Retina Suisse
Giornale – Journal
3-4/2005 Esce quattro volte l’anno
L’associazione d’aiuto reciproco di persone con retinite pigmentosa (RP), degenerazione maculare, sindrome di Usher e altre
malattie degenerative della retina
Impressum
Redazione:
Christina Fasser e Renata Martinoni
Retina Suisse, Ausstellungsstrasse 36, 8005 Zurigo
Tel. 044/444 10 77, fax 044/444 10 70
E-mail [email protected], www.retina.ch
Testo italiano:
Renata Martinoni
Impaginazione e stampa:
KSD Kohler, 8033 Zurigo
Giornale parlato:
Unitas, 6850 Mendrisio
Abbonamento annuo:
è compreso nella tassa sociale
Il Giornale esce:
in italiano, francese e tedesco,
in versione scritta e parlata
Conto postale:
CP 80-1620-2
Siamo grati per ogni offerta!
No. 97–98, dicembre 2005
Sommario
Editoriale
(Ch. Fasser, R. Martinoni) .............................
3
Nuovi volti nel comitato di Retina
Suisse
(C. Moret) ......................................................
5
Ricerca
Identificazione e caratterizzazione del
«Rod-derived Cone Viability Factor»
(T. Léveillard, J.-A. Sahel) .............................
7
Degenerazioni retiniche: i metodi d’esame
oftalmologico (U. Kellner) ...........................
10
Promozione della ricerca
RP e altre degenerazioni retiniche nella
«patria» dei canguri
(M. Georg, R. Wright) ..................................
34
Vivere con ...
Poter leggere e scrivere per conto proprio
(S. Hüsler) ......................................................
Giornale Retina Suisse 3–4/2005
40
Bastone bianco e autostima
(H. Herrmann) ...............................................
42
Un aiuto per cambiare treno
(T. Flossdorf) .................................................
52
La pagina dei giovani
Incontro del gruppo giovani di Retina
Europa a Stoccolma (R. Hotz) ......................
55
Consigli e informazioni
Opuscolo sulla formazione di fisioterapisti
ciechi (J. Camenzind) ....................................
60
Servizio di consulenza FSC di Lucerna:
nuovo nome e indirizzo ...............................
63
A proposito...
La persona «dotata» di cecità
(B. Kebelmann) .............................................
63
Le date da ricordare ...............................
65
Allegato
Nuovo pieghevole di Retina Suisse:
«Quando la vista man mano se ne va:
consigli e mezzi ausiliari»
2
Giornale Retina Suisse 3–4/2005
Editoriale
Care lettrici, cari lettori
Un altro anno è giunto alla fine. Ora è tempo di
riflettere e di «inventarci» nuove azioni e attività. Dietro di noi sta un anno di consolidamento,
un anno di grande impegno per i gruppi di colloquio. Nella Svizzera tedesca i gruppi dedicati alla
degenerazione maculare correlata all'età svolgono una vivace attività. Nella Svizzera francese
la formazione delle persone chiamate a guidare i
gruppi AMD è conclusa ed ora tocca alle donne e
agli uomini interessati rispondere al nostro invito
e partecipare agli incontri previsti a Sion, Losanna e Bienne. E nella Svizzera italiana? I tempi
dovrebbero maturare anche lì... se son rose fioriranno.
Nel 2006 saranno disponibili sul mercato alcuni
nuovi farmaci per la cura della forma umida della
degenerazione maculare correlata all'età. Le relative sperimentazioni cliniche giustificano la speranza che per la prima volta si tratti anche di farmaci capaci di portare miglioramenti della vista
perlomeno in certi casi specifici. Anche per le persone con RP una speranza concreta si profila all’orizzonte, i primi tentativi di fase 1 con fattori
di crescita hanno registrato grande successo. La
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ricerca in questione era dedicata in prima linea
alla fattibilità e alla sicurezza della terapia, ma le
misurazioni effettuate su sei probandi indicarono
pure un miglioramento tangibile della vista. I
risultati di queste recenti ricerche sono promettenti e ci permettono di guardare con fiducia al
futuro prossimo.
Finché le belle promesse saranno realtà noi e le
nostre famiglie dobbiamo convivere con l’handicap visivo e dobbiamo gestire al meglio la vita di
tutti i giorni. Ai temi della quotidianità con una
menomazione visiva è perciò dedicato questo numero del giornale, che speriamo sappia darvi stimolo e incoraggiamento. Allegato al giornale si
trova il nostro nuovo pieghevole, pure dedicato
a questi temi.
Auguriamo a voi e alle vostre famiglie un anno di
felicità, buona salute e disponibilità a prendere la
vita dai suoi lati più piacevoli!
Christina Fasser e Renata Martinoni
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Nuovi volti nel comitato di
Retina Suisse: Céline Moret
Mi chiamo Céline Moret, ho 24 anni e per il momento vivo a Ginevra. Cieca dalla nascita a causa
di un’amaurosi congenita di Leber, ho frequentato la scuola pubblica a La Chaux-de-Fonds, mia
città natale, e per qualche tempo anche la scuola
speciale dell’istituto dei ciechi a Losanna. Dopo
aver conseguito la maturità economica decisi di
studiare biologia, la materia che sempre avevo
sognato. Per una persona cieca si tratta di certo
di una disciplina inusuale, ma nel contempo affascinantissima. Grazie a un grosso impegno e a
mezzi ausiliari informatici adeguati riuscii a conseguire nell’autunno del 2004 la licenza in biologia. Attualmente sto studiando in vista di un
Master in genetica delle popolazioni.
Da quattro anni sono membro di Retina Suisse.
Se mi candidai per il comitato è perché vorrei
contribuire maggiormente alle attività della
nostra organizzazione, che mi stanno molto a
cuore. Un aspetto per me essenziale è la diffusione di informazioni scientifiche all’indirizzo sia
dei membri che del pubblico in generale. Come
persona colpita da una degenerazione retinica so
benissimo quanto sia importante conoscere la
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diagnosi esatta, alfine di poter inquadrare i sintomi ed essere in chiaro sul rischio di trasmissione della malattia ai propri figli. Poiché la ricerca scientifica fa enormi progressi, anche la sua
promozione è di grande importanza. Altrettanto
importante è però l’informazione continua e aggiornata ai pazienti nell’ambito delle novità della
ricerca e in merito a approcci terapeutici ragionevoli e promettenti. Spero di poter fare la mia parte affinché ogni membro e ogni persona interessata possa ricevere le informazioni di cui ha bisogno.
E per finire mi rallegro di contribuire all’organizzazione di incontri e di giornate di studio. In
Retina Suisse esse sono sempre ottime occasioni
per annodare dei contatti e scambiare esperienze. Mi rallegro di incontrare i molti membri che
non ho ancora incontrato di persona!
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Identificazione e caratterizzazione del «Rod-derived Cone
Viability Factor»: un approccio
terapeutico per la RP
•
Prof. Thierry Léveillard, Prof. José-Alain Sahel,
Laboratoire de Physiopathologie Cellulaire et
Moléculaire et de la Rétine, Inserm U592, Université Pierre et Marie Curie, Hôpital St-Antoine,
184 rue du Faubourg St-Antoine, 75571, Paris
cedex 12, France
In Francia, le persone affette da retinite pigmentosa sono tra 30 e 40mila. Il termine di retinite
pigmentosa non indica una sola malattia della
retina bensì abbraccia un vasto e variegatissimo
gruppo di affezioni degenerative della retina finora inguaribili. Caratteristica comune di tutte le
sue forme è il calo irreversibile della visione periferica. Nelle persone affette sono distrutte le cellule visive comunemente chiamate bastoncelli.
Siccome i bastoncelli stanno soprattutto ai bordi
del campo visivo, i primi segni clinici presenti saranno la cecità notturna e un restringimento progressivo del campo visivo. Il campo visivo si restringe dalla periferia verso il centro, portando alla
cosiddetta visione tubolare. In seguito è frequen-
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te che anche i coni, le cellule visive ubicate principalmente al centro della retina, siano colpiti da
degenerazione. Il sistema dei coni non è soltanto
preposto alla visione dei colori bensì anche della
percezione dei contrasti e delle strutture fini. Con
il progredire della retinite pigmentosa l’acuità visiva centrale continua a diminuire fino alla cecità.
Partendo dalla constatazione che la morte dei coni avveniva sempre dopo quella dei bastoncelli
abbiamo preso in considerazione l’ipotesi che i
coni potessero ricevere nutrimento dai bastoncelli. In una cavia, un modello animale con una
retinite pigmentosa, tentammo allora un trapianto di bastoncelli. Lo effettuammo a uno stadio
della malattia in cui tutti i bastoncelli erano già
morti e i coni cominciavano anch’essi a perire.
L’intervento rallentò il degrado mortale dei coni,
dimezzando la velocità del decorso. Cominciammo allora con il lavoro di caratterizzazione dei
fattori di sopravvivenza presenti nei coni e esaminammo sistematicamente tutti i geni espressi
nella retina sana allo scopo di scoprire quali prodotti genetici fossero in grado di arrestare la
morte dei coni. Questi esami portarono all’identificazione di una prima proteina specifica emessa
ed espressa dai bastoncelli, che chiamammo Rodderived Cone Viability Factor (Léveillard et Coll.,
2004). Nel corso dei nostri studi avevamo scoper-
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to che in seguito alla prima fase di degenerazione, che portava alla scomparsa dei bastoncelli,
anche la citata proteina non veniva più espressa.
Nel modello animale (topo) il relativo gene
(Txnl6), prima sconosciuto, risultava indispensabile per la sopravvivenza dei coni.
Questa scoperta rappresenta un passo essenziale
sulla via che porta alla meta terapeutica e apre
svariate prospettive. Sono infatti pensabili diverse applicazioni basanti sulla somministrazione
del fattore di sopravvivenza dei coni RdCVF in
quanto la proteina è espressa indipendentemente dal difetto genetico.
In: Thierry Léveillard et Coll. (2004). Identification
and characterization of rod-derived cone viability factor. Nature Genetics, 36, 755-9.
