ARISTOTELE
“Maestro di color che sanno”
Parte prima: la metafisica
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1
La vita
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Aristotele, figlio di Nicomaco, un medico al servizio del re macedone Aminta a Pella,
nasce a Stagira, al confine tra Grecia e Macedonia nel 384/3.
Dopo la morte del padre, a 17 anni, si reca all’Accademia platonica di Atene, di cui
diventa una delle personalità di spicco per più di vent’anni.
Dal 347 lo troviamo ad Asso, in Asia Minore, città in cui fonda una scuola filosofica, e
poi in compagnia dell’allievo Teofrasto a Mitilene.
Nel 342 è precettore di Alessandro Magno, un incontro questo assai singolare tra uno
dei più grandi intellettuali e uno dei maggiori condottieri e uomini politici della storia.
Dal 338 con la battaglia di Cheronea, la Grecia perde la sua indipendenza e diventa
protettorato macedone.
Nel 336 Alessandro sale al trono e poco dopo Aristotele torna ad Atene dove fonda il
Liceo, la sua scuola, chiamata così perché sorta vicino ad un tempietto dedicato ad
Apollo Licio. Acquisirà in seguito anche un altro nome: il Peripato, per sottolineare
l’abitudine dei suoi appartenenti di insegnare passeggiando (peripatèo = camminare)
Nel 323, alla morte di Alessandro, Atene diventa il centro di una reazione
antimacedone, di cui il filosofo, legato alla dinastia regale di Macedonia, fa le spese.
Infatti, accusato di empietà, viene condannato all’esilio.
Si reca quindi a Calcide nell’Eubea, lasciando a Teofrasto la direzione del Liceo.A
Calcide muore nel 322.
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2
Le opere
• Le opere di Aristotele si possono dividere in due
grandi gruppi,
• quelle essoteriche – di cui rimangono solo
frammenti – , cioè destinate al grande pubblico e
molto legate al periodo accademico e alla
filosofia di Platone
• e quelle esoteriche (o acroamatiche), destinate
alla cerchia ristretta degli studenti del Liceo.
Queste ultime sono costituite da appunti per le
lezioni o trascrizioni delle lezioni stesse che
Aristotele teneva nel Peripato e contengono gli
aspetti più originali della dottrina del Filosofo.
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3
Il corpus aristotelicum
• Le opere esoteriche ci sono giunte per vie
traverse grazie a Teofrasto e all’amico di
Aristotele, Neleo, i cui discendenti le
conservarono in una cantina finché un bibliofilo
di nome Apellicone non le acquistò. Dalle sue
mani, i libri passarono in quelle di Silla che le
portò a Roma. Passarono ancora un po’ di anni
prima che Andronico di Rodi, decimo
successore alla guida del Peripato, intorno metà
del I sec. a.C., avendole sottomano, le ordinasse
e pubblicasse interamente, più o meno nel modo
in cui oggi le possiamo apprezzare.
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4
La composizione del corpus
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Le opere aristoteliche sono state divise per argomenti. Ad aprire il loro elenco, così
come fu stilato da Andronico, è
il gruppo delle opere logiche (chiamato successivamente Òrganon = strumento, ad
indicare la logica come strumento essenziale del pensare) formato da Categorie, De
interpretatione, Analitici I e II, Topici e Confutazioni sofistiche.
Seguono le opere di logica, quelle di filosofia della natura: Fisica, De coelo, De
generatione et corruptione; Metereologia; il trattato De anima e i piccoli scritti Parva
naturalia sono da includere in questo gruppo.
Dopo le opere di fisica vi sono i quattordici libri riuniti sotto il nome unico di
Metafisica (l’opera più famosa e importante dello Stagirita).
Poi le tre grandi etiche, che trattano temi morali: Etica nicomachea, Grande etica,
Etica Eudemia, cui va aggiunta la Politica, tema che per Aristotele risulta essere
un’appendice dell’etica.
Infine sono da annoverarsi tra le opere filosofiche quelle estetiche: La poetica e la
retorica.
Relative più propriamente alla storia della scienza sono altri scritti particolari come la
Storia degli animali, Le parti degli animali, il Moto degli animali e la Generazione
degli animali.
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5
Aristotele e Platone
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1)
2)
3)
4)
Al di là delle critiche specifiche che Aristotele elaborò nei confronti
del maestro, in particolare sulla dottrina delle idee (le vedremo
successivamente), confrontando i due filosofi si possono avanzare
i seguenti rilievi:
Aristotele, a differenza di Platone, non ha particolari interessi
politici. Egli è sostanzialmente, diremmo oggi, un professore che
indaga ogni aspetto della realtà e in ciò non disdegna la natura,
non considerandola un mondo inferiore.
Al Liceo la ricerca ha una vocazione empirica e non
matematica. Ci si rivolge preferibilmente al mondo concreto della
phýsis piuttosto che iperuranio logico-ideale delle matematiche.
