma erano troppo
lontane per sentirlo.
«Stamattina Larry mi ha telefonato. Sono salito sullo scooter,
e ho spinto l’acceleratore al massimo per tornare a casa velocemente. La divisa da fattorino era troppo appariscente, quindi l’ho
sostituita con una tenuta da jogging per camuffarmi con i podisti
del parco. Ho telefonato al mio superiore, scusandomi per un
improvviso malore. Poi ho chiamato un taxi per arrivare in
incognito.»
Si bloccò, distratto da Donny che aveva appoggiato bruscamente il cannocchiale. I due parlarono animatamente.
«Parliamo di te, Artes» riprese Salgemma. «Ho visto che ti sei
avvicinato alla panchina e hai posato qualcosa, ma ero troppo
distante per capire cosa fosse. Poi sei risalito in macchina,
confabulando brevemente con Donny. Vi siete appostati
sull’altro lato della strada, osservando i dintorni con un cannocchiale.»
144
Si fermò un istante, in preda a un attacco di spossatezza mentale.
«E poi che cosa ho scoperto? Stavate spiando un mendicante,
complimenti! Potevate fare di meglio, magari prendendo di mira
un condannato a morte!» disse ironico, alzando la voce. Con la
coda dell’occhio, notò un passante che lo guardò per un attimo.
«Il vostro comportamento mi ha disgustato e ho ridefinito il
mio piano, accantonando la piccola estorsione che avevo
pianificato» proseguì, abbassando nuovamente il tono. Vi
meritavate una denuncia alle autorità, perciò ho scattato delle
fotografie con il cellulare e ho pedinato il barbone. Quel tizio ha
perso un biglietto, ma non ve ne siete accorti. Ho atteso qualche
istante per esserne certo che non mi guardaste, e poi mi sono
avvicinato per raccoglierlo.»
All’improvviso pensò che il biglietto poteva essere importante. Lo esaminò con più attenzione. Lo girò e lesse, “Ritirare il
pacco presso ufficio postale – Codice 254587 – Cassetta 40/C”.
«Maledetta stanchezza!» esclamò esasperato. «Dovevo prestare attenzione ai particolari. Invece ho perso del tempo prezioso
per parlare da solo, come uno stupido!»
Valutò il tragitto migliore per precedere il mendicante, evitando di essere visto da Artes e Donny. Partì correndo e sperò di
avere scelto la strada giusta.
***
Lucille osservò annoiata l’esterno dell’ufficio postale.
«È un lavoro facile» disse, soffiando voluttuosamente il fumo.
«Facile?» chiese Antoine, accarezzandosi il naso aquilino e
sbirciando la provocante scollatura. «Sono un attore professionista. Per me non esistono dei ruoli facili, oppure difficili. Le mie
interpretazioni sono sempre impeccabili» aggiunse orgoglioso.
«Anche la tua autocelebrazione è impeccabile» ribatté ironica.
«Tuttavia dovrai soltanto intrattenere un uomo colto e catturare
la sua attenzione. Nel frattempo, io distrarrò un energumeno
dotato di molti ormoni e poco cervello.»
«Non ti deluderò, mia signora» disse, inchinandosi cerimoniosamente. «Dove saranno i nostri protagonisti?» aggiunse,
guardandosi intorno con sguardo da cospiratore.
145
«Sei un eccellente giullare» disse Lucille, sorridendo divertita.
«Donny mi telefonerà appena il mendicante entrerà in posta. Da
quel momento compariranno i due rompiscatole irlandesi, ma il
nostro diversivo consentirà al barbone di uscire con il pacco e
andarsene indisturbato.»
«Stiamo sorvegliando una persona, oppure un pacco?»
«Suppongo che le due cose siano strettamente collegate, perché Donny è molto teso.»
«Dunque, si spengano le luci» disse Antoine con voce impostata. «E si alzi il sipario.»
***
Salgemma si fermò di fronte all’ingresso dell’ufficio postale.
Era stremato e ne approfittò per rifiatare, maledicendo l’insonnia
che lo sfiancava ogni volta che sosteneva uno sforzo fisico. Il
Duca era abbastanza distante, ma il tempo stringeva.
Raddrizzò la schiena. Respirò a fondo ed entrò, simulando
una calma che non possedeva.
La posta era poco affollata. Temeva che l’abbigliamento da
jogging potesse attirare l’attenzione, ma nessuno si voltò a
guardarlo, tranne un bambino che lo inquadrò nel mirino di una
pistola giocattolo. Salgemma si diresse nella zona dedicata alle
cassette di sicurezza e individuò la 40/C. Consultò il biglietto e
digitò la combinazione. Attese qualche secondo, osservando con
trepidazione la cassetta.
«Ha dimenticato di premere il tasto Invio» disse una voce alle
sue spalle.
Salgemma sobbalzò e si voltò. Un giovane in divisa militare lo
fissava con aria comprensiva.
«Deve premere Invio» ripeté il giovane. «Altrimenti la cassetta rimarrà chiusa. La prima volta è accaduto anche a me. Mi ha
aiutato un dipendente, ma è stato piuttosto imbarazzante.»
«Grazie» mormorò asciutto, girandosi e premendo il tasto.
Un click confermò l’apertura della cassetta. Si voltò verso il
militare, guardandolo accigliato.
«Mi scusi, non intendevo essere curioso» disse il militare
allontanandosi.
Salgemma aprì lo sportello e vide un pacco avvolto in una
carta anonima. Esitò un attimo, ma poi cedette alla curiosità e
146
incise il nastro adesivo con i dentini della chiave di casa. Aprì il
pacco, sussultando nello scorgere una fialetta e una bottiglia di
whisky. Erano accuratamente avvolti in un materiale antiurto, su
cui era posata una moneta da due euro.
L’amarezza lo pervase. Il contenuto del pacco era senza valore, ma ormai lo aveva aperto e si era bruciato la possibilità di
estorcere del denaro a Donny e Artes. Avvertì l’impulso rabbioso
di buttare il pacco a terra, ma era inopportuno perché avrebbe
attirato l’attenzione dell’addetto alla sorveglianza.
Richiuse velocemente il pacco, e si diresse infastidito verso
l’uscita. Decise che avrebbe buttato il fagotto nel primo cestino
che avesse trovato in strada. Era una magra consolazione, ma
almeno lo avrebbe sottratto alle mani di Artes e Donny.
***
Il cassiere dello sportello si burlò del collega.
«Ludovico, dovresti bere il caffè senza versartelo addosso!»
disse l’uomo, riferendosi alla macchia scura che spiccava sulla
camicia bianca.
«È colpa tua!» ribatté Ludovico. «Mi ha sconvolto il colore
della tua cravatta, e questi sono i risultati!» aggiunse pungente,
senza distogliere lo sguardo dal cellulare. La scritta “Sms Inviato”
lo tranquillizzò. Non doveva commettere errori.
«Era un messaggio così urgente?» chiese il collega in tono
scherzoso. «Stavi bevendo il caffè, ma all’improvviso hai sobbalzato e ti sei affrettato a digitare sul cellulare. Devi smetterla di
scrivere alle tue amanti, altrimenti tua moglie ti scoprirà e
chiederà il divorzio.»
