Anna Maria Ambrosini Massari L’EDUCAZIONE SENTIMENTALE: SIMONE CANTARINI E FANO …provò gran vantaggio dall’aver fatte tutte le sue fattighe in Fano nell’adolescenza1. Nel nostro mondo mediatico e ipertecnologico non esistono più le varianti. Quando ci penso, questo dato semplice, che da un certo punto di vista può risultare senz’altro una conquista - quello che decidiamo di tralasciare nelle versioni finali dei documenti, viene semplicemente cancellato, basta un gesto, un semplice click-mi angoscia. Va perso tutto il senso di un’opera di scrittura: quella fatica, lenta e progressiva, estenuante, che conduce alla redazione finale e che rivela le ragioni più intime, contraddittorie, della definizione degli argomenti e della connessa eliminazione di quelle notizie che distoglierebbero dall’obiettivo principale. Senza il confronto tra le carte inedite e la redazione finale della Vita di Simone Cantarini scritta dal suo principale biografo, Carlo Cesare Malvasia, punto di riferimento di tutta la storiografia a venire, non avremmo, oggi, potuto ripensare con l’aiuto di spunti concreti, modi e termini della sua formazione e della sua intera carriera2. Esigenza pressante, osservando le opere; primo e ultimo motore della ricerca storico-artistica, che dimostravano qualcosa di diverso da quanto l’edizione ufficiale volesse propagandare: Cantarini soprattutto allievo del grande Guido Reni, con un taglio netto su tutto quello che non interessava, vale a dire, gli snodi della educazione in patria, i luoghi e i modelli, i tempi di un apprendistato ben più variegato e complesso di quello che infine viene consegnato alle stampe. Fano, ovviamente, ha fatto le spese, come Pesaro, di questa selezione a favore di Bologna, salvando solo poche note di stampo aneddotico, in linea con lo schema generale della Vita di Cantarini, quello di un artista geniale ma penalizzato da una personalità ribelle, passionale all’estremo, venale e specialmente caratterizzata da una superbia che infine lo rendeva vittima delle sue stesse passioni, in tutti i campi3. Malvasia non nasconde i suoi intenti. Dice chiaramente che la sua commemorazione riguarda soprattut- to ciò che a suo, e mio tempo, gli succedette, particolarmente in Bologna,…4. Fano risulta una tappa del pittore già maturato alla scuola di Claudio Ridolfi e ancor più sui modelli di Barocci e Guido Reni visto a Pesaro, con l’arrivo in Duomo della pala Olivieri, la Madonna in gloria coi santi Tommaso e Girolamo, oggi alla Pinacoteca Vaticana. Volle pertanto vedere i capolavori del Reni e Fano, in San Pietro in Valle e la ‘gita’ gli fruttò la commissione di uno almeno dei laterali alla pala di Guido sull’altare maggiore, così, come per magia. Opera grandemente ammirata, quella che ne derivò, il nostro San Pietro che risana lo storpio, proprio perché seppe aderire totalmente allo stile del maestro. Ma il pittore ardimentoso era insoddisfatto, sentiva sempre più l’esigenza di stare accanto a quel maestro, di andare a Bologna e, provvidenzialmente, un’archibugiata seguita alle sue frequenti e impenitenti licenze amorose, lo fece convincere ad andarvi effettivamente, anche perché ormai, per il suo carattere altero e le sue intemperanze, si era alienato ogni simpatia e appoggio. Così, il quadro moralistico di Malvasia, che non regge, come vedremo, il riscontro sulle opere fanesi, in particolare la pala di San Pietro in Valle, che rivela una conoscenza dei modelli bolognesi di Guido Reni, che solo dopo essere stato colà avrebbe potuto avere, oltre a richiedere una messa a fuoco di altri punti del testo, rivelatori, specialmente quelli delle note, poi lasciate inedite. Ne metteremo insieme diverse, tutte rivelatrici e documentabili, tutte in linea con un percorso plausibile, piuttosto che con la narrazione aneddotica. E cominciamo con quella più intrigante, quale è la frase scelta a timbrare gli snodi di questo scritto, appunto: provò gran vantaggio dall’aver fatte tutte le sue fattighe in Fano nell’adolescenza, quando non fu di