A differenza di Platone, Aristotele ha un atteggiamento
sistematico, cioè punta ad inserire le nozioni scientifiche
all’interno di un sistema ordinato e gerarchico che ambisce a
racchiudere in sé tutto il sapere.
In Aristotele sono assenti elementi mitico religiosi.
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6
L’ordine delle scienze
• Per Aristotele le scienze sono ordinate
gerarchicamente a seconda della loro capacità
di dare conto della realtà e della vastità delle
nozioni che esse sono in grado di ordinare al
loro interno. La scienza più ampia è quella dei
primi principi (ciò da cui tutta la realtà proviene a
in virtù dei quali è quella che è) cioè la
metafisica. Essa , poiché riguarda il fondamento
di tutto, provvede anche a stabilire l’ordine delle
altre scienze in base ad una precisa
classificazione degli atti umani (libro VI della
Metafisica)…
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Scienze teoretiche…
• Gli uomini anzitutto conoscono: il soggetto
umano riflette sull’oggetto della conoscenza ed
è da quest’ultimo modificato (cambia idea,
acquisisce nuove prospettive etc.). A tale atto
corrispondono le SCIENZE TEORETICHE, che
conoscono oggetti che non dipendono dall’uomo
e che si dividono in fisica (studio della realtà
naturale), matematica (studio della struttura
numerico/geometrica della realtà sensibile),
metafisica (filosofia prima o studio dei principi e
delle cause dell’essere).
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…Scienze poietiche…
• L’uomo produce con un fare (poiein) che
modifica l’oggetto. Le SCIENZE POIETICHE
ricercano appunto quel sapere utilizzabile in
vista del fare, cioè della produzioni di oggetti
belli (tipici delle arti che producono oggetti
fini a se stessi) o utili (costruiti dalle tecniche
cui si devono oggetti che a loro volta servono
a qualcos’altro), la cui esistenza dunque
dipende dall’uomo.
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9
…le scienze pratiche
• L’uomo agisce cioè mantiene un
comportamento nei confronti di altri
soggetti uomini, costruendo una relazione
reciproca con loro. Le SCIENZE
PRATICHE ricercano il sapere come
guida per l’azione, perché si possa
comprendere che cosa è giusto e ingiusto
fare agli altri uomini. Esse comprendono
l’etica e la politica.
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La logica
• La logica infine studia la struttura
del ragionare, cioè le condizioni
che si devono dare affinché un
ragionamento e/o un discorso sia
corretta e valido. Essa pertanto è
strumento (òrganon) di tutte le
scienze.
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La filosofia prima
• Abbiamo già detto che la metafisica o filosofia prima è
scienza dei principi o delle cause della realtà nel suo
complesso. Essa si occupa quindi dell’essere in quanto
essere (cioè di tutto ciò che è), o anche della sostanza della
realtà, ciò che “sta sotto” e che rappresenta l’essenza, che fa
essere, la realtà, costituendo il carattere comune di tutto ciò
che è. Ma questa sostanza, al suo livello più alto, è Dio
stesso, la sostanza sovrasensibile più pura e piena, che
determina il mondo in tutte le sua qualità specifiche.
• Dunque riassumendo la metafisica tratta:
1) delle cause o principi della realtà,
2) dell’essere in quanto essere,
3) della sostanza,
4) di Dio o della sostanza sovrasensibile.
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La scienza universale
• Se la fisica tratta dell’essere come movimento
(tutte le cose naturali sono in divenire); se la
biologia (chiamandola con il suo nome moderno)
tratta dell’essere come essere vivente; se la
matematica tratta dell’essere come numero e
quantità,
• LA BASE FONDATIVA di queste come di tutte le
altre scienze particolari, non può essere che la
scienza più UNIVERSALE, cioè appunto la
metafisica che tratta dell’essere in quanto
essere.
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Che cos’è l’essere?
• A questa domanda Aristotele comincia a
rispondere dicendo che l’essere si dice in molti
modi, cioè la parola essere possiede molti
significati tutti legittimi.
• Per illustrare questa affermazione proviamo a
pensare in quanti tipi diversi di frase si inserisce
il termine “è”:
se io dico “il prato è verde”, la parola “è” significa
“possiede una data qualità”, se io dico “Dio è”,
“è” significa “esiste”, se io chiedo “Dove è Tizio?”
“è” indica il luogo in cui si trova, etc.
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I molteplici significati dell’essere
• Gli esempi fatti prima stanno a dimostrare qualcosa
di cui Aristotele si rende benissimo conto. Con il suo
spirito sistematico, egli ritiene che, per rispondere
alla domanda su che cosa sia l’essere, sia
necessario stabilire anzitutto i significati del termine
e comprendere che questa molteplicità è data dal
fatto che originariamente l’essere naturale è
molteplice: questo è un dato originario della nostra
esperienza, che ha sempre a che fare con diversi
esseri, con diversi modi di essere delle cose, e
quindi anche con corrispondenti diversi significati
della parola essere.
