Il cattolicesimo in Francia nel primo 900 Si attenua l’anticlericalismo aggressivo di fine 800 A questo contribuisce il patriottismo dimostrato dalla chiesa e dal clero francese nella prima guerra mondiale: più dai preti combattenti che dagli infermieri, più da questi che dai cappellani ufficiali. L’essersi impantanati nello stesso fango, l’aver vissuto la stessa vita, l’aver conosciuto gli stessi pericoli, le stesse paure, rivelano i preti al popolo e il popolo ai preti. L’esperienza dei campi di lavoro L’esperienza dei campi di lavoro Fin dall’inizio dell’occupazione, le autorità tedesche reclutano giovani per il lavoro in Germania, sia volontari sia per “servizio obbligatorio del lavoro”. Poiché viene negato il permesso per l’invio di cappellani regolari, si costituisce un servizio clandestino di assistenza religiosa: 25 preti vengono mandati sotto l’autorità del padre G. Rodhain, e un’altra decina li raggiunge poi. La maggior parte vengono scoperti e inviati in campi di concentramento. Il libro di padre H. Perrin, Journal d’un prêtre ouvrier en Allemagne, e le lettere di padre V. Dillard, morto a Dachau, informano sulla loro esperienza: la scoperta del lavoro proletario, le sue sofferenze e le sue fierezze, e soprattutto la fraternità quotidiana tra operai aggiogati agli stessi compiti. Cappellani della Jeunesse Ouvrière Catholique (JOC), Godin e Daniel riconoscono l’insuccesso della JOC. Il movimento ha conosciuto un’ascesa brillante. Nel 1937, celebrando a Parigi il suo X anniversario, ha impressionato l’opinione pubblica per il contegno, lo slancio, il fervore delle masse mobilitate. Ma nel 1942, il XVII arrondissement di Parigi conta solo 4 sezioni della JOC e meno di 100 aderenti, di cui 30 militanti, mentre l’arrondissement conta 30.000 giovani lavoratori e 230.000 cosiddetti “pagani”. Nel 1943 Henri Godin e Yves Daniel consegnano al cardinale Emmanuel Suhard, arcivescovo di Parigi, un “rapporto sulla conquista cristiana degli ambienti proletari”, destinato a un grandissimo successo editoriale sotto il titolo: France, pays de mission? Emmanuel Suhard 1874-1949 Essor ou déclin de l'Église (1947) Le sens de Dieu (1948) Le prête dans la cité (1949) Emmanuel Suhard Nato nel 1874, termina gli studi filosofici e teologici a Roma, all’Università Gregoriana, sotto la guida del gesuita Billot. Tornato in diocesi, segue da vicino la formazione dei sacerdoti. Nel 1928 è eletto vescovo di Bayeux e Lisieux: vi rimase soltanto due anni. Qui scopre il mondo operaio e approfondisce la conoscenza di Teresa di Lisieux della quale lo impressiona l’esperienza della “notte della fede”, prova analoga a quella patita dai credenti che nelle masse scristianizzate. Nominato vescovo di Reims nel 1930, entra in contatto con popolazioni rurali e comprende non è soltanto il mondo operaio a ignorare Cristo! Prendono forma alcune linee di un nuovo progetto missionario volto a favorire l’azione cattolica e a creare équipes pastorali. Nel 1935 è creato cardinale. Nel 1940 è eletto arcivescovo di Parigi: vi rimarrà fino alla morte, nel 1949. In questi nove anni conduce un’intensa azione apostolica: organizza cappellani per i prigionieri di guerra; fonda la “Mission de France”, il cui seminario si apre a Lisieux nel 1942, sotto la direzione di L. Augros; a seguito della lettura del libro di Godin-Daniel, nel 1944 crea la ‘Mission de Paris’ nel 1944, da cui nasce l’esperienza dei preti-operai. “Abbattere il muro che divide la Chiesa dalle masse” “Abbattere il muro che divide la Chiesa dalle masse” 1. Chiara consapevolezza della scristianizzazione in atto: “Una massa immensa ha perso non soltanto il contatto con Dio, ma anche il suo ricordo”; un grande numero di battezzati vivono da atei, “la loro vita non differisce da quella dei non credenti che li circondano”; “quello che conosciamo non è un mondo apostata, ma pagano”. La Chiesa si trova di fronte a un mondo nuovo e deve accettare la sfida. 