prima che fosse distornato dalli affetti libidinosi e gonfiato dalla superbia 5. La frase della carte inedite è molto precisa. A Fano il pittore fece il suo apprendistato e fu cosa che gli Cavalier D’Arpino, Il transito di san Giuseppe, Fano, San Paterniano 35 garantì risultati largamente positivi. Importante poi la precisazione di quando ciò dovette avvenire, in un periodo davvero basilare per gli orientamenti e gli indirizzi: l’adolescenza, fase che, anche se scalata su un arco temporale non perfettamente precisabile, non può andare oltre i diciotto anni. Questo non significa certo che in quel periodo l’artista eseguì le pale fanesi, o perlomeno tutte in blocco, secondo un’interpretazione superata della mobilità degli artisti, soprattutto trattandosi di una località piuttosto vicina, anche per le modalità di spostamento dell’epoca, alla città di origine e di residenza della famiglia, cioè Pesaro. Vuol dire però che si dovrà valutare, come già ampiamente fatto con riscontri positivi nel riassestamento della comprensione della poetica artistica di Cantarini per quanto riguarda i rapporti con la città natale, che Fano si pone come uno dei luoghi di educazione, rapporti e attività del pittore, fin dagli esordi. Specialmente tenuto conto che il giovane Simone dovette mostrare ben presto le sue doti e con esse le sue ambizioni e si volgesse per prima cosa verso le più vicine realtà che mostravano novità interessanti, Ludovico Carracci, Madonna in gloria coi santi Orso ed Eusebio, Fano, Duomo 36 come era indubbiamente Fano già da qualche tempo6, soprattutto per l’orientarsi della committenza più scelta verso quella pittura bolognese che doveva imprimere una svolta determinante di modernità. Fano si apre alle voci più alte ed anche contrastanti di quell’eloquio. La pala di Ludovico Carracci, firmata e datata 1613, realizzata per il Duomo di Fano nella fase più avanzata della carriera è isolata ma sintomatica testimonianza che lo vede rappresentato nelle Marche. Si tratta di una scelta che marca la distanza con quella che di lì a pochi anni, tra 1617 e ’19, porterà Domenichino nella stessa chiesa, a decorare con le Storie della Vergine la cappella di Guido Nolfi, approntando un manifesto sintomatico del coté prevalente e preferito dai committenti marchigiani, che risolve in dolci e nobili armonie gli sbattimenti di luce e gli umorosi contrasti di Ludovico che porta una ventata di ‘natura’ ed ‘espressione’, in netto contrasto con l’oleografica distillazione formale del Domenichino. Memorie sotterranee ma vibranti dalla pala fanese di Ludovico si distillano negli esordi di Simone Cantarini: l’umore plumbeo, rigonfio di pioggia dello sfondo, la calibratura delle parti, nella pala di santa Simone Cantarini, Madonna in gloria col bambino e santi Barbara e Terenzio, Aicurzio, Parrocchiale Barbara, già in San Cassiano a Pesaro ed oggi nella Parrocchiale di Aicurzio, rimandano alla Madonna coi ss. Eusebio e Orso: arcaica nella composizione ma immersa in un’atmosfera nuovamente meteorologica, di temporale imminente 7. Devono aver catturato l’interesse di Simone, per analoghe ragioni, i tenebrosi dipinti di Carlo Bonone nella stessa chiesa, eseguiti nei primi anni del secondo decennio del secolo, appena rientrato da un soggiorno romano8. Opere nutrite di caravaggismo, che contribuiscono ad accordare il timbro più sentitamente naturalista di Cantarini, che guarda, già prima della sosta bolognese, a Ludovico e Bonone non meno di quanto guarderà al più ruvido Giovan Francesco Guerrieri, il suo principale interprete, per quanto riguarda Caravaggio. Un esempio che mi piace ripetere, tanta è la forza incrociata di sguardi che ne deriva, proviene dal confronto di questo bel disegno di Cantarini nella ricca collezione braidense9, ispirato, in una fase ben più matura e inoltrata, dopo il soggiorno a Roma, tra 1640 e ’42 circa, alla Madonna dei pellegrini di Caravaggio, dove rifluisce la memoria del Guerrieri nella commovente pala per San Pietro in Valle, con San Carlo