LA RIVOLUZIONE FRANCESE E LE SUE CAUSE DI ROBERTO d’AMATO Introduzione Questo argomento è stato già affrontato da molti studiosi di politica e di storia, mi sono permesso anch’io, che sono un comune mortale, di fare una modesta analisi politica, con un metodo comparativo isprirandomi ai giorni nostri, per quanto concerne la politica. Capitolo 1 Il secolo dei lumi. Alla fine del 1700, l’Ancien Régime era pervaso da una profonda crisi, la mancanza di omogeneità politica provocava un’instabilità politica nell’azione di governo del re. Vi fu il periodo della Reggenza, che diede prestigio alla Francia, espansione territoriale, attuata dal suo predecessore Luigi XIV, il cosidetto Re Sole, egli, anche grazie al regalo postumo di un vegliardo, cioè il cardinale Fleury, ottenne la Lorena, la Corsica, la Francia e riuscì ad ottenerla grazie alla cronica crisi della Repubblica di Genova (un anno prima che nascesse Napoleone Buonaparte, quest’ultimo durante il periodo delle Repubblica francese, francesizzò il cognome in Bonparte). La corte del re, Luigi XVI, viveva spensierata a Versailles, incapace di cogliere gli avvenimenti politici e sociali che si stavano ormai delineando nella società francese. La miopia politica del re, assertore di un potere assoluto illuminato, fu nella sua incapacità di imporre ormai ad una nobiltà parassitaria e nostalgica, una nuova funzione, non più impostata sulle rendite fondiarie bensì sulla creazione di quello spirito imprenditoriale e mercantilistico che in Inghilterra, nel 1600, prese già vigore in modo determinante tra il ceto nobiliare. Questa statisticità politica ed economica provocò nella Francia una profonda crisi che fu accentuata dall’incapacità dei ministri economici del re di imporre alla nobiltà le tasse e le imposte in modo equo. Alla frustrazione della borghesia francese, privata del tutto del potere poitico, pur avendo una funzione economica dello stato, si aggiunse il malcontento dei contadini. Le masse contadine, che vivevano in condizioni di estrema miseria ed indigenza, sentivano il netto divario tra la vita di campagna e il comportamento frivolo e dispendioso di una società chiusa nei suoi privilegi e nelle sue consuetudini arcaiche. A farsi portatore di questo crescente malcontento popolare e sociale furono i cosidetti intellettuali che si rifacevano alla filosofia dei Lumi. In tale clima di insoddisfazione generalizzata, lo spirito dei Lumi, mettendo a nudo le pieghe sociali e politiche, accuivano i malcontenti, denunciavano le ingiustizie r reclavano le riforme. Non per niente il potere politico era detenuto dall’uno per cento della popolazione, cioè la nobiltà; infatti le carriere militari, giudiziarie, diplomatiche, erano esclusivamente riservate alla classe sociale patrizia e gentilizia. La società francese ufficilalmente era divisa in tre ordini: il clero, che contava circa centocinquantamila persone, la nobiltà, circa mezzo milione, e i restanti del terzo stato(alta borghesia, media borghesia, piccola borghesia, operai professionisti), che rappresentavano due milioni e mezzo di persone. I nobili rappresentavano una casta chiusa, tuttavia nel 1700 i borghesi arricchiti comprarono cariche amministrative, cosidetta nobiltà di toga, mescolandosi con l’antica nobiltà (quest’ultima si vantava di discendere dai Franchi di Carlo Magno). Questa nuova nobiltà, prettamente di toga, avendo molto denaro investiva nelle rendite fondiarie in modo oculato. Ormai lo zoo che aveva creato Luigi XIV per relegare l’alta nobiltà e per tenerla sotto controllo era destinato alla chiusura; questa classe patrizia improntata a una rigida etichetta, che si presentava troppo fatua e cerimoniosa, tante volte citata dal duca di Saint Simon, sembrava suscitare una profonda ilarità perché la preoccupazione principale della nuova nobiltà e della vecchia nobiltà era la corsa sfrenata alla ricchezza, al fine di poter condurre una vita brillante. Ovviamente la nobiltà, per mantenere i propri privilegi, si appoggiò a determinati valori filosofici, quali la nascita, la superiorità di sangue e l’onore visto in funzione mistica. Tutti questi valori comporteranno per il nobile un codice di maniere, corteggiamenti, mode e persino linguaggio, destinato a distinguere i membri di questo universo dai “plebei” e congenitamente inferiori. Teorico, ideologico e filosofico della nobiltà era il Montesquieu, che riservava a questa classe sociale una funzione determinante. Il teatro della vita nobiliare non era più la campagna, dove in un maniero cadente vegetava il gentiluomo rustico con le sue antiquate nozioni di fedeltà e di lealtà, bensì le città. Fu allora che si moltiplicarono i superbi hotel, le superbe dimore dei parlamentari, che espletavano una funzione di propaganda. Il fulcro della moda era Parigi, eterna scenografia dell’aristocrazia, la quale investiva le proprie energie e soprattutto le proprie risorse economiche. La vita della classe nobiliare si espletava nei salotti, all’Opera, ecc.. Tutti i lussi erano al suo servizio; non solo, ma anche chi scriveva a livello amatoriale come me ed esprimeva critiche a questo sistema feudale prossimo al collasso. Questa vita eccessivamente frivola era enormemente esosa per la nobiltà che, per reperire il denaro necessario al fine di poter condurre questo stile decadente e dispendioso, dovette confrontarsi nel campo economico con una borghesia molto agguerrita. Questo rigido steccato sociale che si era creato in Francia fra le varie componenti sociali provocherà quella grande scintilla che nei secoli a venire sconvolgerà tutto il mondo. In Inghilterra ci fu la rivoluzione di Cromwell, che durò due anni in cui fu giustiziato un re e poi lui fu dissotterato e giustiziato a sua volta da morto, ciò rese la nobiltà inglese meno reazionaria e più aperta nei confronti della borghesia, la quale potè più facilmente accedere alla nobiltà per meriti economici. Addirittura, sostiene de Toqueville, troviamo aristocratici inglesi che sovente pranzano con i propri contadini, cosa impensabile nella Francia dell’Ancien Régime; questa flessibilità ha permesso alla nobiltà inglese di sopravvivere fino ai giorni nostri, altra caratteristica che aveva la nobiltà inglese, come quella protestante dell’Olanda, Danimarca e Scandinavia, era quella di essere più dedita al commercio e alle industrie, mentre quella spagnola, francese, italiana erano legate alla terra, quindi questa arretratezza economica si rifletteva anche nella loro ideologia politica, cioè retrograda e reazionaria. Da questo si deduce che un duro scontro sociale si stava delineando, la vecchia classe era al capolinea e la borghesia era pronta a sostituirsi. Un po’ come adesso, che assistiamo alla crisi inesorabile della borghesia, del libero mercato senza regole e del capitalismo padronale e vediamo affacciarsi con decisione, grazie alla globalizzazione, altri popoli che fino ad adesso erano stati esclusi dal processo produttivo economico mondiale, perché tutto grazie alla guerra fredda ruotava, fra le due sponde dell’Atlantico (U.S.A. – U.R.S.S. Europa). Ritornando alla Francia del 1750, ai tempi di Luigi XV si erano create delle cricche o ai giorni nostri diremmo gruppi di pressione ai nobili, che avevano un fine affaristico. Scoppiarono degli scandali dopo il 1780 (bancarotta dei Rohan Guémanéé, fallimento del conte d’Artois, affaire della collana), che umiliarono la corona e rimisero in luce il malaffare che regnava fra l’aristocrazia e il potere. La classe sociale antagonista per antonomasia era la borghesia, sempre rivolta a competere con gli aristocratici, e ad elevarsi economicamente. Questi borghesi, gran lavoratori, parsimoniosi e severi, impregnati di una certa morale giansenista, censuravano volentieri lo stile di vita della nobiltà scialacquona, godereccia e corrotta del settecento. Nel 1700 la borghesia redditiera si organizzò in modo sistematico per elaborare una propria struttura, impiegò il proprio tempo nelle discussioni delle accademie di provincia, della società di pensiero, partecipò alle logge massoniche borghesi (distinte da quelle della nobiltà), destinò molto denaro all’acquisto di libri, a ricerche, a esperienze, manifestando di avere fame di conoscenza. Il clero aveva due problemi: uno materiale e l’altro morale; innanzitutto l’attribuzione dei benefici avveniva in una cornice sempre più aristocratica; dopo il 1760 tutti i vescovi furono di estrazione nobile. Era l’alto clero che percepiva la quota principale della decima, di cui distribuiva una scarsa fetta ai curati e vicari sotto forma di “congrua”. Eccezion fatta per gli ordini severi, la vita dei regolari si rilassò e le abbazie finirono per essere abitate solo da pochi religiosi, per lo più rampolli della nobiltà, i quali in tal modo godevano di rendite considerevoli utilizzate per l’edificazione di santuosi palazzi, abbazie, conventi. Essi divennero più amministratori dei beni della Chiesa che religiosi, quindi svolsero una funzione più laica che spirituale. L’alto clero della Chiesa francese si occupava più della cura degli affari che non delle sue anime, questo provocò una forte deplorazione da parte dei fedeli di campagna che di fronte a questa mondanità, condotta da questi rampolli della nobiltà vestiti in l’abito talare, non potevano tacere. Questo fece sì