2) Conseguenze: “Ieri i missionari uscivano dalla cristianità per andare a predicare nelle nazioni infedeli. Oggi le due città non sono più esterne ma interne l’una all’altra e strettamente connesse”. L’incontro tra Chiesa e mondo pagano deve procedere in collaborazione: “Il mondo pagano ha bisogno della Chiesa per la sua vita, la Chiesa ha bisogno del mondo per la sua fede e il suo compimento... Converrà integrare in una prospettiva di fede i valori umani autentici e buoni”. L’apostolo non è esonerato dalle prove di ogni cristiano, quelle che toccano la fede; corre il rischio di fermarsi ai valori umani e di dimenticare il loro autore. 3) I mezzi spirituali della missione: “Bisogna pregare prima di pensare; bisogna pensare prima di agire”. Una vita apostolica sull’esempio di san Paolo, ma intrisa della spiritualità di Teresa di Lisieux. “Mission de France” e “Mission de Paris” “Mission de France” e “Mission de Paris” Nel settembre 1943 padre Augros apre a Lisieux il “Séminaire de la Mission de France”, dopo una diligente inchiesta dei vescovi. Il Seminario non si propone ancora di preparare preti-operai, ma di dare una conveniente formazione, più concreta, più diretta, con periodi di tirocinio in fabbrica, allo scopo di preparare i futuri membri della “missione operaia”. Nel 1953, quando il Seminario (trasferito a Limoges) verrà chiuso, la Missione conterà 350 preti. Il 1° luglio 1943 don H. Godin fonda la “Mission di Paris”, con la benedizione del cardinal Suhard, in conformità ai disegni esposti nel suo rapporto. Nell’ottobre seguente viene costituita la comunità missionaria sotto la direzione di padre Hollande. Nell’aprile 1952, la Missione di Parigi conta 25 preti, dei quali 18 operai. Aggiungendo i religiosi incaricati dai loro superiori, i preti operai nella regione parigina sono una trentina. Per un umanesimo secondo il disegno divino Per un umanesimo secondo il disegno divino Osservando i 5 milioni di abitanti di Parigi e della sua periferia, che allora formano un unico diocesi, il cardinal Suhard a un’acuta lucidità unisce una grande sensibilità che gli consente di percepire l’ampiezza della secolarizzazione in atto. Rifiutando di restare confinato nella nostalgia di un’età dell’oro che non c’è più, spinge la Chiesa in questo nuovo mondo: «Non abbiate paura, non abbiate paura di diessere meno cristiani essendo più uomini», scrive nella Lettera pastorale Essor ou déclin de l’Église? Indicando i tratti di una nuova spiritualità cattolica: «a misura della terra», un «umanesimo a misura del disegno divino». «Sarà l’onore della nostra generazione aver compreso che la nuova condizione dell’umanità esigeva nuove condizioni apostoliche; converrà integrare in una prospettiva religiosa i valori umani autentici e genuini». Anticipando l’ “aggiornamento” dottrinale del Concilio Vaticano II, il card. Suhard ha compreso che il futuro della Chiesa in mezzo alle masse dipende per gran parte dalla sua audacia e libertà di spirito. Jacques Loew, 1908-1999 Dall’inverno 1941-42 padre Loew, domenicano, lavora con gli scaricatori di Marsiglia per uno studio sociologico e scopre subito la loro esistenza concreta: lavoro duro, talvolta pericoloso, sempre incerto; le navi non devono aspettare, per questo i docks hanno sempre personale in soprannumero. Tuttavia