Gabiano e dintorni Il mensile dal Nost Munfrà G&d Luglio - Agosto 2013 Foto di Enzo Gino Am vis d’na vira di Enzo Gino L’Amarcord estivo di un Monferrino Anche questa prima parte dell’anno se n’è andata, nel pieno dell’estate chi può si dedica ad un meritato riposo. Lo farò anch’io, anche se salvo qualche evasione di pochi giorni, la maggior parte delle ferie le passerò… a casa mia. In verità quando sono a casa mia, fra queste colline, con la famiglia, il mio Setter irlandese Cris e il mio gatto Mignin (nome della più classica tradizione Monferrina) sto come un “puciu”. Per chi come me, per lavoro si fa ogni giorno Gabiano-Torino e ritorno (oltre 140 km), tagliare un po’ d’erba, pulire la rete della mia piccola proprietà dall’assalto dei “brut” o farsi una grigliata sotto il Caco con la famiglia e gli amici nel giardino è un piacere impagabile. Come impagabile è la vista delle colline dalle finestre di casa mia. Sembrerà strano ma è da quando ero bimbo (tanto, tanto, tanto, tempo fa) che vedo quel paesaggio che non riesce a stancarmi. Crea sullo sfondo, la chiesetta ottagonale di Pozzengo e quella di San Bononio di cui odo anche il rintocco delle ore del campanile, quelle case di fronte, sono a Luvara di Mombello. Una volta vedevo tante coltivazioni, erba medica, piante di frutta: pesche in particolare, Salvia Sclarea usata per gli spumanti e qualche bosco, qua e là. Oggi invece è tutto un bosco. Ricordo il canto del gallo e il chiocciare delle galline della corte adiacente casa mia dove vivevano Elda e Restino. Ricordo gli storni che davano l’assalto alle piante di fichi ed io nascosto nei dintorni con il “flobert” che tendevo loro gli agguati, salvo dispiacermi sino a piangere quando ne catturavo qualcuno ferito e lo vedevo morire fra le mie mani. Ricordo le sere d’estate dopo cena seduto coi nonni davanti a casa a parlare, ricordo i giochi, le filastrocche: Sun la crava dal gambarè sensa corni e sensa pè, con in corni uis uis uis s’è tven-i a nan t-an fris! Ricordo il faro di Crea là in fondo, che compariva e scompariva, compariva e scompariva… e fra una luce e l’altra 2 potevi recitare giusto un’Ave Maria. Ricordo quando con nonno all’imbrunire si andava a Po a “tendi ji anguili ”, in lotta con le zanzare che in pochi minuti coprivano il dorso delle mani come una fitta peluria, tante ce n’erano; poi lanciavi nelle scure acque del grande fiume quei lunghi cavi con due mattoni alle estremità e con 10, 15, 20 lenze attaccate. E la mattina alle prime luci dell’alba dopo una notte insonne per paura che partissero senza di me, ritornare a raccoglierle; con un gancio artigianale ripescarle e mentre le tiravi fuori vedere che attaccata a qualcuna di quelle lenze si contorcevano lunghe anguille. Ricordo il vino messo al fresco calandolo nell’acqua del pozzo, ricordo Diana, Ras, Brill, i cani da caccia del nonno. Ricordo i “friciulin vert” con “l’erba dSan pet” la cicoria “tajaja fin-a fin-a” con l’aj e l’anciua , ricordo la Soma d’aj mangiata con l’avgnenga. Ricordo quando il Silvano portava il grano nel fienile e dopo qualche giorno veniva la trebbiatrice a batterlo tra polvere e rumore con tanta gente che aiutava. Ricordo le persone che non ci sono più, i loro racconti, le loro espressioni, le persone di cui loro, a loro volta parlavano, e che già allora non c’erano più. In certi momenti, guardando quel paesaggio, mi mancano ancora adesso che è passata una vita. Tra qualche giorno mio zio Renato di 92 anni verrà ad abitare con noi, è un “pezzo”, uno degli ultimi pezzi di quel mondo, anche se è vissuto altrove per una vita, è un mondo che anche lui ha conosciuto, ha condiviso e, prima ancora di me, ha vissuto. Spero di poter passare ancora tanti anni a ricordare a parlare a rivivere quel mondo con lui, in attesa che il cerchio magico delle nostre vite si sciolga trasformandole in ricordi (speriamo) piacevoli, emozionanti per coloro che ci hanno conosciuto, così come tutto ciò che ho visto, sentito, conosciuto, qui, nella mia casa, fra le mie colline hanno saputo dare piacere ed emozioni a me. Intervista al sindaco Il difficile “mestiere” del sindaco: 340 abitanti, per lo più anziani, quasi trenta chilometri di strade Comunali con un cantoniere part-time e… un territorio incontaminato Paolo Monchietto Sindaco di Villamiroglio Continua l’inchiesta sui piccoli comuni con l’intervista ai loro sindaci. Dopo Gabiano e Odalengo Piccolo è la volta di Villamiroglio con il suo sindaco Paolo Monchietto. Ecco cosa ci ha raccontato. Non facile fare il sindaco a Villamiroglio come in tutti i piccoli Comuni del Monferrato. Rispetto alla grande città il sindaco qui è conosciuto da tutte le persone, e deve dimostrare molta sensibilità rispetto ai problemi dei compaesani. Si deve cercare di risolvere i problemi dai più piccoli ai più grandi. Fra i maggiori problemi affrontati nei primi anni di mandato vi sono state le conseguenze delle avversità atmosferiche, con problemi di frane lungo le strade, 7-8 strade comunali erano infatti disastrate. Nella passata legislatura Monchietto ha fatto l’assessore “ma fare il sindaco è tutta un’altra cosa, si deve entrare nel vivo dei