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L’essere come accidente
• L’essere come accidente è il più debole significato di
essere, poiché indica qualcosa che a qualche oggetto
accade di essere, ma che non stabilisce che cosa
veramente ed essenzialmente quell’oggetto sia.
• Per esempio se io dico che sono un musico, dico che mi
accade di saper suonare e talvolta di suonare anche
bene, ma con ciò non è determinato in modo essenziale
chi io sia. Infatti io non sono sempre un musico – io
mangio, bevo, dormo, corro, lavoro etc. – e musico
dunque ha per me il carattere di una qualità
accidentale, cioè vera, ma marginale, che può esserci
o non esserci, e che, essendoci o non essendoci, poco
cambia del mio essere profondo.
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L’essere come vero (o falso)
• E’ la determinazione logica dell’essere, cioè la
proprietà che hanno le cose di stare in un certo
modo, piuttosto che in un altro, una proprietà che
viene colta dal discorso (logos) e dal
pensiero(logos).
Infatti il discorso
• quando afferma qualcosa deve unire soggetto e
predicato in modo che gli elementi indicati siano
uniti anche nella realtà,
• quando nega deve scindere soggetto e predicato
in modo che essi siano scissi anche nella realtà.
Se accade così il discorso è vero.
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L’essere come vero (o falso):
esempio
Quando io unisco il soggetto prato con il predicato verde e
dico: “Il prato è verde”, se verde e prato sono uniti anche
nella realtà, il discorso è vero, e accade lo stesso per le
negazioni.
Quando viceversa il prato è giallo e io dico: “Il prato è
verde”, unisco elementi che nella realtà non sono uniti e
quindi il discorso è falso. Lo stesso accade quando dico:
“Il prato non è verde” e invece nella realtà il prato è
verde (cioè prato e verde non sono scissi bensì uniti).
È evidente che non ci sarebbe nessuna verità o falsità
senza un pensiero che pensasse e un discorso che
dicesse le cose. Si capisce allora perché, dice
Aristotele, l’essere come vero e falso “è un’affezione del
pensiero” e si applica a ciò che il pensiero pensa e dice.
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L’essere come potenza e atto
• Se io ho gli occhi chiusi, ci vedo lo stesso, anche
se adesso non sto vedendo. Se un oggetto ha la
capacità di essere, fare, agire, si dice che il suo
essere è in potenza (da “potere”, l’oggetto “può”
essere così e così), se invece tale capacità è
realizzata – cioè stando all’esempio io ho gli
occhi aperti, posso vedere e sto anche vedendo
- allora si dice che l’essere di tale oggetto è in
atto. Allo stesso modo un uomo bambino è un
uomo adulto in potenza (può diventare adulto in
atto), un seme è un albero in potenza, l’Inter è in
potenza campione d’Italia.
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Le categorie
• Ma i significati più importanti che riguardano
l’essere sono inclusi nelle categorie, che
Aristotele indica come i “generi supremi” o le
“originarie
divisioni
dell’essere”,
che
corrispondono, nel discorso alle classi in cui
rientrano tutti i termini possibili.
In definitiva le categorie ci restituiscono sotto il
profilo ONTOLOGICO i caratteri fondamentali
di tutto ciò che è, mentre dal punto di vista
LOGICO i concetti primari in cui tutti gli altri
termini, parole, concetti possono essere
racchiusi.
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Le categorie sono dieci
• Le categorie sono dieci e sono le seguenti
Sostanza ci dice che cos’è un dato oggetto
Qualità vi attribuisce una qualità (bello, brutto, simpatico…)
Quantità ce lo descrive misurandolo quantitativamente
Relazione ci dice con quali oggetti è in rapporto
Azione ci dice che cosa fa
Passione ci dice che cosa subisce da parte di un altro
Dove o luogo ci dice in che spazio è collocato
Quando o tempo ci dice in che tempo è collocato
Avere ci dice un suo possesso
Giacere ci dice in quale condizione si trova
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Esempio di uso delle categorie
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Sostanza – Tizio è un uomo
Qualità – di bell’aspetto e simpatico
Quantità – è alto 1.80 e pesa 78 chili
Relazione – è vicino a Caio
Azione – sta leggendo
Passione – una corrente d’aria lo rinfresca
Dove – nella sua stanza
Quando – oggi
Avere – porta gli occhiali
Giacere – è seduto
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Tutto ciò che è e si può dire
• Tutto ciò che è, ogni cosa, oggetto, situazione
rientra in una categoria generale (o riguarda il
“che cosa” di un oggetto, o un suo stato
qualsiasi, una qualità, una misura, un tempo, un
luogo etc.), cioè in una delle divisioni generali
che si usano per raggruppare ciò che l’essere è
(aspetto ontologico delle categorie).
• Questa classificazione è in parallelo con il
discorso, ogni discorso ci parla infatti di
qualcosa secondo le dieci categorie, che sono i
significati più generali delle parole e dei discorsi
(aspetto logico delle categorie).
