Indagine EURISPES
FUORI DALL’ALCOL
INDAGINE
SUGLI ALCOLISTI
IN RECUPERO
Roma, giugno 2000
Direttore della ricerca
Michele Negri
Coordinamento generale
Susy Montante
Claudio Politi
Assistenti alla direzione
Gianni Monteduro
Cecilia Causin
Mario Mazzone
Curatori
Daria Broglio
Laura Serpolli
Dario Saletti
Daniele Tagliarini
Manuela Morelli
Editing e videoimpaginazione
Micaela Carminati
Gerenza e ringraziamenti
La ricerca non sarebbe stata possibile senza l’aiuto di tutti coloro che ci hanno
consentito di reperire dati, avvicinare esperti del settore e, soprattutto, somministrare i
questionari. Un ringraziamento particolarmente sentito va quindi a tutti i gruppi di
autoaiuto che abbiamo contattato: Narcotici Anonimi, Alcolisti Anonimi (A.A.), il
gruppo Tana, e gli operatori degli altri gruppi in particolare Paola, Toto e Tito; Club
degli Alcolisti in Trattamento (C.A.T.), in particolare il gruppo Logos, e soprattutto la
Dott.ssa Uccella e Beppe; Associazione Nazionale Contro l’Alcolismo (ANCA), nelle
persone del Dott. Vittorio Robimarga e della Prof.ssa Maria Omaggio Robimarga.
Ringraziamo, inoltre, per la loro sollecita attenzione, il Professor Fabio Mariani del Cnr
di Pisa, il Dott. Allamani del Centro Alcologico Integrato del Policlinico di Careggi
(Firenze), il Dott. Alessio Saponaro dell’Osservatorio Provinciale sulle Dipendenze
dell’AUSL di Rimini.
INDICE
Capitolo 1
Struttura della ricerca
1. INTRODUZIONE
2. LETTERATURA E DATI SECONDARI
2.1. Una bottiglia di vino alla settimana
2.2. L’alcool: dall’uso e abuso
2.3. Le patologie alcolcorrelate
2.4. Cause che portano all’alcolismo e cure possibili
2.5. Alcool e guida
2.6. Politiche europee
2.7. Legislazione italiana in materia di alcool
2.8. Possibile identikit dell’alcolista: donne, anziani e giovani
2.8.1.Il consumo di bevande alcoliche tra Le donne
2.8.2. L’alcolismo in età senile
2.8.3. L’influenza dell’alcool in età giovanile
P.
P.
6
7
p.
p.
p.
p.
p.
p.
p.
p.
7
13
16
17
26
30
35
38
p.
p.
p.
38
40
40
Capitolo 2
La ricerca empirica
1. I
2.
3.
4.
5.
6.
7.
8.
9.
P.
44
1.1 L’indagine di sfondo e la definizione del campione
2.1 La costruzione del questionario
2.3.L’analisi quantitativa dei dati
p.
p.
p.
44
45
46
2.3.1. L’analisi qualitativa dei dati
2.3.2. L’analisi quantitativa dei dati: le distribuzioni di frequenza
e l’analisi bivariata
2.3.3. L’analisi quantitativa dei dati: l’ACM e la cluster analysis
IL CAMPIONE
IL CONTESTO AMBIENTALE-RELAZIONALE
DALL’USO ALL’ABUSO
L’ESPERIENZA ALCOLICA: IL VISSUTO
MALATTIA O DROGA:L’IMMAGINE DELL’ALCOOL
IL RECUPERO DALL’ALCOL
UN POSSIBILE IDENTIKIT DELL’ALCOLISTA
DELUSE, INSICURI, IMMATURI: I RISULTATI DELL’ANALISI DELLE
CORRISPONDENZE MULTIPLE E DELLA CLUSTER ANALYSIS
p.
46
p.
p.
P.
P.
P.
P.
P.
P.
P.
47
48
48
52
62
69
72
75
82
P.
93
9.1. Analisi delle corrispondenti multiple
p.
94
PERCORSI DELLA RICERCA
4
9.2. I risultati dell’ACM
9.3. Il primo piano fattoriale
9.4. Proiezione delle variabili illustrative
9.5. Proiezione degli individui
9.6. Classificazione dei soggetti
9.7. I risultati della cluster analysis
APPENDICE
Questionario
NOTA BIBLIOGRAFICA
5
p.
p.
p.
p.
p.
p.
95
96
100
103
103
104
P.
109
CAPITOLO 1
STRUTTURA DELLA RICERCA
1. Introduzione
La presente ricerca ha lo scopo di indagare il fenomeno alcolismo analizzando i
molteplici aspetti che lo caratterizzano.
La prima sezione dello studio si propone di offrire una panoramica il più
possibile completa, ancorché necessariamente sintetica, del fenomeno alcolismo
fornendo le cifre essenziali per evidenziarne le caratteristiche principali – consumi e
produzione, patologie e decessi alcolcorrelati, ecc. – e cercando di ricostruire un quadro
esauriente della situazione italiana dal punto di vista delle politiche e della legislazione.
Si è tentato inoltre di dare una definizione del fenomeno alcolismo, con non poche
difficoltà dal momento che tale problema viene analizzato da differenti ottiche di studio:
le definizioni si basano su punti di vista notevolmente diversi e difficilmente
riconducibili ad un’unica lettura. Abbiamo poi affrontato temi di attualità come il
rapporto tra alcol e guida ed analizzato le maggiori patologie alcolcorrelate, senza
trascurare i principali approcci teorici allo studio del problema e delle sue cause; un
peso notevole è stato attribuito alla trattazione delle possibili cure, con particolare
riferimento alle associazioni di autoaiuto, al cui interno abbiamo individuato il nostro
universo campionario. Uno spazio di un certo rilievo, infine, è stato dedicato
all’individuazione di possibili tipologie di alcolisti, distinte secondo il genere, l’età e lo
status professionale; tali “tipi ideali”, per esprimerci in termini weberiani, hanno poi
rappresentato un momento di riflessione importante al momento dell’analisi empirica
dei dati risultanti dalla nostra ricerca, con particolare riferimento alla fase dell’analisi
delle corrispondenze multiple e della cluster analysis di cui parleremo in seguito.
La seconda sezione del presente lavoro di ricerca è focalizzata sulla
presentazione dei risultati più significativi emersi dall’analisi dei questionari
somministrati. L’indagine tende ad evidenziare il perché ed il come sia quasi inevitabile
per alcune persone il passaggio da un uso ad un abuso di sostanze alcoliche; si è cercato
poi di comprendere ed analizzare anche lo stato d’animo in cui si trovano gli individui
nel momento in cui cominciano a bere, il tipo di esperienza relazionale prevalente ed il
percorso che li ha condotti verso l’uscita dalla malattia.
Per quanto concerne la prima parte della ricerca, abbiamo analizzato gli aspetti
più generali del problema alcolismo sia a livello bibliografico, mediante la
consultazione di manuali e testi teorici, di ricerche empiriche europee e della rassegna
stampa italiana degli ultimi anni, sia attraverso interviste in profondità con alcuni
alcolisti in recupero.
6
Nella seconda parte del presente lavoro, di natura più specificamente empirica,
abbiamo cercato di sviluppare un esame longitudinale del problema, nel tentativo di
effettuare un’analisi tipologica dell’alcolismo individuando le caratteristiche e le
modalità del bere delle varie fasce della popolazione.
Sono state prese in considerazione, variabili discriminanti quali, l’età, il sesso
degli intervistati, per sviluppare tipologie e percorsi dell’alcolismo, individuando
specifiche categorie di “bevitori”.
A tale scopo è stato costruito un questionario semistrutturato, che consentisse di mettersi in
ascolto di chi l’alcolismo lo vive o lo ha vissuto.
Il campione è stato scelto in modo casuale all’interno di alcuni gruppi di recupero presenti su
tutto il territorio italiano, allo scopo di dare voce alle diverse realtà presenti nel nostro Paese. L’unità di
rilevazione di questa ricerca quindi non ambisce a consentire una inferenza campione-popolazione ma ad
assicurare una buona rappresentatività dei casi presi in esame.
L’unità d’analisi è pertanto il gruppo, all’interno del quale sono stati scelti, in modo casuale, gli
individui che volontariamente ed in modo assolutamente anonimo si sono prestati a descrivere la propria
esperienza di vita.
Ai gruppi-campione è stata inviata una lettera con la quale veniva chiarito, nel
limite del possibile, lo scopo della ricerca al fine di coinvolgerli e stimolare la loro
partecipazione; a questo proposito è necessario sottolineare che la maggior parte dei
gruppi è stata estremamente disponibile ad essere intervistata in quanto, a loro parere, è
necessario sensibilizzare il più possibile l’opinione pubblica su un problema così
trascurato come l’alcolismo.
In una prima fase i dati sono stati elaborati con il pacchetto statistico SPSS, procedendo
inizialmente ad una analisi delle distribuzioni di frequenza e ad una più approfondita analisi bivariata; in
un secondo momento i dati sono stati trattati con il software SPAD, che ha consentito di svolgere una
analisi multivariata allo scopo di individuare i fattori principali che conducono all’alcolismo.
2. Letteratura e dati secondari
2.1. Una bottiglia di vino alla settimana
L’Italia è famosa nel mondo per la qualità dei suoi vini. La produzione e l’esportazione hanno
raggiunto negli anni livelli elevatissimi. Non c’è dubbio che l’industria vinicola rappresenti per il nostro
Paese una fonte di ricchezza essendo presenti sul territorio più di 1.000 imprese nelle quali sono impiegati
circa 10.000 addetti. Se consideriamo, inoltre, che l’esportazione costituisce circa il 40% della produzione
totale, noteremo immediatamente il significativo consumo domestico di vino, inferiore soltanto a quello
della Francia.
Nell’anno trascorso il consumo pro capite di vino si attestava intorno ai 58 litri annui, ovvero, circa
una bottiglia di vino alla settimana.
Tabella 1
I maggiori paesi produttori di vino
Anno 1998
In milioni di ettolitri
Paesi
Produzione
Italia
Francia
Spagna
55,2
54,0
32,0
7
Stati Uniti
Argentina
Sud Africa
Portogallo
Ex Urss
Germania
Romania
Australia
Cile
Grecia
Ungheria
Brasile
Austria
Fonte: Centro documentazione Eurispes.
18,0
12,0
10,0
9,5
8,0
7,5
7,0
6,7
4,5
4,0
3,8
3,0
2,3
Tabella 2
I maggiori consumatori di vino: consumo pro capite
Anno 1999
Litri per anno – stime
Paesi
Francia
Italia
Portogallo
Lussemburgo
Svizzera
Argentina
Spagna
Germania
Romania
Grecia
Danimarca
Australia
Regno unito
Svezia
Sud Africa
Stati Uniti
Canada
Giappone
Fonte: Centro documentazione Eurispes.
Litri
59
58
58
50
41
40
37
32
31
30
26
18
13
12
9
8
7
2
8
Grafico 1
La produzione di vino in Italia
Anni 1984-1999
In milioni di ettolitri
90,0
76,9
80,0
70,0
60,0
75,9
70,9
68,2
61,9
62,3
60,3
59,8
56,2
58,9
55,2
59,0
59,3
54,9
50,0
62,8
49,9
40,0
30,0
20,0
10,0
0,0
1984 1985 1986 1987 1988 1989 1990 1991 1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999
Fonte: Centro documentazione Eurispes.
La spesa media mensile di vino per famiglia si aggirava intorno alle 25.000 lire per i
Comuni capoluoghi e con oltre 50.000 abitanti ed alle 30.000 lire per gli altri Comuni ,
con differenze piuttosto sensibili tra le singole regioni. I canali di distribuzione preferiti
rimangono quelli legati alla grande distribuzione, verso la quale si rivolge il 50% della
popolazione, ed al dettaglio tradizionale (27,5%). Da notare anche la discreta
percentuale di coloro che si rivolgono ai discount (11%) e al produttore diretto (7%).
Tabella 3
Valore del consumo di vino delle famiglie italiane secondo il tipo di Comune e la ripartizione
territoriale
Anni 1999
Tipologia di Comune
Comuni capoluoghi e con oltre 50.000 abitanti
Altri comuni
Fonte: Centro documentazione Eurispes.
Spesa mensile
25.000
30.000
9
Tabella 4
Canali di vendita del vino in Italia
Anno 1999
Valori percentuali
Canali di vendita
Grande distribuzione
Dettaglio tradizionale
Discount
Produttore diretto
Ambulanti
Cash & carry
Totale
Fonte: Centro documentazione Eurispes.
%
50,0
27,5
11,0
7,0
3,0
1,5
100,0
Anche il consumo di birra riveste una sua certa importanza sebbene, come è
possibile notare dalla tabella seguente, esso non raggiunga, nel nostro Paese, i livelli
presenti negli stati anglofoni e di lingua tedesca. Guida la graduatoria, infatti, la
Germania con 142 litri pro capite annui, seguita dalla Repubblica Ceca e dalla
Slovacchia con 133. Danimarca, Austria, Australia, Gran Bretagna e Stati Uniti
superano abbondantemente i 100 litri di birra annui sebbene in questi stati l’andamento
del consumo birraio si sia dimostrato estremamente altalenante. Si registra in calo nel
Regno Unito, nella Repubblica Ceca, in Australia, mentre è in forte aumento in
Germania, Austria, Danimarca, Spagna, Francia e Giappone.
Tabella 5
I Paesi maggiori consumatori di birra
Anno 1999
Litri pro capite
Paese
Germania
Repubblica Ceca + Slovacchia
Danimarca
Austria
Australia
Gran Bretagna
Stati Uniti
Olanda
Irlanda
Canada
Spagna
Svizzera
Giappone
Francia
Italia
Fonte: Centro documentazione Eurispes.
Litri
142
133
126
121
111
105
91
90
85
83
72
70
44
41
24
10
Anche in Italia, il consumo di birra risulta essere in leggero ma costante aumento.
Soprattutto tra i giovani va dilagando tale l’abitudine che, tra l’altro, si associa al
consumo di superalcolici anch’esso in aumento. Complessivamente il consumo di alcol
ha raggiunto negli ultimi anni livelli altissimi: ai 33 milioni di ettolitri di vino ed ai 13,5
milioni di ettolitri di birra che annualmente vengono consumati nel nostro Paese (di cui
6 milioni al Nord, 2.700.000 al Centro e 4.800.000 al Sud) devono infatti aggiungersi i
25 milioni di litri di grappa (per un consumo pro capite pari a 0,4 litri annui) ed i 57 di
superalcolici (whiskey, gin, rum, liquori, ecc), corrispondenti ad un litro pro capite
annuo. Tale cifre devono far riflettere: se infatti stimiamo il consumo di alcolici sulla
popolazione italiana con età superiore ai 14 anni (verosimilmente quella dedita la
consumo di alcol) esso assume proporzioni considerevoli e preoccupanti.
Tabella 6
Il consumo di alcol e di superalcolici in Italia
Anno 1999
Litri pro capite
Consumo
Tipologia di alcolici
Litri
Vino
Birra
Grappe
Amari, brandy, liquori, gin, rum, whiskey e altri superalcolici
Totale
Fonte: Eurispes.
3.300.000.000
1.350.000.000
25.200.000
56.800.000
4.732.000.000
Litri
pro capite
58,0
23,8
0,4
1,0
83,3
Litri pro capite sulla
popolazione
maggiore di 14 anni
69,1
28,3
0,5
1,2
99,1
Alla spesa economica corrisponde un diffuso modello culturale, proprio
dell’Italia ma anche di molti altri Paesi europei, soprattutto quelli che si affacciano sulle
sponde del mar Mediterraneo.
In tutte le epoche storiche ogni cultura ha proibito alcune droghe e ne ha
legittimate altre, assumendo atteggiamenti diversi nei riguardi dell’alcol: mentre il
Corano proibisce il vino nei Paesi islamici, questa bevanda ha sempre avuto un ruolo
centrale nel culto cristiano, ove assurge addirittura a simbolo del sangue di Cristo
versato per la salvezza dell’umanità. La cultura indoeuropea, del resto, si è sempre
dimostrata piuttosto permissiva verso l’alcol: nell’antichità, Greci e Romani avevano
una particolare venerazione per Dioniso e Bacco, tanto che nelle tragedie di Euripide
l’importante compito di indicare l’esistenza di un mondo di valori simbolici paralleli
alla ragione e non meno importanti di essa era affidato alle Baccanti; nell’epopea di
Gilgamesh, poi, ciò che la donna della vigna offre all’eroe in cerca del segreto della vita
altro non è che vino!
La cultura italiana, soprattutto quella meridionale tipicamente mediterranea, ha
sempre manifestato un atteggiamento favorevole nei confronti dell’alcol, al quale sono
legati detti, leggende popolari, usi e costumi. Ci imbattiamo, così, nella leggenda
siciliana che esalta il bere ed il mangiare a dismisura attraverso le gesta di San Pietro o
11
in quella riguardante San Martino, vescovo buono e generoso come nessun altro ma
debole davanti ad una bottiglia di vino, a cui lo stesso Gesù Cristo concesse la grazia di
poter bere senza incorrere nella scomunica del Santo Padre, dal momento che il vino
bevuto “per allegrezza” non costituisce mai un peccato. Molti sono poi i proverbi che
sottolineano la bontà del vino ed il suo legame con la vita, la gioia e la trasgressione “L’acqua mi fa male, e u vino m’fa cantà”, “Miegliu vinu malidittu cà acqua santa” mentre, per converso, non mancano nel folklore meridionale gli usi funerari del vino,
ora oggetto di offerte rituali, ora messo nella bara insieme al defunto, ora, deposto
presso la tomba al fine di accompagnare il passaggio dei morti nella loro nuova vita.
All’alcol è associata anche una serie di falsi luoghi comuni che considerano le
bevande spiritose stimolanti, energetiche e capaci di proteggere dal freddo; nelle zone
un tempo malariche si continua a bere grappa in funzione preventiva, mentre nelle
campagne ed in montagna è diffusa la convinzione che l’alcol possa fornire un valido
sostegno di fronte alla fatica fisica; nel caso di lavori pesanti, poi, chi non cerca
conforto nell’alcol finisce spesso con l’essere guardato con sospetto e sottoposto a vere
e proprie pressioni psicologiche. In molte zone d’Italia, infine, è consuetudine dare ai
bambini il vino in quanto si ritiene che “faccia buon sangue” e quasi ogni riunione di
amici e compagni di scuola e ogni festa in famiglia iniziano e finiscono con una bevuta.
Fino ad epoche piuttosto recenti, dunque, non si è prestata sufficiente attenzione
alle implicazioni sociali conseguenti all’uso inadeguato di alcolici, o è stata addirittura
negata l’esistenza del problema alcolico in Italia. Al contrario, l’abuso di tale sostanza è
strettamente correlato ad incidenti, atti di vandalismo, decessi, violenze e reati di ordine
pubblico, poiché si tratta di un evento che non inizia e si conclude in se stesso, bensì
condiziona numerosi altri accadimenti. Risulta, però, molto difficile attribuire un peso
specifico al ruolo dell’alcol nel determinare tali fenomeni: gli effetti di qualsiasi droga
psicoattiva dipendono, infatti, da complesse interazioni tra l’individuo, la sostanza e il
contesto di uso-abuso.
La familiarità con le sostanze alcoliche, in alcune occasioni, può diventare
pericolosa poiché non fa riflettere sul rischio che un bicchiere di troppo comporta e
rende molto sottile il passaggio dall’uso all’abuso; difficilmente è possibile individuare
un alcolista in una società di bevitori, come dimostrano anche i problemi incontrati, a
livello istituzionale prima e socioculturale poi, nel trovare una definizione di alcolismo
e riconoscerlo come malattia non solo fisica ma anche psico-sociale.
Il termine alcolismo venne usato per la prima volta nel 1849 da Magnus Huss,
professore di Medicina Interna dell’Università di Stoccolma e si diffuse presto in tutto il
mondo. Da allora sono state date numerose definizioni che tuttavia tenevano in
considerazione unicamente le conseguenze fisiche e psichiche derivanti
dall’intossicazione da alcol; fu l’americano Jellinek negli anni Sessanta a considerare
per la prima volta l’alcolismo come una malattia dipendente in principal modo da fattori
costituzionali, psicologici e sociali.
Negli anni Novanta l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha definito l’alcol
come una droga in quanto, come ogni sostanza stupefacente, modifica il funzionamento
del nostro cervello e, pertanto, la percezione della realtà; così come avviene per gli
stupefacenti, una assunzione continuata porta alla “tolleranza”, cioè alla necessità di
12
assumere con frequenza crescente dosi della sostanza più consistenti per riuscire ad
ottenere gli stessi risultati.
L’assunzione protratta nel tempo può infatti provocare dipendenza, crisi di
astinenza e problemi nei rapporti sociali, familiari e lavorativi; all’inizio si manifesta
una dipendenza di tipo psicologico (che spinge a ripetere l’esperienza del bere, specie in
momenti di particolare noia, solitudine o stress), poi una vera e propria dipendenza
psichica, che si manifesta come un desiderio irrefrenabile di ricorrere all’alcol che deve
essere soddisfatto, pena un profondo malessere che si ripercuote anche sui rapporti con
gli altri; da ultimo, una pericolosa dipendenza fisica, che affronteremo meglio in seguito
trattando le patologie alcolcorrelate.
I dati riguardanti l’alcolismo sono drammatici e lo rendono una forma di
tossicodipendenza più pericolosa dell’eroina: è possibile stimare in un milione e mezzo
gli alcolisti in Italia. Tale cifra tiene conto di coloro che abusano quotidianamente di
sostanze alcoliche ma non di quanti, pur non consumando ogni giorno, cedono alla
dipendenza diverse volte al mese (circa 3 milioni e mezzo, con una forte componente
giovanile).
È possibile stimare che nell’ultimo decennio in Italia i decessi causati dall’abuso
di alcol siano stati circa 300.000.
Tenendo conto dei danni provocati in modo diretto ed indiretto (suicidi, omicidi,
incidenti stradali legati a guida in stato di ebbrezza, ecc.) dall’alcol emerge in tutta la
sua urgenza la necessità di trovare delle soluzioni efficaci al problema: accanto alle
pesanti perdite in termini di vite umane, infatti, l’alcol comporta anche significativi
costi economici e sociali per la collettività nel suo insieme.
La concezione dell’alcol e dell’alcolismo si è evoluta nel corso della storia
trascinandosi dietro, fino ai giorni nostri, dei forti pregiudizi che ruotano a tutt’oggi
intorno alla figura dell’alcolista.
Nel XIX secolo si riteneva che l’alcolista fosse un individuo vizioso, espressione
delle classi sociali più povere e di una cultura essenzialmente rurale, che impegnava il
tempo libero nelle osterie ubriacandosi fino a creare forti disordini sociali, in maniera
tale da rendere l’alcolismo un problema di ordine pubblico e di controllo sociale.
L’identificazione dell’alcolista come un individuo vizioso e degenerato è sopravvissuta
quasi fino ai giorni nostri.
Solo verso la fine degli anni Sessanta, grazie a nuove scoperte nel campo della
medicina, si è arrivati ad identificare l’alcolismo con una malattia fisica. L’idea
dominante in questa fase storica è che l’alcolista sia colui che ha uno scompenso
biochimico tale da reagire in modo particolare all’assunzione di bevande alcoliche,
secondo una concezione condivisa anche dagli Alcolisti Anonimi.
Nel corso degli anni alcuni sono giunti a ritenere l’alcolismo una malattia
mentale e si sono sviluppati in questo senso una molteplicità di studi che hanno
condotto gli psicologi all’individuazione dei tratti di una “personalità alcolista”, mentre
un altro filone di pensiero ha considerato l’alcolismo come una dipendenza acquisita,
conseguenza del bere eccessivo.
Gli anni Settanta hanno visto un progressivo ampliamento dell’ottica di
indagine; altre scienze, oltre alla medicina, sono intervenute per l’individuazione e lo
13
studio dei fattori socioculturali del bere eccessivo. Per quanto riguarda la ricerca sul
campo vera e propria, i contributi disciplinari si sono ampliati fino ad acquisire
importanti scoperte fatte dalle scienze sociali, quali in primo luogo la sociologia,
l’antropologia e l’economia. Questa apertura e questo interesse delle scienze non
mediche verso i problemi legati all’alcolismo sono dovuti ad una molteplicità di cause:
tra queste spicca l’internazionalizzazione del bere dovuta alla facile circolazione di
superalcolici, che ha portato all’emergere di nuove categorie di soggetti a rischio, donne
e giovani fra i primi. L’acquisizione della consapevolezza che l’alcolismo sta
assumendo sempre di più la connotazione di una vera e propria piaga sociale, inoltre, ha
significativamente contribuito a far sì che le scienze non mediche si occupassero del
problema per tentare di comprenderne le cause e per suggerire i provvedimenti
socioculturali da prendere per arginare il fenomeno del bere eccessivo.
La seconda metà degli anni Ottanta e gli anni Novanta vedono l’emergere di una
concezione di alcolismo strettamente legata allo stile di vita della società moderna, che
riassume e ripropone in alcuni aspetti le teorie espresse negli anni precedenti,
mantenendo peraltro anche i pregiudizi propri delle differenti concezioni e dei diversi
periodi storici. I fenomeni di dipendenza da droghe ed alcolici diventano allora il
sintomo di un disagio diffuso e costituiscono una vera e propria sfida lanciata alla nostra
società affinché essa ripensi ideali, valori e stili di vita divenuti man mano sempre meno
compatibili con le esigenze del singolo individuo.
Negli ultimi anni, infine, sono stati portati a compimento negli Stati Uniti degli
studi tesi a dimostrare l’esistenza di fattori genetici condizionanti il fenomeno; la
propensione ad un alto consumo di alcolici, così come la maggiore o minore resistenza
agli effetti di tali bevande da parte del singolo individuo, potrebbero allora nascondersi
nei geni. Una sostanza chiamata Neuropeptide Y (Npy) agisce infatti sulle cellule
nervose, modulandone l’attività nella direzione della riduzione dei comportamenti
ansiosi o del potenziamento degli effetti di determinati stupefacenti, secondo i dati
emersi dalla sperimentazione finora condotta su ratti e topi.
Se da un lato emergono dunque la molteplicità e la varietà di approcci teorici tra
loro antagonisti, dall’altro emerge prepotentemente, al di là di qualsiasi distinzione, la
rilevanza che il fenomeno assume nella realtà contemporanea; ne derivano la necessità e
l’urgenza di politiche appropriate, che garantiscano soluzioni efficaci non solo da un
punto di vista strettamente sanitario, ma anche sotto il profilo socioculturale, politico ed
economico.
2.2. L’alcol: dall’uso all’abuso
In linea generale si può affermare che l’ambiente, o meglio la cultura, possa
svolgere un ruolo determinante nella diffusione dell’alcolismo: la cultura popolare
italiana ad esempio, così come la cultura di tutti i Paesi mediterranei, ha assegnato al
vino un valore d’uso sostanzialmente alimentare e pertanto ha fornito una certa
familiarità con la bevanda di Bacco, una familiarità tale da rendere inconsapevole e
davvero sottile, in molti casi, il passaggio dall’uso all’abuso di tale bevanda.
14
Non bisogna dimenticare d’altro canto, che l’antico nome della nostra penisola è
“Enotria”, letteralmente “terra del vino”. L’assunzione di bevande alcoliche, in un certo
senso legittimata dalla nostra stessa cultura, si è così diffusa ampiamente nel nostro
Paese, sebbene con modalità differenti in rapporto al tipo di alcolico ed all’area
geografica di provenienza, come mostrano le seguenti tabelle.
Trovare le cause che portano da un uso ad un abuso della sostanza è tutt’altro
che semplice. Inevitabilmente l’alcolismo può e deve essere ricondotto ad un insieme di
fattori legati non solo alle singole problematiche individuali ma anche a dinamiche
strettamente sociali; inoltre, non si può non prendere in considerazione l’aspetto
economico, legato ad una produzione e ad una vendita sempre più organizzata e
diversificata. La produzione di alcol rappresenta infatti per l’Italia non solo un valore
culturale ma anche e soprattutto un valore commerciale piuttosto elevato, essendo
l’Italia una delle maggiori produttrici di vino e spumante. Esiste, quindi, una
molteplicità di interessi tali da non poter pensare di limitarne le vendite.
L’alcol è una droga in tutto e per tutto, ma non viene trattata come tale, dal
momento che la sua produzione e la sua vendita sono legali; vengono pubblicizzati i
prodotti, ma taciuti gli effetti di un cattivo uso di queste bevande.
La società occidentale, del resto, è dominata da un’ambiguità di fondo in
rapporto a tale sostanza: per un verso letteratura, canzoni e spot pubblicitari non fanno
che attribuire una valenza positiva all’abitudine del bere, per l’altro essa diventa oggetto
di una vera e propria offensiva da parte delle istituzioni e degli organismi deputati alla
tutela della salute pubblica.
Un tempo i problemi legati all’abuso di bevande alcoliche erano studiati dalla
medicina; attualmente, invece, le scienze sociali li hanno affrontati analizzando i temi e
gli ambiti più svariati. Immediatamente è emersa l’esigenza di studiare il problema a
livello locale e non nazionale, evidenziando dunque la necessità di indagare il fenomeno
all’interno di un contesto socioculturale specifico e partendo da un particolare retroterra
culturale.
Mentre la scienza medica ha da sempre posto l’accento sugli aspetti patologici
del bere, la psichiatria e la psicologia hanno sviluppato ed analizzato invece le
problematiche conseguenti all’abuso di bevande alcoliche e pertanto hanno focalizzato
l’attenzione sul disadattamento e l’emarginazione conseguenti a tale comportamento; le
scienze sociali in genere hanno studiato il problema in un’ottica multidisciplinare,
arricchendo gli studi prettamente medico-scientifici con nuove conoscenze.
“Cercare di descrivere il processo che porta all’alcolismo è come cercare di
descrivere l’aria. E’ troppo grande, misterioso e pervasivo per poterlo definire. L’alcol è
ovunque nella tua vita, onnipresente. Non è un fenomeno fisiologico a spingere un forte
bevitore oltre il confine dell’alcolismo. E’ un divenire lento, graduale, pieno di insidie”.
Così descrive il passaggio dall’uso all’abuso di alcol una giornalista americana che ha
vissuto il problema sulla propria pelle e che è riuscita ad uscirne grazie all’aiuto degli
Alcolisti Anonimi.
Le cause che conducono da un uso all’abuso di bevande alcoliche sono
molteplici, e non sono in grado autonomamente di fornire una spiegazione del
fenomeno, tanto che è spesso necessario considerare la peculiarità di ciascun caso. E’
15
tuttavia possibile riflettere sulla connessione fra l’insorgere e l’espandersi
dell’alcolismo e il tipo di cultura, di valori presenti nelle società in generale e nelle
famiglie e negli individui in particolare.
Molti studiosi hanno messo in relazione la diffusione dell’alcolismo con le
caratteristiche tipiche di questa società, una società in cui si ha tutto a disposizione, in
cui esiste una incapacità ad affrontare i momenti difficili della vita, e si va sempre alla
ricerca di nuove sensazioni; sono forse questi i motivi che portano alla ricerca di un
anestetico che sia in grado di attutire i colpi della vita?
Altri studiosi hanno invece riflettuto a livello microscopico sulla componente
familiare: da alcune ricerche emerge che circa il 20-25 % dei figli di alcolisti diventano
a loro volta alcolisti, non tanto per una questione di origine genetica quanto piuttosto
per un fattore comportamentale.
Spesso quando si parla di cause che conducono all’alcolismo vengono
evidenziati molteplici fattori, dalla povertà all’emarginazione, dalla conflittualità nei
rapporti di coppia alla separazione dei nuclei familiari; queste, tuttavia, sono solo delle
concause che intervengono nel momento in cui una fragile personalità si sgretola sotto i
colpi inferti dalla vita quotidiana. Molte volte si ricorre alle bevande alcoliche per
cercare di superare malintesi ed amarezze, avendo l’impressione di ricevere coraggio, di
ripristinare energie perdute, illudendosi di trarre giovamento dallo stato di euforia che
l’alcol produce.
Le ultime ricerche svolte nel 1998 all’università di Washington hanno
individuato in un particolare gene il segreto che porta alcune persone più di altre ad
essere inclini all’alcol e ad abusare di superalcolici. I ricercatori statunitensi sostengono
che la propensione ad un alto consumo di alcol, così come la maggiore resistenza agli
effetti degli alcolici, dipendono da una sostanza che agisce sull’attività delle cellule
nervose modificando i nostri comportamenti o le nostre reazioni rispetto all’assunzione
di sostanze stupefacenti.
Sempre dagli Stati Uniti arriva poi notizia di una ricerca, svolta da una équipe di
neurologi e sociologi, che ha mostrato che cinque diversi cromosomi potrebbero
contenere i geni dell’alcolismo: sull’argomento, però, resta ancora una nuvola di dubbio
che potrà diradarsi solo in futuro.
Inoltre da cornice possono fare i fattori ambientali che spesso hanno una
funzione scatenante ma che tuttavia da soli non potranno mai far diventare
alcoldipendente una persona che non sia già predisposta.
2.3. Le patologie alcolcorrelate
Gli effetti dell’alcol, come accade per le altre droghe psicoattive, sono
influenzati da diversi fattori: la composizione chimica della sostanza fruita; il carattere
delle persona che la utilizza; il contesto d’uso. Le conseguenze si riscontrano sia da un
punto di vista psicologico che da un punto di vista strettamente fisico.
Sotto il primo profilo, non solo l’alcol non costituisce una risoluzione ai
problemi, ma finisce addirittura col ridurre chi ne abusa in uno stato di totale passività e
16
disinteresse per tutto ciò che lo circonda, con l’esclusione del bere e lo spinge verso la
depressione o l’aggressività.
Sul piano della salute fisica, la conseguenza più frequente dell’alcolismo risulta
la cirrosi epatica, prima causa di morte per chi abusa di bevande alcoliche. Danni sia
acuti che cronici riguardano poi il pancreas ed il cuore; a differenza di quanto si crede
comunemente, infatti, l’alcol può svolgere un positivo ruolo di vasodilatatore solo in
presenza di coronarie sane, mentre risulta estremamente pericoloso per soggetti
cardiopatici. Esso può causare, inoltre, tumori al cavo orale ed all’esofago ed arrivare
anche a danneggiare il sistema nervoso centrale: si verificano allora cali di memoria,
perdita della capacità di concentrazione e del desiderio sessuale, fino all’estremo di
deliri ed allucinazioni.