problemi, la gente si aspetta delle risposte e l’amministrazione deve dare dei risultati.” “Tante volte sei costretto a fare i lavori ancora prima che siano arrivati i fondi o avere messo a bilancio le spese, la strada la devi liberare, devi trovare una soluzione.” Nel comune di Villamiroglio infatti il grande problema sono le strade, “basta pensare che il nostro piccolo comune ha quasi trenta chilometri di strade comunali da gestire, con un cantoniere che dispone di 6 ore al giorno.” Il comune aveva una dipendente che faceva i servizi comunali a tempo pieno e che in questo periodo è in mobilità per problemi famigliari, un cantoniere che gestiva le strade e faceva il part -time, 24 ore mensili e poi un geometra che gestisce l’ufficio tecnico ed è dipen- dente del comune. Villamiroglio oggi ha circa 340 residenti ed anche questo comune è coinvolto nel processo di aggregazione delle unioni collinari (prima era Comunità Collinare valle Cerrina e adesso Unione Collinare Valle Cerrina) con altri 8 Comuni: Cerrina capofila, Gabiano, Mombello Monferrato, Serralunga di Crea, Odalengo Grande, Ponzano Monferrato, Cereseto, Moncestino. In tutta l’Unione gli abitanti arrivano a circa 5400, così si spera di poter avere più forza con la Regione, magari portando a casa qualche contributo. Sono già stati uniti tre servizi fondamentali, come d’obbligo, entro quest’anno: protezione civile, vigili urbani e catasto, entro il 2014 dovranno essere unificati anche tutti gli altri servizi. L’economia di Villamiroglio è basata sull’agricoltura per circa l’80%, anche se in questo settore l’età avanzata porta al pensionamento di molti agricoltori che comunque continuano a coltivare soprattutto ortaggi e qualche vigneto. Al Mercato della Piagera c’è poi l’opportunità di vendere i prodotti agricoli. Vi sono ancora 4 o 5 produttori agricoli che vendono i loro prodotti nei diversi mercati della zona arrivando sino a Crescentino e Chivasso. Grazie a un paio di agricoltori che coltivano il fieno d’estate e d’inverno curano i boschi riusciamo a mantenere in ordine il territorio tenendo sotto controllo dalle invadenti le aree abbandonate. La maggior parte della popolazione è anziana, sopra i 70 anni e quindi pensionati. Per quanto riguarda Paolo Monchietto questo è il primo mandato da Sindaco, la passata legislatura era assessore ma è da 24 anni che è in comune. In passato il Consiglio si riuniva nella sede “alta” dove è stato mantenuto l’archivio storico, mentre da alcuni anni gli uffici sono stati tra- 3 sferiti nella attuale sede che in passato era destinata a scuola elementare, risalente agli anni ’70. Una scelta dettata dalla necessità di favorire l’utenza, infatti la nuova sede oltre ad esser più centrale rispetto all’abitato è anche adiacente ad una piazza per parcheggiare, anche per coloro che hanno problemi di mobilità, il comune è stato realizzato nel rispetto delle norme sulle barriere architettoniche (n.d.r. ed è l’unico per quanto abbiamo visto sin’ora). Domandiamo: ma perché “da fuori” la gente dovrebbe venire a Villamoroglio? “Perché è un territorio ricco di strade campestri ideali per trekking a piedi, in mountain bike o a cavallo; stiamo procedendo alla segnalazione di questi percorsi. Quest’anno è stato il turno di quello di Vallegioliti con le indicazioni, classificazioni, e corredato di carte stradali segnalate e descritte con l’indicazione di cappellette, chiese e punti che hanno segnato la storia di questo territorio con eventi come la resistenza partigiana, o altri fatti storici. Per la festa patronale di San Filippo e Michele a fine settembre verrà inaugurato una altro sentiero segnalato e classificato. La cartografia verrà trasmessa al Camminamonferrato che provvederà a inserirla nei suoi circuiti di informazione. Per chi poi volesse fermarsi più giorni, attualmente è presente sul comune di Villamiroglio un agriturismo che è l’azienda biologica di Cassina Davide nota come Molino del Conte. E’ una azienda che produce confetture alimentari biologiche che vende in Italia ed anche all’estero. In passato c’era anche un altro agriturismo noto come L’ultima cascina del borgo – e che si trova a case Curto, che ha chiuso qualche tempo fa ma che presto verrà riaperta perché è stata acquistata da due giovani famiglie di persone provenienti da Torino formate da 5 e 4 unità. Una di questa arriverà a settembre ed ha già iscritto i bambini a scuola e l’altra la prossima primavera. C’è poi l’azien- da vitivinicola di Giolito Arnaldo ed una produttrice di miele squisito: Balzola Annamaria. Per il futuro il sindaco ha anche in mente di recuperare ciò che resta del vecchio castello dei Miroglio, situato fra Varengo e Villamiroglio nella zona chiamata Bric Mireu. Nel 1400 sorgeva il castello che fu incendiato. Nella passata amministrazione ed anche lo scorso anno era stata ripulita l’area e da lì si facevano passare le passeggiate. Si vuole farne un punto storico ben segnalato per consentire alla gente di poterlo visitare. Oggi ci sono ancora i resti delle vecchie mura fra cui quella che regge il piazzale principale dove una volta pulito si possono anche tenere manifestazioni. Inoltre