l’inferno, per gli scaricatori, non è il loro posto di lavoro, ma la loro catapecchia, nella miseria e nella sporcizia. Si tratta allora non solo di lavorare con loro, ma di stabilirsi fra loro, come aveva fatto Charles de Foucauld tra i Tuareg, per familiarizzarsi con loro. René Voillaume (1905-2003) e i “piccoli In quegli anni René Voillaume, costituisce la “fraternità del Cuore di Gesù”, comunità di testimonianza in ambienti non cristiani: preghiera e contemplazione, povertà, assimilazione con l’ambiente in cui ci si stabilisce. Riuniscono insieme preti e fratelli: il lavoro non è escluso. La prima viene costituita nel 1933. Agli inizi del 1954 si contano 27 comunità, con 200 “piccoli fratelli”, dispersi in Francia, in Africa del Nord, nell’Africa nera, in America latina, con una custodia al Santo Sacramento a Tamanrasset, presso la tomba di padre Charles de Foucauld. Dai preti-operai agli operai-preti Godin non ha previsto i preti-operai, ma l’assimilazione all’ambiente proletario. Ben presto alcuni preti chiedono di lavorare in fabbrica “per sborghesirsi”; il loro esempio si diffonde. Si tratta di “testimoniare”, ma anche di spogliarsi di sé, di abbandonare gli schemi dell’educazione borghese e clericale, di farsi un’anima proletaria per “essere naturalizzati come membri di questo nuovo mondo”. Da preti-operai si diventa a poco a poco operai-preti. Il cardinal Suhard sottolinea la necessità del breviario, della preghiera, della vita interiore, della “costante obbedienza alla gerarchia”. Intanto i gruppi si propagano: a Lione, Saint-Étienne, Limoges, Monceaules-Mines, Bordeaux, Tolosa, ecc. Il canonico Hollande fa quanto può per assicurare la selezione, almeno di quelli che dipenderanno da lui; elimina “quelli che si fanno avanti per il piacere della novità, gli instabili e gli arruffoni”. Ma ci sono anche i clandestini, coloro che arrivano a Parigi con regolare “celebret” e vedono nella Missione un’evasione dai ministeri abitudinari, una maniera per sottrarsi a un vescovo con cui non vanno d’accordo. Quando scoppierà la crisi ci saranno “alcuni santi, alcuni ingenui, parecchi eccitati”. Da preti operai e militanti sindacali Da preti operai e militanti sindacali Cresce la convinzione che non si è del tutto operai se non si aderisce al sindacato. Per la maggioranza è la Confederazione Generale del Lavoro, sotto influenza comunista. All’interno di queste organizzazioni si moltiplicano i contatti non solo con i dirigenti sindacali ma anche con i militanti del partito comunista. Spesso il partito comunista conferisce responsabilità ai preti-operai più dinamici: essi diventano così segretari di sindacato o di federazione, delegati del personale, guidano scioperi. Il mutamento è compiuto: il prete-operaio è diventato militante sindacale. Alla redenzione attraverso il Cristo si sostituisce un ideale profano di liberazione del proletariato; la comunità proletaria prende il posto della Chiesa. Non si deve tuttavia generalizzare: non tutti i preti-operai si spingono fino a questa posizione. La crisi La crisi Il 20 giugno 1951 il Sant’Ufficio proibisce l’ammissione di nuovi pretioperai e chiede un regolamento che assicuri la vita religiosa e disciplinare. Nel novembre 1951 l’assemblea dei cardinali e arcivescovi francesi affida a mons. Ancel la stesura di un progetto di regolamento per i preti-operai. L’11 marzo 1952 la stessa assemblea elabora istruzioni, valide per tutti i preti-operai. Il 16 novembre 1953 Le Monde pubblica una lettera del card. Pizzardo che proibisce ai seminaristi i tirocini in fabbrica; il 6 settembre si viene a sapere che, in attesa