I rischi delle intossicazioni etiliche diventano ancora più gravi per le donne in
stato di gravidanza, come già si sospettava fin dall’antichità; la possibilità che l’alcol
fosse dannoso durante la gravidanza, infatti, è riconosciuta già nel Talmud e nella
Bibbia, mentre nelle antiche città-stato di Cartagine e Sparta si vietava a tutti gli uomini
e le donne giovani ed appena sposati di consumare alcolici per prevenire il
concepimento di bambini che presentassero anomalie alla nascita. In effetti, è stato
rilevato che il tasso di alcol presente nei tessuti del nascituro risulta molto simile a
quello nel sangue della madre e condiziona il suo sviluppo nella vita prenatale. Un
eccessivo consumo di alcol etilico durante la gravidanza può dunque risultare molto
pericoloso, poiché può provocare parti prematuri, aborti spontanei, un accrescimento
ritardato rispetto alla norma ed una molteplicità di malformazioni solitamente incluse
nell’ambito della cosiddetta sindrome feto-alcolica.
Seguendo il percorso dell’alcol fin dal momento in cui viene introdotto nel corpo
umano, è possibile, individuare gli organi che potenzialmente possono ammalarsi in
seguito a ripetute ingestioni di sostanze alcoliche.
Introducendo in modo smisurato e ripetuto l’alcol nella cavità orale uno dei
primi disturbi che un individuo può manifestare è l’esofagite, una infiammazione
dell’esofago; l’alcol scende poi fino a danneggiare il cardias, una valvola che separa
esofago e stomaco e che, in seguito ad eccessive bevute rischia di non chiudersi più
bene e di conseguenza di produrre dei rigurgiti; nello stomaco invece l’alcol provoca
delle infiammazioni, causando in taluni casi delle gastriti che possono trasformarsi in
ulcera.
Dallo stomaco e dall’intestino le sostanze alcoliche passano nel sangue andando
a creare disturbi a livello di sistema nervoso; se in un primo momento, infatti, l’alcol
produce un aumento della socialità ed incoordinazione motoria, a lungo andare crea un
forte stato depressivo che porta, in seguito, ad una dipendenza fisica e psicologica dalla
sostanza.
Circa il 90% dell’alcol arriva al fegato, mentre il restante 10% viene eliminato
dal corpo attraverso processi naturali; il fegato impiega circa un’ora per eliminare al
massimo lo 0,1% della concentrazione alcolica del sangue. Questo è dunque uno degli
organi più danneggiati dall’alcol: statisticamente parlando, infatti, la cirrosi epatica è la
principale causa di morte dell’alcolista.
17
Anche altri organi possono essere danneggiati irreparabilmente: il cuore, i
polmoni, la tiroide, il pancreas ed il cervello. Nel momento in cui si arriva ad una
intossicazione cronica il cervello sembra essere l’organo più colpito, poiché si verifica
quella che viene definita sindrome di dipendenza alcolica, che porta l’individuo a
fenomeni di astinenza peggiori rispetto a quelli del tossicodipendente: i sintomi si
manifestano in prima istanza con il tremito violento, poi con il delirium tremens che si
manifesta circa dopo dieci anni di alcolismo. Durante l’astinenza si possono manifestare
anche delle allucinazioni visive e cinetiche, senza trascurare un altro fenomeno
astinenziale quale l’epilessia alcolica, durante la quale l’alcolista può perdere
conoscenza.
La “perturbazione della memoria” colpisce molti alcolisti e porta a dimenticare
tutte le azioni svolte di recente e a ricordare, tuttavia, quelle del passato; una forma
patologica piuttosto grave risulta essere la demenza alcolica, una progressiva
distruzione delle cellule cerebrali che porta l’alcolista ad un cambiamento di personalità
e di umore; la gelosia patologica o alcolica è invece un disturbo non riconosciuto a
livello organico ma solo di fatto, che colpisce principalmente gli uomini. La schiera
delle patologie alcol-correlate prosegue con le allucinosi alcoliche, che provocano
allucinazioni a livello di udito: l’alcolista ode delle voci in realtà inesistenti.
Oltre che a livello medico, esistono delle conseguenze anche a livello sociale, in
quanto l’alcolista diventa ben presto una persola sola o comunque preferisce
accompagnarsi a chi si trova nella sua stessa condizione. L’immagine dell’ubriacone
era, un tempo, facilmente identificabile in un uomo di ceto basso, mentre oggi
l’alcolismo sta prendendo sempre più piede anche tra i ceti medio-alti e le cronache
sono piene di guidatori ubriachi, di casalinghe, pensionati e disoccupati che bevono in
modo smodato. Sono cambiati i connotati del bere, l’alcol è passato da alimento a
prodotto di conforto, avvicinandosi sempre di più alla cultura delle droghe. In questi
anni c’è stata una forte sensibilizzazione dell’opinione pubblica sulle possibili
conseguenze legate all’uso di droghe, ma non è stato fatto lo stesso per l’alcolismo.
Questo problema, come è stato più volte affermato, viene scarsamente considerato
perché parte integrante di abitudini consolidate, e perché forse raramente uccide come
una overdose di eroina e pertanto non richiama l’attenzione dei mezzi di comunicazione
di massa.
2.4. Cause che portano all’alcolismo e cure possibili
Non è possibile individuare un’unica causa dell’alcolismo, ma secondo l’attuale
tendenza è necessario prendere in considerazione molteplici aspetti della vita quotidiana
per andare a rintracciare le radici della malattia più diffusa e sommersa da secoli; alcuni
studiosi mettono in evidenza una componente genetica e costituzionale che facilita
l’intossicazione da sostanze alcoliche, altri considerano le cause esogene all’individuo
come componenti primarie che conducono al bere eccessivo e all’alcolismo.
Il malessere della vita quotidiana è in primo piano fra le cause esogene insieme
alle frustrazioni, alla solitudine e all’insoddisfazione; l’alcol è, troppo spesso, un rifugio
in casi di conflitti interni ed esterni alla famiglia ed il ricorso alla bottiglia è sempre più
18
frequente nei soggetti che non sanno adattarsi ad alcune condizioni di vita spiacevoli;
l’alcol in molte occasioni è utilizzato come un ansiolitico, per fuggire dalla solitudine e
dalle responsabilità.
La personalità etilistica, come è stata disegnata da molti medici, è caratterizzata
da instabilità dell’umore, egocentrismo e una forte dipendenza dalle sostanze alcoliche
con conseguente perdita della libertà di astenersi dal bere.
Oltre a disturbi tipicamente psichici l’alcolista va incontro ad alterazioni
somatiche sempre più evidenti, che vanno da una cute sempre più rossa intorno al naso
e sulle guance, fino ad una voce sempre più gutturale e a precoci segni di arteriosclerosi.
L’alcolismo, come è stato precedentemente affermato, è una malattia, riconosciuta come
tale solo da poco tempo poiché il problema è stato scarsamente considerato ad ogni
livello: istituzionale, sociale, culturale e sanitario. In particolare, la sanità italiana per
anni ha confuso, o meglio, ha creduto di potersi occupare di due problematiche tanto
complesse quanto differenti quali la tossicodipendenza e l’alcolismo, servendosi di
persone competenti solo rispetto al primo tipo di dipendenza; l’esistenza di un problema
legato al bere veniva ammessa soltanto in caso di ubriachezza molesta o nel momento in
cui intervenivano delle complicazioni psicofisiche. Molto spesso, infatti, gli operatori
sanitari hanno una preparazione piuttosto superficiale in materia di alcologia: alcune
ricerche hanno messo in luce non solo il fatto che i medici di famiglia riconoscono solo
il 10% dei casi di alcoldipendenza, ma che il loro iter di studi non prevede alcuna
formazione specifica in campo alcologico.
Altri studi hanno focalizzato l’attenzione sul forte legame esistente fra alcolismo
e maltrattamenti familiari: circa il 17% delle madri e il 31% dei padri che maltrattano i
propri figli hanno problemi con l’alcol. Anche dall’America giungono voci allarmanti: 3
casi su 4 di minori delinquenti appartengono a famiglie in cui sono presenti problemi di
alcolismo. Appare dunque indispensabile che anche gli assistenti sociali, così come tutti
coloro che si occupano di recupero e reinserimento di persone con qualche tipo di
disagio, ricevano una adeguata formazione in campo alcologico, aspetto finora piuttosto
trascurato, almeno nel nostro Paese.
La totale carenza delle istituzioni pubbliche e l’incapacità dello Stato italiano di
provvedere, in tempi utili, ad una regolamentazione delle vendite e dell’uso delle
bevande alcoliche - in sostanza, la scarsa attenzione rivolta alle problematiche relative
all’alcolismo - ha però favorito su tutto il territorio italiano lo sviluppo di una grande
rete di associazioni di volontariato impegnate in modo specifico nella risoluzione del
problema.
Attualmente in Italia esistono differenti strutture, pubbliche e private, adibite alla
prevenzione, alla cura ed al reinserimento degli alcolisti, ma ci sono voluti molti anni
prima di riuscire ad isolare il problema da un contesto tanto familiare per la maggior
parte degli italiani e troppo tempo per creare strutture in grado di prevenirlo e curarlo.
Sul territorio italiano, in ambito sociosanitario, sono presenti numerosi Ser.T che
svolgono attività alcologica e tossicologica; in ambito ospedaliero e universitario
esistono inoltre reparti specializzati; una particolare attenzione meritano infine i gruppi
di autoaiuto che si sono sviluppati su tutto il territorio nazionale.
19
I Ser.T svolgono mansioni relative all’intervento alcologico e sono presenti in
almeno una A.S.L. sul territorio; nel loro organico esistono gruppi di operatori di
diversa professionalità e con competenze differenziate che si occupano di accogliere i
pazienti, di diagnosticare l’alcolismo e individuare i problemi alcolcorrelati; gli
operatori dei Ser.T hanno il compito di prescrivere cure disintossicanti e fornire
consulenze personalizzate a seconda delle specifiche esigenze. L’obiettivo è quello di
garantire una consulenza medica, ma non solo, ai pazienti ed alle loro famiglie.
Un significativo ruolo viene svolto su tutto il territorio nazionale dai gruppi di
autoaiuto e dai volontari. All’interno di questa grande varietà di associazioni sono stati
presi in considerazione i gruppi autogestiti che interagiscono con l’ambito
sociosanitario: tali gruppi si distinguono in Alcolisti Anonimi (A.A.) e Club degli
Alcolisti in Trattamento (C.A.T.), che si differenziano fondamentalmente per le
modalità di intervento.
Come si legge sugli opuscoli informativi, “Alcolisti Anonimi è un’associazione
di uomini e donne che mettono in comune la loro esperienza, forza e speranza al fine di
risolvere il loro problema comune e di aiutare gli altri a recuperarsi”. Gli A.A. si
considerano sempre alcolisti anche se non bevono da molti anni, poiché non solo
ritengono l’alcolismo non curabile ma, come nel caso del diabete, ritengono necessario
smettere di assumere la sostanza per tutta la vita; l’alcolismo è considerato dagli A.A.
una malattia lenta, progressiva e mortale se non curata in tempo.
In A.A. il gruppo è il punto di riferimento essenziale per ogni membro; viene
gestito per brevi periodi da persone scelte democraticamente ogni sei mesi circa. Le
differenti mansioni svolte all’interno del gruppo non procurano autorità ma indicano
soltanto i servizi e le responsabilità di ciascuno; all’interno di un gruppo è possibile
trovare un segretario, un vicesegretario, un tesoriere, un rappresentante di gruppo ai
Servizi Generali, un vice rappresentante di gruppo ai Servizi Generali, con
denominazioni che possono cambiare di gruppo in gruppo. Ogni membro si definisce
come servitore e a rotazione ciascun servitore, che abbia alle spalle un certo periodo di
sobrietà, svolge le differenti mansioni.
Tutti i gruppi sono in contatto con i Servizi Generali che si fanno carico dei
compiti strettamente burocratici, si occupano delle informazioni pubbliche a livello
nazionale ma anche di mantenere i contatti con gli alcolisti d’oltre oceano, di pubblicare
e diffondere la letteratura approvata dalla Conferenza generale ed il Notiziario
d’Informazione, nonché di altre attività.
In ogni gruppo esistono un microgruppo sempre presente e singole persone che
invece lo frequentano ma che spesso lo abbandonano; lo scopo del gruppo è di restare
sobri per le correnti ventiquattr’ore ed aiutare gli altri attraverso l’esempio e l’amicizia.
Ogni gruppo è composto esclusivamente da alcolisti, dal momento che non sono
ammessi professionisti o operatori esterni; il punto di partenza comune a tutti è
l’ammissione del problema da parte dei membri, e successivamente la condivisione e la
revisione della propria vita. La coesione è la caratteristica fondamentale di questa
aggregazione che fornisce immediatamente una sensazione di benessere tale da creare
una forte adesione emotiva.
20
A.A. nasce in America nel 1935 grazie a due alcolisti, Bill e Bob, che
compresero per primi l’importanza di raccontare la propria esperienza agli altri per
riuscire a modificare uno stile di vita: la nascita dell’associazione coincide con la prima
giornata di completa sobrietà di Bob, cofondatore dell’associazione insieme a Bill, il 10
giugno del 1935. La data convenzionale di fondazione dell’A.A. italiana invece, 28
Ottobre 1972, fa riferimento alla giornata d’inizio della sobrietà di Carlo, forza motrice
del primo gruppo italiano: oggi in Italia sono presenti circa 450 gruppi, di cui 35/40 solo
nella capitale. Ciascuno di essi conta almeno una ventina di aderenti ma, come detto
altre volte, il problema sfugge a qualsiasi statistica.
Negli ultimi dieci anni si sono creati molti gruppi sullo stile di A.A per
combattere le più diverse tipologie di disagio sociale; alcuni si discostano
sostanzialmente dal modello A.A., molti invece adottano le idee e l’organizzazione di
questi. Un elenco di questi gruppi include Cocainomani Anonimi, Debitori Anonimi,
Emotivi Anonimi, Giocatori Anonimi, Fumatori Anonimi e molti altri tipi di disagio; il
caso dei N.A. (Narcotici Anonimi), ad esempio, è estremamente vicino all’esperienza
degli Alcolisti Anonimi, poiché questi partono dal presupposto che, indipendentemente
dal tipo di sostanza di cui si abusa, l’unico requisito per diventare membro sia “smettere
di usare”. I N.A. considerano il loro approccio completamente realistico, in quanto il
valore terapeutico di un dipendente che ne aiuta un altro non ha confronti.
Così come gli A.A., essi fanno riferimento alle Dodici Tradizioni ed ai Dodici
passi. Questi ultimi individuano un percorso comune di recupero dei dipendenti
partendo dall’ammissione della dipendenza fino ad arrivare ad un risveglio spirituale ed
alla trasmissione del messaggio ad altri dipendenti; ma il recupero non si limita a
questo, poiché è comunque necessario continuare a condividere ed affrontare in gruppo
gioie e dolori tenendo sempre presente che “un dipendente da solo è sempre in cattiva
compagnia”. I membri del gruppo dunque partecipano costantemente alle riunioni in cui
ciascuno parla delle proprie esperienze e del proprio recupero; le riunioni si svolgono in
un luogo, in genere all’interno di parrocchie, affittato dal gruppo e sono guidate a
rotazione da un membro; il gruppo si autofinanzia attraverso contribuzioni volontarie ed
attraverso la vendita della letteratura sul recupero; all’interno di ciascun gruppo esistono
gli sponsor, persone con molta esperienza che aiutano e collaborano con i nuovi venuti.
N.A. non si considera una organizzazione religiosa, ma suggerisce alcuni
principi spirituali da seguire e da applicare nella vita quotidiana; anche nel caso dei
N.A., così come per gli A.A., è difficile avere dei dati ufficiali su coloro che una volta
entrati nel gruppo conquistano una astinenza duratura, fondamentalmente perché il
gruppo sottostà alla condizione fondamentale dell’anonimato. Tuttavia esistono delle
stime prodotte dal gruppo stesso che mostrano la grande diffusione dei gruppi in
differenti Paesi: nel 1978 esistevano 200 gruppi in tre Paesi, nel 1982 circa 1200 gruppi
in undici Paesi, nel 1993 più di 25.000 gruppi in oltre sessanta Paesi.
Da un sondaggio informale condotto negli USA nel 1989 emerge un generico
identikit del dipendente che si rivolge all’associazione N.A.: un uomo tra i 30 ed i 45
anni che non usa alcun tipo di sostanza da meno di un anno e che è stato indirizzato al
gruppo dagli ospedali o da altre istituzioni.
21
Tabella 7
Età delle persone che si sono rivolte al gruppo N.A. negli USA
Anno 1989
Età
%
Meno di 20
20-30
30-45
Oltre i 45
Totale
Fonte: Narcotici Anonimi.
11
37
48
4
100
Tabella 8
Sesso delle persone che si sono rivolte al gruppo N.A. negli USA
Anno 1989
Sesso
%
Maschi
Femmine
Totale
Fonte: Narcotici Anonimi.
64
36
100
Come si può vedere dalle tabelle sotto riportate, tra tutti coloro che frequentano
le riunioni dei N.A. c’è una forte astensione dall’uso: in particolare si può notare che
rifiutano le sostanze, da meno di un anno, il 52 % degli individui, mentre il 41% si
astiene da un periodo di tempo compreso tra 1 e 5 anni.
Dai dati si nota inoltre come gli individui siano stati orientati verso
l’associazione da ospedali o altre istituzioni, ma anche da un membro del gruppo o
comunque da un professionista; pertanto si evince non soltanto che le istituzioni
riconoscono il gruppo e che esiste dunque un forte legame ma anche ed in principal
modo che le strutture ospedaliere hanno fiducia nei gruppi e li riconoscono come validi
per la cura ed il trattamento di questa patologia.
Tabella 9
Tempo di astensione dalle sostanze e modo in cui i membri di N.A. hanno trovato il gruppo
Anno 1989
Tempo di astensione da tutte le sostanze
Meno di 1anno
Da 1 a 5 anni
Oltre i 5 anni
Totale
Fonte: Narcotici Anonimi.
%
52
41
7
100
Tabella 10
22
Provenienza dei membri di N.A.
Anno 1989
Come i nostri membri hanno trovato N.A.
Sono stati inviati da ospedali o altre istituzioni
Sono stati inviati da un altro membro
Sono stati inviati da un professionista
Totale
Fonte: Narcotici Anonimi.
%
47
29
24
100
Una delle caratteristiche di A.A., poi ripresa dai N.A. e dai gruppi similari, è il
non consentire ai familiari di partecipare alle riunioni; i familiari, infatti, si riuniscono
fra di loro ed affrontano le specifiche problematiche relative alla situazione della
famiglia. AlAnon è il nome del gruppo dei familiari, all’interno del quale esiste un
settore specifico, AlAteen che si rivolge ai figli adolescenti degli alcolisti; questi gruppi,
nati per fornire un supporto ai familiari degli alcolisti, hanno finito col rappresentare un
valido intervento per il familiare stesso.
I gruppi di AlAnon ed AlAteen hanno caratteristiche simili ad A.A.: anche in
questo caso infatti il familiare ammette di essere impotente nei confronti dell’alcol e
comincia un percorso che gli permette di avere un distacco tale da assumere un
comportamento più efficace rispetto al familiare ammalato. I gruppi di A.A. e quello dei
familiari non sono affiliati, ma hanno una politica di collaborazione. Gli AlAnon sono
nati negli Stati Uniti quindici anni dopo il gruppo A.A.; attualmente esistono in 85 Paesi
circa ed in Italia le prime riunioni sono iniziate solo nel 1976.
Per rimanere nell’ambito degli interventi di gruppo, non si può non prendere in
considerazione il Club degli Alcolisti in Trattamento (C.A.T.), organizzato in
A.I.C.A.T. (Associazione Italiana Club degli Alcolisti in Trattamento) a livello
nazionale e A.R.C.A.T. a livello regionale. Queste ultime sono presenti nelle diverse
regioni d’Italia a diversi livelli: A.P.C.A.T. a livello provinciale e A.C.A.T. a livello
locale, in corrispondenza di zone ben definite come una A.S.L., un Comune, un
Comprensorio, ecc.
Questi Club sono nati a Zagabria nel 1964 grazie al Professor Hudolin, lo
psichiatra che per primo ha sperimentato in Croazia il gruppo espresso sotto forma di
Club aperto ad ogni cambiamento ed adattabile alle esigenze delle famiglie in cura e
l’approccio ecologico-sociale: quest’ultima metodologia si propone di promuovere e
proteggere la salute delle persone non considerando i problemi legati all’alcol in
maniera separata rispetto alle altre sofferenze dell’individuo e della famiglia.
In Italia il primo Club fu aperto nel 1979 e da allora si sono moltiplicati, al punto
che sono presenti in tutto il Paese circa 2.400 Club che si occupano pressappoco di
20.000 famiglie. Tali strutture sono sorte anche in Svizzera, Slovenia, Albania, Spagna,
Romania, Russia e Brasile, mentre è ancora in fase di attuazione una collaborazione con
altri Paesi europei quali la Norvegia, la Danimarca, la Germania, la Lituania, la
Repubblica Ceca e la Slovacchia.
23
All’interno di questi Club l’alcolismo non è considerato una malattia né un vizio,
ma uno stile di vita socialmente accettato ma modificabile grazie alla volontà della
persona ed al supporto della famiglia, che riveste un’importante ruolo.
Ciascun gruppo segue uno stile di vita sano e si astiene dall’uso di qualsiasi
sostanza, in modo tale da influenzare gli altri membri del gruppo prima e dell’intera
comunità poi: il Club ha lo scopo di esportare la propria esperienza al di fuori del
piccolo gruppo ed influenzare in questo modo l’intera società. L’alcolismo è, infatti, un
fenomeno di gruppo: più si beve nella comunità, maggiore è il numero di individui
devianti che fanno un consumo esagerato di tali sostanze.
Le famiglie si incontrano per iniziare e consolidare un percorso che porterà ad
un cambiamento dello stile di vita e ad eliminare totalmente qualsiasi tipo di sostanza;
un risultato migliore si ottiene proprio quando è tutta la famiglia a frequentare il Club e
quando è l’intera famiglia a cambiare stile di vita. Da rilevazioni effettuate
dall’A.R.C.A.T. Piemonte sotto la supervisione dell’Istituto Superiore di Sanità tra il
marzo 1995 e il dicembre 1996 su un totale di 4.720 schede emerge che la famiglia era
fortemente presente nel 77,22% dei casi di soggetti che avevano abbracciato la filosofia
del Club e si trovavano quindi in una situazione buona, nel 73,15% dei casi di ricaduta e
solo nel 61,92% dei casi di vero e proprio distacco dall’associazione. Ricadute e
distacchi, peraltro, non possono che essere interpretati alla luce del tempo di
permanenza all’interno dell’associazione: quando si superano i diciotto mesi di
anzianità le probabilità di ricaduta decrescono, infatti, in maniera molto significativa.
Ogni A.C.A.T. utilizza una terapia multifamiliare per affrontare differenti
problemi non solo alcolcorrelati ma anche legati all’uso di altre sostanze, a disturbi
psichiatrici, a persone senza fissa dimora, a comportamenti autodistruttivi e violenti.
Ogni Club è composto da un massimo di dodici famiglie: nel momento in cui se
ne aggiunge una tredicesima, il gruppo si divide e se ne crea uno nuovo. Anche questi
gruppi, come nel caso di A.A., sono caratterizzati da riunioni settimanali a cui possono
partecipare famiglie con problemi alcolcorrelati e complessi ed un servitore, che può
essere – a differenza di quanto avviene tra gli A.A. – uno specialista del settore, un
medico, uno psicologo, che abbia seguito uno specifico corso aperto comunque a tutti
coloro che sono interessati senza limiti di titolo di studio.
La partecipazione alle riunioni è assolutamente gratuita, non solo per le famiglie
ma anche per i servitori-insegnanti che guidano le riunioni; i Club organizzano anche a
livello locale delle scuole alcologiche territoriali, che attraverso corsi specifici aiutano le
famiglie a comprendere meglio il problema e di conseguenza a sapersi comportare nelle
più diverse situazioni.
Da una ricerca svolta dall’A.R.C.A.T. Piemonte tra il marzo del 1995 ed il
dicembre 1996 risulta che si rivolgono a queste associazioni persone che hanno anche
problemi di natura diversa da quelli legati all’alcol e, per esempio, consumano
psicofarmaci (9,9%), altre droghe (3,7%), tabacco (62%) e vivono da soli (16,6%).
D’altro canto, i Club non riescono a raggiungere un numero cospicuo di persone,
soprattutto donne: se sul totale della popolazione risultano un 87% di consumatori di
bevande alcoliche maschi ed un 61% di consumatrici donne, la presenza nei Club
registrata è del 78% di uomini a fronte di un 22% di rappresentanti dell’altro sesso.
24
Tabella 11
Sesso delle persone che si rivolgono agli A.C.A.T.
Anno 1997
Sesso
%
Uomini
Donne
Totale
Fonte: Narcotici Anonimi.
78
22
100
Le cifre fornite dalla Banca Dati dell’A.R.C.A.T. Piemonte evidenziano, o
meglio confermano, quanto il problema dell’alcol sia presente e quanto poco se ne parli:
secondo una stima dell’Istituto Superiore di Sanità l’alcol fa più morti della droga,
poiché i decessi causati dall’alcol sono circa 26.000 all’anno, mentre le morti causate
dalle altre droghe illegali risultano essere molto inferiori, circa 1.820 all’anno.
Oltre ai gruppi di auto aiuto, di cui abbiamo parlato finora, è necessario far
notare che esistono anche altre forme di trattamenti riabilitativi nel nostro Paese: è il
caso dei centri di trattamento multimodale.
Questi centri vedono la dipendenza alcolica come una condizione complessa in
cui concorrono più fattori; pertanto, il fondamento del trattamento multimodale tiene in
considerazione non solo il paziente ma anche la famiglia e l’ambiente di appartenenza e
propone interventi volti non solo a risolvere il problema ma anche a migliorare
globalmente la qualità della vita del soggetto.
La scelta del metodo, da adottare caso per caso, avviene in base alle valutazioni
e agli obiettivi da raggiungere; ogni struttura è comunque in grado di fornire un
supporto psichiatrico, interventi psicoterapici, oltreché naturalmente medici.
Dalla fine del 1994 operano in Italia molti centri Alcologici Multimodali,
costituiti da Ser.T, reparti ospedalieri e universitari che adottano dei programmi
specializzati per il trattamento degli alcolisti; questi centri usufruiscono di un supporto
psichiatrico, di interventi psicoterapici e trattano anche problematiche sociali quali
quelle relative all’immigrazione, ai senza fissa dimora ed altro.
Tra le cure non può non essere citata, anche solo per conoscenza, l’ipnosi che,
secondo alcuni, agisce direttamente sull’inconscio favorendo con maggiore rapidità la
presa di coscienza degli individui.
Una cura di cui non si sente parlare spesso e che è totalmente differente da
quelle prese in esame fino a questo momento è la logoterapia di Viktor Frankl: la
logoterapia intende l’uomo come “essere che può agire liberamente e responsabilmente,
teso alla ricerca e al compimento di significati”1; l’uomo è pertanto visto come
composto di tre dimensioni - psichica, fisica e noetica - di cui la noetica è la principale e
lo caratterizza in quanto uomo.
1
Froggio Giacinto, 1987, “Un male oscuro”
25
Nella dimensione noetica l’uomo non è libero dai condizionamenti socioculturali, ma è libero di scegliere gli atteggiamenti da assumere nelle differenti
situazioni esterne.
Presupposto fondamentale per la riuscita della terapia è la motivazione alla cura
da parte del paziente; fino a quando l’alcolista non decide di smettere di bere
difficilmente qualsiasi cura avrà gli effetti desiderati.
Il logoterapeuta ha il compito di dare al paziente la chiave per comprendere il
senso della vita che si trova nella realizzazione dei valori; proprio la realizzazione di
alcuni valori può essere alla base di soddisfazione quanto di crisi.
Sebbene secondo la logoterapia non esista un iter, una cura valida per tutti, in
quanto ogni individuo è diverso dagli altri, è possibile tuttavia individuare nella
logoterapia quattro fasi comuni al trattamento.
Nella prima fase - contratto logoterapeutico - vengono raccolte le informazioni
circa la storia di vita dell’alcolista, vengono indagati il perché ed il come del bere di
ciascun individuo; in questa fase è importante capire il modo in cui si pone l’alcolista
nei confronti del proprio problema.
Nella seconda fase – oggettivazione – l’alcolista, deve disintossicarsi a livello
fisico e mentale: questo viene fatto attraverso il training autogeno, una tecnica di
rilassamento che ha lo scopo di potenziare il proprio io e, di conseguenza, di avere
effetti positivi sull’intero organismo.
Nella terza fase – motivazione – viene scoperto il senso della vita; pertanto,
l’alcolista acquista un nuova identità e un nuovo ruolo all’interno della società. La
quarta fase – atteggiamenti positivi – consiste nell’aiutare l’alcolista a trovare
atteggiamenti nuovi e positivi nei confronti della vita.
In questa particolare terapia, lunga e complessa, un ruolo importantissimo è
rivestito dal logoterapeuta, in genere uno psicologo o uno psichiatra che guida
l’alcolista durante tutto il percorso; lo scopo di questa terapia consiste nel “trattare
l’alcolista come una persona, come uno che può risorgere dalle macerie della sua
esistenza, perché la sua vita ha un senso”2.
Questo quadro generale dei metodi di intervento sull’alcolismo, mostra una
differenziazione di base secondo due tipologie: i metodi orientati all’ospedale e quelli
orientati al territorio. Questi due metodi devono avere almeno due punti in comune: è
necessario infatti che, in entrambi i casi, i bisogni di chi ricorre ad una particolare
struttura siano riconosciuti e che l’assistenza prestata sia continuativa.
Il problema alcolismo deve essere affrontato sempre da un punto di vista
medico, sociale e psicologico, poiché non si può pensare alla cura senza tenere in
considerazione l’aspetto fondamentale di una cultura della prevenzione e del benessere
sociale. Una soluzione efficace al problema della dipendenza da sostanze psicotrope,
poi, non può prescindere da risposte complesse ed articolate nel lungo termine, poiché
nessuna organizzazione può agire con successo se non in condizioni di interazione.
Ciascuna delle associazioni e delle singole tecniche per la cura dell’alcolismo
sopra descritte ha coinvolto nella propria attività centinaia di migliaia di persone,
2
Froggio Giacinto, 1987, “Un male oscuro”
26
attraverso percorsi separati e metodi alternativi, ed ha raggiunto a suo modo lo scopo di
dare sollievo alle migliaia di persone che soffrono, direttamente o indirettamente, di
alcolismo e, in alcuni casi, di sensibilizzare la società sulla questione alcolismo e sui
problemi sociali, culturali e a diversi livelli anche sanitari ad essa connessi.
2.5. Alcol e guida
Nel 1997 i conducenti che si sono messi alla guida della propria automobile in
stato di ebbrezza hanno causato, nel complesso, 2.437 incidenti, per un totale di 79
morti e ben 3.710 feriti; rispetto al primo dato, 1.627 incidenti sono da rapportare a zone
urbane e 810 ad aree extraurbane. In città si sono registrati 34 deceduti e 2.451 feriti,
mentre nelle zone extraurbane le cifre corrispondono rispettivamente a 45 e 1.259.
Se escludiamo il caso di incidenti occorsi a conducenti di veicoli in marcia senza
urto con veicoli o ostacoli sulla carreggiata (307 in città e 321 fuori), in tutte le
circostanze si rileva una prevalenza degli incidenti in ambito urbano piuttosto che
extraurbano: 998 a fronte di 374 per gli incidenti tra veicoli in marcia, 56 a 13 nel caso
di investimento di pedoni, 266 vs 102 rispetto all’urto di veicoli fermi o altri ostacoli.
Queste cifre si spiegano, presumibilmente, facendo riferimento al maggior numero di
autovetture circolanti in ambito urbano, alla maggiore intensità del traffico in città e,
conseguentemente, alla maggiore probabilità di essere coinvolti in incidenti.
Tabella 12
Incidenti stradali connessi a stati di ebbrezza da alcol del conducente
Anno 1997
Circostanze
Conducenti coinvolti in incidenti tra
veicoli in marcia
Conducenti di veicoli coinvolti in
investimento di pedone
Conducenti di veicoli che urtano veicoli
fermi o altri ostacoli
Conducenti di veicoli in marcia senza
urto con veicoli o ostacoli sulla
carreggiata
Totale
Fonte: Elaborazione Eurispes su dati Istat.
Incidenti
In zone urbane
Morti
In zone extraurbane
Incidenti
Morti
Feriti
Feriti
998
15
1.668
374
23
704
56
9
68
13
4
18
266
2
342
102
2
131
307
8
373
321
16
406
1.627
34
2.451
810
45
1.259
Tale logica risulta applicabile anche per quanto concerne il numero di feriti, che
sono 373 in città a fronte di 406 fuori città per i veicoli in marcia senza urti con altri
veicoli e/o ostacoli sulla strada, 1.668 rispetto a 704 per incidenti tra veicoli in marcia,
68 a 18 per il fenomeno di investimento pedoni, 342 a 131 per i veicoli che urtano
veicoli fermi o ostacoli di altra natura comunque presenti sulla carreggiata.
Per quanto riguarda, invece, i decessi verificatisi nel 1997 come conseguenza di
guida in stato di ebbrezza, se è vero che i dati mettono in evidenza un numero di morti
più basso nelle aree extraurbane che in quelle urbane rispetto al fenomeno
27
dell’investimento dei pedoni, è pure evidente che le percentuali si invertono nel caso di
incidenti tra veicoli in marcia – 23 vs 15 – o di conducenti alla guida di veicoli in marcia
senza urto con altri veicoli od ostacoli sulla carreggiata - 16 a fronte di 8 probabilmente in ragione della maggiore pericolosità delle strade extraurbane rispetto a
quelle urbane.
La lettura di tali dati statistici mette in luce la necessità e l’urgenza di una
efficace opera di prevenzione, che non può prescindere dalla comprensione delle
complesse dinamiche esistenti tra i due fenomeni in questione – alcol e guida – e dalla
reale diffusione di una cultura della sicurezza e della salute. L’attività di prevenzione
deve essere finalizzata ad accrescere la consapevolezza dei rischi legati al bere, spesso
sottovalutati a causa della valenza familiare delle sostanze alcoliche nella nostra cultura
– evidente è la divaricazione presente tra pensiero scientifico e percezione sociale del
fenomeno; occorre, inoltre, intervenire sia a livello informativo che operativo ed
educativo e creare sinergie nel territorio, coinvolgendo soggetti diversi che agiscano in
maniera complementare, ciascuno secondo i propri compiti: la Polizia, le scuole guida,
le ASL, i Comuni e le associazioni di volontariato.