Borromeo che accoglie i coniugi Petrucci in abito di mendicanti. Specialmente nella figura di destra del disegno si vede bene l’eco della posa quasi di tre quarti della moglie del Petrucci. Gli sguardi caravaggeschi che dovettero colpire, invece, il giovane Simone, scoprendo le tre pale di San Paterniano di Bonone furono per lui una sorta di anteprima sul tema, che si fonde col sempre più meditato ricorso, da parte del ferrarese, al naturalismo espressivo di Ludovico. Se guardiamo, per questi aspetti, il San Giovanni evangelista della Pinacoteca Civica di Bondeno, di Cantarini, dove si esprime una malinconia piena di passione, quale solo quella dei più giovani può essere, questa fusione di sguardi appare chiarissima, come pure nel confronto “angelico” tra Bonone e Cantarini - si veda alla scheda sulla coppia Agar e l’angelo -10. Indubbiamente, però, la grande novità, la vera svolta nella carriera di Simone venne, da Fano, con la visione delle opere che vi inviò Guido Reni, dentro il meditato programma innovatore impostato con fermezza dal padre filippino Girolamo Gabrielli nel tempio di San Pietro in Valle. Il richiamo alle esercitazioni fanesi durante l’adolescenza rende tanto più plausibile un fatto che già si rendeva probabile: per quale ragione, cioè, Simone avesse dovuto attendere oltre i primi anni Trenta del secolo, dopo l’arrivo della pala Olivieri di Guido a Pesaro, per decidere di andarsi a vedere le pale di Fano posizionate sugli altari Gabrielli e Marcolini Carlo Bononi, Un angelo avvisa san Paterniano della morte, Fano, San Paterniano dai primi anni Venti. Tanto vorrebbe la solita aneddotica malvasiana, che assesta il copione usuale della conversione improvvisa e totale, devota e assoluta, sulla visione della Madonna in gloria col bambino e i santi Girolamo e Tommaso del Reni, della quale Cantarini avrebbe poi fatto tante copie sparse, come quelle, per esempio, conservate presso la Fondazione Cassa di Risparmio di Pesaro e di Fano (qui esposte), documenti esemplari del tributo dovuto a una tanto assestata tradizione storiografica. Ma quando quella superba pala giunse a Pesaro, offrendo senza alcun dubbio al pittore nuovi motivi per decidersi definitivamente di trasferirsi a Bologna, egli era ormai, comunque, un artista ben formato, con alcune significative esperienze alle spalle, apprezzato e attivo, forse già spintosi almeno una volta verso Bologna per tastare il terreno e molto probabilmente lambendo quei luoghi al ritorno dal viaggio di educazione a Venezia, da collocare attorno al 162811. D’altra parte, è ‘il doppio’ di Malvasia12 a fornirci alcune indicazioni, anch’esse eliminate nel testo definitivo, di una mobilità di Cantarini tra Pesaro e Bo37 logna più frequente e agile rispetto alla tradizionale scansione dei due periodi bolognesi e di un fugace rientro in patria nel 1639. Almeno una prima visita a Bologna dovette compierla quando era ancora in stretta relazione col Ridolfi, se Malvasia racconta che la prima volta che Simone fu a Bologna, e fece vedere di suo, fu una processione, e descrive alcuni quadri abbozzati, bellissimi, di cui poi si diceva che fossero tornati e rimasti presso il suo maestro Claudio Veronese 13. Così variamente stimolato, è indubbio che la meta fanese sarà stata catalizzante per Simone, che comincia ad essere richiesto ed è già un pittore noto e apprezzato, come dice testualmente il documento del 1630, relativo alla copia commissionatagli da Guidobaldo Guiducci per il proprio altare nella chiesa pesarese di Santa Maria delle Grazie dei padri serviti14: mutato in quello di san Giuseppe [il titolo dell’altare dei Guiducci, che prima era dedicato a san Girolamo], in occasione che Simone Cantarino pittore di molto grido ne fece il quadro. Non per niente, una copia tale, che viene anteposta all’originale 15. Si trattava di una copia per la quale doveva per forza essersi recato a Fano, in quanto il suo modello era il Transito di san Giuseppe del Cavalier D’Arpino, in San Paterniano16. E certamente, lo spunto