«È tutto il contrario» replicò Ludovico serio, osservando
Salgemma che si dirigeva verso l’uscita. «Ho inviato l’sms perché
voglio salvare il matrimonio, e restare con mia moglie.»
***
Shullen lesse il messaggio di Ludovico. Sorrise soddisfatto,
inoltrando l’sms al cugino Walsh. Buttò il grembiule sporco su
una sedia e indossò il giubbotto mimetico.
«Esco a fumare una sigaretta» disse al cuoco. Aprì la porta che
si affacciava sul marciapiede, e guardò l’ufficio postale sul lato
147
opposto della strada. Il ricatto aveva funzionato. Era pronto per
l’atto finale.
Si guardò intorno. Un anziano era seduto su una sedia di
legno e osservava svogliatamente i passanti. Poco distante, un
uomo dal naso aquilino chiacchierava con una bionda provocante. La donna aspirava la nicotina da un elegante bocchino.
Il vecchio alzò un sopracciglio, vedendo Shullen che estraeva
un coltello seghettato dalla tasca interna del giubbotto.
L’irlandese esaminò l’arma con piacere, sfiorando la lama con
il pollice. Aveva usato il coltello durante le pericolose missioni
dell’esercito, bagnandolo nel sangue di uomini di ogni razza.
Sogghignò, e lo inserì con cura nel fodero cucito all’interno della
tasca.
Si diresse verso la posta, assaporando l’eccitazione per lo
scontro imminente.
***
Il Duca retrocedette, consentendo alla fotocellula di rilevare
nuovamente il corpo. La porta a vetri dell’ufficio postale si aprì,
ma era indeciso sul da farsi. Poteva entrare, oppure voltarsi e
sottrarsi alle spietate macchinazioni della Corporazione.
La missione di agente segreto gli era stata rivelata molti anni
prima, quando aveva visto lo spezzone di un film di spionaggio
dalla vetrina di un negozio di elettrodomestici. Si era fermato a
osservare la merce esposta, e il filmato era iniziato. Aveva pensato
che fosse un caso, ma poi aveva capito che il video era servito per
avvicinarlo con discrezione. Da quel momento aveva assunto lo
stesso portamento della spia del film, e aveva tacitamente
accettato il ruolo di agente segreto al servizio dell’impero
britannico. La Regina d’Inghilterra non aveva mai ufficializzato
l’incarico, tuttavia era normale che le spie vivessero nella
segretezza, senza ricevere delle comunicazioni formali.
Per un istante dubitò della propria sanità mentale e comprese
di essersi inventato tutto. Fantasticava troppo, e talvolta anche
Emily lo aveva ammonito.
«Apri gli occhi» gli diceva la donna. «Gli agenti segreti non
vivono di stenti. Sei soltanto un mendicante squilibrato, con la
mente sconvolta da un’esistenza miserabile.»
148
“Non è vero, io sono un agente segreto” pensò ostinato, fissando l’interno dell’ufficio postale. “Due uomini della Corporazione sono già dentro, ma li ho identificati subito, nonostante il
loro pessimo camuffamento da podista e da militare. All’inizio
hanno agito con prudenza, e sono entrati separatamente. Ma poi
hanno confabulato e confermato i miei sospetti. Hanno scambiato poche parole per non essere smascherati, ma non sapevano che
li stavo osservando dalla vetrata”.
La porta si aprì. Sobbalzò alla vista dell’uomo che reggeva un
pacco sottobraccio e camminava verso di lui. Era il podista! I loro
sguardi s’incrociarono e l’uomo invertì la direzione, rientrando
frettolosamente.
Il Duca era attanagliato dal dubbio. Voleva agire, ma era stato
scoperto e il rischio era alto.
Rifletté furiosamente. “Qualcuno si nasconde nell’ombra, e
mi sta manovrando per recuperare un pacco. È probabile che il
contenuto sia illegale, altrimenti lo sconosciuto avrebbe agito di
persona. È evidente che persino la Corporazione ne è informata,
perciò ha inviato due uomini all’ufficio postale. Il podista si è
impossessato del mio pacco”.
La porta si aprì. Uscì un ragazzo che contava il denaro appena
prelevato. Il Duca lo guardò con invidia. Erano tempi duri,
soprattutto perché i servizi segreti si erano sempre dimenticati di
pagarlo. Si considerava un uomo orgoglioso e non intendeva
lamentarsi, ma non voleva neppure morire di fame.
Entrò deciso e si guardò intorno, cercando le cassette di sicurezza.
***
«Lucille, a chi stai telefonando?» chiese Antoine. «Donny ti ha
raccomandato di non impegnare la linea, e attendere la sua
telefonata.»
«Sto telefonando proprio a lui! Ho notato un tipo vestito da
jogging che usciva con un pacco, ma poi si è bloccato ed è
rientrato precipitosamente. Sono convinta che abbia anticipato il
mendicante. Dannazione, il numero di Donny è occupato!»
Antoine la guardò perplesso. «Un podista? Non è l’uomo che
cerca Donny. Sarà una persona qualunque.»
149
«Ha accennato a uscire, ma ha cambiato idea improvvisamente. Non mi fido di quel tipo!»
«Stai prendendo un abbaglio» insistette Antoine, guardandola
con disapprovazione.
Il cellulare di Lucille squillò. «È Donny!» esclamò lei, premendo il tasto per accettare la chiamata.
«Pronto!» disse Lucille.
«Tra pochi istanti uscirà» disse Donny. «Occhi aperti e lascia
libera la linea, altrimenti ti scordi il denaro!» aggiunse, terminando la telefonata.
«Stupido!» urlò. «Ha riagganciato, senza lasciarmi il tempo di
parlare.»
«Ascoltami Lucille. Proseguiamo con il piano originale e
lascia perdere l’ufficio postale. Guardati attorno, e tieniti pronta a
distrarre gli irlandesi. Donny non ci ha chiesto di sorvegliare la
posta.»
«Ok, ma Donny pagherà per la sua arroganza. Sono certa che
inventerà una scusa per non pagarmi, ma io sparirò dalla sua vita
e lo costringerò a ritornare strisciando!»
***
Salgemma vide il Duca e rientrò in fretta. Non era sicuro che
il mendicante avesse visto il pacco, ma a breve il barbone avrebbe
notato la cassetta aperta e intuito il furto. Si guardò intorno per
escogitare un diversivo, e uscire senza farsi vedere dal Duca.
Rifletté su cosa potesse distrarre un mendicante. “Mi servono dei
soldi!” pensò.
Il Duca oltrepassò l’ingresso, osservando l’interno per localizzare le cassette di sicurezza. Salgemma aprì velocemente il pacco.
Prese la moneta da due euro e la buttò a terra, confidando
nell’avidità del barbone.
La moneta rotolò veloce. Il Duca abbassò lo sguardo per seguirne la traiettoria, finché la vide fermarsi contro un cestino. Si
avvicinò. La afferrò e la mise in tasca.
Salgemma approfittò della distrazione del Duca, spostandosi
dietro ai cartelloni pubblicitari. Nascose il pacco con il proprio
corpo e raggiunse rapidamente l’ingresso, uscendo in strada.
Camminò veloce ed evitò per un soffio un uomo massiccio.
Lo sconosciuto indossava un giubbotto mimetico.