(Conferenza tenuta in occasione del congresso di
Retina Suisse a Bienne nell’ottobre 2004)
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Degenerazioni retiniche:
i metodi d’esame oftalmologico
•
Prof. Ulrich Kellner, Europaplatz 3
(ICE-Bahnhof), D-53721 Siegburg
Introduzione
Due sono gli organi determinanti per la visione e
comprensione di quanto ci sta attorno, l’occhio e
il cervello nonché le loro interazioni. La retina
percepisce la luce in entrata e trasmette al cervello l’informazione ottenuta, inviandogli piccoli
‘segnali’ attraverso le vie visive. Il cervello confronta la nuova immagine con le immagini immagazzinate nella sua memoria. Grazie a questo
processo riusciamo a ritrovarci e ad orientarci
nell’ambiente visivo che ci circonda.
La retina e il cervello sono due complessi sistemi
di cellule altamente specializzate. Le reciproche
interazioni sono essenziali per assicurare le svariate funzioni della vista, in particolare l’individuazione dei caratteri durante la lettura, il riconoscimento dei visi della gente, la percezione
delle differenze cromatiche, delle differenze di
luminosità, dei movimenti, la distinzione tra giorno e notte. I disturbi della vista possono risiedere
nell’occhio, nel nervo ottico o nel cervello. Per
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individuare le ragioni dei disturbi visivi l’oculista
procede in primo luogo ad un approfondito esame clinico e funzionale. La misurazione dell’acuità visiva servirà a determinare l’eventuale
correzione dei difetti di rifrazione con occhiali o
lenti a contatto.
Gli esami elettrofisiologici servono a misurare le
variazioni dei potenziali d’azione nella retina e
nel cervello durante il processo visivo. Per stabilire una diagnosi certa, lo specialista stimola gli
occhi con flash luminosi precisamente definiti e
ne registra le differenze di potenziale mediante
tecniche standardizzate. Per valutare adeguatamente i risultati degli esami elettrofisiologici occorre sempre anche un colloquio sugli antecedenti e sui sintomi, la misurazione dell’acuità visiva,
l’esame degli occhi con la lampada a fessura e, di
regola, un esame del fondo dell’occhio con le pupille dilatate. Inoltre, come vedremo qui di seguito, anche altre indagini possono avere senso. La
durata indicata per i vari esami si riferisce ai tempi di preparazione e agli esami stessi, ai quali
vanno aggiunti i tempi per la valutazione dei risultati.
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Elettroretinogramma standard (ERG)
Il cristallino focalizza sulla retina la luce che penetra nell’occhio dall’ambiente esterno. Le cellule
fotosensibili altamente specializzate della retina,
i fotorecettori, reagiscono all’arrivo della luce
con modifiche dei potenziali d’azione. Queste variazioni sono trasmesse e modulate da altre cellule della retina (tra l’altro anche le cellule bipolari) fino a raggiungere, passando dalle cellule
ganglionari, il nervo ottico e infine il centro visivo del cervello. La somma delle modifiche dei potenziali d’azione prodotti nei vari gruppi di cellule retiniche può essere misurata mediante
l’elettroretinogramma ERG. La retina funziona
come un sofisticato computer; essa elabora l’informazione luminosa e una parte delle sue funzioni è misurabile con l’ERG. La registrazione
dell’ERG è facilitata dal fatto che le modifiche dei
potenziali d’azione all’interno dell’occhio sono
trasmesse alla sua superficie esterna, la cornea.
Per misurare le funzioni della retina si applicheranno allora, in analogia all’uso di lenti a contatto, degli elettrodi sulla cornea anestetizzata
con gocce e due altri elettrodi vicino agli occhi.
Per l’ERG standard si usa un apparecchio denominato «Ganzfeld», una semisfera bianca che produce dei flash luminosi standardizzati che stimolano la retina e ne inducono una risposta.
Durante l’intera durata dell’indagine, la persona
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deve dirigere lo sguardo in questa semisfera. Per
illuminare uniformemente la retina, le pupille devono esser dilatate. Per questo motivo è assolutamente escluso che si guidi un veicolo dopo la
visita oculistica. Di regola l’ERG è fatto su entrambi gli occhi in pari tempo.
I vari gruppi di cellule della retina svolgono compiti diversi. I fotoricettori praticano una divisione
dei compiti: i bastoncelli percepiscono la luce
molto debole e i coni hanno la capacità di riconoscere la luce molto forte nonché di distinguere
i colori. Tra le cellule bipolari ce ne sono di incaricate unicamente della trasmissione dell’informazione 'luce accesa' rispettivamente 'luce spenta’.
Onde poter misurare in modo differenziato queste diverse funzioni, occorre modificare in modo
mirato l’illuminazione della retina. Da un lato si
può inserire o disinserire la luce dello sfondo della cupola di Ganzfeld e dall’altro si utilizzano stimoli luminosi di diversa intensità. Queste diverse
metodologie permettono di valutare in modo
molto preciso il funzionamento dei diversi gruppi
di cellule della retina.
Prima della registrazione dell’ERG l’occhio deve
adattarsi al buio durante una trentina di minuti.
Questa fase preliminare è necessaria onde poter
misurare le risposte dei bastoncelli. Si comincerà
allora con dei flash di luce molto deboli che diventeranno man mano più forti finché anche i
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coni reagiranno. Prima di poter misurare il funzionamento dei coni ci vorranno 10 minuti di adattamento alla luce. I coni sono stimolati con singoli
lampi di luce chiara oppure con una luce che lampeggia rapidamente. La maggior parte del tempo
necessaria per l’esecuzione dell’elettroretinogramma è dedicata all’adattamento al buio/alla
luce in quanto l’occhio non è in grado di accelerare queste modifiche di sensibilità della retina.
La registrazione di un ERG, compresi l’adattamento al buio/alla luce, durerà circa 55 minuti. Con gli
stessi elettrodi si potrà fare subito dopo anche un
elettroretinogramma multifocale. I risultati dell’ERG sono visualizzati in forma di curve rappresentanti le modifiche dei potenziali d’azione della
retina in risposta a lampi di luce chiaramente definiti. In queste curve si possono distinguere diverse componenti, p.es. l’onda ‘a’ (proveniente principalmente dai fotoricettori) e l’onda ‘b’ (proveniente principalmente dalle cellule bipolari). Valutando l’onda ‘a’ e l’onda ‘b’ delle diverse curve ottenute in condizioni di luce differenti si potranno
individuare le cellule della retina malate e determinare l’ampiezza dell’affezione. Nei casi di una
distrofia dei coni e dei bastoncelli saranno i coni a
essere maggiormente toccati e le risposte a flash
di luce chiara saranno le più patologiche. In caso
di retinite pigmentosa, invece, i più colpiti sono i
bastoncelli. In determinate affezioni (p.es. la ceci-
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tà notturna congenita stazionaria o la retinoschisi, ma anche in determinati disturbi dell’irrorazione sanguigna della retina) sono soprattutto le
onde ‘b’ a essere modificate.
L’ERG dà la misura complessiva delle risposte dell’intera retina. Se le affezioni interessano unicamente la macula, l’ERG può risultare normale in
quanto nella macula si trova soltanto un 5% delle cellule dell’intera retina. Per esaminare la macula si ricorrerà perciò all’elettroretinogramma
multifocale (mfERG).
Con l’elettroretinogramma standard si possono
rilevare il genere e l’estensione di un disturbo
funzionale della retina. Certe malattie retiniche
sono identificabili mediante l’ERG, per altre l’ERG
può rappresentare un importante aiuto diagnostico. Oltre che per la constatazione dell’estensione di un disturbo funzionale, l’ERG assume un
ruolo importante anche nell’ambito della prognosi di una malattia retinica. Per questi motivi si
dovrebbe fare almeno una volta un ERG a tutti i
pazienti con una sospetta degenerazione retinica
ereditaria. Questo allo scopo di assicurare una
diagnosi affidabile. Controlli periodici mediante
ERG (dopo ca. 1-2 anni) permettono di valutare il
decorso. Nel contesto delle ricerche scientifiche
l’ERG è importante per la determinazione delle
funzioni della retina.
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Elettroretinogramma multifocale
(mfERG)
L’elettroretinogramma standard (ERG) è il principale esame diagnostico nei casi di sospetta affezione retinica ereditaria. L’ERG misura la risposta
complessiva dell’intera retina. Se un’affezione retinica interessa soltanto il centro della retina, la
macula che è il punto della maggiore acuità visiva, l’ERG può risultare normale perché il centro
non rappresenta che un 5% ca. dell’intera retina.
Per un esame specifico della macula sarà allora
necessario un elettroretinogramma multifocale
(mfERG).
Con l’elettroretinogramma multifocale si indaga
sul funzionamento della retina in modo analogo
a quanto si fa mediante l’ERG. Attraverso la particolare forma dello stimolo luminoso, saranno
tuttavia solo i fotoricettori e le cellule bipolari
della macula a reagire. Siccome i fotoricettori
presenti nella macula sono in massima parte coni
(al centro della retina i bastoncelli sono quasi assenti), l’elettroretinogramma multifocale serve
prioritariamente all’esame dei coni. Per l’elettroretinogramma multifocale si utilizzano gli stessi
elettrodi come per l’ERG standard e anche la dilatazione della pupilla ha senso. Perciò anche in
questo caso vale il divieto di guidare un veicolo
dopo l’esame oftalmologico. Per l’elettroretinogramma multifocale non occorre un particolare
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adattamento alla luce e può essere fatto contemporaneamente su entrambi gli occhi. Un esame
separato garantisce tuttavia minori disguidi. L’indagine, inclusi i tempi di preparazione, dura ca.
30 minuti per gli occhi esaminati separatamente.