Nella regione Lombardia, ad esempio, i dipartimenti di emergenza hanno
collaborato con i distretti e le autorità di polizia, elaborando piani di intervento che
prevedono: la costruzione di una “mappa del rischio” che consenta ai soggetti gestori
delle strade – Anas, Provincia, Comuni, ecc. – di intervenire in maniera tempestiva ed
efficace nei luoghi più frequentemente interessati da incidenti mortali; uno sviluppo
coordinato delle attività di educazione stradale condotte nelle scuole dai comandi della
polizia municipale; la distribuzione di materiali informativi sulla sicurezza stradale a
quanti si presentino per la visita medica di idoneità al rilascio o al rinnovo della patente.
Il sempre più rilevante fenomeno delle cosiddette “stragi del sabato sera” ha
trovato enorme eco sui mass media: spesso compaiono, infatti, le allarmanti cifre
relative a persone e veicoli coinvolti in incidenti talvolta di grosse dimensioni, le
polemiche con i gestori dei locali notturni, le riflessioni sulle cause del disagio giovanile
o, ancora, notizie curiose come quella dello scorso anno relativa all’invenzione di uno
“Stop Etil Car”, un dispositivo elettronico in grado di impedire al veicolo di mettersi in
moto qualora siano rilevate tracce di alcol nel guidatore al duplice scopo di
tranquillizzare i genitori ansiosi e garantire una circolazione più sicura sulle strade
durante i week end.
Lo stesso Ministero dell’Interno è stato indotto a costituire presso il Servizio di
Polizia Stradale del Dipartimento della Pubblica Sicurezza un Osservatorio per una
lettura dei dati del fenomeno quanto più possibile completa ed attenta alle realtà locali.
La situazione risulta ancora più preoccupante in quanto gli stessi conducenti dei veicoli
sono portati, nella quasi totalità dei casi, a sottostimare gli effetti dell’alcol
sull’organismo, come dimostra il loro comportamento dopo i controlli della Polizia
Stradale; in caso di accertata violazione, infatti, essi si dimostrano sovente poco
propensi ad accettarne le conseguenze, ritenute ingiuste ed eccessive, e contestano i
verbali anche dopo aver verificato la quantità di alcol attraverso l’etilometro. Dai dati
della ricerca europea Sartre 2 (Social Attitudes to Road Traffic Risk in Europe)
presentati in anteprima nel 1997 ad un convegno presso l’Istituto Superiore di Sanità
28
emerge inoltre che il 70% degli italiani al volante ritiene che non sarà mai controllato
per guida in stato di ebbrezza e che una buona metà degli incidenti stradali che
coinvolgono i giovani è dovuta alla perdita di controllo del veicolo legata, nell’ordine,
all’abuso di alcol, ai mix di alcol e droga e all’uso di sostanze stupefacenti. Il numero
dei ragazzi che nei fine settimana si rivolge a qualche bicchiere di birra o a qualche
superalcolico per sentirsi su di giri ed eliminare ogni traccia di malinconia, timidezza o
stanchezza continua infatti ad aumentare ed a coinvolgere fasce di età sempre più
ampie: a soli dodici anni, il 10% dei ragazzi dichiara di aver già sperimentato l’ebbrezza
alcolica. Questo dato contribuisce ad incrementare roventi polemiche con i gestori delle
discoteche e dei locali notturni – spesso accusati di danneggiare i giovani con micidiali
cocktail di decibel, alcol e pasticche di vario genere – e a favorire le violazioni del
Codice della Strada.
Negli ultimi venti anni il numero degli incidenti verificatisi durante le notti del
week-end è così cresciuto enormemente: dai 3.215 incidenti del sabato notte del 1980 si
è passati ai 6.695 del 1995 (+108%), mentre durante i venerdì notte c’è stato un
incremento del 113%, con un aumento dai 2.314 sinistri del 1980 ai 4.907 del 1995.
Questo tipo di incidenti, che coinvolge soprattutto maschi di età inferiore ai trenta anni,
presenta un elevato grado di pericolosità: rispetto alla cifra complessiva di 3,6 morti
ogni 100 sinistri relativo al totale degli incidenti, i valori per il venerdì ed il sabato notte
risultano rispettivamente di 6,7 e 7,2 decessi ogni 100 incidenti.
Tabella 13
Trend degli incidenti del venerdì e del sabato notte
Anni di riferimento
1980
1995
Variazione percentuale (%)
Fonte: Elaborazione Eurispes su dati Istat.
Venerdì notte
Sabato notte
2.314
4.907
+113
3.215
6.695
+108
La situazione varia, comunque, in modo piuttosto significativo da regione a
regione: secondo i dati di una ricerca dell’Osservatorio sicurezza dell’Aci, nel 1998
l’area che ha registrato la più elevata percentuale di positività ai controlli effettuati dalle
forze di polizia con l’etilometro risulta, subito dopo la Calabria, l’Emilia Romagna,
mentre le cifre più basse sono quelle relative a Campania (1,0%) e Basilicata (1,3%). I
soggetti più a rischio risultano gli uomini emiliano-romagnoli, celibi e in possesso della
licenza media inferiore e di un lavoro fisso, che finiscono spesso con l’alzare il gomito
dopo la mezzanotte, mentre tornano a casa dal ristorante o dalla discoteca.
29
Tabella 14
Guida in stato di ebbrezza per regione
Anno 1998
Valori percentuali
Regione
% di positivi all’alcotest sul totale dei conducenti controllati
Piemonte - Valle D’Aosta
Lombardia
Trentino Alto Adige
Friuli Venezia-Giulia
Veneto
Liguria
Emilia Romagna
Toscana
Marche
Abruzzo e Molise
Umbria
Lazio
Campania
Basilicata
Puglia
Calabria
Sicilia
Sardegna
Totale
Fonte: Elaborazione Eurispes su dati Osservatorio sicurezza dell’Aci.
8,8
10,3
17,2
5,2
16,7
12,6
19,8
8,5
10,2
5,2
19,0
9,5
1,0
1,3
4,9
22,7
5,4
15,0
10,7
A livello legislativo, con l’art. 186 del nuovo Codice della Strada (decreto
legislativo n. 285 del 30/04/92) è sancito il divieto di guida in stato di ebbrezza,
individuato in un tasso alcolemico superiore a 0,8 g di alcol per litro di sangue o 35
microgrammi in 100 ml di aria espirata. L’art. 186 costituisce una norma speciale
rispetto all’art. 115 del C.d.S. che punisce chi guida veicoli non essendo in possesso dei
prescritti requisiti psicofisici: in base ad esso, l’accertamento del reato è punito, ove il
fatto non costituisca un reato più grave, con l’arresto fino ad un mese e l’ammenda da
587mila lire a 2.350.000, con la sanzione amministrativa accessoria della sospensione
della patente da quindici giorni a tre mesi o, quando il guidatore compia più violazioni
nel corso di uno stesso anno, da uno a sei mesi. In realtà, però, le capacità di guida
risultano alterate anche in corrispondenza di tassi alcolemici inferiori a 0,8 g/litro, tanto
è vero che nella maggior parte dei Paesi europei il tasso alcolemico massimo consentito
equivale a 0,5 g/litro ed in altri Paesi si prevedono un limite di 0,2 g/litro ed il divieto
assoluto di guidare dopo aver bevuto quantità anche minime di alcol per i più giovani.
Già a 0,2 g i riflessi iniziano ad essere leggermente disturbati e a 0,3 la manovre dei
freni divengono più brusche. Ad un tasso alcolemico di 0,5 g si riduce la facoltà visiva
laterale e si scorgono con più difficoltà i segnali stradali, a 0,6 g diminuisce
l’elaborazione mentale delle percezioni sensoriali ed aumentano le probabilità di
commettere errori – anche gravi – al volante. La soglia di 0,9 g/litro implica minori
capacità di adattarsi all’oscurità, di valutare gli ingombri stradali, la posizione del
veicolo e la velocità di guida, mentre ad un tasso di 100 mg lo stato di ebbrezza diviene
chiaramente visibile. L’assorbimento della quasi totalità dell’alcol assunto nello
30
stomaco e nell’intestino e la successiva immissione nel sangue avvengono, del resto, in
un arco di tempo piuttosto breve – circa un’ora – dal momento che l’alcol è una
molecola di dimensioni ridotte ed è completamente solubile in acqua, sostanza presente
nel nostro corpo in alte percentuali. Da questo fattore deriva anche la soglia di
tolleranza più bassa e l’assorbimento più immediato dell’alcol da parte delle donne, il
cui organismo contiene percentuali di acqua inferiori a quelle normali negli uomini. Gli
effetti tossici dell’alcol dipendono, però, anche da molti altri elementi: il peso della
persona (maggiore è il peso, minori le conseguenze), la quantità di cibo presente nello
stomaco e nell’intestino (gli effetti a digiuno risultano più rapidi e significativi), la
percentuale di alcol presente nella bevanda e la sua velocità di assorbimento (il vino, ad
esempio, viene assorbito più velocemente della birra), il ritmo delle assunzioni alcoliche
(direttamente proporzionale alle conseguenze) e la contemporanea assunzione di altri
farmaci che, intervenendo sul sistema nervoso centrale, possono potenziare gli effetti
tossici dell’alcol.
Risulta, pertanto, più che mai opportuno agire preventivamente mediante
campagne informative che mettano in luce il rischio di incidenti e la gravità delle
conseguenze di un comportamento irresponsabile da parte del guidatore, tenendo in
considerazione il fatto che gli incidenti costituiscono la prima causa di morte al di sotto
dei quaranta anni: ad una percezione del pericolo più forte corrisponde, infatti, una
riduzione del rischio stesso. Una serie di campagne di informazione affiancate alle
azioni repressive e di controllo può, inoltre, ricordare le regole da rispettare e gli
atteggiamenti da seguire ed incrementare la sensibilità generale rispetto agli effetti di
comportamenti scorretti.
2.6. Politiche europee
Nel tempo e nelle differenti nazioni si è tentato di arginare il problema
dell’alcolismo con politiche tra loro contrapposte ed a volte estreme; emblematici, negli
anni Venti, furono i provvedimenti presi dai diversi stati per controllare il fenomeno.
In particolare, in Italia si cercò di sensibilizzare l’opinione pubblica nel tentativo
di dimostrare che il consumo di vino fosse direttamente correlato all’aumento dei
ricoveri in manicomio, mentre negli Stati Uniti d’America furono proibiti totalmente
l’uso ed il commercio di tali bevande, con l’unico risultato di incrementare quelli delle
droghe.
Le politiche europee attualmente in vigore si dividono fra teorie proibizioniste e
teorie contestuali dell’abuso: le prime tendono per lo più a regolamentare le vendite
degli alcolici in modo da limitarne l’uso, o forse è il caso di dire l’abuso, mentre le
seconde mettono in evidenza il contesto socioculturale all’interno del quale si determina
un comportamento di uso-abuso dell’alcol.
Gli strumenti più importanti adottati nei diversi Stati nella lotta contro tale
sostanza sono il controllo e l’imposizione, ma i provvedimenti specifici variano in base
alle diverse situazioni culturali ed alle differenti vicende storiche: da un confronto tra i
Paesi del Nord e quelli del Sud d’Europa emerge chiaramente come nei primi la
gestione delle problematiche legate all’abuso di alcol sia fortemente statalizzata e le
31
bevande alcoliche siano gravate da forti oneri fiscali, mentre nei secondi l’intervento
dello Stato risulta piuttosto limitato. L’Unione Europea, del resto, prescrive soltanto
aliquote minime di imposta, cosicché si registra una notevole disomogeneità tra le
misure di intervento delle diverse nazioni.
Nel Dicembre 1995 grazie all’Oms (l’Organizzazione Mondiale della Sanità) i
Ministri della Sanità ed i funzionari della maggior parte degli Stati Membri della
Regione Europea si sono riuniti a Parigi nella conferenza “Salute, Società e Alcol” per
discutere i problemi sociali e sanitari causati dall’abuso di bevande alcoliche e per
creare delle normative in grado di arginare il problema, dando vita alla Carta Europea
sull’Alcol. Nel corso della conferenza, che ha riunito tutti gli stati europei sotto lo
slogan “Alcol, meno è meglio”, è stato fissato l’obiettivo della riduzione del 25% nel
consumo di alcol tra il 1980 e l’anno 2000; è stato altresì proposto un Piano d’Azione
Europeo sull’alcol, articolato in un insieme di linee guida da seguire allo scopo di
prevenire le conseguenze sociali legate al problema dell’alcolismo ed i rischi per la
salute. La salute, infatti, non solo non è più associata ad un sistema di premi e punizioni
elargiti dalla divinità, ma non è più interpretata neanche come una semplice assenza di
malattia; la più recente definizione data dall’Oms la considera, infatti, quale frutto di un
armonico equilibrio fisico, psichico e sociale dell’individuo, ben inserito all’interno
della famiglia e della comunità e quale bisogno fondamentale e diritto-dovere essenziale
della persona.
La Carta Europea sull’Alcol individua dieci strategie applicabili al di là delle
differenze giuridiche, socioculturali ed economiche tra i diversi Paesi. Esse coinvolgono
in primo luogo la creazione ed il costante aggiornamento di programmi ad hoc nella
Regione Europea e la diffusione dell’informazione e della prevenzione rispetto ai danni
causati dall’alcol; riguardano, poi, la promozione della salute e quella di ambienti sia
pubblici che privati protetti da incidenti, violenze o altre conseguenze negative associate
al consumo di bevande alcoliche. Tali strategie si propongono inoltre di intervenire sulla
legislazione e sull’attuazione di misure di controllo nel campo della pubblicità e del
marketing, anche attraverso la diffusione di un maggiore senso di responsabilità eticogiuridica tra i soggetti operanti nel settore; mirano, infine, ad accrescere le capacità
della società di occuparsi delle problematiche dell’alcol attraverso la formazione di
professionalità adeguate nella sfera sanitaria, sociale, educativa e giudiziaria, mediante
il sostegno alle Organizzazioni non Governative ed ai gruppi di auto-mutuo-aiuto e
attraverso la garanzia dell’accesso ad efficaci servizi di trattamento e riabilitazione per
tutti i soggetti con consumi a rischio e per le loro famiglie.
I produttori di bevande alcoliche hanno naturalmente reagito in modo ostile al
Piano d’Azione Europeo ed hanno contrattaccato attraverso la pubblicazione di
documenti che sostenevano la riduzione dei problemi alcolcorrelati in Europa; i
produttori di bevande alcoliche, d’altro canto, sostengono in generale che esista una
grande differenza tra l’uso e l’abuso di alcol e che i problemi dovuti ad una eccessivo
uso di alcolici derivino principalmente da una piccola minoranza di bevitori
irresponsabili. Le politiche di controllo sull’alcol e le eccessive tassazioni, costituiscono
dunque delle politiche inefficaci per affrontare le problematiche alcolcorrelate: risulta,
32
per contro, molto più efficace un approccio che cerchi di raggiungere attraverso
programmi educativi soltanto coloro che abusano di alcol.
Negli anni Novanta tutte le nazioni europee si sono occupate di sviluppare
servizi specialistici di trattamento, di promuovere la prevenzione attraverso i mezzi di
comunicazione di massa e di attuare politiche sui prezzi tali da ridurre la domanda.
Alcuni Stati in particolare hanno emanato leggi specifiche per quanto riguarda la
vendita e la pubblicità di prodotti alcolici.
Si sta, infatti, diffondendo nell’ambito dei diversi Paesi la consapevolezza degli
effetti profondi dell’abuso di tali sostanze sulla salute e sul benessere sociale. Da un
retroterra disomogeneo, caratterizzato dal diverso ruolo del “bere” nella cultura
popolare e nell’economia e da una differente percezione della legittimità dello Stato
quale organismo di controllo rispetto a tali problematiche, comincia ad emergere un
impegno comune nella direzione della diminuzione dei danni alcolcorrelati. Ciascun
Paese sostiene costi di vario tipo in rapporto all’abuso di tale sostanza, che vanno da
quelli strettamente legati alla salute – come il ricovero dei pazienti in ospedale – a quelli
relativi alla sicurezza in rapporto agli incidenti domestici e del tempo libero ed a quelli
stradali, fino alle perdite di produttività per l’industria ed ai costi penali e legali:
secondo i dati dell’Organizzazione Mondiale della Sanità si arriva, nel complesso, ad un
importo pari al 2-5% del prodotto nazionale lordo.
L’obiettivo delle politiche pubbliche diventa, allora, la prevenzione o la
riduzione delle sofferenze e dei costi sociali derivanti dal consumo di bevande alcoliche
diffusi in modo generalizzato nella popolazione: tali politiche devono costituirsi quali
punto di equilibrio tra i benefici dell’alcol ed i suoi costi. Questi ultimi non coinvolgono
soltanto chi abusa di tali sostanze, ma anche i componenti del gruppo primario a cui
appartiene: si pensi, ad esempio, ai fenomeni di violenza familiare. I bambini
appartenenti a nuclei in cui sono presenti problemi legati all’alcol, poi, soffrono quasi
sempre per l’atteggiamento negativo della società nei confronti degli alcolisti: lo stigma
sociale finisce, così, col provocare l’isolamento rispetto ai loro amici da parte di
bambini già costretti ad assumere ruoli e responsabilità proprie di un adulto e a
confrontarsi quotidianamente col timore di perdere i genitori che non riescono a
separarsi dall’alcol.
Non ci si deve dimenticare, infine, delle pesanti conseguenze economiche
dell’alcolismo sulle famiglie: molto spesso tale problematica finisce col tradursi in una
corrispondente riduzione del denaro destinato alle spese alimentari e scolastiche dei
bambini, con la creazione di un circolo vizioso fra povertà, violenza e malattia.
Le politiche più efficaci risultano, di conseguenza, quelle rivolte alla comunità
nel suo complesso piuttosto che ai soli bevitori ad alto rischio, poiché esse non
effettuano una semplice opera di persuasione, bensì mirano a modificare l’ambiente in
modo da rendere più semplice l’attuazione delle scelte più sane. Tale strada della
prevenzione primaria è stata intrapresa da diversi anni anche dalla Società Italiana di
Alcologia; l’estensione dei programmi di trattamento a soggetti che in passato erano
stati esclusi da qualunque forma di intervento trova la propria ragione di essere in un
approccio di comunità teso alla prevenzione dei problemi legati al consumo di alcol, col
duplice scopo di intervenire prima che la salute sia danneggiata in modo permanente e
33
che la dipendenza giunga ad uno stadio tale da rendere più difficili eventuali trattamenti
successivi. Tale prospettiva ecologica ed interazionista, considerando l’individuo ed i
suoi disturbi in stretto rapporto con l’ambiente sociale, risulta particolarmente efficace
nella misura in cui prende in considerazione le modalità comunicative ed i legami
affettivi. La strada migliore per ridurre i problemi alcolcorrelati all’interno della società
ed i danni da essi derivanti diventa, allora, quella di intervenire su un ampio numero di
persone con problematiche relativamente poco gravi piuttosto che sul numero più
ristretto di persone affette da grave dipendenza.
Lo Stato deve condizionare il comportamento dei suoi cittadini, mettendo in luce
il rischio di dipendenza, cui consegue, in caso di abuso, una riduzione della libertà sia
della persona dipendente sia di coloro che la circondano; solo una forte politica pubblica
può frenare l’azione dei soggetti che, essendo coinvolti nel commercio degli alcolici e
interessati ad incrementarne il consumo, contribuiscono all’aumento dei problemi
alcolcorrelati.
Gli interessi commerciali di viticoltori, produttori, venditori e ristoratori
influenzano gli Stati nella direzione della lotta all’abuso ed al cattivo uso piuttosto che
di una riduzione generalizzata dei consumi, senza considerare che il raggiungimento del
primo obiettivo è impossibile se non si è già raggiunto il secondo.
A tutt’oggi le società multinazionali esercitano un controllo pressoché totale sul
mercato dell’alcol; mentre le esportazioni delle droghe psicoattive vengono regolate
mediante convenzioni internazionali, non esistono accordi analoghi rispetto alle
bevande alcoliche, tanto che si sta affermando una vera e propria etica del libero
mercato internazionale. All’interno di questo contesto, quindi, tutti quegli strumenti che
consentono di controllare l’uso di alcol a livello locale, limitando i danni alcolcorrelati,
finiscono col subire pesanti attacchi in quanto si costituiscono come un ostacolo al
mercato stesso.
Se nelle nazioni più industrializzate la quota di alcolici consumati sta comunque
diminuendo, lo stesso discorso non vale per i Paesi in via di sviluppo, nei quali si
registra un incremento costante sia a livello di produzione che di importazione. Tale
stato di cose assume una rilevanza anche maggiore se teniamo conto dell’amplificazione
dei danni sanitari che si manifesta in questi Paesi a causa della diffusa malnutrizione,
della presenza di malattie ed infezioni e della frequente associazione di un abuso nel
bere all’utilizzo di sostanze come il tabacco da masticare o il fumo.
Se escludiamo i Paesi islamici, caratterizzati da un rigido proibizionismo, gli
Stati in via di sviluppo sono per la maggior parte caratterizzati dalla scarsa presenza di
politiche sull’alcol e da leggi molto liberali in materia. Spesso, poi, gli stessi tentativi di
adeguamento alle strutture economiche dei Paesi occidentali da parte di quelli meno
industrializzati hanno consentito l’ingresso in essi di società multinazionali produttrici
di bevande alcoliche in cerca di nuovi mercati, che sovente si servono di strategie
commerciali eticamente non conformi agli standard europei.
Secondo quanto messo dal rapporto della Advocacy for the Prevention of
Alcohol Related Harm in Europe e della Confederation of Family Organizations in the
European Union del 1998, in Europa in media il 90% degli uomini e l’80% delle donne
consuma bevande alcoliche: gli estremi sono rappresentati dall’Irlanda con il 76% di
34
uomini ed il 64% delle donne e dalla Danimarca con il 98% degli uomini ed il 94%
delle donne.
In particolare, analizzando le differenti situazioni di ciascuna nazione, emerge
un quadro della situazione piuttosto preoccupante: l’Austria ha un milione di bevitori
problematici e 400.000 alcoldipendenti; in Belgio ci sono circa 300.000 bevitori a
rischio; in Danimarca il 14% degli uomini e l’8% delle donne eccede con l’alcol; in
Finlandia gli alcoldipendenti sono circa 250.000, mentre sono a rischio il 22% degli
uomini ed il 5% delle donne; in Francia i bevitori a rischio di malattie alcolcorrelate
sono oltre cinque milioni di bevitori; in Germania i bevitori problematici sono
6.600.000 e in Irlanda l’8% di uomini ed il 2% di donne presenta sintomi di
alcoldipendenza. In Italia le statistiche sono discordanti, tuttavia si può effettuare una
stima del fenomeno che vede da 500.000 a 2.000.000 le persone con problemi di
dipendenza; in Lussemburgo sono circa 9.000 i bevitori problematici; in Norvegia circa
il 10% della popolazione abusa di alcolici, mentre nei Paesi Bassi il 25% degli uomini e
circa il 2% delle donne superano i limiti massimi consigliati. In Portogallo esistono
1.700.000 fra alcolisti e bevitori problematici; in Spagna gli alcoldipendenti sono
3.000.000 di uomini e 235.000 donne, mentre nel Regno Unito il 7% degli uomini ed il
2% delle donne presenta sintomi di alcoldipendenza; in Svezia, infine, si stima che
abusino di alcol 300.000 persone, fra cui 50-100.000 in modo grave.
La situazione europea è dunque piuttosto problematica e sembrano quanto mai
necessarie delle politiche sull’alcol che interessino tanto la sfera della dipendenza
quanto quella dei problemi alcolcorrelati, gli effetti acuti così come quelli a lungo
termine, le conseguenze fisiche ma anche quelle psicologiche e sociali. Si deve dunque
ricorrere ad una molteplicità di misure, che possono prevedere la tassazione come la
regolamentazione dell’età minima per il consumo, fino a delle restrizioni relative alle
pubblicità, ai giorni ed agli orari di vendita ed alle politiche su numero, tipo ed
ubicazione dei punti di vendita.
L’obiettivo di una politica di salute pubblica dovrebbe essere quello di ridurre i
danni legati all’abuso di alcol adottando politiche di controllo sull’alcol nelle cinque
fondamentali aree elencate di seguito: trattamento dei problemi alcolcorrelati, politiche
sull’alcol nei luoghi di lavoro, pubblicità, guida e diritti doganali.
In primo luogo, è necessario dare a tutti i cittadini dell’Unione Europea che
soffrono di problemi legati all’alcol l’opportunità di avere libero accesso ai servizi di
trattamento e di supporto nella comunità in cui vivono; è inoltre necessario incoraggiare
l’adozione di standard comuni minimi per gli operatori sanitari e sociali in relazione alle
conoscenze e alle professionalità richieste per l’identificazione e la gestione dei
problemi alcolcorrelati.
Il trattamento del problema relativo all’alcoldipendenza deve poi essere
sviluppato anche in ambito lavorativo: tutte le associazioni dei lavoratori dovrebbero
infatti ampliare le politiche, le procedure ed i programmi per scoraggiare il consumo di
alcol sul lavoro e aiutare coloro che ne hanno bisogno a risolvere i propri problemi
salvaguardando così il posto di lavoro.
L’intervento sulla pubblicità rappresenta un argomento piuttosto delicato, poiché
solo alcuni degli Stati europei hanno bandito la pubblicità dell’alcol in televisione, negli
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stadi e nelle riviste giovanili; questo comportamento restrittivo dovrebbe essere esteso a
tutti gli altri stati membri per evitare che le politiche della sanità pubblica vengano
danneggiate dai mezzi di comunicazione di massa.
Il quarto punto riguarda la guida sotto l’effetto dell’alcol. Misure efficaci
dovrebbero prendere in considerazione una campagna educativa, l’applicazione rigorosa
della legge attraverso controlli specifici del tasso alcolemico, pene proporzionate alla
gravità del reato e programmi di trattamento per bevitori condannati per reati relativi
alla guida in stato di ebbrezza.
L’ultimo punto, che è anche quello di maggiore interesse, è relativo ai diritti
doganali. Questi dovrebbero essere considerati non solo come un mezzo per aumentare
le entrate, ma anche come una tassa per proteggere la salute pubblica ed il benessere
sociale; dovrebbero poi essere introdotti anche dei limiti di importazione e speciali
deroghe per casi particolari. Sarebbe, inoltre, necessario tassare le bevande in
proporzione alla quantità di alcol presente; il principio fondamentale da seguire, infatti,
dovrebbe essere quello secondo cui il livello di tassazione dovrebbe essere sufficiente
almeno a coprire i costi dei problemi che crea.
2.7. Legislazione italiana in materia di alcol
L’Italia non si è mai occupata in modo specifico del problema dell’alcolismo,
ma ha sempre associato tale fenomeno a quello della tossicodipendenza; rispetto a
quest’ultimo, peraltro, l’alcolismo ha sempre rivestito un ruolo del tutto secondario, sia
dal punto di vista dell’opinione pubblica sia, soprattutto, sotto il profilo burocraticolegislativo. Eppure i numeri dell'alcolismo superano di gran lunga quelli della
dipendenza da sostanze stupefacenti.
Il problema è stato affrontato, fin dalle origini, secondo un approccio
principalmente medico-psichiatrico e criminologico. Solo intorno agli anni Settanta,
sulla scia degli studi americani, si sono cominciati ad individuare aspetti più specifici e
si è parlato di prevenzione, cura e riabilitazione dell’alcolista; su tali aspetti stanno
tutt’oggi lavorando gli specialisti del settore, allo scopo di predisporre delle strutture in
grado di affrontare in modo adeguato il fenomeno.
Il problema dell’alcolismo, d’altro canto, resta fondamentalmente un problema
sommerso, su cui non si hanno dati certi ma soltanto stime approssimative: solo da poco
tempo se ne discute in ambito istituzionale e se ne parla a livello di opinione pubblica.
In particolare in Italia, come nel resto d’Europa, si è iniziata gradualmente a sviluppare
una rete di organizzazioni non governative con lo scopo di favorire uno scambio di
informazioni tra i membri, sviluppare programmi di prevenzione e di cura e trovare un
giusto equilibrio per ridurre i danni legati all’alcol.
Sul piano legislativo, però, l’alcolismo non sembra essere preso in grande
considerazione: il nostro Paese, infatti, non ha una legislazione specifica contro gli
abusi legati all’alcol, ma soltanto una serie di norme non coordinate tra loro, finalizzate
alla risoluzione di problemi specifici e per lo più immediati.
Per individuare le radici delle normative relative all’alcol è necessario fare un
lungo passo indietro nella legislazione italiana: mentre in altri Paesi ci si comincia ad
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occupare seriamente dell’alcolismo fin dal Settecento, bisogna aspettare gli ultimi anni
dell’Ottocento per rintracciare le prime normative italiane, peraltro fondamentalmente
repressive, di carattere strettamente sanitario, volte a limitare in principal modo la
circolazione di persone ubriache.
In Inghilterra la consapevolezza degli effetti nocivi dell’abuso di bevande
alcoliche si può far risalire già alla prima metà del XVIII secolo. Preoccupato dagli
ingenti danni derivanti da un alto consumo di alcol, sovente di pessima qualità, presso
ampi strati della popolazione urbana, il Governo inglese intervenne infatti con una serie
di provvedimenti legislativi (i cosiddetti “Gin Acts”) tesi a ridurre i consumi. Il secondo
“Gin Act” arrivò addirittura ad approvare misure tanto rigide e restrittive da suscitare le
proteste della popolazione, mentre peraltro fiorivano – come quasi sempre è accaduto in
tempi di Proibizionismo – le distillazioni clandestine ed il contrabbando. In Italia,
invece, l’attenzione al fenomeno dell’alcolismo cominciò a manifestarsi solo a partire
dagli ultimi due decenni del secolo scorso, quando acquistarono visibilità i danni alla
produzione e le conseguenze in termini di criminalità e violenze derivanti dalla
diffusione del fenomeno tra le classi operaie.
Lo scontro tra l’esigenza di salute ed ordine pubblico e gli interessi dei
produttori e degli esportatori di vino, però, fece sì che la prima proposta organica
risalisse soltanto al 1913, col testo di legge presentato dal Ministro Luzzati sulla scorta
delle raccomandazioni emerse durante i Convegni nazionali organizzati dalla
Federazione antialcolista italiana. Con tale legge si regolamentava la vendita di bevande
alcoliche attraverso vincoli di vario genere – dall’individuazione di un’età minima per la
somministrazione di alcolici al numero di spacci sul territorio (non superiore a uno ogni
cinquecento abitanti) – e si prevedevano misure punitive quali la privazione dei diritti
civili ad etilisti recidivi o colpevoli di delitti comuni.
Durante il conflitto mondiale e nel periodo fascista si è assistito ad una
diminuzione del commercio, della produzione e dell’uso di bevande alcoliche, in quanto
il regime attuò una serie di politiche atte all’inasprimento delle pene. Attraverso una
disciplina piuttosto rigida, infatti, furono regolamentati i requisiti necessari per la
concessione di licenze di apertura degli spacci, il divieto di somministrazione degli
alcolici ai minori ed agli infermi di mente, le disposizioni fiscali ed i controlli delle
autorità sanitarie.
Un approccio di tipo essenzialmente repressivo, orientato più alla prevenzione
dei disordini pubblici che alla tutela della salute dei cittadini che abusano di sostanze
alcoliche permane, purtroppo, nella legislazione italiana tuttora vigente.
Il sistema penale del nostro Paese si rivela, infatti, poco coordinato rispetto alle
problematiche delle alcoldipendenze, alternando leggi estremamente rigorose a vere e
proprie lacune di tutela.
In un sistema penale per lo più orientato dal principio della non punibilità in
presenza di incapacità di intendere e di volere, si prevede un particolare rigore nel caso
di reati commessi in stato di ubriachezza; gli artt. 91, 92, 94 e 95 del nostro Codice
Penale stabiliscono infatti la piena imputabilità del reato e prevedono addirittura un
aumento della pena “se l’ubriachezza era preordinata al fine di commettere il reato , o di
prepararsi una scusa” (art. 92 c.p. - Ubriachezza volontaria o colposa ovvero
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preordinata) e “quando il reato è commesso in stato di ubriachezza, e questa è abituale”
(art. 94 c.p. - Ubriachezza abituale). Le uniche eccezioni sono costituite dalla
circostanza in cui l’intossicazione acuta non sia prevista né voluta, come nel caso in cui
si raggiunga una condizione di ubriachezza assumendo quantità di sostanza che
normalmente non producono in altri soggetti tale reazione abnorme (secondo l’art. 91
c.p. “non è imputabile chi, nel momento in cui ha commesso il fatto, non aveva la
capacità di intendere o di volere, a cagione di piena ubriachezza derivata da caso
fortuito o da forza maggiore. Se l'ubriachezza non era piena, ma era tuttavia tale da
scemare grandemente, senza escluderla, la capacità di intendere o di volere, la pena è
diminuita”) e nel caso di intossicazione cronica da alcol, tale cioè che l’abuso
prolungato di sostanze alcoliche abbia prodotto alterazioni psicofisiche che si
protraggono nel tempo anche senza ulteriore assunzione della sostanza stessa (l’art. 95
c.p. prevede l’applicazione del principio di non imputabilità contenuto negli artt. 88 e
89 del c.p. per i fatti commessi in stato di cronica intossicazione prodotta da alcol).
D’altro canto, le norme contenute nel paragrafo “Delle contravvenzioni
concernenti la prevenzione dell’alcolismo e dei delitti commessi in stato di ubriachezza”
del Codice Penale (artt. 686-691) non contengono alcun riferimento alla tutela della
salute dei soggetti affetti da problematiche alcolcorrelate, ma si preoccupano
essenzialmente di garantire l’ordine pubblico e di difendere terze persone dalle
conseguenze moleste dell’ubriachezza, senza preoccuparsi di chi abusa di sostanze
alcoliche nel chiuso delle mura domestiche: abbiamo, allora, norme relative alla
“fabbricazione o commercio abusivi di liquori o droghe, o di sostanze destinate alla loro
composizione” (art. 686) – trattate anche nel D.Lg. 26/10/1995 n. 504 – alla
“somministrazione di bevande alcoliche a minori o a infermi di mente” (art. 689) o “a
persona in stato di manifesta ubriachezza” (art. 691), alla “determinazione in altri dello
stato di ubriachezza” (art. 690) o al “consumo di bevande alcoliche in tempo di vendita
non consentita” (art. 687). L’art. 613 contenuto nella Sezione III “Dei delitti contro la
libera morale” del Codice Penale stabilisce la punibilità per chi ponga una persona in
una condizione di incapacità di intendere e di volere senza il suo consenso attraverso la
somministrazione di bevande alcoliche, mentre le “Disposizioni speciali” della Sezione
II c.p. si riferiscono all’assegnazione a case di cura o di custodia (art.219), al ricovero in
ospedali psichiatrici giudiziari (art. 222) o al supplementare divieto di frequentare
osterie e pubblici spacci di bevande alcoliche (art. 234).