che si svilupparono nel basso clero tendenze presbiteriane. Nel XVIII secolo il giansenismo (dottrina morale e teologica risalente al vescovo Giansenio d’Ypres, professata dai religiosi di Port Royal in Francia nel XVII secolo, estesa poi in molto paesi d’Europa e condannata dalla Chiesa Cattolica per la sua eccessiva ridigezza e per la sua opposizione alla morale ufficiale dei Gesuiti), divenne l’espressione religiosa dell’ostilità verso l’assolutismo governativo. Il paradosso era che la Chiesa in Francia contivuava fedele alla logica del suo ruolo e alla sua struttura di “corpo sociale” a preconizzare la repressione contro tutte le dissidenze, in primo luogo contro i protestanti, ferocemente ostile a quella filosofia dei Lumi, che pur certi suoi prelati patrocinavano nei salotti. Tuttavia, malgrado le rivendicazioni del basso clero e le deviazioni di questo o quel vescovo, malgrado la sua eterogenità totale, il clero, profondamente lealista, restava uno dei fondamenti della società dell’Ancien Régime. Altri gruppi marginali, una sorta di Bohéme alla quale apparteneva Diderot che ne evocò i tratti. Tra i frequentatori di caffè, giardini e altri luoghi in cui si spacciavano novità, si agitavano idee, si ottenevano informazioni, si intessevano intrighi. La crisi endemica dell’Ancien Régime fu accentuata dalla difesa ad oltranza dei privilegi feudali, ormai anacronistici della nobiltà (tipo la decima e tutti quei diritti signorili che ormai apparivano ridicoli) per la società francese del XVIII secolo. Questo perenne contrasto tra assolutismo regio e forze cosidette progressiste (illuministi, certi settori della magistratutra, interi circoli di intellettuali) creava un’atmosfera densa di contasti e di situazione permanentemente agitata della società francese, la quale mostrava un fermento crescente. Queste aspettative, frustrate dai ceti cosidetti subalterni, sarebbero poi sfociate nella grande Rivoluzione Francese. Diderot, grande enciclopedista, aveva già previsto questa grande rivoluzione. Essa avrebbe non solo cambiato la Francia, ma l’intera Europa ne sarebbe stata contagiata. La pressione fiscale verso la metà del 1700 aumentò a dismisura perché l’esercito e la marina furono pontenziate, soprattutto sotto il duca di Choiseul. Questo aumento della pressione delle tasse e delle imposte raggiunse, sotto Fleiry e la marchesa di Pompadour, enormi livelli, che furono dettati dallo sperpero della corte, ormai votata alle più disparate stravaganze, come la moltiplicazione di piccoli appartamenti, più sontuosi dei grandi, frequenza e ricchezza delle feste, in progressione costante dopo la morte di Fleury, mantenimento di un personale enorme e soprattutto distribuzione di pensioni e di “grazie”. L’aumento delle imposte indirette gravarono soprattutto su prodotti di consumo corrente, vini e sale, reso evidente dal continuo aumento, dopo il 1738, del tasso di locazione dell’esattoria generale. Vista l’entità dei diritti da essa introitati dal re e l’oraganizzazione dei suoi servizi, i salari che distribuiva ai suoi innumerevoli dipendenti e il fasto dei suoi dirigenti, essa era divenuta la prima potenza finanziaria della Francia. La superoligarchia dei quaranta esattori generali, legati tra loro mediante matrimoni e dotati di considerevoli influenze in seno al governo, che nulla poteva senza di essi (e reciprocamente), formava in realtà un mondo a sé. La maggior parte dei regi prelievi sulla rendita delle terre proveniva dall’imposta diretta “La taille”, che gravava quasi esclusivamente sui contadini. Senza dubbio i privilegiati, al pari degli altri sudditi, erano costretti a pagare la capitazione, ma lo facevano in maniera insufficiente, e quel che se ne ricavava era scarso. Ina attesa dell’istituzione di un’imposta fondiaria proporzionata sui redditi (il ventesimo introdotto a partire dal 1749, tanto a lungo contestato e che permetteva incassi tanto dilazionati, nonostante la fraseologia ad effetto delle dichiarazioni ufficiali), la taille continuò a schiacciare il mondo contadino. Questo conservatorismo fiscale, di conseguenza, produsse un arretramento tecnologico dell’agricoltura, perché mentre in Inghilterra si usavano nuovi macchinari e il concime, in Francia si aveva un’agricoltura di scarsa redditività, basata su rotazioni rudimentali, in cui il maggese aveva larga parte, sullo sfruttamento mal condotto di un suolo consistente in parcelle sbriciolate e sottoposte alle costrizioni e servitù collettive, e sulla sopravvivenza dei terreni comunali, indispensabile complemento di quell’antico sistema. Fu allora che prevalsero le idee e le teorie sulla fisiocrazia, di prelevare la quota d’imposta sul prodotto netto dell’agricoltura incoraggiata, migliorata e reinserita in un circuito di libertà di produzione e di scambi, affidata ad una classe di proprietari defeudalizzati. Sicchè l’assolutismo classico di Luigi XIV che, sotto l’onnipotenza del monarca, era parso fungere da coordinatore e fattore di equilibrio per tutte le forze politiche e sociali fino a poc’anzi tanto antagoniste, nel 1700 un po’ alla volta perse il proprio carattere di arbitro per divenire il garante e in realtà il complice di un ordine sociale e morale sempre più squilibrato, ingiusto e infine insopportabile. La legge era vincolata al re sia direttamente che indirettamente, i giudici erano solo dei meri esecutori del volere del sovrano. Il monarca se voleva poteva sottrarre ai giudici i procedimenti ad essi affidati, ed affidarli ad altri come commissioni, gran consiglio intendenti. Il re se voleva poteva fare incarcerare o detenere chiunque gli garbasse, mediante una semplice lettre de cachet, procedimento del resto perfettamente “legale” nel senso che era integrato naturalmente nel sistema. Questo sistema si era affermato ai tempi di Luigi XIV, ma sul finire del 1700 questa serie di prerogative o, se possiamo affermare, questa onnipotenza del sovrano, fu guardata con estrema critica. Poi, nel XVIII secolo, il re Luigi XVI, invece di abolire i privilegi, li mantenne e per il popolo questo atteggiamento del potere non fu più sopportabile. Sul finire del 1700 assistiamo al ritorno preponderante dell’alta nobiltà nel governo e nell’altra amministrazione, questo arretramento di potere della borghesia, che si era conquistata con Luigi XIV, si ritrovava ora ridimensionata. Questa oligarchia nobiliare, non solo frustrava il terzo stato (cioè borghesia e popolo), ma rendeva le riforme dello stato impossibili da attuare in senso democratico. Altra crisi del sistema democratico monarchico assolutistico francese era rappresentata dagli intendenti, che erano l’espressione della volontà del re. Le varie organizzazioni poitiche locali (parlamenti, assemblee provinciali) li consideravano come una manifestazione palese d’interferenza dell’amministrazione centrale. In seguito il loro ruolo fu ridotto, perché vennero scontrarsi con i governatori provenienti dalla nobiltà. La funzione degli intendenti fu rimessa in discussione anche dal governo, tra cui ricordiamo Turgot, che non li vedeva di buon occhio. Necker aveva da ridire sulla loro prerogativa e meditava di sopprimerli con l’istituzione delle assemblee provinciali tra il 1778 e il 1787, finì per togliere alla funzione molto del loro prestigio e soprattutto poteri. Il problema principale dell’epoca fu l’incapacità dei sovrani a comprendere, se non in modo frivolo, il loro impegnativo mestiere di re. Essi si insediavano a Versailles, al centro di una realtà che li isolava e li portava a vivere in un’altra dimensione, lontana dai bisogni primari dei sudditi. Infatti la superficialità del re si manifestava nel suo maggiore impiego alle cosidette attività cavalleresche (caccia, cerimonie, agli affari esteri). I re francesi erano sordi nel risolvere i problemi; ma il vero problema stava nella loro inettitudine di risolvere i problemi tecnici del governo. Né Luigi XV, uomo dallo spirito più elastico e dalla personalità più complessa malgrado avesse delle broblematiche caratteriali, né tanto meno Luigi XVI, apatico e di straordinara ingenuità politica, avevano l’istruzione e le capacità intellettuali necessarie per espletare l’esercizio di responsabilità complesse e divenute gravi. Non erano sedotti e neppure interessati all’esercizio del potere, se non in maniera superficiale, tuttavia con un’alta consapevolezza della propria responsabilità nei confronti della corona affidata loro da Dio, essi si ostinavano a mantenere i loro diritti. Ovviamente questo atteggiamento di fierezza non poteva bloccare la marea di critiche che da ogni parte piombavano sul regime e neanche nell’esercito ormai Luigi XVI poteva contare ciecamente. I Lumi non furono, a rigor di termini, una filosofia propriamente detta, per esempio Fontanelle era un meccanicista inquieto, Helvetius un materialista “egoista”, Diderot un materialista inquieto, Buffon era un “naturalista”, La Mettrie un medico, d’Alembert un geometra, Montesquieur un giurista. Tuttavia tutti avevano in comune un certo atteggiamente mentale che si rifaceva al metodo scientifico e cercava nell’indagine empirica sulle cose. I Lumi furono un’intelligenza rinnovata, un nuovo rischiaramento. Il punto di riferimento non era più la fede bensì la ragione, molto illuminante, da cui deriva il nome. Nel XVIII