Per l’elettroretinogramma multifocale, a differenza dell’ERG standard, non si fa uso della cupola tipo Ganzfeld. Il paziente deve invece fissare uno schermo di computer sul quale si trova un
campo di stimolazione costituito da molti piccoli
esagoni ravvicinati (il loro numero varia da 61 a
103 a seconda dell’esame, raramente essi sono in
numero superiore). Circa la metà degli esagoni è
di color nero mentre l’altra metà circa è di color
bianco. In tal modo nel corso dell’esame la luminosità complessiva del campo di stimolazione
non varierà. Mentre il paziente fissa lo schermo,
ogni esagono cambia colore passando dal bianco
al nero e viceversa secondo una sequenza matematica precisamente definita (sequenza m). Il
paziente, guardando il monitor vedrà allora un
campo di stimolazione con moltissimi esagoni
che cambiano rapidamente colore, passando dal
bianco al nero e dal nero al bianco senza che egli
possa peraltro riconoscervi una sistematica. Affinché ogni esagono sia visto sempre dallo stesso
punto della macula è essenziale che il paziente
diriga sempre lo sguardo sul punto di fissazione
contrassegnato sul monitor. Per non rendere
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troppo estenuante l’esame, esso sarà quasi sempre suddiviso in 8 fasi successive di 30–45 secondi
l’una. Se in una delle sequenze ci fosse un calo di
concentrazione da parte del probando, la si potrà
ripetere senza dover rifare tutto l’esame. Poiché
il computer sa quando un determinato esagono
era bianco e quando era nero potrà calcolare, sulla base del tracciato ottenuto, le risposte del rispettivo punto della macula espresse attraverso
l’elettrodo applicato sulla cornea. I risultati dell’elettroretinogramma multifocale sono visualizzati come mappa comprendente la risposta di
ogni singolo punto della macula. In presenza di
una distrofia maculare (p.es. la malattia di Stargardt) sono modificate soprattutto le risposte
agli stimoli provenienti dal centro. In caso di
distrofia dei coni o di distrofia dei coni e dei bastoncelli tutto l’insieme delle risposte è inferiore
alla norma. Nelle affezioni che interessano dapprima i bastoncelli (come p.es. la retinite pigmentosa o la corioideremia), affezioni nelle quali inizialmente i coni della macula funzionano ancora,
il centro della macula darà delle risposte agli stimoli luminosi.
Il significato dell’elettroretinogramma multifocale sta nel riconoscimento precoce di disturbi
funzionali della retina centrale. Una parte delle
affezioni maculari saranno allora individuabili
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già prima dell’apparizione di alterazioni sul fondo dell’occhio. Questa constatazione è importante, p.es. per la diagnosi in bambini che a scuola
manifestano problemi di vista. La loro causa, individuabile mediante un elettroretinogramma
multifocale, potrebbe allora essere la malattia di
Stargardt. Allo stesso modo si possono individuare precocemente delle affezioni oculari dovute ad effetti collaterali di farmaci (p.es. da clorochina). In altre malattie della retina, l’elettroretinogramma multifocale può servire per determinare l’importanza del disturbo funzionale. Se tuttavia un’affezione maculare è molto avanzata, di
regola dall’elettroretinogramma multifocale non
risulterà più nessuna ulteriore informazione sensata. Nei casi di retinite pigmentosa in cui l’ERG
standard non dà più riscontri si potrebbero ancora ottenere delle risposte dall’elettroretinogramma multifocale. In questi casi l’elettroretinogramma multifocale può essere uno strumento di
monitoraggio del decorso dell’affezione. Allo
stesso modo esso trova impiego nelle ricerche
scientifiche sugli approcci terapeutici a condizione che abbiano un effetto particolare sulle
funzioni della macula.
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Elettrooculogramma (EOG)
I diversi tipi di elettroretinogramma descritti sopra, l’elettroretinogramma standard (ERG) e
l’elettroretinogramma multifocale (mfERG) sono
gli esami più importanti per la diagnosi differenziale delle affezioni retiniche ereditarie o acquisite. Entrambi i procedimenti esaminano il funzionamento dei fotoricettori e delle cellule bipolari. L’elettrooculogramma (EOG) serve invece ad
esaminare il funzionamento dell’epitelio pigmentato retinico (RPE), lo strato di cellule situato tra
la retina e la coroide, preposto, tra l’altro, al rifornimento delle cellule della retina con sostanze
nutritive e allo smaltimento dei prodotti di scarto.
Per registrare l’EOG si aprofitta del fatto che nell’epitelio pigmentato è presente un potenziale
d’azione intrinseco (potenziale di base). Ne consegue una differenza di potenziale di ca. 6mV tra
la parte anteriore dell’occhio, la cornea, e il polo
posteriore dell’occhio, la retina. In questo caso si
parla anche di bipolo oculare con cornea positiva
e retina negativa. La differenza di potenziale varia a seconda della luce in entrata. Con l’EOG si
registra una risposta complessiva dell’epitelio
pigmentato, dipendente dall’intensità della luce.
L’EOG non esige necessariamente la dilatazione
delle pupille. Senza dilatazione, però, la luce
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dev’essere molto più intensa. Molti laboratori
preferiscono perciò registrare l’EOG con luce a
bassa intensità e pupille dilatate. Questo anche
perché per gli ulteriori esami la dilatazione occorre comunque. Per la registrazione dell’EOG si applicano degli elettrodi a lato degli occhi, sul naso
e sulle tempie. Appena il probando muove gli
occhi a destra e a sinistra, la differenza di potenziale intrinseca all’interno dell’occhio produrrà
una differenza di tensione negli elettrodi ai due
lati degli occhi. Alfine di ottimizzare la misurazione, ai movimenti degli occhi sono «imposti»,
per mezzo di segnali luminosi, un determinato
ritmo e una determinata direzione. Come per
l’ERG si guarda in una cupola di Ganzfeld (una
sfera dipinta di bianco), inizialmente scura. A seconda del metodo, si inizia con una fase di adattamento al buio del potenziale di base di 12–40
minuti. Poi nella cupola si accende la luce e il
potenziale di base aumenta durante ca. 8–10 minuti (ascesa del chiaro). Raggiunto il picco della
luce chiara, l’esame è concluso. Siccome il mutamento di potenziale nell’epitelio pigmentato procede molto lentamente, l’esame può durare anche un’ora. L’EOG è valutato in base alla relazione tra il potenziale di base e il picco del chiaro
espressa in percentuale e non in cifre assolute in
quanto il potenziale di base può variare da persona a persona.
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L’EOG rappresenta un metodo valido per misurare le variazioni nell’epitelio pigmentato retinico.
Occorre tuttavia tenere in considerazione due limitazioni essenziali. Primo, la riuscita dell’EOG
dipende dal riconoscimento della luce da parte
dei fotoricettori e dalla conseguente risposta dell’epitelio pigmentato, che induce una variazione
del potenziale di base. Quando i fotoricettori
funzionano a dovere, l’EOG dà un’informazione
ideale sul funzionamento dell’epitelio pigmentato retinico. Poiché in molte delle affezioni retiniche fotoricettori e epitelio pigmentato sono
danneggiati, l’EOG darà una risposta sull’insieme
del danno senza indicazioni dettagliate in merito
ai danni dell’epitelio pigmentato. In situazioni
del genere, p.es. in caso di retinite pigmentosa o
di distrofia dei coni e dei bastoncelli, di regola un
elettroretinogramma fornisce informazioni più
affidabili e si può quindi fare a meno dell’elettrooculogramma. Un altro svantaggio è che l’EOG
fornisce unicamente una risposta complessiva
riguardo all’epitelio pigmentato. In caso di degenerazione maculare correlata all'età, per esempio, sarebbe però di interesse poter misurare in
modo mirato le funzioni dell’epitelio pigmentato
retinico in diversi punti della macula (analogamente come per elettroretinogramma multifocale).
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L’EOG è importante per la diagnosi della malattia
di Best, una distrofia maculare con un ERG normale e con un picco del chiaro quasi sempre decisamente ridotto. La malattia di Best è un’affezione autosomica-dominante, trasmessa per via ereditaria e in associazione con mutazioni nel gene
VMD2. Ciononostante le portatrici/i portatori del
gene in questione non sono necessariamente malati. Praticamene tutte le persone che hanno il
gene mutato, che siano affette o no dalla malattia, hanno un EOG alterato. Per questo motivo
l’EOG serve per confermare la diagnosi di malattia di Best e per il calcolo del rischio di trasmissione ereditaria per i membri della famiglia non
affetti dalla malattia.
Su altre rare indicazioni per un EOG non entriamo qui nel merito.
Elettroretinogramma da pattern (PERG)
I metodi d’indagine descritti sopra, in particolare
l’elettroretinogramma standard (ERG), l’elettroretinogramma multifocale (mfERG) e l’elettrooculogramma (EOG) permettono un esame preciso
delle funzioni visive in relazione con gli strati più
esterni e intermedi della retina. Nella retina interna si trovano le cellule ganglionari i cui assoni
formano il nervo ottico e con esso il collegamento occhio-cervello. Con l’ERG da pattern (un ERG
a reticolo; abbreviazione internazionale PERG) si
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può esaminare la funzione delle cellule ganglionari nella macula, la parte di retina dalla maggiore acuità visiva. Siccome il funzionamento delle cellule ganglionari dipende da quello dei fotoricettori nella retina esterna nonché dalle cellule
bipolari nello strato intermedio della retina, il
PERG permette di valutare le funzioni di tutti gli
strati della retina per quanto riguarda la macula.
Mentre per i metodi descritti sopra gli impulsi luminosi, p.es. lampi di luce o luce che lampeggia
velocemente, servono a stimolare la retina, il
PERG si basa su un modello di reticolo, di regola
a riquadri bianchi e neri, esposto su un monitor.
Un reticolo analogo è usato per la misurazione
dei potenziali visivi evocati (VEP). Durante l’esame il modello muta di colore, i riquadri bianchi
diventano neri mentre quelli neri diventano bianchi, tutto allo stesso momento. La luminosità
complessiva del monitor rimane invariata perché
il numero dei riquadri è stabile. Con questo esame non si cercano risposte a stimoli luminosi
bensì si rileva il numero di volte in cui i riquadri
del reticolo cambiano colore. I potenziali misurati
sono parecchio inferiori di quelli dell’ERG. Affinché la persona sottoposta all’esame possa vedere
bene il reticolo, il PERG va fatto senza dilatare le
pupille e se necessario con occhiali (per correggere in modo ottimale i difetti di rifrazione).