di nuove istruzioni, il seminario di Limoges è stato chiuso. Il 23 settembre, mons. Marella, succeduto a Roncalli alla Nunziatura di Parigi, riunisce 23 vescovi e superiori religiosi che hanno preti-operai sotto la loro giurisdizione: l’esperimento va interrotto; l’apostolato operaio continuerà ma sotto altre forme. Il card. Saliège di Tolosa, durante i ritiri pastorali, il card. Feltin di Parigi mettono in guardia sui possibili errori: sul concetto di apostolato e di missione, di Chiesa, di vocazione e di obbedienza. L’intervento delle autorità vaticane Nel 1951 una lettera di mons. Ottaviani a mons. Ancel, comunicata ai preti-operai dal card. Feltin, insiste sul tempo che deve essere consacrato alla preghiera, sulle virtù sacerdotali che non devono essere perdute, sull’apostolato ordinario nelle parrocchie operaie. Dal luglio 1959 mons. Ancel, grande sostenitore dei preti-operai, avverte: “Chi collabora abitualmente con i comunisti finisce progressivamente col pensare da marxista e si orienta, senza volerlo, senza nemmeno averne coscienza, verso il materialismo ateo”. È ciò che sta accadendo. I preti-operai si impegnanoi nella lotta politica: per la pace, contro la bomba atomica e l’esercito americano in Europa. Nel 1949 e nel 1950 i preti-operai diffondono un opuscolo: Cristiani contro la bomba atomica; nel 1951 aderiscono e si muovono per “l’appello per il patto di pace”. Nel 1952 organizzano a Parigi manifestazioni comuniste contro l’arrivo del generale nordamericano M. B. Ridgway; i padri Bouyer e Cagne sono arrestati, bastonati dalla polizia. Il libro di G. Cesbron, Les saints vont en enfer, che romanza molto la realtà, crea la leggenda dei preti-operai. La fine dell’esperienza dei preti operai La fine dell’esperienza dei preti operai Il 3 novembre 1953 i cardinali Feltin, Gerlier e Liénart partono per Roma, portando con sé il “documento verde”, in cui i preti-operai giustificano il proprio atteggiamento. Al loro rientro in Francia, pubblicano la dichiarazione finale: l’esperimento non può essere continuato in quella forma. Perché si continui, la Chiesa chiede: 1) che i preti siano scelti uno ad uno dai loro vescovi; 2) che ricevano una adeguata formazione, intellettuale e spirituale; 3) che la durata del lavoro sia limitata; 4) che i preti-operai non accettino responsabilità sindacali né incarichi temporali; 5) che vivano in comunità e partecipino all’attività parrocchiale. Si viene a sapere che i gesuiti-operai vengono ritirati, seguiti a breve da altri religiosi. In un comunicato dei Vescovi francesi si dice che, per evitare confusioni, la dizione di “preti-operai” va sostituita con quella di “preti della Missione di Francia”. Valutazione dell’esperienza Valutazione dell’esperienza dei preti-operai Il movimento dei preti-operai è stato uno dei tentativi per stabilire il contatto che la Chiesa cerca in tutti i campi con il mondo moderno, per “svegliare” i non credenti. Nella sua idealità, la loro missione è apprezzabile; nella pratica è stata un insuccesso, soprattutto a motivo delle terribili pressioni economiche, politiche, culturali del mondo di allora. Nondimeno, va loro riconosciuto un merito indubbio: hanno mostrato ai nostri contemporanei scettici, prendendo strade solitarie e difficili, che la Chiesa rimane viva. Madeleine Delbrêl (1904-1964) Madeleine Delbrêl (1904-1964) Madeleine nasce nel 1904 a Mussidan, nella Francia centro–occidentale, in una famiglia borghese e poco praticante. È figlia unica. Suo padre, impiegato nelle ferrovie, si trasferisce spesso da una città all’altra; perciò Madeleine non può seguire un corso di studi