Piuttosto modesti i passi avanti fatti nella direzione della prevenzione speciale e
della cura per gli alcolisti: la stessa legge n. 297/85 che nel caso di sentenza di condanna
a pena detentiva estende agli alcoldipendenti la possibilità di affidamento in prova al
servizio sociale per proseguire l’attività terapeutica, non tiene conto del fatto che le
unità sanitarie locali e gli altri enti indicati non possiedono, nella quasi totalità dei casi,
competenze specifiche in materia di alcoldipendenza.
Qualche progresso, almeno in termini di visibilità del problema presso
l’opinione pubblica, si comincia a registrare, ma ci si scontra sempre con gli interessi
commerciali dei produttori di vini e liquori.
A tale proposito, molte sono state le discussioni sviluppatesi intorno
all’opportunità di vietare le pubblicità che spingessero verso il consumo di alcolici.
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Già negli anni Cinquanta, infatti, si cominciò ad avvertire l’esigenza di codici
che regolamentassero la reclame delle bevande alcoliche, ma bisogna attendere fino al
codice di lealtà pubblicitaria del 1975 per vedere affermato il divieto di incoraggiare un
uso eccessivo, incontrollabile e dannoso delle bevande alcoliche; lo stesso codice
evidenzia come l’alcol ostacoli la prontezza di riflessi alla guida e, più in generale, la
lucidità mentale e non contribuisca in alcun modo ad una forma di superiorità fisica,
psicologica o sociale. Le successive modifiche apportate nel 1982 prevedevano il
divieto di rappresentare situazioni di attaccamento morboso o vera e propria dipendenza
da sostanze alcoliche, quello di spingere il consumatore a non riflettere sulla necessità di
modalità di consumo diversificate in rapporto alle differenti caratteristiche del prodotto
e alle condizioni personali del consumatore e, infine, quello di utilizzare l’indicazione
del grado alcolico di una bevanda come tema centrale dell’annuncio.
Sul piano legislativo i progressi nella lotta contro l’abuso di alcol sono stati, se
possibile, ancora più lenti. Alla fine, si è giunti ad una soluzione di compromesso col
decreto Vizzini del gennaio 1992, che ha regolamentato la pubblicità in conformità delle
direttive CEE mediante il divieto di spot rivolti direttamente ai minorenni o tali da
indurre a credere che le bevande alcoliche possiedano particolari virtù terapeutiche –
calmanti o stimolanti – e che il consumo delle stesse possa contribuire a risolvere
situazioni di conflitto psicologico o favorire in qualche modo il successo personale nella
sfera sociale o sessuale.
Ultimamente poi nel nostro Paese ha fatto molto discutere in materia di lotta
all’alcolismo un Testo Unificato, presentato alla Camera nel giugno 1998. Una delle
undici proposte di legge esaminate dalla commissione Affari Sociali prevedeva di porre
sull’etichetta di ogni bevanda alcolica, indipendentemente dalla gradazione,
l’avvertenza: “Nuoce gravemente alla salute”. In molti si sono opposti a questa scrittura
in quanto preoccupati delle potenziali conseguenze per i prodotti italiani sul mercato
internazionale e sostenitori dell’idea che l’assunzione di moderate quantità di vino,
soprattutto rosso, durante i pasti possa contribuire a prevenire alcune malattie
cardiovascolari: alla fine, la warning label non comparirà sulle nostre bottiglie.
2.8. Possibile identikit dell’alcolista: donne, anziani e giovani
2.8.1. Il consumo di bevande alcoliche tra le donne
Un’indagine campionaria effettuata da Demoskopea nel 1990 su tutto il territorio
nazionale metteva già in luce un coinvolgimento dell’universo femminile nel problema
alcol. Tale studio evidenziava che le differenze qualitative e quantitative nel consumo di
vino (la bevanda maggiormente consumata) in rapporto alla zona di residenza erano
presenti anche tra le donne – massimi nel Nord del Paese e minimi nel Sud e nelle isole
– mentre non si riscontravano disomogeneità significative in funzione delle dimensioni
del comune di residenza. L’età assumeva un’importanza notevole nella determinazione
dei consumi alcolici femminili, che si modificano sia da un punto di vista quantitativo
che sotto il profilo qualitativo: col trascorrere degli anni, infatti, le donne bevono di più
e riducono sempre più la birra in favore del vino e dei superalcolici. Grande rilievo
39
ricoprono anche alcune determinanti sociali quali il titolo di studio, la classe sociale e
l’attività lavorativa: i maggiori consumi si rilevano all’interno delle classi
socioeconomiche più elevate, poiché le maggiori bevitrici – soprattutto in relazione ai
superalcolici – sono le donne con alto livello di istruzione e che ricoprono posizioni di
un certo prestigio; i consumi delle casalinghe, d’altro canto, non si differenziano in
misura significativa da quelli delle donne di altre classi di età che non hanno impegni
lavorativi come le pensionate o di coloro che hanno occupazioni di basso livello.
Inoltre, da una approfondita analisi dei quotidiani emerge come il problema
dell’alcolismo si stia diffondendo anche tra le donne. Sembra così cadere anche l’ultimo
tabù per le signore che, già stregate dal vizio della nicotina, si stanno ora avvicinando ai
piaceri dell’alcol. Nonostante il fenomeno sia poco presente tra le più giovani, tanto che
molte dichiarano addirittura di essere astemie, l’abuso comincia ad assumere una certa
importanza per le ultraquarantenni. Il fenomeno coinvolge donne colte e in carriera
apparentemente soddisfatte di sé e del proprio lavoro, ma anche le casalinghe, che in
questa fase della vita sperimentano una sofferta perdita di ruolo legata alla crescita dei
figli e cercano talvolta di superare le difficoltà della vita familiare ed affettiva mediante
il ricorso all’alcol. Oltre alle motivazioni generiche che solitamente spingono ad
eccedere nel bere – il disagio esistenziale, la marginalità, l’insoddisfazione – occorre
allora prendere in considerazione i particolari meccanismi che entrano in gioco nella
psiche femminile nel momento in cui si varca una certa soglia di età: la tendenza a
colpevolizzarsi più facilmente rispetto all’uomo, i profondi complessi rispetto ad un
corpo non più in grado di sedurre come un tempo, la perdita del concetto di futuro, la
diminuzione delle responsabilità familiari e la conseguente percezione della propria
inutilità rispetto all’altro.
Mentre gli uomini sono indotti a bere da problemi sociali – si pensi, ad esempio,
alla disoccupazione – le donne sono portate a riversare nell’abuso di alcol problemi di
natura personale e psicologica: la stessa donna in carriera trova conforto nella bottiglia
soprattutto quando la sera, tornata a casa, si origina la competizione con il partner. Alla
base di tale fenomenologia troviamo un significativo cambiamento del ruolo sociale
della donna, sempre più somigliante a quello maschile.
Una ricerca già pubblicata in Germania, riproposta nel 1999 nel nostro Paese da
un team di psicologi su un campione di 1.200 casalinghe, rivela una realtà allarmante:
spesso la teledipendenza che colpisce una casalinga su due non è sufficiente per
sconfiggere la solitudine e la tristezza, al punto che una donna su quattro, annoiata dalla
quotidianità, ammette di fare ricorso ad un bicchiere di vino e, spesso, anche ad
antidepressivi veri e propri.
La ricerca di soluzioni efficaci al problema dell’alcolismo femminile non può
quindi prescindere da una attenta valutazione delle peculiari caratteristiche assunte dal
fenomeno presso “l’altra metà del cielo”: mentre l’alcolismo maschile è quasi sempre
frutto di un lungo processo di socializzazione, quello femminile si configura sovente
come risultato per lo più immediato di forti stress ambientali. Quasi tutti gli studi finora
condotti, infatti, hanno individuato le cause dell’abuso di sostanze alcoliche nello stress
e nei nuovi ruoli femminili: molto spesso, cioè, le donne si avvicinano alla bottiglia
perché avvertono l’esistenza di un conflitto insanabile tra i ruoli che ricoprono (ad
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esempio quello di moglie e quello di lavoratrice) o del biasimo sociale derivante dalla
scelta di un ruolo non tradizionale, oppure in seguito ad eventi fortemente stressanti
quali divorzi, lutti familiari, ecc.
2.8.2 L’alcolismo in età senile
Il fenomeno dell’alcolismo, che un tempo coinvolgeva in maniera pressoché
esclusiva uomini adulti, si sta oggi diffondendo anche tra le donne e gli anziani. Questi
ultimi, frequentemente spinti a rifugiarsi in questa forma di dipendenza a causa
dell’emarginazione e dell’isolamento sociale, finiscono col compromettere in modo
spesso irreparabile la propria salute: il soggetto anziano, infatti, risulta particolarmente
predisposto alla epatopatia alcolica, poiché il maggior numero di anni di sopravvivenza
accresce il danno epatico. Si accentuano, inoltre, gli effetti negativi sull’apparato
respiratorio e su quello cardiocircolatorio, oltre alle conseguenze sull’equilibrio
generale dell’organismo legate al fatto che l’apporto calorico delle bevande alcoliche
tende a provocare una diminuzione dell’appetito e, con essa, uno stato di potenziale
malnutrizione, senza trascurare l’incremento del rischio di demenza. L’abuso di alcol
provoca nell’anziano una perdita delle capacità di inserimento attivo nell’ambiente ed
un netto peggioramento della qualità della vita, aggravando fenomenologie quali la
trascuratezza nella cura personale ed il rischio di incidenti – domestici e non – e di
cadute.
La necessaria azione di prevenzione orientata verso questa fascia della
popolazione viene ad essere ostacolata dalla difficile emersione del fenomeno, poiché i
sintomi della dipendenza alcolica nell’anziano si sovrappongono spesso con quelli
connessi all’invecchiamento. In secondo luogo, vengono quasi sempre meno quelle
circostanze che permettono di rilevare tra soggetti adulti la presenza di problemi legati
all’abuso: la persona anziana ha smesso di guidare, non sperimenta se non in rari casi
problemi di natura legale derivanti da ubriachezza molesta o rissosità e, soprattutto, non
vive più quelle dinamiche collettive legate alla famiglia ed all’ambiente di lavoro che
negli altri casi sono alla base dell’individuazione del problema.
Nonostante tali difficoltà, risulta essenziale intervenire, sia attraverso il
trattamento domiciliare e ospedaliero che facendo ricorso a gruppi volontari di
supporto; le terapie di astensione e supporto alimentare risultano efficaci , soprattutto se
ad esse vengono associate forme di aiuto psicologico. La mancanza di una diagnosi e di
un intervento adeguati possono costituire un grave pericolo per l’anziano, mantenendo
in uno stato di latenza gli effetti biologici dell’alcol e causando patologie talvolta
irreversibili.
2.8.3. L’influenza dell’alcol in età giovanile
L’età giovanile rappresenta una delicata fase di passaggio dal mondo
dell’infanzia a quello adulto: frequenti sono i turbamenti e le paure che caratterizzano i
ragazzi, spesso dominati dall’esigenza di non restare soli e di essere accettati dal gruppo
di appartenenza e disposti, per raggiungere tale obiettivo, ad emulare comportamenti
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sbagliati. Dai risultati di una indagine nazionale su “I Giovani e l’Alcol” condotta dalla
Doxa nel 1992 è emerso un aumento del consumo di bevande alcoliche direttamente
proporzionale all’età; i ragazzi cominciano a bere negli anni della pubertà e della preadolescenza, ma l’incremento più significativo nell’uso di super alcolici, aperitivi e
digestivi si registra tra i diciottenni, soprattutto maschi. All’interno di quella fascia di
età il raggiungimento dello stato di ebbrezza, con la conseguente diminuzione del livello
di coscienza e vigilanza, può spesso costituirsi, oltre che come occasione di fuga dalle
sofferenze e dai problemi quotidiani, anche come momento rituale di passaggio e come
prova di virilità. In questa prospettiva, il ruolo di “bevanda iniziatica” è assunto quasi
sempre da aperitivi, liquori e digestivi, mentre il vino continua a rappresentare la
tradizione familiare. Il primo bicchiere di vino bevuto a tavola con la famiglia segna il
passaggio dall’adolescenza all’età adulta ed è il simbolo dell’integrazione a pieno titolo
nel mondo dei “grandi”; il primo boccale di birra bevuto in pizzeria insieme ai coetanei
rappresenta il momento inaugurale della vita di relazione all’esterno del nucleo
familiare; con i superalcolici, infine, si inizia a sviluppare una forma di socialità più
emancipata dai vincoli del gruppo, facendo le prime esperienze individuali.
A fronte di tale situazione generale, risulta essenziale un intervento di
prevenzione volto a promuovere uno stato di salute psicofisica generale e, soprattutto,
ad eliminare quella molteplicità di condizioni che favoriscono la nascita di dipendenze
di qualsiasi natura. Tra queste spicca l’esistenza di una ideologia consumistica che,
portata alle sue estreme conseguenze, finisce col sostituire all’autonomia ed
all’autenticità della persona la sostanza di cui si abusa, investita di un potere assoluto.
Una corretta prevenzione, quindi, non può essere impostata su un piano
esclusivamente informativo, teso ad accrescere la consapevolezza delle conseguenze
dannose dell’alcol, poiché le principali cause per cui i giovani si avvicinano all’abuso di
tale sostanza non risiedono tanto nella sfera razionale e cognitiva, quanto piuttosto in
quella della autostima e della capacità di affrontare in maniera costruttiva le situazioni
problematiche. Caratteristiche spesso riscontrate nei soggetti più “a rischio” rispetto al
problema quali le difficoltà di adattamento, i problemi emotivi legati all’autocontrollo o
la tendenza a evadere dalla realtà costituiscono, infatti, tratti distintivi della fascia
giovanile.
Per quanto riguarda le motivazioni che spingono i ragazzi a bere, il nodo
centrale, che accomuna gli adolescenti ai trentenni, risiede nella difficoltà di
comunicare: l’attuale generazione è una generazione di insicuri, pieni di timori rispetto
al futuro, condizionati dalle mode e dai messaggi pubblicitari, incapaci di aprirsi e di
sentire nuovi stimoli senza ricorrere a sostanze esterne. Questi giovani si avvicinano
allora al bicchiere per vincere la paura di un esame o per farsi coraggio prima di
avvicinare una ragazza, per superare la malinconia e per sembrare più simpatici, più
intraprendenti e più spigliati, sfruttando il potere dell’alcol di favorire comportamenti
normalmente repressi da molteplici influenze di controllo. Non ci si affida più alla
bottiglia per manifestare il conflitto o l’opposizione politica, ma per compensare gli
insuccessi, le inibizioni e diventare protagonisti, affermandosi attraverso la
trasgressione e la propensione al rischio. Quest’ultimo aspetto è messo bene in luce da
una ricerca di Martin e Moira Plant sulla diffusione di comportamenti a rischio tra gli
42
adolescenti inglesi, in cui si sottolinea l’esistenza di una correlazione tra alcol, altre
droghe e sesso a rischio, pur tenendo conto della possibile esistenza di altre variabili
intervenienti quali gli aspetti individuali del carattere, il contesto esterno e le stesse
aspettative del soggetto in rapporto agli effetti delle sostanze alcoliche sull’attività
sessuale.
Le campagne di prevenzione devono cercare di responsabilizzare efficacemente i
giovani coinvolgendo “operatori informali” estranei all’ambito familiare e scolastico
che, in quanto tali, sono in grado di esercitare condizionamento su questo target:
volontari, dj e gestori di discoteche, baristi, animatori dei centri vacanze, responsabili
delle associazioni giovanili, allenatori e dirigenti delle società sportive, reti parrocchiali,
ecc. Una delle motivazioni principali che spinge i giovani verso l’alcol è il divertimento,
seguito dal desiderio di apparire più adulti; nonostante la diffusa consapevolezza dei
danni legati ad un consumo eccessivo di bevande alcoliche e della potenziale
pericolosità della guida in stato di ebbrezza, la maggioranza dei ragazzi non rinuncia a
bere durante i fine settimana.
Il consumo di bevande alcoliche, inoltre, è spesso associato a quello di sostanze
stupefacenti. Soprattutto tra le donne, infatti, sono molti i casi in cui l’abuso di
superalcolici è correlato all’assunzione di psicofarmaci e droghe pesanti, cocaina o
eroina. Questo accresce l’entità dei danni sulla salute; si pensi al morbo di Alzheimer,
alla cirrosi epatica e alla demenza, alle gastriti ed ai tumori al fegato e all’esofago.
Il fenomeno della dipendenza da alcol assume una consistenza sempre più
preoccupante, come dimostra la notizia di qualche anno addietro relativa all’esistenza di
adolescenti francesi alcolisti già a 13 anni. Tale precocità risulta confermata anche dallo
studio denominato ESPAD (European School Survey Project on Alcohol and Other
Drugs) condotto nel 1995 in ventisei Paesi europei e replicato nel corso del 1999; da
tale rapporto, finalizzato alla raccolta di dati riguardanti atteggiamenti e comportamenti
di studenti europei minorenni nei confronti di sostanze psicoattive, capaci di indurre
dipendenza, emerge infatti un’alta percentuale di giovani che si avvicina per la prima
volta al bicchiere già a tredici anni o, peggio, a quell’età sperimenta la prima
intossicazione alcolica.
Tra i ragazzi italiani, il 51% ha già bevuto almeno un bicchiere di birra, la metà
almeno un bicchiere di vino, mentre più ridotta è la percentuale di coloro che hanno già
assaggiato un superalcolico (25%) e ancora inferiore quella di chi è caduto per la prima
volta in una condizione di ebbrezza alcolica (11%).
L’aumento del consumo di bevande alcoliche tra i minorenni alla ricerca di una
condizione di euforia simile a quella raggiungibile attraverso l’utilizzo di sostanze
psicotrope trova un triste riscontro nelle cosiddette “stragi del sabato sera”. Spesso,
infatti, i più giovani bevono durante il fine settimana, senza tenere conto delle possibili
conseguenze, prima fra le quali è l’alterazione delle capacità di guida.
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Tabella 15
Studenti che hanno fatto per la prima volta uso di alcol a 13 anni o prima
Anno 1995
Valori percentuali
Stato
Birra
Croazia
53,0
Cipro
66,0
Rep. Ceca
51,0
Danimarca
73,0
Estonia
57,0
Isole Farøer
39,0
Finlandia
60,0
Ungheria
36,0
Islanda
37,0
Irlanda
43,0
Italia
51,0
Lituania
60,0
Malta
60,0
Norvegia
30,0
Polonia
46,0
Portogallo
54,0
Slovacchia
47,0
Slovenia
59,0
Svezia
54,0
Turchia
25,0
Ucraina
63,0
Regno Unito
66,0
Lettonia
65,0
Francia
Grecia
Spagna
Fonte: Elaborazione Eurispes su dati Espad Report.
Vino
Liquori
46,0
52,0
48,0
67,0
39,0
34,0
55,0
37,0
32,0
46,0
50,0
37,0
67,0
24,0
34,0
35,0
52,0
55,0
39,0
12,0
51,0
75,0
46,0
67,0
42,0
44
Ebbrezza
23,0
23,0
23,0
52,0
24,0
23,0
28,0
18,0
26,0
27,0
25,0
28,0
43,0
15,0
17,0
34,0
23,0
24,0
27,0
13,0
27,0
46,0
31,0
-
18,0
12,0
12,0
39,0
17,0
15,0
35,0
8,0
22,0
20,0
11,0
18,0
12,0
12,0
11,0
12,0
12,0
16,0
24,0
6,0
5,0
40,0
12,0
31,0
17,0
-
CAPITOLO 2
LA RICERCA EMPIRICA
1. I percorsi della ricerca
1.1 L’indagine di sfondo e la definizione del campione.
L’attività di ricerca sul campo è iniziata con l’indagine di sfondo, durante la
quale si sono venuti a creare occasioni d’incontro con diversi gruppi di alcolisti in
terapia di recupero. La disponibilità offerta dagli stessi e dagli operatori delle diverse
associazioni di alcolisti ha permesso di realizzare un’osservazione partecipante ed una
serie di interviste in profondità. Queste hanno fornito importanti informazioni di base
circa la realtà, per certi versi assi sfuggente, del problema dell’alcolismo. Attraverso
l’osservazione partecipante, infatti, si è avuto modo di approfondire le dinamiche
relazionali che caratterizzano i gruppi di recupero durante le fasi di terapia così come le
metodologie applicate; analogamente, mediante le interviste in profondità agli operatori
e agli stessi soggetti in terapia, si è potuto constatare come essi concepissero,
soggettivamente, il problema dell’alcoldipendenza. L’analisi di tale aspetto è apparso
subito importante ai fini della ricerca soprattutto in relazione alla definizione delle
diverse aree di indagine.
L’osservazione partecipante, inoltre, ha evidenziato le differenze tra le
associazioni di recupero contattate riguardo alle metodologie d’approccio per la terapia
degli alcolisti.
Sulla base di queste informazioni sono state definite successivamente le aree
tematiche del questionario.
Il campione è stato definito casualmente all’interno delle differenti associazioni
di recupero individuate su tutto il territorio nazionale. Per ottenere una bassa mortalità
di questionari sono stati individuati, all’interno delle diverse sedi di recupero i gruppi di
soggetti cui doveva essere somministrata la scheda di rilevazione.
L’unità d’analisi è pertanto il gruppo, all’interno del quale sono stati scelti, in
modo casuale, gli individui che volontariamente ed in modo assolutamente anonimo si
sono prestati a descrivere la propria esperienza di vita. È importante ribadire, quindi,
che i risultati della presente ricerca non sono rappresentativi dell’universo degli alcolisti
tout court, bensì dei soggetti che sono attualmente in terapia di recupero.
Ai gruppi-campione è stata inviata una lettera con la quale veniva chiarito, nel
limite del possibile, lo scopo della ricerca al fine di coinvolgerli e stimolare la loro
partecipazione; a questo proposito è necessario sottolineare nuovamente che la maggior
parte dei gruppi è stata estremamente disponibile ad essere intervistata in quanto, a loro
parere, è necessario sensibilizzare il più possibile l’opinione pubblica su un problema
così trascurato come l’alcolismo. Complessivamente il rientro dei questionari ha
pienamente soddisfatto le attese: va sottolineato come la mortalità degli stessi sia stata
piuttosto bassa.
2.1 La costruzione del questionario
Dall’indagine di sfondo sono emerse considerazioni importanti circa gli aspetti
salienti che caratterizzano la vita nelle comunità di recupero per ex-alcolisti. In
particolare, come già si diceva in precedenza, si sono notate in ogni associazione di
recupero differenti metodologie terapeutiche: i Narcotici Anonimi e gli Alcolisti
Anonimi, ad esempio,
attribuiscono un’accezione estremamente negativa all’alcool,
considerandolo come una droga; l’ACAT, viceversa, definisce l’abuso di alcool come
uno stile di vita, per il quale, evidentemente, sono da privilegiare metodologie di
recupero più definite e mirate al soggetto. Pur attraverso metodi differenti, le tre
associazioni contattate sembrano comunque affidarsi molto ai percorsi soggettivi di
recupero; ciò è apparso chiaro fin da primissimi momenti della ricerca di sfondo per cui,
in fase di costruzione del questionario da somministrare al campione di alcolisti in
recupero, si è dovuto tenere in debito conto simili aspetti cercando di non banalizzare,
attraverso l’elaborazione delle batterie di domande, le tematiche connesse all’abuso di
alcool.
Il tentativo di categorizzare gli aspetti concernenti l’alcolismo si è reso
necessario al fine di offrire una chiave omogenea del lavoro, il quale non vuole
assolutamente sottovalutare gli aspetti umani e singolari del problema.
La maggiore difficoltà incontrata in fase di elaborazione del questionario si è
verificata nel tentativo di trovare, nelle diverse batterie di domande previste, un giusto
equilibrio nelle possibili modalità di risposta, in modo che potessero emergere
facilmente gli aspetti oggettivi della problematica da indagare senza, per questo,
sottovalutare l’importanza delle prospettive soggettive.
A tale scopo, l’individuazione delle diverse aree tematiche su cui costruire il
questionario strutturato è stata effettuata anche in base allo studio comparativo di recenti
ricerche, per poi inserire quattro domande aperte alle quali gli intervistati potevano
rispondere con un ampio margine di libertà. Per agevolare le risposte e per non
appesantire il compito degli intervistati, sono state elaborate 46 domande (immediate
nella loro comprensione) di cui 6 attinenti ai dati strutturali dell’intervistato. Tra le
quattro domande aperte, era compresa una domanda metaforica per l’individuazione di
profili di alcolisti.
Il questionario somministrato nel corso della nostra ricerca è stato suddiviso in
sei aree, omogenee al loro interno: a nostro giudizio, tale partizione risulta infatti
funzionale ai fini di una lettura più immediata e al tempo stesso più completa dei dati
stessi. Di seguito elenchiamo le aree individuate, dando brevemente ragione delle scelte
effettuate.
- Il contesto ambientale-relazionale: cerca di individuare l’ambiente fisico e
sociale all’interno del quale gli intervistati hanno vissuto la propria esperienza alcolica,
con riferimento a persone e luoghi della prima bevuta e del primo abuso, nonché ai
cambiamenti occorsi ai rapporti interpersonali in seguito all’alcooldipendenza.
- Dall’uso all’abuso: strettamente legata all’area precedente, propone un
confronto tra diversi parametri (età, tipo di sostanza alcolica) in rapporto alla prima
bevuta ed al primo abuso ed approfondisce la sfera psicologico-emotiva («in quale stato
d’animo ti trovavi quando hai cominciato a bere?»; «hai bevuto in modo smisurato
perché…»), senza trascurare informazioni essenziali come il tempo intercorso tra il
primo abuso e la consapevolezza di essere diventato/a alcooldipendente.
- L’esperienza alcolica: indaga alcune caratteristiche salienti proprie del periodo
di dipendenza dall’alcool, quali in particolare la presenza di problemi sanitari e/o
giudiziari (con particolare riferimento all’esperienza del carcere).
- Un possibile identikit: nella piena consapevolezza delle eccessive
semplificazioni e dei limiti impliciti in un simile tentativo di analisi dell’universo
campione, si cerca di arrivare a delle generalizzazioni, tracciando delle caratteristiche
più precise di quelli che possono apparire come “tipi ideali” dell’alcolista, senza
ignorare per questo le storie di vita dei singoli alcolisti.
- Il recupero dall’alcool: esplora gli aspetti legati alla liberazione dalla
dipendenza alcolica, partendo dall’analisi dei motivi che hanno portato l’intervistato a
tale determinazione, passando per il patrimonio esperenziale, fino ai punti di riferimento
essenziali di questo cammino.
- L’immagine dell’alcool: cerca di comprendere se, nella mente di chi ha vissuto,
o vive ancora, in prima persona il dramma dell’alcool, questa sostanza sia assimilata a
una droga o identificata con una malattia.
2.3. L’analisi quantitativa dei dati
Effettuata la somministrazione dei questionari, l’elaborazione dei dati è stata
organizzata in tre fasi distinte:
- una prima analisi quantitativa, attraverso la realizzazione delle distribuzioni di
frequenza e di un’analisi bivariata dei dati;
- un’analisi multivairata, effettuata con software statistici atti all’elaborazione
dell’analisi delle corrispondenze multiple e della cluster analysis.
- un’analisi qualitativa dei dati, mediante l’esame delle singole risposte date
dagli intervistati alle domande aperte ed alla domanda metaforica;
Le tre fasi si sono svolte parallelamente ma coordinate in modo che non
venissero perse di vista le finalità della ricerca.
2.3.1 L’analisi qualitativa dei dati
L’analisi qualitativa dei dati è stata effettuata mediante lo studio delle risposte
date dagli intervistati alle quattro domande aperte previste nel questionario: tre erano
inerenti a rispettive aree del questionario; la quarta – metaforica – era stata pensata a sé
stante, apparentemente slegata dal resto del questionario, affinché l’intervistato potesse
esprimersi liberamente senza alcun condizionamento di sorta.
La prima delle domande aperte concerneva il condizionamento negativo
esercitato sull’alcolista dalla dipendenza alcolica in relazione ai rapporti con gli altri. È
sembrato opportuno, infatti, approfondire qualitativamente il contesto ambientalerelazionale dando ampio margine all’esperienza di ciascun intervistato, al fine di non
banalizzare il problema dell’isolamento sociale cui spesso vanno in corso gli alcolisti.
La seconda domanda, appartenente all’area del recupero dall’alcool, si incentrava sul
motivo principale che ha condotto il soggetto ad entrare in cura e quindi a smettere di
bere. Con la terza domanda, appartenente all’ultima area del questionario, l’immagine
dell’alcool, si esortava l’intervistato ad esprimere un consiglio a chi ha iniziato da poco
a bere. Infine, attraverso la domanda metaforica si chiedeva allo stesso di associare
l’alcolismo ad una delle stagioni definendo, al contempo, il motivo di tale associazione.
L’analisi qualitativa ha visto i ricercatori impegnati nella lettura di tutte le risposte senza
che venissero escluse dall’analisi le rare risposte banali, elaborate frettolosamente o
dove fosse piuttosto evidente il disinteresse nel rispondere da parte del compilatore.
Quindi sono state effettuate diverse classificazioni ex post, in modo che venissero
evidenziate delle precise tipologie di alcolisti. A tale scopo sono state utilizzate in
prevalenza le risposte più estese e che quindi meglio si adattavano ad una analisi
testuale. Quest’ultima è stata effettuata tenendo in debito conto il principali dati
strutturali, quali il sesso e l’età; mentre è apparso totalmente irrilevante l’uso e il
confronto di altre variabili.
L’analisi qualitativa, infatti, è voluta essere meramente descrittiva riportando per
prima cosa la viva voce di coloro che hanno attraversato il problema dell’alcolismo.
Proprio in relazione alla delicatezza di tale problematica ed ai risvolti prettamente
soggettivi, è sembrato più che mai opportuno riportare le esperienza di vita degli
intervistati senza il filtro della domanda precodificata. Si è così evitato di cadere in
facili psicologismi mettendo opportunamente in risalto gli aspetti più prettamente
sociologici. I profili di alcolisti che ne sono derivati hanno confermato le tipologie
elaborate attraverso la più fredda analisi quantitativa dei dati, arricchendole di aspetti
qualitativi che sarebbero altrimenti rimasti inosservati.
2.3.2 L’analisi quantitativa dei dati: le distribuzioni di frequenza e l’analisi bivariata
Parallelamente all’analisi testuale delle domande aperte previste dal questionario
è stato condotto lo studio dei dati quantitativi. In un primo momento, terminata
l’immissione dei dati, si è proceduto alla creazione delle distribuzioni di frequenza. In
base al sesso ed alle classi d’età il campione è stato scomposto in diversi sottocampioni
permettendo di evidenziare le caratteristiche strutturali degli intervistati. Inoltre
mediante l’elaborazione delle le distribuzione di frequenza si è evidenziato il peso di
ciascuna variabile definendo – in via ancora provvisoria – i trend che caratterizzano il
problema dell’alcolismo così come viene percepito all’interno di una comunità di
recupero. Ciò ha offerto proficui spunti per l’elaborazione degli incroci tra variabili.
La significatività di ogni singola variabile è stata valutata al fine di elaborare
un’analisi bivariata che illustrasse nel miglior modo possibile le diverse correlazioni
individuate.
Soprattutto, i dati strutturali sono apparsi discriminanti ed hanno permesso di
elaborare una serie di variabili composte assai significanti e dall’interessante valore
statistico. Si è quindi calcolata la dipendenza di ogni singola variabile dai dati strutturali
in modo che venisse relazionato il comportamento dei soggetti intervistati rispetto alle
singole caratteristiche individuate durante l’indagine. Le correlazioni meno significative
che sono emerse dall’analisi bivariata, riguardanti aspetti secondari e di minore
importanza, sono state escluse dal commento.
2.3.3 L’analisi quantitativa dei dati: l’ACM e la cluster analysis
In maniera analoga si è voluto procedere identificando una serie di correlazioni
multidimensionali utilizzando prima l’Analisi delle Corrispondenza Multiple (ACM) e
quindi l’analisi dei cluster (raggruppamenti).
Nonostante la preparazione dei dati per l’Analisi della Corrispondenze Multiple
sia stata tutt’altro che semplice, si è giunti ad individuare i fattori fondamentali che
statisticamente individuano l’interdipendenza tra le diverse modalità dei caratteri delle
variabili corrispondenti alle diverse aree tematiche affrontate durante la ricerca. In
particolare l’ACM si adattava perfettamente allo studio dei comportamenti e delle
opinioni dei soggetti in esame e ha permesso di raggiungere un soddisfacente equilibrio
tra ricchezza di informazione e chiarezza del risultato finale. L’esito dell’Analisi delle
Corrispondenze Multiple ha condotto a diverse proiezioni delle variabili più significanti
su un piano fattoriale, che hanno visualizzato una serie di raggruppamenti di notevole
interesse.
Mediante l’utilizzo dell’analisi delle cluster si è voluto raggruppare
statisticamente tutti i soggetti facenti parte del campione. Più precisamente, si è cercato
di individuare quelle modalità che permettessero di concentrare i soggetti all’interno di
poche classi, ottenendo così tre peculiari tipologie di alcolisti: “le deluse”, “gli insicuri”
e “gli immaturi”.
2. Il campione
La presente indagine si è svolta su un campione di 270 alcolisti in terapia
selezionati all’interno di diverse sedi delle associazioni di recupero operanti da tempo
sul territorio nazionale (A.A., A.C.A.T., A.N.C.A.). il campione selezionato è pertanto
rappresentativo dei soli alcolisti in recupero e come tale può dirsi assolutamente
rappresentativo dell’universo dei soggetti presenti all’interno delle diverse associazioni
dedite al reinserimento sociale di coloro che hanno avuto gravi problemi di
alcoldipendenza.
La rappresentatività del campione, inoltre, è avvalorata dalla distribuzione
geografica dello stesso che, come mostra la tabella 15, ha interessato l’intero territorio
nazionale.
Tabella 15
Distribuzione geografica del campione
Anno 1999
V.A.
Nord
Centro
Sud e Isole
Totale
Fonte: Eurispes
%
65
148
57
270
24,1
54,8
21,1
100,0
Il campione si caratterizza per la forte predominanza maschile: gli uomini
rappresentati, infatti, costituiscono il 67% degli intervistati (tabella 16).
Tabella 16
Distribuzione del campione per il sesso degli intervistati
Anno 1999
V.A.
Femmina
Maschio
non risponde
Totale
Fonte: Eurispes
%
86
182
2
270
31,9
67,4
0,7
100,0
I dati concernenti la distribuzione del campione in base a classi d’età evidenzia
come il fenomeno dell’alcolismo non sia fortemente correlato con l’età stessa, se non,
come si vedrà in seguito, in relazione alle modalità di approccio verso l’alcool.