150
***
Il Duca finse di cercare qualcosa nella tasca, ma in realtà sperava che nessuno reclamasse la moneta. In passato aveva
guadagnato parecchio denaro con la vendita di una sterlina
coniata in pochi esemplari. Da allora aveva raccolto ogni moneta,
anche la più piccola.
Attese qualche istante ma nessuno protestò, pertanto si diresse soddisfatto verso le cassette di sicurezza. Erano tutte chiuse,
tranne una. Gli mancò il respiro quando notò che la 40/C era
aperta. Si guardò intorno per cercare il podista e il militare, ma i
due uomini erano spariti.
“Dannazione, mi hanno fregato!” pensò contrariato. Ripensò
al pacco che reggeva l’uomo e controllò l’interno della cassetta,
cercando qualcosa che fosse sfuggito al podista.
«Che cosa sta facendo?» chiese una voce alle sue spalle.
Si voltò, fronteggiando un uomo dai lineamenti raffinati. I
capelli biondi gli incorniciavano il viso abbronzato.
«Lei chi è?» chiese il Duca.
«Mi chiamo Ludovico» rispose l’impiegato. «Lei sta rovistando nella cassetta di un nostro cliente. Dovrei segnalare il suo
abuso al direttore. Sono previste delle sanzioni, e una denuncia
alle autorità.»
«La cassetta è mia, ho la combinazione» disse il Duca cercando il biglietto da visita. Sbiancò quando non lo trovò.
«Me lo dimostri» disse Ludovico, richiudendo lo sportello.
Il Duca si concentrò per ricordare il numero. Digitò il codice,
premette Invio, e il click confermò la correttezza della combinazione.
Ludovico impallidì. «Prima un uomo .. ha aperto la cassetta ..
pensavo …» farfugliò.
«Sono stato derubato» disse il Duca in tono offeso, drizzandosi sulla schiena per rafforzare le parole.
Ludovico si precipitò alla scrivania e afferrò il cellulare.
Compose il numero della moglie, attendendo preoccupato.
“Devo anticipare quei delinquenti” pensò ansioso. “Le confesserò il mio tradimento, sperando che mi perdoni” rifletté,
compiacendosi per la propria astuzia e notando il Duca che
usciva rapido.
151
***
Il Duca camminava spedito, guardandosi intorno nervosamente. Era amareggiato per l’occasione persa, e non tollerava che
la Corporazione avesse trionfato. La sconfitta infangava la sua
carriera di spia infallibile, ed era probabile che la Regina si
indispettisse e gli revocasse la qualifica di agente segreto. Inoltre
temeva che lo sconosciuto del biglietto fosse nei paraggi e lo
stesse pedinando.
Era preparato all’eventualità di un tallonamento, ma fu colto
alla sprovvista quando vide il colosso che correva verso di lui.
L’uomo gli intimò di fermarsi.
Il Duca superò i primi istanti di sbandamento, e iniziò a correre più forte che poteva. Si augurò che le gambe e il cuore lo
sostenessero, ma lo sconosciuto correva veloce e recuperava
rapidamente terreno.
***
Salgemma si voltò di scatto, allarmato da un’improvvisa sensazione di pericolo. Il movimento inatteso disorientò Shullen che
affondò il coltello nel vuoto. L’aggressore si sbilanciò, cadendo
malamente a terra. Salgemma si bloccò frastornato, ma il
rabbioso grugnito dell’assalitore lo spinse a scappare.
Corse a perdifiato verso la casa dell’amica Charlotte. Imboccò
una via traversa e scorse la casa tinteggiata di rosso chiaro,
circondata dalla siepe.
Aveva il cuore in gola per lo sforzo, ma confidava che il passaggio nella siepe ci fosse ancora. Arrivò alla casa, precipitandosi
sul retro. Si buttò come una furia nella stretta apertura. La siepe
era cresciuta, ostruendo gran parte del passaggio, ma l’irruenza
gli permise di spezzare i giovani arbusti e penetrare nel giardino.
Si sedette, appoggiando la schiena sulla siepe. Il cuore gli
pulsava forte, e irrazionalmente temette che lo udisse anche
l’aggressore. Gemette a bassa voce, pregando di riuscire a salvarsi.
All’improvviso si accorse che per tutta la fuga aveva stretto il
pacco. Lo esaminò, scoprendo che la bottiglia era integra e la
fialetta leggermente crepata. Sbirciò tra gli arbusti e intravide
Shullen che correva verso la casa. Salgemma sgranò gli occhi,
152
terrorizzato dal pensiero di essere catturato e squartato con il
lungo coltello.
Aprì la bottiglia di whisky e ne bevve in abbondanza per
prendere coraggio. Con altrettanta rapidità, stappò la fialetta e
bevve quasi tutto il contenuto. “Doppia dose, doppio coraggio”
pensò.
Passarono pochi secondi e avvertì i primi effetti distensivi.
Sentì un senso di sicurezza che cresceva, lento ma inesorabile.
Udì i passi veloci di Shullen, e percepì distintamente il rumore
del tallone che impattava al suolo. Visualizzò mentalmente la
frequenza del passo, azzeccando il preciso istante in cui Shullen
rallentò la corsa, fino a camminare.
Si alzò. Si sentiva sereno e riposato, come se avesse goduto di
mille sonni ristoratori. La stanchezza era come una goccia
d’acqua caduta sull’asfalto rovente, ed evaporata senza lasciare
alcuna traccia. Intravide Shullen e si diresse verso di lui, avvicinandosi all’entrata sul retro. Shullen lo scorse e scavalcò il
cancello, evitando gli spuntoni arrugginiti.
Salgemma era rilassato, ma udiva da un debole brusio in
lontananza. Si immobilizzò per ascoltarlo meglio, comprendendo
che percepiva lo scorrere dell’acqua nelle tubature della casa.
Tornò in sé, appena in tempo per vedere il coltello che si
avvicinava allo stomaco. Le lezioni scolastiche di scienze si fusero
e confluirono in un’approfondita conoscenza dell’anatomia
umana. Fece perno sulla punta del piede destro e si spostò di lato,
evitando l’affondo. Chiuse la mano destra e colpì la nuca di
Shullen, assestando un pugno alla base del cranio.
Shullen svenne e cadde in avanti. Salgemma si guardò stupito
la mano. Aveva colpito la zona occipitale con estrema precisione,
dosando la forza per tramortire l’aggressore, senza ammazzarlo.
Era euforico, ma che cosa aveva scatenato il radicale cambiamento che stava vivendo? Percepì il bruciore delle ferite procurate dal brusco sfregamento sugli arbusti della siepe. Le braccia
sanguinavano in diversi punti, e il viso gli doleva.
“Forse un fiore velenoso mi ha lacerato la pelle, e ha scatenato
una strana reazione allergica”, pensò. Si avvicinò alla siepe. La
esaminò attentamente, infine scartò l’ipotesi dell’avvelenamento.