regolare. Dopo la fanciullezza, abbandona la pratica religiosa tanto che nel 1919 dichiara di essere completamente atea. A 17 anni scrive: «Dio è morto… Viva la morte». Si prefigge l’obiettivo di «smascherare l’assurdo», la fede consolatrice. Nessuna sapienza umana è in grado di soddisfare i suoi tragici, “perché”, sul dolore, sulla malattia, sulla guerra, sulla vecchiaia, sulla morte. In lei convivono lucida disperazione e amore della vita. A 18 anni s’innamora di Jean, un giovane serio, pieno di interessi, intellettualmente e politicamente impegnato, dotato di una profonda vita spirituale. Poi, d’improvviso egli decide di farsi frate domenicano. L’anticlericalismo di Madeleine si riaccende violento. Intanto soffre anche per ragioni familiari: suo padre diventa cieco e si separa dalla moglie. La conversione Nel 1924, a 20 anni, la conversione, anche grazie all’incontro con un grande prete, l’abbé Jacques Lorenzo. Sarà lui a riavvicinarla al mistero di Gesù e a trasmettergli la passione per il Vangelo e il gusto per la preghiera. Madeleine racconta: «Triste, angosciata, inquieta... decisi di pregare... Non potevo più lasciare Dio nell’assurdo». «A vent’anni fui letteralmente abbagliata da Dio; ciò che avevo trovato in Lui non l’avevo trovato in nient’altro». «È padre Lorenzo che, per me, ha fatto esplodere il Vangelo… Esso è diventato non soltanto il libro del Signore vivente, ma il libro del Signore da vivere». Insieme c’è la scoperta che Dio non nega la vita: danza, poesia, musica, letteratura, teatro, filosofia. Pensa a una vita nel Carmelo, ma vi rinuncia per poter assistere i genitori malati. Decide che il mondo sarà il suo “Carmelo”. Prega molto, cerca di vivere il Vangelo. Con una ventina di ragazze scout forma un gruppo detto «Carità». Il suo obiettivo è «calare i consigli evangelici nella vita laica, votarsi cioè alle beatitudini in un dono totale di sé, non per vivere tagliata fuori dal mondo, ma nel mondo». La testimonianza cristiana in un mondo ateo La testimonianza cristiana in un mondo ateo Per Madeleine occorre pensare alla missione cristiana con più elasticità rispetto alle forme e alle istituzioni ecclesiali del tempo. Si devono immaginare nuove modalità di vita comunitaria e religiosa. Anticipa di vari anni la creazione degli «istituti secolari» e forme di vita comune tra cristiani laici. Sceglie un lavoro che le consenta di mantenersi a stretto contatto con i poveri: diventa assistente sociale. Nel 1933, pur restando laica, si consacra e va a vivere con un piccolo gruppo di amiche a Ivry-sur-Seine, “capitale marxista”, cittadina di operai alla periferia sud di Parigi, dove sugli edifici pubblici non c’è il tricolore, ma la bandiera rossa. Lì si confronta con un marxismo trionfante. Sceglie di vestire abiti comuni, senza assumere una “divisa”; decide di lasciare la casa offerta dalla parrocchia per affittare un appartamento nel cuore del quartiere operaio, al n. 11 di Rue Raspail. Scopre che i cristiani sono rassegnati all’ingiustizia e che molti dei proprietari delle 310 fabbriche della città sono cattolici che versano somme ingenti per la costruzione di due nuove chiese, ma ignorano la miseria dei 43.000 operai delle loro fabbriche. Missionari senza battello, in tailleur Missionari senza battello, in tailleur «Noi siamo veramente laiche, non abbiamo altri voti se non le promesse del nostro battesimo. Siamo un gruppo di donne laiche, anche se ciascuna di noi si è donata interamente a Cristo per tentare di vivere e di stare in mezzo a coloro che non lo conoscono». Nel 1943 pubblica un altro testo fondamentale, Missionari senza battello, una