di quella committenza, così lontano dagli interessi del pittore, sarà stata una straordinaria occasione per vedere o rivedere i dipinti di Caravaggio, Madonna di Loreto, Roma, Sant’Agostinpo 38 Bonone nella stessa chiesa e poi correre ad ammirare le pale di Guido Reni. Di quelle opere e di quel grande maestro, doveva conoscere già molto, se non altro per le frequentazioni, tramandate dalle fonti, di collezioni pesaresi, dove copiava opere importanti, guarda caso in prevalenza di bolognesi. In particolare, secondo Domenico Bonamini, presso la nobile famiglia Mosca, dalle cui poderose collezioni ricavò copie da Reni, da Domenichino, da Tiziano, da Guercino: copie ch’ivi si ammirano oltre i loro originali17. Copiava un Angelo custode del Reni, forse almeno una versione di un prototipo a cui senza dubbio dovettero far riferimento anche altri allievi, come Francesco Gessi che lo eseguì nella tela della chiesa di Santa Maria Assunta a Castelfranco Emilia18. Di Domenichino si cita una Santa Catterina, il San Sebastiano di Tiziano e la Decollazione di san Giovanni Battista del Guercino19. Opere di Guido Reni poteva altresì aver visto nelle collezioni ducali, per qualche via di rapporti che poi si consolideranno grazie a determinanti protettori e committenti quali gli Albani ma che già sullo scorcio del terzo decennio dovevano essersi attivate grazie ai rapporti col Ridolfi, pittore ducale poi transitato ai Barberini, che dovette contribuire in qualche modo ad affidare al giovane artista il Ritratto di Antonio Simone Cantarini, Studio per Madonna col bambino e due oranti, Milano, Brera Giovan Francesco Guerrieri, San Carlo Borromeo accoglie i nobili Petrucci in abiti da mendicanti, Fano, Pinacoteca Civica Barberini junior, anche lui giovane cardinale, legato papale a Urbino dal 1631 ma passato documentatamente da Pesaro per una prima uscita urbinate, già nel 162920, estremi fra i quali dovrebbe datarsene il ritratto. Forse anche grazie ai buoni rapporti, almeno apparenti, con Antonio Barberini, la cui sensibilità artistica è già ben indirizzata verso il classicismo bolognese, come in un certo senso dimostra anche il felice incontro tra il giovane legato papale, e il giovane pittore Simone Cantarini, un canale di opere di quell’area e in particolare del Reni, giungeva in questi momenti presso gli esanimi Della Rovere. Livia della Rovere, vedova dell’ultimo Duca, scrive a Guido Reni, a Bologna, per ringraziarlo delle Pitture sagre uscite dalle virtuosissime mani di V.S. e da Lei cortesemente inviatemi, le quali riverirò non meno come oggetti della mia devozione, che come miracoli del suo valore 21. L’occhio di Simone doveva dunque essere già stato catturato dai nobili accenti reniani e l’innamoramento, specialmente per l’Annunciazione vista in San Pietro in Valle a Fano, doveva già essere un forte legame, poi confermato perfino nell’edizione a stampa del Malvasia22. …la Nunziata in Fano, ...la più bella tavola del mondo23. Una vera e propria dichiarazione d’amore. Con una precisazione importante, che rende ancor più vivido il racconto: …la Nunziata in Fano, sopra la quale io sentì dirgli, ch’era la più bella tavola del mondo. L’aveva dunque sentito lui stesso, con le proprie orecchie, dalla viva voce del Pesarese. Magari una delle volte in cui poteva averlo incontrato a Bologna, oppure quando venne a Pesaro e si trattenne diverso tempo con Cantarini, sia nel suo studio, che in giro per la città24. Per esempio in San Francesco, dove, nel silenzio profumato d’incenso e al fioco chiarore delle candele, il pittore si affanna a spiegargli tutte le bellezze della Beata Michelina di Federico Barocci, cui affianca la pala fanese del Reni, la più bella di tutte. Questo punto torna con la stessa enfasi e le stesse considerazioni, sia nelle carte inedite che nell’edizione della Felsina Pittrice, anche se qui, più sintetiche. Federico Barocci sta al fianco di Guido Reni, per la profondità dell’influsso, del ricordo, dell’emozione, che suscitava nel pittore, che gli