Vide il pacco e prese il whisky. Esaminò l’etichetta scarabocchiata a mano. Qualcuno aveva annotato soltanto l’anno
d’imbottigliamento. Afferrò la fialetta anonima che non recava
153
alcuna scritta. Intuì che trangugiando i due liquidi, aveva
modificato il proprio metabolismo. Assaggiò una piccola
quantità di whisky, e lo associò a un modesto quantitativo del
liquido contenuto nella fialetta. Il picco di vigore durò solo una
frazione di secondo, ma fu sufficiente per convalidare la tesi del
metabolismo mutato. Ripose tutto nel pacco e lo chiuse con
attenzione.
Era salvo, ma l’aggressore sarebbe rinvenuto. Gli serviva un
posto sicuro in cui rifugiarsi. Decise di recarsi nella casa di
campagna, poiché era certo che la zia lo avrebbe accolto con
calore, anche se erano trascorsi tre anni dall’ultima volta che si
erano visti.
La fattoria era distante dalla città, ma era un luogo perfetto
per riflettere sulle strabilianti proprietà della droga.
***
Salgemma osservò la fattoria. Era uguale a come la ricordava,
tranne lo steccato dei cavalli. Il legno era stato ritinteggiato e
percepiva il forte odore della vernice fresca, sebbene al tatto fosse
asciutta. Il cancelletto era stato rinforzato, probabilmente per
impedire ai cavalli di fuggire.
“Forse la zia ha acquistato un cavallo focoso”, pensò, scavalcando la recinzione. Si allontanò dal recinto per sfuggire
all’odore penetrante della vernice, e si accorse in ritardo del toro
che era sbucato dal capanno. L’animale lo caricò a testa bassa.
Schivò per un pelo le corna tozze, ma urtò contro il massiccio
corpo dell’animale. Il contraccolpo gli provocò un lancinante
dolore alla schiena, e perse la presa sul pacco. Il toro fermò la
corsa e si voltò verso di lui. L’animale soffiò furioso, guardandolo
con occhi aggressivi.
Il toro si mosse all’improvviso, sollevando il terriccio e caricando con foga. Salgemma lo scansò, e corse nella stessa direzione dell’animale. Lo affiancò, premendo con forza i lati della testa
bovina. Il toro scalciò, dibattendosi con impeto, ma Salgemma
mantenne la stretta con ostinazione. L’animale si tranquillizzò,
sino a fermarsi mansueto, in preda a un’inconsueta immobilità.
Salgemma lasciò la presa, voltandosi verso la fattoria. La zia
era ferma all’uscita della stalla. Lo guardava con occhi meraviglia154
ti. Ai suoi piedi il secchio era rovesciato, e spargeva il latte appena
munto.
***
«Pensavo che ti uccidesse» disse la zia in tono agitato. «Mi è
mancato il respiro quando ho visto che ti caricava. Volevo urlare
per avvisarti, ma ero bloccata.»
«Non importa, la mia buona stella mi ha aiutato» le rispose
calmo, cercando di tranquillizzarla.
«Grazie a Dio, sei salvo. Ma come sei riuscito a fermarlo?» gli
chiese perplessa.
Salgemma ripensò alle sensazioni percepite durante la carica
del toro. Aveva visualizzato i centri nervosi dell’animale, e
identificato quali zone doveva stimolare per un rapido rilascio
della dopamina. Aveva afferrato la testa del toro e premuto con
forza. L’ormone tranquillizzante aveva iniziato a scorrere nel
corpo dell’animale, contrastando l’esubero di testosterone. La
muscolatura del toro si era rilassata, provocando uno stato
catatonico causato dal benessere diffuso.
«Ho avuto soltanto fortuna» rispose, mentendo per evitare
che la verità provocasse altre domande. «Piuttosto, spiegami
perché hai un toro nel recinto, invece del cavallo pezzato.»
«Il cavallo era malato. Il veterinario lo ha soppresso, per evitare altre sofferenze a quel povero animale» disse Agostina. «Il
toro è dei Banns. Ti ricordi di Mary?»
«Vagamente. È quella signora che abita nella fattoria a valle?»
«Sì, cantiamo insieme nel coro della chiesa. Spesso ci esibiamo in un duetto e siamo molto apprezzate dalla comunità.»
«Se ricordo bene, i Banns hanno un allevamento di vacche
Ayrshire.»
«Esatto. Mary ha comprato un biglietto della lotteria nazionale e ha vinto una grossa somma di denaro. Ha acquistato un paio
di biglietti per una crociera lunga un mese, ed è partita con il
marito. Stanno visitando delle località incantevoli, e ogni volta
mi spediscono una cartolina.»
«Capisco, ma come ti hanno trascinato in questa storia?»
«Possiedono un toro che vive nel loro pascolo e mi hanno
affidato l’animale per sottrarlo ai razziatori. In cambio hanno
155
pagato il rifacimento dell’intera staccionata, rinforzandola per
impedire al toro di fuggire.»
«Quell’animale non è fuggito, però mi ha quasi ammazzato!»
«Mi spiace, ma considera che di solito ruminava nel pascolo.
Ora è innervosito dalla vita in cattività, e ti ha attaccato senza
motivo.»
«Ok. È ancora viva Rickye?» chiese Salgemma con una leggera
apprensione.
«Certo! È soltanto un po’ vecchia. Si muove poco e ha la vista
meno aguzza di un tempo, ma è sempre intelligente» aggiunse
sorridendo. La chiamò a gran voce.
Apparve un cane da caccia con il pelo bianco, chiazzato di
marrone. Rickye scodinzolò soddisfatta e si avvicinò a Salgemma.
«Ricordo con precisione il giorno in cui l’abbiamo trovata»
disse accarezzandola.
«Era denutrita e l’abbiamo sfamata» disse la zia. «Per molti
mesi ha avuto il timore di essere percossa, ma in seguito è
diventata un’ottima compagnia.»
«E anche un discreto cane da guardia» aggiunse Salgemma.
«Nonostante il suo mondo sia completamente diverso dal
nostro.»
«In che senso?»
«Ai tempi della scuola, l’insegnante ci spiegò che la razza dei
canidi percepisce soltanto le gradazioni di grigio.»
«Questo lo sanno tutti.»
Salgemma guardò Rickye da vicino e analizzò la conformazione degli occhi, comprendendo che i cani si erano adattati alla
visione crepuscolare.
«Vede un mondo colorato di blu e giallo, senza il verde e il
rosso» disse, accarezzandola con affetto.
«Quindi non distingue soltanto le sfumature di grigio?»
«No zia, i cani hanno una visione simile ai daltonici. Acquista
una palla blu, e sbarazzati di quella rossa che ha nella cuccia.
Altrimenti Rickye sarà in difficoltà, perché farà fatica a vedere la
palla rossa nell’erba verde.»
«Non capisco» disse incerta. «La palla rossa l’hai comprata tu.
Sei strano …»
«Perché?»
156
«Parli come se sapessi tutto. Eppure usi un tono meravigliato,
come se scoprissi le cose per la prima volta. Inoltre sembri
pensieroso, nonostante il viso riposato.»
La guardò comprensivo, immaginando la confusione della
donna.
La zia lo fissò stupita. «Inoltre non ti sei ancora lamentato per
l’insonnia, ed è la prima volta che accade. Hai risolto il tuo
problema?» chiese speranzosa.
«Sì, e ho risolto anche altre cose» aggiunse misterioso.
***
Salgemma osservò compiaciuto il panorama, ascoltando
distrattamente la zia che canticchiava in cucina.