secolo tale ragione era incerta: da un lato la ragione cartesiana, che giustificava le idee innate, i principi assiomatici della natura umana, dall’altra la ragione sperimentale, che procedeva di pari passo, l’una e l’altra vicendevolmente illuminandosi. Il razionalismo cartesiano aveva creato il clima intellettuale degli ambienti di pensiero e di cultura; d’altra parte quali potessero essere i correttivi apportati allo sperimentalismo di Newton e di Locke, i pensatori ei Lumi restarono aggrappati alla forma di ragionamento del cartesianismo. In effetti la filosofia dei Lumi, nonostante la sua grande passione per il concreto, non era avversa alla tesi e volentierei anzi postulava l’innatismo dei nuovi cardini, cioè Natura, Progresso, Felicità, Libertà, spesso arrivando ad una nuova ortodossia. L’ateismo era materia dei meccanicisti come La Mettrie e degli sperimentalisti come Helvetius, Diderot, D’Holbach o dei più arditi nella loro ricerca di un uomo totale. Secondo i Lumi, nel periodo che visse anche Retiff de la Bretonne, l’uomo non era più soggetto alla volontà teologica della Chiesa, ma diveniva parte integrante della natura fisica, materiale, misurabile con tutti i suoi diritti. L’uomo dunque doveva adoperare la ragione e la natura, applicarle alla realtà immediate, agli oggetti pratici che lo interessavano e che interessavano la società. Ottimismo o pessimismo, ragione o sentimento, ricerca della felicità o fede nel progresso, non furono che un modo di forze coniugate, per minare le convenzioni e le consuetudini, le istituzioni, che né la natura, né l’utilità, né la giustizia sanzionavano. La scienza scoprì immensi orizzonti che diedero slancio e impulso allo spirito, portandolo all’idea di un miglioramento della condizione umana grazie al’applicazione di scoperte concatenate; niente progresso senza progresso scientifico, l’influenza del metodo scientifico si riscontra anche nella letteratura: abbiamo Rosseau che esaltò il proprio masochismo Retiff de la Bretonne, il proprio feticismo, Chorderlos de Laclos anatomizzò la perversione morale e de Sade, stese un catalogo delle mostruosità della natura. Abbiamo alcuni chierici, come Lavoiser, che esaltarono questa scienza. La Chiesa da questi pensatori intellettuali venne ridicolizzata, non solo, anche il suo eterno bigottismo e il suo cieco fanatismo. In contrapposizione dei Lumi, al tempo di Restiff de la Bretonne, nacque un movimento che si pose in un certo qual modo in antitesi ai Lumi, i maggiori rappresentanti furono Nonnotte, Palissot, Fréreon e Moreau. Questi studiosi non negarono la filosofia del tempo, ma ne criticarono l’eccessivo razionalismo meccanicistico. Questi antifilosofi riprendendevano i temi primitivi della felicità e della innocenza naturale, valorizzando gli studi sull’antichità classica e sul cristianesimo. Gli aspetti del pensiero dei Lumi furono raccolti nell’Enciclopedia, questa enorme opera letteraria che venne iniziata nel 1750, aveva la pretesa di esporre in modo semplice e chiaro tutte le conoscenze acquisite fino a quel periodo. I personaggi che vi collaborarono furono i seguenti: Rosseau, Montesqueiu, Voltaire e Turgot. Il fine dell’opera era esaltante, essa dimostrava la possibile padronanza dell’Uomo sull’universo da cui dipendeva; in essa Diderot e d’Alembert esortavano e volevano convincere a pensare con la propria testa, a cercare la verità, nella scienza e nella storia e non più nella Bibbia e nella dottrina della Chiesa. La novità dell’opera dell’Enciclopedia consisteva nel comprovare che la felicità umana dipendeva dall’uomo stesso, capace di tutto, d’intraprendere e di realizzare, a patto che fosse liberato e affrancato dai suoi schemi atavici. Nel 1759 la Chiesa attaccò l’Enciclopedia, che fu messa al bando, d’Alembert abbandonò l’impresa di concludere l’opera, Diderot invece continuò, grazie al sostegno della marchesa di Pompadour e di quello di Malesherbes, allora direttore della biblioteca. Del resto, la persecuzione contribuì al successo dell’Enciclopedia, che divenne un grosso affare commerciale. Tuttavia, anche se vi era un’apertura nei confronti del popolo, Diderot e Rosseau, massimi filosofi del pensiero politico che si stava affermando, ammettevano che il popolo non doveva essere reso partecipe del potere diretto, perché troppo rozzo; quindi solamente dei saggi dotati di una buona cultura avevano diritto di governare la moltitudine. Poi questi filosofi della politica auspicavano una transizione democratica nella monarchia francese, cioè sul modello inglese, infatti loro sognavano una monarchia costituzionale, dotata del bilanciamento dei poteri (potere legislativo, potere esecutivo, potere giudiziario). Si chiedeva inoltre una cessazione delle persecuzioni religiose e una maggiore tolleranza nei confronti delle altre realtà politiche e religiose. Questi filosofi detestavano tutti gli abusi, la miseria degli uni, lo sfarzo degli altri, i privilegi ingiustificati che schiacciavano il popolo, il dispotismo. Il diritto di proprietà doveva essere mantenuto, contemperando i giusti limiti costituzionali, secondo i filosofi Rosseau e Morelly. Nel 1786, in piena crisi, si verificò un netto incremento dei prezzi, generatore di fallimenti e di difficoltà, cui per soprammercato si aggiunsero due anni di grave deficit agrario e di disordini nelle campagne. A questo si aggiunse la categorica contarietà della nobiltà di pagare in modo equo le imposte e le tasse, non per niente l’editto fiscale di Lomenié de Brienne, fallì miseramente. Anzi, si ebbe una controreazione della nobiltà che si riprese in modo diplomatico l’antico potere che aveva (per esempio certi duchi e principi potevano battere moneta ed amministrare la giustizia nele regioni della Francia che amministravano), senza contare gli innumerevoli privilegi e prerogative su cui poteva contare. A mettere in difficoltà il potere assoluto del re erano le finanze dello Stato, che erano state impegnate in una serie di conflitti, tra cui la guerra dei sette anni 1762-1770 e la guerra d’indipendenza americana 1776. Il mantenimento di eserciti poderosi e di una marina francese competitiva a quella inglese comportava enormi costi. Il governo francese fece una politica aggressiva ed ambiziosa, retaggio di Luigi XIV, nelle colonie americane, sostenendo un aspro scontro con gli inglesi. I francesi si espansero in Canada ed in Louisiana, scontrandosi con i coloni inglesi, poi l’ascesa al trono inglese di Guglielmo III, nel 1688, non fece che accentuare la tensione fra la Francia e la Gran Bretagna, specialmente in Canada e in Louisiana. Quindi la Francia si scontrò militarmente con l’Inghilterra in Canada (che perse con la guerra dei sette anni, la Gran Bretagna vinse grazie all’apporto determinante dei coloni inglesi). In India, grazie alla Compagnia delle Indie francesi, si espanse creando numerevoli basi, che provocarono un conflitto sanguinoso con l’Inghilterra. In Europa la Francia doveva misurarsi non solo con l’Inghilterra, ma soprattutto con potenze del calibro di Austria e Prussia (fondatori dello stato prussiano gli antichi preti guerrieri, i cavalieri teutonici, e gli Juncker, nobili prussiani che si adoperarono tantissimo per rendere lo stato forte, anche se Federico I e Federico II, con il loro centralismo, lo resero potente, grazie anche alla loro centralizzazione). Quindi la Francia era impegnata su due fronti nelle colonie contro l’Inghilterra, in Europa era insidiata da Austria e Prussia. Nel 1740, alla morte dell’imperatore Carlo VI e all’ascesa al trono di Maria Teresa, la Francia intervenne per mettere in serie difficoltà l’Austria, che creò una coalizione di principi, capeggiata da Federico II di Baviera. La Gran Bretagna capì il disegno politico dei governanti francesi, come molti sanno, con la pace di Westfalia (1648) l’Inghilterra fu l’ago della bilancia in Europa, funzione esercitata fino alla fine della seconda guerra mondiale, affinchè nessun paese prendesse il sopravvento nel continente. In seguito questa funzione di equilibrio fu svolta, dopo la seconda guerra mondiale, da Stati Uniti, Russia (U.R.S.S.) e in un certo qual modo dalla Cina. Nella guerra di successione austriaca la Gran Bretagna intervenne a favore dell’Austria. La Francia fu sconfitta in Europa dalla coalizione formata da Austria, Prussia e Inghilterra, e in Canada la Gran Bretagna sconfisse pesantemente la Francia. A ciò si assomma la miopia della classe politica e dirigente francese, ancorata a schemi feudali, che spendendo molto denaro per l’esercito portò le finanze dello stato alla catastrofe finanziaria. Con il trattato di Parigi la Francia dovette cedere il Canada e alcuni territori in Europa. Nelle colonie americane fu voluta l’indipendenza dalla madrepatria, perché la Gran Bretagna esercitava nei confronti delle colonie un controllo capillare di ogni attività economica, addirittura non potevano comprare neanche il tabacco dagli altri paesi. La Francia appoggiò i coloni americani, questo per la monarchia francese fu come un boomerang perché costò in modo esorbitante alle già magre finanze dello stato francese, senza contare l’influenza politica che ebbero queste idee libertarie, democratiche e soprattutto d’uguaglianza. Il problema che affliggeva la Francia era la perenne crisi delle finanze reali. La