a Vallegioliti nel piazzale davanti alla chiesa dove a maggio si tiene la Sagra dei Pois, si intende creare una zona pic-nic dove la gente il sabato o la domenica può passare una giornata con i bambini. Una zona corredata anche da servizi bagno. I Biscotti Del Lagaccio o Della Salute a cura di Damiano Gasparetto Cari amici ben ritrovati, è passato un po’ di tempo da quando ho scritto per questa rubrica, mi scuso con tutti quanti per avervi lasciati senza nemmeno un avviso, ma un susseguirsi di eventi mi ha completamente assorbito. Eccomi comunque nuovamente tra voi, per parlarvi delle tante bontà dei nostri territori cercando anche di spiegarvi come sono nate tali prelibatezze. Questa volta ho scelto di parlarvi del più tipico biscotto genovese, quello del Lagaccio, co- 4 nosciuto anche nell’ovadese come Biscotto della salute. Dovete sapere che i biscotti del lagaccio, prodotto tipico dell’omonimo quartiere genovese, nacque sulle rive dell’omonimo lago artificiale situato tra i colli di Oregina e Granarolo nella seconda metà del 1600. Ma andiamo con ordine; prima di tutto va detto che questa diga artificiale venne fatta costruire dal celebre ammiraglio genovese Andrea Doria con lo scopo primario di creare giochi d’acqua nel giardino della sottostante villa di sua proprietà. Naturalmente gli abitanti del luogo nonostante traessero anch’essi beneficio dall’opera non la videro di buon occhio, ecco dunque perché il lago assunse ben presto il nome di “lagaccio”. Sebbene l’opera fu voluta quasi per capriccio da uno dei più potenti person a g g i dell’epoca estese ben presto i suoi benefici anche agli abitanti della zona e nel 1652 per volere della repubblica nacque una fabbrica di polveri da sparo, che necessitavano per esser lavorate di grossi quantitativi d’acqua. Certo vi starete chiedendo : “cosa centra tutto questo con i biscotti? “ dovete sapere che di lì a poco, a quello stabilimento se ne affiancò un altro, questa volta alimentare che produceva gallette per lo più ad uso militare. Il biscotto prodotto era leggero, friabile e di facile conservazione e ben presto prese il Un genovese noto anche da noi nome di “biscotto del lagaccio”. In origine si trattava semplicemente di fette di pane biscottate; così trattate per la conservazione in barca, divenne ben presto un vero e proprio biscotto amato e apprezzato in tutta Genova e nelle zone limitrofe, dove ancora oggi viene prodotto e commercializzato. Ad oggi, almeno da queste parti è uno dei prodotti migliori per la prima colazione, vediamo come prepararli in casa: Ingredienti per 8 persone: 500 g di farina 00, 200 g di zucchero, 140 g di burro a temperatura ambiente, 25 g di lievito di birra, 15 g di semi di finocchio, un pizzico di sale Procedimento: Con circa 150 g di farina formate una fontana sulla spianatoia ed al centro versate lo lievito disciolto in acqua tiepida, impastate fino ad ottenere un composto morbido ed omogeneo e lasciate lievitare in luogo riparato e coperto con un panno umido fino a che non raddoppierà di volume. Disporre dunque la restante farina a fontana, sbriciolarvi all’interno il burro ammorbidito, i semi di finocchio ed il panetto lievitato. Impastate poi fino ad amalgamare per bene il tutto e rimettete a lievitare nuovamente fino a che non raddoppierà di volume. Lavorate dunque nuovamente la pasta, dividetela in 4 parti e formate con esse 4 cilindri, disponeteli ben distanziati su di una placca con carta da forno e lasciate nuovamente lievitare; quindi infornate a 180° a forno preriscaldato per una ventina di minuti. Lasciate dunque raffreddare completamente e suddivideteli in fettine spesse all’incirca un dito, rimetteteli dunque sulla placca e tostateli in forno già caldo a 160° per 10 minuti per lato. Naturalmente col tempo sono nate alcune varianti, nel caso doveste trovare ricette che contengono del liquore all’anice sappiate che questa è la particolarità che contraddistingue il biscotto della salute di Ovada Come al solito vi saluto e vi dò appuntamento al prossimo mese, qualora aveste dubbi su quanto scritto o problemi di altro genere in cucina non esitate a scrivermi. Un torta di nocciole un po’ particolare... Abbiamo già parlato della Torta di Nocciole tipica della nostra terra, ora ne riproponiamo un’altra versione che ci è stata suggerita dalla sig.ra Anna Garimanno della Piagera di Gabiano che a sua volta la avuta da una ultranovantenne di nome Alda in quel di Verrua Savoia. Con l’occasione invitiamo tutte le signore (e i signori) che negli anni hanno appreso un modo personale di cucinare le ricette Monferrine di scriverci. E’ anche questo un modo per far conoscere le nostre tradizioni in cucina con le trasformazioni e i miglioramenti suggeriti dall’esperienza, dai tempi e dai gusti d’oggi. Non sarebbe poi male in qualcuna delle tante feste che si organizzano, specie d’estate, prevedere una sorta di festa con la preparazione della torta (o altro piatto monferrino) davanti a tutti. Anna ci racconta che la signora di Verrua pur avendo spiegato la ricetta a tante amiche, afferma che nessuna, secondo lei, è riuscita preparala come si doveva. Da parte nostra