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Come per l’ERG e l’elettroretinogramma multifocale anche per il PERG diversi elettrodi sono applicati nelle vicinanze degli occhi e uno sulla cornea di ogni occhio. Durante l’intero esame la persona deve fissare il monitor, guardando un punto
preciso posto nel mezzo del reticolo. Le risposte
agli stimoli sono molto lievi, occorre perciò averne molte e poi farne un calcolo medio. Si procede
allora a molte misurazioni in rapida successione.
Allo scopo di evitare distorsioni il computer le
conguaglierà tra di loro. Per l’ERG da pattern si
usano reticoli di diverse dimensioni, nella maggior parte dei casi essi sono due. L’esame può essere fatto su entrambi gli occhi contemporaneamente e dura, preparativi compresi, ca. 30 minuti.
Onde poter registrare un PERG, il probando deve
essere in grado si riconoscere il reticolo. Se l’acuità visiva è molto bassa (p.es. se non ha gli occhiali o se l’acuità visiva è molto bassa) o le parti dell’occhio che di norma sono trasparenti (cornea,
cristallino, corpo vitreo) sono opacizzate, il PERG
non permetterà nessuna valutazione della situazione. Siccome lo stimolo prodotto dal reticolo
esige un’elevata dissoluzione, esso sarà percepito soltanto dalla macula. Per questo motivo con il
PERG si possono misurare unicamente le funzioni
della macula. Tutte le affezioni retiniche che concernono la macula avranno perciò dei riscontri
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nel PERG. Per lungo tempo il PERG è stato l’unico
metodo di misurazione delle funzioni della macula e nel contempo il metodo più sensibile per il
riconoscimento precoce di un’affezione interessante la macula nonché per la valutazione del
coinvolgimento della macula in presenza, per
esempio, di retinite pigmentosa. Per rispondere a
questi interrogativi oggi si ricorre di regola all’elettroretinogramma multifocale. L’elettroretinogramma multifocale può tuttavia dare soltanto una valutazione degli strati esterni e intermedi della retina, per una valutazione delle funzioni delle cellule ganglionari si deve sempre fare
un PERG, p.es. in presenza di glaucoma.
Su altre rare indicazioni per il PERG non entriamo
qui nel merito.
Potenziali visivi evocati (VEP)
Le metodologie d’esame sopra elencate, l’elettroretinogramma standard (ERG), l’elettroretinogramma multifocale (mfERG), l’elettrooculogramma (EOG) e l’elettroretinogramma da pattern
(PERG) permettono di esaminare con precisione
tutti gli strati della retina. Nella retina interna si
trovano le cellule ganglionari i cui assoni formano il nervo ottico che assicura il collegamento
con il cervello, segnatamente con il corpo genicolato (la prima «interfaccia» della via visiva a li-
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Giornale Retina Suisse 3–4/2005
vello di cervello) e la corteccia visiva. La corteccia
visiva del cervello si trova proprio all’opposto degli occhi direttamente sotto l’osso posteriore del
cranio. Con i potenziali visivi evocati (VEP) si può
misurare il funzionamento delle vie visive dagli
occhi fino corteccia alla visiva.
I VEP in realtà sono una particolare forma di misurazione delle correnti elettriche emanate dalle
cellule nervose cerebrali, in analogia con l’elettroencefalogramma (EEG). I VEP sono limitati ai
segnali provenienti dalla corteccia visiva quando
gli occhi sono stimolati. Poiché le informazioni di
entrambi gli occhi giungono nella stesssa corteccia visiva, per avere dei tracciati di VEP gli occhi
devono essere esaminati separatamente. Per stimolare gli occhi si può ricorrere a stimoli luminosi (lampi di luce) o a stimoli da pattern. Fatta
eccezione per alcuni casi particolari, per avere dei
VEP si utilizza, come per l’elettroretinogramma
da pattern, un reticolo con dei riquadri bianchi e
neri (come una scacchiera) da guardare sul monitor di un computer. Il modello con i riquadri si
modifica facendo diventare neri i riquadri bianchi
e bianchi quelli neri. Il cambiamento contemporaneo di colore fa sì che il monitor sia sempre
ugualmente chiaro in quanto le superficie bianche e quelle nere cambiano colore in pari tempo.
Tuttavia non è l’intensità della luce che sgancia la
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risposta bensì la modifica del modello del reticolo.
Affinché la persona sottoposta a esame veda
bene il reticolo, i VEP vanno misurati senza dilatare le pupille e se necessario con occhiali (per
correggere in modo ottimale i difetti di rifrazione). Gli elettrodi sono applicati sulla fronte e
sopra la corteccia visiva nella parte posteriore del
cranio. Il probando dovrà fissare durante l’intero
esame un punto posto nel mezzo del modello a
reticolo. Siccome la normale attività cerebrale
disturba le misurazioni dei VEP, è necessaria una
media delle risposte agli stimoli registrate. Per
farlo si realizzano ca. 100 misurazioni in rapida
successione che poi saranno conguagliate tra di
loro dal computer. In tal modo si possono impedire i disturbi e filtrare le risposte provenienti
dalla corteccia visiva. Per realizzare i VEP si fa uso
di vari reticoli, di solito due o tre. Per ogni modello di reticolo impiegato si ottiene un tracciato
delle risposte agli stimoli fornite dal cervello. Le
caratteristiche principali sono un’onda positiva
dopo ca. 100 ms (componente P100). In presenza
di patologie, il tempo necessario fino all’arrivo di
questa componente P100 (latenza) può essere
prolungato, l’ampiezza della curva diminuita o la
risposta mancare del tutto. L’esame dura, preparativi compresi, ca. 20 minuti.
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Giornale Retina Suisse 3–4/2005
Onde poter registrare i VEP, il probando deve essere in grado si riconoscere il reticolo. Se l’acuità
visiva è molto bassa (p.es. se non ha gli occhiali o
se l’acuità visiva è molto bassa) o le parti dell’occhio che di norma sono trasparenti (cornea,
cristallino, corpo vitreo) sono opacizzate, i VEP
non permetteranno nessuna valutazione della
situazione. Siccome lo stimolo prodotto dal reticolo esige un’elevata dissoluzione, con i VEP si
potrà esaminare anche lo stato della macula. Affezioni interessanti la macula possono quindi essere visibili nei VEP. Ma anche tutte le alterazioni
patologiche del nervo ottico e dell’intera via visiva nel cervello possono essere evidenziate a livello di VEP – un aspetto importante, per esempio per la distrofia del nervo ottico. Altri impieghi dei VEP sono la diagnosi precoce di effetti
collaterali di certi farmaci oppure il monitoraggio
della terapia in caso di tumori del cervello. Se i
VEP segnalano un danno della via visiva non se
ne può riconoscere l’esatta localizzazione. Nelle
malattie trasmesse per via ereditaria ad interessamento precoce della macula quali tutte le distrofie maculari o le distrofie dei coni e dei bastoncelli anche il tracciato VEP sarà modificato
presto. Soprattutto per la diagnosi negli stadi
precoci di un peggioramento della vista è spesso
sensato cominciare con i VEP per procedere solo
in seguito all’elettroretinogramma multifocale o
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al PERG. Con i VEP si vede se c’è un’affezione delle vie visive mentre con l’elettroretinogramma
multifocale o il PERG si può capire se l’affezione
è localizzata nella macula.
Campimetria
Tutta una serie di affezioni retiniche e di malattie
delle vie visive portano a un restringimento del
campo visivo. A dipendenza della localizzazione
e dell’estensione delle perdite di campo visivo le
attività della vita quotidiana possono esserne disturbate in modo importante. L’esame del campo
visivo è perciò di grande significato per la diagnosi e per un’eventuale diagnosi differenziale.
Queste indagini sono di rilievo per la documentazione della malattia e per le valutazioni peritali
in merito alla diminuzione della capacità lavorativa delle persone affette. La durata dell’esame
del campo visivo dipende dalle alterazioni esistenti e dal metodo d’indagine scelto. Esso può
durare fino a 15 minuti per ogni occhio.
Senso cromatico
I disturbi del senso cromatico possono essere
congeniti. Spesso sono definiti cecità dei colori o
daltonismo. Anche nelle affezioni della retina o
delle vie visive possono manifestarsi disturbi del
senso cromatico. Il riconoscimento di disturbi
congeniti della visione dei colori è un elemento
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decisivo nei test attitudinali per svariate professioni quali p.es. l’imbianchino, l’autista di taxi,
bus, autocarri o il pilota d’aerei. Spesso i disturbi
del senso cromatico insorgono nelle fasi iniziali
di una malattia e rappresentano perciò un sensibile segno premonitore di un disturbo funzionale. Gli esami della visione dei colori mediante tavole cromatiche o apparecchi per l’abbinamento
delle linee spettrali (anomaloscopio) sono di
grande significato per la diagnosi di determinate
malattie degli occhi. A dipendenza del tipo di
test e dell’importanza dell’anomalia presente,
l’esame dura ca. 5–10 minuti.
Adattamento al buio
Alcune delle affezioni retiniche si manifestano
con disturbi dell’adattamento al buio/alla luce.
L’esame dei processi d’adattamento al buio/alla
luce si chiama adattometria. Siccome l’adattamento alle variazioni di luminosità è estremamente lento, l’indagine può durare un’ora.
Fotografia del fondo dell’occhio
Una volta visibili, le alterazioni del fondo dell’occhio si possono descrivere bene. Più difficile è
individuarle quando sono ancora minime e il monitoraggio del decorso ai primi stadi è praticamente impossibile. Per questo motivo si raccomanda di fare anche delle fotografie del fondo
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dell’occhio alfine di avere poi una documentazione a lungo termine di alto valore informativo.
Rilevamento dell’autofluorescenza
L’epitelio pigmentato retinico (RPE) svolge un
ruolo importante nell’approvvigionamento delle
cellule fotosensibili della retina. Nelle cellule dell’epitelio pigmentato retinico si trovano dei depositi di materiale che sotto l’effetto di una determinata illuminazione producono una fluorescenza. Questa autofluorescenza serve anche per
visualizzare la retina e, a seconda di come essa si
presenta, per riconoscere alterazioni delle cellule
dell’epitelio pigmentato retinico (RPE). La misurazione dell’autofluorescenza è una metodologia
recente probabilmente assai adatta per visualizzare precocemente le alterazioni dell’epitelio pigmentato retinico, per rilevarle già prima che siano visibili all’esame del fondo dell’occhio con la
lampada a fessura. Il rilevamento dell’autofluorescenza dura solo qualche minuto.