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Logica e ontologia nelle categorie
Riportiamo qui un esempio di C. Esposito sul rapporto tra
ontologia e logica nelle categorie:
“Classificando i predicati possibili (cioè tutto quanto può
essere detto di qualche oggetto, n.d.r.), noi
classifichiamo anche le cose e gli stati di cose che
corrispondono a tali predicati. Se diciamo:’Socrate è in
piazza’, attribuendo a Socrate un predicato che rientra
nella categoria ‘dove’, in realtà noi esprimiamo uno stato
di fatto (il fatto che Socrate realmente sia in un dato
luogo, n.d.r.) e intendiamo anche che la piazza è
qualcosa, e cioè appunto un luogo” (C. Esposito, P.
Porro, Filosofia, vol. 1, Laterza, Roma-Bari, 2008, p.99).
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La sostanza: la categoria più
importante
TRA TUTTE LE CATEGORIE è primaria la sostanza.
Il termine sostanza nella sua derivazione latina substantia è la traduzione della parola
greca hypostasis = ciò che sta sotto.
Ma noi traduciamo con il medesimo termine sostanza anche e soprattutto la parola
greca ousìa, forma sostantivata del participio presente del verbo essere
(letteralmente essenza).
La sostanza è dunque
1) quella profonda realtà di una cosa che ne determina l’identità,
2) in altri termini ciò che rimane invariato al variare delle condizioni passeggere
(accidenti),
3) ossia il nucleo permanente e incrollabile dell’oggetto senza il quale un ente non è
più quello che è,
4) ciò che in un ente qualsiasi è la sua caratteristica fondativa, trovata la quale sempre
si trova l’ente stesso.
Le altre categorie ci ragguagliano invece su aspetti esteriori e contingenti, che
essendoci o non essendoci non mutano l’essere profondo e definitivo dell’ente di cui
stiamo parlando.
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25
La domanda sull’essere
• Quando dobbiamo rispondere alla domanda
sull’essere,
dobbiamo
sempre
riferirci
alla
SOSTANZA, che ci restituisce il nucleo profondo
dell’essere di un oggetto. Tutto le altre categorie
hanno un carattere accidentale (sono accidenti
esteriori, più o meno passeggeri).
• Il termine essere non è dunque un termine UNIVOCO,
cioè non significa una sola cosa (ma le dieci
categorie), né EQUIVOCO, cioè non significa cose
completamente diverse, perché tutte le dieci
categorie ineriscono, cioè si riferiscono, alla
sostanza, che è come il perno attorno a cui tutto ruota.
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I criteri per individuare una sostanza: essere
centro di predicazione e mai predicato (1)
• Ciò che caratterizza la sostanza è il fatto che essa
determina l’essere profondo di una cosa. Se io dico
che uomo è la sostanza di Tizio, dico che lo definisce in
modo che Tizio viene identificato profondamente
dall’essere un uomo. Ma affinché avvenga così
• l’essere uomo deve essere il perno, il centro di ogni altra
qualità di Tizio, a sua volta quindi non deve essere una
qualità. Insomma dicendo tizio è uomo significa che il
termine Tizio e uomo sono identici – l’essere di Tizio è
l’essere uomo – in modo che tutto ciò che io dico di Tizio
nelle altre possibili determinazioni corrispondenti alle
altre 9 categorie, lo dico dell’UOMO Tizio. Dunque la
sostanza deve essere centro di predicazione, e mai
predicato.
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I criteri per individuare una sostanza: lo
stare per sé (2)
• La sostanza non può dipendere da altro: deve
potere stare per sé e separatamente dal resto.
Non si deve confondere con altro, perché è ciò
che ha un essere preciso e determinato.
Essendo centro di predicazione, non dipende da
altri elementi.
Per esempio:
• se io dico bello, lo dico sempre di qualcosa.
Questo qualcosa è la sostanza che, potendo
essere bella, brutta, buona etc., non dipende da
questi attributi. Al contrario questi attributi
dipendono dalla sostanza.
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I criteri per individuare una sostanza: essere
un qualcosa, di unitario (3)
• Come già detto, senza determinazione, non vi è
sostanza. Essere non è mai essere in generale,
ma essere qualche cosa.
• Affinché noi possiamo identificare qualche cosa
in mezzo ad altre cose, questo qualche cosa
non può essere sparso, disunito, confuso con il
resto, ma deve avere una certa omogeneità e
poter essere contraddistinto come un elemento
che ha unità in mezzo ad altre unità. Per essere
UN qualche cosa, la sostanza deve avere una
unità; se ha parti, tali parti devono essere
organizzate secondo un unico principio.
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Per esempio
• Un uomo non è un cervello, un fegato e due polmoni
sbattuti là. Non potrei distinguere un uomo se, ancor
prima che i suoi organi, le sue parti minime, i suoi atomi,
fossero diffusi nel vuoto e confusi con atomi di altri corpi.