abbiamo assaggiata quella preparata da Anna e ci è parsa veramente buona, tanto da richie- derne la ricetta per proporla ai nostri lettori. Partiamo dagli ingredienti: 250 gr. di nocciole tostate e tritate, 200 gr. di zucchero, 200 gr. di burro che da almeno tre ore deve essere stato tolto dal frigo, 1 uovo intero, 1 rosso d’uovo e 350 gr. di farina. Quindi la buccia di un limone grattugiata, sale quanto basta, mezza bustina di lievito, 1 vasetto di marmellata rigorosamente di fragole. Passiamo alla preparazione: Amalgamare burro, zucchero, uova sale, nocciole e da ultimo la farina con il lievito. Dividere poi la pasta ottenuta a metà. Una parte stendetela in una teglia del diametro di 30 cm. Ora coprite questo disco d’impasto con la marmellata. A parte, sopra un foglio di carta da forno, stendete l’altra metà dell’impasto, spianatela come avete fatto con la metà precedente, quindi, delicatamente giratela sopra la marmellata in modo da formare una specie di sandwich con la pasta ed in mezzo la marmellata. Mettete tutto in forno a 160°C per 15-20 minuti e la delizia è pronta. 5 Imprese, territorio e... committenti Aziende, imprenditori, professionisti, artigiani seri e puntuali che sanno svolgere bene ed in maniera professionale il loro lavoro sono una condizione essenziale per valorizzare il territorio 6 Un territorio non è fatto solo di ambiente, bellezze naturali, enogastronomia, storia, cultura, ma anche di imprese serie e affidabili, che sanno svolgere bene ed in maniera professionale il loro lavoro, senza approfittarne oltre il lecito, magari perché si trovano di fronte persone non pratiche nelle complesse materie in cui invece gli imprenditori operano da anni. Ed eccoci qui a descrivere di situazioni negative presenti, in varia misura, un po’ in tutto lo Stivale, e talvolta anche da noi e come non bisogna fare. Crediamo che raccontarlo può servire ai nostri lettori affinché siano informati (se già non lo sono) dei problemi e delle difficoltà che si possono incontrare se non ci si affida a professionisti validi e seri. Ed anche segnalare quanto il ben operare sia condizione essenziale per favorire oltre che i residente di vecchia data anche l’insediamento di coloro che decidono di venire a vivere fra le nostre colline, valorizzando inoltre le tante aziende serie che operano con coscienza. Non vi è infatti niente di più negativo per l’immagine di un territorio, come talvolta capita per alcune province del sud, che la nomea di avere attività e servizi scadenti e poco affidabili (sia pubblici che privati) che richiederebbero maggiore attenzione da parte di tutti. A complicare i rapporti intervengono anche leggi poco chiare adatte più agli Azzeccagarbugli che ai cittadini onesti e istituzioni preposte a tutelare gli abusi non propriamente efficienti. Per meglio evidenziare quali difficoltà si possono incontrare partiamo da una esempio, che non ha alcun riferimento a casi specifici, ma rappresenta astrattamente una serie di comportamenti da evitare. Tenteremo di dare qualche risposta utile, anche se non ortodossa, per prevenire imprevisti e situazioni spia- cevoli, evidenziando come una collettività coesa e con forte senso comunitario può essere di grande aiuto a tutti. Immaginate un padre di famiglia che voglia trasferirsi dalla città nelle nostre colline; acquista una vecchia casetta, una delle tante in vendita, per ristrutturala e per farne la sua residenza o avviare una piccola attività. Si fa fare un progettino, ottiene tutte le autorizzazioni e quindi sulla base di qualche preventivo dà poi l’incarico ad una impresa di eseguire i lavori. Al giorno concordato viene impiantato il cantiere e iniziano i lavori. Ma passato qualche giorno il nostro committente si accorge che qualcosa non va: i lavori cominciano a rallentare, vengono fatti malamente, svogliatamente, le maestranze lavorano un giorno e non si vedono per settimane. Anche le attrezzature impiegate non sono quelle necessarie, invece di usare la betoniera, si impasta con la pala, invece di ponteggi si usano scale; scalpello a mano o piccone dove sarebbe richiesto invece il percussore o il flessibile assai più veloci e precisi, ecc… e l’impresario non si vede più. Ovviamente il committente lo cerca subito per informarlo che le cose non vanno bene, ma questi non risponde al cellulare, non si fa sentire, non richiama. Il tempo passa, parliamo di mesi, e il cantiere langue, il nostro amico comincia a stancarsi della situazione, vorrebbe mandare via l’impresa ma non può, perché, gli vien detto, la stessa dovrebbe firmare un foglio che autorizzi un'altra impresa a subentrare nel cantiere, ed ovviamente non lo fa… a meno che… non si paghi il dovuto… più il disagio per l’interruzione dei lavori, i sovracosti per le minori opere eseguite, ecc. ecc. Poi ci sono talune voci non comprese nel preventivo che il nostro padre di famiglia credeva marginali, ma alla fine costano quanto o più delle restanti opere, perché sono conteg- giate a ore, e in cantiere, si sa, non c’è mica la bollatrice. Così comincia a capire perché l’impresa usava la pala per impastare invece della betoniera, e tutto il resto, e