Angiografia con la fluoresceina
La fluoresceina è un colorante che normalmente
non fuoriesce dai vasi retinici e addirittura si accumula in quelli della coroide. Mediante l’angiografia con la fluoresceina si possono visualizzare
alterazioni specifiche dei vasi retinici, dell’epitelio pigmentato retinico e in parte anche dei vasi
della coroide. Dopo un’iniezione di fluoresceina
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nell’avambraccio si fanno, con l’ausilio di una
speciale tecnica di filtri, delle fotografie del fondo dell’occhio. L’esame richiede la dilatazione
delle pupille e dura, preparativi compresi, ca. 30
minuti.
Angiografia retinica con il verde d’indocianina
Il verde d’indocianina è un colorante che normalmente non fuoriesce dai vasi retinici e coroidei.
In alcuni casi, facendo uso di questo colorante, si
possono rappresentare quelle alterazioni a livello
di retina e di coroide non individuabili mediante
l’angiografia con la fluoresceina. Anche per l’angiografia al verde d’indocianina si inietta il colorante nella vena del braccio e, con l’ausilio di una
speciale tecnica di filtri, si fanno delle fotografie
del fondo dell’occhio allo scopo di visualizzare le
alterazioni dei vasi della retina e della coroide.
Tomografia a Coerenza Ottica (OCT)
La tomografia a coerenza ottica o tomografia ottica computerizzata permette di ottenere una
visione in sezione della retina. Con l’OCT si possono individuare le alterazioni della struttura
della retina quali per esempio strappi della retina
o accumuli di liquido nonché rilevare molto dettagliatamente lo spessore degli strati della retina
e sorvegliare il decorso delle malattie.
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Esami genetico-molecolari
Oggi sono noti i difetti genetici all’origine di tutta una serie di malattie ereditarie della retina.
Questo permette innanzitutto di fare chiarezza
sulle cause dell’affezione. La conoscenza del difetto genetico rappresenta inoltre il primo passo
in vista di terapie future.
In: Retina aktuell 94/4-2004, 95/1-2005, 96/22005, 97/3-2005, 98/4-2005
RP e altre degenerazioni retiniche nella «patria» dei canguri
•
Markus Georg e Robyn Wright
C’è forse un legame tra gli animali con il
marsupio e la RP? A questa domanda il rapporto d’attività di «Retina Australia» non dà risposta. Ci dice invece altre cose, per esempio che
ben 1’200 persone sono affiliate all’associazione
nata con il nome di «Australian Retinitis pigmentosa Association». Fin dall’inizio il loro obiettivo
primo era la lotta contro la cecità dovuta a RP.
Come aveva fatto la consorella Pro Retina
34
Giornale Retina Suisse 3–4/2005
Deutschland (e l’associazione svizzera), anche in
Australia a un certo momento si pensò di cambiare nome alfine di poter accogliere in seno all’associazione tutte le forme di degenerazione
retinica.
Altri parallelismi
Considerati gli oltre 20 milioni di abitanti del
quinto continente, i 1’200 membri di «Retina
Australia» corrispondono in percentuale ai membri di Pro Retina Deutschland. In «Retina Australia» la maggior parte del lavoro è svolto da volontari e volontarie con handicap visivo. Il personale stipendiato dell’associazione è di due sole
persone impiegate a tempo pieno e di altre tre
che lavorano a tempo parziale. «Retina Australia» non possiede neppure uffici propri perché da
ormai tre anni in Australia si comunica con grande successo per via elettronica.
Federalismo e autonomia
Al momento è in atto una specie di riforma delle
strutture. Essa si è resa necessaria perché la rapida crescita della prima piccola organizzazione ha
generato alcuni problemi specifici. Un piano strategico dovrebbe contribuire all’individuazione di
vie e mezzi per l’ulteriore potenziamento della
rete di relazioni interne e esterne nonché per il
reperimento delle necessarie risorse finanziarie.
Giornale Retina Suisse 3–4/2005
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Per il futuro prossimo è infatti attesa una crescita
importante in tutti i settori della ricerca, sostenuta e da sostenere con danaro messo a disposizione da donatori. Parallelamente l’associazione
svolge una capillare attività d’informazione e
sensibilizzazione del pubblico. E inoltre si vuole
arrivare a creare una rete operativa (network)
con altre organizzazioni e associazioni alfine di
raggiungere uno scopo ben preciso, riassumibile
nei termini di federalismo e autonomia.
In tutte le province dell’Australia ci sono dei
gruppi di «Retina Australia». Fanno eccezione
unicamente la Tasmania e il Northern Territory,
entrambi «serviti» dall’associazione della provincia di Victoria.
Raccolta di fondi, consulenza e accompagnamento
«Retina Australia» ha in ogni provincia un organismo indipendente, guidato da un proprio comitato (con un proprio presidente, vicepresidente,
segretario, tesoriere e degli assessori) nonché
uno statuto giuridico proprio. Nel comitato
nazionale di «Retina Australia», composto da 12
persone, siedono due rappresentanti d’ogni ente
provinciale e anche in quel gremio ci sono il presidente, il vicepresidente, il segretario, il tesoriere e degli assessori.
36
Giornale Retina Suisse 3–4/2005
Ognuno dei comitati provinciali allestisce il proprio bollettino informativo. Tuttavia solo una
parte delle associazioni provinciali si scambia
questi Newsletter. I contenuti di questi bollettini
stilati dai membri rispecchiano solo in parte le
opinioni di «Retina Australia». Non esiste nemmeno un Newsletter unitario, diffuso in tutto il
paese; gli opuscoli informativi sono invece realizzati da «Retina Australia» per tutte le sue organizzazioni. Si tratta di mappette laminate, contenenti anno dopo anno una visione d’insieme
sulle ricerche del momento e il rendiconto d’attività. Anche sulle spese di stampa si bada a risparmiare, infatti le mappette sono di volta in volta
riciclate e solo i fogli interni sono sostituiti con
documentazioni e testi nuovi.
Gli enti provinciali membri di «Retina Australia»
godono di grande autonomia e ognuno si serve
di metodi propri per la raccolta di offerte. Di conseguenza gli uni hanno più successo degli altri.
Se alcuni sono veri e propri professionisti della
raccolta di fondi, altri dedicano più tempo e spazio alla consulenza, all’assistenza e all’accompagnamento dei membri. Le differenze tra i gruppi
sono grandissime eppure anche se i loro obiettivi
divergono parecchio, tutti raccolgono soldi a favore della ricerca. Anche le tasse sociali variano,
esse oscillano infatti tra i 15 e i 25 dollari l’anno.
Diverse province dispongono di un telefono verGiornale Retina Suisse 3–4/2005
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de o inviano automaticamente ad ogni oculista e
ottico tutte le loro pubblicazioni.
Contributi volontari a favore di un pool
nazionale
I comitati degli enti provinciali decidono ognuno
per conto proprio quanto versare al pool nazionale per la ricerca. Le somme variano dai 100’000
dollari di una provincia ai 2’000 di un’altra. Il comitato nazionale non fa nessuna prescrizione in
merito ai mezzi da versare al pool nazionale. I
mezzi finanziari sono molto limitati, tuttavia
«Retina Australia» va molto fiera del fatto di
poter promuovere alcuni progetti di ricerca estremamente interessanti. Nel 2004 il sostegno andò
a sei ricercatori per un totale di 200’000 dollari.
Per il 2005 sono promessi almeno 210’000 dollari.
Il compito principale di «Retina Australia» sta nel
decidere a chi assegnare i soldi per la ricerca, seguendo però sempre le raccomandazioni del
«Grants Assessment Committee», un ente analogo ai comitati medico-scientifici delle organizzazioni Retina europee e americane. Ogni due anni
«Retina Australia» organizza un congresso nazionale.
Nessun sussidio statale all’associazione
La principale fonte d’entrata è rappresentata dalle collette «da porta a porta». Purtroppo i risultati di questo tipo di colletta diminuiscono di
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Giornale Retina Suisse 3–4/2005
anno in anno perché il numero delle persone che
si prestano a fare la questua sta calando. Ciononostante anche nel 2005 ci si concentra su questo
metodo di raccolta di fondi. Le altre fonti d’entrata, tombole e lotterie, interessi e reddito del
capitale nonché altri ricavi non bastano a coprire
le uscite. Complessivamente i membri di «Retina
Australia» fanno mostra di grande creatività nella raccolta di fondi. Essi organizzano infatti anche collette di strada, mercatini dell’antiquariato,
cene benefiche oppure piazzano i loro salvadanai
bene in vista nei negozi, scrivono ai benefattori e
cercano di ottenere dei lasciti ereditari. Durante
la settimana della retina – in settembre – vendono in tutto il Paese distintivi con la civetta (che è
un po’ il loro simbolo), realizzando un bel po’ di
soldi. In quella settimana le televisioni mettono a
disposizione spazi d’emissione gratuiti da sfruttare per spot televisivi.
In Australia le persone con handicap visivo godono di molte facilitazioni statali, viaggiano per
esempio gratuitamente sui mezzi pubblici, sui
taxi pagano la metà, reddito e pensioni sono
esenti da tasse, hanno diritto ad aiuti alla mobilità e ad altri aiuti dell’ente pubblico. I mezzi ausiliari ottici e gli ausili per la vita quotidiana si
acquistano presso le associazioni statali dei ciechi. «Blind Citizens Australia» riceve mezzi finanGiornale Retina Suisse 3–4/2005
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ziari per assicurare un trattamento equo e per
promuovere le pari opportunità propagando valori sociali positivi e offrendo prestazioni di servizio di alta qualità e a bassa soglia d’accesso.