La tabella 17 evidenzia la presenza di una quota piuttosto considerevole di
giovani, più di un terzo degli intervistati, infatti, ha meno di quarant’anni. Di questi un
terzo (pari al 7,8% del campione) sono ragazzi che non hanno ancora compiuto i
trent’anni. L’alcolismo, comunque, sembra interessare prevalentemente le persone più
anziane. La classe di intervistati più numerosa è infatti quella dei soggetti con età
compresa tra i 41 e 50 anni, corrispondenti al 30% dell’intero campione, ai quali si
devono aggiungere le persone con più di 50 anni che rappresentano il 37,4% del totale.
Tabella 17
Distribuzione del campione per l’età degli intervistati
Anno 1999
V.A.
0-15 anni
16-30 anni
31-40anni
41-50 anni
51-60 anni
Oltre i 60 anni
non risponde
Totale
Fonte: Eurispes
%
1
21
65
81
75
26
1
270
% cumulata
0,4
7,8
24,1
30,0
27,8
9,6
0,4
100,0
0,4
8,1
32,2
62,2
90,0
99,6
100,0
Considerevole è anche il livello di istruzione che caratterizza il nostro campione.
Si riscontra, infatti, una quota piuttosto elevata (45,2%) di persone che vantano un titolo
di studio elevato: il 37,8% degli intervistati è in possesso del diploma di scola media
superiore, mentre un significativo 7,4% ha raggiunto il compimento degli studi
universitari conseguendo la laurea (tabella 18).
Tabella 18
Distribuzione del campione per il titolo di studio degli intervistati
Anno 1999
V.A.
Laurea
Licenza media superiore
Licenza media inferiore
Licenza elementare
Altro
non risponde
Totale
Fonte: Eurispes
%
20
102
85
58
2
3
270
7,4
37,8
31,5
21,5
0,7
1,1
100,0
Considerando la professione degli intervistati (tabella 19), è possibile notare
come non vi sia un stretta correlazione tra l’attività svolta dai soggetti e l’alcolismo. I
dati mostrano una certa equidistribuzione per le diverse professioni rappresentate con
l’eccezione degli impiegati (17%) e degli operai (24,1%) che rappresentano le classi più
consistenti del campione.
Va quindi notata una non trascurabile presenza di imprenditori (4,1%) e di liberi
professionisti (4,4%) ed un 3,3 % di insegnanti.
Tabella 19
Distribuzione del campione per la professione degli intervistati
Anno 1999
V.A.
Imprenditore
Libero professionista
Dirigente
Impiegato
Operaio/commesso
Artigiano
Commerciante
Insegnante
Agricoltore
Altro
non risponde
Totale
Fonte: Eurispes
%
11
12
4
46
65
18
17
9
5
19
64
270
4,1
4,4
1,5
17,0
24,1
6,7
6,3
3,3
1,9
7,0
23,7
100,0
Lo status professionale, quindi, non sembra essere discriminante in riferimento
all’abuso di sostanze alcoliche (tabella 20) così come la condizione professionale, dove
coloro che sono abitualmente disoccupati rappresentano il 50% del campione (tabella
21).
Tabella 20
Distribuzione del campione per lo status professionale degli intervistati
Anno 1999
V.A.
Elevato
Medio
Basso
Altro
non risponde
Totale
Fonte: Eurispes
%
27
72
88
19
64
270
10,0
26,7
32,6
7,0
23,7
100,0
Tabella 21
Distribuzione del campione per condizione professionale
Anno 1999
V.A.
In condizione professionale
In condizione non professionale
Non risponde
Totale
Fonte: Eurispes
%
128
135
7
270
47,4
50,0
2,6
100,0
Infine, risultano estremamente significativi i dati concernenti lo stato civile degli
intervistati, dai quali risulta che ben il 33,7% delle persone non hanno un partner
(tabella 22). La maggior parte di questi è celibe o nubile (17,8% dell’intero campione);
meno significative sono invece le percentuali concernenti i divorziati, o separati, (13%
del totale) e i vedovi (2,2%).
Tabella 22
Distribuzione del campione per lo stato civile degli intervistati
Anno 1999
V.A.
Celibe/nubile
Separato/a
Coniugato/a
Divorziato/a
Convivente
Vedovo/a
Non risponde
Totale
Fonte: Eurispes
%
48
19
170
18
8
6
1
270
17,8
7,0
63,0
6,7
3,0
2,2
0,4
100,0
3. Il contesto ambientale-relazionale
Dall’analisi delle frequenze relative alla prima domanda proposta nel
questionario, con cui si spingeva l’intervistato a ricordare con chi avesse condiviso il
primo momento di contatto con l’alcool, si nota una spiccata prevalenza della modalità
di risposta “con gli amici” (52,2%); segue la modalità “con i familiari” (27%), anche se
non può considerarsi trascurabile neppure la quota di coloro che si sono avvicinati
all’alcool in modo solitario (12,2%). Il dato sembra confermare, nel complesso, la
familiarità con le bevande alcoliche e l’atteggiamento di sostanziale tolleranza tipici
della nostra cultura: spesso il primo bicchiere di vino si beve insieme ai propri cari,
siano essi amici o parenti, in occasione di feste e ricorrenze, talora anche in
giovanissima età.
Tabella 23
Persona con cui è avvenuta l’assunzione della prima bevanda alcolica
Anno 1999
Con
V.A.
%
Amici
Familiari
Solo
Sconosciuti
Colleghi
Partner
Altro
Non risponde
Totale
Fonte: Eurispes.
141
73
33
13
6
2
1
1
270
52,2
27,0
12,2
4,8
2,2
0,7
0,4
0,4
100,0
Dall’incrocio di questa domanda con la variabile strutturale sesso, assunta come
variabile indipendente, emergono significative differenze di comportamento tra i due
generi. La modalità di risposta che indica la condivisione del momento della prima
assunzione di sostanze alcoliche con amici è stata infatti selezionata dal 65,4% dei
maschi, a fronte del 25,6% delle femmine; per contro, sono molte di più le donne che si
trovavano con i propri familiari (41,9%, a fronte del 19,8% degli uomini) o da sole
(22,1% vs 7,7%). La lettura di questi dati non si presta ad interpretazioni univoche, ma
possiamo azzardare l’ipotesi che le risposte in questione siano legate ad un modo di
vivere la trasgressione che è strettamente legato alle differenze di genere ma anche al
pregiudizio sociale; i maschi, allora, sperimentano per la prima volta l’incontro con
l’alcool nell’ambito di una socializzazione secondaria più ampia, all’interno del gruppo
dei pari, mentre le femmine – forse intimorite anche da uno stigma sociale che
attribuisce una valenza più negativa, di “vizio”, alla donna che beve – finiscono col
farlo più frequentemente all’interno del più ristretto ambito familiare o addirittura da
sole.
Tabella 24
Persona con cui è avvenuta l’assunzione della prima bevanda alcolica secondo il sesso (%)
Anno 1999
Con
Partner
Amici
Colleghi
Familiari
Sconosciuti
Solo
Altro
Non risponde
Totale
Fonte: Eurispes.
Femmina
2,3
25,6
2,3
41,9
4,7
22,1
1,2
0,0
100,0
Sesso
Maschio
Non risponde
0,0
65,4
2,2
19,8
4,9
7,7
0,0
0,0
100,0
0,0
0,0
0,0
50,0
0,0
0,0
0,0
50,0
100,0
Totale
0,7
52,2
2,2
27,0
4,8
12,2
0,4
0,4
100,0
Il discorso cambia, rispetto all’esperienza della prima bevuta, quando si
domanda agli intervistati con chi si trovassero in occasione del primo abuso: il 57,4%
era con amici, il 26,3% da solo, l’8,9% con familiari. Si registrano, dunque, un notevole
incremento nella modalità di risposta “solo” (+14,1%) ed un parallelo decremento in
quella “con i familiari” (-18,1%), a testimonianza del fatto che l’assunzione di dosi
eccessive di alcool si riscontra più spesso al di fuori del contesto parentale. Sovente,
infatti, si raggiunge per la prima volta uno stato di ebbrezza alcolica nell’adolescenza, in
compagnia dei propri coetanei o, in altri casi, sperimentando in solitudine il gusto del
proibito.
Tabella 25
Persona con cui è avvenuto il primo abuso di bevande alcoliche
Anno 1999
Con
V.A.
%
Amici
Solo
Familiari
Colleghi
Sconosciuti
Partner
Altro
Non risponde
Totale
Fonte: Eurispes.
155
71
24
8
5
3
3
1
270
57,4
26,3
8,9
3,0
1,9
1,1
1,1
0,4
100,0
Confrontando le risposte date da uomini e donne si conferma quanto emergeva
in precedenza: a sperimentare per la prima volta l’abuso alcolico in compagnia di amici
è infatti il 68,7% degli uomini, a fronte del 34,9% delle donne, mentre queste ultime
finiscono con maggiore frequenza con l’eccedere in solitudine (43% contro il 18,1%
dell’altra metà del cielo).
Tabella 26
Persona è avvenuto il primo abuso di bevande alcoliche secondo il sesso (%)
Anno 1999
Con
Partner
Amici
Colleghi
Familiari
Sconosciuti
Solo
Altro
Non risponde
Totale
Fonte: Eurispes.
Femmina
3,5
34,9
2,3
12,8
2,3
43,0
1,2
0,0
100,0
Sesso
Maschio
Non risponde
0,0
68,7
3,3
7,1
1,6
18,1
1,1
0,0
100,0
0,0
0,0
0,0
0,0
0,0
50,0
0,0
50,0
100,0
Totale
1,1
57,4
3,0
8,9
1,9
26,3
1,1
0,4
100,0
Per quanto concerne il luogo del primo abuso, il 42,6% del nostro campione si
trovava in un bar, pub o ristorante, il 30% in casa propria, il 7% in discoteca, il 6,7% in
casa di qualche amico, il 5,2% in strada. Complessivamente, quindi, 148 intervistati su
270 erano in un luogo pubblico, all’aperto o al chiuso, mentre in 99 hanno sperimentato
il primo eccesso in una abitazione privata, propria o di amici.
Tabella 27
Luogo del primo abuso
Anno 1999
Luogo
In un bar/pub/ristorante
A casa mia
In discoteca
A casa di un amico
In strada
Ovunque
Altro
Non risponde
Totale
Fonte: Eurispes.
V.A.
%
115
81
19
18
14
4
17
2
270
42,6
30,0
7,0
6,7
5,2
1,5
6,3
0,7
100,0
La scelta del bar, del pub o del classico ristorante è stata più congeniale – o, se
non altro, è capitata con maggiore frequenza – agli uomini (52,2% a fronte del 22,1%
delle donne), che sono pure la quasi totalità di coloro che hanno sperimentato il primo
abuso all’aperto, in strada (il rapporto in valore assoluto è di 13 a 1). Le donne, se
escludiamo la singolare prevalenza nella modalità di risposta “in discoteca” (11,6% vs
4,9%), confermano ancora una volta la scelta di luoghi dotati di minore visibilità: il
53,5% risponde che si trovava in casa propria, a fronte del 18,7% degli uomini.
Tabella 28
Luogo del primo abuso secondo il sesso (%)
Anno 1999
Luogo
In strada
In un bar/pub/ristorante
A casa mia
A casa di un amico
In discoteca
Altro
Ovunque
Non risponde
Totale
Fonte: Eurispes.
Femmina
1,2
22,1
53,5
5,8
11,6
2,3
2,3
1,2
100,0
Sesso
Maschio
Non risponde
7,1
52,2
18,7
7,1
4,9
8,2
1,1
0,5
100,0
0,0
50,0
50,0
0,0
0,0
0,0
0,0
0,0
100,0
Totale
5,2
42,6
30,0
6,7
7,0
6,3
1,5
0,7
100,0
Interessante può risultare poi il confronto di due tabelle nate dall’incrocio degli
items “A che età hai bevuto la prima bevanda alcolica?” e “A che età hai cominciato ad
abusare di bevande alcoliche?” con le domande relative alla compagnia con cui si sono
condivisi i due momenti.
Analizzando le percentuali di risposta all’interno della singola classe di età,
osserviamo – in riferimento alla tabella 29 – una forte polarizzazione intorno alle
modalità di risposta “amici” e “familiari” fino ai venti anni; dai ventuno ai trenta rimane
ancora forte l’abitudine a bere il primo bicchiere con gli amici, mentre decresce quella a
condividere questo momento all’interno del proprio nucleo familiare, secondo un trend
decrescente all’aumentare dell’età. Inversa la tendenza per quel che riguarda una prima
bevuta solitaria: a partire dai vent’anni si registra, infatti, un costante aumento di questa
tipologia di iniziazione alcolica.
Appare invece chiara una minore concentrazione intorno alla risposta “con
amici” per i ragazzi fino a quattordici anni e per le classi dai trent’anni in su; sono i
ragazzi tra i quindici ed i trenta, infatti, a registrare la maggiore polarizzazione intorno a
questa modalità e, parallelamente, i valori più bassi per la modalità “da solo”.
Risulta comunque confermato quanto emergeva già in precedenza: se la prima
bevuta di una sostanza alcolica avviene spesso con amici, ma anche all’interno dalla
famiglia, lo stesso non si verifica per quel che riguarda la prima esperienza di abuso,
vissuta lontano dai parenti, insieme al gruppo dei pari o in completa solitudine
Tabella 29
Persona con cui è avvenuta l’assunzione della prima bevanda alcolica secondo l’età (%)
Anno 1999
Con
Partner
Amici
Colleghi
Familiari
Sconosciuti
Solo
Altro
Non risponde
Totale
Fonte: Eurispes.
Meno di 15
0,0
47,6
0,0
35,7
9,5
7,1
0,0
0,0
100,0
15-20
0,0
59,1
1,1
30,7
1,1
6,8
1,1
0,0
100,0
21-30
2,8
63,4
2,8
14,1
2,8
12,7
0,0
1,4
100,0
31-40
0,0
22,2
11,1
27,8
5,6
33,3
0,0
0,0
100,0
41-50
0,0
0,0
14,3
14,3
14,3
57,1
0,0
0,0
100,0
Oltre 51
0,0
0,0
0,0
0,0
0,0
100,0
0,0
0,0
100,0
Tabella 30
Persona con cui è avvenuto il primo abuso di bevande alcoliche secondo l’età (%)
Anno 1999
Con
Partner
Amici
Colleghi
Familiari
Sconosciuti
Solo
Altro
Non risponde
Totale
Fonte: Eurispes.
Meno di 15
0,0
40,0
0,0
20,2
0,0
40,0
0,0
0,0
100,0
15-20
21-30
2,2
76,1
2,2
8,7
0,0
8,7
2,2
0,0
100,0
31-40
0,8
65,4
0,8
7,5
2,3
21,8
1,5
0,0
100,0
1,9
44,2
5,8
0,0
0,0
40,4
0,0
1,9
100,0
41-50
Oltre 51
0,0
21,4
7,1
17,9
3,6
50,5
0,0
0,0
100,0
0,0
33,3
16,7
16,7
16,7
16,7
0,0
0,0
100,0
Nell’esame del contesto ambientale-relazionale al cui interno si è sviluppata
l’alcoldipendenza dei soggetti intervistati risultano poi particolarmente interessanti le
risposte relative ad eventuali difficoltà nei rapporti interpersonali precedenti al
manifestarsi del problema. Questo item ci consente infatti di approfondire la realtà
vissuta dal soggetto prima di divenire un alcolista, aiutandoci ad esaminare se e quando
esistevano problemi che possono averlo spinto a cercare un aiuto, seppure illusorio,
nella sostanza.
Complessivamente sono in 124 a dichiarare tali difficoltà; all’interno di questo
45,9% le maggiori preoccupazioni sembrano destate dal rapporto con persone dell’altro
sesso (11,1%) e con gli amici (10,4%); il 7,8% lamenta invece problemi con il partner,
mentre a colleghi e familiari corrispondono rispettivamente il 6,3% ed il 5,9% delle
scelte.
Tabella 31
Difficoltà relazionali precedenti all’alcoldipendenza
Anno 1999
Difficoltà con
Nessuno
Persone dell’altro sesso
Amici
Partner
Colleghi
Familiari
Tutti
Altro
Non risponde
Totale
Fonte: Eurispes.
V.A.
%
143
30
28
21
17
16
2
10
3
270
53,0
11,1
10,4
7,8
6,3
5,9
0,7
3,7
1,1
100,0
Dall’incrocio di questa domanda con la variabile strutturale “sesso” si rivela una
sicurezza maggiore, reale od ostentata che sia, fra i maschi che fra le femmine: il 54,9%
dei primi – contro il 47,7% delle seconde – dichiara infatti di non avere mai avuto
alcuna difficoltà ad instaurare rapporti con gli altri prima di cominciare a bere.
All’interno del restante 44,6% che confessa la preesistenza di problemi, la
preoccupazione maggiore risulta quella rivolta all’approccio con l’altro sesso (13,7% a
fronte del solo 5,8% delle donne), anche se ricoprono un peso non trascurabile pure
amici e colleghi (complessivamente il 16,5%). Dal canto loro, le donne mostrano di
essere meno attente alla possibilità di instaurare nuove relazioni ma molto più
apprensive rispetto a rapporti già consolidati o comunque giudicabili nell’ottica del
lungo periodo: il 14% (contro il 4,9% dei maschi) fa riferimento a difficoltà con il
partner, il 9,3% (vs 4,4%) a quelle con i familiari.
Tabella 32
Difficoltà relazionali precedenti all’alcoldipendenza secondo il sesso (%)
Anno 1999
Difficoltà con
Nessuno
Partner
Persone dell’altro sesso
Amici
Colleghi
Familiari
Tutti
Altro
Non risponde
Totale
Fonte: Eurispes.
Femmina
47,7
14,0
5,8
11,6
5,8
9,3
0,0
3,5
2,3
100,0
Sesso
Maschio
54,9
4,9
13,7
9,9
6,6
4,4
1,1
3,8
0,5
100,0
Non risponde
100,0
0,0
0,0
0,0
0,0
0,0
0,0
0,0
0,0
100,0
Totale
53,0
7,8
11,1
10,4
6,3
5,9
0,7
3,7
1,1
100,0
L’esperienza di alcoldipendenza, del resto, nella quasi totalità dei casi ha lasciato
un segno piuttosto profondo: trascurando il pur rilevante 20% di persone che non hanno
risposto, solo il 3,7% del nostro campione dichiara, infatti, di non aver notato differenze
significative nei rapporti interpersonali. Per il 44,4%, invece, l’alcool ha pesantemente
deteriorato i rapporti con gli altri in genere; per il 7% il cambiamento maggiore si è
avuto all’interno della famiglia, per la rottura dei preesistenti equilibri. In 8 concentrano
l’attenzione sulle relazioni in ambito lavorativo (il 3% risponde “deteriorando i rapporti
con i colleghi”), mentre in 6 rimandano ad entrambi i contesti. Un significativo 10,4%
del campione, poi, fa riferimento al momento dell’acquisizione della consapevolezza
della propria dipendenza, quasi che essa rappresentasse il momento decisivo di rottura
con l’esistenza esperita fino a quel momento. Come si potrà vedere meglio dall’analisi
qualitativa svolta in riferimento a questa domanda (che nel questionario risultava
“aperta”, vale a dire priva di modalità di risposta predefinite), l’abuso di alcool ha quasi
sempre avuto effetti catastrofici di annientamento della vita sociale ed affettiva, in
quanto opera modificazioni sostanziali nei comportamenti e, più in profondità, nella
stessa identità di coloro che finiscono col dipendere da tale sostanza, finendo col creare
una condizione di forte isolamento, imposto od autoimposto che sia.
Tabella 33
Modo in cui ha influito l’alcoldipendenza sui rapporti con gli altri
Anno 1999
Modo
Deteriorando in genere i rapporti i
Quando ho capito che era una malattia
Deteriorando i rapporti solo con la famiglia
In nessun modo
Deteriorando i rapporti solo con i colleghi
Deteriorando i rapporti con colleghi e famiglia
Migliorando i rapporti
Altro
Non risponde
Totale
Fonte: Eurispes.
V.A.
%
120
28
19
10
8
6
5
20
54
270
44,4
10,4
7,0
3,7
3,0
2,2
1,9
7,4
20,0
100,0
Le risposte evidenziano che le relazioni del soggetto alcolista più che alterate
risultano spesso sostanzialmente azzerate: si parla di rapporti «praticamente distrutti»,
«quasi annullati», «fino ad essere abbandonato dagli amici, licenziato più volte sul
lavoro, emarginato dai parenti». La percezione, reale o presunta, di vivere con «il vuoto
intorno» conduce inevitabilmente ad autorappresentazioni stranianti, addirittura
macabre: «l’alcool mi aveva portato fuori dal mondo, per cui ho perso il lavoro, i
genitori, gli amici, ero sola con me stessa e la bottiglia»; «in modo disastroso con la
famiglia, allontanamento di amici, vicini, il desiderio di vivere da “morto”». Si badi
come – quando la bottiglia rimane l’ultima desolante compagnia, quando la “morte”
sociale appare desiderabile benché esperita – ancorarsi alle ragioni immediate della
desertificazione esistenziale sia un modo di sopravvivere. Sempre che, a dispetto di
Michelstaedter, possa chiamarsi “vita” qualunque vita si viva…
Rapporti devastati significano dunque isolamento, che può essere di due tipi:
coatto, cioè imposto dall’esterno al soggetto alcolista; volontario, ossia scelto da
quest’ultimo. La prima modalità interessa assai più gli uomini che le donne (nell’ordine
di cinque ad uno); viceversa la seconda connota il campione femminile, occorrendovi il
quadruplo di quanto avvenga in quello maschile. Vari sono i motivi e le circostanze che
gli intervistati hanno addotto per illustrare l’isolamento coatto: «dopo l’allegria e
l’euforia diventavo invadente e venivo perciò evitato», «andavo sempre più in basso,
avevo perso ogni ritegno e, così facendo, venivo evitato», «mi arrabbiavo e litigavo con
tutti: venivo perciò appartato e scansato», «venivo accantonato perché la mia parola non
contava niente». Al di là dell’opportunità delle singole forme d’approccio – gaia,
sfrontata, aggressiva o semplicemente verbale – e del fallimento che le accomuna,
traspare il tentativo di stabilire un contatto con gli altri, di comporre forse una criptica
quanto inconscia richiesta d’aiuto. D’altronde si affaccia talvolta il dubbio che il rifiuto
altrui possa essere anzi tutto la proiezione dell’intima non accettazione di sé e, di
conseguenza, indotto all’esterno da chi lo subisce: «Venivo guardato male ed evitato, o
forse ero io che pensavo di essere scansato». Mediata o diretta che sia, la volontà di
autopunirsi sembra costituire il principale trait d’union fra l’isolamento coatto/maschile
e quello volontario/femminile, caratterizzato dall’opposta tendenza a tagliare i ponti con
le persone circostanti: «mi ero chiusa e isolata. Non cercavo, anzi evitavo ogni rapporto
con quasi tutti»; «mi ha chiusa nel mio mondo»; «per nascondere il mio alcolismo mi
comportavo in modo da mentire in ogni situazione e mi isolavo sempre di più per avere
la possibilità di bere e per smaltire quello che bevevo. Cercavo di fare il mio dovere, ma
mi costava molto»; «non mi fidavo di nessuno: per bere dovevo stare sola»; «mi isolavo
per la vergogna». Rossella Martina su Il Resto del Carlino del 17 marzo 1998 ha
espresso sinteticamente le ragioni psico-sociali di questo atteggiamento:
«L’alcolismo è una delle dipendenze più difficili da ammettere. Specialmente per una
donna. Vi è qualcosa di particolarmente volgare in una donna ubriaca. Fa meno
compassione di una tossicodipendente o di una anoressica. Più che una malattia – nella
sua mente e in quella di chi la giudica – l’alcolismo resta un «vizio». Il senso di colpa si
moltiplica all’infinito clonando così le cause che inducono a bere: insicurezza, disistima
di sé, autopunizione per non essere all’altezza di qualcosa o di qualcuno».
Per quanto commiserando, tale pudore ha un risvolto deleterio: «facendomi
allontanare spontaneamente dagli ambienti o da singole persone che potevano creare
problemi al mio bere». Sotto il profilo delle possibilità di cura la strategia relazionale
della donna alcolista o, meglio, la strategia “femminile” – che tramite l’occultamento
fisico mira a celare il problema della dipendenza appunto per non creare problemi –
finisce con l’essere paradossalmente molto più problematica del parallelo
comportamento “maschile” esibente il disagio: «mi sono chiusa in me stessa. Ero al di
fuori della realtà quotidiana che non volevo accettare. Non sopportavo nessuno. Non
volevo farmi male, ma non riuscivo a smettere da sola». Ciò fornirebbe, tra l’altro, una
possibile chiave di lettura di alcuni risultati della nostra indagine, quale il netto
prevalere degli uomini sulle donne tra gli alcolisti che si affidano ai centri di recupero,
sebbene anche l’attitudine a relazionarsi contenga inquietanti zone d’ombra: «mi isolavo
e non volevo vedere se non quelli con i quali bevevo».
Tuttavia sia le donne che gli uomini dediti all’alcolismo tendono
fondamentalmente ad instaurare rapporti distorti da una percezione falsificante della
realtà. Talora ciò è finalizzato alla fabbricazione di pretesti che giustifichino
l’assunzione massiccia di alcool, addormentando magari i motivi profondi («gelosia sul
lavoro e incomprensione: così la pensavo io, ma era l’alcool che mi faceva vedere tutto
nero. Ogni scusa era buona per andare a bere.»); l’alterazione può investire direttamente
il soggetto alcolista, ed è impossibile dire in che misura essa sia subita e/o desiderata
(«falsandoli, creandomi un’immagine che non ero io»); il più delle volte l’inganno
diviene habitus, disseccando sistematicamente qualsiasi relazione veritiera («non
“onesti” rapporti interpersonali: incapacità di stabilire un rapporto autentico con un altro
essere umano»). La solitudine dell’alcolista appare pertanto impossibilità di stare
insieme agli altri come a se stessi: egli si sente un “altro” ingombrante, fagocitante, da
isolare da tutti iniziando da sé. L’alcoldipendenza ha il potere di snaturare chi la patisce
(«mi ha isolato, io che ero propenso a grandi rapporti umani») e persino chi la vive di
riflesso («allontanando da me le persone a cui più tenevo»).
I rapporti di forza che l’alcolista instaura o crede di instaurare con le persone che
lo circondano vanno da un estremo all’altro. Qualcuno lamenta di essere inerme e
abulico, alla mercé della cattiveria umana : «finendo col farmi chiudere in me stesso e
non farmi reagire lì dove avevo ragione, autopunendomi tre volte e dando così
occasione ad altri di approfittare della situazione, volgendo tutto in loro favore». Tale
atteggiamento – riconducibile ad un senso di inettitudine etico-pratica riverberantesi in
complessi di colpa più o meno profondi – caratterizza significativamente soprattutto gli
alcolisti di sesso femminile, rivelandosi dunque connessa alla menzionata chiusura
relazionale: «con la famiglia perché litigavo più spesso col coniuge o ero meno disposta
verso i figli e con gli altri (amici, colleghi), perché non riuscivo a dare il meglio di me
come facevo quando non bevevo», «non sono più stata indipendente», «sono diventata
un peso per la mia famiglia». Di contro alcune risposte palesano sensazioni e condotte
decisamente difformi: «mi sentivo al centro dell’attenzione»; «mi ha reso aggressiva e
fortemente egocentrica e vendicativa nei confronti degli altri»; «gli altri venivano
“usati” per ottenere quello che mi serviva: alcool, denaro, comprensione, assenso». A
ben guardare ci troviamo solo in parte sul fronte diametralmente opposto, in quanto si
tratta d’un differente rimedio al medesimo problema: l’alcolista, anziché implodere nel
proprio “handicap”, lo strumentalizza per carpire sostegno, sfoghi e vantaggi materiali.
Non va trascurato che il coinvolgimento altrui è un valido modo per deresponsabilizzare
se stessi.
L’effettivo rovescio del «senso di inadeguatezza» è rappresentato dal «senso di
superiorità», atteggiamento non a caso riscontrato per lo più in intervistati di sesso
maschile. Il bere conferisce a costoro superbia («mi dava superiorità», «ero superiore»)
e «voglia di sopraffazione». Considerando il complesso d’inferiorità manifestamente
sotteso alle citate dichiarazioni alla luce di quanto fin qui emerso, è ipotizzabile uno
stretto legame tra l’abuso di alcool e l’appiattimento dei ruoli sociali tradizionali: la
bottiglia può fungere da galvanizzante per chi non si rassegna a perdere posizioni
consolidate e da alibi per chi non riesce a sobbarcarsi né le vecchie né le nuove. A tutti
propina l’illusione che la quadratura del cerchio sia nel non mettersi in discussione mai.
In rari casi l’alcoldipendenza sembra non avere alcun effetto sulla vita
relazionale degli intervistati: «in nessun modo perché non abusavo molto», «non vi ha
influito»; eccezionalmente si intravede addirittura un influsso benefico: «ero molto
espansiva e generosa». In linea di massima però coloro che parlano di un miglioramento
dei propri rapporti sociali grazie all’abuso di bevande alcoliche, non mancano di
specificare il carattere effimero ed involutivo del fenomeno: «prima bene, poi ha
distrutto tutti rapporti», «prima apparentemente in modo positivo, poi in modo
nettamente negativo», «rendendomi spigliato, brillante, spiritoso, simpatico per poi
arrivare ad essere inaffidabile, scontroso, violento, pericoloso», «ero socievole, allegra,
spiritosa i primi tempi, ma poi tutto cambiò». Non c’è baratro più pericoloso di quello in
cui si scivola piacevolmente.
4. Dall’uso all’abuso
Analizzando il momento iniziale di contatto con le bevande alcoliche scopriamo
che il 32,6% dei soggetti costituenti il campione ha vissuto questa esperienza tra i
quindici ed i venti anni; quasi analoga, d’altro canto, è la quota di coloro che si sono
accostati al bicchiere prima di aver raggiunto questa soglia d’età: il 31,1%. Se
consideriamo, infine, anche tutti quelli che hanno assunto sostanze alcoliche per la
prima volta nell’arco di tempo compreso fra i ventuno ed i trenta anni, raggiungiamo
una percentuale complessiva del 90% tra le persone che hanno vissuto la propria
iniziazione prima di raggiungere l’età adulta. Il dato sembra confermare come nel nostro
Paese bere – soprattutto vino – rappresenti un modello culturale diffuso e significativi
siano i consumi domestici; proprio tale familiarità consente allora ai più giovani di
avvicinarsi senza problemi all’alcool, oltre ad essere spesso all’origine delle difficoltà
ad individuare il momento di passaggio dall’uso all’abuso.
Tabella 34
Età di assunzione della prima bevanda alcolica
Anno 1999
Età
Meno di 15
15-20
21-30
31-40
41-50
Oltre 51
Totale
Fonte: Eurispes.
V.A.
%
84
88
71
18
7
2
270
31,1
32,6
26,3
6,7
2,6
0,7
100,0
Se prendiamo in considerazione l’influenza del genere su tale comportamento ci
accorgiamo, però, di una evidente precocità dei maschi rispetto alle femmine: già prima
dei quindici anni ad avvicinarsi al bicchiere è il 35,7% dei primi contro il 20,9% delle
seconde, con una differenza percentuale del 14,8%. Tale distanza diventa meno
significativa all’interno della modalità di risposta “15-20 anni” (5,5%), mentre a partire
dalla successiva classe d’età cominciamo a notare una vera e propria inversione di
tendenza, con percentuali di risposta più alte fra le donne: 27,9% delle femmine vs
25,3% dei maschi tra i ventuno ed i trent’anni; 15,1% vs 2,7% tra i trentuno ed i
quaranta; 5,8% vs 1,1% tra i quarantuno ed i cinquanta.
Tabella 35
Età di assunzione della prima bevanda alcolica secondo il sesso (%)
Anno 1999
Età
Femmina
Meno di 15
15-20
21-30
31-40
41-50
Oltre 51
Totale
Fonte: Eurispes.
Sesso
Maschio
20,9
29,1
27,9
15,1
5,8
1,2
100,0
35,7
34,6
25,3
2,7
1,1
0,5
100,0
Totale
Non risponde
50,0
0,0
50,0
0,0
0,0
0,0
100,0
31,1
32,6
26,3
6,7
2,6
0,7
100,0
Dal confronto fra l’età della prima bevuta e quella del primo abuso alcolico
emerge, fortunatamente, un significativo slittamento: a fronte di un 31,1% del campione
che ha dichiarato di essersi avvicinato all’alcool prima dei quindici anni, soltanto l’1,9%
afferma di avere abusato di tale sostanza nello stesso arco temporale; quasi la metà
anche coloro che hanno fatto questa esperienza tra i quindici ed i venti anni (il 17%),
per una quota complessiva nelle prime due classi di età del 18,9%. Il 19,3% del
campione, infine, ha sperimentato il primo eccesso fra i trentuno ed i quaranta anni,
mentre il 12,6% ha aspettato i cosiddetti “anta”: 10,4% tra i quarantuno e i cinquanta e
2,2% fra i cinquantuno ed i sessanta.
Tabella 36
Età del primo abuso di bevande alcoliche
Anno 1999
Età
Meno di 15
15-20
21-30
31-40
41-50
51-60
Totale
Fonte: Eurispes.
V.A.
%
5
46
133
52
28
6
270
1,9
17,0
49,3
19,3
10,4
2,2
100,0
Anche in questo caso notiamo che sono i maschi i primi a sperimentare l’abuso,
tanto che il rapporto all’interno della fascia d’età fino ai quattordici anni è di due a uno;
fra i quindici ed i venti le percentuali sono rispettivamente del 19,2% e dell’11,6%,
mentre tra i ventuno ed i trent’anni registriamo un 53,3% vs 41,9%. La tendenza si
comincia ad invertire nelle fasce di età successive: 17% degli uomini contro 23,3% delle
donne fra i trentuno ed i quaranta anni e 6% contro 19,8% nella fascia da quarantuno ai
cinquanta, a conferma di un trend già osservato.
Tabella 37
Età del primo abuso di bevande alcoliche secondo il sesso (%)
Anno 1999
Età
Meno di 15
15-20
21-30
31-40
41-50
Oltre 51
Totale
Fonte: Eurispes.