capisce anche perché il preventivo presentato era più basso di quello di altre ditte. E scopre anche che non è sempre facile trovare un’altra impresa che accetti di subentrare in un cantiere iniziato da altri. In pratica, la cattiva impresa, vuol essere pagata non per aver svolto le opere ed averle svolte secondo le regole dell’arte, ma per… andarsene. Non solo il cantiere è stato fermo per mesi con tutti i disagi del caso per il committente, non solo sono stati eseguiti lavori malamente, ma se vuole “liberare” la proprietà da quell’ingombrante, trasandato quanto inutile (per lui) cantiere, e soprattutto da quell’impresa, deve pagare un multiplo di quello che era il preventivo. Naturalmente, a mero scopo didattico, qui abbiamo rappresentato un situazione particolarmente sfortunata per il nostro padre di famiglia, di solito non proprio tutto va così male. Ma che fare in questi casi? Non è facile perché come abbiamo detto seguendo le procedure di legge, con tutti i limiti sopra accennati, rischiate di spendere altri soldi senza alcuna certezza di successo. Ciò che invece crediamo si può, e si dovrebbe fare, è mettere in comune queste esperienze in modo che anche altri non abbiano le stesse disavventure; il tempo poi valorizzerà le imprese serie e coscienziose che sono la grande maggioranza. Inoltre è bene non affidarsi nei preventivi solo al prezzo più basso, ma piuttosto all’esperienza diretta di persone di vostra fiducia che hanno già lavorato e si sono trovate bene con certe imprese. Un tempo nelle comunità in cui tutti si conoscevano, la cosiddetta reputazione era fondamentale per godere del rispetto della considerazione e se necessario, anche dell’aiuto dei compaesani. Una stretta di mano fra galantuomini contava più di cento contratti firmati davanti ad un avvocato. Oggi, in un mondo in cui le verità legali hanno spesso niente a che vedere con quelle reali, in cui chi ha più denaro, chi può pagare avvocati migliori chi può permettersi di attendere anni, può farla franca anche se ha avuto comportamenti a dir poco scorretti. L’antidoto agli atavici limiti delle nostre istituzioni può essere il ritorno ai valori di un tempo basati sulla conoscenza diretta delle persone, su una fitta rete di conoscenze, sulla valorizzazione dei rapporti interpersonali, sulla fiducia nelle persone a noi vicine e che conosciamo, tutto ciò si costruisce parlando, discutendo, raccontando le cose belle che ci capitano ma anche le disavventure, i torti subiti. Naturalmente bisogna anche saper ascoltare chi ci parla per farne tesoro, magari diventando tramite anche con altri amici. Così, crediamo, si può contribuire a costruire una comunità migliore e magari a prevenire qualche problema o qualche ingiustizia. In passato, prima dell’avvento della Tv e dell’informazione di massa, le comunità disponevano di una “esperienza collettiva” creata passando sempre un po’ di tempo insieme a chiacchierare, magari la sera prima di coricarsi. Gli uomini privilegiavano i bar o le pro-loco e le feste patronali come luogo d’incontro, le signore invece sapevano trovare momenti d’incontro fra loro ritagliandosi piccole pause fra un lavoro e l’altro durante la giornata, magari andando a trovare un’amica con qualche pretesto. Così si creava una sorta di coscienza collettiva che univa la comunità, pur nelle sue infinite diversità. Fra i soggetti che possono essere oggetto di “fregature” vi sono non solo i cittadini ma anche le pubbliche amministrazioni che spesso non hanno la forza legale di resistere, anche difronte a richieste palesemente ingiuste. Hanno difficoltà perché sottomesse a una burocrazia debilitante, perché finanziariamente disastrate, perché gli amministratori ben difficilmente si imbarcano in cause che può vederli coinvolti nella responsabilità e, non va trascurato, pagano con soldi che non sono i loro… Per non parlare dei casi in cui hanno invece un… “interesse comune” con le controparti. Naturalmente vale per le amministrazioni quanto già detto per le aziende, così come ci sono ottime e serie imprese che sono la maggior parte, ci sono anche ottime e serie amministrazioni che, oltre a tutelarsi con contratti ben fatti, sanno far valere i propri diritti e gli interessi, che sono poi quelli della Comunità che rappresentano. In proposito ricordiamo che esiste un ente strumentale della Regione preposto proprio a supportare gli Enti locali negli appalti, che si chiama SCR (Società di Committenza Regionale) Piemonte. Nella speranza che la collaborazione, buon senso e soprattutto buona volontà possono essere la chiave per risolvere i problemi o meglio per prevenirli. G&d - Gabiano e dintorni Autorizzazione n° 5304 del 3-9-99 del Tribunale di Torino; Direttore Responsabile Enzo GINO - Sede: via S. Carpoforo 97 - Fraz. Cantavenna 15020 Gabiano Stampato presso A4 di Chivasso (TO) Associazione Piemonte Futuro: P. Iva 02321660066; Distribuzione gratuita; Per informazioni e pubblicità; cell. 335-7782879; e-mail: [email protected] G&d è scritto, stampato e diffuso gratuitamente da volontari. Per favore non sprecarlo, quando lo hai letto, se non vuoi conservarlo, passalo ad un amico o inseriscilo nella posta di un vicino, aiuterai noi, te e loro a far conoscere il nostro territorio. Se vuoi collaborare, farci avere articoli, suggerimenti o proposte, contatta la redazione. Con l’occasione la Redazione augura ai suoi lettori e amici Buone vacanze A risentirci a settembre. 