«Un’ampia veranda e una comoda sedia in vimini. Che cosa
chiedere di più dalla vita?» si domandò ironico.
“Forse un futuro migliore, anche se la zia dice che è pericoloso mettere due galli in un pollaio” rifletté pensieroso, fantasticando su un futuro popolato da uomini speciali come lui.
Si concentrò, e attinse dalle nuove doti per prevedere le ramificazioni temporali. Dopo qualche minuto cedette, esausto.
«Le variabili sono numerose, ed è impossibile ricavare una
previsione plausibile» disse a bassa voce. «Gli uomini sono
governati dalle emozioni perciò sono fonte di assoluta incertezza,
ma un androide sarebbe imparziale» disse, guardando il robot
giocattolo vicino a Rickye.
«Lo ha dimenticato il figlio dei Banns» disse la zia, raccogliendolo. «Alzati e lavati le mani. Il pranzo è pronto» aggiunse,
rientrando in casa.
«Ok, ora anch’io sono pronto!» ribatté sorridendo.
***
La stanza degli ospiti era confortevole e dotata di un computer collegato a Internet. Il pranzo lo aveva fortificato e si sentiva
particolarmente rinvigorito. Percepiva inconsciamente un nuovo
sistema di assimilazione degli alimenti, come se il sistema
digerente si fosse rinnovato per assorbire più efficacemente le
proprietà nutritive del cibo.
157
Salgemma osservò il sito internet sul computer. Cliccò sul
tasto Play, avviando il filmato pubblicitario.
«Siamo il più grande produttore di innesti cibernetici» disse
una graziosa ragazza, indicando una stanza in cui alcuni tecnici
dal camice bianco si muovevano indaffarati. Le immagini si
soffermarono sugli strumenti fantascientifici, manovrati da
persone con visi seri e atteggiamenti professionali.
«La Future Robotics è orgogliosa di offrire i migliori tecnici.
Collaboriamo con i più rinomati costruttori di automi, ma
valutiamo anche i progetti privati. Il nostro personale è istruito
per soddisfare qualsiasi esigenza. Affidatevi con fiducia alla
nostra professionalità.»
Sul monitor apparve lo slogan, “Voi lo ideate, noi gli diamo
vita”. Un pulsante lampeggiante mostrò il fermo immagine di un
viso sorridente, e la scritta “Il Tecnico è Online”. Salgemma
cliccò il pulsante, attendendo il collegamento.
La Future Robotics era un’azienda affermata. Aveva deciso di
coinvolgerla nel suo progetto poiché il toro aveva schiacciato il
pacco, distruggendo la bottiglia di whisky e la fialetta. Era arduo
ricreare la formula, anche se forse poteva riuscirci. Tuttavia non
sapeva se le sue nuove capacità avevano degli effetti permanenti,
oppure erano transitori e destinati a svanire da un momento
all’altro. Aveva deciso di imboccare l’unica strada percorribile,
anche se affidarsi a degli sconosciuti non lo entusiasmava.
Tuttavia l’androide era una forma di vita superiore, imparziale, e
con facoltà immutabili.
Sul display apparve il viso di un ragazzo biondo. Indossava
degli occhiali con lenti tonde che gli conferivano un aspetto
competente. «Buongiorno, sono Luca, tecnico 14. Attivi la
webcam per avviare la videoconferenza.»
«Non posso» mentì Salgemma, per non farsi vedere e mantenere l’anonimato. «Il computer non è mio, e penso che non abbia
la telecamera incorporata.»
Il tecnico increspò la fronte, esprimendo perplessità. «Il nostro sistema ha confermato che il suo computer è dotato di una
webcam. La attivi, appena l’avrà individuata.»
«Lei è veramente un tecnico, oppure è soltanto un commerciale che contatta i nuovi clienti?» chiese per distrarlo.
«Sono un vero tecnico» rispose infastidito. «La Future Robotics valuta qualsiasi offerta di collaborazione, ma soltanto online.
158
In tal modo scremiamo le proposte, ed evitiamo di perdere del
tempo prezioso. Tuttavia lei mi sottoponga un’idea valida, ed io
le fisserò un appuntamento con un nostro progettista.»
«Ok, mi sono prefissato di caricare un tracciato mentale in un
androide, ma le anticipo che è un’operazione complessa.»
«I nostri prodotti hanno raggiunto degli standard qualitativi
eccellenti. Sarà difficile che lei riesca a proporci qualcosa di
innovativo»
«Nemmeno se le dicessi che voglio replicare il mio cervello?»
Il tecnico inarcò un sopracciglio. «Perché proprio il suo?»
chiese scettico.
«Il mio cervello è unico, mi creda. L’androide avrà la mia
intelligenza superiore alla media, ma sarà svincolato dagli istinti
di potere che caratterizzano la razza umana.»
Il tecnico si accigliò. «Ci sta chiedendo di creare una copia
virtuale del cervello, come se l’androide fosse dotato di neuroni.
Inoltre vorrebbe un risultato più complesso, ossia simulare la
mente e la coscienza.»
«Esatto! È realizzabile?»
«È impossibile. Noi sviluppiamo dei progetti scientifici, non
fantascientifici.»
«Avete dei limiti fisici, oppure tecnologici?»
«Entrambi. Le semplificherò i concetti informatici per aiutarla a comprenderli meglio. Il byte è l’unità di misura adottata
dall’informatica. Un byte corrisponde a un singolo carattere di
testo. Qualche anno fa i computer avevano una memoria dati che
immagazzinava qualche decina di miliardi di caratteri, definiti
gigabyte. Un gigabyte equivale a un miliardo di byte. Lei conosce
la capienza dei più recenti computer privati?»
«Circa un terabyte, vale a dire mille gigabyte. Sono un bilione
di byte, cioè mille miliardi di caratteri.»
«Esatto. La riproduzione del cervello umano necessita di
quattro milioni di gigabyte, ossia quattro biliardi di byte. In
parole semplici, per ricreare la struttura del cervello servirebbero
quattro milioni di miliardi di caratteri.»
«Devo ammettere che si tratta di una cifra considerevole.»
«È un numero enorme, eppure è incompleto perché si basa
sul calcolo teorico delle sinapsi del cervello. Tuttavia la mente
umana è molto più complessa di un semplice dispositivo di
memorizzazione, poiché i pensieri sono regolati dalla memoria
159
sensoriale, oltre che dalle memorie a breve e a lungo termine.
L’androide dovrebbe ospitare un software che coordinasse i dati e
replicasse l’intelletto umano.»
«Il software non è un problema poiché ho la soluzione» rispose Salgemma esaltato. L’effetto allucinogeno della droga stava
potenziando e migliorando ogni pensiero. Setacciava le soluzioni
più attendibili a grande velocità, tuttavia percepiva un crescente
senso di disagio. «Ho ideato degli algoritmi matematici che
semplificano l’elaborazione, e offrono un’elevata efficienza al
sistema cibernetico.»
Il tecnico sbuffò infastidito. «Dubito seriamente che lei abbia
inventato questi algoritmi. Per cortesia, può attivare la telecamera del computer? Credo che lei sia soltanto un giovane appassionato di fantascienza.»