• Al contrario,
se le parti di un uomo sono organizzate secondo un
principio unificatore e stanno assieme in una certa
UNITÁ;
se i suoi organi si unificano secondo una certa
organizzazione che li rende partecipi di una sola totalità
unitaria,
allora io distinguo quell’ente come uomo e posso dire
che la sua sostanza sia quella di essere un uomo.
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Sostanza è qualcosa in atto (4)
Ci deve essere qualcosa di realizzato nella sostanza. Se
tutto fosse allo stato di potenzialità, ossia di germe non
ancora sviluppato, non si potrebbe dire che cosa
effettivamente sia la cosa di cui si parla. Anche un uomo
bambino che è un uomo adulto in potenza, per essere
sostanza deve avere delle capacità realizzate: vede,
sente, parla, cammina etc., tutte capacità che egli possiede
in atto, e che ci fanno capire che anche egli è una
sostanza. Egli è propriamente quella sostanza tale per cui
lo distinguiamo come un uomo bambino, che è già uomo
seppure non tutti i caratteri dell’umanità sono in lui
pienamente sviluppati.
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31
Ma allora che cos’è la sostanza?
• Dati questi criteri, ci si domanda allora che cosa sia
effettivamente e definitivamente la sostanza.
• Prendiamo un ente qualsiasi (di carattere sensibile, per il
momento):
Questo ente avrà un aspetto materiale, sarà fatto di qualche
cosa, avrà cioè un sostrato, una base materiale di
appoggio (una penna è fatta di plastica, una torta di farina,
uova, latte, lievito, un libro di carta).
Ma questo medesimo ente ha anche una forma. Con ciò non
si intende l’aspetto esteriore, la forma fisica (l’esser
cilindrico per la penna, il parallelepipedo per il libro), NO,
non è questo. Forma in senso aristotelico è quella
caratteristica fondamentale che distingue un oggetto
da un altro, lo fa essere quello che è, ne realizza ogni
capacità e potenzialità.
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32
La sostanza è materia e forma
•
La forma è ciò che in Platone era l’idea. Tuttavia Aristotele non pone
l’idea separata dalla materia, come aveva fatto Platone, dovendo
ricorrere al mito del Demiurgo nel Timeo, per superare le difficoltà
relative al rapporto idee-cose (cfr. il terzo uomo). Per Aristotele la forma
è ciò che determina la materia (la chora platonica) in modo da
ritagliare, dentro la materia indeterminata, un ente che è quello e
nessun altro. La forma
- si aggiunge quindi alla materia;
- si imprime in essa come uno stampo che organizza le sua parti;
- si manifesta come l’elemento determinante e specificante, ciò che offre
un’identità precisa all’essere vago e, appunto, informe della materia.
• Dunque sostanza è la materia di cui è fatto qualcosa ma sostanza è
anche forma, anzi lo è in modo più profondo, perché l’essere di una
cosa è dato in modo caratteristico dalla forma.
• Infatti la materia soddisfa solo il primo dei criteri sopra indicati (essere
centro di predicazione) mentre la forma tutti e quattro.
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33
La sostanza è sinolo
• Ma avere la forma senza la materia è come avere uno
stampino senza la base su cui stampare, o avere una
formina senza la sabbia bagnata (questo almeno vale
per le sostanze che incontriamo normalmente nella
realtà sensibile).
• L’ente che noi vediamo è sempre una forma unita alla
sua materia, cioè è un sinolo (syn+olos= con+tutto=un
tutto assieme). Sostanza è dunque anche il sinolo, o
l’ente individuale e concreto che ci sta davanti. Il sinolo
soddisfa tutti i criteri meno l’ultimo: esso infatti non è mai
completamente in atto, contenendo la materia che è
sempre connessa a potenzialità.
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34
Sostanza prima e seconda
• Aristotele, ponendosi in una prospettiva empirica (come
accade nelle Categorie, libro V), chiama sostanza prima
il sinolo, poiché è l’ente che – empiricamente ossia nella
nostra esperienza - noi incontriamo per primo e
immediatamente, mentre la forma sarebbe sostanza
seconda, cioè quell’elemento che successivamente
scopriamo essere alla base di quell’essere che abbiamo
incontrato, nel senso che ne costituisce l’essenza
profonda. Dal punto di vista ontologico evidentemente la
sostanza seconda, cioè la forma, è la sostanza per
eccellenza, perché determina, più di tutto il resto,
l’identità vera e reale di ciò che abbiamo di fronte …
essa infatti definisce ogni cosa, ce ne restituisce il che
cos’è più appropriato.
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35
L’essere come accidente (e il
proprio)
•
Dopo aver visto che l’essere è la sostanza e che la sostanza è
eminentemente la forma, possiamo riprendere gli altri modi di essere
dell’essere, dando loro la giusta collocazione. L’accidente corrisponde
ad una qualità accessoria della sostanza, cioè ad una sua
determinazione contingente (che può esservi o non esservi, cioè la cui
presenza è casuale). All’accidente si può aggiungere, come carattere
della sostanza il “proprio”. Il proprio non rientra nella definizione
sostanziale di un oggetto, per esempio se definizione sostanziale di
uomo è “animale razionale”, il proprio è la capacità di ridere.