7 Poesie Tanti sono i poeti Piemontesi che scrivono nel lingua Piemontese, che non è un dialetto. Meno, anche se ancora numerosi, gli scrittori e poeti in lingua Monferrina. Poi ci sono i più rari ancora, quelli che scrivono in entrambe gli idiomi. E’ il caso di Guido Cazzani da Castel San Pietro in quel di Camino; Torinese di origine ma Monferrino d’adozione, visto che nella sua casa ristrutturata nelle nostre ridenti colline da anni trascorre buona parte del suo tempo. Classe 1926, per una vita dipendente alla “feroce” da sempre, sia pure a fasi alterne, scrive poesie. Un hobby che lo ha portato a vincere più volte il premio del Circolo Rovasenda di Casale, ed a pubblicare le sue opere. Pubblicazione da cui abbiamo tratto quelle che leggerete su queste pagine. Tanto ci sono piaciute queste poesie che anche sui prossimi numeri di G&d ne scriveremo altre. Guido Cazzani con la moglie Peu dòp Dopo Ina roba sula ciam a chi ch’ijarman, sa sun stacc bun a famnu, scrivì: “a l’hava d’ijamis” Una sola cosa chiedo a chi resta, se son stato capace di farmene, scrivete: “aveva degli amici”. “Ija Stegli” Le Stelle L’é nivu, anduma bèn, s’al piov stanöcc vöi manca andà a drömi, vöi nen sarà in öcc: n’umbrèla vécc an man, cun dui stival an ti pé, andanda per lümaghi, fas al gir ad Casté San Pé. E’ nuvoloso, andiamo bene, se piove stanotte non voglio andare a dormire, non voglio chiudere un occhio: un ombrello vecchio in mano, con due stivali nei piedi, andando per lumache faccio il giro di Castel San Pietro. Vöi andà livlungh si piardi, vöi girà travers si pra, cun la ciarr dl’acetilene vöi rujà foss e carsà; vöi arduimi strach ch’me n’asu sü e ssü per i senté, v-gghi nun, sènti non, e arman-i sul cun i me pensé. Voglio andare lungo le scarpate, voglio attraversare i prati, con la luce dell’acetilene, voglio rovistare fossi e carrarecce; voglio ridurmi stanco come un asino su e giù per i sentieri, vedere nessuno, sentire nulla, restare solo con i miei pensieri. Sun pü nen mi, sun n’at, sö nen an ua chl’é Turin, al fus-t ch’am bat dadré a l’a scravà i me sagrin. Sun in uatu an mes d’in camp, sun ch’me, na lervra a giass, in vol da strurn ‘nt’al cèl: sent nanca pü i me pass. Non sono più io, sono un altro, non so dov’è Torino, la roncola che mi batte dietro ha sfrondato le mie pene. Sono una zolla in mezzo ad un campo, son come la lepre al covo, un volo di storni nel cielo: sento neanche più i miei passi. Lu sö ca sun rangià ach’me in pulot, ad fanga ampatulà, mars ch’me in aniot, ma mi stagh bèn achsì, l’è din ca sun puilit, sun vöi ch’me in quà, n’hö bsogn, a l’è al me drit. Lo so che sono conciato come un barbone, di fango inzaccherato, fradicio come un anatroccolo, ma io sto bene così, è dentro che sono pulito, sono vuoto come un astuccio, ne ho bisogno, è il mio diritto. Al mund a l’è arvirasi, l’è girasi dal cü an sü, al cèl l’é al post dl’a tèra, per v-gglu ade uard ssü: l’é vei, l’é pin da stegli che lüsu ch’me i giai-t, ijen lurr ijen al lumaghi ch’iö scrubì cun al me rasp-t! Il mondo si è rigirato, si è rivoltato all’incontrario, il cielo è al posto della terra, per vederlo adesso guardo giù: è vero, è pieno di stelle che brillano come lustrini, sono loro sono le lumache che ho scoperto con il mio raschietto!. M’an cin, ma snucc per uardà cui bei curnin e ch’me n’tin specc ijö vist l’och ijö pü crös da din! Slungh ina man, l’artür, pöss nen, ij lass astà chi vagu al so destin, chi fasu la so strà. Mi chino, mi inginocchio per guardare quei bei cornetti e come in uno specchio ho visto quello che ho più profondo in me!. Allungo la mano, la ritiro, non posso, le lascio stare affinché vadano al loro destino, che facciano la loro strada. S’fa dì, al vachi ij brogiu, ijan fam e ai türa al pecc, adès vach a ca, sun strach, vöi quatami an t’al me lecc. Uard al sach-t ch’lé vöi, arman much; ma no va ben, antant lu sava ssà: “Ija Stegli as cöiu nen!” Si fa giorno, le mucche muggiscono, hanno fame ed il petto turgido, adesso vado a casa, sono stanco, voglio sdraiarmi nel mio letto. Guardo il sacchetto che è rimasto vuoto, resto deluso: ma no, va bene, intanto lo sapevo già: “le Stelle non si raccolgono!” 