gestione frivola che ne faceva la corte, la vendita delle cariche e la speculazione dei finanzieri sovente di estrazione bassa e volgare (come Bernard Crozat e i fratelli Pâris) rendevano questo paese sempre sull’orlo di un sollasso finanziario. Con Luigi XVI l’alta nobiltà riuscì a rientrare nei gangli del potere e si scontrò economicamente con la borghesia, che si dimostrava sempre più agguerrita. I costumi libertini, tendevano alla libertà, alle novità, come le mode, la musica da camera, le decorazioni degli appartamenti con uno stile molto innovativo. I luoghi alla moda di Parigi erano il Temple, il Palais Royal, il Cafè Procope, insomma la capitale finalmente s’impose su Versailles, dal punto di vista politico, mondano, culturale. Il denaro fu considerato un elemento essenziale per raggiungere il piacere, il lusso, il godimento immediato. Luigi XV fu il re che tentò di risanare le finanze dello stato, ma il condizionamento politico esercitato dalle sue amanti (Madame de Châteauroux, del Barry, una donna mercenaria, che fece carriere per le sue doti amatorie). Alla morte di Luigi XV salì al trono Luigi XVI, che tentò di eliminare i ministri più retrogradi e cercò di limitare il potere dell’alta nobiltà. Re Luigi XVI nominò un abile ministro, Turgot, che cercò di risollevare le finanze della Francia ormai esauste. Con Turgot, furono tassate le rendite fondiarie dei ricchi borghesi e dei nobili, però, nonostante fosse stato adottato un sistema fiscale equo, la Francia non riusciva a far cassa sufficiente per sopperire alle varie esigenze e incombenze che gli si presentavano. Interi settori produttivi furono lasciati fuori dal sistema delle tasse e imposte, come per esempio i redditi industriali e commerciali. All’epoca dei Lumi, nel 1700, fino alla vigilia della Rivoluzione, si vide il nascere di salotti dove la donna era regina o meglio il centro dell’attenzione, si passava il tempo in divertimenti spesso futili, dove gli animi erano vuoti, ma le maniere esteriori irreprensibili e il linguaggio raffinato e caustico, la conversazione era l’arte suprema. Non solo la conversazione parlata, ma anche la conversazione scritta: era un incessante scambio di biglietti, messaggi, lettere vergate o dettate all’istante, che in effetti crearono uno stile di espressione scorrevole e trasparente, privo di argomentazioni prolisse e inutili. In questo ambito tanto sui generis, gli hommes de lettres o di pensiero e i filosofi costituivano l’interesse e l’ornamento di quelle riunioni. La duchessa del Maine (1676-1753) nel suo castello di Sceaux aveva dato l’esempio di quelle riunioni galanti in cui le feste e i divertimenti si intrecciavano alla eleganza della letteratura. I salotti di ceto sociale inferiore (piccola nobiltà) erano certo meno raffinati, ma di una sostanza intellettuale molto elevata. Quello di Madame de Tencin (1622-1749) raccoglieva gente di corte come d’Argenson, intellettuali come Fontanelle, Helvetius, Montesquieu, d’Argental. Il solo a non mettervi piede era d’Alembert, suo figlio naturale. L’atmosfera di quelle riunioni era sciolta e agevole, ma la conversazione non doveva superare certi limiti in fatto di arditezza, era la padrona di casa diplomaticamente a tenerla in riga. Il salotto di Madame du Deffend (1697-1786) era più aristocratico; la padrona di casa, antica bellezza della Reggenza, spriritosa, acuta, intelligente, cercava nella compagnia degli uomini di valore distrazione e appagamento dalla sua eterna noia. Ebbe come ospiti Choiseul, Montesquieu, d’Alembert, Voltaire. Quest’ultimo fu sempre vicino alla nobildonna: l’aspetto seducente di questi brillanti salotti consisteva nel piacere di ritrovarsi tra gente di spirito, privi di etichette, e nel potersi dedicare a quelle discussioni, a quelle battute, a quelle riflessioni pungenti, e anche a quelle cattiverie che facevano lo stile di vita di quella buona società. Anche se non hanno avuto un’influenza determinante sulle idee, hanno lasciato la propria traccia sul modo di esporle e di propagarle. Ovviamente non mancavano riunioni più serie ed impegnate, ad esempio sorse il Club de l’Entresol dell’abate Alary, che comprendeva una ventina dei più validi spiriti dell’epoca, una sorta di accademia libera dove venivano affrontate le tematiche più varie, dalla politica, alla solidarietà, infatti anche l’abate de Saint Pierre esponeva le sue idee umanitarie e ne proponeva i rimedi. Fleury, preoccupato dei concetti troppo rivoluzionari, fu costretto a chiuderlo. C’erano per finire i cafè, innumerevoli a Parigi e in provincia dove si trovava la gente di mondo, dove l’abbigliamento era più disinvolto e, malgrado le orecchie della polizia, si riuniva senza distinzione di ceto o classe sociale. In questi luoghi si diffondevano novità, aneddoti, idee con vivacità e in modo spinto. Ecco lo spirito di fronda, brillante, beffardo, l’arte della battuta, dell’allusione, del sottinteso, che contrassegnavano quella moltitudine di piccole opere o opuscoli, tramite i quali si esprimevano le idee e i gusti di quella società, la quale al pari della letteratura e della filosofia, rivelano un certo gusto del gioco, che rappresentò il marchio del secolo. Bisogna ammettere che la cultura dell’alta società produsse gentilezza nello spirito e nel cuore. Essa era portata dalla perfezione della vita mondana, letteraria, artistica, il tutto incentrato in una commistione di gusto, costituito da un equilibrio di toni di buone maniere, di eleganza, di forma o di apparenza. Il settecento fu il secolo di quei ritratti di persone un po’ stravaganti, vanitose, solenni, disinvolte, dal colorito luminoso, dai tratti sbiaditi e animati da un sorriso spirituale e appagato; il secolo degli abiti dai colori congiunti, dalle decorazioni raffinate in cui erano presenti le trine del rococò, le rose, le faretre, le perle e le colombe, tutti gli accessori della mitologia aristocratica. Bisogna ammettere che questa società si configurava superficiale e frivola, egoista, scettica, anche se era quella brillante della corte e dei salotti, essa seppe conferire all’arte di vivere uno stile così accattivante e così elegante da riuscire a conquistare l’Europa, da continuare a colpirla anche dopo duecento anni di distanza. Leggera, cavalleresca, amante del piacere, essa non può lasciare nessuno in disparte, essa rappresentò per la donna una forma primordiale di emancipazione, essa ebbe un ruolo determinante nella nascita del nuovo spirito. Le donne appoggiarono le persone aperte d’idee, non per niente sostennero la filosofia. Le donne dell’alta nobiltà e della borghesia erano convinte che una filosofia liberatrice riscattasse la condizione femminile in una società arcaica, quanto ormai prossima a scomparire sotto la grande rivoluzione che si stava preparando. Aggiungiamo che le donne pretendevano nella filosofia, le forme dello stile e la circolazione delle idee, pretendendo che gli argomenti più duri si ornassero di seduzioni e galanterie. Diciamo che il secolo dei Lumi fu la base della società borghese liberale, infatti fu il periodo che andò elaborandosi il rituale delle iniziazioni massoniche, condite da apporti orientali ed egizi. Da Cagliostro al conte de Saint Germain, che si affermava di discendere dai faraoni, scomparve da Parigi senza saper che fine avesse fatto. Il proliferare dei riti esoterici alla vigilia della rivoluzione francese, denota una profonda crisi spirituale della società francese e una totale mancanza di fede nella religione cattolica, almeno nei ceti dirigenti. Capitolo II La rivoluzione francese La rivoluzione abbattè teste e troni, creò diritti nuovi e nuovi doveri, cancellò con un tratto di penna privilegi millenari, sovvertì costumi, abitudini, tradizioni. La maggioranza degli storici afferma che la rivoluzione francese fu la risposta al sistema feudale imperante. I contadini costituivano l’85% della popolazione francese, il 30% del territorio francese era in mano alla nobiltà, il 10% al clero, che svolgeva un ruolo parassitario e inutile e i cosidetti diritti signoriali erano ulteriormente esosi. L’arretratezza della campagna esasperava la situazione, perché l’agricoltura era impostata con un sistema di coltivazione superato. A rendere la situazione più complicata c’erano le taglie che i ricchi imponevano al popolo, che si sentiva schiacciato, la plebe era enormemente tassata, i pedaggi inceppavano il commercio, i dazi eccessivi per esempio condannavano il coltivatore della vite a non bere mai il vino e talvolta non poter salare una frittata d’aglio; la corruzione, che faceva perdere ai poveri le controversie intentate dai nobili; le corveés (lavori coattivi e gratuiti, prestati dal popolo al padrone e che potevano essere pubblici) che rubavano ai lavoratori il tempo, unica merce che potevano commerciale, la totale sottomissione delle classi umili alle classi cosidette superiori. L’Ancien Régime alla vigilia della convocazione degli Stati Generali che era un organismo chiuso in caste. Il clero era il primo ordine e a sua volta era diviso in alto clero e basso clero come l’alta e la piccola nobiltà, poi bisognava distinguere quell’alta nobiltà che era vicina alla corte, che godeva di enormi privilegi. L’ingiustizia più palese erano i privilegi fiscali che esentavano quasi completamente la nobiltà ed