Femmina
Sesso
Maschio
1,2
11,6
41,9
23,3
19,8
2,3
100,0
Totale
Non risponde
2,2
19,2
53,3
17,0
6,0
2,2
100,0
0,0
50,0
0,0
50,0
0,0
0,0
100,0
1,9
17,0
49,3
19,3
10,4
2,2
100,0
Per quanto concerne il tipo di bevanda alcolica consumata, la maggioranza delle
risposte si concentra, sia nel caso dell’iniziazione alcolica che in quello del primo
abuso, sulla modalità “vino” (rispettivamente 62,2% e 53,7%), a rispecchiare il tipo di
consumo prevalente nella cultura mediterranea. Identica, in entrambe le circostanze, la
percentuale di soggetti che ha scelto la birra, mentre si registra un incremento piuttosto
consistente (+8,2%) nel consumo dei superalcolici in occasione del primo abuso, forse
anche in relazione alla diversità delle fasce d’età e dei luoghi del bere.
Tabella 38
Tipo di alcolico assunto in occasione della prima bevuta
Anno 1999
Tipo di alcolico
Vino
Birra
Superalcolici
Vino+birra+superalcolici
Altro
Totale
Fonte: Eurispes.
V.A.
%
168
49
39
2
12
270
62,2
18,1
14,4
0,7
4,4
100,0
Tabella 39
Tipo di alcolico assunto in occasione del primo abuso
Anno 1999
Tipo di alcolico
Vino
Superalcolici
Birra
Vino+birra+superalcolici
Altro
Totale
Fonte: Eurispes.
V.A.
%
145
61
49
3
12
270
53,7
22,6
18,1
1,1
4,4
100,0
Se esaminiamo gli stati d’animo che hanno accompagnato i soggetti intervistati
nel pericoloso cammino verso la dipendenza alcolica, noteremo una profonda
diversificazione, a testimonianza dell’esistenza di una molteplicità di percorsi possibili.
Alcuni, forse i più giovani, sembrano aver cominciato ad abusare delle sostanze
alcoliche quasi per gioco, senza valutare i rischi a cui andavano incontro: abbiamo,
allora, un 28,9% del campione che descrive uno stato di euforia ed un altro 14,1% che
parla di felicità. D’altro canto, ci si può accostare al bicchiere anche per motivazioni
diametralmente opposte: per depressione (12,6%), per solitudine (11,1%) o anche per
noia (9,6%). Pensiamo così, soprattutto per quanto riguarda le prime due modalità di
risposta (la terza può caratterizzare, ad esempio, anche giovani insoddisfatti, magari non
ancora occupati), all’identikit emerso dalla cluster analysis ( vedi capitoli seguenti,
etichettato con la label “le deluse”: donne casalinghe, sole (separate, vedove o
divorziate), depresse e perciò facilmente inclini a cedere, nella solitudine delle mura
domestiche, al richiamo consolatorio dell’alcool.
Tabella 40
Stato d’animo del primo abuso
Anno 1999
Stato d’animo
Euforia
Felicità
Depressione
Solitudine
Noia
Stress
Ansia
Altro
Non risponde
Totale
Fonte: Eurispes.
V.A.
%
78
38
34
30
26
24
21
16
3
270
28,9
14,1
12,6
11,1
9,6
8,9
7,8
5,9
1,1
100,0
Gli stati d’animo di euforia e felicità sono molto più diffusi tra gli uomini che tra
le donne (complessivamente, 48,9% vs 30,2%), mentre queste ultime si avvicinano
molto più spesso all’alcool per depressione (22,1% contro 8,2%); sebbene con
differenze percentuali minori, lo stato d’animo o la condizione esistenziale che
caratterizzano una donna che sperimenta un abuso alcolico sono, più spesso di quanto
accada agli uomini, negativi: solitudine, noia, stress o ansia, come emerge chiaramente
dalla tabella 41.
Tabella 41
Stato d’animo del primo abuso secondo il sesso (%)
Anno 1999
Stato d’animo
Stress
Ansia
Felicità
Euforia
Noia
Depressione
Solitudine
Altro
Non risponde
Totale
Fonte: Eurispes.
Sesso
Maschio
Femmina
11,6
9,3
9,3
20,9
10,5
22,1
12,8
3,5
0,0
100,0
Non risponde
7,7
7,1
16,5
32,4
8,8
8,2
10,4
7,1
1,6
100,0
0,0
0,0
0,0
50,0
50,0
0,0
0,0
0,0
0,0
100,0
Totale
8,9
7,8
14,1
28,9
9,6
12,6
11,1
5,9
1,1
100,0
Molto spesso poi le persone abusano delle sostanze alcoliche per “cercare di
stare meglio con gli altri” (31,9%): questo dato si ricollega, quasi certamente, a quel
45,9% del nostro campione che aveva dichiarato di avere difficoltà ad instaurare
rapporti interpersonali prima di iniziare a bere e rimanda, in senso più ampio, al luogo
comune che identifica l’assunzione di alcool come un fattore di potenziamento della
socializzazione. Alle capacità vere o presunte di questa sostanza fanno riferimento
anche le risposte che individuano le cause dell’eccesso alcolico nel tentativo di vivere in
uno stato di relax, di maggiore benessere (13%) o nella ricerca di un momento creativo,
che allontani dalla noia e dalla monotonia della vita quotidiana (4,1%). D’altro canto,
l’alcool può configurarsi pure come conforto e come fuga dalle difficoltà delle vita, che
l’individuo non ritiene di poter affrontare da solo: il 21,5% ha bevuto in modo smisurato
perché si sentiva poco amato o poco compreso, il 17,4 % perché stava cercando di
affrontare una situazione complicata ed il 5,9% per sopportare il peso di una delusione.
Ne nasce una sorta di circolo vizioso, per cui la stessa sostanza che, nelle intenzioni di
chi vi si accosta, dovrebbe aiutare a risolvere i propri problemi diventa essa stessa fonte
di nuove e più gravi difficoltà.
Tabella 42
Cause del primo abuso
Anno 1999
Cause del primo abuso
Cercavi di stare meglio con gli altri
Cercavi di affrontare una situazione complicata
Ti sentivi incompreso
Cercavi di rilassarti
Ti sentivi poco amato
Avevi avuto una delusione
Cercavi un momento creativo
Altro
Non risponde
Totale
Fonte: Eurispes.
V.A.
%
86
47
37
35
21
16
11
14
3
270
31,9
17,4
13,7
13,0
7,8
5,9
4,1
5,2
1,1
100,0
A cercare un rifugio nell’alcool sono più spesso le donne che del resto, più
frequentemente degli uomini, tendono anche ad avvicinarsi all’abuso con uno stato
d’animo negativo: è infatti il 16,3% delle donne, a fronte del 3,8% degli uomini, che ha
bevuto in modo smisurato perché si sente poco amata; il 23, 3% (contro il 14,8%) lo ha
fatto per cercare di affrontare una situazione difficile; l’8,1%, a fronte del 4,9% dei
maschi, per trovare sollievo dopo una delusione. Per contro, sono gli uomini a prevalere
all’interno delle modalità di risposta “cercare un momento creativo” (4,9% vs 2,3%) e
“cercare di stare meglio con gli altri” (37,9% vs 19,8%). Si comincia a delineare,
dunque , un modo di accostarsi all’abuso che risente fortemente della differenza di
genere: si può ipotizzare che le donne finiscano spesso col cadere nella dipendenza
alcolica perché cercano un sostegno esterno per risolvere i propri problemi affettivi,
familiari, lavorativi, ecc., mentre gli uomini appaiono più legati alla volontà di
migliorare la propria immagine: l’alcool diventa allora un modo per instaurare con
maggiore facilità i rapporti con gli altri, per avere minori inibizioni nei confronti
nell’altro sesso, per raggiungere quell’originalità e quella creatività che la routine rende
sempre più un miraggio.
Tabella 43
Cause del primo abuso secondo il sesso (%)
Anno 1999
Cause del primo abuso
Ti sentivi poco amato
Ti sentivi incompreso
Cercavi un momento creativo
Cercavi di affrontare una situazione complicata
Cercavi di stare meglio con gli altri
Cercavi di rilassarti
Avevi avuto una delusione
Altro
Non risponde
Totale
Fonte: Eurispes.
Femmina
16,3
14,0
2,3
23,3
19,8
14,0
8,1
2,3
100,0
Sesso
Maschio
3,8
12,6
4,9
14,8
37,9
12,6
4,9
6,6
1,6
100,0
Non risponde
0,0
100,0
0,0
0,0
0,0
0,0
0,0
0,0
0,0
100,0
Totale
7,8
13,7
4,1
17,4
31,9
13,0
5,9
5,2
1,1
100,0
Spesso, purtroppo, il primo abuso non rimane un caso isolato, poiché alla prima
segue una seconda volta, poi una terza, e di qui in una spirale perversa che porta
l’individuo a perdere totalmente il controllo; il dato più grave risulta infatti la difficoltà
ad ammettere la propria dipendenza. Per lungo tempo, infatti, ci si convince che quello
che si sta facendo non è grave, che si tratta solo di un modo per stare meglio, che si può
smettere quando si vuole, secondo frasi sentite mille volte, che accomunano chi cade
nell’alcoldipendenza a chi finisce nella rete delle altre sostanze psicotrope. Il 31,9% del
nostro campione, interamente costituito da alcolisti in recupero, risponde infatti di
essersi accorto di essere diventato dipendente dall’alcool dopo oltre un anno dal primo
abuso, mentre il 59,3% ha raggiunto questa consapevolezza solo dopo molti anni; ad
aver acquistato coscienza del problema in tempi inferiori ai dodici mesi è,
complessivamente, soltanto il 7,4% dei soggetti intervistati. Probabilmente è anche per
questo che, quando si chiede loro di dare un consiglio, queste persone fanno spesso
riferimento alla necessità impellente di smettere “subito”, prima che sia troppo tardi.
Alla base del fenomeno, probabilmente, sta anche un atteggiamento genericamente più
tollerante nei confronti dell’alcool che verso le altre sostanze psicotrope: un abuso
alcolico è sicuramente considerato, almeno nella nostra cultura, più “normale” e meno
pericoloso rispetto all’assunzione di altre droghe, e non è immediatamente etichettato
come un comportamento deviante. Diventa allora più difficile intervenire fin
dall’insorgere del problema, cosicché l’alcolismo continua a restare un problema
fondamentalmente sommerso.
Tabella 44
Tempo intercorso tra il primo abuso e la consapevolezza di essere diventato alcoldipendente
Anno 1999
Tempo
1-3 mesi
4-7 mesi
8-12 mesi
Oltre un anno
Dopo molti anni
Non risponde
Totale
Fonte: Eurispes.
V.A.
%
6
3
11
86
160
4
270
2,2
1,1
4,1
31,9
59,3
1,5
100,0
Per ragioni analoghe, molto è anche il tempo che trascorre mediamente perché la
famiglia si renda conto del problema che coinvolge un proprio congiunto: soltanto il
37% degli intervistati, infatti, risponde che la propria famiglia ha impiegato poco per
accorgersi della sua dipendenza dall’alcool. Questo discorso, come emerge dall’incrocio
di tale item con la variabile strutturale sesso, vale soprattutto per gli uomini,
probabilmente in ragione di una vita condotta in misura maggiore al di fuori dell’ambito
familiare e del minor tempo trascorso tra le mura domestiche (a rispondere “dopo
molto” alla domanda sono due terzi degli uomini, a fronte di poco meno della metà
delle donne).
Tabella 45
Tempo impiegato dalla famiglia per accorgersi del problema
Anno 1999
Tempo
Molto
Poco
Non risponde
Totale
Fonte: Eurispes.
V.A.
%
164
100
6
270
60,7
37,0
2,2
100,0
5. L’esperienza alcolica: il vissuto
L’alcoldipendenza, è noto, provoca una molteplicità di problemi di salute: dalle
risposte dei nostri intervistati emerge un quadro clinico preoccupante soprattutto in
relazione ai danni a carico del sistema nervoso (41,1% delle risposte) e del fegato
(30,6% delle patologie indicate).
Tali considerazioni degli intervistati non risultano, peraltro, prive di fondamento
scientifico: l’alcool etilico, infatti, esercita ai danni del sistema nervoso centrale effetti
sia acuti che cronici. I primi si manifestano nei soggetti normali per lo più nella forma
di semplice ubriachezza, ma possono anche dar luogo – specie in soggetti predisposti
come isterici, epilettici o psicotici – a forme patologiche quali ridotto stato di coscienza,
disorientamento spazio-temporale, impulsività, stati ansiosi, convulsioni o psicosi. Tra
gli effetti cronici sono invece da menzionare la sindrome di Wernicke (eccitazione,
confusione mentale, delirio, allucinazioni, ecc.) e quella di Korsakoff (disorientamento
spazio-temporale, alterazione della memoria a breve termine, agitazione, ecc.), la
sindrome di astinenza (che può portare fino al delirium tremens) e neuropatie alcoliche
causate dalla degenerazione delle fibre o delle terminazioni nervose periferiche. La
medesima distinzione tra danni acuti e cronici può essere estesa alle patologie epatiche:
epatite acuta alcolica nel primo caso e steatosi, epatite cronica e cirrosi nel secondo.
Sono possibili, poi, numerose altre alterazioni del funzionamento del nostro
organismo: danni all’apparato cardiovascolare e respiratorio (indicati complessivamente
dal 17,1% del campione) ed “altri danni” (9,6%) quali alterazioni ematiche, cutanee, del
sistema immunitario, nonché possibili neoplasie e problemi di natura psicologica.
Tabella 46
Problemi di salute causati dall’alcoldipendenza
Anno 1999
Problemi di salute
V.A.
%
Danni al sistema nervoso
137
41,1
Danni epatici
102
30,6
Cardiopatie
35
10,5
Danni all’apparato respiratorio
22
6,6
Altri danni
32
9,6
Non risponde
5
1,6
Totale*
*333
100,0
*Il totale (valore assoluto) non è 270 come nelle altre tabelle perché il singolo intervistato poteva dare più di una risposta
alla domanda cui fa riferimento la presente tabella.
Fonte: Eurispes.
L’altro aspetto che abbiamo analizzato in questa sezione, pur essendo piuttosto
distante dal primo, è necessario per tracciare un quadro complessivo dell’esperienza
alcolica: oltre a causare patologie che compromettono la salute del soggetto dipendente,
l’alcool può infatti modificare profondamente i comportamenti di chi abusa di tale
sostanza, spingendolo ad allontanarsi dalle regole della sua comunità. Se all’inizio,
come detto più volte, possono sembrare predominanti gli effetti positivi, legati alla
riduzione delle inibizioni ed al miglioramento apparente dei rapporti con gli altri, ben
presto cominciano ad emergere gli aspetti più negativi; man mano che si instaura la
pericolosa spirale della dipendenza, l’individuo perde il proprio controllo e finisce col
subordinare qualsiasi persona o attività alla possibilità di bere ancora, secondo un
percorso purtroppo comune all’assunzione di qualunque altra sostanza psicoattiva.
L’alcool finisce allora col ridurre chi eccede nel suo consumo in uno stato di totale
passività e disinteresse per tutto ciò che lo circonda, spingendolo poi verso i poli opposti
della depressione o dell’aggressività; l’abuso di tale sostanza diventa così origine di
violenze familiari, atti di vandalismo, reati di ordine pubblico ed aggressioni dalle
conseguenze talvolta mortali, con costi socioeconomici altissimi.
All’interno del nostro campione, soltanto il 7% dei soggetti dichiara di aver
avuto esperienza di carcere quando era alcoldipendente: il 2,2% per aggressioni; l’1,1%
per omicidi; lo 0,7% (2 individui sui 270 totali) per furti e rapine ed il 3% per aver
commesso altri crimini.
Tabella 47
Esperienza di carcere durante l’alcoldipendenza secondo il tipo di reato
Anno 1999
Esperienza di carcere
No
Sì, per aggressioni
Sì, per omicidi
Sì, per furti e rapine
Sì, per altri crimini
Non risponde
Totale
Fonte: Eurispes.
V.A.
%
233
6
3
2
8
18
270
86,3
2,2
1,1
0,7
3,0
6,7
100,0
La situazione nel nostro Paese risulta invece piuttosto preoccupante: secondo
statistiche fornite dal Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria del Ministero di
Grazia e Giustizia, i detenuti alcoldipendenti rappresentano, alla data del 30 giugno
1998, l’1,16% dei 50.278 detenuti presenti in totale nelle carceri di tutta Italia, con
presenze più o meno consistenti a seconda delle diverse Regioni, come mostra la tabella
48. Secondo quanto previsto dagli artt. 47, 47 bis e 47 ter L. 354/75, poi, nel caso in cui
la pena non superi i tre anni, il detenuto alcoldipendente può essere affidato in prova al
servizio sociale o espiare la pena nella propria abitazione; nel primo semestre del 1998 i
casi pervenuti ai Centri di Servizio Sociale hanno registrato 57 alcoldipendenti affidati
in prova in casi ordinari (art. 47), 68 alcoldipendenti affidati in prova in casi particolari
(art. 47 bis) ed 11 destinati alla detenzione domiciliare secondo l’art. 47 ter. Tutti i dati,
peraltro, risultano notevolmente inferiori a quelli relativi ai soggetti tossicodipendenti
(rispettivamente 304, 1962 e 34), a testimoniare ancora una volta la minore emersione
del fenomeno.
Tabella 48
Detenuti alcoldipendenti
Anno 1998
Regioni
Totale detenuti
Detenuti alcoldipendenti
Valle D’Aosta
166
Marche
761
Campania
6.221
Calabria
2.051
Sicilia
5.868
Lombardia
6.621
Puglia
3.474
Basilicata
435
Lazio
4.841
Umbria
898
Veneto
2.068
Piemonte
4.076
Liguria
1.635
Toscana
3.743
Molise
325
Sardegna
1.862
Abruzzo
1.437
Emilia Romagna
2.835
Friuli Venezia Giulia
668
Trentino
293
Totale nazionale
50.278
Fonte: Elaborazione Eurispes su dati Ministero di Grazia e Giustizia.
2
0
12
5
16
36
21
3
34
9
35
70
29
67
7
48
38
94
26
33
585
Percentuale detenuti
alcoldipendenti)
0,00
0,00
0,19
0,24
0,27
0,54
0,60
0,69
0,70
1,00
1,69
1,72
1,77
1,79
2,15
2,58
2,64
3,32
3,89
11,26
1,16
6. Malattia o droga: l’immagine dell’alcool
Il concetto di malattia ha assunto significati differenti a seconda dei tempi e dei
luoghi: fino a pochi secoli fa la malattia e la salute erano considerati come dono o
punizione divina. La scienza, poi, è subentrata al divino e la salute oggi viene intesa in
modo molto razionale come assenza di malattia. L’uomo moderno, tuttavia, si definisce
sano quando ha una mens sana in corpore sano o, meglio, quando ha raggiunto un
equilibrio psico-fisico tale da essere perfettamente integrato nella società.
Nell’opinione comune l’alcolismo, attualmente, sembra essere una vera e propria
malattia, a differenza di quanto si credeva nei secoli passati, e lo dimostrano i dati
riportati nella seguente tabella: circa l’86% delle persone intervistate ritiene l’alcolismo
una malattia. Fra queste quasi la metà adduce una motivazione tanto forte quanto vera:
l’alcolismo è capace di uccidere esattamente come le altre malattie (49,3%); infatti di
alcolismo si muore, come confermano le stime fatte dall’Istituto "Mario Negri" che
mostra come, nel 1990, si sarebbero verificati circa 30.000 decessi causati dall’usoabuso di bevande alcoliche.
Tabella 49
Identificazione dell’alcolismo con una malattia
Anno 1999
Malattia
No
Si, perché può uccidere
Si, perché ha origini genetiche
Si, perché si può curare
Si, perché è una malattia psicofisica
Si, per altri motivi
Non risponde
Totale
Fonte: Eurispes.
V.A.
%
19
133
37
25
4
35
17
270
7,0
49,3
13,7
9,3
1,5
13,0
6,2
100
Alcuni (13,7%) ritengono che l’alcolismo rientri fra le patologie in quanto
avrebbe – il condizionale è d’obbligo – origini genetiche; questa è una corrente di
pensiero che arriva direttamente dagli USA dove una équipe di neurologi e sociologi ha
individuato dei cromosomi che potrebbero contenere i geni che portano alcune persone
ad essere inclini all’abuso di alcool. Solo il 9,3% pensa all’alcolismo come patologia
curabile.
È opinione condivisa in tutta Italia che l’alcolismo sia una malattia: tra Nord,
Centro e Sud, si registrano differenze minime: si passa, infatti, dall’86% di coloro che lo
sostengono al Sud e nelle Isole, all’83% del Centro, per crescere poi al Nord fino al
95%. Non esiste una differenza significativa neppure tra uomini e donne, anche se
questa opinione è leggermente più diffusa fra le donne (93% contro l’83%).
Da una più approfondita analisi dei dati si evidenzia inoltre che la variabile età
influisce in modo significativo sulla concezione dell’alcolismo. Come si può vedere dai
dati riportati nella tabella seguente, infatti, all’aumentare dell’età si consolida l’idea che
l’alcolismo sia una malattia; solo fra gli ultra sessantenni, probabilmente figli di una
cultura che considerava l’alcolista un vizioso e non un malato, la percentuale diminuisce
(10,7%) in modo considerevole.
Tabella 50
Identificazione dell’alcolismo con una malattia secondo l’età (%)
Anno 1999
Malattia
No
Si
Non risponde
Fonte: Eurispes.
Età
15-30
31-40
0,0
9,0
5,9
41-50
31,6
23,5
23,5
51-60
47,4
26,5
58,8
Oltre 60
15,8
29,9
11,8
5,3
10,7
0,0
Totale
100,0
100,0
100,0
Come deve essere considerato allora l’alcool? Una sostanza che fa bene al cuore
ed alla circolazione, oppure una droga, come sostiene una recente ricerca del Ministero
della Sanità francese che lo inserisce all’interno della categoria "droghe pesanti"?
Questa domanda è stata posta a chi ha abusato di tale sostanza per diverso
tempo, e la risposta è chiara ed inequivocabile: l’86,7% del campione ritiene l’alcool
una droga.
Tabella 51
Identificazione dell’alcool con le droghe
Anno 1999
Droga
Si
No
Non risponde
Totale
Fonte: Eurispes.
V.A.
%
234
19
17
270
86,7
7,0
6,3
100,0
In particolare le più convinte sembrano le donne (77,9% contro il 67,6% degli
uomini) e coloro che vivono nel Nord dell’Italia (89,2% contro il 60,1% del Centro);
non esiste, invece, una sostanziale differenza fra coloro che hanno un titolo di studio
basso e coloro che sono in possesso della laurea. Questo mette in evidenza un dato
fondamentale: non conta essere ricchi o poveri, colti o ignoranti, ciò che conta è
l’esperienza che ha accomunato il nostro campione nella sofferenza e nella lunga,
lunghissima strada verso il recupero. Coloro che cercano di uscirne sanno che l’alcool è
una droga che colpisce tanto il corpo quanto la psiche.
L’alcool molto spesso è stato etichettato dalla stampa come una droga oscura,
una droga liquida che dilaga nei diversi strati della popolazione senza distinzione né di
sesso né di età e tanto meno di area geografica; viene definito droga, in quanto crea una
dipendenza psico-fisica alla pari delle altre e non a caso l’Organizzazione Mondiale
della Sanità lo ha incluso nella tabella delle droghe. Alcune associazioni di auto aiuto,
Narcotici Anonimi ad esempio, danno ormai per scontato il fatto che l’alcool sia una
droga, tanto che il gruppo accoglie tanto i tossicodipendenti quanto gli alcoldipendenti.
Questa è l’immagine dell’alcool e dell’alcolismo che emerge dall’analisi dei dati
a nostra disposizione, un’immagine che entra in contrasto con quello che la società
"sana" ci mostra ogni giorno. Non si ha infatti una sensazione di timore, o comunque
difficilmente ci si ferma a guardare una bottiglia di alcool con occhi critici. La
pubblicità ci insegna soltanto che la bottiglia rende più forti, che si beve in occasioni di
festa, in compagnia di amici e parenti, mentre questi sono solo alcuni degli aspetti da
tenere in considerazione.
7. Il recupero dall’alcool
Prima di cominciare a fare una analisi dei dati relativi all’area del recupero, è
necessario fare una premessa: il campione preso in esame fa parte dei gruppi di
associazioni private, e pertanto ciascun individuo è, almeno in parte, consapevole della
propria condizione di alcolista, poiché il requisito fondamentale per accedere ai gruppi è
l’ammissione di essere un alcolista e la volontà di non usare sostanze alcoliche.
Occorre poi evidenziare che ogni alcolista ha una storia, un percorso differente e
non è nostra intenzione banalizzare i dati fornitici, ma è comunque fondamentale
mostrare alcuni aspetti rilevanti del problema attraverso delle categorizzazioni.
Circa il 60% della popolazione presa in esame si è accorto della sua dipendenza
solo dopo molti anni, alcuni sono rivolti ad associazioni di volontariato private (26,3%),
altri (17,4%) hanno chiesto aiuto al medico personale, altri ancora (17%) ai familiari.
Tabella 52
Soggetti a cui ci si è rivolti
Anno 1999
Soggetti
Associazione di volontariato privata
Medico personale
Familiari
Amici
Ospedale
Altro
Non risponde
Totale
Fonte: Eurispes.
V.A.
%
71
47
46
26
26
47
7
270
26,3
17,4
17,0
9,6
9,6
17,4
2,6
100,0
Il medico personale sembra essere la persona a cui si rivolgono più gli uomini
(76,6%) che le donne (23,4%) e coloro che hanno un titolo di studio medio-alto
(21,3%); coloro che, invece, hanno un basso ilvello di scolarizzazione fanno riferimento
principalmente ai gruppi di auto-aiuto (26,9%) e ai familiari (17,2%).
È necessario, tuttavia, ricordare che il dato relativo ai gruppi di auto-aiuto non è
del tutto significativo poiché, come è stato sopra affermato, il campione di questa
ricerca è stato estratto all’interno delle associazioni di volontariato private.
Tabella 53
Soggetti a cui ci si è rivolti secondo il livello di istruzione (valori percentuali)
Anno 1999
Soggetti
Livello di istruzione
Medio-alto
Associazione di volontariato privata
Medico personale
Familiari
Amici
Ospedale
Altro
Non risponde
Totale
Fonte: Eurispes.
Basso
23,8
21,3
17,2
9,8
6,6
18,0
3,3
100,0
26,9
14,5
17,2
9,7
12,4
17,2
2,1
100,0
Alla domanda “con l’aiuto di chi sei riuscito a venirne fuori”, il 75% del
campione ha risposto indicando le associazioni di volontariato; seguono poi gli amici, i
familiari e le strutture sanitarie. Il tema della famiglia è molto sentito, tanto che ricorre
al primo posto anche tra le motivazioni che inducono gli alcolisti a smettere di bere, e
questo porta a riflettere sui danni che tale malattia comporta a livello di vita familiare
prima e sociale poi.
Il 24,1% del campione sostiene di aver deciso di smettere di bere, infatti, proprio
per la famiglia, mentre una buona parte (19,6%) lo ha fatto a causa di problemi, più o
meno gravi, di salute; a questo proposito è necessario ricordare le stime prodotte
dall’Istituto "Mario Negri" dei decessi per abuso alcolico in Italia avvenuti nel 1990: su
30.000 morti 15.000 sono deceduti a causa della cirrosi epatica, 3.500 per carcinoma
all’esofago, 3.000 a causa di incidenti stradali, 8.500 per altre motivazioni. Molto
interessante risulta la modalità di risposta "voglia di vivere" (8,9%) in quanto evidenzia,
in una piccola parte del nostro campione, una grande volontà di uscire con ogni forza
dal grigiore di una vita che assume colori differenti a seconda del liquido che viene
ingerito.
Tabella 54
Motivo della scelta di smettere di bere
Anno 1999
Motivo
Famiglia
Salute
Più di un motivo
Perdita di stima in se stessi
Voglia di vivere
Lavoro
Perdita dei rapporti sociali
Associazione di volontariato privata
Altro
Non risponde
Totale
Fonte: Eurispes.
V.A.
%
65
53
32
25
24
12
10
1
24
24
270
24,1
19,6
11,9
9,3
8,9
4,4
3,7
0,4
8,9
8,9
100,0
Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, la modalità "ho smesso di bere per
la famiglia" è stata scelta più al Centro (60%) che al Sud e nelle Isole (16,9%), ed in
principal modo dagli uomini (73,8%); sono queste le persone che si rivolgono
maggiormente alle associazione di volontariato.
All’interno delle associazioni, infatti, riveste una grande importanza non solo
l’individuo alcolista, ma anche la sua famiglia; i gruppi prendono in cura non solo
l’alcolista ma anche la famiglia e i parenti più vicini, poiché l’alcool non distrugge solo
fisicamente le persone ma agisce anche a livello di relazioni sociali.
Da una più approfondita analisi dei dati emerge, poi, che coloro che decidono di
smettere di bere a causa di problemi di salute sono quelli che ricorrono maggiormente ai
servizi delle strutture sanitarie, e che vivono da soli: single, divorziati o vedovi.
Coloro che decidono di smettere di bere perché hanno distrutto ogni tipo di
rapporto sociale con il mondo esterno hanno un alto livello di istruzione (60%), si
dividono in percentuali uguali fra uomini e donne (50%) e vivono nel Centro Italia;
anche loro dichiarano di essere riusciti a smettere di bere grazie ai gruppi di auto-aiuto.
Anche dall’analisi qualitativa della domanda 33 del questionario emerge come il
timore di star minando irreparabilmente la propria salute psico-fisica tramite l’abuso di
alcool risulta fra le principali cause di “ravvedimento”: «stati emotivi molto forti,
malesseri specialmente al mattino con sforzi di vomito, amnesie», «annullamento
psicologico», «stavo molto male e mi ci voleva tempo prima di riprendermi da una
sbronza». Trattasi di un atteggiamento quanto mai lontano dai perfezionismi estetici e
salutistici, drasticamente appigliato all’istinto di sopravvivenza: «quando in A.A. mi
hanno fatto sapere che l’alcolismo era una malattia progressiva, irreversibile, mortale»,
«mi sentivo morire dentro», «la paura di morire». Un suicidio scampato: «per
l’autodistruzione che nasceva in me».
Non per nulla alcuni apparentano l’abbandono della bottiglia alla voglia di
recupero vitale, di “rinascita”: «tornare a vivere», «il desiderio di cambiare vita», «il
ricordo di essere stato un bravo atleta, un gran lavoratore e buon padre di famiglia, ma
soprattutto per me medesimo quello di non sentirmi un fallito perché non lo sono mai
stato e amo la vita», «ho scelto la vita». La positività di tali risposte si intende appieno
solo contestualizzandola alla negatività – sottintesa, ma altrettanto radicale –
dell’equazione alcolismo/morte.
Ma dato che l’alcolismo incancrenisce il “non volersi bene” che lo genera, non
meraviglia che la famiglia più della morte costituisca un deterrente al bere, sia in senso
passivo – in quanto valore da salvaguardare – sia fungendo attivamente da pungolo a
guarire: «le liti in famiglia e il sentirmi in colpa», «l’amore per i miei familiari», «per
ritrovare me stesso, l’amore di mia moglie e dei miei figli!», «le pressioni della
famiglia». La svolta può stare nell’angoscia di perdere la famiglia («la paura di
separarmi e che i figli mi venivano tolti», «mi sono reso conto, soprattutto perché in
famiglia ero un disastro, che stavo distruggendo me e gli altri»), nella vergogna di
fronte ad essa («perché non potevo più andare avanti con la famiglia: mi sentivo un
verme», «il giudizio dei miei figli»), nella sensazione di contraddirla assurdamente («la
vita in mia moglie che veniva avanti perché incinta ed io che stavo andando all’altro
mondo»). Di certo è più facile salvarsi, e più spontaneo, avendo qualcuno per cui valga
la pena: «la mia ragazza non mi voleva più».
Ciò non toglie che per alcuni la molla decisiva nella risoluzione di abbandonare
l’alcool sia nel desiderio di riappropriarsi di sé, della propria vita: «tutti i miei interessi
sono andati gradualmente spegnendosi. La mia volontà era annullata. Quando bevevo
mi trasformavo in un’altra me stessa. Ma l’alcolista non sta male perché beve, ma beve
perché sta male». La bottiglia non annega i problemi, ma chi le si affida, imponendogli
un giogo sfibrante, annichilente l’autonomia personale: «mi ero stufato della situazione,
di dipendere da una sostanza nociva», «stanco di vivere in quel modo e volevo
riacquistare fiducia in me stesso», «non ero più padrone di me stesso», «ritrovare me
stessa, capire che l’alcolismo è una malattia, soprattutto mettermi al primo posto». La
speranza dell’alcoldipendente sta tutta nel riuscire a serbare quel barlume di lucidità
necessario a capire che la spirale di cui è prigioniero più lo trasforma (devastandolo),
più è inarrestabile: «paura di non riuscire più a fermarmi», «la mia vita era diventata
completamente ingovernabile ed io ero stanco di combattere una battaglia persa»,
«volevo vivere, ritrovare la gioia di amare, stavo troppo male sia fisicamente che
mentalmente, mi sentivo un’altra persona e stavo diventando un’altra!»
Il soggetto alcolista subisce una “metamorfosi” che è, propriamente, una
“sottrazione”; se arriva a contemplare e valutare fino in fondo la perdita di capacità
(«non riuscivo più a lavorare e quello che facevo non era fatto bene»), credibilità
(«quando mi sono accorto che i miei allievi non avevano nessun rispetto per me»),
autostima («stavo malissimo e mi rendevo conto che non ero più affidabile per la
famiglia, la società e per me stesso»), controllo («il terrore di rivivere all’infinito le
situazioni spiacevoli che avevo già vissuto»), decenza («mi facevo schifo e puzzavo.
Trascuravo tutto e in particolare la famiglia»), egli compie un passo decisivo sulla
strada della guarigione. Premessa ineludibile a questo cammino è la presa d’atto di aver
«toccato il fondo» «al punto di non andare più avanti», riconoscendo di «essere
moralmente finita», di non avere «più le forze di vivere». È un disinganno tanto
doloroso quanto catartico, che passa per il confessarsi menzogne e fallimenti esistenziali
pagati di tasca propria: «l’essermi reso conto che ogni sfida con l’alcool era persa in
partenza. Ammettendo a me stesso di essere impotente di fronte all’alcool», «quando mi
sono accorta che mi prendevo in giro perché sapevo che mi faceva male».
Viceversa, talora l’alcolista afferma di aver chiuso col bere in seguito ad una
decisione altrui, cioè obbedendo ad una imposizione: «quando mio marito ha ritrovato
una bottiglia ha detto che non ce ne sarebbero state altre», «hanno deciso i miei figli». È
ipotizzabile in questi casi – riguardanti esclusivamente donne in età matura - l’intento di
sminuire il proprio “merito” o comunque di riporre fuori di sé il peso di una svolta
giudicata troppo importante e radicale per fondarla, anche solo in parte, sulla propria
volontà: atteggiamento che palesa quanto sia labile il processo di emancipazione
dall’alcool in particolare per i soggetti più esposti alla fragilità sociale e psicologica.