Quest’ultima è una caratteristica necessaria dell’uomo e solo di lui, e
dipende dall’essere della sostanza in modo non casuale, tuttavia non la
individua in modo esaustivo. Se una persona non ride mai, si potrà dire
dire che ad un uomo manca qualcosa che ci dovrebbe essere, ma tale
mancanza non fa venir meno l’essenza dell’uomo. Può essere
chiamato proprio qualcosa di ancor più necessario, come il fatto che la
somma degli angoli interni di un triangolo è 180°. Ma anche qui è
importante l’idea che tale carattere necessario, non costituisce la
primaria definizione dell’oggetto (che per il triangolo sarebbe “figura
geometrica con tre lati”).
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36
L’atto e la potenza o il divenire
dell’essere
• Gli esseri con cui abbiamo a che fare sono esseri in divenire.
Ora, come possiamo pensare il divenire a partire dall’essere
sostanziale, così come lo abbiamo definito?
• Ebbene il divenire, secondo Aristotele non è passaggio
dall’essere al nulla, ma divenire dell’essere stesso. Come diviene
ciò che è senza contraddire il fatto stesso che è? Diviene, questa
è la risposta di Aristotele, passando dalla potenza all’atto.
• La potenza (dýnamis) è ciò che caratterizza primariamente la
MATERIA. Infatti la materia è quel sostrato indeterminato (
hypokèimenon = substratum = strato sottostante) degli enti
sensibili, che a loro volta si determinano prendendo una forma
particolare che li distingue da tutto il resto.
• Dunque la materia è per eccellenza CAPACITÁ di prendere
una forma, cioè di assumere una qualsiasi determinazione, e
quindi è POTENZA.
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37
L’atto
• L’atto (enérgheia) è la capacità realizzata.
Compimento e perfezione della materia (per
esempio l’adulto è l’atto del bambino). Esso è
dato dalla forma, che in ogni essere porta
all’atto, cioè realizza le potenzialità dell’essere
stesso.
• Ogni essere è dunque entelécheia (ev télos
échon = ciò che ha in sé il proprio fine), nel
senso che avendo una forma da realizzare, ha
dentro di sé il principio del proprio sviluppo e del
passaggio ad uno stato diverso, più maturo, più
pieno e completo di essere.
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38
Il primato dell’atto sulla potenza
• Benché noi vediamo sempre, nel divenire delle cose, gli esseri
passare dalla potenza all’atto, e dunque quoad nos (per quanto ci
riguarda) viene prima la potenza dell’atto, in sé l’atto ha una sua
priorità assoluta sulla potenza. Infatti
• Dal punto di vista gnoseologico, noi non potremmo sapere e
conoscere che una cosa è in potenza se non sapessimo come
dovrebbe essere in atto. Io devo sapere che cosa è un albero per
sapere che il seme che ho in mano è un seme.
• Anche dal punto di vista cronologico, l’atto è anteriore alla
potenza, non però guardando all’individuo, ma alla specie. E’ grazie
alla mia appartenenza alla specie uomo che io nasco e mi sviluppo
come uomo.
• Dal punto di vista ontologico: l’essere è essere in atto, l’«è» di
ogni cosa è la cosa così come si è realizzata, l’essere in potenza in
realtà è un essere mancante. Quindi “ciò che nell’ordine della
generazione è ultimo, nell’ordine della forma o sostanza è primo”.
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39
La voglia di sapere
• Viste in tutte le sue specificità, le caratteristiche
dell’essere, possiamo ora capire la dottrina
aristotelica delle cause, che lo Stagirita esamina
all’inizio della sua Metafisica.
• In effetti noi abbiamo sviluppato la domanda
fondamentale sull’essere mossi dalla volontà di
sapere di più sul mondo, e tale volontà origina
da una meraviglia, da uno stupore per tutto
quanto esiste, che ci riempie di ammirazione e
al tempo stesso ci fa sentire la nostra condizione
di ignoranza.
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40
Le quattro cause
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Ora la nostra voglia di sapere ci fa domandare il perché di ogni cosa, ossia ci fa
ricercare il principio e la condizione che fa essere un dato fenomeno, in una
parola la sua CAUSA.
• Tale causa è di quattro tipi:
• La causa materiale: ciò di cui è fatto un ente = la materia, il sostrato materiale;
• La causa formale: ciò che contraddistingue profondamente il suo essere, la
sua forma o essenza;
• La causa finale: lo scopo per cui una cosa è fatta = il suo atto, ogni cosa tende
a realizzare appieno il suo essere;
• La causa efficiente, ciò da cui origina quella cosa, la sua causa motrice = un
altro essere in atto che la muove
In definitiva, come si può vedere, materia e forma coprono lo spettro di tutte queste
cause, infatti
La materia è il sostrato senza il quale non vi sarebbero gli enti.