8 Ina sèria con ijamis Una sera con gli mici I me amis ijen tancc, i me amis ijen tücc Ij’é nün ca ijeu an ghignun, ann’eu d’amis in mücc; ma “ijamis mé” ij’en poich, ijen cui chij’en nen falì: cun lur a stagh bèn ansèma, i me amis ij’en qui. I miei amici sono tanti, i miei amici sono tutti, non ce n’è nessuno che abbia in uggia, ne ho di amici un mucchio; ma “gli amici miei” sono pochi, sono quelli che non sono fasulli: con loro sto bene insieme, i miei amici sono qui. Ij’é nün ca l’é al pü furb o chl’è al pü sgnurr, ina roba ijuma ad bèl, cul poch ad bun imurr per piassi ch’me ca suma, uardansi bèn an t’ieucc, sensa cüntà la tara, sensa sèrca i pieucc. Non c’è nessuno che è il più furbo o che è il più ricco, una cos abbiamo di bello, quel poco di buon senso per prenderci così come siamo, guardandoci negli occhi senza calcolare la tara, senza cercare i pidocchi. Setà tur d’ina taula cun in bun bicer d’adnan, ijuma safà ad l’abundansa, l’è sé ina grissia ad pan per stà ina sèria ansèma discurind an armunia, perché la vita l’é ssa qui: stà ansèma an cumpania Seduti intorno ad un tavolo con un buon bicchiere davanti, non ci interessa l’abbondanza, è sufficiente un pezzo di pane per trascorrere una sera insieme chiacchierando in armonia, perché la vita è questa: stare insieme in compagnia. Avèj dal fèn Avere del fieno (in cascina) Suquì m’an fa visà ad cula vota, sulà m’an fa visà ad cula vira chi j’eru andà a fà cula gira, chi j’eru andà fa cula ribòta. Questo mi fa ricordare quella volta quello mi fa ricordare quell’altra volta che eravamo andati a fare quel giro, che eravamo andati fare bisboccia. Sèmp pü suens ad rabata sn sì pensé, vissi d’ij vècc, arcord chi ven-u e van; sicume j’è sèmp pü pòch da ‘dvan, al cünta ch’ai sija quaicòs da drè. Sempre più spesso si casca in questi pensieri, vizio dei vecchi, ricordi che vengono e vanno; siccome c’è sempre più poco davanti, Conta che ci sia qualcosa dietro. Ssa tant l’è avèj dal fèn an s’la casin-a: cul’erba tëndra cüi ja an gioventù anche da sëcca l’è bèl parala ssù, rümiandla pian pianin, asciand Catlin-a. Già tanto è aver del fieno sulla cascina: quell’erba tenera raccolta in gioventù anche da secca è bella mandarla giù, ruminandola pian pianino, aspettando Caterina (vecchiaia morte). Antand ad loch ch’iö avì an n’ho ssa sé, e da l’avnì a ciam né sper pü nen: cun la scorta lugaja dal mè fèn l’inver ch’al riva an fa nen frëcc i pé. Intanto di quello che ho avuto ne ho già abbastanza e dall’avvenire chiedo né spero più niente: con la scorta accumulata del mio fieno l’inverno che arriva non mi fa freddo ai piedi (non spaventa). Adam Adamo Qua ch’la vrà vista Adam, ch’lava d’la cugnissiun, per daje dament a la dona: murdinda an cul rusiun ija giuntaij la casin-a an an ùa ch’lera semp d’amsun arduinzi mendich-t a fà pu ammà al garsun. Pensà ch’la tacà poch, l’ha fach pen-a in bucun, ma antant l’è stacc a sé chi j’armanijsa an tal gardiun. Pö dop a s’è pentisi, a l’ha ciamà perdun, L’ha fin-a pruvà piansi bütansi in ginuiun; ije staij nen da faji, a l’ava nen rasun! Alura al Gabriel, mandà dal So Padrun, ciapaldlu pa i’jur-ggi al l’ha sbatulu in ti fundun an uà ch’là amprendi a starsuà e a fasi amni la sbanfun. Adès per culpa ad cul me grand, ch’le stacc al prüm cuiun, mi m’an tuca travaià, pös ne andà an pensiun! Che cosa avrà visto Adamo, che aveva del buonsenso, per dar retta alla moglie: mordendo in quel torsolo ci ha rimesso la cascina dov’era sempre tempo di raccolta, riducendosi poverino a fare solo più il garzone. Pensare che ha addentato poco, ha fatto appena un boccone, ma è stato a sufficienza perché gli restasse sul gargarozzo. Appena dopo si è pentito ha chiesto perdono, ha persino provato a piangere mettendosi in ginocchio: non c’è stato niente da fare, non aveva ragione. Allora Gabriele, mandato dal Suo Padrone, prendendolo per le orecchie lo ha buttato in fondo alla valle dove ha imparato a sudare e a farsi venire il fiatone. Adesso, per colpa di questo mio avo, che è stato il primo babbeo, io debbo lavorare, non posso andare in pensione!. 9 Gli Ufo in Monferrato In tempo di crisi anche i turisti extraterrestri sono i benvenuti. L’identikit li descrive come ingegneri che vivono in grandi città marziane... (un contadino extraterrestre non avrebbe mai calpestato così un campo di grano...) Sotto: Il progetto 10 Da qualche anno a partire dall’Inghilterra si è diffusa la moda dei Crop Circles. Ossia dei cerchi nei campi di grano. Anche nel nostro Monferrato, a Robella d’Asti per la precisione, un bel mattino di Luglio sono stati scoperti dei cerchi nel grano. Articoli di giornali, discussioni e visitatori dai dintorni, ma sono stati gli Ufo o no? Abbiamo fatto una piccola ricerca su internet ed abbiamo scoperto cose interessanti. A parte i l s o l i to Wi ki pedi a (l’enciclopedia di internet) che ne fa la storia, anche sul sito del CICAP, una associazione specializzata nella ricerca dei trucchi sui fenomeni paranormali abbiamo trovato cose interessanti. Ne riportiamo alcune. Nel 2005 alcuni aderenti al CICAP hanno realizzato per dimostrazione cerchi nel grano, come hanno fatto? Ecco un estratto del resoconto. Hanno affittato il campo da un contadino di Bra con un piccolo rimborso per il danno al raccolto che avrebbero causato, hanno avvisato i carabiniere che la notte del 28 giugno sarebbe stati nel campo, ed anche l’aeroclub di fare un sorvolo il giorno seguente. Materiale usato: corde e assi. Sopraluogo il giorno precedente per riconoscere nella notte il campo e il luogo esatto dove realizzare l’opera, rilevazione col GPS del luogo esatto. Il progetto studiato prevedeva un cerchio di 30 metri di diametro, con le misure del campo disponibili non si poteva fare di più. La notte, volendo imitare in tutto e per tutto i burloni (circle-maker) che ovviamente operano di