Parzialmente similare è la posizione di coloro che identificano in un determinato
ambiente – generalmente l’associazione di mutuo soccorso – il punto di rottura con
l’alcoldipendenza: «ero morta e ho cominciato a vedere la luce avendo iniziato a
frequentare A.N.C.A.», «ho conosciuto il gruppo A.N.C.A. che m’ha fatto capire che si
può guarire con forza di buona volontà, l’amore per se stesso, i familiari e poi la
società», «quello del lavoro: ambiente positivo che mi ha spinto e invogliato a dover
smettere».
In altri casi è un episodio, più o meno traumatico, che fa aprire gli occhi sulla
gravità della propria condizione di alcolista e dunque sull’esigenza di porvi rimedio: «il
secondo ritiro della patente», «un grave incidente stradale», «sono stata ricoverata in un
ospedale psichiatrico», «arresto». Assai raramente basta l’esempio: «ho conosciuto
persone che avevano smesso e stavano bene». Qualcun altro, invece, trova nella sfera
religiosa forza e ragioni per dire di no all’alcool: «la presa di coscienza che forse mi
trovavo in un baratro che mi conduceva alla morte ed al peccato», «rendermi la vita
serena con tanta fede», «la fede».
Al di là dei diversi motivi, si evince che agli intervistati la scelta compiuta ha
restituito indubitabilmente assai più della semplice sobrietà: «il disastro della mia vita
personale, morale, affettiva, familiare, lavorativa, sociale, spirituale. I rischi di incidenti
e morte per mancanza di controllo in qualsiasi situazione. La sensazione chiara di essere
stato allontanato ed emarginato da quasi tutti».
Abbiamo chiesto al nostro campione anche di dare un consiglio a chi ha
cominciato da poco a bere, consapevoli del fatto che in generale gli alcolisti, soprattutto
quelli che fanno parte di associazioni di volontariato, tendono a non dire ciò che si
dovrebbe o non si dovrebbe fare riguardo al problema dell’alcolismo; coloro che hanno
deciso di non rispondere a questa domanda sono il 10,4%, e di questi circa il 54% sono
donne.
Il consiglio che viene dato forte sintetico ma allo stesso tempo immediato è di
"smettere" (39,3%), seguito da "entrare in un gruppo" (21,1%) e cercare di conoscere e
capire in tempo le conseguenze dell’abuso di sostanze alcoliche (11,5%).
Tabella 55
Un consiglio per chi ha cominciato a bere
Anno 1999
Consiglio
Smettere
Entrare in un gruppo
Capire le conseguenze dell’alcool
Parlarne con qualcuno
Limitarsi
Nessun consiglio
Altro
Non risponde
Totale
Fonte: Eurispes.
V.A.
%
106
57
31
13
12
11
12
28
270
39,3
21,1
11,5
4,8
4,4
4,1
4,4
10,4
100,0
Grazie all’analisi bivariata è possibile conoscere più in profondità le
caratteristiche delle persone che hanno consigliato di smettere immediatamente di
assumere bevande alcoliche: sono soprattutto uomini (67%) di età compresa tra i
quarantuno e i cinquanta anni, vivono nel Sud e nelle Isole (52,6%).
Coloro che consigliano di affrontare il problema dell’alcolismo parlandone con
qualcuno (4,8%) sono giovani, hanno un’età compresa tra i trentuno e i quaranta anni e
anche in questo caso sono soprattutto uomini che vivono nel Centro Italia (76,9%).
In relazione al recupero dall’indagine è quindi emerso come la maggior parte
delle persone intervistate si siano rivolte immediatamente alle associazioni di
volontariato, ma anche al medico personale e ai familiari, e siano riusciti a smettere di
bere grazie, sempre, alle associazioni di volontariato, agli amici e ai familiari. Se
depuriamo il dato dalla modalità "associazioni", possiamo comprendere l’importanza
per uscire dall’alcolismo rivestita, almeno inizialmente, dall’intervento di una persona
competente, un medico, ed in seguito l’aiuto ed il sostegno dei familiari e degli amici.
Dovendo dare un consiglio a chi ha iniziato da poco a bere, due intervistati su
cinque non avrebbero esitazioni: «smettere», «smettere subito», «smettere
immediatamente», «smettila!» sono formule che ricorrono svariate volte. La
stringatezza esalta l’urgente perentorietà del messaggio, che resta comunque “forte”
anche quando viene circostanziato: «smettere se si accorge che non ne può fare a
meno», «smettere se esagera», «se se ne è accorto di smettere, ma non da solo». Talora
si sente distinta l’eco degli avvertimenti medico-scientifici metabolizzati nelle
associazioni di mutuo soccorso: «di smettere subito, prima che sia troppo tardi, perché
l’alcolismo è una malattia irreversibile, progressiva, mortale»; tal’altra domina uno
schietto “memento mori”: «di smettere subito, immediatamente, va incontro alla morte».
Sono soprattutto gli uomini a suffragare l’ipotetico consiglio al novello bevitore
portando ad esempio la propria esperienza, il che conferma la reticenza femminile nel
palesare – sia pur solo verbalmente e nell’animo di chi si volge all’acqua perigliosa e
guata – il personale coinvolgimento nel problema. Vergognarsi di un vissuto difficile è
altrettanto umano del farne una lezione utile per sé e per gli altri: «venirmi a trovare al
gruppo», «gli fornirei la mia testimonianza, gli consiglierei di affrontare i propri
problemi, di non scherzare e sottovalutare lo sballo dell’alcool», «non so dare consigli,
ma gli proporrei di ascoltare la mia poco piacevole storia, invitandolo a frequentare un
gruppo di alcolisti», «gli racconterei la mia storia e la problematica indotta dall’alcool»,
«di accompagnarmi qualche volta al club». Una posizione sfumata è quella di chi, senza
esporsi in prima persona, suggerisce ugualmente di affidarsi alla parola di quanti hanno
visto con i propri occhi dove portasse la china dell’alcool: «bere, anche più del normale,
non vuol dire essere alcolista. Gli consiglierei comunque di fare un profondo e sincero
“esame” di coscienza, ma con i consigli di un alcolista, e di contattare, possibilmente,
A.A.», «se è alcolista smettere con l’aiuto di chi lo può consigliare e soprattutto di chi
ha passato la stessa esperienza». È emblematico che una delle pochissime donne
disposta a mettersi in causa lo faccia relativamente alla dimensione interiore:
«racconterei la mia sofferenza». Ciò evidenzia come uomini e donne, quand’anche
accomunati da un’esperienza peculiare e “caratterizzante” quale l’alcolismo,
ripropongano le solite – naturali o culturali che siano – introversioni/estroversioni
divergenti, preferendo gli uni confessare il danno, le altre il dolore.
Tuttavia il 20% abbondante degli intervistati, ripartiti equamente per sesso,
concorda nel consigliare a quanti stanno scivolando nell’alcolismo di contattare
un’associazione di mutuo soccorso: «dire subito basta con l’aiuto di A.A.», «smettere,
ma non da solo come ho cercato di fare io, ma con l’aiuto di A.A.», «cercare aiuto in
un’associazione perché da soli non si riesce a smettere», «di partecipare ai gruppi di
alcolisti immediatamente»; spesso viene specificato che la migliore premessa
consisterebbe nel rivolgersi a un dottore «consultare un medico ed A.A.». Ciò
rappresenta un indicatore assai significativo in merito alla funzionalità di queste
organizzazioni, che costituiscono ad oggi lo strumento terapeutico più incisivo
nell’affrontare una piaga di natura sostanzialmente psico-sociale.
Difatti molte risposte rapportano, più o meno esplicitamente, il rischio-alcool al
rischio-droga, cogliendo la capacità di entrambi d’ingenerare dipendenza e degrado: «di
smettere subito e di non arrivare al punto di essere un alcolista perché così può
trascorrere una vita migliore e bersi il suo bicchiere di vino quando lo vuole senza
esserne schiavo», «l’alcool è peggio delle droghe. È meglio non abusarne anche se non
si è alcolisti», «l’alcool non è una droga, ma per alcuni può essere peggiore, perciò è
meglio non rischiare». Qualcuno abbozza anche una descrizione dei sintomi che
manifestano lo stato di alcoldipendenza: «di fare molta attenzione. Se cominci a bere la
mattina o non ti fermi al secondo bicchiere», «se pensi di bere troppo e non resisti a non
bere per due giorni ti consiglio di fare come me: andare al centro di recupero
A.N.C.A.». E non sfugge che l’alcool è così pericoloso in quanto tradizionalmente
legato ad immagini ed idee seducenti, quali la festa, l’euforia, il successo (non per nulla
cavalcate a spron battuto dalla pubblicità relativa, dal cinema, ecc.): «di tenere gli occhi
aperti perché l’alcool è il nemico più infido», «di non farsi ingannare». Sopravvalutare
l’alcool per “sopravvalutarsi” innesca un meccanismo distruttivo: «attenzione a non
fidarsi troppo né di sé stessi, né dell’alcool».
Sicché, conoscere a fondo cosa comporti realmente il reiterato abuso di sostanze
alcoliche risulta un consiglio prezioso: «di chiedere informazioni a persone e medici che
studiano il problema dell’alcool e le sue dipendenze», «informarsi bene sugli effetti
nocivi dell’alcool, perché quando scopri di essere alcolista è ormai troppo tardi»,
«informarsi e conoscere l’alcolismo. Seguire le associazioni di volontariato per
informazione: controllare, giorno per giorno, il proprio comportamento». Talora il
suggerimento si apre alla sfera etica e religiosa: «informati e decidi che fare della vita
“che è sacra”», «nessuno è inutile». Altrettanto “salutare” per un alcolista, di breve
come di lungo corso, è trarre un bilancio dalla propria esistenza al fine di capire cosa ne
sta facendo e cosa invece ne vorrebbe fare: «di esaminare la propria vita passata e
pensare che bevendo accorcerà la vita futura».
Però difficilmente un bevitore può raggiungere da solo la consapevolezza che
l’alcool non risolve i problemi, ma li inghiotte in uno più grande e micidiale, perché egli
è già immerso nel gorgo che mina le sue facoltà di analisi e, quindi, le sue chances di
scampo. Ne sono ben coscienti gli intervistati che sottolineano la necessità «di non
adagiarsi sul fatto che da solo potrà farcela», di «parlarne con qualcuno», «di attaccarsi
alle persone amate, loro sono la nostra forza», malgrado le resistenze e le forzature:
«farsi aiutare, ma i consigli non si accettano».
Una piccola fetta del nostro campione (inferiore al 5%) si muove su una linea
per certi versi opposta a quella sinora percorsa e riassumibile nel consiglio della
«astensione per tutta la vita». Questo esiguo gruppo di risposte assume nei confronti
dell’alcool una posizione morbida e vagamente edonistica; il suggerimento a chi ha
cominciato a bere da poco si ispira complessivamente ad un bonario buon senso: «di
bere perché sta “gustando” qualcosa di buono, non perché non sa cosa fare o per
risolvere un problema», «di distinguere sempre se il bere è per “usare” l’alcool o per
piacere», «bere misuratamente a pranzo e cena», «di non smettere e di sapersi
controllare», «di bere in maniera giusta senza abusarne». Benché a prima vista tali
consigli possano generare l’impressione che provengano da uomini e donne in qualche
modo ancora invischiati nell’alcool o per lo meno indugianti in una pericolosa nostalgia,
in realtà la pacatezza di cui danno prova fa pensare al raggiungimento di un equilibrio
ben più rassicurante di quello desumibile dagli atteggiamenti precedenti. Infatti è
proprio dietro l’intransigenza che spesso si celano le insicurezze, i conflitti irrisolti, la
paura di essere ciò che si avversa.
Concludiamo con chi non si sente di dare alcun consiglio perché non vuole o
perché non può: «nessuno perché non servirebbe a niente, dato che, per fortuna, poche
sono le persone che assumono alcool, le quali nel tempo diverranno poi alcolizzati»;
«ancora non lo so».
8. Un possibile identikit dell’alcolista
Non è intenzione di questa ricerca creare degli stereotipi o tantomeno etichettare
gli alcolisti; tuttavia analizzando i dati a nostra disposizione è stato possibile individuare
alcune caratteristiche generali dell’alcolista, molto interessanti per ottenere un quadro
completo del fenomeno.
Molto spesso chi pensa all’alcolista immagina le situazioni più estreme di chi
vive alla giornata, probabilmente senza una casa e senza una famiglia. Non c’è nulla di
più sbagliato di una descrizione di questo tipo. È stato più volte sostenuto, nel corso di
questa ricerca, che l’alcolista è una persona come tante altre, è una madre o un padre di
famiglia, può essere un figlio, un vicino, un collega; i dati a nostra disposizione lo
dimostrano.
Fino a questo momento abbiamo descritto l’alcolismo negli aspetti principali, il
contesto socio-relazionale, il momento del passaggio dall’uso all’abuso, ora
analizziamo, invece, gli aspetti più specifici relativi ad alcune storie di vita.
Abbiamo sottoposto agli intervistati delle domande indirette per avere
un’immagine dell’alcolista; i dati relativi sono stati confrontati con quelli strutturali allo
scopo di costruire un possibile identikit dell’alcolista.
Le informazioni ottenute dalle domande indirette risultano molto importanti per
delineare i tratti fondamentali dell’alcolista; per cominciare, si può dire in modo un po’
generico che il nostro campione individua nella categoria "amici" (51,8%) le principali
conoscenze di persone alcoliste probabilmente in virtù della frequentazione dei gruppi;
sono poi presenti, in modo forse un po’ inquietante, la famiglia ed i colleghi.
Tabella 56
Contesto in cui possono essere collocati gli alcolisti conosciuti
Anno 1999
Contesto
Amicizie
Famiglia
Colleghi
Non risponde
Totale
Fonte: Eurispes.
V.A.
%
187
85
83
6
270
51,8
23,5
23,0
1,7
100,0
Le persone sopra individuate hanno per lo più una età compresa fra i trentuno ed
i cinquanta anni, anche se spicca in modo preoccupante il 13,3% dei giovani di età
compresa fra i quindici e i trenta anni.
Tabella 57
Fascia d’età in cui possono essere collocati gli alcolisti conosciuti
Anno 1999
Età
V.A.
0-14 anni
15-30 anni
31-40 anni
41-50 anni
51-60 anni
Oltre 60 anni
Non risponde
Totale
Fonte: Eurispes.
%
3
36
104
47
25
4
51
270
1,1
13,3
38,5
17,4
9,3
1,5
18,9
100,0
Abbiamo, infine, chiesto se tra le persone che conoscono sono presenti in
prevalenza uomini o donne e l’analisi dei dati ha evidenziato una forte componente
maschile (69,6%).
Tabella 58
Sesso degli alcolisti conosciuti
Anno 1999
Sesso
Maschio
Femmina
Non risponde
Totale
Fonte: Eurispes.
V.A.
%
188
33
49
270
69,6
12,2
18,2
100,0
In particolare, le donne hanno una età compresa tra i trentuno ed i cinquanta anni
(63,6%), mentre gli uomini sono un po’ più giovani e rientrano nella fascia d’età
compresa fra i trentuno e i quaranta anni (48,4%).
Questi valori, come è stato precedentemente affermato, sono poi stati confrontati
con quelli strutturali del nostro campione; i dati sono molto simili, per cui, in linea
generale, questa può essere una prima immagine dell’alcolista.
Tabella 59
Fascia d’età in cui possono essere collocati gli alcolisti conosciuti secondo il sesso (%)
Anno 1999
Età
0-14 anni
15-30 anni
31-40 anni
41-50 anni
51-60 anni
Oltre 60 anni
Non risponde
Totale
Fonte: Eurispes.
Sesso
Femmina
Maschio
0,0
27,3
30,3
33,3
6,1
0,0
3,0
100,0
0,5
12,8
48,4
17,0
10,1
1,6
9,6
100,0
Una volta definito il quadro generale, è sembrato interessante entrare nello
specifico di alcune realtà particolari. Abbiamo pensato di delineare i tratti degli alcolisti
anziani (oltre i sessanta anni), delle donne non occupate (casalinghe, pensionate ) e dei
giovani (sotto i trenta anni).
Gli anziani che abbiamo estratto dal nostro universo sono donne (42,3%) e
uomini (57,7%) che hanno cominciato ad abusare delle bevande alcoliche per tentare di
affrontare una situazione che ritenevano complicata (30,8%), per cercare di rilassarsi
(23,1%) e stare meglio con gli altri (23,1%).
Tabella 60
Cause del primo abuso
Anno 1999
Cause
Cercavi di affrontare una situazione complicata
Cercavi di stare meglio con gli altri
Cercavi di rilassarsi
Ti sentivi poco amato
Ti sentivi incompreso
Altro
Totale
Fonte: Eurispes.
V.A.
%
8
6
6
2
2
2
26
30,8
23,1
23,1
7,7
7,7
7,7
100,0
Un dato che mette in evidenza la gravità della situazione è emerso quando
abbiamo chiesto agli anziani con chi erano al momento del primo abuso, dal momento
che il 53,8% ha dichiarato di aver cominciato da solo, seguito da un 30,8% che si
trovava con gli amici, ed un 7,7% che erano in compagnia di con i colleghi. È
interessante notare che coloro che hanno cominciato ad abusare di sostanze alcoliche da
soli hanno iniziato a bere tra i quarantuno ed i cinquanta anni (57,1%).
Tabella 61
Persona con cui è avvenuto il primo abuso di bevande alcoliche
Anno 1999
Con
V.A.
Amici
Colleghi
Familiari
Sconosciuti
Solo
Totale
Fonte: Eurispes.
%
8
2
1
1
14
26
30,8
7,7
3,8
3,8
53,8
100,0
Più della maggioranza degli anziani che sono stati intervistati non avevano
difficoltà ad instaurare rapporti con gli altri (61,5%), le difficoltà sono arrivate dopo
molti bicchieri di troppo.
Il 42,4%, infatti, ha avuto tra le prime conseguenze dell’abuso di sostanze
alcoliche il deterioramento in genere dei rapporti con gli altri, mentre relativamente in
pochi hanno sostenuto di non aver in nessun modo alterato i rapporti interpersonali
(7,7%): a questi forse appartengono coloro che hanno cominciato a bere da non molto
tempo.
Tabella 62
Modo in cui l’alcoldipendenza ha influito sui rapporti con gli altri
Anno 1999
Modo
Deteriorando in genere i rapporti
Deteriorando i rapporti solo con la famiglia
In nessun modo
Deteriorando i rapporti solo con i colleghi
Deteriorando i rapporti con i colleghi e la famiglia
Migliorando i rapporti
Altro
Non risponde
Totale
Fonte: Eurispes.
V.A.
%
11
2
2
1
1
1
4
4
26
42,4
7,7
7,7
3,8
3,8
3,8
15,4
15,4
100,0
Gli anziani smettono di bere principalmente per la famiglia (34,6%), ma c’è
anche una buona percentuale di coloro che hanno dovuto smettere a causa di problemi
di salute; buona parte di loro infatti risente maggiormente dei danni alcolcorrelati
rispetto alle altre classi d’età, poiché il fisico debilitato li rende più soggetti a
cardiopatie, danni all’apparato respiratorio e a stati di potenziale malnutrizione.
Certo il campione in questo caso è estremamente ridotto ma, come è stato più
volte affermato, questa ricerca non intende fare alcuna inferenza campione-popolazione
ma solo garantire una buona rappresentazione dei casi presi in esame.
Tabella 63
Motivo della fine dell’abuso
Anno 1999
Motivo
Famiglia
Salute
Perdita di stima in se stessi
Voglia di vivere
Più di un motivo
Lavoro
Perdita dei rapporti sociali
Altro
Non risponde
Totale
Fonte: Eurispes.
V.A.
%
9
8
2
2
1
1
1
1
1
26
34,6
30,8
7,7
7,7
3,8
3,8
3,8
3,8
3,8
100,0
Il 92,3% degli anziani ritiene l’alcool una droga e l’alcolismo una malattia. Il
motivo principale che li porta a ritenere l’alcolismo una malattia è che sono consapevoli
del fatto che può provocare la morte (50%); secondo altri ha origini genetiche (19,2%),
secondo i più ottimisti si può curare (15,4%).
Tabella 64
Identificazione dell’alcolismo con una malattia
Anno 1999
Malattia
Si, perché può uccidere
Si, perché ha origini genetiche
Si, perché si può curare
Si, perché è una malattia psicofisica
Si, per altri motivi
No
Totale
Fonte: Eurispes.
V.A.
%
13
5
4
1
2
1
26
50,0
19,2
15,4
3,8
7,8
3,8
100,0
Quanto si discosta il percorso del giovane alcolista da quello dell’anziano? Le
motivazioni, le situazioni iniziali sono diverse? Dai dati emerge che il giovane comincia
a bere innanzitutto nei momenti di euforia (40,9%) e di noia (18,2%) e principalmente
in compagnia di amici (77,3%), anche se qualche volta si trova con il partner (9,1%);
questo percorso sembra ormai noto a tutti e sembra ricorrere in molte situazioni di
abuso, non solo di sostanze alcoliche ma assai spesso anche di sostanze stupefacenti.
Tabella 65
Stato d’animo del primo abuso
Anno 1999
Stato d’animo
Euforia
Noia
Felicità
Stress
Ansia
Depressione
Solitudine
Altro
Totale
Fonte: Eurispes.
V.A.
%
9
4
3
2
1
1
1
1
22
40,9
18,2
13,6
9,1
4,5
4,5
4,5
4,5
100,0
In molte occasioni il giovane utilizza sostanze per essere al centro
dell’attenzione nel gruppo dei coetanei, per fare nuove amicizie, per conquistare l’altro
sesso; l’insicurezza, la noia, l’incapacità di essere originale e simpatico a prescindere da
una bottiglia o da una sostanza chimica lo conduce verso l’assunzione di dosi sempre
più massicce di sostanze nocive. Il nostro campione ha confermato questo triste trend.
I giovani intervistati, infatti, dichiarano di aver abusato di alcool perché voleva
stare meglio con gli altri (59,1%), e per affrontare situazioni complicate (13,6%),
tuttavia anche le altre motivazioni sono molto forti: si sentivano incompresi, poco amati
(complessivamente il 13,6%), o cercavano un momento creativo.
Tabella 66
Cause del primo abuso
Anno 1999
Causa
Cercavi di stare meglio con gli altri
Cercavi di affrontare una situazione complicata
Ti sentivi incompreso
Cercavi un momento creativo
Cercavi di rilassarti
Ti sentivi poco amato
Totale
Fonte: Eurispes.
V.A.
%
13
3
2
2
1
1
22
59,1
13,6
9,1
9,1
4,5
4,5
100,0
Dall’analisi dei dati emerge che tutto ruota intorno alle amicizie, dal momento
che i giovani temono di non essere accettati dal gruppo dei coetanei e attraverso l’alcool
cercano di diventare più brillanti e simpatici; alla domanda “avevi difficoltà ad
instaurare rapporti sociali prima di diventare alcolista?”, il 31,8% dei giovani dichiara
“sì, con gli amici” (31,8%) e “con persone dell’altro sesso” (18,2%).
Tabella 67
Difficoltà relazionali precedenti all’alcoldipendenza
Anno 1999
Difficoltà con
Nessuno
Amici
Persone dell’altro sesso
Partner
Familiari
Colleghi
Non risponde
Totale
Fonte: Eurispes.
V.A.
%
5
7
4
2
2
1
1
22
22,7
31,8
18,2
9,1
9,1
4,5
4,5
100,0
I giovani rispetto agli anziani sono stati più colpiti proprio nella cosa che
desideravano migliorare: i rapporti sociali. L’alcoldipendenza, infatti, ha deteriorato i
rapporti con gli altri in genere (36,4%) e con la famiglia in particolare (4,5%).
Il tema della famiglia, dunque, ricorre pure in questo caso tanto che anche i
giovani sostengono di aver smesso di bere in primo luogo per la famiglia (27,3%), poi
per aver perso la stima in se stessi (18,2%) e perché avevano voglia di continuare a
vivere (18,2%).
Come l’anziano, anche il giovane ritiene l’alcool una droga (86,4%) e allo stesso
tempo una malattia.
Tabella 68
Identificazione dell’alcolismo con una malattia
Anno 1999
Malattia
Si, perché può uccidere
Si, perché ha origini genetiche
Si, perché si può curare
Si, per altri motivi
Non risponde
Totale
Fonte: Eurispes.
V.A.
%
13
5
2
1
1
22
59,1
22,7
9,1
4,5
4,5
100,0
Bisogna mettere in evidenza che in questo caso il campione non ha scelto né la
modalità "no" e tantomeno la modalità "si può curare": la maggioranza dei ragazzi
sembra aver capito che l’alcool può uccidere (59,1%).
La situazione delle donne non occupate, invece, risulta essere molto diversa sia
rispetto ai giovani che rispetto agli anziani. Questa categoria è stata scelta perché,
purtroppo, sono sempre di più le casalinghe che per sconfiggere la tristezza si aiutano
con il vino.
Le donne non occupate che abbiamo preso in considerazione hanno cominciato a
bere per depressione (24,1%) e solitudine (18,5%); seguono stati d’animo di euforia
(14,8%) e stress (11,1%).
Tabella 69
Stato d’animo del primo abuso
Anno 1999
Stato d’animo
Depressione
Solitudine
Euforia
Stress
Noia
Felicità
Ansia
Altro
Totale
Fonte: Eurispes.
V.A.
%
13
10
8
6
5
5
5
2
54
24,1
18,5
14,8
11,1
9,3
9,3
9,3
3,7
100,0
A differenza dei giovani ma allo stesso modo degli anziani, le donne non
occupate bevono principalmente in solitudine (50%), alcune insieme agli amici (31,3%),
altre insieme ai familiari (13%).
Tabella 70
Persona con cui è avvenuto il primo abuso di bevande alcoliche
Anno 1999
Con
Solo
Amici
Familiari
Colleghi
Partner
Altro
Totale
Fonte: Eurispes.
V.A.
%
27
17
7
1
1
1
54
50,0
31,3
13,0
1,9
1,9
1,9
100,0
Cercano conforto in una bottiglia, vogliono affrontare situazioni difficili (22,2%)
o cercare di stare meglio con gli altri (18,5%), alcune sostengono di volersi rilassare
(16,7), altre si sentono incomprese (14,8%) e poco amate (11,1%), altre ancora tentano
di superare una delusione (11,1). Per tutte la bottiglia è, almeno all’inizio, un’oasi felice
nella quale trascorrere una parte della giornata.
Anche per la maggior parte delle donne non occupate (51,9%), così come per gli
anziani, non esistevano problemi relazionali prima di diventare un’alcolista: mentre
circa il 14% aveva difficoltà con gli amici.
Anche in questo caso l’alcoldipendenza ha creato problemi di tipo relazionale; i
rapporti in generale si sono deteriorati per circa il 35% delle donne e in particolare il
13% del campione ha avuto problemi relazionali specifici con la famiglia.
La famiglia non poteva mancare in questo sottocampione come motivazione per
smettere di bere (22,2%); la salute ha influito per circa il 16% e la perdita di stima in se
stessi per l’11,1%.
Le donne non occupate sostengono che l’alcool sia una droga e anche in questa
occasione l’alcolismo viene considerato una malattia in quanto è capace di uccidere
come le più gravi patologie (63%); anche tra le donne non occupate resta forte la
convinzione che l’alcolismo sia una malattia perché ha origini genetiche.
Tabella 71
Identificazione dell’alcool con le droghe
Anno 1999
Droga
No
Si
Non risponde
Totale
Fonte: Eurispes.
V.A.
%
10
42
2
54
18,5
77,8
3,7
100,0
La modalità “è una malattia perché ha origini genetiche” ricorre spesso fra le
risposte tanto dell’intero campione quanto dei sottogruppi; alla base di tale
interpretazione dell’alcolismo potrebbe esserci il desiderio di nascondere le proprie
responsabilità. Attribuire l’origine dell’alcoldipendenza ad un fattore esterno ed
indipendente dalla propria volontà sembra a prima vista un tentativo di giustificare ciò
che nell’opinione comune sembra essere ancora considerato una debolezza o peggio un
vizio. In realtà però gli alcolisti da noi presi in esame, in quanto membri delle
associazioni di volontariato private, sono per lo più consapevoli di non poter attribuire
la propria dipendenza ad altri che a se stessi.
Da ultimo abbiamo chiesto agli intervistati di paragonare l’alcolismo ad una
stagione, motivando la propria scelta. Com’era prevedibile, l’inverno – stagione “triste”
per eccellenza – ha raccolto da solo quasi un terzo delle preferenze; va sottolineato
inoltre che ben un quinto del campione non ha risposto.
Tabella 72
La stagione indicata dagli intervistati per simboleggiare l’alcolismo
Anno 1999
Stagione
Inverno
Autunno
Estate
Primavera
Primavera-Autunno
Estate-Inverno
Tutte
Nessuna
Non risponde
Totale
Fonte: Eurispes.
V.A.
%
85
41
22
7
3
2
47
7
56
270
31,5
15,2
8,2
2,5
1,1
0,7
17,5
2,5
20,8
100,0
Il connubio inverno-alcolismo si fonda essenzialmente sull’idea di morte, sia in
relazione all’ineluttabilità del «tutto finisce», sia in quanto annullamento esistenziale
(«perché non è più vita»). L’alcolista, in modo più o meno esplicito, assimila se stesso
alla natura che attraversa la brutta stagione («sembra che sia arrivata la fine di tutto», «è
come morire»), sino ad evocare l’imago mortis del letargo invernale («dormi tanto»,
«addormenta la vita nel soggetto dipendente»). Ovviamente affiorano anche concetti
contigui, quali la solitudine e il freddo, rivissuti in ricordi penosi («perché l’inverno è
freddo come i sintomi di una sbornia», «la paura di essere solo»); il gelo abita ogni
stanza dell’anima: «perché ti senti il cuore freddo», «mi ha reso freddo», «perché si
diventa grigi e freddi di dentro al proprio io». Un umor tetro ammanta l’alcolista come
la tenebra i giorni invernali: «ti fa vedere tutto più scuro», «perché vedo sempre tutto
nero», «perché non vedo mai il sole», «hai sempre la tristezza dentro di te, hai freddo,
vedi tutto cupo, grigio, non vedi nessun spiraglio di luce». Sembra che un diaframma
oscuro si frapponga all’osservazione della realtà, spargendo sulle cose lo squallore di
uno spleen alcolico nient’affatto “romantico”: «il colore della depressione è nero come
il cielo d’inverno», «perché l’inverno annoia e deprime». E nell’intreccio di significati e
significanti “inverno” chiama «inferno» o, quanto meno, «incubo»: «perché più che
l’inverno […] mi sembra un inferno, dove nel fuoco del male brucia fino alla fine ogni
cosa di te stesso e appicca il fuoco a chi vive con te, rischiando di far morire anche
loro…». Viceversa la metafora dell’inverno suscita in taluni sensazioni e immagini
dolci, protettive:«perché mi dà un senso di pace e di calore», «non amo il freddo,
riscalda». Traspare il volto domestico e conviviale dell’alcolismo, coltivato fra le pareti
di casa o di un bar, fra gli amici, nei momenti d’ozio ossia nelle tipiche situazioni
“invernali”, dove il soggetto è tanto più fragile quanto più si crede al riparo: «ho più
tempo libero», «ci si chiude in casa», «trascorrevo la serata a casa di amici o nei bar».
Eppure proprio l’inverno può rappresentare l’incipit vitale, il dolore necessario
dell’inesauribile, ciclico rinovellarsi : «ho bisogno di credere nel seme che resiste al
gelo e che ritorna alla vita in un’altra primavera […] l’inverno completa l’anno e
completa anche l’uomo che lo ha vissuto».
Se l’inverno è la stagione della morte l’autunno è quella dell’agonia. Designando
l’autunno a metaforizzare l’alcolismo, gli intervistati hanno evidenziato lo sgretolarsi
fisico e morale in cui si estrinseca una malattia che erode progressivamente le facoltà
vitali dell’individuo: «perché come l’autunno dà inizio alla fine della bella stagione,
così l’alcolismo dà inizio al declino della vita», «il decadimento, la solitudine, il lento
addormentarsi della natura fino a sembrare morta». È un processo non veloce, ma
inesorabile; è un’anticamera senilizzante: «tutto è incerto ed in lento declino», «diventi
vecchio». L’alcool smargina le ore, i sensi, l’esistenza: «è triste, giornate lunghe senza
luce. Tempo dilatato», «la vista è sempre annebbiata», «perché le giornate sono grigie
come i pensieri dell’alcolista». Si sta in una terra desolata, senza colori, abbracciati alla
malinconia: «la tristezza è la nostra compagna», «è tetra e buia», «perché l’alcool mi
faceva compagnia, ma mi metteva tanta solitudine». Del resto l’autunno è la stagione de
«la vendemmia», de «l’aspro odor dei tini»: difficile immaginare una reminiscenza più
“acre” del verso carducciano.
A preparare le piogge e le messi autunnali provvede l’arsura estiva. Mai come
d’estate, quando il solleone prosciuga ogni fibra, pare naturale attaccarsi alla bottiglia,
“innocente” dettame di un’esigenza fisiologica: «avevo sempre caldo», «con il caldo
viene voglia di bere di più», «perché con il caldo avevo più piacere a bere un bel
bicchiere di birra e magari alla spina», «si ha più sete ed essendo un alcolista bere una
birra fredda o un buon prosecchino sembra dissetare. Arriva prima alla testa,
rilassandoti». L’oppressione barometrica si fonde a quella interiore, esacerbando il
desiderio di evasione («più voglia di sete, più tempo libero, più voglia di libertà»); si
fugge e si cerca un ottundimento abbacinante («il bagliore del sole mi acceca, anche in
modo figurato»). Il clima godereccio e vacanziero asseconda l’istinto del bevitore:
«perché si beve quando ci si diverte». E tra chi pensa di approfittare della cesura estiva
e chi la subisce – «aspettavo l’estate per smettere», «d’estate il mio alcolismo era
devastante» – si colloca la seguente icastica illustrazione del nesso alcolismo-estate:
«fuoco».
Dato il “successo” della metafora invernale, non stupisce che l’equazione
alcolismo-primavera abbia riscosso appena una manciata di adesioni. Raramente il
subbuglio primaverile irrita la sete («perché veniva di più la voglia di bere») o palesa,
per contrasto, la condizione dell’alcolista («perché si rifiorisce, mentre io appassivo»).
Tuttavia il suo impeto vivificante può anche apparire simile all’entusiasmo instillato
dall’ebbrezza all’alcolica: «senso di euforia», «per allegria»; ma non è che un abbaglio:
«all’inizio è bello».