il clero. Il terzo stato era composta dall’alta borghesia fino al sottoproletariato. L’alta borghesia si sentiva frustrata, perché, pur avendo un peso economico notevole, non contava nulla politicamente. Altro elemento fondamentale di profonda crisi dello stato francese era l’assolutismo, considerato ormai anacronistico, perché in Francia, come in Spagna, il re aveva una notevole onnipotenza, che gli derivava da un potere considerato divino, cioè il Signore delevaga al sovrano di esercitare quell’autorità sacra che a sua volta legittimava il re. Inoltre la mancanza di contrappesi rendeva il potere di Luigi XVI, intoccabile. La nobiltà francese non riuscì ad aprirsi come quella inglese, ma rimase perennemente fossilizzata ai suoi atavici privilegi: continuò a riscuotere con precisione certosina i diritti antichi, delimitò con fanatica precisione le mappe terriere e i loro registri, a ciò si aggiunse la cronica oziosità della classe patrizia, la quale continuava ad avere un tenore di vita sproporzionato, rispetto alle proprie possibilità. In Francia si contava in base ai quarti di nobiltà e Chérin, eminente genealogista, era molto temuto a corte, qui si vede l’ottusità e l’agonia di una classe dirigente prossima a scomparire. Altro elemento negativo della nobiltà era la sua stupida ostinazione a non pagare le tasse o a pagarle in modo ridicolo; infatti i vari ministeri che si succedettero tentarono, ma senza successo, d’imporre un’equità fiscale, tentativo che fallì miseramente. L’aumento dei prezzi fu determinante per quanto concerne la sopravvivenza dei contadini e degli operai, il pane che era l’alimento più consumato, lievitò in modo vertiginoso. Un po’ come oggi, dove in Italia, assistiamo a una concentrazione di ricchezza, dove una strettissima percentuale di popolazione vive nel lusso sfrenato e la stragrande maggioranza della popolazione vive in miseria, facendo salti mortali per arrivare a fine mese. Nel 1789 si ebbero in effetti tre rivoluzioni: una parlamentare, una rivoluzione delle città, una rivoluzione delle campagne. Il 5 maggio 1789, gli Stati Generali vennero solennemente inaugurati dal re a Versailles, dopo tre mesi, il 9 luglio, essi si dichiararono (Assemblea Nazionale Costituente) e, nei giorni successivi, ci fu la mitica presa della Bastiglia, il 14 luglio 1789. La borghesia costituì delle assemblee in contrapposizione alle vigenti disposizioni. Il 20 giugno si ha il giuramento della Pallacorda, nel quale si accordarono di non separarsi, affinché la costituzione non entri in vigore. Non solo, il 14 luglio il re fu costretto a richiamare il ministro Necker e ad accettare la coccarda tricolore. Nelle campagne ormai la rivolta era dilagata, ci furono assalti ai castelli, con conseguenti incendi, sovente i diritti signoriali vennero bruciati. Dupont de Namours e Target, chiesero il ritorno all’ordine da parte delle masse contadine, questo accentuò in modo vertiginoso la frattura tra rivoluzione borghese e contadina o popolare. Fra gli episodi raccapriccianti che avvennero, ci fu quello del governatore della Bastiglia, de Launes, che fu decapitato e la sua testa fu portata in trionfo su una picca. La Bastiglia, antica fortezza, era difesa da un centinaio di mercenari svizzeri e veterani. In questa prigione vi furono rinchiusi senza processo molti uomini famosi come Voltaire, La Beaumelle, Morellet, e il giornalista avvocato Linguet. L’unico reato che avevano commesso questi personaggi famosi era quello di aver diffuso le idee di libertà e giustizia. Un po’ come avviene oggi in Italia, se sei contro il primo ministro, giornalista o comune mortale, non dico che rischi la testa, ma subisci una discriminazione strisciante. Per esempio Alexis de Tocqueville, antica nobiltà della Normandia, fu ministro degli esteri di Napoleone III, ipotizzò e affermò che dato che la sovranità risiede nel popolo, se il governo compie atti contro il popolo quest’ultimo può abbattere il sistema di governo esistente. Oggi, nell’affermare un simile concetto, si può rischiare di passare per terrorista, quindi soggetto alla galera. Anche se sono passati duecento anni, il concetto è sempre quello, guai a mettersi contro l’attuale apparato statale. Il 4 agosto 1789 il duca d’Aigullon, con alcuni altri nobili liberali, dichiarò decaduto il sistema feudale, anche se l’Assemblea Nazionale fu vaga su questo provvedimento di estinzione dei diritti signoriali. Allora i contadini capirono che il diritto civile borghese non era sufficiente a proteggerli, perché i diritti signoriali fuono eliminati senza nessun risarcimento. L’Assemblea Nazionale iniziò ad elaborare la nuova Costituzione, nonostante l’iniziale Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino, il 26 agosto 1789, i lavori procedettero con estrema lentezza. Fra i personaggi che cercarono all’inizio di salvare la monarchia ricordiamo La Fayette, fautore di una monarchia costituzionale, e Bailly, sindaco di Parigi, ottimo astronomo e poeta, Mirabeau, Duport, Lameth. I beni del clero furono nazionalizzati, e i religiosi dovettero giurare fedeltà alla nazione, questo provocò una grave frattura fra il papa Pio VI e la nuova repubblica francese, si creò una divisione tra i religiosi giuratori del nuovo stato francese e i refrattari, fedeli all’autorità di Roma (cioè la stragrande maggioranza). Il re e la regina furono ricondotti a Parigi il 5 e 6 ottobre 1789 a furor di popolo, soprattutto le donne parigine si fecero interpreti di questo desiderio popolare, affinché il re lasciasse Versailles e rientrasse nella capitale, per rendersi conto dei problemi che attanagliavano la città. Dopo un anno e mezzo circa il clima era mutato, infatti il 17 luglio 1791 ci fu il massacro di Champ de Mars, e i parigini, sollecitati dai cordiglieri, presentarono una petizione per la deposizione del re. Bailly, sindaco di Parigi e La Fayette, capo della guardia nazionale, proclamarono la legge marziale e spararono sulla folla. Si creò una frattura insanabile fra rivoluzione borghese e rivoluzione popolare. La Fayette, nella sua ingenuità politica, sperava di creare, come in Gran Bretagna, una monarchia costituzionale, però in Frenacia l’ostilità del re Luigi XVI, che non si dava per vinto di aver ceduto il potere di derivazione divina, era forte. Molti nobili, spaventati dagli eventi rivoluzionari, lasciarono la Francia, e presero il nome di emigrati (conte di Provenza, conte di Artois). L’emigrazione, da parte dei rivoluzionari, fu derisa e beffeggiata, come per esempio il goffo tentativo del principe di Condé di far evadere il re fallì miseramente. In molte zone della Francia ci furono delle ribellioni fomentate dalla nobiltà. Il re Luigi XVI faceva finta di seguire i consigli di Mirabeau, di La Fayette, ma tentò la fuga il 20 giugno 1791, con la sua famiglia. Riconosciuto a Varennes, fu riportato a Parigi. Dopo il 1791, le masse popolari furono politicizzate e più impegnate, non per niente si moltiplicarono i sanculotti, fenomeno preminentemente parigino. Nella campagna, l’autunno 1791 fu caratterizzato dalle Jacquerie, rivolte contadine violente, con saccheggi e incendi di castelli. In Francia sorsero vari club di estrazione popolare, come i cordiglieri, queste società, basate sulla fratellanza, ebbero come ho detto poc’anzi una forte base popolare, infatti a Parigi vi era il club dei cordiglieri, dove prendevano la parola Danton e Marat. Come sostiene anche Restiff de la Bretonne l’ala prettamente borghese e schierata a destra era quella dei foglianti, che poteva contare 263 deputati su 745, e non nascondeva le divisioni al suo interno, in varie fazioni: quella di La Fayette, e dall’altra il triumvirato di Bernave, Duport, Lameth e Dupon de Nemours; al centro c’erano i girondini, che facevano capo a Gensonné, Condorcet, e dall’altro alcuni democratici avanzati, come Chabot, Merlin. A sinistra c’erano i giacobini (Marat, Roberspierre). Diciamo con la rivoluzione francese sono iniziate le divisioni destra, sinistra, centro, un po’ come adesso, solo che adesso la politica è noiosa e decadente e priva di prospettiva. Solo le rivoluzioni fatte con il sangue, a mio modesto parere, hanno avuto un discreto successo, perché la classe dirigente precedente che ha sfuttato, rubato e fatto ogni tipo di malvagità, è stata completamente eliminata, le cosidette rivoluzioni di velluto non producono nessun effetto, così quei vecchi e quegli imbelli che s’illudono di portare dei cambiamenti notevoli nella società, peccano di stupidità politica, l’esempio più lampante l’abbiamo avuto nella maggioranza dei paesi dell’est, dove gli ex comunisti in genere hanno mantenuto il potere, addirittura sono diventati più ricchi, mentre gli oppositori con l’avvento del sistema liberista sono diventati più poveri oppure hanno perso il lavoro. La rivoluzione francese era in pericolo perché molti sovrani europei non potevano tollerare questo stravolgimento radicale, essi temevano che le idee rivoluzionarie si sarebbero diffuse nei propri paesi. Gli oppressori devono sempre temere gli oppressi, quest’ultimi quando la situazione sarà esasperata faranno il pelo al proprio oppressore, anche se lui adesso si crede invincibile. La corte del re di Francia, oscillava fra fedeltà alla nazione e sogno di ripristinare il vecchio sistema, il popolo aveva