La forma in quanto tale contraddistingue l’essenza di ogni cosa; la forma è però
anche ciò verso cui ogni cosa tende, quindi l’atto come scopo del divenire di
ogni cosa (causa finale), e infine un ente in atto è anche ciò che muove ogni
cosa a divenire, quindi la sua causa efficiente.
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Ogni cosa ha le sua cause:
bisogna trovare le cause prime
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Ogni cosa ha quattro generi di cause: ha una materia di cui è fatta, una forma
che ne contraddistingue l’identità di specie, ha un fine al quale tende – che
consiste nella realizzazione più completa possibile della sua forma – ha una
causa motrice o efficiente che l’ha generata così com’è.
Quando domando la causa di qualcosa potrei sempre continuare a chiedere
“perché”, come fanno i bambini, e andare all’infinito. Ma se ci fossero per ogni
oggetto cause infinite non ci sarebbero cause, perché la causa vera e
propria (quella che sta all’inizio) non sarebbe più individuabile. Quindi la
serie di cause è finita e comincia con una causa prima.
Nel caso della materia essa è appunto la materia come sostrato di tutto ciò che
è e che prende via via caratteri diversi nei diversi elementi, nei non viventi, nei
viventi e nell’uomo.
Per quanto riguarda la forma, la causa prima, cioè quella che produce l’essere
della cosa è quella più prossima, che determina la specie della cosa,
differenziandola da tutte le altre specie. Infatti oltre la forma della cosa è
impossibile risalire.
La causa prima finale coincide con quella formale cioè la realizzazione piena
della propria forma, che per i non viventi riguarda anche la loro collocazione in
un luogo naturale (cosa che vedremo analizzando la Fisica) e per i viventi
comprende anche la riproduzione di un individuo simile.
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La causa prima motrice o efficiente
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Se il mutamento è “l’atto di ciò che è in potenza in quanto è in potenza”
e se ha luogo sempre a partire da qualcosa che è già in atto,
per esempio: un corpo diviene caldo per opera di ciò che è già caldo; un
uomo si genera a partire da un essere adulto; un corpo muta il suo
luogo a partire da un altro corpo in atto che lo pone in un luogo diverso
da quello naturale;
se ciò è vero, tutto ciò che è mosso è mosso da altro, in una catena di
cui si deve trovare il primo anello. Questo deve essere in atto e non
deve muoversi a sua volta, perché altrimenti bisognerebbe risalire
ancora più indietro.
Per non muoversi, la causa prima, deve essere completamente in atto e
proprio per questo non deve essere materiale, perché la materia è
principio di potenzialità.
La causa prima del movimento deve essere dunque una causa immobile e
immateriale, quindi non sensibile. Si attua qui il passaggio da un ricerca
su oggetti fisici ad una sulle sostanze soprasensibili.
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Per esempio
• “L’uomo ha come causa motrice suo padre, la vita e la
capacità generatrice di suo padre dipendono
dall’alimentazione, la quale dipende a sua volta dalla
disponibilità di cibo, quindi dal ciclo biologico delle piante
e degli animali; questo poi dipende dall’alternarsi delle
stagioni, che a sua volta dipende, secondo Aristotele, dal
movimento del sole lungo un’orbita inclinata rispetto
all’equatore […]; ma il movimento del sole dipende da
un’altra causa ancora” (E. Berti, Profilo di Aristotele,
Studium, Roma, 1979, pp. 164-165). Il movimento del
sole, che è eterno e circolare (come quello di tutti gli
astri), ha bisogno di una causa è questa deve essere
immobile.
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Come muovono le sostanze
immobili
• Il sole e tutti gli astri sono mossi da sostanze
immobili che muovono senza muoversi esse
stesse. Come è possibile che un motore
muova senza muoversi? Ciò può accadere
solo se esso muove come oggetto di
desiderio, un desiderio razionale che si rivolge
a ciò che è massimamente perfetto. La massima
perfezione muove perché tutto il resto si muove
verso di lei, vuole imitarla e rendersi a lei simile.
Ci si muove in quanto ci si rivolge a ciò che,
essendo perfetto, attira e porta a sé.
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Il sistema mobile della natura
• Tutti gli enti naturali sono in movimento. Il loro essere
non è stabile. Qual è la causa di questo movimento? Il
passaggio dalla potenza all’atto, determinato da un
qualche essere in atto che genera o muove un essere in
potenza. Ciò forma una catena tra gli enti, nella quale un
ente in atto fa sì che altri enti tendano al loro atto. In più
in natura c’è un movimento costante ed eterno, ed è il
movimento dei cieli e dei pianeti, che governa la vita
sulla terra e permette al mondo di esistere così come è,
alternando le stagioni e presiedendo a tutto ciò che vive
ed esiste. Ancora una volta: che cosa causa questo
movimento?