lunga meditazione sulla vita missionaria del cristiano ordinario. Dopo aver confrontato la situazione del missionario vestito di bianco che, nel deserto geografico, “dalla sua duna di sabbia vede la distesa delle terre non battezzate” con quella di chi, missionario “in tailleur o in impermeabile”, si muove tra quella folla cittadina in cui così pochi pregano, Madeleine afferma che “sì, noi abbiamo i nostri deserti... e lì ci conduce l’amore”. Il compito del “missionario senza battello” è di essere nel mondo per fermentarlo dall’interno, per costituire il tramite vivo attraverso il quale l’amore di Dio può raggiungere ogni uomo, in gesti semplici e quotidiani. Se si vuol essere lo strumento mediante il quale Dio e il suo amore entrano nel mondo, è necessario essere assolutamente docili alla sua azione, trasparenti, non bisogna porre alcun ostacolo a questo passaggio di grazia. L’ineluttabile solitudine del credente «La caratteristica di una comunità missionaria deve essere quella di formare dei cristiani […] a vivere soli la fede dove si è soli a crederla. Nulla è più facile che il trasformare in comunità una comune fuga, davanti alla solitudine apostolica incontrata da ognuno di noi. Non esiste casa solida senza fondazioni, ma prima di porre le pietre bisogna scavare la terra. Una solitudine non sopportata con tristezza, ma accettata come la necessaria premessa di un’azione di Dio negli uomini, deve essere guardata in faccia fin dal primo incontro in una vita apostolica per tutto quello che contiene di crudele per noi e di necessario per il nostro compito […]. La solitudine è la condizione quasi quotidiana e tale solitudine è una folla» (La solitudine apostolica, in Comunità secondo il Vangelo). «Noi non stiamo insieme per legami di carne o di sangue; né per una professione comune; e neppure perché abbiamo una medesima origine sociale, né per il bene di una classe o di una razza, né in nome di una precedente amicizia, e neppure entro i limiti di un’età. Ne deriva che non possiamo contare su quanto, alla nostra vita in comune, contribuirebbero: gli affetti familiari, la somiglianza di educazione, la simpatia dei temperamenti, le comprensioni affettive, l’aver vissuto gli stessi avvenimenti. Come base e nerbo della nostra vita comune, noi non possiamo contare che sulla carità fraterna» (Vita di gruppo e carità fraterna, in Comunità secondo il Vangelo). “Compagna” degli operai senza essere marxista «Compagna» degli operai senza essere marxista «Dio non ha mai detto: “Dovete amare il vostro prossimo come dei fratelli, eccetto i comunisti che invece dovete odiare”» Lotta a fianco dei comunisti in favore dei poveri e della giustizia, senza però confondere l’emancipazione del proletariato con l’ideale evangelico. Nel 1953 afferma: «Attenzione! Attenzione a non lasciarsi conquistare dai marxisti: essi praticano certamente qualcosa del Vangelo, ma vivono consapevolmente senza Dio, e questo rifiuto di Dio è una mutilazione dell’essere umano. Un cristiano missionario non può accettare questa mutilazione». «Quando padre Lorenzo parlava del Cristo, il più delle volte diceva: il Signore Gesù. Il Vangelo era il Signore Gesù che si faceva conoscere; il Vangelo era il Signore Gesù che potevamo amare con tutta la passione terrena e insieme con tutta la carità del cielo». «Il Vangelo va letto come si mangia il pane. Non si può incontrare Gesù per conoscerlo, amarlo, imitarlo, senza un ricorso continuo, concreto e ostinato al Vangelo». Il mondo è possibile luogo di santità Il mondo è possibile luogo di santità «C’è gente che Dio prende e mette da parte. Ce ne sono altre che