capito che il re era inaffidabile per la nazione, quindi assaltò le Tuillers massacrando quei beceri mercenari svizzeri e nel settembre del 1792 la monarchia fu dichiarata decaduta. Il 20 settembre, a Valmy, le truppe prussiane comandate dal duca di Brunswick furono fermate. Il re era incarcerato nella prigione del Tempio, con la sua famiglia. La Comune di Parigi era in uno stato permanente di fermento rivoluzionario e il popolo ormai si sentiva protagonista della scena politica. L’affermarsi dei leader giacobini, Marat, Robespierre e Danton, rese la situazione a Parigi molto incandescente e senza controllo. L’aggravarsi della situazione politica in Francia e soprattutto a Parigi, dove si temeva il complotto aristocratico per rovesciare la rivoluzione, diede inizio ai massacri di settembre, infatti le folle parigine assalivano le carceri e si facevano giustizia sommarimente degli aristocratici, degli ecclesiastici, dei semplici detenuti. Io voglio condannare il sangue che è corso per rafforzare la rivoluzione, però il popolo finalmente potè esprimere tutta la rabbia, la passione politica e l’odio sviscerale verso la nobiltà, che tentava con ogni mezzo di far fallire la rivoluzione. Secondo il mio modesto parere, questo slancio rivoluzionario, con tutte le sue accentuazioni, bloccò l’involuzione autoritaria e borghese che stava rendendo la situazione politica francese instabile. Nel 1792 Pétion affermava in modo inequivocabile che ci doveva essere un’amalgama o più precisamente una simbiosi tra borghesia e popolo al fine di salvaguardare la rivoluzione. La borghesia, in questo contesto politico, si divise in due tronconi, uno dei quali appoggiava le richieste del popolo e quindi tentò di realizzare in parte quel programma sociale tanto decantato dalla rivoluzione, l’altro era invece su posizioni prettamente conservatrici, di una una borghesia più retriva, volta solo a proteggere la proprietà privata e a bloccare le istanze popolari. Quindi alla sinistra avevamo Danton, Marat e Saint Just, mentre il gruppo dei conservatori era rappresentato da Vergniaud, Guidet e Gensonné. La terza forza, oltre alle due borghesie (una reazionaria, l’altra fermamente riformista) era rappresentata dalle masse, cui le sezioni delle società popolari fornivano un inquadramento, una formazione, strutture. Vi erano alcuni capi come Vailet e Jacques Roux (detto il prete rosso), ai gruppi meno “puri” che attorno alla comune parigina erano animati da Hébert soprattutto. Nello scontro più forte tra la Montagna e la Gironda, per quanto concerne Luigi XVI, i montagnardi volevano condannare il re, infatti i grandi accusatori furono Saint Just, Robespeierre e Danton, i quali si batterono strenuamente per la sua condanna, mentre i girondini tentarono in tutti i modi di salvarli. La condanna capitale venne votata 387 voti, contro 718 (la condizionale venne respinta essa poteva consistere nell’esilio o nell’appello del popolo). Il re fu ghigliottinato il 21 gennaio 1793. Anche suo cugino, il duca d’Orléans, votò a favore della sua condanna a morte. L’esecuzione del re, secondo me, tranciò definitivamente il legame tra Ancien Régime e rivoluzione, in pratica il popolo francese riuscirà ad estrinsecare per un certo periodo la sua libertà e i concetti fondamentali, libertà, uguaglianza e fraternità, rappresenteranno un cardine irrinunciabile per la costituzione francese. Quindi la democrazia, con la morte del re, potè realizzarsi appieno. La morte del re rinfocolò la guerra che, dopo Valmy, aveva preso un andamento favorevole per gli eserciti francesi. La battaglia di Jemmepes spalancò ai francesi i Paesi Bassi austriachi, e fu poi la rivolta di Nizza e della Savoia, in Germania furono occupate Magonza e Francoforte. La morte del re provocò un trauma politico non indifferente, un sovrano giustiziato dal popolo, in quel contesto storico, era una manifestazione barbara e primitiva. Molti sovrani, dal re di Napoli a quello della Spagna, ai principi tedeschi, crearono una coalizione antifrancese. La motivazione oltre che politica, come ho detto poc’anzi, poteva divenire distruttiva per l’istituto monarchico assolutista, diffuso in quasi tutta Europa. Così anche se molti sovrani illuminati con l’appoggio delle varie logge massoniche avevano avviato delle riforme, essi non volevano rinunciare all’investitura divina, della loro carica ricevuta per grazia di Dio. Questo fondamento ideologico, se nel Medioevo e Rinascimento poteva, in qualche modo, avere una base politica con l’appoggio determinante della Chiesa, al fine di rendere più stabili gli stati unitari (Spagna, Francia, Gran Bretagna) ora non lo aveva più. Alla fine del 1700, questa concezione politica propugnata dai sovrani, con l’ausilio delle istituzioni religiose, non aveva più motivo di esistere, perché il potere temporale e spirituale, secondo gli illuministi e i maggiori politologi dell’epoca, non necessariamente convivevano, essi infatti sostenevano in modo veemente il trapasso del potere al popolo, unico depositario della sovranità. Il popolo francese non si rese conto realmente dell’enorme influenza che aveva nelle vicende politiche del suo paese, così alla lunga fu soppiantato da un’alta borghesia avida non solo di potere ma soprattutto di denaro. Ai giorni nostri, lo vediamo in Europa: i cinesi si stanno instaurando nei principali gangli economici delgli stati europei, perché dato che la Cina ha una cultura millenaria, ha capito che con il ptere economico ottieni anche il controllo politico di uno stato. Perché sono i politici dello stato che fissano in linea di massima i criteri economici fondamentali del proprio paese. Ovviamente chi detiene la forza economica, deve recepire le linee di politica economica del governo. In ogni rivoluzione che si rispetti c’è una fase controrivoluzionaria o un’inversione autoritaria, nel caso della rivolta della Vandea e della Bretagna, c’era anche una motivazione politica ed ideologica. La Ricordiamo che con la pace di Westfalia, fino alla seconda guerra mondiale, l’Inghilterra cercò di mantenere un equilibrio in Europa, senza che nessuna potenza europea prendesse il sopravvento, quindi il vecchio leone cercò di contenere prima Napoleone, poi la Prussia di Bismarck e in seguito si battè accanitamente contro la Germania di Hitler. Anche l’Austria e la Prussia appoggiarono i controrivoluzionari. In molte province delle Francia meridionale e nord occidentale, i contadini erano molto conservatori dell’ordine precostituito e poi in quelle zone vi era una specie di rapporto solidale fra feudatario e il popolo, non come in certi agglomerati urbani (Parigi, Marsiglia), dove gli steccati sociali erano palesi e le vessazione all’ordine del giorno. In queste zone, la fede nella religione era molto radicata, e l’ateismo militante propugnato dai montagnardi e giacobini riscuoteva scarso successo, nonostante la propaganda serrata dei rivouzionari, che accusavano il clero di essere uno dei maggiori protettori dell’Ancien Régime e del sistema feudale. I contadini di queste zone rivendicavano il desiderio a professare la loro religione e ad ascoltare la messa, su questo passo, darei in parte ragione ai controrivoluzionari (capegiati dai nobili emigrati come d’Elbé e de Charette), perché ogni individuo ha diritto di professare la propria religione, ovviamente nel rispetto delle regole democratiche, e non religioni fondamentaliste che incitano all’annientamento della personalità della personalità umana, frustrando l’individuo nella sua capacità di agire e di pensare. Il fanatismo non appaga nella lotta politica, nel lungo periodo anzi è deleterio. Bisogna ammettere che se i patrioti americani prima e gli irlandesi poi, non avessero praticata una guerra estema e una lotta senza quartiere, la corona inglese non avrebbe concesso facilmente a loro l’indipendenza. Quindi tutti quei pseudo perbenisti che difendono le rivoluzioni pacifiche, sono degli ipocriti pacifisti e dei falsi sognatori, perché solo eliminando fisicamente i propri avversari, la rivoluzione può trionfare e liberarsi di tutte le impurità, che la possono far fallire. Nel caso specifico della rivoluzione francese, quando il popolo di Parigi capì che i girondini, con il loro patetico moderatismo, volevano convogliare la rivoluzione su posizioni di privilegio delle classi benestanti. Il popolo francese vedeva che gli eserciti autriaci, spagnoli, inglesi e prussiani stavano occupando vaste fette di territorio francese, mentre gli inserti realisti cattolici, cioè precisamente i partigiani del re detronizzato (Luigi XVI) avevano anche loro occupato vasti territori francesi, tra cui Nantes. I giacobini, come Marat, Robespierre, Danton e Couthon (girava su di una sedia a rotelle) e Restiff del la Bretonne, racconta come il comitato di salute pubblica, promosso dai personaggi poc’anzi citati, salvò la Francia dai nemici esterni (potenze straniere) e interni (realisti cattolici). La determinazione di salvare la rivoluzione, secondo me, sta nell’estremo rigorismo morale di questo organo politico, poc’anzi citato, soprattutto l’incorruttibile Robespierre si prodigò per salvare la giovane repubblica francese. Possiamo affermare con tutta tranquillità che lui è stato il salvatore della patria, il grande Robespierre è forse il politico più onesto che