Difatti le risposte indicanti la coppia “equinoziale” primavera-autunno
sottolineano come l’alcoldipendenza ingeneri stati d’animo positivi e negativi o, meglio,
il succedersi di questi a quelli: «allegria e nostalgia», «allegria e malinconia»; è
inevitabilmente l’ “autunno” a prendere il sopravvento: «senso di nostalgia e
solitudine». La medesima altalena viene descritta da chi sceglie il binomio estateinverno: «all’inizio era una cosa meravigliosa in quanto mi tirava su di morale ed era
tutto rosa. Dopo sette anni era l’inverno perché era squallido vivere con l’alcool»; si
noti che, al pari delle altre tossicodipendenze, il passaggio cruciale dalla “bella” alla
“brutta stagione” può essere identificato con l’imbocco della salvezza: «perché all’inizio
si vede tutto bello, tutto rosa. Poi quando si comincia a smettere piano si arriva
all’inverno, per poi, raggiunta la sobrietà totale, tornare all’estate».
Molti degli intervistati associano indistintamente le quattro stagioni
all’alcolismo, al fine di rilevare come la dipendenza non conosca soluzioni di continuità
(«perché ogni stagione è buona per l’alcolista per andare a bere»), appiattendo il tempo
e i sentimenti: «tutti i giorni erano uguali», «l’emotività interiore era uguale in tutte le
stagioni». L’unico sollievo dell’alcolista, finché dura, sta nel forzare il buonumore del
proprio demone: «le stagioni non mi hanno mai distolto dalla dipendenza alcolica,
anche prima di avvertire il problema, l’allegria (illusoria) era sempre bene accetta».
L’alcoldipendenza è un tunnel inaccessibile al sole, impermeabile alla pioggia;
da dentro il cielo si ricorda vago, estraneo, evanescente: «le stagioni sono tutte belle:
l’alcolismo non ne può raffigurare nessuna», «perché se le stagioni le vivo da sobrio
riservano ognuna una bellezza, se le vivo da ubriaco è come se non esistessero».
9. Deluse, insicuri, immaturi: i risultati dell’Analisi delle Corrispondenze Multiple
e della Cluster Analysis
È ormai consuetudine porsi l’obiettivo non solo di conoscere il comportamento
degli individui rispetto a singole caratteristiche considerate nell’indagine (attraverso le
tabelle semplici) o di analizzare le relazioni tra le variabili più interessanti costruendo
tabelle doppie, ma anche e soprattutto, di ricavare da poche analisi multidimensionali le
principali componenti associative tra sottoinsiemi di caratteri sia quantitativi sia
qualitativi. Si è cercato di raggiungere tale obiettivo ricorrendo all’utilizzo del software
SPAD.n che rispetto agli altri pacchetti statistici, presenta nell’analisi delle
corrispondenze multiple (ACM) output più leggibili e con maggiori possibilità di
personalizzazione.
L’analisi multivariata si è svolta in due fasi distinte:
1. la prima, condotta con una tecnica di “analisi dimensionale”, attraverso l’analisi
delle corrispondenze multiple (ACM), si è posta l’obiettivo di individuare dei fattori
soggiacenti alla struttura dei dati; in questo modo è stato possibile riassumere
l’intreccio delle relazioni di interdipendenza tra le diverse modalità dei caratteri in
un numero più ristretto di variabili, che sono appunto i fattori o dimensioni del
questionario.
2. la seconda, condotta con tecniche di “analisi classificatoria” (cluster analysis),
ha avuto lo scopo di pervenire ad una ottimizzazione della ripartizione dei soggetti
intervistati in classi, omogenee al loro interno ed il più possibile eterogenee tra loro,
rispetto al campo di variazione delle risposte fornite dal questionario. La ripartizione
dei soggetti in classi è stata compiuta sulla base dei fattori emersi dalla fase
precedente.
9.1 Analisi delle corrispondenti multiple
L’ACM è una tecnica di analisi multidimensionale particolarmente adatta per
variabili di tipo qualitativo. In particolare risulta utile quando si ha a che fare con le
risposte ad un modello di rilevazione volto allo studio dei comportamenti e delle
opinioni dei soggetti in esame. In questi casi utilizziamo il termine “variabile” in modo
molto estensivo, poiché si tratta in realtà di modalità ordinabili oppure, più
frequentemente, di mutabili sconnesse, e cioè di modalità che non presentano un ordine
naturale di successione. L’ACM è però indifferente ai problemi di misura in quanto la
sua base di partenza è costituita dalla più semplice forma di rappresentazione dei dati, e
cioè da una matrice di presenza/assenza dell’attributo o caratteristica in ciascun soggetto
intervistato. Ogni variabile viene disgiunta in tante modalità quanti sono i possibili
“stati” che essa può assumere; la matrice completa dei dati pertanto è costituita da una
gigantesca “tabella di contingenza”, nella quale le righe rappresentano gli individui,
mentre le colonne rappresentano tutte le possibili modalità.
La fase di preparazione dei dati per la elaborazione attraverso l’ACM richiede
due momenti decisionali di estrema importanza per i risultati che poi si otterranno.
In primo luogo, bisogna decidere quali variabili introdurre nell’analisi, e stabilire
il loro status di variabili “attive” che entrano direttamente nell’ACM contribuendo alla
formazione dei “fattori”, o meglio, degli “assi fattoriali”; oppure di variabili “passive” o
“illustrative”, che vengono usate di solito per chiarire alcuni aspetti dei fattori o per
evidenziare taluni legami di interdipendenza, senza però che esse contribuiscano alla
determinazione degli assi. Nel nostro caso le variabili illustrative sono quelle “di
struttura” ossia le caratteristiche degli individui che costituiscono il campione, quindi il
sesso, lo stato civile, il titolo di studio, la condizione professionale, lo stato civile e
l’area geografica di appartenenza di ogni singolo soggetto intervistato.
La seconda decisione riguarda le modalità con cui ciascuna variabile entra
nell’analisi. Non sempre le modalità di rilevazione risultano utili in fase di elaborazione
dei dati; inoltre spesso sono necessarie delle ricodifiche che, aggregando tra loro alcune
modalità di risposta, rendono più chiaro e significativo il risultato. Nel caso dell’ACM
questo problema è molto frequente; infatti, in questo tipo di analisi, ogni modalità
diventa una variabile binaria (presenza/assenza) e considerare tutte le modalità significa
aumentare enormemente le dimensioni della matrice e rendere più difficile la lettura dei
risultati.
L’obiettivo è quello di raggiungere un equilibrio tra ricchezza di informazione e
chiarezza del risultato finale. Nel nostro caso abbiamo dovuto rinunciare ad introdurre
molti aspetti, comunque di scarso rilievo, presenti nel questionario.
Al termine di queste operazioni preliminari di scelta, il bilancio dell’analisi
presentava 4 variabili attive con 34 modalità associate e 6 variabili illustrative con 26
modalità associate, per un totale di 270 individui (molte variabili attive sono state
abbandonate automaticamente in sede di elaborazione, in quanto erano poco esplicative
ai fini dell’analisi o risultavano troppo correlate tra loro).
SELECTION DES INDIVIDUS ET DES VARIABLES UTILES
VARIABLES NOMINALES ACTIVES
4 VARIABLES
34 MODALITES ASSOCIEES
---------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------6 . con chi abuso
( 8 MODALITES )
7 . dove ti trovavi abuso
( 8 MODALITES )
8 . stato d’animo
( 9 MODALITES )
9 . perché smisurato
( 9 MODALITES )
---------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------VARIABLES NOMINALES ILLUSTRATIVES
5 VARIABLES
29 MODALITES ASSOCIEES
---------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------39 . sesso
( 3 MODALITES )
41 . stato civile
( 7 MODALITES )
42 . titolo studio
( 6 MODALITES )
43 . condizione professionale
(10 MODALITES)
56 . area geografica
( 3 MODALITES )
---------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------INDIVIDUS
----------------------------- NOMBRE ------------------------------- POIDS --POIDS DES INDIVIDUS: Poids des individus, uniforme egal a 1.
UNIF
RETENUS ...................... NITOT = 270
PITOT =
270.000
ACTIFS .......................... NIACT = 270
PIACT =
270.000
SUPPLEMENTAIRES .... NISUP =
0
PISUP =
0.000
--------------------------------------------------------------
Come si è detto, lo scopo dell’ACM è di passare da uno spazio originario ad un
nuovo spazio in cui ciascuna variabile è combinazione lineare delle originarie e nel
nuovo spazio considerare un sottospazio in grado di spiegare il massimo della
variabilità della matrice originale dei dati. Gli assi fattoriali hanno la funzione di nuove
dimensioni sintetiche della matrice e sono ortogonali tra loro. Ciascun asse fattoriale
spiega una parte della variabilità della matrice dei dati; in altre parole, ciascun asse
fattoriale trattiene una parte dell’informazione fornita dal complesso dei dati.
9.2 I risultati dell’ACM
Senza entrare nei dettagli delle tecniche di interpretazione, si può affermare che
ci sono due tipologie di approccio interpretativo:
1. la prima, di tipo “fattorialista” è rivolta all’individuazione e denominazione delle
dimensioni fattoriali, pertanto fa ricorso soprattutto ai contributi assoluti forniti
dalle modalità alla costruzione dell’asse. In pratica i contributi assoluti
rappresentano la percentuale di varianza del fattore attribuibile ad una certa
modalità.
2. la seconda, di tipo “geometrico-strutturale”, è rivolta all’analisi della
configurazione della nuvola dei punti-modalità, della vicinanza tra i punti, della
forma della nuvola stessa.
Di fatto l’interpretazione si basa su entrambi gli approcci, in quanto ciascuno di
essi fornisce una specifica informazione. L’approccio fattorialista è utile in una prima
fase di individuazione delle strutture portanti dell’asse, mentre, l’approccio geometricostrutturale è utile in una seconda fase di convalida e di approfondimento dei risultati
ottenuti.
In una terza fase si possono prendere in considerazione le variabili
supplementari che, proiettate sui piani fattoriali, possono fornire un interessante
incremento di informazione. L’apprezzamento della significatività della loro posizione
rispetto all’asse è data dal “valore-test”; quando questo è, in valore assoluto, maggiore
di due, la posizione occupata può essere considerata significativa ad un livello del 5% di
errore.
I risultati dell’analisi evidenziano come oltre il 70% dell’informazione
complessiva sia riproducibile attraverso i primi 13 assi fattoriali; naturalmente quelli
che contribuiscono in modo significativo sono i primi 2 assi che raggiungono una
percentuale del 16,36% (ricordiamo che lo spazio iniziale è costituito da 34 modalità
associate alle variabili attive).
VALEURS PROPRES
APERCU DE LA PRECISION DES CALCULS : TRACE AVANT DIAGONALISATION .. 5.5000
SOMME DES VALEURS PROPRES .... 5.5000
HISTOGRAMME DES 22 PREMIERES VALEURS PROPRES
+------------+---------------+----------+----------+--------------------------------------------------------------------------------------------------------------+
| NUMERO | VALEUR | POURCENT.| POURCENT.|
|
| PROPRE |
| CUMULE
|
+-----------+----------------+------------------+------------------+-----------------------------------------------------------------------------------------------+
| 1
| 0.5495
| 9.99
|
9.99
| ********************************************************************************
| 2
| 0.3501
| 6.37
| 16.36
| ***************************************************
| 3
| 0.3420
| 6.22
| 22.57
| **************************************************
| 4
| 0.3186
| 5.79
| 28.37
| ***********************************************
| 5
| 0.3104
| 5.64
| 34.01
| **********************************************
| 6
| 0.3020
| 5.49
| 39.50
| ********************************************
| 7
| 0.2888
| 5.25
| 44.75
| *******************************************
| 8
| 0.2742
| 4.99
| 49.74
| ****************************************
| 9
| 0.2588
| 4.71
| 54.44
| **************************************
| 10
| 0.2561
| 4.66
| 59.10
| **************************************
| 11
| 0.2414
| 4.39
| 63.49
| ************************************
| 12
| 0.2339
| 4.25
| 67.74
| ***********************************
| 13
| 0.2268
| 4.12
| 71.86
| **********************************
| 14
| 0.2182
| 3.97
| 75.83
| ********************************
| 15
| 0.2137
| 3.89
| 79.72
| ********************************
| 16
| 0.2027
| 3.69
| 83.40
| ******************************
| 17
| 0.1969
| 3.58
| 86.98
| *****************************
| 18
| 0.1878
| 3.41
| 90.40
| ****************************
| 19
| 0.1739
| 3.16
| 93.56
| **************************
| 20
| 0.1499
| 2.73
| 96.29
| **********************
| 21
| 0.1357
| 2.47
| 98.75
| ********************
| 22
| 0.0686
| 1.25
| 100.00
| **********
+--------+------------+----------+----------+----------------------------------------------------------------------------------+
9.3 Il primo piano fattoriale
Il primo piano fattoriale è dato dall’intersezione del primo e del secondo asse. La
proiezione su tale piano delle modalità che hanno maggiormente contribuito alla
formazione degli assi evidenzia un’aggregazione lungo la prima dimensione di modalità
che si riferiscono al contesto ambientale e relazionale degli individui (dove e con chi si
trovavano durante l’abuso di bevande alcoliche), mentre lungo la seconda dimensione si
dispongono le modalità che si riferiscono allo stato d’animo in cui si trovavano gli
individui nel momento in cui hanno iniziato a bere. Si è pensato quindi di etichettare le
prime due dimensioni rispettivamente come:
“contesto ambientale e relazionale”;
“stato d’animo”.
Il primo asse fattoriale presenta un tasso di inerzia pari al 9,99% della variabilità
totale della matrice dei dati; le variabili che maggiormente contribuiscono alla sua
formazione sono quello riguardante il contesto sociale dell’abuso (C6) e il luogo
dell’abuso (C7).
I ASSE FATTORIALE: CONTRIBUTI, COS² E SEMIASSE DI APPARTENENZA DELLE MODALITÀ (+,-)
VARIABILE
C6
C7
MODALITA’
CONTRIBUTI
C6=1
15,1
C6=3
11,6
C6=5
3,4
CONTRIBUTI CUMULATI
30,2
C7=1
0,0
C7=2
7,1
C7=3
20,2
C7=4
0,9
C7=5
1,5
C7=6
0,6
CONTRIBUTI CUMULATI
30,2
COS²
SEGNO
0,46
-
0,62
+
0,08
-
0,0
-
0,27
+
0,64
-
0,02
+
0,03
+
0,01
+
L’elenco delle modalità che contribuiscono maggiormente alla spiegazione del
primo asse fattoriale, fornisce un’immediata visione di come interpretare i due semiassi.
Il semiasse negativo riguarda essenzialmente le persone che hanno iniziato a bere sole
(C6=1) e a casa propria (C7=3); sono queste infatti le modalità che presentano i
contributi più alti sul primo piano fattoriale pari rispettivamente a 15,1 e 20,2. Inoltre il
valore test pari rispettivamente a 11,2 e 13,0 conferma l’ottima rappresentabilità delle
stesse sul primo asse fattoriale. Il semiasse positivo risulta invece caratterizzato dalle
modalità C6=3 e C7=2 (ossia gli individui che hanno cominciato a bere si trovavano in
compagnia di amici al bar/pub o al ristorante); tali modalità presentano sul primo asse
fattoriale contributi pari rispettivamente a 11,6 e 7,1 e valori test uguali a 12,6 e 8,5. I
due estremi del primo fattore sono quindi caratterizzati dalle due situazioni opposte di
“solitudine” e “compagnia”. Tra i due poli si posizionano le situazioni intermedie, quali
bere con i familiari (C6=5) o con il proprio partner (C6=2) che si allontanano dalla
situazione “soli” e si avvicinano a quella in “compagnia di amici”, mentre per quanto
riguarda il luogo troviamo la modalità “a casa di un amico” (C7=4) e “in discoteca”
(C7=5) molto vicine alla modalità “bar/pub”. La modalità “bere in strada” (C7=1) che si
trova invece vicino all’origine, mediando tra la modalità “a casa mia” e “al bar/pub”,
presenta un contributo all’asse prossimo allo zero, ma risulta utile alla lettura del grafico
perché segue una logica nel dispiegamento del primo fattore.
Il secondo asse fattoriale presenta un tasso di inerzia pari al 6,37%
dell’informazione complessiva e sembra essere caratterizzata dalle seguenti modalità
relative alle variabili C=8 e C=9:
II ASSE FATTORIALE: CONTRIBUTI, COS² E SEMIASSE DI APPARTENENZA DELLE MODALITÀ
(+,-)
VARIABILE
C8
C9
MODALITA’
CONTRIBUTI
COS²
SEGNO
C8=1
5,5
0,09
-
C8=3
7,5
0,12
-
C8=4
0,9
0,02
+
C8=7
18,8
0,30
+
CONTRIBUTI CUMULATI
33,0
C9=1
0,2
C9=2
4,3
C9=3
4,7
C9=4
14,0
C9=5
0,9
C9=6
0,4
C9=7
3,1
C9=8
2,3
CONTRIBUTI CUMULATI
29,9
0
+
0,07
+
0,07
-
0,24
-
0,02
+
0,01
-
0,05
+
0,03
+
Dall’analisi della tabella si delinea immediatamente una contrapposizione tra le
modalità che esprimono solitudine (C8=7) e felicità (C8=3); queste modalità presentano
sul secondo fattore un contributo pari rispettivamente a 18,8 e 7,5 ed un valore test pari
a 8,9 e –5,7 evidenziando come esse siano altamente rappresentative. Risultano
importanti per la spiegazione del secondo fattore la modalità C9=2 che si posiziona
vicino alla solitudine e che rappresenta lo stato d’animo “incompreso”, la modalità
C9=4 che rappresenta gli individui che hanno cominciato a bere per superare una
situazione complicata e la modalità C9=3 che rappresenta gli individui che hanno
cominciato a bere perché cercavano un momento creativo e che si posiziona vicino alla
modalità “a casa di un amico”. Le modalità C8=4 e C9=5 si posizionano intorno
all’origine rispetto al secondo fattore, quindi non offrono un alto contributo per questa
dimensione, però sono molto importanti per l’interpretazione di tipo geometrico. Infatti
tali modalità che esprimono rispettivamente lo stato d’animo di euforia e il bisogno di
stare meglio con gli altri come motivo per iniziare a bere, si posizionano vicino a coloro
che iniziano a bere in compagnia di amici, in un bar/pub, confermando la coerenza
dell’interpretazione fino a qui proposta.
GRAFICO ACM
VARIABILI ATTIVE
ANALISI DELLE CORRISPONDENZE MULTIPLE:
stato d’animo
proiezioni delle variabili attive sul primo piano fattoriale
contesto ambientale e relazionale
LEGENDA -Variabili attiveCodice
variabile
Domanda
Modalità
Risposta
C6
Con chi ti trovavi quando hai cominciato ad abusare di
bevande alcoliche?
1
2
3
5
Solo
Partner
Amici
Familiari
C7
Dove ti trovavi quando hai cominciato ad abusare di
bevande alcoliche?
1
2
3
4
5
In strada
In un bar/pub
A casa mia
A casa di un amico
In discoteca
C8
In quale stato d’animo ti trovavi quando hai cominciato a
bere?
1
3
4
7
Stress
Felicità
Euforia
Solitudine
2
3
4
Mi sentivo incompreso
Cercavo un momento creativo
Cercavo di affrontare una situazione
complicata
Cercavo di stare meglio con gli altri
C9
Perché hai bevuto in modo smisurato?
5
9.4 Proiezione delle variabili illustrative
Un quadro interessante viene offerto dall’analisi delle variabili illustrative che
descrivono la struttura del campione, proiettato sul piano fattoriale appena descritto.
Le variabili scelte sono 5 (sesso, stato civile, titolo di studio, condizione
professionale ed area geografica) per un totale di 29 modalità associate.
Rispetto al primo fattore, quello relativo al contesto relazionale ed ambientale, si
trovano in contrapposizione le donne e gli uomini; le prime si collocano sul semiasse
negativo (C39=1), quello caratterizzato dagli alcolisti che iniziano a bere da soli e a casa
propria, mentre gli uomini si posizionano lungo il semiasse positivo caratterizzato dagli
alcolisti che iniziano a bere in compagnia di amici, al bar/pub o al ristorante (C39=2). Il
valore test di tali modalità (pari rispettivamente a –6,3 e 6,3) indica una buona
rappresentatività delle stesse.
Coerentemente a tale suddivisione, nel III e IV quadrante (semiasse negativo del
primo fattore), si trovano le casalinghe (C43=6), le persone in cerca di prima
occupazione (C43=2) o in cerca di nuova occupazione (C43=4) ed i pensionati/e
(C43=7); sono questi gli individui infatti che non avendo impegni lavorativi che
spingono ad uscire dai propri ambienti e ad avere rapporti con altre persone, iniziano ad
abusare di alcool a casa propria e da soli, in condizione di solitudine, motivati dal
“sentirsi incompresi” (C9=2) e dal “sentirsi poco amati” (C9=1). Inoltre si posizionano
in questi quadranti i separati (C41=2), i vedovi/e (C41=6) e i divorziati/e (C41=4),
confermando la situazione di solitudine in cui si trovano queste unità. Diametralmente
opposti si posizionano gli studenti (C43=8) o le persone in servizio di leva (C43=5) che
iniziano a bere in compagnia di amici e in luoghi pubblici e che si trovano in uno stato
d’animo di euforia o di felicità. (C8=3).
La variabile relativa al titolo di studio risulta rappresentativa solo per la laurea
(C42=1) e si posiziona vicino alle donne divorziate in cerca di nuova occupazione.
Infine, per quanto concerne l’area geografica (C56) non sui evidenziano
particolari tendenze legate alla zona di appartenenza in quanto nord , centro, sud ed
isole si collocano piuttosto vicine tra loro ed intorno all’origine.
LEGENDA-Variabili illustrative Codice
Variabile
Domanda
Modalità
Risposta
Sesso
1
2
Donne
Uomini
C41
Stato civile
1
2
3
4
5
6
Celibe/nubile
Separato/a
Coniugato/a
Divorziato/a
Convivente
Vedovo/a
C42
Titolo di studio
1
2
3
4
Laurea
Licenza media superiore
Licenza media inferiore
Licenza elementare
C43
Condizione professionale
2
3
4
5
6
7
8
9
Lavoratore precario
In cerca di prima occupazione
Occupato/a
In cerca di nuova occupazione
In servizio di leva
casalinga
Pensionato
Studente
C56
Area geografica
1
2
3
Nord
Centro
Sud e isole
C39
GRAFICO ACM
VAR ILLUSTRATIVE
stato d’animo
Proiezione delle variabili illustrative sul primo piano fattoriale
contesto ambientale e relazionale
9.5 Proiezione degli individui
Infine, per completezza, riportiamo la proiezione degli individui sul primo piano
fattoriale formato dall’intersezione del I e del II asse. Come dimostra il seguente
grafico, non troviamo una risposta prevalente intorno alla media, ma i 270 individui
intervistati che costituiscono il nostro campione sono ben distribuiti lungo i due assi
considerati. Tale aspetto verrà approfondito in seguito attraverso la cluster analysis che
ha l’obiettivo di raggruppare gli individui presenti nel campione in classi il più possibile
omogenee al loro interno ed il più possibile eterogenee tra loro.
PROIEZIONE DEGLI INDIVIDUI SUL PRIMO PIANO FATTORIALE
Stato
d’animo
contesto ambientale e relazionale
9.6 Classificazione dei soggetti
In questa seconda parte dell’analisi l’obiettivo è quello di individuare dei
raggruppamenti nel campione dei soggetti intervistati; in altri termini è un problema di
classificazione degli individui che risulta significativa rispetto agli assi fattoriali
interpretati con l’analisi delle corrispondenze multiple. Attraverso l’ACM abbiamo
ridotto il complesso spazio delle variabili a pochi fattori principali che sono in grado di
spiegare molta della variabilità della matrice dei dati. Nella cluster analysis lo scopo è
quello di ridurre lo spazio degli individui a pochi raggruppamenti, all’interno dei quali
gli individui siano il più possibile omogenei tra loro rispetto alle risposte fornite al
questionario e, naturalmente, all’omogeneità interna di questi raggruppamenti deve
possibilmente corrispondere la massima eterogeneità tra i raggruppamenti stessi. Poiché
attraverso l’ACM abbiamo interpretato i primi due assi fattoriali, che spiegano gran
parte della varianza totale, abbiamo effettuato la procedura di classificazione lavorando
su questi assi.
9.7 I risultati della cluster analysis
La procedura di classificazione ha portato alla individuazione di 50 classi,
rappresentate da un dendogramma che ricostruisce l’intero albero della classificazione.
In un successivo approfondimento di analisi si è valutata la bontà della classificazione
in corrispondenza di diversi “tagli” lungo la struttura dell’albero. In altri termini, per
decidere il numero delle classi sulle quali bloccare la classificazione, sono state
esaminate le rispettive scomposizioni dell’inerzia totale. Un notevole contributo alla
scelta del numero ottimale di classi in cui scomporre il campione è dato dalla
descrizione dei primi 50 nodi del raggruppamento gerarchico; il grafico va letto dal
basso verso l’alto, nel senso che gli istogrammi più lunghi indicano la bontà della
partizione in una classe, in due classi, e così via.
CLASSIFICATZIONE GERARCHICA (METODO DEI VICINI RECIPROCI) SUI PRIMI DUE ASSI FATTORIALI: DESCRIZIONE DEI
PRIMI 50 NODI PIU’ ELEVATI
NUM. AINE BENJ EFF. POIDS INDICE HISTOGRAMME DES INDICES DE NIVEAU
490 464 112
3
3.00 0.00034 *
491 471 372
7
7.00 0.00034 *
492 453 456
6
6.00 0.00036 *
493 472 406
6
6.00 0.00038 *
494 145 482
3
3.00 0.00038 *
495 462 473
7
7.00 0.00041 *
496 403 282
9
9.00 0.00043 *
497 424 469
8
8.00 0.00045 *
498 361 400 30
30.00 0.00046 *
499 461 465
8
8.00 0.00048 *
500 476 429 14
14.00 0.00051 *
501 489 417 13
13.00 0.00051 *
502 434 447
8
8.00 0.00053 *
503 437 460 11
11.00 0.00056 *
504 478 401
9
9.00 0.00058 *
505 496 466 16
16.00 0.00061 *
506 111 477
3
3.00 0.00061 *
507 485 443 10
10.00 0.00063 *
508 492 449 10
10.00 0.00066 *
509 292 493
9
9.00 0.00068 *
510 446 474 21
21.00 0.00073 *
511 480 444 13
13.00 0.00074 *
512 497 455 11
11.00 0.00106 *
513 484 459 13
13.00 0.00143 *
514 500 452 18
18.00 0.00164 *
515 503 499 19
19.00 0.00178 *
516 494 481
7
7.00 0.00214 *
517 491 470 12
12.00 0.00220 *
518 487 495 16
16.00 0.00263 *
519 506 517 15
15.00 0.00278 *
520 504 502 17
17.00 0.00298 *
521 510 483 29
29.00 0.00310 *
522 486 514 32
32.00 0.00382 *
523 490 507 13
13.00 0.00435 *
524 516 488 14
14.00 0.00437 *
525 513 512 24
24.00 0.00554 **
526 519 511 28
28.00 0.00573 **
527 518 508 26
26.00 0.00728 **
528 501 505 29
29.00 0.00739 **
529 523 509 22
22.00 0.00890 **
530 498 522 62
62.00 0.00895 **
531 521 515 48
48.00 0.01088 ***
532 528 525 53
53.00 0.01570 ****
533 524 520 31
31.00 0.01679 ****
534 530 531 110 110.00 0.02694 ******
535 526 533 59
59.00 0.03071 *******
536 527 529 48
48.00 0.03389 ********
537 536 532 101 101.00 0.10594 ************************
538 534 535 169 169.00 0.19779 ********************************************
539 538 537 270 270.00 0.36364 *********************************************************************************
SOMME DES INDICES DE NIVEAU = 0.89955
Come risulta evidente dalla lettura degli istogrammi, l’incremento di
informazione che si otterrebbe passando da una partizione a 3 classi ad una a 4 è tale da
non consigliare un ulteriore suddivisione del campione. Tuttavia un altro “scalino” si
presenta alla 5a classe. La scelta è caduta su una partizione a 3 classi per la quale si è
ottenuto il rapporto ottimale tra inerzia “tra i gruppi” (between) e inerzia “entro i
gruppi” (within) con un quoziente pari a 0,6696.
CLASSIFICAZIONE IN 3 GRUPPI
FORMAZIONE DELLE CLASSI (INDIVIDUI ATTIVI)
DESCRIZIONE SOMMARIA
CLASSE
aa1a
aa2a
aa3a
SOGGETTI
101
59
110|
PUNTI
101.00
59.00
110.00
DECOMPOSIZIONE DELL’INERZIA CALCOLATA SUI DUE ASSI
INERTIES
EFFECTIFS
INERTIES
AVANT APRES
AVANT APRES
INTER-CLASSES
0.5614 0.6023
CONTENUTI
1 A 22
23 A 37
38 A 50|
POIDS
AVANT APRES
DISTANCES
AVANT APRES
INTRA-CLASSE
CLASSE 1 / 3
CLASSE 2 / 3
CLASSE 3 / 3|
0.2027 0.1181
0.0736 0.0740
0.0618 0.1051
101
59
110
80
61
129
101.00 80.00
59.00 61.00
110.00 129.00
0.6085 0.9103
0.6292 0.6293
0.4819 0.3986
TOTALE
0.8995 0.8995
QUOTIENT (INERTIE INTER / INERTIE TOTALE) : AVANT ... 0.6241
APRES ... 0.6696
COORDINATE E VALORI TEST SUI DUE ASSI
CLASSES
VALEURS-TEST
COORDONNEES
IDEN - LIBELLE
EFF. P.ABS
COUPURE ‘a’ DE L’ARBRE EN 3 CLASSES
1
aa1a - CLASSE 1 / 3
aa2a - CLASSE 2 / 3
aa3a - CLASSE 3 / 3
-13.3
4.3
-0.4 -11.9
12.5
6.0
80 80.00
61 61.00
129 129.00
2
1
-0.92
-0.03
0.59
2
0.24
-0.79
0.23
DISTO.
0.91
0.63
0.40 |
Una volta effettuata la descrizione dei 3 gruppi, proiettiamo i centri delle classi
sul primo piano fattoriale interpretato precedentemente nell’ACM.
Dalla posizione dei centri delle tre classi considerate rispetto al primo piano
fattoriale dell’ACM e dai valori test indicanti la bontà della posizione dei punti rispetto
ai quattro assi, abbiamo potuto attribuire un significato ad ogni singola classe.
La prima classe, collocata sulla parte estrema negativa del primo fattore e sulla
parte estrema positiva della seconda dimensione, rappresenta il 29,63% del campione
essendo composta da 101 individui. Tale classe risulta molto più rappresentativa sul
primo fattore rispetto al secondo, evidenziando valori test pari rispettivamente a –13,3 e
4,3.
GRAFICO CLUSTER
stato d’animo
CLUSTER ANALISYS: proiezione dei centri delle classi sul primo piano fattoriale
contesto ambientale e relazionale
Essa è composta dalle donne casalinghe, sole (separate, vedove o divorziate),
depresse, che hanno iniziato a bere a casa propria perché si sentivano “incomprese”.
Tali caratteristiche sono riscontrabili sia dai risultati della cluster analysis1 , sia dalla
posizione del centro della classe rispetto al piano ottenuto con l’analisi delle
corrispondenze. Si può pensare quindi di identificare tale gruppo con l’etichetta “le
deluse” che serve a simbolizzarlo e a sintetizzare un giudizio complessivo.
Alla seconda classe appartengono 59 individui (il 22,6% del totale); la sua
posizione e il valore test indicano che il gruppo è rappresentato meglio dal secondo
fattore; infatti rispetto al primo si trovano in una situazione media (intorno all’origine),
mentre rispetto al secondo, che indica lo stato d’animo, si colloca sull’estremo negativo
del semiasse con un valore test pari a –11,9. Questo “polo” rappresenta uno stato
d’animo di felicità; infatti, gli individui che appartengono a tale gruppo sono i maschi e
le femmine che cominciano a bere a casa di un amico, in compagnia di colleghi o
familiari, con la motivazione di trovare un momento creativo e di risolvere una
situazione complicata. Si è pensato di nominare tale gruppo con l’etichetta “gli
insicuri”.
Infine la terza classe risulta la più significativa comprendendo 110 individui,
ossia il 47, 8% del campione. Essa si posiziona agli estremi positivi di entrambi i fattori
considerati e presenta valori test rappresentativi sia sulla prima che sulla seconda
dimensione (rispettivamente 12,5 e 6,0). Infatti appartengono a questa classe i maschi
che hanno iniziato a bere in compagnia di amici, in un bar/pub o in un ristorante, in
condizioni di euforia, motivati dalla ricerca di un miglior rapporto con gli altri. Tali
caratteristiche sono riassumibili nell’etichetta “gli immaturi ”. Inoltre la vicinanza del
centro della classe con le modalità “studenti” (C43=8) e “ in servizio di leva” (C43=5)
fa supporre che si tratta di persone in una fascia d’età molto giovane.
Possiamo concludere quindi che il fenomeno dell’alcolismo colpisce tutte le
persone indipendentemente dall’età, dal sesso o dalla professione; quello che cambia
può essere l’approccio all’abuso di bevande alcoliche. Per i giovani avviene in
compagnia di amici e in luoghi pubblici come momento di divertimento e
spensieratezza e viene visto come un modo per risolvere i problemi con gli altri. Anche
le donne casalinghe, separate o vedove (quindi si suppone in età superiore ai 30 anni), si
rifugiano nell’alcool per affrontare la loro condizione di solitudine e insoddisfazione;
queste non bevono in compagnia di amici o familiari, ma preferiscono rimanere chiuse
nel proprio ambiente. Infine troviamo un gruppo di persone che si collocano in una
posizione intermedia rispetto alle precedenti: non più adolescenti, non in una situazione
di solitudine, si rifugiano nell’alcool per risolvere i propri problemi.
Questa situazione sembra confermare le aspettative di molti: non bisogna
sottovalutare il problema dell’alcolismo in quanto è sempre presente all’interno della
nostra società, in varie forme e a tutti i livelli, e non deve passare in secondo piano
rispetto ad altre situazioni che si presentano più evidenti (come il consumo di droghe);
tuttavia bisogna tener presente che i risultati di questa ricerca sono legati ad un’indagine
condotta su persone che rendendosi conto del loro problema hanno deciso di ricorrere
1
Riportati in Appendice in fondo al capitolo .
ad un aiuto esterno; segnale questo della presa di coscienza del disagio sia da parte dei
singoli che da parte dell’intera società.
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Indagine EURISPES - Società Italiana di Alcologia