egli lascia nella massa, che non “ritira dal mondo”... Noi, gente delle strade, crediamo con tutte le nostre forze che questa strada, che questo mondo dove Dio ci ha messi sia per noi il luogo della nostra santità. Noi crediamo che non ci manchi niente di necessario, perché se questo necessario mancasse, Dio ce lo avrebbe già dato» (Da Noi delle strade) «Se il rumore, la mancanza di spazio che lo aggrava in un caseggiato, come aggrava il rumore già di per sé intenso delle macchine in certe fabbriche, impedisce il silenzio, e se certo silenzio è necessario per capire e vivere il Vangelo di Gesù Cristo, bisognerebbe concludere che, al contrario di quanto il Signore ha fornito come prova della sua missione, i poveri non possono essere evangelizzati... Fare silenzio, è ascoltare Dio; è eliminare tutto ciò che ci impedisce di ascoltare o di capire Dio. Fare silenzio, è ascoltare Dio, dovunque egli parli, da coloro nei quali parla nella Chiesa fino a coloro con i quali Cristo si è identificato in un altro modo e che ci chiedono la luce o il nostro cuore o del pane. È ascoltare Dio dovunque esprima la sua volontà, nella preghiera e al di fuori della preghiera propriamente detta... È la nostra vita intera che deve fare silenzio, che deve far tacere tutto ciò che parla in noi in modo egoista o orgoglioso di noi, tutto ciò che è vano, che è opinione senza peso di Dio, tutto ciò che fa il vero rumore, ostacolo alla parola di Dio». La santità del nostro tempo La santità del nostro tempo “Ogni tempo è chiamato a una Santità che gli è propria. Si rovinerebbe il Regno di Dio se si sognasse per il XX secolo lo stesso tipo di santità del XIII. Il progresso umano è nel piano di Dio che non ha fatto per caso l’uomo intelligente, ingegnoso, sociale. Il nostro tempo è molto diverso dagli altri: la fabbrica, le correnti politiche, le invenzioni sempre più alla portata di tutti. Bisogna aiutare gli altri a essere dei cristiani autentici in mezzo alle loro macchine, alle auto e al trambusto universale” “Gesù è stato uomo perfetto, un falegname perfetto, un ebreo perfetto. Per essere lui, dobbiamo essere perfettamente della nostra razza, del nostro tempo, del nostro mestiere. Gesù non ha santificato il mestiere di falegname durante la sua vita nascosta, ma tutte le vocazioni umane, tutte le pietre della città dell’uomo”. “L’acustica che la Parola del Signore esige da noi è il nostro ‘oggi’: le circostanze della nostra vita quoti-diana e le necessità del nostro prossimo, gli avvenimenti dell’attualità e le istanze evangeliche che esigono da noi sempre le stesse risposte ma in una forma ogni giorno rinnovata”. (Lettera del 23.11.1932 all’abbè Lorenzo) L’impegno civile al di là delle ideologie L’impegno civile al di là delle ideologie “Quando dei fatti, anche se avvengono lontano da noi, mettono dei paesi a ferro e fuoco, creano sventure, uccidono delle persone, possiamo avere su questi fatti delle opinioni differenti, ma non abbiamo il diritto di non avere un parere. Tra questi fatti c’è la guerra d’Algeria; i Francesi hanno meno di altri il diritto di disinteressarsene. La più grande complice di tutte le sventure è l’indifferenza […]. Ci vado per non addormentarmi sulla sventura del vicino, per impedire agli altri di dormire come dormirei io. Ci vado perché vi ritrovo della gente che non la pensa come me. Non solo sulle misure da prendere in Algeria, ma su molti altri problemi. È per provare che il mio desiderio di pace non è un idealismo, che se voglio la pace dappertutto vi credo in primo luogo nel comune in cui vivo. Non possiamo lavorare alla pace sull’altra sponda del Mediterraneo