Siccome molte organizzazioni sostenute dallo
stato offrono molte prestazioni sociali, questo
tipo d’attività non è previsto dagli statuti di «Retina Australia» o delle organizzazioni ad essa
affiliate. Anche in futuro l’associazione si occuperà prioritariamente della promozione della
ricerca scientifica. Per ulteriori informazioni su
«Retina Australia» si veda il sito Internet
www.retinaaustralia.com.au
Poter leggere e scrivere per
conto proprio
•
Stephan Hüsler, Fenkernweg 3, 6010 Kriens
Alle elementari imparai, tutto orgoglioso, a leggere e a scrivere. E, quasi senza accorgermene,
appresi la mia prima lingua straniera: imparai
infatti a esprimermi correttamente e a scrivere
senza errori in «buon tedesco», quello che oggi
chiamano lingua standard. Le biblioteche che frequentavo disponevano a mala pena di abbastan-
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Giornale Retina Suisse 3–4/2005
za libri interessanti per placare la mia «sete di sapere». Ma poi arrivò la RP, la lettura mi costava
sempre più fatica, diventava un opprimente dovere e già da un pezzo non scrivevo più a mano.
Presso il servizio di consulenza di Lucerna continuavano però a ribadire che ci vedevo ancora abbastanza, che non era necessario che studiassi il
braille. In realtà non era così, avevo assoluto bisogno della scrittura braille! Poter leggere e scrivere è per me espressione di autodeterminazione. Grazie al braille non ho bisogno di nessuno
che legga per me, non ho neppure bisogno di
ausili tecnici; posso leggere e scrivere dove e
quando voglio, alla velocità che fa per me.
L’aspetto più importante del braille è però che
sono io stesso a costruirmi le immagini. A proposito di immagini: la ricerca sul cervello ha dimostrato che la lettura attiva la corteccia visiva del
cervello. Il fascino di questa scoperta è che non
fa differenza se si legge con gli occhi oppure con
i polpastrelli.
Ecco, con il braille ho imparato di nuovo a leggere e a scrivere. Nei tre corsi di braille che ho
frequentato all’hotel Solsana ho fatto la conoscenza di molte persone diversissime tra di loro.
La più giovane aveva 12 anni, il più anziano ne
aveva 84. Sì, anche a 84 anni si può imparare la
scrittura braille. E perché non dovrebbe essere
possibile? Oggi è normale studiare per tutta la
Giornale Retina Suisse 3–4/2005
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vita e a mio avviso l’imparare è un’ottima misura
di prevenzione contro l’Alzheimer. Vale veramente la pena di provare!
Anche nel 2006 al Solsana sono in programma
dei corsi di braille… Ci si può anche rivolgere ai
consultori nella propria regione perché sono in
contatto con gli e le insegnanti di braille.
Bastone bianco e autostima
•
Heike Herrmann, Germania
Il bastone bianco non intacca la dignità
della persona bensì le dà sicurezza
Molte delle persone, che come me hanno perso
la vista tardi, saranno certamente in chiaro sui
vari processi d’accettazione che accompagnano
la malattia, nel mio caso retinopatia pigmentosa
(RP). Fino a sette anni ci vedevo normalmente
ma in seguito la vista continuò a scemare in fasi
successive. A circa 35 anni dovetti infine prendere atto di non vedere quasi più niente. Per
strada mi capitava sempre più spesso di fermarmi, terrorizzata, e di dire forte a me stessa:
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Giornale Retina Suisse 3–4/2005
«Non vedo più niente, non ci vedo proprio più!».
Quell’esperienza fu talmente drammatica che mi
ci vollero più di due anni per capire veramente
cosa mi fosse successo. Feci allora ciò che credo
molti facciano in simili frangenti, sviluppai una
tattica che mi portava a evitare le cose non più
fattibili. Evitavo di percorrere da sola vie complicate. Così facendo, però, il mio raggio d’azione si
andava sempre più restringendo finché non mi
rimasero che tre, quattro strade al massimo. E mi
ci volle moltissimo tempo per arrivare a capire
che l’unica alternativa era in qualche modo di
agire. Ma cosa significava intraprendere qualcosa? Avevo un’unica certezza, mai e poi mai
avrei preso in mano l’odioso bastone bianco,
quel bastone che ci stigmatizza, mette sotto tutela e emargina, quel bastone che ci catapulta
fuori dalla società, tanto più se si è donna. Con il
bastone in mano più nessuno ti vede come un
essere al femminile. Con il bastone in mano finisci per perdere la tua identità di persona libera, ti
viene insomma applicato il bollo di persona con
handicap. Sentivo con assoluta certezza che se
avessi dovuto fare mio quel bastone la mia vita
avrebbe perso ogni senso, non sarebbe più stata
degna d’essere vissuta. Avevo anche paura di
essere considerata «diversa». Questa situazione
con i suoi alti e bassi durò ben due anni. Quello
di modificare la propria immagine è un lungo
Giornale Retina Suisse 3–4/2005
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processo. L’andare in giro con il bastone bianco
non si conciliava insomma in nessun modo con
l’immagine che mi ero fatta di me. Finché un
giorno un’amica mi disse: «Fa senso vedere come
te ne vai in giro a tentoni. È veramente strano
per una persona indipendente come te». Mi accorsi allora che l’immagine che mi ero fatta di me
non corrispondeva più con la realtà. Dovevo imparare ad accettare un’immagine di me CON il
bastone bianco, dovevo riuscire a sentirmi valida,
degna d’essere amata e sicura di me anche con il
bastone in mano. Dovevo insomma imparare a
sentire come sentono le persone normali. Il passo
decisivo fu, in sostanza, di realizzare che non era
questione di aspettare per vedere che cosa ne
avrebbero fatto di me gli altri appena avessi avuto il bastone in mano. Era piuttosto questione di
capire a che cosa associavo il bastone bianco e
come io stessa mi percepivo con il bastone in
mano.
La propria immagine (negativa)
Forse, in quanto persone diventate cieche tardi
facciamo una tale fatica ad accettare la situazione perché pensiamo per immagini. L’immagine
«io con il bastone in mano» non riuscivo ad accettarla in nessuna maniera finché un giorno, fatidico, la mia amica mi disse che in fin dei conti
rimanevo la stessa di prima, anche con il bastone
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Giornale Retina Suisse 3–4/2005
bianco. Mi disse pure che al momento io non ero
più io, ma soltanto una pallida ombra di quella
che ero stata. Fino a quel giorno mi tormentava
l’indefinibile paura che, appena avessi messo mano al bastone bianco il mondo attorno a me si sarebbe automaticamente modificato. Allora cominciai poco a poco a capire che nella mia testa
stava capitando qualcosa che era in relazione con
la mia propria immagine di persona con il bastone bianco. La cosa paradossale era che il bastone
me lo portavo appresso già da parecchio tempo,
piegato e ben nascosto, segno palese di quanto
mi sentivo responsabile di me stessa. Pensavo infatti che se una volta mi fossi trovata in una situazione senza via d’uscita l’avrei avuto a portata di mano. Infatti era un passo da gigante se
qualche volta, quando proprio ero bloccata, lo
toglievo dalla borsa e lo tenevo in mano senza
peraltro dispiegarlo. Appena mi decisi ad usarlo
veramente mi sentii subito sollevata perché
tutt’attorno la gente mi dimostrava comprensione e riguardi. Mi accorsi pure che da due anni
andavo guardando – o meglio ascoltando – con
invidia le persone con il bastone bianco. Credo
fosse perché percepivo che erano mille miglia
«più avanti» di me, che erano riuscite in ciò che a
me non riusciva ancora. Intanto c’erano voluti
quattro anni per iscrivermi a un corso d’orientamento e mobilità. Quattro anni nei quali mi ero
Giornale Retina Suisse 3–4/2005
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in ultima analisi isolata completamente e mi ero
accollata un gran mucchio di limitazioni.
Infine la decisione
Nella primavera del 2002 mi iscrissi finalmente a
un training d’orientamento e mobilità e aspettai
con immensa impazienza l’inizio delle lezioni.
Ora sentivo che mi ci voleva solo ancora una
spintarella per imparare a fare mio il bastone, a
farlo diventare parte della mia persona, a integrarlo nel mio modo di presentarmi e di percepire il mio corpo.
Ora sapevo che mi rimaneva da fare soltanto ancora un passettino, che ci voleva soltanto quel
piccolo passo per imparare a «essere» una persona con il bastone bianco. La mia testa era piena di idee confuse e balorde, pensavo che andando in giro con il bastone bianco non avrei mai
più potuto guardare nulla. Avevo l’impressione
che avrei sempre dovuto stare a capo chino, con
gli occhi rivolti al pavimento o alla strada. Ma
come avrei dovuto comportarmi? Quando finalmente giunse la mia prima lezione di orientamento e mobilità i miei sentimenti nei confronti
del bastone bianco mutarono assai velocemente.
Il mio insegnante di riabilitazione per prima cosa
mi mostrò come il bastone andava tenuto correttamente in mano. Sentii presto che stavo sviluppando il mio proprio modo di camminare e che
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Giornale Retina Suisse 3–4/2005
stavo integrando il bastone nella mia percezione
del corpo. Fintanto che l’insegnante di riabilitazione camminava al mio fianco riuscivo a farne
una specie di gioco. Ma quando dopo la lezione
incontrai un conoscente ripiegai subito il bastone
e lo nascosi nella borsa. Mi accorsi però subito
come erano incerti e titubanti i miei passi accanto al mio conoscente e penso che anche lui se ne
rese presto conto. Di solito, quando ci incontravamo, mi riaccompagnava sempre a casa. Quella
volta, invece, mi disse che era di fretta e che in
fin dei conti avrei potuto servirmi del mio bastone. Mi trovavo nel bel mezzo della città, di
quella città che in teoria conoscevo. Ero così scocciata che subito mi avviai e finii addosso ai tavolini e alle sedie di un caffè. Tutta furiosa cavai
dalla borsa il bastone e, lo giuro, da quel giorno
non esco mai più senza. Fu un’esperienza straordinaria. Di botto tutto era diventato semplice,
nessuno mi faceva più delle osservazioni e io non
mi sentivo più a disagio. Anzi, camminavo lungo
il fiume, in piena estate, in mezzo alla gente, tra
biciclette e bambini. E non capitava niente, né
spintoni né insulti. Non andavo addosso a niente
e a nessuno, la gente mi faceva posto in modo
naturale. Che bello, facevo di nuovo parte della
società, ero di nuovo normale. Ora potevo di
nuovo «nuotare con la corrente», fare parte, correre. Continuavo a camminare lungo il fiume
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Lahn, avrei continuato a farlo per ore e ore, ma
ne ero ancora un pochino intimorita. Sentimenti
indescrivibili si facevano largo, mi stava capitando l’esatto contrario di quello che prima temevo. Il cambiamento in atto era l’opposto di
quanto m’aspettavo, sentivo fortissimamente
che negli anni precedenti, nei quali mi spostavo
incerta e tutta contratta, mi ero emarginata da
me, avevo fatto tutto da sola.