«Le ho detto che la telecamera non funziona» insistette, mantenendo l’incognito.
Il tecnico sospirò rassegnato. «Ogni giorno ricevo decine di
proposte, ma la sua è senz’altro la più originale, sebbene qualcosa
di simile sia stato richiesto anche da una grossa corporazione.
Personalmente ritengo che l’evoluzione debba progredire a
piccoli passi, senza scorciatoie, altrimenti il sistema sociale
collasserebbe. Si immagini che cosa sarebbe accaduto se nel
medioevo fossero comparsi i cellulari. Era un periodo storico
cruento, e avrebbe vissuto delle tragiche conseguenze se i generali
avessero comandato le truppe con i telefoni.»
«È per questo motivo che voglio affidare il mio patrimonio
mentale a un androide» incalzò Salgemma.
«Ma perché si ostina a volere un robot? Basterebbe costruire
un sistema che fosse interfacciato a centinaia di computer.»
«Un macchinario chiuso in una stanza sarebbe inutile, poiché
avrebbe una visione distorta della realtà!» esplose Salgemma,
assalito da una straripante irritabilità. «Internet si è diffuso
rapidamente negli ultimi anni perché la multimedialità ha
abbattuto le barriere fisiche e mentali. Le persone hanno
catturato le emozioni con i cellulari e le videocamere, e poi
hanno condiviso le immagini, decretando il successo della
tecnologia multimediale.»
«Può darsi che lei abbia ragione. Tuttavia restano gli ostacoli
del limite fisico dei dati, e di un software che riesca a gestirli
adeguatamente.»
160
«Comprendo la difficoltà nel miniaturizzare un’enorme mole
di dati» disse Salgemma concentrato. «Secondo lei è possibile
convogliare ed elaborare i dati in una sala server, e poi inviare le
informazioni all’androide? Dovrebbe soltanto eseguirle, sgravandosi dall’obbligo dell’elaborazione. È attuabile?»
«Sì, è realizzabile. Tuttavia il robot riceverebbe un’enorme
mole d’informazioni da inviare a tutto il corpo, poiché il cervello
umano trasmette un’immensa quantità di comandi. Ogni
secondo, anche quando dormiamo. Tutto ciò implicherebbe un
enorme dispendio di energie, che l’unità cibernetica utilizzerebbe
per ricevere gli ordini e per eseguirli. In poche ore, l’androide
consumerebbe tutta l’energia e si spegnerebbe, come un cellulare
scarico.»
Una luce abbagliante colpì Salgemma. Gemette per il dolore
agli occhi e si riprese dopo qualche istante, comprendendo che
era stato assalito da una scarica mentale. “La mia mente sta
collassando!”, pensò preoccupato, toccandosi la fronte. Scottava
e percepiva un malessere simile alla febbre alta.
«Tutto bene?» chiese il tecnico. «Mi è sembrato di sentire dei
lamenti.»
«È tutto ok. Ho la soluzione per contrastare l’eccessivo consumo energetico» disse Salgemma con voce tremolante.
«Me la dica.»
«L’energia necessaria è dappertutto. Dobbiamo soltanto incanalarla, ed io so come riuscirci.»
«Smettila di farmi perdere tempo, ragazzino!» sbraitò il tecnico spazientito. «Ti ringraziamo per averci contattato e ti auguriamo una buona ...»
«Non sono un ragazzino!» lo interruppe Salgemma, schiacciato dal crescente dolore. «Luca! Il tuo nome è composto dalla
tredicesima, ventunesima, terza, e prima lettera dell’alfabeto
romano. Moltiplico i quattro numeri e ottengo 819!» urlò in
preda a un’esaltazione intellettiva. «819 chilometri corrispondono a 32.244.094,49 pollici da cui deriva la radice quadrata di
5678,3884. Azzero i decimali e rimane il numero 5678. L’anno
5678 del calendario ebraico, corrisponde all’anno 1917 del
calendario gregoriano!» strepitò, stringendosi con forza la testa.
Il tecnico spalancò gli occhi stupito. «Chi sei? Accendi la webcam, voglio vederti!» disse strillando. «Ti daremo ciò che vuoi,
ma accendi la telecamera!»
161
Il dolore era sempre più intenso. Cercò di spegnere il computer. Non voleva che lo rintracciassero, ma gli occhi lacrimavano e
non riuscì a individuare il tasto di spegnimento. Strattonò il cavo
di alimentazione, staccando la presa dalla corrente. Per un attimo
fu graziato da un improvviso calo del dolore, ma poi le fitte alle
tempie ripresero con intensità raddoppiata. La sofferenza si
diffuse in tutto il corpo. Salgemma si abbandonò impotente alle
travolgenti sensazioni che lo stavano dilaniando.
“Sto esplodendo”, pensò in un barlume di coscienza. Poi
svenne, cadendo pesantemente a terra.
***
Salgemma aprì faticosamente gli occhi. Era stremato ma si
sentiva leggero, come se avesse scacciato per sempre un pensiero
opprimente. Si alzò faticosamente. La mano sanguinava leggermente, e in terra vide un vaso frantumato che aveva trascinato
nella caduta.
Si avvicinò allo specchio, con il timore di vedere il viso sfigurato da una ferita. Sobbalzò quando costatò che gli occhi castani
avevano assunto una colorazione verde chiaro.
“Il colore degli occhi è legato alla produzione di melanina,
pertanto il mio corpo ha subito un mutamento” rifletté.
Si guardò attentamente. Qualche capello si era incanutito.
Era una reazione comune se si subiva un forte spavento, ma di
solito accadeva soltanto ai nuovi capelli. Esaminò il resto del
corpo, senza notare niente di anomalo. Per fortuna aveva subito
soltanto dei lievi effetti collaterali.
Scese le scale, e incrociò la zia che rientrava in casa con una
cesta colma di uova.
«Stasera ti preparerò un dolce con la crema al limone. È una
ricetta speciale» disse sorridente, entrando in cucina.
Salgemma uscì sulla veranda. Più tardi avrebbe raccolto i
cocci del vaso, e inventato una scusa plausibile. Ammirò
l’orizzonte e avvertì un tocco sulla gamba sinistra. Abbassò lo
sguardo. Rickye lo guardava, scodinzolando con occhi interrogativi. Si abbassò per accarezzarla.
«La fiamma che arde con il doppio del suo splendore, brucia
in metà tempo. È una bella frase che ho sentito in un film, ma si
applica anche al mio caso» disse, lisciandole il pelo.
162
«Sono simile a un’utilitaria che è stata potenziata con il motore di un’auto da corsa» mormorò tra sé. «Ho sopportato per un
breve periodo l’incremento delle prestazioni, e poi sono collassato. Era impensabile che reggessi quei ritmi furiosi perché il mio
corpo era impreparato per una tale intelligenza, come un sole che
cercasse di splendere all’interno di una lampadina.»
La cagnetta era sdraiata per terra e si godeva le carezze. Salgemma notò che il pavimento di legno era scheggiato in alcuni
punti. Toccò perplesso la pavimentazione. Era poco resistente
perché era stata lavorata con i metodi standard, tuttavia con un
taglio diverso avrebbe acquisito un’inalterabilità strutturale.