abbia avuto la Francia. In Italia abbiamo avuto grandi politici, come Cavour, fautore dell’unità d’Italia, Giolitti, grande politico, che sostenne l’apertura ai socialisti e il suffragio universale maschile, De Gasperi, artefice della ricostruzione durante l’unità d’Italia. Questi emeriti politici, non posso affermare o giurare per la loro onestà (probabilmente due massoni presunti e un Opur dei presunti). In Italia l’onestà è una virtù astratta e teorica, forse anch’io da classico italiano non sono un angioletto. Durante il periodo di Maxmillian Robespierre s’instaurò un periodo politico denominato “Terrore”, la rivoluzione, fino a quel momento in mano alla borghesia, divenne strumento di partecipazione popolare alle vicende politiche della Francia. Solo durante il Terrore e con Robespierre che presiedeva in modo inflessibile il Comitato di salute pubblica il popolo ebbe una certa dignità e un certo rispetto politico. I sanculotti, la parte politica più estrema del popolo, si sentì immedesimata nella rivoluzione, infatti in questo periodo fu promulgata la legge del suffragio universale e le donne ebbero molti diritti. Dopo una fase sanguinaria della rivoluzione e quando il pericolo sembrava ormai scongiurato, la borghesia conservatrice prese nuovamente il potere eliminando Robespierre, Couthon e Saint Just; neanche Hébert e i suoi seguaci si salvarono. Abbiamo altri esempi, come in Cina e a Cuba, che quando le forze borghesi minacciano la rivoluzione vi è un irrigidamento dei capi e viene attuata una specie di rivoluzione permanente, al fine di salvaguardare il popolo dalle sue conquiste sociali. L’opera di scristianizzazione del popolo attuata da Robespierre e Saint Just esaltando la virtù e la ragione, riuscì per un breve periodo a far trionfare la rivoluzione popolare, anche Hébert, pur essendo più a sinistra dell’Incorruttibile (Robespierre) fu eliminato, perché considerato personaggio destabilizzante. Robespierre e i suoi partigiani cercavano di alleviare le sofferenze delle masse popolari, attraverso aiuti agli indigenti, controllo dei prezzi e la creazione di un calmiere per i beni di prima necessità. In seguito alle sanguinose lotte politiche, non solo in seno al suo partito, Robespierre perse di credibilità anche agli occhi del popolo, la destra borghese ne approfittò per eliminare fisicamente Robespierre e i suoi seguaci fra cui de Saint Just (quest’ultimo era fornito del titolo nobiliare di cavaliere e sua madre era figlia di un notaio). Con la caduta dei giacobini, il popolo arretrò notevolmente nelle sue conquiste sociali, come annotò Restiff de la Bretonne, la nuova alta borghesia ricominciò ad arricchirsi e a sfoggiare una ricchezza grossolana che non si era mai vista: i prezzi dei beni di prima necessità fuorono liberalizzati, questi provvedimenti generarono una forte inflazione e affamarono le masse popolari. Un po’ come sta avvenendo da noi, dove un governo come il nostro, prettamente borghese, non esercita nessun controllo sui prezzi invocando il libero mercato e non tenendo conto delle persone che hanno un salario fisso, distogliendo il popolo su altri temi politici, come il terrorismo, l’emigrazione provocando la guerra dei poveri, tra emigrati e strati sociali della popolazione, spesso culturalmente non preparati e quindi facilmente strumentalizzabili, dai ceti sociali alti della società. Da quando c’è l’umanità, i ricchi fanno gli interessi dei loro simili e i poveri come dei pesciolini piccoloi, vengono divorati dalle classi sociali più alte, in mome di una presunta inferiorità sociale, che anche se in modo ipocrita non è sancita dalla Costituzione italiana, viene nei fatti praticata. L’esempio più banale, l’abbiamo con gli assistenti sociali, che essendo impregnati di ideologie radical-chic o borghesi-progressiste, agiscono per luoghi comuni. Il povero deve essere bastonato, perché non può pagare avvocati, mentre alcune donne di elevato ceto sociale, che fanno del male ai propri simili, riescono sempre a farla franca. Ritornando alla rivoluzione francese, con la morte di Babeuf il movimento popolare subì una totale caduta di partecipazione popolare. Il fallimento della congiura degli Eguali, in cui furono propagandate le prime idee comuniste. Il tentativo fallì miseramente, perché non si ebbe il totale appoggio del popolo, le rivoluzioni portate avanti da un’elite privilegiata sono destinate a fallire. Quindi da questo mio piccolo scritto si capisce, analizzando le strutture politiche della Grecia, di Roma, dei Comuni, delle Signorie, ecc., come la storia sia cinica, si hanno periodi di alternanza politica più o meno lunghi, caratterizzati dalle aperture progressiste e involuzioni autoritarie-conservatrici. La natura politica dell’uomo non cambia, ovviamente in tutti i periodi storici abbiamo pochissimi politici onesti, la stragrande maggioranza pensa ad approfittare della propria posizione, magari anch’io farei lo stesso, ma non penso, io sono un tipo fondamentalmente onesto e non diventerò mai un politico. Il popolo nella sua base è marcio, quindi è per quello che vengono eletti personaggi che non sono per niente rispondenti alle aspettative. Gli idealisti, sia al giorno d’oggi, sia nella rivoluzone francese che abbiamo analizzato, sono destinati a soccombere, perché l’animo umano è cattivo di natura. L’onestà, la virtù e soprattutto la lealtà sono mere concezioni filosofiche, e in politica sono solo strumenti di facciata, l’uomo diventa leggermente onesto forse solo quando estrinseca un suo bisogno fisiologico. Non sono estremista, ma realista, le mezze misure sono per gli opportunisti, per i puri come me il pensiero politico deve essere coerente e non perdersi nei meandri del linguaggio politichese. Abbiamo visto come durante la rivoluzione francese, come pure durante il periodo di “mani pulite” (Di Pietro), tutti si propongono di liberare la società dagli elementi negativi, ma alla fine la corruzione e la debolezze permangono. Tutti partono con sani principi, poi difronte alla vastità ed alla complessità della società rimangono vittime di sé stessi. La rivoluzione francese lanciò un messaggio fondamentale al mondo cioè dettò le regole e gli schemi della democrazia borghese. Anche se bisogna ammettere che la rivoluzione francese terminò con tante promesse e speranze, sovente deluse, persino con frustrazioni che portarono al suo superamento. La rivoluzione, come dissero alcuni avversari, non provocò stagnazione economica, addirittura crebbero i matrimoni, anche se la natalità, sin dai tempi di Napoleone, è stata per la Francia la maglia nera. Negli ultimi quindici anni la Francia, come la Germania, ha attuato una politica concreta per la famiglia, nel nostro paese, dopo un breve accenno a sostegno della maternità e della famiglia, lo Stato si è dimostrato poco attento a queste problematiche. Questo interessamento dello Stato italiano, nei confronti della natalità, poteva rappresentare una ricchezza per il nostro paese, che sta invecchiando vertiginosamente. Bisogna disciplinare in senso restrittivo la normativa sull’aborto, perché oggi una donna sposata può abortire senza il consenso del marito, abbiamo l’esempio lampante di nullità del maschio. Dato che la donna non può appagare interamente il proprio individualismo, con la procreazione assume anche degli obblighi verso l’umanità, la colpa c’è, l’ha anche l’uomo, con il suo infantilismo permanente, con il suo esasperato egoismo. Diciamo chiaramente c’è la volontà, da parte di questa società matriarcale che trae origine dagli U.S.A., a demolire la figura maschile, a privarla di qualsiasi potere e scelta. Insomma, è iniziata la caccia all’uomo, avallata da un ostracismo giuridico che non tiene conto dell’uguaglianza tra i sessi, ma delle prevaricazioni, esercitate sovente dalle donne, forti di una legislazione che erroneamente considera il gentil sesso la parte più debole. La rivoluzione francese provocò un inurbamento della popolazione rurale, cioè vi fu un flusso enorme della popolazione contadina verso la città. Per quanto concerne il periodo del Terrore e della rivoluzione francese, spesso gli individui giustiziati non provenivano dai ceti cosidetti privilegiati (nobiltà, clero, alta borghesia), ma nella maggioranza dei casi si trattò di operai e contadini. Altro elemento che svantaggiò la rivoluzione francese fu la forte inflazione, che iniziò a crescere nel 1792 fino al 1795, diminuendo il potere d’acquisto, dei contadini e degli operai, cioè i salariati a reddito fisso, creando malcontento e anarchia. Questa eccessiva circolazione della moneta fu dovuta alla speculazione che fece l’alta borghesia, non solo per il profitto, ma soprattutto per contenere le istanze proletarie e popolari, sulla libertà, sull’uguaglianza nell’accedere all’istituto giuridico della proprietà privata. Robespierre allargò il più possibile la cerchia delle persone che potevano esprimere il diritto di voto, mentre l’alta borghesia voleva che si votasse in base al censo (reddito). Una delle cause fondamentali della rivoluzione fu che mentre prima il popolo riusciva a comprare il pane, alla vigilia del grande evento che avrebbe sconvolto il mondo la maggioranza della popolazione faceva la fame, a questo si aggiungeva la carestia nelle campagne, dove i contadini più deboli erano