Strani momenti
Ci furono ovviamente anche momenti buffi. Mi
imposi di portarmi sempre appresso il bastone,
anche quando pensavo che forse, per una volta,
ce l’avrei fatta senza. La tentazione era forte eppure ero sicura che avrei allora corso il rischio di
metterlo di nuovo da parte. Mi dicevo «quest’
esperienza devi farla, ogni giorno, finché il prendere il bastone diventa automatico». A volte ero
già fuori dalla porta di casa prima d’accorgermi
che avevo dimenticato il bastone bianco. All’inizio capitava praticamente ogni giorno. Un giorno
che l’avevo effettivamente dimenticato sentii sì
la libertà, ma però andavo di nuovo a tentoni…
Per libertà intendo quella differenza che veramente c’è con il bastone o senza. Dopo l’euforia
iniziale cominciai a sentire distintamente che ero
avvolta da un certo muro di silenzio e di vergogna, ma d’altra parte che scelta avevo?
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All’inizio camminavo molto velocemente. Avevo
sempre paura che, se mi fermavo, qualcuno mi
avrebbe chiesto se avevo bisogno d’aiuto. A poco a poco mi passò e anche la sensazione di non
poter più guardare mi passò, impiego automaticamente il mio residuo visivo, che ora mi appare
più grande. A volte avevo la sensazione di essere
stata per cinque anni su un altro pianeta. Una
volta che sul treno l’insegnante di riabiliazione
mi andava mostrando i pulsanti da schiacciare
per aprire le porte ebbi la chiara sensazione
d’avere vissuto su un altro pianeta e che durante
la mia assenza il mondo era cambiato e molto.
Eccomi! Sono di nuovo qua
Sono tante le paure e tante sono le tattiche
d’evitare le cose che si dissolvono nel nulla, che
spariscono. Tutti quei: «da lì non passo», «oggi la
luce è così tagliente», «non sto troppo bene e
non me la sento di fare quella strada». Sono anche tante le cose da riconquistare man mano. Sono in grado di rilassarmi, di lasciare che le cose
capitino, non sono più così fissata, ho l’impressione di vederci molto meglio ora che non devo
più concentrarmi così tanto. Lasciare che sia il bastone a cogliere le impressioni e sentire poi cosa
mi segnala è un processo lento. All’inizio non riuscivo a percepire le scale perché ero talmente
abituata ad avvicinarmici tastando con i piedi.
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Ora, dopo qualche mese le sento attraverso il
bastone. La mia mente è aperta ad altre percezioni e mi fa sentire il sole, il vento, la gente che
mi sta attorno.
Il processo del «distaccarsi»
I processi in atto sono due, uno è quello del mantenere le cose come sono e l’altro è quello del
lasciar fluire le percezioni nel bastone. In tal modo sono molto più rilassata, colgo molto meglio
ciò che succede attorno a me, canto di nuovo
mentre cammino veloce, sono di nuovo in grado
di partecipare «al gioco». Posso anche fare ciò
che tanto mi piace, stare in contatto con l’ambiente che mi circonda e non semplicemente
andare da A a B come su un binario senza guardare né a destra né a manca.
Tuttavia non vorrei far credere che l’handicap
non sia una brutta cosa, che basti imparare ad
accettarlo. Sono molto sollevata d’essere riuscita
a fare il passo di adottare questo bastone, ma è
altrettanto chiaro che farei di tutto per non diventare cieca e per vederci almeno «male» come
ci vedevo un tempo. La cecità che si avvicina e le
rinunce che la perdita della vista mi impone sono
cause di grande sofferenza. E sofferenza si instaura, più o meno forte a seconda della buona
forma giornaliera, quando mi rendo conto che la
gente mi tratta come se fossi disabile mentale. A
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volte cammino con il mio bastone, guardo la sua
grossa punta scorrevole e inseguo la domanda
«ma perché deve toccare proprio a me?»
Mi piacerebbe incontrarmi con altre persone che
hanno perso la vista in età adulta per discutere di
questo continuo processo di accettazione. «La RP
è un continuo lavoro di accettazione del lutto»
mi disse un giorno un’amica. Aveva ragione: devo in continuazione prendere congedo da un determinato livello del vedere, un livello appena
accettato soffrendo e un livello di qualità della
vita. Io sono per esempio arrivata a un punto che
sulle foto non riesco più a riconoscere nulla, una
grossa sofferenza! Le foto dei bimbi, dei ragazzi,
degli amici d’una volta, delle vacanze – tutto
sparito nel nulla!
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Un aiuto per cambiare treno
•
Theo Flossdorf, Germania
«No, non sono un vescovo, sono cieco e questo è
il mio bastone bianco lungo». Una piccola scossa
e il treno è fermo. Proprio bello come i bambini
sanno chiedere senza complessi né giri di parole
le cose che li interessano. Appena fuori dal treno
sento cose assai meno «carine». Mi concentro,
ah, rumore di martello pneumatico e proprio sulla pensilina dove mi trovo io. Al binario 3, dove il
mio treno doveva fermarsi, stanno facendo dei
lavori. Già al momento di aprire la porta del treno il rumore investe come un ciclone le mie orecchie, avvolgendomi completamente e coprendo
ogni altro suono, rendendomi insomma doppiamente cieco. Non c’era più molto da pensare ma
soltanto da concentrarsi al massimo. Tre gradini,
il bordo della pensilina, ecco fatto. Per fortuna
nonostante tutto quel baccano potevo fare affidamento sul mio bastone bianco. Due piccoli passi per allontanarmi dalla carrozza, ma cosa c’è
adesso? Il mio bastone incontra un ostacolo. Una
traversa di legno? No, addirittura una solida palizzata. Grazie a Dio il cantiere è ben recintato,
non c’è nessun pericolo. Per cominciare mi rilasso
brevemente e poi mi metto all’ascolto. Erano
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almeno quattro, se non addirittura cinque, i martelli pneumatici in azione. Intanto però non sento più gli altri passeggeri. Saranno già scesi con
la scala mobile e staranno raggiungendo l’atrio
della stazione? Ma scesi dal treno avranno preso
a destra o a sinistra? Non ci penso a lungo, vado
a destra e intanto conto i martelli pneumatici.
Sono solo quattro. Guadagno un po’ di tempo
mettendo a posto il colletto della giacca. E poi
continuo servendomi della palizzata come lineaguida. Dopo qualche passo qualcuno mi mette la
mano sul braccio, improvvisamente, infondendomi subito una sensazione di fiducia. E una simpatica voce di basso, vicina al mio orecchio chiede, anzi urla, se avevo bisogno di qualche aiuto e
dove volevo andare. Sono in salvo! Altrettanto
forte rispondo che sto cercando la scala mobile e
il mio interlocutore mi dice che allora devo andare dall’altra parte e subito mi offre il braccio, che
accetto ringraziando. La mia fronte si spiana, mi
sento fortunato, come guida quell’uomo non è
un novellino, lo si percepisce di primo acchito.
Prendo il suo braccio e a passo veloce andiamo
verso la scala mobile. Sono proprio cinque i martelli pneumatici, ma ora questo non ha più importanza. «Eccoci arrivati! La porto giù» dice
l’uomo e al mio tentativo di dissuaderlo – perché
a questo punto potevo farcela da solo – non dà
seguito. Siamo sulla scala mobile e adagio il ruGiornale Retina Suisse 3–4/2005
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more del cantiere si attenua. Possiamo intrattenerci quasi a volume normale. Chiedo all’uomo
se partiva con il treno con il quale io ero arrivato.
Invece di rispondere mi chiede se c`è qualcuno
che viene a prendermi. Gli rispondo di no, che
devo cambiare treno e gli chiedo se per andare al
binario 9 devo girare a destra o a sinistra. La risposta è «un bel po’ a sinistra, ma l’accompagno,
così fa più in fretta». Mi preoccupo e gli chiedo
se lui non perde il treno. La risposta è semplice
«non è un problema, parte solo fra un minuto».
Ha i nervi saldi il nostro e io ribatto con voce seria «è gentilissimo da parte sua, ma non vorrei
proprio che perdesse il treno per causa mia».
«Ma no» dice con voce tranquilla e intanto l’altoparlante annuncia i treni in partenza per Vienna,
Parigi, Mittenwald e Copenhagen. Io però non ho
voglia di sognare di viaggi, ho fretta e insisto con
il mio accompagnatore per sapere se almeno il
suo treno è uno di quelli che è sempre in ritardo.
Per tutta risposta mi dice che siamo ai piedi della
scala per il binario 9, è quello no, dove devo recarmi? «Sì» rispondo un po’ affannato, «mille
grazie, mi è stato di grande aiuto e ora spero che
riesca ad acchiappare il suo treno». Ma l’uomo
non si lascia distogliere, bonariamente mi fa notare che c’è un po’ di ressa e mi vuole accompagnare fino al mio treno. Io comincio ad esser impaziente e pur rimanendo cortese insisto che
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avrebbe perso il suo treno… Ma invano, lui si limita a rispondere con un sorriso. «La smetta,
quello non parte senza di me. Sono il macchinista».
Incontro del gruppo giovani di
Retina Europa a Stoccolma
•
Reto Hotz, Eschenring 9, 6300 Zug
Nell’estate del 2005 ebbe luogo a Stoccolma l’incontro (europeo) dell’associazione giovanile di
Retina International. Erano invitati a partecipare
uomini e donne giovani, fino a 30 anni circa, affetti da una degenerazione retinica. L’invito venne accolto da 25 ragazzi e ragazze di quasi tutti i
paesi dell’Europa occidentale. Obiettivo dell’incontro era, accanto agli aspetti societari e conviviali, lo scambio d’informazioni, segnatamente
sui temi che interessano particolarmente i giovani affetti da una degenerazione retinica.