Le sostanze immobili ai quali il moto dei pianeti si rivolge
come alla loro causa.
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Le sostanze immobili, la loro
gerarchia e Dio
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Per Aristotele la vita sulla terra è regolata dal moto del sole e degli astri, il quale
produce l’alternarsi delle stagioni e il succedersi dei fenomeni fisici naturali. Ma tra gli
astri vi è una gerarchia:
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I moti dipendono dal PRIMO
MOTORE
La cosiddette stelle fisse sono gli astri più importanti e sono incastonate
nella sfera più ampia (che comprende tutte le altre), una sfera che,
muovendosi come tutte le altre di moto circolare ed eterno, determina
l’eterno alternarsi del giorno e della notte. Gli altri astri sono costituiti
dai sette pianeti, dal Sole e dalla Luna. Tutti i pianeti si muovono di un
moto continuo ma non del tutto regolare attorno alla Terra. Ciascun
pianeta è infatti incastonato in più sfere e il loro moto visibile è dato
dalla somma dei movimenti delle sfere in cui sono incastonati. Ogni
sfera è mossa da un motore immobile-sostanza sovrasensibile.
Tuttavia, dice Aristotele, malgrado il Primo Motore muova direttamente
solo il cielo più importante, il movimento di quest’ultimo è collegato a
quello di tutti gli altri in modo che le altre sfere, mosse dai loro motori,
non potrebbero esservi se non vi fosse il Primo Motore e il movimento
del primo cielo (Aristotele non procede oltre nella spiegazione).
Quindi il politeismo dello Stagirita – cioè la sua idea che vi siano molteplici
motori immobili, che contribuiscono al movimento dei diversi astri –
tende verso l’unità dell’unico Dio corrispondente al Primo Motore del
primo cielo, che è propriamente il Dio aristotelico.
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Il compimento metafisico della
fisica aristotelica
• La catena degli enti trova all’inizio la pura
potenzialità materiale e alla fine il puro atto. L’atto
puro è l’origine di tutti i movimenti, è l’essere
perfetto che attrae a sé ogni essere che tendendo
alla perfezione a lui tende e per questo diviene.
Esso è primario rispetto alla pura potenzialità infatti
senza di lui non vi sarebbe il mondo ma solo un
magma indistinto (e come tale impensabile).
Dunque esso è il vero fondamento non sensibile
(cioè non più fisico, bensì al di là del fisico, ovvero
metafisico) del mondo. Come si caratterizza questo
atto puro?
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Il compimento teologico della
metafisica aristotelica
• L’atto puro è primo motore di tutto il divenire della
natura, perché essendo la realizzazione perfetta di
tutto ciò che è, è il centro a cui tende tutto ciò che
punta alla perfezione, ossia tutto ciò che è in natura.
Tale motore muove tutto essendo però egli stesso
immobile, poiché è pienamente realizzato e non ha
bisogno di divenire alcunché. Tale motore immobile
o atto puro è scevro di materia: non avendo in sé
alcuna potenzialità, non possiede nemmeno il principio
di ogni potenzialità ossia la materia. Esso quale
fondamento ultimo di tutta la realtà, perfezione ultima
e piena di tutti gli enti è il Dio aristotelico (Theòs).
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Il Dio di Aristotele
• Questo Dio motore di tutto, realizzazione di tutto ciò che è
realizzabile, immobile nella sua perfezione, è totalmente
spirituale e immateriale. Esso ha il carattere dell’eternità
(perché ciò che produce il movimento eterno dei cieli deve,
come sua causa, essere egualmente eterno), così come
eterno è il mondo che lo ama e a lui tende (infatti se ci
fosse stato un caos prima del mondo ordinato, la potenza
sarebbe anteriore all’atto, il che è impossibile). Inoltre deve
essere impassibile e inalterabile, come qualità che
discendono direttamente dalla sua perfezione. E siccome la
perfezione di Dio è spirituale, egli è pensiero, pura
razionalità ordinatrice senza alcun elemento di caos che lo
inquini. Ma questo pensiero a che cosa penserà? Penserà
all’oggetto più perfetto possibile, cioè a se stesso. L’atto
puro è dunque pensiero di pensiero.
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Un Dio che non ama
• Al Dio di Aristotele, che pure è vita la massimo grado e
intelligenza al massimo grado, manca l’amore e il darsi
pensiero degli altri. La vita di Dio è rinchiusa dentro la
sua perfezione, egli pensa se stesso e vive per se
stesso. Rispetto al Dio cristiano la sua personalità è in
qualche modo “mancante”, il Dio aristotelico è il Perfetto
e manca di quella sovrabbondanza, che precisamente
ha nome di “amore”, senza la quale gli è vietato dalla
sua stessa suprema razionalità, di chinarsi verso il
mondo e di preoccuparsi per il mondo. Egli è solo ed
esclusivamente oggetto di amore, un oggetto muto che
non risponde all’amore che l’universo intero prova per
lui.
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Aristotele - "Maestro di color che sanno"