vittime del vagabondaggio e brigantaggio. Le donne, artigiani e piccoli borghesi ebbero un ruolo attivo nella realizzzione di questo epocale evento. Fu durante la rivoluzione francese che vennero riconosciuti i diritti alla popolazione di colore e ai mulatti. Le distinzioni sociali devono basarsi sulla comune utilità, quindi non più diritto di sangue, ma di censo e qui che la borghesia in modo spudorato attua le più spregevoli operazioni finanziarie: de Sade ha previsto che alla fine anche la borghesia sarà schiacciata dalla sua stupida e ottusa cupidigia. Come la nobiltà di Carlo Magno (800 d.C.), che alla fine del 1800 perse il potere cedendolo alla borghesia francese rampante. Ai giorni nostri abbiamo l’esempio più lampante di borghesia guerrafondaia, avvinghiata al suo potere, che pur di mantenerlo crea confitti nel mondo. Oggi i nobili sono persone anacronistiche, dotati di solito di una forte cultura, ma sono lì a rappresentare gli ultimi fantasmi, che se nel Medioevo fu una classe gloriosa, oggi può solo suscitare ilarità. Diciamo che l’Ancien Régime era un sistema decadente e privo di alternative. I costumi libertini concernevano soprattutto la nobiltà. Infatti durante questo periodo era quasi d’obbligo avere l’amante, sempre per quel discorso sulla galanteria. Oggi invece la decadenza dei costumi non riguarda solo una ristretta cerchia di privilegiati, ma investe tutta la società italiana. Ci prodighiamo per salvare un gatto o un gufo, poi non aiutiamo le persone anziane o disederedati, che avrebbero tanto bisogno della nostra solidarietà non solo materiale, soprattutto umana. Anche ai tempi della rivoluzione francese accadeva che i nobili affamassero il popolo, però davano da mangiare alla propria cagnolina. Le persone che adorano in modo eccessivo gli animali non hanno rispetto per i propri simili. Ritronando al discorso di prima, i cardini della rivoluzione francese furono la libertà, l’uguaglianza, la fratellanza, in seguito la borghesia aggiunse sicurezza e proprietà. Altra riforma che si fece durante la rivoluzione francese è il cambiamento dei mesi, con nomi che rispecchiavano le condizioni climatiche del momento. L’intolleranza verso i preti refrattari che non volevano giurare fedeltà alla repubblica, bensì restare fedeli a Roma e celebrare la messa in lingua latina, molti di loro furono condannati a lavori forzati nella Guaiana francese. Ovviamente la presa della Bastiglia rappresentò la fine del regime assolutista e l’inizio della libertà. Fu salvaguardata, per la prima volta, la libertà personale dell’individuo e fu soppressa la tortura. Il costituente Robespierre cercò di abolire la pena capitale, ma non vi riuscì, per l’opposizione di ampi settori borghesi benpensanti. Furono inoltre promulgate leggi a favore dei protestanti, affermato il principio di laicizzazione dello stato francese e non più tollerata l’influenza della Chiesa nello stato, pensate che in Italia la Chiesa fino ai giorni nostri ha svolto politica e attività di proselitismo. Nelle varie costituzioni della rivoluzione francese 1791-1793, fu ribadito il concetto della sovranità del popolo, il principio elettivo in tutti i campi ed il principio della separazione dei poteri, ribadito da Montesquieu. Il discorso della tutela della proprietà privata durante il periodo rivoluzionario, mal si conciliava con l’ideale di una società che attribuiva a tutti uguali possibilità. Durante il periodo rivoluzionario alla Chiesa furono confiscati quasi tutti i beni, corrispondenti al 10% del territorio nazionale, per la nobiltà il discorso fu complicato ed articolato, in pratica anche i nobili emigrati avevano perduto beni, quindi l’espropriazioni furono vanificate. La classe sociale che si impossessò dei beni del clero e della nobiltà fu soprattutto la borghesia. Gli ideali di Babeuf e degli eguali, a lora va il merito di aver saputo esprimere una dottrina, concependone la realizzazione rivoluzionaria. Il “Comunismo della ripartizione” prevedeva la ridistribuzione dei beni e delle opere, mezzo per prevenire a quella comune felicità che avrebbe assicurato l’uguaglianza dei godimenti. Conclusioni La rivoluzione francese è stata senza dubbio l’avvenimento più importante dell’umanità, ovviamente dopo la scoperta dell’America 1492, ad opera di Cristoforo Colombo, che fece iniziare l’epoca moderna, così i traffici si spostarono dal mar Mediterraneo all’oceano Atlantico, sfatando un mito, che dopo le colonne d’Ercole (stretto di Gibilterra) non ci fosse nulla, ed inoltre le cosidette teorie sulla forma della terra vennero avvalorate da questo esploratore, smentendo quanti sostenevano in base ad un dogma assoluto, altre verità. Infatti la Chiesa, che sosteneva la teoria geocentrica (o tolemaica), in base alla quale il Sole gira attorno ai pianeti, mentre Keplero e Galileo Galilei sostenevano la teoria eliocentrica, cioè la Terra e i pianeti giravano attorno al Sole. Con questo cosa voglio dire, che ci sono dei momenti storici, come la rivoluzione francese, che sono basilari e importanti per l’umanità. Ovviamente se non ci fosse stata la rivoluzione francese, l’umanità sarebbe rimasta indietro di duecento anni. L’Islam, per esempio, perché è ancorato all’anacronistica concezione potere teologico e potere temporale. I due poteri, in questa società, tendono a fondersi, bloccando in pratica l’evoluzione del potere laico dello Stato, il quale risulta condizionato politicamente, quindi la libera circolazione delle idee, viene ostacolata e quindi risultano anche le sceenze empiriche o meccanicistiche. Limitate. Solamente creando un rapporto armonioso fra stato e religione si potrà avere un certo equilibrio, nella società, non che i problemi si risolvano del tutto. In pratica la rivoluzione francese con la sua purezza politica affermò un principio elementare e basilare, che non esistono verità assolute, cioè né la divinità del potere del re, né il dogma dell’infallibilità delle religioni. Rivoluzione francese Dedica alla rivoluzione francese Un nuovo amore. Fu allora che nacquero i primi sintomi di quell’amore. Nel frastuono di rumori e parole, tra discorsi ascoltati e risposte a domande; che come d’improvviso notai in disparte quegli occhi verdi e malinconici che mi guardavano senza dire parola. Muti e silenziosi, a volte timidamente sorridenti, ma fui colpita, avevo l’impressione che quegli occhi parlassero della tua malinconia, delle tue frasi mai dette. E in quel momento capii che ti avrei abbracciato consolato, forse amato. Esprimevi dolcezza e pacatezza, tranquillità e pudore e io ne rimasi attratta. Capii che tutti quelli che avrebbero voluto farsi notare non li avrei mai notati; non avrei notato sempre quelli che stavano più nell’ombra e nel silenzio ed aspettano come te; che l’amore giungesse a loro come un raggio di sole improvviso. Iliev Silvana Patrizia Testi consultati Biografie Bompiani Milano 1983 Danton – Il tribuno del popolo- Norman Hampson Biografie Bompiani Milano 1984 Robespierre – L’incorruttibile – Norman Hampson Salvadori Massimo Storia dell’età moderna. Dal cinquecento all’età napoleonica. Torino, Laescher, 1990 Fascicolo di Tecniche di seduzione e brevi cenni storici, Roberto d’Amato Roberto d’Amato, L’arte amatoria e il pensiero politico secondo la concezione del divino marchese Donatien Alphonse François de Sade La ronda del gufo Restiff de la Bretonne, editore Corbaccia Milano 1929 Gabriele De Rosa Storia Moderna e contemporanea, Minerva Italica 1971 Giuseppe Dall’Asta Storia Moderna, Bresso Cetim 1972 Robert Roswell Palmer, L’era delle rivoluzioni democratiche, Rizzoli Milano 1971 Eric John Hobsbawn, Le rivoluzioni borghesi 1789-I, Milano Il saggiatore 1971 Hebert Luithy, Storia moderna e contemporanea sec. XVI – XVIII, da Calvino a Rosseau. Tradizioni e modernità nel pensiero socio-politico della riforma della rivoluzione francese 17501815, Biblioteca Universale Rizzoli Milano 1976 Donatien Alphonse François detto le marquise, Pensiero politico, Einaudi Torino Sade James Cleugh, Il marchese de Sade e il cavaliere von Sacher Masoch, Mursia Milano George H. Sabine, Storia delle dottrine politiche, E.T.A.S. libri Milano Richelieur, Dall’Oglio editore Milano Il sottoscritto Robeto d’Amato, nato a Bra (CN), discendente dall’antichissima casata dei baroni Amato di Sciacca (proveniente dalla Catalogna, Spagna), venuta in Italia nel XIII secolo e appartenente in via molto collaterale al ramo dei duchi di Caccamo e dai principi di Galati. I miei avi erano guelfi, cioè parteggiavano per il Papa, ho avuto due vescovi in via collaterale (a Castro e a Umbriatico) e via diretta a Lacedonia. Arma D’Azzurro a sei stelle d’oro con sei punte 3, 2, 1. Motto: VINCERE AUT MORI. Mi sono diplomato all’Istituto tecnico ‘Gian Rinaldo Carli’, di Trieste. Ho frequentato l’università degli studi di Bologna, avendo avuto come docenti, presso la facoltà di giurisprudenza di Bologna, prof. Ugo Ruffolo, Francesco Galgano, Roversi-Monaco, l’ex preside Roberto Bonnini della facoltà di giurisprudenza, Giuseppe Caputo, docente di diritto canonico, della Torre, docente di diritto ecclesiastico. Ho già pubblicato i due libri “Tecniche di seduzione e brevi cenni storici” e “L’arte amatoria e il pensiero politico secondo la concezione del divino marchese Donatien Alphonse François de Sade”.