L’incontro, perfettamente organizzato e gestito
dagli svedesi, era perciò diviso in due sezioni.
Ogni giorno erano in programma, oltre ai contributi scientifici, alle «discussioni» di carattere psicologico e alle visite a musei, attività del tempo
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libero in parte assai «esotiche» come la canoa, lo
judo o i massaggi.
Dalla Svizzera eravano andati a Stoccolma in
due, Maja Dietrich e io. Vorremmo qui soffermarci su alcune delle impressioni di quell’interessantissima e stimolante settimana.
Incontro con lo scrittore Täppas Fogelberg
Forse alcuni di voi hanno già sentito parlare di
Täppas Fogelberg. Täppas è un noto giornalista
svedese, ammalatosi di RP. Un libro del giornalista, tradotto in tedesco e quindi conosciuto anche nella Svizzera tedesca, è intitolato «Prima
che diventi buio». In quel libro egli descrive l’impatto della RP sulla sua vita. Leggendo il libro
nacque in me l’impressione che Täppas Fogelberg
fosse molto scontento tanto di sé stesso quanto
dell’ambiente in cui viveva e che infierisse contro
sé stesso e la RP. Nel frattempo il suo atteggiamento è mutato radicalmente. In occasione del
nostro incontro ci apparve contento di sé stesso
e riconciliato con il suo mondo. Raccontò con
molto umorismo e molti aneddoti, quanto tempo
avesse impiegato per arrivare infine ad accettare
la sua malattia.
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Un museo per ciechi e ipovedenti
Un giovane cieco svedese ci fece da guida in
quello speciale museo, spiegandoci le cose e rispondendo a tutte le nostre domande. Il museo
riporta la storia delle persone cieche in Svezia a
partire dal 19. secolo, il momento cioè in cui ebbe
inizio la scolarizzazione dei bambini con handicap visivo e si conclude con il quadro della situazione attuale. Vi si trovano esposti ogni genere
di mezzi ausiliari – anche quelli ormai fuori uso
da molto tempo. Le diverse scritture tattili, lettere dell’alfabeto in rilievo, sistema Moon e alfabeto braille, erano esposti assieme ad esempi e ai
mezzi e materiali per praticarle. Molti dei mezzi
ausiliari esposti non li avevo mai visti, ma neppure potevo immaginarmeli. Nello «spazio dei
sensi», un locale totalmente privo di luce, potemmo sperimentare cosa significasse essere ciechi,
non vedere nulla di nulla. Nel locale c’erano qua
e là cose che «stavano tra i piedi», che toccava indovinare. Dopo il primo percorso la nostra guida
accese la luce e così potemmo scoprire quanto
non avevamo scoperto al buio, una cosa molto
avvincente.
Ai massaggi
Un pomeriggio c’erano in programma i massaggi.
Ci chiedemmo naturalmente se avremmo dovuto
massaggiarci a vicenda, ma nessuno ci rivelò
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quello che avremmo fatto. Fu così che ci recammo in una scuola di massaggio, dove ci spiegarono le diverse tecniche. Un massaggiatore cieco
ci mostrò poi come massaggiare nel modo più
piacevole possibile la nuca dei nostri compagni
d’avventura. Per concludere ognuno di noi venne
massaggiato da un massaggiatore di professione.
Potemmo godere appieno delle diverse tecniche
esercitate su di noi.
Judo / Goalball
Un pomeriggio ci proposero invece l’autodifesa.
Un allenatore di judo ci insegnò diversi modi di
difesa, che esercitammo poi a due a due.
Dopo lo judo passammo al goalball, che da noi si
chiama torball. Le istruzioni ce le diede l’allenatore di una squadra nazionale a sua volta ipovedente. Ho già assistito varie volte a partite di
goalball, ma fu soltanto quando giocai io stesso
che mi resi conto di quanto fosse importante un
pubblico silenzioso e tranquillo. Seguivo con
l’udito le traiettorie della palla per capire da che
parte essa venisse o in che direzione andasse. Il
tappetino su cui stavo seduto mi serviva per
orientarmi nello spazio. Il goalball è uno sport
che esige una bella dose di concentrazione e il
fatto di farne l’esperienza sulla propria pelle fu
parecchio interessante.
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Kajak
In chiusura di settimana ci avventurammo nelle
acque freddine di uno dei laghi di Stoccolma o in
altre parole cercammo di non entrare in contatto
con quelle acque. Alcuni studenti del club di kajak dell’università di Stoccolma ci insegnarono
come padroneggiare le vacillanti imbarcazioni.
C’erano dei kajak da uno e da due. Ci divisero in
due gruppi e mentre gli uni navigavano tranquillamente nella verde natura gli altri organizzarono un pic-nic sull’erba. Il solcare le acque in kajak
fu divertente e interessante. Dopo qualche malinteso tecnico iniziale le cose andarono meglio
e la velocità aumentò, tanto che si riusciva ad
avanzare quasi senza sforzo.
La settimana di Stoccolma passò in un baleno.
C’era molto da vedere e ancora di più da vivere.
Il prossimo incontro ufficiale dei giovani avrà
probabilmente luogo nel 2007 in Norvegia. Ed è
certo che ci saremo anche noi svizzeri.
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Consigli e informazioni
Opuscolo informativo
sulla formazione di fisioterapista per persone con handicap visivo, edito dalla commissione fisioterapisti con handicap visivo
(KSP)
L’«Opuscolo informativo sulla formazione di fisioterapista per persone con handicap visivo in
Svizzera» fu elaborato da un gruppo di lavoro
appositamente costituito dalla «Commissione
fisioterapisti con handicap visivo». In febbraio
l’opuscolo fu messo in consultazione presso svariate istituzioni e persone del ramo. Le risposte,
le aggiunte e le proposte di modifica furono accuratamente vagliate e integrate nel testo, che
fu poi esaminato una seconda volta.
La pubblicazione comprende indicazioni in merito alla formazione di fisioterapista ciechi e ipovedenti ed è indirizzata da un lato alle cerchie
che propongono questa formazione. Essa è pensata però anche per le persone con handicap
visivo, interessate a tale formazione. L’opuscolo
offre una dettagliata informazione sui requisiti
richiesti alle candidate/ai candidati nonché sul
profilo delle istituzioni e persone coinvolte.
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L’opuscolo si sofferma sulle possibili soluzioni e
analizza gli adeguamenti necessari. Un altro tema sono le possibilità d’inserimento della formazione di persone con handicap visivo nei concetti
di formazione delle scuole di fisioterapia o delle
SUP. L’obiettivo è di rendere nuovamente accessibile la formazione di fisioterapista a persone cieche e ipovedenti in Svizzera.
Temi-chiave della pubblicazione:
a. La commissione fisioterapisti con handicap
visivo KSP (Kommission sehbehinderter Physiotherapeuten)
b. La commissione KSP informa e offre degli
aiuti specifici
c. Mezzi ausiliari per l’esercizio della professione
d. Posti per tirocini di prova, posti di stage
e. Esame preliminare dell’attitudine alla professione di fisioterapista, esami semestrali, esami
di diploma
f. Materiale scolastico, organizzazione/assetto
delle lezioni
g. Sostegno pedagogico e aiuti specifici dovuti
all’handicap
h. Posti di stage, responsabili di stage, organizzazione
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i. Sostegno durante lo stage
j. Possibilità di finanziamento
k. Fisioterapia e handicap visivo
l. Elenco degli indirizzi
m. Allegato – Modello di finanziamento per
l’accompagnamento durante lo stage
n. Allegato – Foglio informativo per persone cieche e ipovedenti interessate alla formazione
di fisioterapista
o. Allegato – Elenco dei posti per stage di prova
p. Allegato – Foglio informativo per docenti
q. Allegato – Foglio informativo per chi offre
posti di stage
A nome della commissione:
Josef Camenzind (presidente) Salzbodenstr. 12
CH-4310 Rheinfelden
Tel. 061 831 31 53, email: [email protected]
L’opuscolo è disponibile in francese e tedesco. Lo
si può richiedere a Retina Suisse, Ausstellungsstrasse 36, 8005 Zurigo, tel. 044 444 10 76,
[email protected].
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Servizio di consulenza per ciechi e ipovedenti a Lucerna: nuovo nome e nuovo
indirizzo
Il servizio di consulenza per ciechi e ipovedenti
della FSC di Lucerna e il servizio di consulenza
della «Pro ciechi» della Svizzera centrale hanno
fusionato, si sono dati un nuovo nome e hanno
cambiato sede. Ecco il nuovo nome e indirizzo
del servizio:
fachstelle sehbehinderung zentralschweiz fsz
Maihofstr. 95c, 6006 Lucerna
Tel. 041 485 41 41, fax 041 485 41 49
E-Mail: [email protected], Internet: www.fs-z.ch
A proposito…
La persona «dotata» di cecità…
…disprezza la fisica classica
vive senza orizzonti
né prospettive.
…se cade e sente dolore
non è veramente caduta.
Nel suo intimo deve rimanere in piedi,
altrimenti cade veramente
e precipita nel vuoto.
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…per lei non esiste nessun punto di fuga
e perciò sopporta sé stessa e tutti gli altri
oppure crolla sotto quel suo compito.
Il suo baricentro si situa
tra il cuore e il cervello
e non ha alcun peso.
Senza peso vaga
attraverso spazi senza confini.
Un uccello pieno di nostalgia
la porta dall’inizio al limite
di innumerevoli dimensioni ...
Ma a volte la paura di morire
la fa disperare,
la rende incapace d’agire
come tutti gli altri.
Bernd Kebelmann
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Le date da ricordare
•
Sabato
22.04.2006
Assemblea generale ordinaria di
Retina Suisse a Friburgo
Indirizzo:
Retina Suisse, Ausstellungsstrasse 36, 8005 Zurigo
Tel. 044/444 10 77, fax 044/444 10 70
E-mail [email protected], www.retina.ch
Conto postale 80-1620-2
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