si testimonia debitore specialmente per la tecnica, raffinatissima e insuperata, di rendere gli effetti più naturali. La Beata Michelina di Barocci e la Annunciazione di Reni in San Pietro in Valle a Fano, sono il terreno di un’adesione tutta emozionale, appassionata: quadri del cuore. E se il magistero del grande pittore urbinate risulta effettivamente più un grande modello tematico, affettivo e poi un vero e proprio lascito determinante sul piano della tecnica, quello che proviene da Reni sarà svolta stilistica, emulazione costante, riconoscimento di sé. La Annunciazione del Reni diventerà una delle sue opere guida, sempre ricordata, più volte copiata, disegnata, immaginata, variata. Un tema sul quale conosciamo diversi studi grafici, tali da far pensare senz’altro a più di una redazione pittorica25. Ma è forse un disegno della Biblioteca Nacional di Rio de Janeiro, che mostra una più puntuale, se pur personale attenzione per il modello fanese26. D’altra parte, osservando quella che si può azzardare di pensare come la sua opera di esordio, o comunque, tra le primissime prove della sua carriera, la Beata Rita della chiesa di Sant’Agostino a Pesaro, probabilmente eseguita entro il 162927, va ulteriormente rilevata, accanto alla chiarissima matrice veneta e ridolfiana e alla evocazione del modello proprio della fremente, terrosa, Beata Michelina, un precoce interesse per un fare nuovo, una nuova calibratura nel rapporto della luce e dell’ombra, con una furtiva citazione che proviene dall’Annunciazione di Fano, di quell’angioletto proteso dall’alto, come sputato fuori dalle nuvole, con le mani incrociate, meno teatrale di Reni, che lo isola nello squarcio d’oro che si apre in cielo, rimbalzando sul giallo del manto dell’arcangelo, con eleganza minimalista. Non sarà un caso che quando Luigi Lanzi commenta di getto nei suoi appunti del Viaggio del 1783 questo quadro, lo colpisca proprio quell’angioletto, nel contesto di un’opera un po’ compromessa, per il resto, da interventi successivi: A S. Agostino la Beata Rita, quadro ritocco; rimane nel suo essere un Angelo della gloria bellissimo 28. La Beata Rita della chiesa di Sant’Agostino a Pesaro ci introduce, altresì, anche nell’ambito di un contesto di committenza di notevole importanza e continuità nella vita e nella carriera del pittore, con una sezione significativa che riguarda proprio la città di Fano. Si tratta del rapporto con l’ordine degli Agostiniani che, come si vede, ebbe origine fin dagli esordi del pittore e non si interruppe mai, riproponendosi, nel tempo, con altre commissioni importanti, in particolare in rapporto con la terra d’origine e le aree vicine29. Come per la pala con la Madonna col bambino in gloria che porge la cintura dell’ordine ai ss. Agostino e Monica, realizzata per il convento di Brettino30, non lontano da Fano - si veda più avanti -. Un dipinto senz’altro precedente al primo trasferimento a Bologna, verso la metà del quarto decennio ed anzi, con tutta pro39 babilità da identificare con la gran tavola in picciola chiesa 31, eseguita sull’onda dell’impatto della Madonna col bambino sulle nubi coi ss Tommaso e Girolamo, oggi alla Pinacoteca Vaticana ma eseguita per la cappella Olivieri nel Duomo di Pesaro, cui, in particolare nel gruppo celeste, la pala di Cantarini si ispira in maniera palese. Anche la bellissima pala con l’Immacolata e i santi Giovanni Evangelista, Nicola da Tolentino ed Eufemia, commissionata dalla nobile famiglia dei Gavardini, originaria del bresciano ma residente a Pesaro, dovette avere una destinazione originaria agostiniana, purtroppo ignota, data la presenza di due rappresentanti così significativi di quell’ordine, quali Nicola da Tolentino ed Eufemia32. Più tardi, senz’altro dopo il 1638, e forse di qualche anno, come ha stabilito un documento per la dotazione dell’altare e come connota inequivocabilmente lo stile maturo del dipinto, Cantarini dipinse per gli agostiniani di Fano, la Vergine con il bambino che appare a san Tommaso da Villanova - si veda più avanti - che si trovava in origine sull’altare dedicato appunto alla Vergine e a quel santo, nella cappella Corbelli dell’antica chiesa di Santa Lucia a Fano, strettamente collegata al convento agostiniano di Brettino, cui venne concessa nel 126533. Il rapporto con l’ordine dovette principiare nel nucleo delle sue relazioni familiari e dei contatti con ‘vicini di casa’: alcune delle più importanti e influenti famiglie della città, tutte variamente connesse col destino del pittore. Avevano i loro altari nella chiesa di Sant’Agostino, dove più tardi sarà segnalata anche la sepoltura di famiglia, del padre di Cantarini, Girolamo e poi del fratello Vincenzo34. La chiesa è situata di fronte alla casa dove il pittore nacque e trascorse infanzia e adolescenza, come ricorda una targa sopra la porta d’ingresso. La sua parrocchia, San Cassiano, dove tuttora sono conservati i registri dai quali sono emersi i principali atti di nascita e morte del pittore e dei suoi congiunti e per la quale dipinse la già menzionata pala oggi a Brera, con Madonna col bambino e i ss. Barbara e Terenzio, non era lontana: scendendo dalla Piazza del Popolo lungo il corso di Pesaro, si incontra a sini- Guido Reni, Annunciazione, Fano, Pinacoteca Civica Simone Cantarini, Studio per Annunciazione, Rio de Janeiro, Biblioteca Nacional 40 Guido Reni, Annunciazione, Fano, Pinacoteca Civica, particolare Simone Cantarini, Beata Rita, Pesaro, Sant’Agostino stra, sullo stesso lato della casa del pittore, poco più avanti. Tra casa Cantarini e San Cassiano si ergeva l’imponente facciata del Palazzo dei Bonamini, tra i primi mecenati del geniale concittadino. Sappiamo, in aggiunta, che uno dei fratelli di Simone, il più giovane, Giovanni Antonio, nato nel 1621, diventerà un frate agostiniano35. Mi ha intrigato immaginare proprio questo fratello, in un bellissimo disegno di Simone, che traccia con intensa partecipazione l’effigie di un giovane frate36, poco più che adolescente. Sarà poi lui ad assisterlo fino alla morte, che avvenne proprio nel convento agostiniano di Sant’Eufemia a Verona, dove risiedeva e dove accolse il pittore già malato, reduce dallo sfortunato periodo presso il duca di Mantova37. L’intraprendenza e le doti del giovane pittore, il suo linguaggio così variegato e al tempo stesso ben indirizzato verso quelle novità del classicismo bolognese che tanto piacquero nella città di Fano, potevano da sole essere sufficiente viatico al suo successo. Sappiamo infatti che furono le prime prove di impianto reniano a garantirgli i primi impegni fanesi38. Un successo che continua e si assesta, scalandosi dalla pala di Brettino, a quella per i Corbelli, al capolavoro per i Marcolini in San Pietro in Valle39. Simone si fece apprezzare in patria, guadagnandosi la nomea di secondo Guido40, senza dover attendere, come vorrebbe l’aneddotica del Malvasia, almeno la metà del quarto decennio per la scoperta folgorante della pittura del Reni41. I rapporti con Fano come con Pesaro non dovettero mai venire meno. Cantarini non interruppe mai la sua operatività per la terra d’origine, neppure negli anni al culmine del successo, quando gestiva una fiorente bottega bolognese, dopo il 1642, era organizzato in modo da gestirne una, altrettanto vivace, a Pesaro, alimentando le richieste del collezionismo locale42. Quanto poi, in questo percorso, dovettero pesare i rapporti e le conoscenze del pittore e della famiglia, non è dato valutarlo in maniera netta ma si tratta comunque di relazioni che inanellano occasioni e opportunità significative. Ciò vale per gli Agostiniani e poi per i Filippini, prima a Fano e poi a Pesaro. Le sue aspirazioni imprenditoriali, per quanto piuttosto frustrate nel corso di tutta la carriera43, possono avere avuto un ruolo, nel cercare di favorire le commissioni, di sfruttare le conoscenze, di attivare una rete di agenti, quali il padre e il fratello Vincenzo, che garantissero continuità e consistenza degli impegni44. L’isolata presenza a Pesaro di opere del