nascosto, hanno usato vestiti scuri niente luci o quasi. Un po’ di attenzione nel camminare fra le spighe magari seguendo le tracce lasciate dal trattore; appena avviata l’opera il problema non si pone più, basta avere l ’accortezza di camminare sul graL’opera finita no “schiacciato” . Tutto qui! Sotto potete vedere le foto dell’operazione. Un po’ di storia I cerchi nel grano (in inglese crop circles), o agroglifi, sono aree di campi di cereali, o di coltivazioni simili, in cui le piante appaiono appiattite in modo uniforme, formando così varie figure geometriche (talvolta indicate come "pittogrammi") ben visibili dall'alto. A seguito del numero crescente di apparizioni di queste figure (soprattutto in Inghilterra) a partire dalla fine degli anni settanta del XX secolo, il fenomeno dei cerchi è diventato oggetto d'indagine per determinare la genesi di queste figure. Si sa con certezza che molti cerchi, compresi quelli di complessità maggiore, sono realizzati dall'uomo, come ad esempio quelli realizzati da Doug Bower, Dave Chorley e John Lundberg. Bower e Chorley, che diedero l'avvio alla moda del disegno dei cerchi nel grano in Inghilterra negli anni ottanta, furono poi insigniti del Premio Ig Nobel nel 1992 per l'ideazione della loro burla. Non esiste alcuna prova che metta in dubbio l'origine umana di tutti i cerchi nel grano, anche se varie ipotesi, totalmente prive di riscontri ed evidenze scientifiche, sono state avanzate per cercare di spiegare in modo alternativo la creazione di tali figure: dalla spiegazione paranormale a quella ufologica. I disegni a Robella (foto di Melania Buriola) Sopra : i disegni a Robella A sinistra : uno dei tanti bei disegni nel grano. 56.450 mq composto da 409 cerchi. Un risultato positivo l’iniziativa l’ha avuta, ha dimostrato che tanta gente è ancora attirata dall’arte, infatti i crop-circle sono una vera e propria forma d’arte. E chissà che il prossimo anno non ne organizziamo uno noi di G&d... I circle maker all’opera Gli strani effetti della polvere alla luce di flash 11 I catechisti di Gabiano e papa Francesco approfondire la conoscenza del Papa che in pochi giorni di Pontificato ha già conquistato il cuore e l’affetto del mondo intero, anche di chi non si riconosce nella religione cattolica. Analoghi opuscoli sono stati preparati in passato su Madre Teresa di Calcutta e su Giovanni Paolo II. Fra i titoli molti dedicati ai ragazzi ed ai bambini. L’iniziativa verrà ripetuta anche nel periodo natalizio ed il fondi raccolti andranno a sostenere le spese per la manutenzione della chiesa e dell’oratorio. Biodiversità Monferrina ovvero gli altri Monferrini... non umani A destra Libellule: un “galuciu” (in basso) con le ali strisciate di bruno e una “sgnur-tta”. Scientificamente il primo è Sympetrum pedemontanum. Note a tutti soprattutto perché divoratrice di zanzare. Un tempo diffusissima nelle risaie e nelle nostre colline oggi quasi scomparsa a causa dei diversi sistemi di sommersione (alternate) delle risaie che non ne favoriscono la riproduzione. Vani i tentativi di diffonderle ricreando laghetti e “bule” d’acqua artificiali. Ne esistono numerose varietà diffuse nei diversi ambienti acquatici. Per la cronaca il nome Libellula deriva dal latino "libra", ovvero bilancia, così detta perché nel volo tiene le ali orizzontali. Sopra: il Canapino: è diffuso nell'Europa occidentale e in Africa nord occidentale dal Marocco alla Tunisia. In Italia è presente nel periodo estivo ed è nidificante in tutta la penisola e in Sicilia. Sverna in Africa tra la Guinea e la Nigeria. Predilige i versanti collinari ben esposti al sole, caldi e secchi, con vegetazione bassa e cespugliosa. Ama anche la vegetazione termoxerofila lungo i corsi d'acqua, intervallata a salici e ontani. Il Canapino pesa mediamente 10 - 12 grammi, è lungo 13 cm e nell'aspetto ricorda molto un Luì. Superiormente è di colore olivastro mentre inferiormente è giallo. Il sopracciglio è giallo. Rispetto al Luì presenta una fronte alta che con il becco forma un angolo mol- 12 to più stretto. Caratteristico è il canto che viene emesso dall'alto di un cespuglio o di un arbusto, e che presenta alcune imitazioni di alti uccelli in particolare di Rondine e Passero. Giunge sulle colline del Basso Monferrato in Aprile - Giugno e riparte alla fine dell'estate tra Agosto e Settembre. Qui è nidificante e la consistenza numerica della popolazione è soggetta a fluttuazioni piuttosto alte da un anno all'altro per i continui mutamenti a cui è soggetto il suo habitat naturale. La bancarella allestita nella chiesa di Gabiano Interessante iniziativa dei catechisti della parrocchia di Gabiano, che durerà sino a domenica 8 settembre prossimo. E’ stata allestita una bancarella all’interno della Chiesa con un centinaio fra libri e DVD prodotti dalla nota casa editrice - Città nuova specializzata in testi sacri. Fra di essi un opuscolo preparato proprio dai catechisti sulla vita di Papa Francesco dalle sue origini sino alla salita del soglio Pontificio, il titolo è emblematico: “Papa Francesco un uomo guidato dallo Spirito Santo” in cui è anche riportata una utile bibliografia per chi volesse