Visualizzò mentalmente il legname, le venature, e la composizione molecolare. Ma i suoi pensieri furono interrotti da un dolore
che lo assalì con inaudita violenza.
***
«Diego!» fu la prima parola che sentì quando il dolore divenne sopportabile. Salgemma aveva gli occhi chiusi e si reggeva la
testa, stringendola con forza.
«Ti sei ferito?» chiese la zia agitata.
Aprì gli occhi. Finalmente si sentiva meglio. Percepì il dolore
che svaniva, come se lo avesse spento con un interruttore.
«Ero distratto» le disse alzandosi. «Ho perso l’equilibrio e ho
colpito il muro con la testa. Ora sto bene.»
«Sei sicuro?» gli chiese, appoggiandogli una mano sulla spalla.
«Sì, però ogni volta che penso a qualcosa di complicato sono
assalito da forti dolori alla testa.»
«Magari sei solo stressato.»
«Forse hai ragione, anche se temo che d’ora in poi avrò sempre questo problema. Prima hai usato il mio vero nome» disse,
cambiando discorso. «Negli ultimi anni mi hanno chiamato con
un ironico nomignolo.»
«Quale nomignolo?»
«Salgemma. Pensano che sia ottuso, senza sale in zucca. Ammetto che spesso sono impassibile e distaccato, ma accade perché
dormo poco e sono stremato. Eppure per la prima volta, ho
paura di essere diventato realmente ottuso» aggiunse preoccupato.
163
«In effetti è strano che tu senta delle fitte quando pensi a
qualcosa di difficile. Mi avevi scritto che avevi imparato le lingue.
Le ricordi ancora?»
Salgemma pensò a come avrebbe risposto in giapponese, in
arabo, e in cinese. Ci riuscì senza percepire alcun dolore, ma la
curiosità lo spinse a scoprire i punti in comune delle lingue.
Visualizzò i grafemi degli alfabeti, sovrappose i fonemi, e cercò di
creare un nuovo sistema di scrittura che li accorpasse. Ma perse i
sensi.
***
Il Dio Salgemma dominava la vallata dall’alto.
Una montagna si ergeva imponente, e dalle vette nascevano i
torrenti che confluivano in un lungo fiume dalle acque cristalline. Un luccicante ponte d’acciaio univa le sponde nel punto più
largo del corso d’acqua. Sulla valle oziava un vulcano spento,
circondato dalla lussureggiante natura che si inchinava alla
maestosa presenza di una potenza ormai sopita. Il paesaggio era
equilibrato e armonioso.
Il Dio Salgemma contemplò i miracoli della natura e benedisse l’operato degli esseri umani. Tutto era perfetto e immutabile.
Il vulcano esplose all’improvviso e vomitò fontane di lava
fluida che colarono ai fianchi del cratere. I lapilli incandescenti
schizzarono a centinaia di metri di altezza, e ricaddero con degli
schianti fragorosi.
Salgemma allungò l’enorme mano verso il ponte. Afferrò un
cavo d’acciaio e lo liberò dagli ancoraggi conficcati nelle calotte
di granito. Chiuse la fune tra le mani e la sfregò per surriscaldarla. Tese il cavo incandescente tra le dita e lo avvicinò alla base
della montagna. Tagliò la roccia, come se una lama rovente
affondasse nel burro. Afferrò la montagna recisa e la capovolse.
Spinse il cono rovesciato dentro il vulcano, tappandolo e
premendo per contrastare la violenza dell’eruzione. La lava e il
vapore acqueo spinsero con ostinazione, ma poi cedettero e si
placarono.
Salgemma allontanò le gigantesche mani dalla vallata. Non gli
era piaciuto quello che era appena accaduto, e non voleva che si
ripetesse nuovamente. Il magma era un cocktail esplosivo di
elementi liquidi, solidi, e gassosi. Tuttavia le rocce magmatiche
164
erano composte essenzialmente dal silicio, e il Dio Salgemma
sapeva che il materiale silicatico era un importante componente
dei tessuti umani e delle cellule celebrali. L’essere umano era una
creatura basata sul carbonio, ma per una divinità non era un
problema plasmare una forma di vita partendo dal silicio.
Liberò la bocca del vulcano, togliendo la parte di montagna
recisa. Con la mano sinistra, ordinò al fiume di produrre un
vortice d’acqua che si riversò sul magma all’interno del vulcano.
Con la mano destra, chiese alla vegetazione di generare una
colonna di linfa che avvolse il magma.
L’acqua e la linfa evaporarono appena toccarono il magma
infuocato, ma un po’ alla volta i tre elementi riuscirono ad
amalgamarsi e formarono un grumo pulsante.
Salgemma soffiò sulla poltiglia per donargli la vita. Il grumo
si solidificò, crepandosi in molti punti. Un’esplosione lanciò i
frammenti della scorza esterna, scagliandoli in tutte le direzioni.
Il Dio sollevò un forte vento e il polverone si diradò. Apparve un
essere dalle sembianze umane, che si drizzò lentamente. Era alto
una ventina di metri, e il suo corpo era scuro come la pece con
venature di un rosso vivo. Sollevò le palpebre e spalancò gli occhi
infuocati. Si guardò intorno meravigliato, finché alzò lo sguardo
e si accorse del Dio.
Salgemma lo guardò soddisfatto, contemplandolo con
l’occhio benevolo del creatore che osserva compiaciuto la propria
creatura.
L’essere di silicio tese la mano verso Salgemma, invitandolo a
fare altrettanto. Il Dio Salgemma si avvicinò e strinse la mano
della creatura, consacrando l’incontro tra la divinità e il primogenito di una nuova razza di esseri viventi.
La creatura affondò la mano libera nel magma depositato sul
fondo del vulcano, e vi attinse come un’idrovora. Salgemma si
allontanò perplesso, ma l’essere continuò ad aspirare delle grandi
masse di roccia fusa. Il liquido infuocato passò da un braccio
all’altro, e fuoriuscì dalla mano puntata verso il Dio. Il getto
rovente fu sparato verso il viso di Salgemma.
Il Dio sogghignò, divertito dal puerile tentativo della creatura,
ma il fiume di magma continuò incessantemente e iniziò a
toglierli il respiro. Il getto aumentò di intensità, e il calore
divenne insostenibile. Salgemma si sentì arroventare, come un
tizzone incandescente.
165
L’essere di silicio interruppe l’attacco e sradicò un’enorme
quercia. La afferrò con forza, e la lanciò con inaudita violenza
contro il Dio.
Salgemma tentò di assorbire il devastante impatto, ma non
riuscì a contenerlo e si sbriciolò in mille pezzi.
***
Salgemma aprì gli occhi e vide la zia chinata verso di lui.
«Diego, è successo di nuovo!»
Salgemma annuì prima di rispondere. «È vero, ma finalmente
ho compreso da cosa mi devo difendere. La mia mente aggrega
molte informazioni con facilità, tuttavia non posso ideare dei
nuovi concetti, altrimenti subisco uno shock e svengo.»
«È tremendo!»
«È un grosso limite, ma non mi lamento poiché nelle ultime
ore ho appreso una miriade di nuove nozioni. Dovrò impegnarmi per arginare efficacemente i miei pensieri, ma ci riuscirò» le
disse sorridendo, lieto che il dolore stesse svanendo.