Guercino, documentata oggi nel bel frammento con Santa Lucia, solo superstite della pala con Madonna col bambino e i santi Lucia, Francesco, Giovanni Evangelista e Giovanni Battista eseguita per l’altare della famiglia di Giovanni Mosca, nella chiesa di San Giovanni Battista45 in qualche rapporto con la morte, nel 1648, di Simone Cantarini46. Una specie di campo lasciato libero. Un’ interpretazione che certo solletica il nostro immaginario postromantico, stimolato dagli 41 Guido Reni, Madonna in gloria coi santi Girolamo e Tommaso, Pinacoteca Vaticana, part. Simone Cantarini, Madonna della Cintura, Fano, Pinacoteca Civica, part. aneddoti malvasiani che riguardano il Pesarese e Guercino; se il primo era arrivato a dire che ‘i suoi menchioni’ avrebbero dipinto meglio del Guercino47. D’altra parte, neppure Guido Reni ebbe più alcun rapporto con Pesaro dopo l’eclatante collocazione della pala con la Madonna in gloria col bambino e i ss. Tommaso e Girolamo, che, tra l’altro, non dovette giungere sull’altare Olivieri in Duomo troppo tempo dopo la pala di Guercino, del 1631, fornendo al giovane Simone le definitive motivazioni formative e aprendogli la strada per Bologna. famiglie estintesi a Fano ma delle quali sopravvivevano altrove discendenti: In Pesaro lasciai Girolamo Cantarini, fratello di Antonio, morto consigliere, marito della vedova Camilla Nolfi della Posterna 50. Il dato colpisce il Billi, che trovando i riscontri del ruolo di consigliere di Antonio, si chiede se quel Girolamo non potesse essere lo stesso del documento di battesimo del nostro pittore, vale a dire suo padre. Concludendo che la nascita nobile del pittore farebbe meglio comprendere l’aneddoto del Malvasia sul padre recalcitrante di fronte alla scelta del figlio di intraprendere la carriera di artista51. Ma tale coincidenza, alla luce di una panoramica più ampia dei documenti è insostenibile, in quanto l’archivio di San Cassiano rivela in maniera inequivocabile che si tratta di due Girolamo Cantarini. Il padre di Simone è sposato con la madre, Girolama Mattioli, mentre il Girolamo fanese lo ritroviamo unito in matrimonio con la concittadina Maddalena Costoletti con atto del 1601 presso la parrocchia di San Cassiano52, dove sono descritti, da Fano abitanti in questa città e parrocchia e dove li ritroviamo residenti almeno fino al 1643, quando risulta l’atto di morte di Maddalena. Indipendentemente dalla coincidenza dei due Girolamo e tenuto conto della densità di abitanti della Pesaro di allora e particolarmente dell’ambito parrocchiale, si tratta perlomeno di una singolare coincidenza, che non può escludere una qualche parentela tra i due. Tra l’altro, l’attività di mercanti dei Cantarini di Pesaro, che doveva avergli garantito un certo benessere, poteva essere stato uno stimolo per il rappresentante omonimo del ramo nobile fanese, per decidere di stabilirsi in quei pressi, proprio per esercitare la mercatura. Per quanto riguarda la famiglia Cantarini di Fano, le principali notizie si ricavano, come spesso avviene in Indizi per una utile parentela: i Cantarini di Fano. Il tema della famiglia del pittore, con la sua rete attiva e protettiva, si propone pertanto quale elemento di suggestioni anche per le commissioni fanesi, in particolare nel caso della pala eseguita per l’altare dei Marcolini in San Pietro in Valle. Una pista intrigante, già intravista nel 1866 dal canonico Alessandro Billi, nel suo opuscolo Brettino e Simone Cantarini 48 e che in effetti, alla luce di alcune notizie documentarie, da me scoperte e messe a fuoco in relazione al tema49, desta più di un sospetto su affinità parentali anche lontane fra i Cantarini di Pesaro e il ramo nobile fanese dello stesso cognome. Qualche sospetto nella stessa direzione proveniva dalla circostanza del trasferimento a Pesaro di un altro membro di quella famiglia, omonimo del padre del pittore e talora confuso con lui, ma senz’altro da distinguere, come provano i confronti fra gli atti che li riguardano nell’archivio di San Cassiano. Sul