e portare avanti la nostra piccola guerra con la gente della nostra strada. Ci vado perché non credo ad alcuna politica, se questa politica non è radicata nella coscienza delle persone. Temo tanto le dittature quanto la guerra, perché le une non vanno senza l’altra. Ma so che il cammino più sicuro per condurre un popolo alla dittatura è quello di lasciare che le persone di questo popolo perdano coscienza. So anche che ogni dittatura prima o poi crolla se in un popolo resta viva la coscienza di ogni persona. Queste riunioni vogliono essere un mutuo risveglio delle coscienze; è per questo che ci vado […]. Credere alla pace è credere alla pace per tutti e non alla propria personale tranquillità. È credere alla pace facendovi credere; la pace non può esistere se non vi si crede. È quando si crede che essa esiste, che se ne trovano i mezzi. Per captare le forze della pace bisogna essere sicuri che esse sono in noi, attorno a noi, fra di noi. Vado a queste riunioni come a un laboratorio in cui degli uomini di buona volontà cercano insieme le forze della pace”. Gli scritti Madeleine Delbrêl viene invitata spesso a parlare della sua testimonianza in vari gruppi; gli appunti dei suoi interventi, minuziosamente preparati, insieme alle numerose lettere, costituiscono una documentazione preziosa che testimonia lo sviluppo del suo pensiero e del suo cammino spirituale. Il suo libro più celebre è Città marxista, terra di missione. Scrive vari articoli confluiti poi in alcuni libri come Noi delle strade, La gioia di credere, Comunità secondo il Vangelo. «Se vuoi trovare Dio sappi che è dappertutto, ma sappi anche che non è solo... Se vai in capo al mondo, trovi le orme di Dio; se vai nel profondo di te stesso, troverai Dio in persona». «Mio Dio, se tu sei dappertutto, come mai io sono così spesso altrove?». «Ci sono luoghi in cui soffia lo Spirito, ma c’è uno Spirito che soffia in tutti i luoghi. C’è gente che Dio prende e mette da parte. Ce ne sono altre che egli lascia nella massa, che non “ritira dal mondo”... Noi, gente delle strade, crediamo con tutte le nostre forze che questa strada, che questo mondo dove Dio ci ha messi sia per noi il luogo della nostra santità. Noi crediamo che non ci manchi niente di necessario, perché se questo necessario mancasse, Dio ce lo avrebbe già dato» (da Noi delle strade). Piccola bibliografia su Madeleine Delbrêl Piccola bibliografia su Madeleine Delbrêl - Abbagliata da Dio. Corrispondenza 1910-1941. Gribaudi, Milano 2007. - Insieme a Cristo per le strade del mondo. Corrispondenza 1942-1952, Gribaudi, Milano 2008. - Professione Assistente Sociale. Scritti professionali, Gribaudi, Milano 2009. - Umorismo nell’Amore. Meditazioni e poesie, Gribaudi, Milano 2011. Antologie Noi delle strade, Gribaudi, Milano 1995. La gioia di credere, Gribaudi, Milano 1997. Il Piccolo Monaco, Gribaudi, Milano 1990. Comunità secondo il Vangelo, Gribaudi, Milano 1996. Indivisibile Amore, Piemme, Casale Monferrato (AL) 1994. Missionari senza battello, Messaggero, Padova 2004. È stato il mondo a farci così timidi?, Berti editore, Piacenza 1999. Chiesa ateismo evangelizzazione, Ed. Esperienze, Fossano (CN) 2005. Libri su di lei - Gilles François, Bernard Pitaud, Madeleine Delbrêl. Biografia di una mistica tra poesia e impegno sociale, EDB, Bologna 2015. - Ch. F. Mann, Madeleine Delbrel. Una vita senza frontiere, Gribaudi, 2004 - Ch. de Boismarmin, Madeleine Delbrêl, Città Nuova, Roma 1998. - E. Natali, Madeleine Delbrêl, una Chiesa di Frontiera, Dehoniane, Bologna 2010. - B. Pitaud, Eucaristia e discernimento in Madeleine Delbrêl, Paoline, Milano 2011.