«Non ti capisco.»
«Il cervello non è soltanto l’insieme della logica e del discernimento, ma è anche caratterizzato dalla capacità mnemonica.
Ho un collega che ha lavorato in una grossa azienda informatica,
e mi ha spiegato che ogni utente ha le proprie autorizzazioni sui
server. Alcuni dipendenti possono inserire dei nuovi dati,
modificando quelli vecchi. Invece altri impiegati hanno delle
autorizzazioni più restrittive, che consentono soltanto di leggere i
dati esistenti.»
«Perciò qual è il nesso con i tuoi malori?»
«Io sono paragonabile agli utenti che possono solamente
leggere, ma ora il mio cervello contiene nuove consapevolezze
che farò fruttare. Le brevetterò, e assumerò delle persone che le
svilupperanno per mio conto. Diventerò un imprenditore e mi
arricchirò.»
Preferiva nascondere i particolari alla zia perché la voleva
allontanare dai rischi, tuttavia il colloquio con il tecnico era stato
illuminante. Un attimo prima di svenire aveva ideato un sistema
rivoluzionario per incanalare e sfruttare l’energia magnetica.
Ricordava di avere esultato alla prospettiva di ricavare corrente
da qualunque cosa, poiché la Terra è un pianeta magnetico.
166
Oltretutto è particolarmente ricco di minerali, in grado di
attrarre e trasmettere tale capacità ad altri materiali. Gli stessi
esseri umani sono una fonte naturale di energia magnetica.
«Zia, ho in mente grandi progetti per il futuro» le disse entusiasta. «Domani inizierà il primo giorno della mia nuova vita!»
La donna sorrise felice. «Non mi è chiaro che cosa ti sia successo, ma sono contenta per te.»
«Non sarò mai più Salgemma» le disse. «È tornato Diego, il
nuovo Diego» aggiunse raggiante, osservando Rickye che
scodinzolava.
167
EPILOGO
Il Duca camminava pensieroso. Erano trascorse un paio di
settimane dal brutale interrogatorio di Donny, eppure percepiva
ancora delle sporadiche fitte alla schiena, dove era stato percosso
rabbiosamente.
Sentiva enormemente la mancanza di Emily. Avrebbe voluto
sfogarsi con lei, poiché la vicenda del pacco lo aveva illuso e
amareggiato. Emily era sempre stata un’ottima ascoltatrice. A lui
piaceva parlarle, ma la Corporazione l’aveva allontanata.
Si fermò infastidito, scuotendo la testa per scacciare il pensiero. «La Corporazione non esiste!» esclamò irritato.
Le batoste non erano state completamente inutili, perché lo
avevano fatto rinsavire. Finalmente aveva compreso che per
molti anni aveva fantasticato su un inverosimile incarico di
agente segreto. Strinse forte i pugni, rimproverandosi per la
stupidità che aveva dimostrato.
Sull’altro lato della strada vide due uomini che uscivano dal
ristorante, seguiti da una coppia di giovani abbracciati teneramente. La donna rise e l’uomo la avvicinò ulteriormente.
Il Duca riconobbe Artes e si voltò rapidamente. Non si mosse, per paura di attirare l’attenzione.
«Colin, il tuo compito sarà arduo» disse Artes. «Dovrai civilizzare Donny!» aggiunse ironico.
«Sono già fin troppo educato» ribatté Donny. «Infatti non
risponderò come meriteresti, perché la tua donna ci sta ascoltando!»
Udì le loro risate. Poco dopo sentì sbattere le portiere
dell’auto e la vettura partì. Attese qualche istante, poi si voltò e
intravide un fuoristrada che si allontanava.
“Erano Artes e Donny, e sembravano felici” rifletté pensieroso. “ Chissà chi erano gli altri due, l’uomo distinto e la bella
ragazza bionda. Durante il mio interrogatorio, Artes e Donny
erano tesi, ma dopo deve essere successo qualcosa di bello che li
ha rasserenati” pensò invidioso.
168
Fissò demoralizzato il ristorante, detestando le persone che si
godevano il cibo.
“Piove sempre sul bagnato, poiché la vita premia soltanto le
persone più benestanti”, pensò amareggiato, osservando un
uomo corpulento che saldava il conto. Il cliente saluto giovialmente il cameriere, e uscì soddisfatto dal ristorante. Indossava
abiti costosi e all’ultima moda.
Il Duca sobbalzò quando l’uomo si diresse verso di lui. Non
sembrava un tizio pericoloso, ma la vita di strada gli aveva
insegnato a essere sospettoso.
«Non abbassare mai la guardia» diceva Emily. «Devi dubitare
di tutti, e avere sempre un piano di fuga». Era un ottimo
consiglio che lo aveva aiutato a non invischiarsi con i pericolosi
affari dei delinquenti.
L’uomo si fermò a pochi passi e sorrise.
«Buongiorno» esordì in tono cordiale.
Il Duca lo osservò incuriosito. Lo sconosciuto aveva la pelle
pallida e capelli chiari. Abbassava spesso lo sguardo, come se si
sentisse a disagio.
«Mi chiamo Marco Contra e cerco delle comparse.»
«In strada?»
«Le seleziono tra le persone comuni. Ieri l’ho notata mentre
usciva dall’ufficio postale. Volevo parlarle, ma l’ho vista correre e
ho lasciato perdere.»
Il Duca lo guardò sospettoso. «Ieri avevo fretta.»
«Capisco. Questo è il mio biglietto da visita» disse, infilando
una mano nel giubbetto.
Il Duca tese i muscoli e mosse la gamba destra all’indietro,
per essere pronto a voltarsi e fuggire.
Contra gli porse il biglietto. Il Duca lo sollevò all’altezza del
viso, per non perdere di vista l’uomo. “Marco Contra – Talent
Scout”. Seguivano il numero di cellulare, l’e-mail, e il sito
Internet.
Non si fidava, ma era improbabile che lo sconosciuto fosse un
malintenzionato, poiché era assurdo che perdesse del tempo in
una recita così elaborata.
«Mi chiamo Raymond» disse, restituendo il biglietto e porgendo la mano.
Contra la strinse mollemente, sottraendosi rapidamente al
contatto.
169
«Le offro l’opportunità di diventare un figurante. Avrà delle
piccole parti che proseguiranno per tutta la durata delle riprese.
Lo stipendio è discreto, e i pasti saranno offerti dalla produzione.
Inoltre avrà la possibilità di essere ricontattato, perché lei ha un
viso distinto e un portamento elegante. Mi piacerebbe utilizzarla
anche in casting futuri.»
Il Duca annuì interessato. Non era sensato rifiutare dei soldi
facili, e nemmeno perdere dei pasti gratis.
«Accetto» disse soddisfatto.
«Bene! In realtà vorrei anche proporle una piccola parte. È
leggermente impegnativa, ma ritengo che lei la interpreterà
bene.»
«Di cosa si tratta?»
«Reciterà una decina di battute, in un dialogo che durerà un
paio di minuti. Impersonerà il ruolo di un agente segreto. Pensa
di riuscire a immedesimarsi?» chiese speranzoso.
Il Duca lo fissò sbalordito.
«Ci riuscirò» gli rispose sorridendo.
FINE
170
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