trasferimento a Pesaro di Girolamo Cantarini ci dà conferma il seicentesco manoscritto Borgarucci sulla nobiltà della città di Fano, quando parla di nobili 42 casi analoghi, dai manoscritti del citato Bernardino Borgarucci, di Ludovico Bertozzi e del conte Piercarlo Borgogelli Ottaviani53. Per quanto riguarda il nostro interesse specifico, non tanto sugli effettivi rapporti di parentela e suoi gradi ma su una sintomatica rete di contatti del pittore tra Pesaro e Fano, è l’intreccio di notizie proveniente da questi testi e da altri documenti, che già da tempo ho reperito o analizzato sotto nuova luce, a fornire indicazioni precise. Mi ero accorta, per esempio, che Antonio Cantarini era sposato con Camilla, vedova di Niccolò Nolfi, un legame indicativo di rapporti con famiglie determinanti per gli indirizzi artistici della città - basti pensare anche solo all’impiego del Domenichino per gli affreschi della cappella di famiglia in Duomo -. Ancor più interessante, il fatto che il nobile Camillo Cantarini di Fano era sposato con Francesca Marcolini, figlia del Balì Paolo e cugina di Francesco Maria, committente del Reni con la Consegna delle chiavi a san Pietro e poi del Cantarini, con San Pietro che risana lo storpio, per un laterale dell’altare maggiore della chiesa di San Pietro in Valle a Fano. Inizialmente, peraltro, con tutta probabilità anche l’altro laterale doveva essere stato commissionato al pittore, come unico e perfetto sostituto del grande Guido Reni54. Da non sottovalutare, poi, la notizia preziosa che ricavo oggi da una rilettura del suo testamento55. Camillo Cantarini nomina più volte nel testamento il canonico Corbelli, della nobile famiglia committente di Cantarini per la pala del San Tommaso da Villanova che appare la Vergine, oggi alla Pinacoteca Civica, definendolo, parente amorevole. Ma se, nonostante tutto, questi documenti dovessero essere ancora giudicati semplici spie indiziarie, ben più intrinseca al nostro tema ed illuminante in maniera esplicita è un’altra notizia, proveniente dalle genealogie nobiliari dei Cantarini di Fano, che va a confrontarsi con un documento diretto della famiglia Cantarini di Pesaro. Si dà il caso che Francesca Cantarini della nobile famiglia di Fano, figlia di Pompeo, era consorte di quell’Annibale Albani Tomasi56, che troviamo testimone al contratto dotale della sorella di Cantarini, Eleonora, nel 163957, in una posizione che indica grande famigliarità, di solito riservata a congiunti. Un documento prezioso dei rapporti con la famiglia Albani, che ho poi sviluppato nel senso di una intimità che può essere stato veicolo e garanzia dei rapporti del pittore coi Della Rovere e con Antonio Barberini, è un capolavoro della ritrattistica cantariniana, il Ritratto di Eleonora Albani Tomasi, madre di Annibale e suocera di Francesca Cantarini, con- servato nella quadreria della Banca dell’Adriatico a Pesaro ma direttamente proveniente dalla grande famiglia di origine urbinate58. Solo qualche dato per quella che rimane un’ipotesi, che comunque nulla toglie alle ragioni tutte interne alla poetica della pittura di Cantarini e alle sue altissime qualità, che gli garantirono l’apprezzamento dei committenti, anche sul versante fanese: i frati agostiniani, per la pala in origine al convento di Brettino, forse mediatori anche per la commissione della pala con la Vergine che appare a san Tommaso da Villanova, richiesta dai nobili Corbelli per il loro altare in Santa Lucia degli agostiniani, e, al centro di tutto, il Miracolo di san Pietro che risana lo storpio, che nasceva dal progetto originario di Francesco Marcolini, poi condotto a termine da quella figura di spicco nella vita cittadina, collante di motivazioni diverse, che seppe essere il padre oratoriano Girolamo Gabrielli, con la sua precisa vocazione bolognese e reniana: gusto e devozione che si compongono senza sforzo nel profilo di Simone Cantarini. Francesco Borgogelli, Stemma della famiglia Cantarini, Mss. Borgogelli, Fano, Biblioteca Federiciana 43